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COMITATO DI LOTTA PER IL LAVORO METROPOLITANO Pubblicazione a cura del Comitato di Lotta per il Lavoro Metropolitano Comitato Di Lotta Per Il Lavoro Milano E Provincia [email protected] STIPENDI E RETRIBUZIONI: ITALIA, UN PAESE ESTREMAMENTE INIQUO!

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Siamo i tanti e le tante che ogni giorno vedono i cancelli delle proprie fabbriche chiudersi in nome del profitto. Siamo cittadine e cittadini che ormai non arrivano più neanche alla seconda settimana. Siamo le lavoratrici e i lavoratori, i precari, gli stagisti, i disoccupati, i cassintegrati, le finte patite IVA, gli esodati, gli studenti e i pensionati di Milano e Provincia. Abbiamo ben chiara la differenza tra diritti e privilegi. Non saremo lo “scalpo” che Renzi intende esibire.

Abbiamo deciso di superare frammentazione e settarismo che da troppo tempo caratterizzano l’agire a sinistra e nei sindacati e di costruire un fronte che raccolga tutte le forze disponibili a lottare contro un modello di sviluppo che produce infelicità e solitudine, divisione tra lavori, lavoro e lavoratori. Ci siamo costituiti in un Comitato di Lotta per creare un movimento capace di esigere il lavoro, ma non quello precario, malpagato e senza diritti delineato nel Jobs Act, bensì quello degno di questo nome e delle lotte operaie del passato, svincolato dai ricatti, capace di assicurare a tutte e tutti un’esistenza libera e dignitosa.

Crediamo che i diritti, lo Statuto dei Lavoratori e i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro siano quanto di più concreto esista e non accetteremo che vengano liquidati come Totem ideologici. Siamo convinti che le azioni che davvero potrebbero migliorare la nostra condizione siano una seria e radicale redistribuzione del lavoro a parità di salario, la cancellazione della contro-riforma Fornero ed un salario minimo che ci garantisca una vita dignitosa. Stiamo pagando da troppo tempo l’assenza di un piano di politica industriale per il Paese. Una politica industriale che non si affidi solo alla ripresa delle situazioni di crisi, ma che abbia al centro un disegno di sviluppo ancorato alla piena e buona occupazione e alla ripresa dello sviluppo e degli investimenti produttivi, la redistribuzione della ricchezza e la giustizia sociale.

Vogliamo lanciare alla politica una sfida sana, vera, per cercare di risolvere finalmente i danni fatti in quasi 20 anni di “flessibilità”, e di tornare a forme contrattuali e ammortizzatori sociali che abbraccino tutti, estendendo i diritti per creare lavori migliori, che permettano a noi precari, alle nuove generazioni di lavoratori di investire su noi stessi e di conseguenza sull’Italia. E vogliamo farlo a partire dal nostro territorio, nella Milano dell’Expo e del lavoro volontario.

COMITATO DI LOTTA PER IL LAVORO MILANO E PROVINCIA per adesioni: [email protected]

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SALARIO COME ELEMENTO PER fARE RIPARTIRE L’ECONOMIA QUINDI L’OCCUPAZIONEDi Massimiliano Murgo

Nel tentativo di rilanciare un percorso di lotta e organizzazione capace di riunificare una classe lavoratrice frantumata in mille rivoli sia sul piano contrattuale che politico e sindacale, la questione salariale, legata strettamente a quella dell’orario di lavoro, è un fattore determinante nella costruzione di una piattaforma in grado di rappresentare le istanze di tutti i lavoratori e di tulle le lavoratrici salariati/e.

L’incapacità sempre maggiore del normale ciclo economico di valorizzare adeguatamente i capitali investiti, nonostante il fortissimo utilizzo della speculazione finanziaria, spinge il capitale a dover sfruttare maggiormente i lavoratori e le lavoratrici, aumentando la quantità di lavoro e riducendo il più possibile il salario.

In questo modo si è creato un meccanismo che si avviluppa su ste stesso, perché riducendo la disponibilità finanziaria di chi lavora il mercato è sempre meno capace di assorbire le merci prodotte nel processo produttivo, facendo cadere tendenzialmente la capacità di produrre profitto dall’investimento del capitale.

Le scelte del governo Renzi, in perfetta continuità con quelli precedenti, in materia di lavoro e salario, seguono perfettamente quelle che sono le scelte strategiche espresse dai padroni/banche (intreccio tra imprese produttive e sistema finanziario li rende ormai quasi una cosa sola). Il cosi detto Jobs Act è lo strumento di legge che rende de iure (per legge) ciò che de facto (in realtà) avveniva già nel mondo del lavoro: lavorare di più, lavorare quanto serve al padrone, sotto il costante ricatto del licenziamento, a salari che ormai non bastano nemmeno alla sussistenza per la gran parte dei lavoratori. Nel 2001 con due milioni di lire nette si viveva; oggi con mille euro è quasi impossibile immaginare di tirare avanti fino alla fine del mese. La “questione salariale italiana” è un tema che attiene alla crescita e alla redistribuzione della produttività e di una nuova politica

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dei redditi, che riguarda tutto il mondo del lavoro, ma che negli ultimi anni ha riguardato e riguarda soprattutto i giovani, costretti a scaricare sulle famiglie la mancanza di un reddito adeguato.

Tutto questo facendo risparmiare alle imprese i costi delle agenzie di lavoro somministrato, che ormai serviranno a ben poco.

Ma allora esiste in Italia una questione salariale? In media le buste paga sono state decurtate del 10% del loro potere d’acquisto. Come si può rilanciare una proficua negoziazione salariale? Innanzitutto intervenendo sul cuneo fiscale.

Ridurre il cuneo fiscale non è stato possibile, anche perché si è preferita la strada del bonus di 80 euro, che non ha avuto effetti sul livello dei consumi, ancora del tutto fermi. Ma ora la riduzione del cuneo tra salario lordo e salario netto e tra quest’ultimo e il costo del lavoro deve ritornare ad essere una priorità.

Oltre al salario diretto, per favorire la concentrazione e l’accumulazione del capitale, hanno privatizzato quasi tutto ciò che è privatizzabile, facendo aumentare tariffe e costi sociali per la scuola, i trasporti la sanità ecc…, tutto quello che una volta veniva chiamato salario indiretto, welfare.

Prendendo atto di questi fatti assolutamente indiscutibili, risulta evidente che la ricetta padronale per uscire dalla crisi è “meno salario e più lavoro e di conseguenza più disoccupazione”. Chiaramente i vari comparti lavorativi subiranno queste scelte in modo differente, sia sul piano economico che sul piano sociale, i padroni cercheranno di marcare e far leva sulle differenze per mantenere lo stato di profonda divisione, confusione, e inconsapevolezza che vive la classe dei salariati.

Non possiamo commettere l’errore di non cogliere la questione salariale e del tempo di lavoro come elemento di riunificazione dei lavoratori e delle lavoratrici in un piano comune di rivendicazione perché questi 2 aspetti, in maniera e forma differenti, aggravano le condizioni di tutti e tutte.

Rivendicare un salario minimo dignitoso, capace cioè di soddisfare appieno i bisogni materiali dei lavoratori, e contestualmente imporre una forte riduzione dell’orario di lavoro, che aprirebbe di nuovo le fabbriche, le aziende, gli uffici, alle centinaia di migliaia di disoccupati che la crisi ha prodotto e produrrà, mette in comune l’interesse collettivo di classe e contemporaneamente pone le basi del rilancio della crescita economica e sociale.

Meno disoccupazione e più soldi nelle tasche dei lavoratori e delle lavoratrici riattiverebbero un mercato ormai stantio, fattore che a sua volta farebbe crescere la necessità di forza lavoro per soddisfare l’aumento della domanda di beni e servizi.

Inoltre la crisi ha fortemente abbassato il tenore di vita di milioni di persone, troppe ancora le pensioni al minimo. Forse è l’ora di discutere di salario minimo e di assegno di povertà, i cui beneficiari sarebbero sia i senza lavoro sia anche i milioni di precari, spesso giovani, i cui redditi sono a livello di sussistenza.

Ebbene ora la questione salariale deve entrare a pieno titolo nell’agenda politica e sindacale. Creare un sistema automatico di adeguamento di salari e pensioni al costo della vita.

L’obiezione a tali proposte rivendicative sarà sicuramente: “dove si prendono i soldi?”

I soldi ci sono, il problema è che sono tutti e inutilmente nelle tasche di una piccolissima percentuale di industriali e banchieri che si appropriano della maggior parte della ricchezza prodotta dal lavoro degli uomini e delle donne. È assolutamente chiaro che tale percorso di ridistribuzione della ricchezza verso chi la ricchezza la produce è necessariamente a discapito del becero interesse di accumulazione dei capitalisti del nostro paese e del resto del mondo.

Rivendicare il salario minimo e il lavoro per tutti è la strada per riunire i lavoratori e le lavoratrici e salvare il nostro paese e il mondo intero dalla barbarie del capitalismo.

MM

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STIPENDI E DENARO SPESO: PAESI A CONfRONTOFonte: Destinazione Lavoro (agosto 2014)

Mentre un consistente manipolo di esaltati continua ad occuparsi solo di mercato, flessibilità e liberalizzazioni omettendo quotidianamente la parola redistribuzione, in Italia le retribuzioni lorde sono tra le più basse d’ Europa!

Soprattutto il valore dello stipendio annuo per un lavoratore di un’azienda dell’industria o dei servizi (con almeno 10 dipendenti) è la metà di quanto si guadagna in Lussemburgo, Olanda o Germania.

Che il salario sia diventato insufficiente per vivere, che i salari italiani siano diventati tra i più bassi d’Europa, che tutto ciò sia socialmente intollerabile, è acclarato, tanto acclarato da risultare persino insultante visto che alla constatazione non segue alcunché che modifichi la situazione e, neppure, che qualcuno si proponga di farlo.

Sarebbe il caso di aprire, invece, una grande questione salariale, una questione rivendicativa, sociale ed economica. Prospettare una piattaforma e una mobilitazione generale su una rivendicazione generale e generalizzata. Il salario come nuova rivendicazione del conflitto di classe. Un grande obiettivo di redistribuzione di fronte alla devastante divaricazione tra ricchi e poveri, tra lavoratori e proprietari.

Un’idea del salario da affermare come una concezione nuova e generalizzata della redistribuzione che va dal salario vero e proprio per gli occupati alla conquista del salario sociale (basic income) per i non occupati, al salario minimo per tutti i precari e quale punto di forza per stanare il nero.

L’attuale congiuntura economica all’interno del continente europeo presenta fenomeni socio-economici nettamente diversi tra loro, tanto da definire un quadro generico dell’Europa dall’identità irregolare, che manifesta divari importanti tra i vari Stati, con una conseguente influenza sulla qualità di vita della comunità.

Il divario tra le nazioni si manifesta in aspetti quali gli stipendi medi pro-capite, le imposte, i costi del lavoro, i servizi al cittadino, la sanità, e più in generale il costo della vita rapportato ai guadagni netti percepiti.

Il quadro che emerge da un recente confronto dei dati tra salari e spese quotidiane, come riporta l’Atlante Geopolitico della Treccani, evidenzia un divario netto tra Paesi come l’Italia e altri come la Germania, l’Inghilterra e la stessa Spagna, la cui situazione viene spesso accomunata a quella del Bel Paese.

Dal grafico si evince che la media europea del reddito medio pro-capite è equivalente a 1.904 euro al mese al netto delle imposte. Il costo medio della vita è stato calcolato in 39,7 euro al giorno, con un’incidenza del 68% sull’intero reddito.

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Il Paese in cui il rapporto tra stipendi e denaro speso è più favorevole è la Germania, con una media di 2.580 euro percepiti mensilmente e un costo della vita quotidiana di 37,2 euro al giorno, con un impatto equivalente al 43,2%.

Il secondo gradino della graduatoria dei Paesi più vivibili d’Europa è occupato dalla Gran Bretagna, Paese in cui i cittadini possono contare su uno stipendio medio pari a 2.570 euro, mentre si trovano a sostenere un onere giornaliero di 50,6 euro, con un’incidenza generale del 58,8%.

Al terzo posto si trova la Francia, in cui i salari medi arrivano a 2.180 euro al mese (dunque siamo ancora al di sopra dello standard continentale) a fronte di una spesa di 44,7 euro per le necessità quotidiane, con un impatto sulle finanze delle famiglie del 60,6%. Il rapporto tra entrate e uscite aumenta leggermente in Svezia, dove un reddito medio tocca i 1.910 euro al mese e il cittadino spende circa 43 euro al giorno.

La Spagna è la prima delle nazioni europee a trovarsi leggermente al di sotto della media, con stipendi di 1.850 euro mensili ma con un buon rapporto guadagni/spese, che ammonta al 58,8%, frazionato in soli 35,9 euro al giorno, utilizzati dai cittadini per acquisti di ogni genere.

A segnare il primo netto divario con il resto d’Europa è proprio l’Italia, che con un distacco considerevole rispetto alla vicina Spagna, si attesta tra i fanalini di coda del continente. I dati parlano di uno stipendio pro-capite di 1.410 euro e di una spesa di 39,4 euro al giorno (quasi equivalente alla cifra spesa mediamente da uno svedese, in cui i guadagni sono decisamente superiori) generando in questo modo un costo della vita molto alto, pari all’ 83,8%, quasi 20 punti percentuale in più rispetto alla media europea.

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NEL 2009In Italia gli stipendi sono assolutamente bassi. Peggio di così, non potrebbe andare. I dati Eurostat fotografano la situazione retributiva nei Paesi dell’Unione. E dicono che da noi un dipendente di imprese con almeno dieci addetti, in media, guadagna 23.406 euro lordi l’anno, che ci valgono un pessimo dodicesimo posto nella classifica europea, guidata dai lavoratori lussemburghesi, con 48.914 euro. «Bisogna scardinare questa situazione, soprattutto aumentando la produttività», ha commentato Elsa Fornero, preoccupata anche dal cuneo fiscale che grava sulle buste paga.

I NUMERI NEL DETTAGLIO - I dati si riferiscono al 2009 (ma per l’Italia l’anno considerato è il 2006, il che introduce una lieve anomalia statistica). Le cifre riguardano i dipendenti delle imprese nel settore dell’industria, delle costruzioni, dei servizi e del commercio. Non colpisce più di tanto il gap con i lavoratori olandesi (44.412 euro) e tedeschi (41.100). Sorprende, semmai, il differenziale con Stati colpiti dalla crisi come l’Irlanda, la Spagna, Cipro e addirittura la Grecia (anche se qui si profila un tragico sorpasso in discesa, dopo le ultime draconiane misure imposte al popolo ellenico). Insomma, stanno meglio di noi tutti i cosiddetti Piigs (Paesi con debito pubblico a rischio), tranne il Portogallo.

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LAvORO, STIPENDI MEDI 2014 IN ITALIA TRA I PIù BASSI D’EUROPAOgni anno con il “Rapporto Italia 2010”, si effettua un’analisi dello stato sia dell’economia che della società italiana, da questa analisi emergono molti dati che ci aiutano a comprendere la situazione Lavorativa ed Economica del nostro Paese.

Alcuni dati riguardano anche gli Stipendi Medi di un Lavoratore Italiano che secondo gli ultimi dati occupa la 23esima posizione, ecco invece i primi 10 Paesi con gli Stipendi più elevati:

• Corea del Sud (39.931 dollari)

• Regno Unito (38.147)

• Svizzera (36.063)

• Lussemburgo (36.035)

• Giappone (34.445)

• Norvegia (33.413)

• Australia (31.762)

• Irlanda (31.337)

• Paesi Bassi (30.796)

• Usa (30.774).

Come dicevamo il nostro Paese con soli 21.374 dollari si posiziona al 23esimo posto in questa Classifica dietro ad altri paesi europei come la Germania (29.570 dollari), Francia (26.010 dollari), Spagna (24.632 dollari).

L’Italia supera solo: Portogallo (19.150), Repubblica Ceca (14.540), Turchia (13.849), Polonia (13.010), Slovacchia (11.716), Ungheria (10.332) e Messico (9.716).

Un ennesimo dato che ci fa comprendere come in Italia il Lavoro sia un problema e non una risorsa, un paese dove il Cuneo Fiscale sul Lavoro incide del 40%, volendo fare un paragone con altri Lavoratori Europei quello Italiano percepisce uno Stipendio inferiore del 44% rispetto al Lavoratore inglese, il 32% in meno di quello irlandese, il 28% in meno di un tedesco, il 19% in meno di un greco, il 18% in meno del cittadino francese e il 14% in meno di quello spagnolo.

Siamo tra i Paesi Economicamente più sviluppati d’Europa ma paradossalmente abbiamo gli Stipendi più bassi tra i principali Paesi Europei e di questo passo tra non molto non saremo neanche tra gli stati Europei più Sviluppati.

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RETRIBUZIONI E COSTO DEL LAvORODati: marzo 2014

Nelle presenti schede sono analizzati i dati sulle retribuzioni e sul costo del lavoro (definito come la spesa sostenuta dal datore di lavoro per impiegare lavoratori) negli Stati membri dell’Unione europea (UE), nei paesi candidati all’adesione all’UE e nei paesi dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA).

COSTO DEL LAvORONel 2013 il costo del lavoro orario medio stimato era pari a 23,70 euro nell’UE-28 e a 28,20 euro nell’area dell’euro (AE-18). Tuttavia, questa media nasconde differenze significative tra i diversi Stati membri dell’UE, con un costo del lavoro orario che varia tra 3,70 euro e 40,10 euro (grafico 1).

Il costo del lavoro è formato dal costo delle retribuzioni (costi salariali) e da costi non salariali quali i contributi sociali a carico dei datori di lavoro. L’incidenza dei costi non salariali per l’intera economia era del 23,7 % nell’UE-28 e del 25,9 % nell’area dell’euro, ma variava anch’essa notevolmente tra i diversi Stati membri dell’UE. L’incidenza più elevata dei costi non salariali per l’intera economia si registrava in Svezia (33,3 %), Francia (32,4 %), Lituania (28,5%), Italia (28,1 %) Belgio e Slovacchia (entrambi 27,4 %); l’incidenza più bassa si registrava invece a Malta (8,0 %), in Danimarca (12,4 %), Lussemburgo (13,4 %), Irlanda (13,8 %), Slovenia (14,7 %), Regno Unito, (15,3 %), Croazia (15,4 %) e Bulgaria (15,8 %).

Grafico 1 – Costo del lavoro orario, 2013

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RETRIBUZIONI LORDE

Le retribuzioni lorde rappresentano la parte preponderante del costo del lavoro. Tra i paesi UE, le retribuzioni orarie lorde mediane più elevate nell’ottobre 2010 si registravano in Danimarca (25,00 euro), seguita dall’Irlanda (18,30 euro) e dal Lussemburgo (17,80 euro) (grafico 2). Quelle più basse si registravano invece in Bulgaria (1,50 euro), Romania (2,00 euro), Lituania (2,70 euro) e Lettonia (2,90 euro). Con valori espressi in euro, la retribuzione oraria lorda mediana dello Stato membro UE che registrava il valore più alto era 16 volte più elevata di quella dello Stato membro con il valore più basso; se misurato invece in standard di potere d’acquisto (SPA), che rendono conto delle differenze nel livello dei prezzi tra i diversi paesi, il rapporto era invece 5 a 1.

Grafico 2 – Retribuzioni orarie lorde mediane, tutti i lavoratori dipendenti

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LO STIPENDIO MEDIO ITALIANO A 1.327 EURO QUASI SETTE MILIONI SOTTO 1.000 EURO AL MESE(13 settembre 2014)

Allarme giovani: negli anni ‘70 guadagnavano il 10% più della media nazionale, ora il 12% in meno. “Impietoso” il raffronto con un tedesco, che in un anno guadagna in media 6mila euro in più

Il salario netto mensile medio di un lavoratore italiano nel 2013 è pari a 1.327 euro. Coloro che guadagnano, pur lavorando, meno di mille euro al mese oscillano tra i sei e i sette milioni di persone. è quanto emerge dal rapporto sui salari dell’Isrf Lab.

Un giovane neolaureato “peraltro mediamente precario se va bene oscilla tra gli 800 e i 1.000 euro mensili fino a trentacinque anni. Mentre oltre sette milioni di pensionati percepiscono meno di 1.000 euro mensili”. E se il salario netto si è attestato su poco più di 1.300 euro al mese, il raffronto con quello di un lavoratore tedesco è impietoso: quest’ultimo, come si sottolinea nello studio, “guadagna in media 6 mila euro in più l’anno”.

Tra i più colpiti dalla ‘questione salariale’ ci sono i giovani. Megale nel rapporto denuncia, infatti, “come un giovane degli anni ‘70 guadagnasse mediamente il 10% in più della media nazionale, negli anni della crisi invece ne porta a casa il 12% in meno.

La diseguaglianza, come emerge dal rapporto, è il frutto di una “progressiva sperequazione” di lungo periodo: “Nel 1970 un manager guadagnava venti volte di più di un operaio mentre oggi arriviamo a picchi che superano le duecentocinquanta volte. Diseguaglianze che si sostanziano anche dall’analisi che si fa nel testo delle dichiarazioni fiscali da dove si rileva che “oltre 15 milioni di lavoratori dipendenti guadagnano poco più di 1.300 euro netti al mese in media. Di questi circa 7 milioni ne guadagnano meno di 1.000”.

Ancora secondo la ricerca, i contratti nazionali dal Duemila ai giorni nostri sono stati un argine contro l’inflazione ma non abbastanza forte per reggere il combinato disposto, peso del fisco e bassa produttività. Il reddito disponibile familiare, tra il 2000 e il 2013, infatti, registra una perdita di circa -8.312 euro per le famiglie di lavoratori, a fronte di un guadagno di 3.142 euro per quelle di professionisti e imprenditori.

E ALLORA NOI DICIAMO!!!

È necessario un meccanismo di indicizzazione annuale di salari e pensioni, visto che la condizione del lavoro dipendente grida vendetta.È evidente che le idee liberiste sono quelle che hanno portato i salari italiani ad essere i più bassi d’Europa.

PER UNA NUOVA SCALA MOBILE

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Quanto si guadagna in Italia di media:

Un dirigente guadagna di media 107.021 euro all’anno lorde

Un quadro guadagna di media 53.914 euro all’anno lorde

Un impiegato guadagna di media 31.122 euro all’anno lorde

Un operaio guadagna di media 23.913 euro all’anno lorde

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STIPENDI ITALIANI AL PALO/-15% RISPETTO AI TEDESChII lavoratori italiani hanno buste paga più leggere del 14,6% rispetto ai colleghi tedeschi. Rispetto a quelli del Regno Unito la distanza è del 13% e dell’11% se il confronto avviene con i francesi. Questo almeno quanto accadeva nell’ottobre del 2010, data in cui l’Istat ha scattato la fotografia poi analizzata in un report sulla struttura delle retribuzioni pubblicato alcuni giorni fa.

In quel mese, nella classifica generale le nostre retribuzioni si collocano al dodicesimo posto nell’Unione europea a 27 e sono inferiori alla media dell’Eurozona: se invece si considera l’intera Unione europea, i salari italiani sono leggermente superiori alla media. Peggio di noi stanno, tra gli altri, gli spagnoli con il 25,9% in meno. Questo il quadro generale. Vista da vicino, la struttura rivela altri dettagli. Nel 2010 la retribuzione lorda annua per ora era di 16,2 euro: così la media tra lavoratori dipendenti nelle imprese e istituzioni con almeno 10 addetti nell’industria e nei servizi (escluse le attività della pubblica amministrazione in senso stretto).

Le donne però prendono meno: la loro retribuzione oraria è pari a 15,3 euro, inferiore del 9,2% a quella degli uomini (16,7 euro). Si chiama gender pay gap ed è la differenza percentuale tra la paga oraria di uomini e donne rapportata alla retribuzione maschile: ebbene tra il 2006 e il 2010 la distanza tra lavoratori e lavoratrici si è ridotta nella Unione europea a 27 passando dal 17,7% al 16,2%, mentre in Italia è aumentata da 4,4 al 5,3%. Altre differenze: i dirigenti guadagnano quattro volte tanto gli operai (44,3 euro contro 11,8) e i laureati o diplmati prendo il doppio di chi si è fermato alle medie o alle elementari (26,2 euro contro 11,6).

Il fattore anzianità. Analizzando i diversi settori, guadagna di più in assoluto (26,5 euro) chi lavora nel comparto finanziario e assicurativi, in coda troviamo invece i lavoratori dei servizi con 10,8 euro lordi all’ora. Anche l’età ha il suo peso: si passa così dai 9,6 euro dei lavoratori tra 14 e 19 anni, a 11,2 euro in quella tra i 20 e i 29 anni, fino a 23,5 euro per il personale dipendente ultrasessantenne.

Traducendo le percentuali in cifre assolute la retribuzione lorda annua per dipendente è pari a 28.558 euro: sale a 31.394 euro per gli uomini e scende a 24.828 per le donne. Questa differenza - spiega l’Istat - è dovuta in parte al diverso numero di ore annue retribuite, che per gli uomini si attesta a 1.876 ore e per le seconde a 1.620 ore. Le retribuzioni medie per i dipendenti che hanno qualifiche più elevate ammontano a 88.942 euro l’anno per gli uomini e a 61.361 euro per le donne; quelle delle qualifiche più basse a 20.064 euro per gli uomini e a 13.784 euro per le donne. I dipendenti con almeno 15 anni di anzianità aziendale percepiscono una retribuzione annua superiore del 61,4% rispetto a quella dei dipendenti che sono stati assunti da meno di 5 anni. Il rapporto in questione ha cadenza quadriennale: la rilevazione analizza la struttura delle retribuzioni, armonizzata a livello europeo. L’indagine analizza il mese di ottobre perché sono limitati gli effetti della stagionalità e la presenza di giorni festivi e non tiene conto di quanto avviene in agricoltura e nella pubblica amministrazione e nella difesa.

Tornando alla classifica europea, i meglio pagati sono i danesi: prendono in media 27,9 euro all’ora; seguono gli irlandesi (22,23 euro) e i lavoratori del Lussemburgo (21,95 euro). In coda troviamo la Bulgaria (2,04 euro), Romania (2,67 euro), Lettonia e Lituania (rispettivamente 3,78 euro e 3,44 euro).

Fonte: l’Unità 4 marzo 2013

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LA CLASSIfICA DEGLI STIPENDI DEI SUPER MANAGER ITALIANI: ANDREA GUERRA PRIMO CON 68 MILIONI DI EURO LORDI (15 ottobre 2014)

I primi cento top manager più pagati delle società italiane hanno guadagnato nel 2013 retribuzioni complessive pari a 371 milioni di euro lordi l’anno. Compensi cresciuti rispetto agli anni precedenti grazie alla crescita della Borsa, aumentata di circa il 16% nel 2013. Una parte significativa delle retribuzioni dei top manager si compone infatti di stock option e premi in azioni gratuite. Calcolando questi bonus uniti alla parte fissa e variabile del salario il “Sole 24 Ore” di mercoledì 15 ottobre 2014 ha compilato la classifica dei cento dirigenti italiani più pagati.

Nel 2013 il top manager che ha guadagnato di più è stato Andrea Guerra, l’Amministratore delegato di Luxottica dimessosi pochi mesi fa dal gruppo fondato da Leonardo Del Vecchio. Guerra, di cui si è ipotizzato un ingresso in politica vista la sua simpatia con il presidente del Consiglio Matteo Renzi, ha ottenuto una retribuzioni pari a 61,7 milioni di euro. “Il Sole” rimarca come nessun manager italiano aveva guadagnato così tanto prima di lui, con l’eccezione dell’anno in cui Cesare Romiti abbandonò la Fiat.

L’ex Ceo di Luxottica ha accumulato una retribuzione record grazie all’esercizio delle stock option in suo possesso, che gli ha fruttato un guadagno di circa 53 milioni di euro. Il secondo manager più pagato è il vicepresidente di Luxottica, Luigi Francavilla, che ha anch’egli beneficiato delle plusvalenze garantitegli dalla crescita del titolo della sua società, arrivando ad una retribuzione complessiva che sfiora i 20 milioni di euro.

Al terzo posto è così scivolato Sergio Marchionne, che nel 2013 ha guadagnato 19,19 milioni di euro. Enrico Cavatorta, altro manager di Luxottica appena dimessosi dall’incarico di Ad, ha ottenuto una retribuzione pari a 13,7 milioni, di euro, seguito da Marco Sala, Ceo di GTech, con 10,25 milioni di euro.

Dopo di loro ci sono Franco Bernabè, presidente di Telecom, con 7 milioni di euro, l’Ad di Mondadori Maurizio Costa, con 6,4 milioni di euro, Roberto Vedovotto, che proprio a fine 2013 ha lasciato Safilo con una retribuzione di poco superiore ai 6 milioni di euro, Valerio Battista di Prysmian, con 6,1 milioni di euro, mentre l’ultimo top manager della Top Ten è Luca Cordero di Montezemolo.

L’ormai ex presidente della Ferrari ha guadagnato 5,88 milioni di euro nel 2013, una retribuzione che quest’anno salirà di molto vista la maxi buonuscita concordata col gruppo Fiat. Subito dopo Montezemolo c’è il banchiere più pagato, l’Ad di Intesa Sanpaolo Enrico Cucchiani, con 5,75 milioni di euro. Il manager pubblico più pagato del 2013 è stato Paolo Scaroni, dodicesimo nella classifica del “Sole”, con 4,68 milioni di euro, che quest’anno ha lasciato Eni dopo la nomina di Claudio Descalzi decisa dal Governo Renzi.

Il nuovo Ceo della più grande azienda italiana per capitalizzazione in Borsa ha guadagnato nel 2013 3,23 milioni di euro, una retribuzione che probabilmente crescerà quest’anno alla luce della promozione. Tra gli altri big più noti della nostra industria nella classifica del �Sole� si trova Marco Tronchetti Provera al quattordicesimo posto, con 4,66 milioni di euro. Diego Della Valle è solo sessantaquattresimo con 1,84 milioni di euro, preceduto da John Elkann che si trova al venticinquesimo posto con guadagni complessivi pari a 3,42 milioni di euro.

Le retribuzioni sono sempre al lordo.

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Stampato in proprio, aprile 2104