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STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra Lezione n. 1 II SEMESTRE A.A. 2018-2019

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STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO

Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 1

II SEMESTRE

A.A. 2018-2019

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STORIA COSTITUZIONALEI linguaggi politici della Modernità

Il linguaggio del repubblicanesimo

Il linguaggio della ragion di Stato

Il linguaggio dell’economia politica

Il linguaggio del giusnaturalismo

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STORIA COSTITUZIONALEIl linguaggio del giusnaturalismo

Potere sovrano

Contratto

Individui liberi ed eguali

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STORIA COSTITUZIONALEIl linguaggio del giusnaturalismo

…un dispositivo logico che prevede alla base gli

individui con i loro diritti e, proprio per la

salvaguardia di questi ultimi, un potere legittimo

da tutti voluto , che emani quelle leggi che, valide

per tutti e rese efficaci da una forza comune,

permettano la coesistenza pacifica degli uomini.

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STORIA COSTITUZIONALEIl linguaggio del giusnaturalismo

Eguaglianza

Libertà(indipendenza della volontà)

Potere(prodotto della volontà di tutti)

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STORIA COSTITUZIONALEIl linguaggio del giusnaturalismo

Logica della rappresentanza politica:

riconoscere come propria la volontà di

un altro

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STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO

Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 2

II SEMESTRE

A.A. 2018-2019

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K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche:

Il pensiero di Nietzsche consiste in «un

sistema al cui principio sta la morte di

Dio, nel mezzo il nichilismo che da

quella deriva, e alla fine

l’autosuperamento del nichilismo verso

l’eterno ritorno».

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Le opere principali:

La nascita della tragedia dallo spirito della musica

(1871)

Considerazioni inattuali (1876)

Umano, troppo umano (1878)

Aurora (1881)

La gaia scienza (1882)

Così parlo Zarathustra (1885)

La genealogia della morale (1887)

Ecce Homo (1888)

La volontà di potenza (1901)

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«Il pensiero di Nietzsche è un sistema

al cui principio sta la morte di Dio, nel

mezzo il nichilismo che da quella

deriva, e alla fine l’autosuperamento

del nichilismo verso l’eterno ritorno»

(Karl Löwith)

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La morte di Dio:

"Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad

ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo

fatto questo? [...] Dello strepito che fanno i becchini mentre

seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il

lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è

morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo

noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú

possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri

coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo

noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi

inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa

azione?« (La gaia scienza, Af. 125)

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La morte di Dio:

La nascita del Dio cristiano… ha… portato sulla terra anche il

maximum del sentimento del debito. Ammesso di essere entrati,

più tardi, in un movimento opposto, si potrebbe, con molta

probabilità, dedurre dalla inarrestabile decadenza della fede nel

Dio cristiano il fatto che già ora vi sia una notevole decadenza

della coscienza umana della colpa; non è anzi scartabile l’ipotesi

che la completa e definitiva vittoria dell’ateismo possa liberare

l’umanità da questo sentimento di avere dei debiti verso il suo

principio, la sua causa prima. L’ateismo e una specie di seconda

innocenza sono intimamente legati (F. Nietzsche, Genealogia

della morale).

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Il nichilismo:

Che non ci sia verità; che non ci sia una

costituzione assoluta delle cose, una “cosa

in sé”; - ciò stesso è nichilismo, è anzi il

nichilismo estremo (Frammenti postumi

1887-88, pp. 13 s.).

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Il superamento della metafisica:

Un grado, certo molto elevato, di cultura è raggiunto quando

l’uomo si libera dalle idee e dalle paure superstiziose e

religiose… Se egli è a questo grado di liberazione, gli resta

ancora da superare con la massima tensione della sua

riflessione la metafisica. Poi però è necessario un movimento

all’indietro: egli deve capire la giustificazione storica, come

pure quella psicologica di tali rappresentazioni, deve

riconoscere come sia di là venuto il maggior progresso

dell’umanità e come senza un tale movimento all’indietro, ci

si priverebbe dei migliori risultati finora ottenuti

dall’umanità.

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F. Nietzsche, Umano, troppo umano:

Glorificare l’origine – è questo il

germoglio metafisico che rispunta nella

considerazione della storia e che fa

ogni volta credere che al principio di

tutte le cose si trovi il più perfetto e il

più essenziale…

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Il metodo storico-scientifico:

F. Nietzsche, Umano, troppo umano:

L’immediata osservazione di sé è ben

lungi dal bastare per conoscere se

stessi: abbiamo bisogno della storia,

giacché il passato continua a scorrere in

noi in cento onde …

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F. Nietzsche, Umano, troppo umano:

Tutto ciò di cui abbiamo bisogno, e che allo stadio attuale delle

singole scienze può esserci concesso, è una chimica delle idee e

dei sentimenti, morali, religiosi, estetici, come pure di tutte quelle

emozioni che sperimentiamo in noi nel grande e piccolo

commercio con la cultura e la società e persino nella solitudine:

ma che accadrebbe, se questa chimica finisse per concludere che

anche in questo campo i colori più belli sono quelli che si ricavano

da una materia umile, e persino spregiata? Quanti avranno voglia

di seguire tali indagini? L'umanità ama fugare dalla propria mente

gli interrogativi sull'origine e sugli inizi: non si deve forse essere

quasi disumanizzati per sentire in sé l'inclinazione contraria?

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M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia:

Là dove l’anima ha la pretesa d’unificarsi, là dove l’Io s’inventa

un’identità o una coerenza, il genealogista parte alla ricerca

dell’inizio, - degli innumerevoli inizi che lasciano quel sospetto di

colore, quella traccia quasi cancellata che non potrebbe ingannare

un occhio un po’ storico; l’analisi della provenienza permette di

dissociare l’Io e di far pullulare nei luoghi della sua sintesi vuota

mille avvenimenti ora perduti.

La provenienza permette anche di ritrovare sotto l’aspetto unico

d’un carattere o d’un concetto la proliferazione degli avvenimenti

attraverso i quali (grazie ai quali, contro i quali) si sono formati…

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M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia:

La genealogia non pretende di risalire il tempo per ristabilire una grande

continuità al di là della dispersione dell’oblio; il suo compito non è di

mostrare che il passato è ancor lì, ben vivo nel presente, animandolo

ancora in segreto, dopo aver imposto a tutte le traversie del percorso una

forma disegnata sin dall’inizio. (…) Seguire la trafila complessa della

provenienza è, al contrario, mantenere ciò che è accaduto nella

dispersione che gli è propria: è ritrovare gli accidenti, le minime

deviazioni – o al contrario i rovesciamenti completi – gli errori, gli

apprezzamenti sbagliati, i cattivi calcoli che hanno generato ciò che

esiste e vale per noi; è scoprire che alla radice di quel che conosciamo e

di quel che siamo – non c’è la verità e l’essere, ma l’esteriorità

dell’accidente…

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M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia:Infine la provenienza ha a che fare col corpo. (…) Il corpo – e tutto ciò

che ha a che fare col corpo, l’alimentazione, il clima, il suolo – è il

luogo della Herkunft: sul corpo si trova la stigma degli avvenimenti

passati, così come da esso nascono i desideri, i cedimenti, e gli errori; lì

anche si annodano e a un tratto si esprimono, ma in esso ancora si

slegano, entrano in lotta, si nascondono gli uni gli altri e continuano la

loro lotta insormontabile.

Il corpo: superficie d’iscrizione degli avvenimenti (laddove il linguaggio

li distingue e le idee li dissolvono), luogo di dissociazione dell’Io (al

quale cerca di prestare la chimera di un’unità sostanziale), volume in

perpetuo sgretolamento. La genealogia, come analisi della provenienza,

è dunque all’articolazione del corpo e della storia: deve mostrare il

corpo tutto impresso di storia, e la storia che devasta il corpo.

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F. Nietzsche, Ecce Homo:

Tra le cose che possono portare un pensatore alla disperazione è il

riconoscere che l’uomo ha bisogno dell’illogicità, e che dall’illogicità

nascono molte cose buone. Essa è piantata così saldamente nelle

passioni, nella lingua, nell’arte, nella religione e in genere in tutto ciò

che conferisce valore alla vita, che non la si può estirpare senza

danneggiare con ciò irreparabilmente queste belle cose.

L’errore ha reso l’uomo così profondo, delicato e inventivo da produrre

un tal fiore come le religioni e le arti. Il puro conoscere non sarebbe

stato in grado di farlo. Chi ci svelasse l’essenza del mondo causerebbe

in noi tutti la più spiacevole delusione. Non il mondo come cosa in sé,

bensì il mondo come rappresentazione (come errore) è così ricco di

significato, così profondo e meraviglioso, e reca in senso tanta felicità e

infelicità.

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L’eterno ritorno e l’Űbermensch:

Quale che sia lo stato che questo mondo può raggiungere, deve averlo

già raggiunto, e non una ma infinite volte. Così questo attimo: esso era

già qui una volta e molte volte e parimenti ritornerà, tutte le forze

distribuite esattamente come ora; lo stesso avviene per l’attimo che ha

generato questo e per quello che sarà il figlio dell’attimo attuale. Uomo!

La tua vita intera, come una clessidra, sarà di nuovo capovolta, e sempre

di nuovo si vuoterà – un grande minuto di tempo frammezzo, finché

tutte le condizioni dalle quali tu sei divenuto, nel corso circolare

cosmico, si verificano di nuovo. E allora troverai di nuovo ogni dolore e

ogni piacere e ogni amico e nemico e ogni speranza e ogni errore e ogni

filo d’erba e ogni raggio di sole, la connessione totale di tutte le cose.

(Frammenti postumi, 1881).

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L’eterno ritorno e l’Űbermensch:

Un tale spirito divenuto libero sta al centro del

tutto con un fatalismo gioioso e fiducioso, nella

fede che soltanto sia biasimevole quel che se ne

sta separato, che ogni cosa si redima e si affermi

nel tutto – egli non nega più. Ma una fede siffatta

è la più alta di tutte le fedi possibili: l’ho

battezzata col nome di Dioniso (F. Nietzsche,

Così parlò Zarathustra:).

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La profezia di Zarathustra:La terra è divenuta piccola, e su di essa saltella l’ultimo

uomo, che rende piccola ogni cosa. La sua stirpe è

inestinguibile come quella degli scarafaggi; l’ultimo

uomo vivrà molto a lungo… Non si diventa ormai più né

poveri né ricchi: entrambe le cose costano troppa fatica.

Chi vuole ancora regnare? Chi vuole ancora obbedire?

Entrambe le cose sono troppo gravose. Nessun pastore e

un solo gregge! Ognuno vuole allo stesso modo, tutti

sono eguali: chi sente in maniera diversa se ne va

spontaneamente al manicomio (Così parlò Zarathustra:).

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F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra

Oggi i filosofi, partendo dallo spirito della

funzione, riflettono su come trasformare

l’umanità in un organismo – è l’opposto della mia

tendenza: il numero maggiore possibile di

organismi diversi e che si trasformano, i quali,

giunti alla loro maturità e putrefazione, lasciano

cadere il loro frutto: gli individui, dei quali certo

la maggior parte perisce; ma solo i pochi contano

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F. Nietzsche, Ecce Homo:

Io conosco la mia sorte. Si legherà un giorno al

mio nome il ricordo (…) di una crisi, come non

ce ne fu un’altra simile sulla Terra, al più

profondo conflitto di coscienza, ad una decisione,

proclamata contro tutto ciò che sinora era stato

creduto, richiesto, consacrato. Io non sono un

uomo, sono una dinamite…

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F. Nietzsche, Ecce Homo:

Io contraddico come mai è stato contraddetto, e malgrado

ciò sono l’antitesi di uno spirito negatore… Con tutto ciò

sono necessariamente pure un uomo del destino. E infatti, se

la verità entra in lotta con la menzogna di millenni, avremo

di tali scuotimenti, tali convulsioni di terremoto che mai

erano state neppure sognate. Il concetto di politica è ora

entrato completamente in una guerra tra spiriti, tutte le forme

di dominio della vecchia società sono saltate in aria – esse

riposano tutte quante sulla menzogna; ci saranno guerre

come non ce ne sono state mai sulla terra. Solo da me

comincia sulla terra la grande politica.

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F. Nietzsche, Frammenti postumi:

La mia opera ha tempo e non voglio essere per nulla

scambiato con ciò che il presente ha da risolvere come

proprio compito. Tra cinquant’anni, forse, alcuni (…)

avranno occhi per vedere ciò che da me è stato

compiuto. Ma al presente non è soltanto difficile, ma

assolutamente impossibile (…) parlare di me

pubblicamente senza rimanere illimitatamente dietro la

verità (1884).

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F. Nietzsche, La volontà di potenza :

Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io

descrivo ciò che viene, ciò che non può fare a meno di venire:

l’avvento del nichilismo. Questa storia può già ora essere

raccontata; perché la necessità stessa è qui all’opera. Questo

futuro parla già per mille segni, questo destino si annunzia

dappertutto; per questa musica del futuro tutte le orecchie sono

già in ascolto. Tutta la nostra cultura europea si muove da

lungo tempo in una torturante tensione che cresce di decenni in

decenni, come protesa verso una catastrofe: irrequieta, violenta,

precipitosa; simile ad una corrente che vuole giungere alla fine,

che non riflette più e ha paura di riflettere.

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F. Nietzsche, La volontà di potenza :

– Chi prende qui la parola non ha fatto, invece, altro

sinora che riflettere: come filosofo e solitario di istinto

che ha trovato il proprio vantaggio nello starsene

appartato ed estraneo, nel pazientare, nel differire; come

uno spirito che osa osare e tentare, e già si è smarrito una

volta in ogni labirinto del futuro; (…) che guarda

indietro quando racconta ciò che dovrà avvenire; come il

primo compiuto nichilista europeo, che però ha già

vissuto dentro di sé sino all’esaurimento il nichilismo

stesso, e lo ha dietro di sé, sotto di sé, fuori di sé.

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F. Nietzsche, Al di là del bene e del male:Trattenerci reciprocamente dall’offesa, dalla violenza, dallo sfruttamento, stabilire

un’eguaglianza tra la propria volontà e quella dell’altro: tutto questo può, in un

certo qual senso grossolano, divenire una buona costumanza tra individui, ove ne

siano date le condizioni (vale a dire la loro effettiva somiglianza in quantità di forza

e in misure di valore, nonché la loro mutua interdipendenza all’interno di

un unico corpo). Ma appena questo principio volesse guadagnare ulteriormente

terreno, addirittura, se possibile, come principio basilare della società, si

mostrerebbe immediatamente per quello che è: una volontà di negazione della vita,

un principio di dissoluzione e di decadenza. Su questo punto occorre rivolgere

radicalmente il pensiero al fondamento e guardarsi da ogni debolezza sentimentale:

la vita è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è

estraneo e piú debole, oppressione, durezza, imposizione di forme proprie, un

incorporare o per lo meno, nel piú temperato dei casi, uno sfruttare – ma a che

scopo si dovrebbe sempre usare proprio queste parole, sulle quali da tempo

immemorabile si è impressa un’intenzione denigratoria?

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F. Nietzsche, Al di là del bene e del male:Anche quel corpo all’interno del quale, come è stato precedentemente ammesso, i singoli si

trattano da eguali – ciò accade in ogni sana aristocrazia – deve anch’esso, ove sia un corpo

vivo e non moribondo, fare verso gli altri corpi tutto ciò da cui vicendevolmente si astengono

gli individui in esso compresi: dovrà essere la volontà di potenza in carne e ossa, sarà volontà

di crescere, di estendersi, di attirare a sé, di acquistare preponderanza – non trovando in una

qualche moralità o immoralità il suo punto di partenza, ma per il fatto stesso che esso vive, e

perché la vita è precisamente volontà di potenza. In nessun punto, tuttavia, la coscienza

comune degli Europei è piú riluttante all’ammaestramento di quanto lo sia a questo proposito;

oggi si vaneggia in ogni dove, perfino sotto scientifici travestimenti, di condizioni di là da

venire della società, da cui dovrà scomparire il suo “carattere di sfruttamento” – ciò suona alle

mie orecchie come se si promettesse di inventare una vita che si astenesse da ogni funzione

organica. Lo “sfruttamento” non compete a una società guasta oppure imperfetta e primitiva:

esso concerne l’essenza del vivente, in quanto fondamentale funzione organica, è una

conseguenza di quella caratteristica volontà di potenza, che è appunto la volontà della vita. –

Ammesso che questa, come teoria, sia una novità – come realtà è il fatto originario di tutta la

storia: si sia fino a questo punto sinceri verso se stessi!

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F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra:

Non sarebbe dunque per il movimento democratico una specie

di scopo, di redenzione e di giustificazione, il fatto che venisse

qualcuno a servirsi di esso, e che attraverso questa nuova (…)

configurazione della schiavitù (…) trovasse la sua strada quella

specie superiore di spiriti dominatori e cesarei, che su tutto ciò

si appoggerebbe, si sosterrebbe e potrebbe innalzarsi’ (…)

L’aspetto dell’attuale Europeo mi dà molte speranze: va

formandosi una audace razza dominatrice sulla base di una

massa estremamente intelligente… Le stesse condizioni che

favoriscono lo sviluppo dell’animale del gregge provocano

anche la formazione dell’animale capo.

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F. Nietzsche, La volontà di potenza:

Chi ha conservato ed ha educato in sé una forte volontà, e

possiede al tempo stesso uno spirito ampio, gode di

possibilità più favorevoli che mai in precedenza. La

plasmabilità degli uomini è infatti diventata grandissima in

questa Europa democratica; uomini che imparano facilmente

e si adattano facilmente rappresentano la regola: l’animale

del gregge, per di più assai intelligente, è preparato. Chi può

comandare trova quelli che debbono ubbidire: penso, per

esempio, a Napoleone e a Bismark. La concorrenza di

volontà forti e non intelligenti, che costituisce il maggior

ostacolo, è minima…

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F. Nietzsche, La volontà di potenza:

In tali condizioni, quali sono presentate alla nostra civiltà, di

movimenti eccessivi per il ritmo e per i mezzi spiegati, il centro di

gravità degli uomini si sposta… In questo caso il centro di gravità cade

necessariamente sui mediocri: la mediocrità, in quanto garanzia e

portatrice dell’avvenire, si consolida contro il dominio della plebe e

dell’eccentricità (per lo più collegate tra loro). Dal che sorge per gli

uomini di eccezione un nuovo avversario, o anche una nuova seduzione.

Posto che essi non si adattino alla plebe e non cantino le loro poesie per

compiacere all’istinto dei diseredati, dovranno essere necessariamente

«mediocri» e «solidi»… Ancora una volta (…) tutto quanto il mondo

completamente esaurito dell’ideale viene ad ottenere una pregiata

difesa… Risultato: la mediocrità acquista spirito, arguzia, genio, diventa

divertente, seduce…

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Lezione n. 3

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F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra:

In passato l’anima guardava al corpo con

disprezzo: e questo disprezzo era allora la

cosa più alta: - essa voleva il corpo

macilento, orrido, affamato. Pensava in tal

modo, di poter sfuggire al corpo e alla terra.

Ma quest’anima era anch’essa macilenta,

orrida e affamata: e crudeltà era la voluttà di

quest’anima (pp. 6-7).

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F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra:

’Io’ dici tu, e sei orgoglioso di questa

parola. Ma la cosa ancora più grande,

cui tu non vuoi credere – il tuo corpo e

la sua grande ragione: essa non dice

‘io’, ma fa ‘io’ (p. 34).

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F. Nietzsche, Frammenti postumi (1885):

Se io ho in me qualcosa di unitario, certo

ciò non consiste nell’io cosciente e nel

sentire, volere, pensare, bensì in qualche

altra cosa: nella saggezza di tutto il mio

organismo che conserva, si appropria,

elimina, sorveglia, e di cui il mio io

cosciente non è che uno strumento….

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F. Nietzsche, Frammenti postumi (1885):

Riteniamo avventato che si sia così a lungo considerata proprio la

coscienza umana come il grado più alto dello sviluppo organico e come

la più meravigliosa di tutte le cose terrene, anzi quasi come il loro fiore

e il loro fine. Ciò che è più meraviglioso è invece il corpo: non si finisce

mai di ammirare, considerando come il corpo umano sia divenuto

possibile; come una tale enorme unione di esseri viventi, ciascuno

dipendente e sottomesso, e tuttavia in certo senso a sua volta imperante

e agente con volontà propria, possa vivere, crescere e sussistere per

qualche tempo come un tutto; e ciò avviene chiaramente non grazie alla

coscienza! Per questo “miracolo dei miracoli” la coscienza è appunto

solo uno “strumento” e niente più – nello stesso senso in cui lo stomaco

è un altro strumento…

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F. Nietzsche, Frammenti postumi (1885):

…Di favoleggiare dell’«unità», dell’«anima», della

«persona», ce lo siamo oggi vietato: tali ipotesi servono solo

a rendere il problema più difficile, questo è chiaro. E anche

quei piccolissimi esseri viventi che costituiscono il nostro

corpo (o meglio: del cui cooperare ciò che chiamiamo

«corpo» è la migliore immagine), non sono per noi atomi

spirituali, ma qualcosa che cresce, lotta, si accresce e a sua

volta muore: sicché il loro numero muta in modo variabile, e

la nostra vita è, come qualunque vita, in pari tempo un

continuo morire…

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F. Nietzsche, Frammenti postumi:

Tutto ciò che entra nella coscienza costituisce

l’ultimo anello di una catena, di una chiusura.

Che un pensiero sia immediatamente causa di un

altro pensiero, è cosa solo apparente. I veri

avvenimenti concatenati si svolgono al di sotto

della nostra coscienza: le serie e successioni di

sentimenti, pensieri, eccetera, che si producono,

sono solo sintomi del vero accadere.

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F. Nietzsche, Frammenti postumi:

…Ci sono dunque nell’uomo tante “coscienze” quanti sono gli esseri – in ogni istante

della sua esistenza – che costituiscono il suo corpo. Ciò che distingue quella che è

abitualmente pensata come l’unica “coscienza”, l’intelletto, è proprio che essa rimane

protetta e staccata dall’infinita varietà delle vicende di queste molte coscienze, e, come

coscienza di rango superiore, come pluralità e aristocrazia dominante, ha a che fare solo

con una scelta di esperienze, per di più solo esperienze semplificate, rese perspicue e

intelligibili, e dunque falsate, - perché l’intelletto continui da parte sua in questo

semplificare e rendere perspicuo, e dunque falsare, preparando ciò che si chiama

comunemente «una volontà». Ogni siffatto atto di volontà presuppone per così dire la

nomina di un dittatore. Ma ciò che presenta questa scelta al nostro intelletto, ciò che ha

in precedenza semplificato, assimilato e interpretato le esperienze, in ogni caso non è

appunto questo intelletto: non più di quanto lo sia ciò che esegue la volontà, ciò che

accoglie una pallida, esigua ed estremamente imprecisa rappresentazione di valore e di

forza, e la traduce in forza viva e in precisi criteri di valore…

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F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra:

Il corpo è formato da «una pluralità

con un senso, una guerra e una

pace, un gregge e un pastore».

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F. Nietzsche, Frammenti postumi:

Io comprendo solo un essere che sia

al contempo uno e plurimo, che si

trasformi e permanga, che conosca,

senta, voglia – questo essere è il

mio fatto originario.

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STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO

Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 4

II SEMESTRE

A.A. 2018-2019

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G. Le Bon, Psicologia delle folle (1895):

Ciò che più colpisce in una folla psicologica è il fatto che gli individui

che la compongono – indipendentemente dal tipo di vita,

dall’occupazione, dal temperamento o dall’intelligenza - acquistano una

sorta di anima collettiva per il solo fatto di appartenere alla folla. Tale

anima li fa sentire, pensare ed agire in un modo del tutto diverso da

come ciascuno di loro – isolatamente – sentirebbe, penserebbe e

agirebbe.

Certe idee, certi sentimenti non sorgono o non si trasformano in atti se

non negli individui che costituiscono folla. La folla psicologica é un

essere provvisorio, composto di elementi eterogenei per un istante uniti

fra loro, proprio come le cellule di un corpo vivente che con la loro

unione formano un essere umano il quale manifesta caratteri assai

diversi da quelli che ognuna di quelle cellule possiede.

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G. Le Bon, Psicologia delle folle:

I nostri atti incoscienti derivano da un substrato incosciente formato specialmente da influenze

ereditarie. Questo substrato racchiude gli innumerevoli residui atavici che costituiscono l'anima

della razza. Dietro le cause palesi dei nostri atti, si trovano cause segrete, ignorate da noi. La

maggior parte delle nostre azioni quotidiane sono effetto dei moventi nascosti che ci sfuggono.

Specialmente per gli elementi incoscienti che compongono l'anima di una razza, tutti gli individui

di questa razza si assomigliano. Per gli elementi coscienti, frutto dell'educazione, ma soprattutto di

un'eredità eccezionale, essi differiscono. Gli uomini più dissimili per intelligenza hanno istinti,

passioni, sentimenti a volte identici. In tutto ciò che é materia di sentimento : religione, politica,

morale, affezioni, antipatie, ecc., gli uomini più eminenti non superano che assai raramente il

livello degli individui comuni. Tra un celebre matematico e il suo calzolaio può esistere un abisso

sotto il rapporto intellettuale, ma dal punto di vista del carattere e delle credenze la differenza é

spesso nulla o lievissima Ora, queste qualità generiche del carattere, guidate dall'incosciente e

possedute press'a poco allo stesso grado dalla maggior parte degli individui normali di una razza,

sono precisamente quelle che, nelle folle, si trovano messe in comune. Nell'anima collettiva, le

attitudini intellettuali degli uomini, e per conseguenza la loro individualità, si cancellano.

L'eterogeneo si sommerge nell'omogeneo, e le qualità incoscienti dominano.

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G. Le Bon, Psicologia delle folle:Diverse cause determinano l'apparizione dei caratteri particolari alle folle. La prima

consiste nel conferire agli individui di una folla, per il solo fatto del numero, un

sentimento di potenza invincibile che permette loro di cedere agli istinti, che

individui isolati avrebbero saputo frenare. L'individuo cederà tanto più volontieri

inquantoché nella folla, essendo essa anonima, e di conseguenza irresponsabile, il

sentimento della responsabilità che sempre trattiene gli individui, scompare

completamente.

Una seconda causa, il contagio mentale, interviene ugualmente per determinare

nelle folle la manifestazione di caratteri speciali e nello stesso tempo il loro

orientamento. Il contagio é un fenomeno facile a constatarsi, ma non ancora

spiegato, e che bisogna ricollegare a fenomeni di ordine ipnotico. (…) In una folla,

ogni sentimento, ogni atto è contagioso, e contagioso a tal punto che l'individuo

sacrifica il suo interesse personale all'interesse collettivo. E questa un'attitudine

contraria alla sua natura, e di cui l'uomo non diventa affatto capace se non

allorquando fa parte di una folla.

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G. Le Bon, Psicologia delle folle:

Una terza causa, e assai più importante,

determina negli individui in folla dei

caratteri speciali a volte intensamente

opposti a quelli dell'individuo isolato.

Voglio dire della suggestionabilità, il cui

contagio, sopra menzionato, non é del resto

che un effetto.

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G. Le Bon, Psicologia delle folle:

(…) Delle attente osservazioni sembrano provare che l'individuo,

tuffato da qualche tempo in seno ad una folla in fermento, cade in

breve in seguito agli effluvi che ne sprigionano, o per altra causa

ancora ignorata - in uno stato particolare, simile assai allo stato di

fascinazione dell'ipnotizzato tra le mani del suo ipnotizzatore.

Essendo, nell'ipnotizzato, paralizzata la vita del cervello, egli

diventa lo schiavo di tutte le attività incoscienti che l'ipnotizzatore

dirige a suo talento. La personalità cosciente é svanita, la volontà

e il discernimento aboliti.

Sentimenti e pensieri sono allora orientati nel senso determinato

dall'ipnotizzatore.

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G. Le Bon, Psicologia delle folle:Questo é all'incirca lo stato dell'individuo che fa parte della folla. Egli

non é più cosciente dei suoi atti. In lui, come nell'ipnotizzato, mentre

certe facoltà sono distrutte, altre possono essere condotte a un grado

estremo di esaltazione. L'influenza di una suggestione lo lancerà con

una imperiosità irresistibile verso il compimento di certi atti.

Impetuosità più irresistibile ancora nelle folle che nei soggetti

ipnotizzati, poiché la suggestione, essendo la stessa per tutti gli

individui, straripa diventando reciproca. Le unità di una folla che

posseggono una personalità abbastanza forte per resistere alla

suggestione, sono in numero troppo esiguo e la corrente le trascina.

Tutt'al più esse potranno tentare una diversione per una diversa

suggestione. Una parola felice, una immagine evocata hanno a volte

sviato la folla dagli atti più sanguinari.

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G. Le Bon, Psicologia delle folle:Dunque, annullamento della personalità cosciente, predominio della

personalità incosciente, orientamento per via della suggestione e di

contagio dei sentimenti e delle idee in un medesimo senso, tendenza a

trasformare immediatamente in atti le idee suggerite: tali sono i principali

caratteri dell'individuo nella folla. Egli non é più sé stesso, ma un automa

diventato impotente a guidare la propria volontà.

Per il solo fatto di far parte di una folla, l'uomo discende di parecchi gradi

la scala della civiltà. Isolato, sarebbe forse un individuo colto, nella folla è

un istintivo, per conseguenza un barbaro. Egli ha la spontaneità, la

violenza, la ferocia e anche gli entusiasmi e gli eroismi degli esseri

primitivi. Si fa simile ad essi anche per la sua facilità a lasciarsi

impressionare da parole, immagini, e guidare ad atti che ledono i suoi

interessi più evidenti. L'individuo della folla é un granello di sabbia in

mezzo ad altri granelli di sabbia che il vento solleva a suo capriccio.

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G. Le Bon, Psicologia delle folle:Non appena un certo numero di esseri viventi sono riuniti, si tratti d'un

branco di animali o di una folla d'uomini, si mettono istintivamente

sotto l'autorità di un capo, cioè di una guida.

Nelle folle umane, il caporione ha una parte notevole. La sua volontà é

il nodo intorno a cui si formano e si identificano le opinioni. La folla é

un gregge che non potrebbe far a meno di un padrone. Il condottiero

quasi sempre é stato prima un fanatico ipnotizzato dall'idea di cui in

seguito s'é fatto apostolo. Quest'idea ha talmente invaso che tutto

sparisce all'infuori di essa, e tutte le opinioni contrarie gli sembrano

errori e superstizioni. Così Robespierre, ipnotizzato dalle sue chimeriche

idee, e che adoperò i procedimenti dell'Inquisizione per propagarle.

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G. Le Bon, Psicologia delle folle:

Gli agitatori tendono oggi a sostituire progressivamente i poteri

pubblici a misura che questi ultimi si lasciano discutere e

indebolire. Grazie alla loro tirannia, questi nuovi padroni

ottengono dalle folle una docilità completa che nessun governo

può ottenere. Se, per un incidente qualsiasi, il condottiero sparisce

e non é subito sostituito, la folla ridiventa una collettività senza

coesione né resistenza. Durante lo sciopero dei conducenti

d'omnibus a Parigi, fu sufficiente arrestare i due agitatori che lo

dirigevano, per farlo subito cessare. L'anima delle folle é sempre

dominata dal bisogno di servitù e non da quello di libertà. La

sete di obbedienza le fa sottomettere d'istinto a chi si dichiara

loro padrone.

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STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO

Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 5

II SEMESTRE

A.A. 2018-2019

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Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi:

Il Super-io impone all’Io inerme, che è in sua balia, criteri morali rigorosissimi; è in

generale il rappresentante delle esigenze della moralità e (…) il nostro senso morale di

colpa esprime la tensione fra l’Io e il Super-io.

(…) Tale coscienza (…) si pone in diretto contrasto con la vita sessuale, la quale esiste

realmente sin dall’inizio della vita e non sopravviene solo più tardi. Per contro il

bambino piccolo è notoriamente amorale, non ha alcuna inibizione interiore contro i

propri impulsi che anelano al piacere. La funzione che più tardi assume il Super-io viene

dapprima svolta da un potere esterno, dall’autorità dei genitori. I genitori esercitano il

loro influsso e governano il bambino mediante la concessione di prove d‘amore e la

minaccia di castighi; questi ultimi dimostrano al bambino la perdita dell’amore e sono

temuti per se stessi. Questa angoscia reale precorre la futura angoscia morale; finché

essa domina non c’è bisogno di parlare di Super-io e di coscienza morale. Solo in

seguito si sviluppa la situazione secondaria (…) in cui l’impedimento esterno viene

interiorizzato e al posto dell’istanza parentale subentra il Super-io, il quale ora osserva,

guida e minaccia l’Io, esattamente come facevano prima i genitori col bambino…

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Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi:

Fondamento di tale processo è la cosiddetta «identificazione», cioè l’assimilazione di un

Io a un Io estraneo in conseguenza della quale il primo Io si comporta sotto determinati

riguardi come l’altro, lo imita, lo accoglie in certo qual modo in sé. (…) L’insediamento

del Super-io può essere descritto come un caso ben riuscito di identificazione con

l’istanza parentale. (…) Questa neocreazione di un’istanza superiore nell’Io è

strettamente vincolata alla sorte del complesso edipico, talché il Super-io appare come

l’erede di questo legame emotivo così importante pe l’infanzia. (…) Il Super-io langue e

si atrofizza se il superamento del complesso edipico riesce solo in parte. Nel corso dello

sviluppo, il Super-io accoglie anche gli influssi di quelle persone che sono subentrate al

posto dei genitori, ossia educatori, insegnanti e modelli ideali. Normalmente eso si

allontana sempre più dalle individualità originarie dei genitori, diventa per così dire più

impersonale.

(…) Ci resta da menzionare ancora un’importante funzione che attribuiamo a questo

Super-io. Esso è anche l’esponente dell’ideale dell’Io, al quale l’Io si commisura, che

emula, e la cui esigenza di una sempre più ampia perfezione si sforza di adempiere…

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Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi:

Non abbiamo il diritto di chiamare ‘Sistema Inconscio’ il territorio

psichico estraneo all’Io, poiché il carattere di essere inconscio non

è esclusivo ad esso. Allora non useremo più il temine «inconscio»

in senso sistematico, ma daremo a quanto finora abbiamo

designato così un nome migliore, che non si presti più a malintesi.

Adeguandoci all’uso linguistico di Nietzsche (…) lo chiameremo

d’ora in poi «Es». Questo pronome impersonale sembra

particolarmente adatto ad esprimere il caratttere precipuo di questa

provincia psichica, la sua estraneità all’Io. Super-Io, Io ed Es sono

dunque i tre regni, territori, province, in cui scomponiamo

l’apparato psichico della persona e delle cui reciproche relazioni

ci occuperemo…

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Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi:

L’Es è la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità; il

poco che ne sappiamo, l’abbiamo appreso dallo studio del lavoro

onirico e della formazione dei sintomi nevrotici; di questo poco, la

maggior parte ha carattere negativo, si lascia descrivere solo per

contrapposizione all’Io. All’Es ci avviciniamo con paragoni: lo

chiamiamo un caos, un crogiuolo di eccitamenti ribollenti. Ce lo

rappresentiamo come aperto all’estremità verso il somatico, di cui

accoglie i bisogni pulsionali, i quali trovano dunque nell’Es la loro

espressione psichica. Attingendo alle pulsioni, l’Es si riempie di

energia, ma non possiede un’organizzazione, non esprime una

volontà unitaria, ma solo lo sforzo di ottenere soddisfacimento per

i bisogni pulsionali nell’osservanza del principio di piacere…

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Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi:

La concezione secondo la quale l’Io è quella parte dell’Es che è stata modificata dalla

vicinanza del mondo esterno non ha quasi bisogno di essere giustificata: è questa la

parte predisposta per la ricezione degli stimoli e per la protezione degli stessi. Il rapporto

con il mono esterno è diventato decisivo per l’Io, il quale si è assunto il compito di

rappresentarlo presso l’Es; fortunatamente per l’Es, il quale, incurante di questa

preponderante forza esterna, e anelando ciecamente al soddisfacimento pulsionale, non

sfuggirebbe all’annientamento. Nell’adempiere tale funzione, l’Io deve osservare il

mondo esterno, depositarne una fedele riproduzione nelle tracce mnestiche delle sue

percezioni, tener lontano, mediante l’esercizio dell’«esame di realtà», ciò che in questa

immagine del mondo esterno è un’aggiunta proveniente da fonti interne di eccitamento.

Per incarico dell’Es, l’Io domina gli accessi alla motilità, ma ha inserito tra bisogno e

azione la dilazione dell’attività di pensiero, Durante la quale utilizza i residui mnestici

dell’esperienza. In tal modo ha detronizzato il principio del piacere da cui il decorso dei

processi dell’Es è integralmente dominato e l’ha sostituito con il principio di realtà, che

promette più sicurezza e maggiore successo…

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Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi:

Il povero Io (…) è costretto a servire tre severissimi padroni, deve sforzarsi di

mettere d’accordo le loro esigenze e le loro pretese. Queste sono sempre tra loro

discordanti e appaiono spesso del tutto incompatibili; nessuna meraviglia se l’Io

fallisce così frequentemente nel suo compito. I tre tiranni sono: il mondo esterno, il

Super-io e l’Es. (…) Ci è facile immaginare che certe pratiche mistiche possano

riuscire a rovesciare i normali rapporti fra i singoli territori della psiche, così che,

per esempio, la percezione sia in grado di cogliere eventi profondamente radicati

nell’Io o nell’Es, che le sarebbero stati altrimenti inaccessibili. Che per questa via si

possa giungere in possesso della sapienza suprema, da cui ci si aspetta la salvezza, è

lecito dubitarne. Tuttavia bisogna ammettere che gli sforzi terapeutici della

psicoanalisi seguono una linea in parte analoga. La loro intenzione è in definitiva di

rafforzare l’Io, di renderlo più indipendente del Super-io, di ampliare il suo campo

percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove

zone dell’Es. Dove era l’Es, deve subentrare l’Io. E’ un’opera di civiltà, come ad

esempio il prosciugamento dello Zuiderzee.

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Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi:

Il povero Io (…) è costretto a servire tre severissimi padroni, deve sforzarsi di

mettere d’accordo le loro esigenze e le loro pretese. Queste sono sempre tra loro

discordanti e appaiono spesso del tutto incompatibili; nessuna meraviglia se l’Io

fallisce così frequentemente nel suo compito. I tre tiranni sono: il mondo esterno, il

Super-io e l’Es. (…) Ci è facile immaginare che certe pratiche mistiche possano

riuscire a rovesciare i normali rapporti fra i singoli territori della psiche, così che,

per esempio, la percezione sia in grado di cogliere eventi profondamente radicati

nell’Io o nell’Es, che le sarebbero stati altrimenti inaccessibili. Che per questa via si

possa giungere in possesso della sapienza suprema, da cui ci si aspetta la salvezza, è

lecito dubitarne. Tuttavia bisogna ammettere che gli sforzi terapeutici della

psicoanalisi seguono una linea in parte analoga. La loro intenzione è in definitiva di

rafforzare l’Io, di renderlo più indipendente del Super-io, di ampliare il suo campo

percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove

zone dell’Es. Dove era l’Es, deve subentrare l’Io. E’ un’opera di civiltà, come ad

esempio il prosciugamento dello Zuiderzee.

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Sigmund Freud, Totem e tabù (1913):

…La teoria di Darwin non accorda un posto alle origini del totemismo. Un

padre violento, geloso, che tiene per sé tutte le femmine e scaccia i suoi figli

man mano che crescono: ecco tutto ciò che essa suppone. Questo stato

primitivo della società non è mai stato oggetto di analisi. L’organizzazione più

primitiva di cui siamo a conoscenza, e che ancora attualmente esiste in certe

tribù, consiste in una comunità di uomini che godono di uguali diritti e sono

sottomessi alle limitazioni del sistema totemico, ivi compresa l’eredità in linea

materna. Questa organizzazione potrebbe essere derivata da quella supposta

dall’ipotesi darwiniana? Ed in che modo vi si sarebbe giunti? Basandoci sulla

festa del banchetto totemico possiamo rispondere così a questo interrogativo:

un giorno, i fratelli scacciati si sono riuniti, hanno ucciso e mangiato il padre,

ponendo fine all’orda paterna. Una volta riunitisi, si sono fatti audaci e sono

stati in grado di realizzare ciò che ciascuno di loro, isolatamente, sarebbe stato

incapace di fare…

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Sigmund Freud, Totem e tabù (1913):

… E’ possibile che un nuovo processo della civilizzazione, l’invenzione

di una nuova arma, abbia dato loro la coscienza della loro superiorità.

Che essi abbiano mangiato il cadavere del padre non ci stupisce, dato

che si trattava di primitivi cannibali. Il violento progenitore costituiva

certamente il modello invidiato e temuto da ciascuno dei membri di

questa associazione fraterna. Essi realizzavano con l’atto del pasto la

loro identificazione con lui, ciascuno si appropriava di parte della sua

forza. Il banchetto totemico, che è forse la prima festa dell’umanità,

sarebbe la riproduzione e come la commemorazione di questa azione

memorabile e criminale che ha costituito il punto di partenza per tante

cose: organizzazioni sociali, limitazioni morali, religioni…

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Sigmund Freud, Totem e tabù (1913):

…Per trovare attendibili queste conseguenze, a prescindere dalle loro

premesse, è sufficiente riconoscere che il gruppo dei fratelli ribelli fosse

animato, nei confronti del padre, dai sentimenti contraddittori che ,

come sappiamo, costituiscono l’ambivalente contenuto del complesso

del padre nei nostri bambini e nelle nevrosi. Essi odiavano il padre che

con tanta violenza si opponeva ai loro desideri e alle loro esigenze

sessuali, e tuttavia l’amavano e l’ammiravano. Dopo averlo eliminato,

dopo aver placato il oro odio e realizzato la loro identificazione con lui,

essi dovettero dar sfogo agli impulsi affettuosi che erano stati

sopraffatti. Lo fecero sotto forma di pentimento; provarono un senso di

colpa che in questo caso coincide col rimorso sentito collettivamente. Il

morto divenne più potente del vivo; tutte cose che anche oggi troviamo

nelle vicende umane…

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Sigmund Freud, Totem e tabù (1913):

…Ciò che prima il padre aveva impedito con la sua presenza, i

figli ora se lo proibivano da soli, nella situazione psichica nota in

psicanalisi come «obbedienza postuma». Essi rinnegarono la loro

azione, proibendo l’uccisione del totem, sostituto del padre, e

rinunciarono a goderne i frutti, rifiutando di avere rapporti sessuali

con le donne che ora erano libere. Così il rimorso filiale ha

generato i due tabù fondamentali del totemismo che coincidono

perciò con i due desideri rimossi del complesso di Edipo. Chi

contravveniva a questi tabù si rendeva colpevole dei due soli

crimini che interessassero la società primitiva…

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S. Freud, Psicologia di massa e analisi dell’io (1921):

"Finché la formazione collettiva persiste e fin dove si

estende il suo dominio, gli individui si comportano come

se fossero omogenei, tollerano il modo di essere

peculiare dell'altro, si considerano uguali a lui e non

provano nei suoi confronti alcun sentimento di

avversione. In base alle nostre concezioni teoriche, tale

limitazione del narcisismo può essere il prodotto di un

solo fattore: il legame libidico con gli altri. L'amore per

se stessi trova un limite solo nell'amore esterno,

nell'amore volto agli oggetti".

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S. Freud, Psicologia di massa e analisi

dell’io:

Per quanto riguarda il rapporto con il capo, esso va

ricondotto all'identificazione, che è " la prima manifestazione

di un legame emotivo con un'altra persona" e "tende a

configurare il proprio Io alla stregua dell'Io della persona

assunta come modello", determinando dunque la produzione

dell'ideale dell'Io.

«Il legame reciproco tra gli individui componenti la massa ha

la natura di tale identificazione dovuta a un importante

aspetto affettivo posseduto in comune. Si può supporre che

questa cosa in comune sia il tipo di legame istituito con il

capo».

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S. Freud, Psicologia di massa e analisi

dell’io:

La “formula della costituzione libidica della

massa”:

“Una massa è un insieme di individui che

hanno assunto a loro ideale dell’Io lo stesso

oggetto e che pertanto si sono identificati

gli uni negli altri nel loro Io”.

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S. Freud, Psicologia di massa e analisi dell’io:

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S. Freud, Psicologia di massa e analisi

dell’io:

"La massa ci appare quindi come una reminiscenza dell'orda

primordiale. Come in ogni singolo è virtualmente conservato

l'uomo primigenio, così a partire da un raggruppamento umano

qualsivoglia può ricostituirsi l'orda primordiale; nella misura in

cui la formazione collettiva domina abitualmente gli uomini, in

essa riconosciamo la continuazione dell'orda primordiale.

Dobbiamo concludere che la psicologia della massa è la

psicologia più antica: ciò che, omettendo tutti i residui collettivi,

abbiamo isolato come psicologia individuale, si è venuto

staccando dalla vecchia psicologia collettiva solo in un secondo

tempo, gradualmente e in un certo senso in modo tuttora parziale".

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S. Freud, Psicologia di massa e analisi

dell’io:

"Il carattere perturbante, costrittivo, della formazione

collettiva, il quale è manifesto nei fenomeni di suggestione

che la contraddistinguono, può quindi venir con ragione

ricondotto alla sua derivazione dall'orda primordiale. Il

capo della massa è ancora sempre il temuto padre

primigenio, la massa continua a voler essere dominata da

una violenza senza confini, è sempre sommamente avida

di autorità, ha, secondo l’espressione di Le Bon, sete di

sottomissione. Il padre primigenio è l'ideale della massa

che domina l'Io anziché l'Ideale dell'Io".

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STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO

Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 6

II SEMESTRE

A.A. 2017-2018

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George Sorel, Riflessioni sulla violenza:

«Gli uomini che partecipano ai grandi movimenti sociali si figurano le

loro future azioni sotto forma di immagini di battaglie per assicurare il

trionfo della loro causa. Io proponevo di chiamar ‘miti’ tali costruzioni,

la cui comprensione è di così alta importanza per lo storico: in questo

senso, lo sciopero generale dei sindacalisti e la rivoluzione catastrofica

di Marx sono miti. Come esempi notevoli di miti ho dato quelli costruiti

dal cristianesimo primitivo, dalla Riforma, dalla Rivoluzione, dai

mazziniani; ciò che volevo mostrare è che non bisogna cercare di

analizzare un tale sistema di immagini allo stesso modo che si scompone

una cosa nei suoi elementi; e che, invece, bisogna prenderli nel loro

insieme, come energie storiche; e guardarsi, soprattutto, dal confrontare

i fatti compiuti con le rappresentazioni fantastiche formatesi prima

dell’azione».

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George Sorel, Riflessioni sulla violenza:

Un mito non troverebbe possibilità di essere

rifiutato, poiché esso è, nell’insieme,

identico alle convinzioni di un gruppo, ed è

l’espressione di queste convinzioni in

linguaggio di movimento, e quindi, per

conseguenza, non è scomponibile in parti, le

quali si possano applicare su di un piano di

descrizioni storiche.

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George Sorel, Riflessioni sulla viiolenza:

il socialismo è diventato una preparazione delle masse impiegate dalla

grande industria, le quali vogliono sopprimere lo Stato e la società; da

ora in avanti il modo in cui gli uomini si adopereranno per godere la

felicità futura non sarà più oggetto di ricerca; tutto si riduce

all’apprendistato rivoluzionario del proletariato. Disgraziatamente Marx

non aveva sotto gli occhi i fatti che ci sono divenuti familiari; noi

sappiamo meglio di lui ciò che sono gli scioperi, perché abbiamo potuto

osservare conflitti economici considerevoli per estensione e durata; il

mito dello sciopero generale è divenuto popolare ed ha fatto solida presa

nei cervelli; in fatto di violenza noi abbiamo delle idee che Marx non

avrebbe potuto formarsi facilmente; noi dunque possiamo completare la

sua dottrina, invece di commentare i suoi testi come per tanto tempo

hanno fatto dei malfortunati discepoli.

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George Sorel, Riflessioni sulla violenza:

Oggi la fiducia dei socialisti è più grande che mai da quando

il mito dello sciopero generale domina tutto il movimento

realmente operaio. Un insuccesso non può provare niente

contro il socialismo dopo che esso è divenuto un lavoro di

preparazione; se viene sconfitto, ciò vuol dire che la

preparazione è stata insufficiente; bisogna rimettersi

all’opera con più coraggio, più insistenza, più fiducia che

mai; la pratica del lavoro ha insegnato agli operai che è

mediante un paziente apprendistato che si può divenire un

vero compagno; ed è anche la sola maniera per divenire un

vero rivoluzionario…

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George Sorel, Riflessioni sulla violenza:

Sappiamo che lo sciopero generale è proprio ciò che ho detto: il mito nel

quale si racchiude tutto intero il socialismo, cioè a dire una organizzazione

di immagini capaci di evocare istintivamente tutti i sentimenti che

corrispondono alle diverse manifestazioni della guerra intrapresa dal

socialismo contro la società moderna. Gli scioperi hanno fatto nascere nel

proletariato i sentimenti più nobili, più profondi e più stimolanti all’azione

che esso possiede; lo sciopero generale li raggruppa tutti in un quadro

d’insieme e, attraverso il loro reciproco accostamento, porta ciascuno di

essi alla sua massima intensità; facendo appello a dei ricordi molto intensi

di conflitti singoli, colora di una vita intensa tutti i dettagli della

composizione presentata alla coscienza. Otteniamo così questa intuizione

del socialismo che il linguaggio non poteva dare in modo perfettamente

chiaro – e l’otteniamo in una totalità percepita istantaneamente.

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George Sorel, Riflessioni sulla violenza:

Sappiamo che lo sciopero generale è proprio ciò che ho detto: il mito nel

quale si racchiude tutto intero il socialismo, cioè a dire una organizzazione

di immagini capaci di evocare istintivamente tutti i sentimenti che

corrispondono alle diverse manifestazioni della guerra intrapresa dal

socialismo contro la società moderna. Gli scioperi hanno fatto nascere nel

proletariato i sentimenti più nobili, più profondi e più stimolanti all’azione

che esso possiede; lo sciopero generale li raggruppa tutti in un quadro

d’insieme e, attraverso il loro reciproco accostamento, porta ciascuno di

essi alla sua massima intensità; facendo appello a dei ricordi molto intensi

di conflitti singoli, colora di una vita intensa tutti i dettagli della

composizione presentata alla coscienza. Otteniamo così questa intuizione

del socialismo che il linguaggio non poteva dare in modo perfettamente

chiaro – e l’otteniamo in una totalità percepita istantaneamente.

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George Sorel, Riflessioni sulla violenza:

Lo studio dello sciopero generale ci porta a comprendere meglio una

distinzione che si deve avere sempre presente quando si riflette sulle

questioni sociali contemporanee. Talvolta si impiegano i termini forza e

violenza parlando degli atti dell’autorità, talvolta parlando degli atti di

rivolta. E? chiaro che i due casi danno luogo a conseguenze molto

differenti. Io sono dell’avviso che ci sarebbero grandi vantaggi ad adottare

una terminologia che non dia luogo ad alcuna ambiguità e che bisognerebbe

riservare il termine violenza per la seconda accezione; noi diremmo dunque

che la forza ha per obiettivo di imporre l’organizzazione di un certo ordine

sociale nel quale una minoranza governa, mentre la violenza tende alla

distruzione di quest’ordine. La borghesia ha utilizzato la forza fin

dall’inizio dei tempi moderni, mentre il proletariato reagisce oggi contro di

essa e contro lo Stato attraverso la violenza.

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W. Benjamin, Per la critica della violenza (1921):

Bisognerà forse (…) prendere in considerazione la

sorprendente possibilità che l'interesse del diritto a

monopolizzare la violenza rispetto alla persona singola

non si spieghi con l'intenzione di salvaguardare i fini

giuridici, ma piuttosto con quella di salvaguardare il

diritto stesso. E che la violenza, quando non è in

possesso del diritto di volta in volta esistente, rappresenti

per esso una minaccia, non a causa dei fini che essa

persegue, ma della sua semplice esistenza al di fuori del

diritto.

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W. Benjamin, Per la critica della violenza (1921):Per quanto possa sembrare a prima vista paradossale, si può definire, in certe condizioni,

come violenza anche un contegno assunto nell'esercizio di un diritto. E precisamente questo

contegno, ove sia attivo, potrà dirsi violenza, quando esercita un diritto che gli compete per

rovesciare l’ordinamento giuridico in virtù del quale esso gli è conferito; ove sia passivo,

potrà essere definito allo stesso modo, se rappresenta un ricatto nel senso delle considerazioni

precedenti. Testimonia quindi solo di una contraddizione oggettiva nelle situazione giuridica.

e non già di una contraddizione logica nel diritto che esso si opponga, in certe condizioni, con

la violenza alla violenza degli scioperanti. Poiché nello sciopero lo Stato teme, più di ogni

altra cosa, quella funzione della violenza che questa indagine si propone appunto di

determinare come unico fondamento sicuro della sua critica. Poiché se la violenza, come

sembra a prima vista, fosse semplicemente il mezzo di assicurarsi direttamente di quella cosa

qualunque a cui si mira. essa potrebbe assolvere al suo scopo solo come violenza di rapina. E

sarebbe affatto inetta a fondare o modificare rapporti in modo relativamente stabile. Ma lo

sciopero mostra che essa può farlo, che essa è in grado di fondare e modificare rapporti

giuridici, per quanto il sentimento di giustizia possa restarne offeso…

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W. Benjamin, Per la critica della violenza (1921):

Ogni violenza (Gewalt) è, come mezzo,

potere che pone o che conserva il diritto. Se

non pretende a nessuno di questi due

attributi rinuncia da sé a ogni validità. Ma

ne consegue che ogni violenza come mezzo

partecipa, anche nel caso piú favorevole,

alla problematicità del diritto in generale.

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W. Benjamin, Per la critica della violenza (1921):

Poiché il diritto positivo, dove è consapevole delle sue radici, pretenderà

senz’altro di riconoscere e di promuovere l'interesse dell'umanità nella

persona di ogni singolo. Esso vede questo interesse nell'esposizione e nella

conservazione di un ordine stabilito dal destino. E anche se quest'ordine

(che il diritto afferma a ragione di custodire) non può sfuggire alla critica

resta tuttavia impotente, nei suoi confronti, ogni contestazione che si affacci

solo in nome di una «libertà» informe, senza essere in grado di definire

quell'ordine superiore di libertà. E tanto più impotente se non impugna

l'ordinamento giuridico stesso in tutte le sue parti, ma singole leggi o

consuetudini giuridiche, che poi, del resto, il diritto prende sotto la custodia

del suo potere che consiste in ciò che c’è un solo destino e che proprio ciò

che esiste e soprattutto ciò che minaccia, appartiene irrevocabilmente al suo

ordinamento. Poiché il potere che conserva il diritto è quello che

minaccia…

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W. Benjamin, Per la critica della violenza (1921):

La funzione della violenza nella creazione giuridica è (…) duplice

nel senso che la creazione giuridica, mentre persegue ciò che

viene instaurato come diritto, come scopo, con la violenza come

mezzo, pure – nell’atto di insediare come diritto lo scopo

perseguito – non depone affatto la violenza, ma ne fa solo ora in

senso stretto, e cioè immediatamente, violenza creatrice di diritto,

in quanto insedia come diritto, col nome di potere (Macht), non

già uno scopo immune e indipendente dalla violenza, ma

intimamente e necessariamente legato ad essa. Creazione di diritto

è creazione di potere, e in tanto un atto di immediata

manifestazione di violenza. Giustizia è il principio di ogni finalità

divina, potere il principio di ogni diritto mitico.

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W. Benjamin, Per la critica della violenza (1921):

Lungi dall’aprirci una sfera più pura, la manifestazione mitica della

violenza immediata si rivela profondamente identica ad ogni potere

giuridico, e trasforma il sospetto della sua problematicità nella certezza

della perniciosità della sua funzione storica, che si tratta quindi di

distruggere. E questo compito pone, in ultima istanza, ancora una volta

il problema di una violenza pura immediata, che possa arrestare il corso

della mitica. Come in tutti i campi al mito Dio, così, alla violenza

mitica, si oppone quella divina, che ne costituisce l’antitesi in ogni

punto. Se la violenza mitica pone il diritto, la divina lo annienta, se

quella pone limiti e confini, questa distrugge senza limiti, se la violenza

mitica incolpa e castiga, quella divina purga ed espia, se quella incombe,

questa è fulminea, se quella è sanguinosa, questa è letale senza sangue…

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W. Benjamin, Per la critica della violenza (1921):

Il sangue è il simbolo della nuda vita. La dissoluzione

della violenza giuridica risale quindi (…) alla

colpevolezza della nuda vita naturale, che affida il

vivente, innocente e infelice, al castigo, che ‘espia’ la sua

colpa – e purga anche il colpevole, non però da una

colpa, ma dal diritto. Poiché con la nuda vita cessa l

dominio del diritto sul vivente. La violenza mitica è

violenza sanguinosa sulla nuda vita in nome della

violenza: la pura violenza divina sopra ogni vita in nome

del vivente.

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STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO

Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 7

II SEMESTRE

A.A. 2018-2019

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Lenin, Che fare? (1903)

Piccolo gruppo compatto, noi camminiamo per una

strada dirupata e difficile, tenendoci per mano. Siamo da

ogni parte circondati da nemici e dobbiamo quasi sempre

marciare sotto il loro fuoco. Ci siamo uniti, in virtù di

una decisione liberamente presa, proprio per combattere

i nostri nemici e non sdrucciolare nel vicino pantano, i

cui abitatori, fina dal primo momento, ci hanno

biasimato per aver costruito un gruppo a parte e preferito

la via della lotta alla via della conciliazione.

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Lenin, Che fare? (1903)La coscienza politica di classe può essere portata all‘operaio solo

dall‘esterno, cioè dall‘esterno della lotta economica, dall‘esterno della

sfera dei rapporti tra operai e padroni. Il solo campo dal quale è possibile

attingere questa coscienza è il campo dei rapporti di tutte le classi e di

tutti gli strati della popolazione con lo Stato e con il governo, il campo

dei rapporti reciproci di tutte le classi. Perciò alla domanda: che cosa fare

per dare agli operai cognizioni politiche? Non ci si può limitare a dare

una sola risposta, a dare quella risposta che nella maggior parte dei casi

accontenta i militanti, soprattutto quando essi pencolano verso

l‘economismo, e cioè: "andare tra gli operai". Per dare agli operai

cognizioni politiche, i socialdemocratici devono andare fra tutte le classi

della popolazione, devono inviare in tutte le direzioni i distaccamenti del

loro esercito.

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Lenin, Che fare? (1903)

L’ideale del socialdemocratico non deve essere il segretario di una

trade-union, ma il tribuno popolare, il quale sa reagire contro ogni

manifestazione di arbitrio e di oppressione, ovunque essa si

manifesti e qualunque sia la classe o la categoria sociale che ne

soffre, sa generalizzare tutti questi fatti e trame il quadro completo

della violenza poliziesca e dello sfruttamento capitalistico; sa,

infine, approfittare di ogni minima occasione per esporre dinanzi a

tutti le proprie convinzioni socialiste e le proprie rivendicazioni

democratiche, per spiegare a tutti l'importanza storica mondiale

della lotta emancipatrice del proletariato.

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Lenin, Che fare? (1903)

Tutti coloro che parlano di "sopravvalutazione della

ideologia", di esagerazione della funzione dell'elemento

cosciente, ecc., immaginano che il movimento puramente

operaio sia di per sé in grado di elaborare - ed elabori in

realtà - una ideologia indipendente; che ciò che più conta

sia che gli operai "strappino dalle mani dei dirigenti le

loro sorti". Ma questo è un profondo errore.

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Lenin, Che fare? (1903)Dal momento che non si può parlare di una ideologia indipendente, elaborata dalle stesse

masse operaie nel corso stesso del loro movimento, la questione si può porre solamente

così: o ideologia borghese o ideologia socialista. Non c'è via di mezzo (poiché l'umanità

non ha creato una "terza" ideologia, e, d'altronde, in una società dilaniata dagli

antagonismi di classe, non potrebbe mai esistere una ideologia al di fuori o al di sopra

delle classi). Ecco perché ogni menomazione dell'ideologia socialista, ogni

allontanamento da essa implica necessariamente un rafforzamento dell'ideologia

borghese. Si parla della spontaneità; ma lo sviluppo spontaneo del movimento operaio fa

sì che esso si subordini all'ideologia borghese, che esso proceda precisamente secondo il

programma del "Credo", perché il movimento operaio spontaneo è il tradunionismo, (…)

e il tradunionismo è l'asservimento ideologico degli operai alla borghesia. Perciò il nostro

compito, il compito della socialdemocrazia, consiste nel combattere la spontaneità,

nell'allontanare il movimento operaio dalla tendenza spontanea del tradunionismo a

rifugiarsi sotto l'ala della borghesia; il nostro compito consiste nell'attirare il movimento

operaio sotto l'ala della socialdemocrazia rivoluzionaria.

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Excursus sul concetto di ideologia in Marx

1) Credenze illusorie o socialmente sconnesse, che si

considerano il fondamento della storia e che distraendo

gli uomini e le donne dalle loro vere condizioni sociali

(comprese le determinazioni sociali delle loro idee),

servono a sorreggere un potere oppressivo.

Il contrario di ciò è una conoscenza esatta e

spregiudicata delle condizioni sociali materiali

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Excursus sul concetto di ideologia in Marx

2) Idee che esprimono direttamente gli interessi

materiali della classe sociale dominante e che

sono utili alla difesa del suo dominio.

Il contrario di ciò è o la vera conoscenza

scientifica o la coscienza delle classi non

dominanti.

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Excursus sul concetto di ideologia in Marx

3) Tutte le forme concettuali in cui si combatte la

lotta di classe, compresa probabilmente l valida

coscienza di forze politicamente rivoluzionarie. Il

contrario di ciò è qualsiasi concezione al

momento non coinvolta nella lotta.

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Excursus sul concetto di ideologia in Marx

4) Una non verità esistente, praticamente fondata,

dotata di conseguenze pratiche ed infine

interamente sopprimibile soltanto attraverso la

prassi. (Il Capitale, Analisi del feticcio della

merce)

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Lenin, I compiti del proletariato nella nostra

rivoluzione (1917)

Il marxismo si distingue dall’anarchismo in ciò che esso

riconosce la necessità di uno Stato per il passaggio al

socialismo, ma non […] di uno Stato del tipo della

repubblica democratica borghese parlamentare ordinaria,

ma bensì di uno Stato del tipo della Comune di Parigi del

1871, del tipo dei Soviet dei deputati operai del 1905 e

del 1917.

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Lenin, Stato e rivoluzione (1917)

Aspirando al socialismo, noi abbiamo la convinzione che

esso si trasformerà in comunismo, e che scomparirà

quindi ogni necessità di ricorrere in generale alla violenza

contro gli uomini, alla sottomissione di un uomo a un

altro, di una parte della popolazione a un’altra, perché gli

uomini si abitueranno a osservare le condizioni

elementari della convivenza sociale, senza violenza e

senza sottomissione.