Stefano Ventura La memoria delle catastrofi Napoli, 25 e 26 novembre 2010 Università Federico II...

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L’EMERGENZA E I SOCCORSI, DALLE MEMORIE ALLA PROTEZIONE CIVILE Stefano Ventura La memoria delle catastrofi Napoli, 25 e 26 novembre 2010 Università Federico II Associazione Italiana di Storia Orale Istituto Italiano per gli Studi Filosofici

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L’EMERGENZA E I SOCCORSI,

DALLE MEMORIE ALLA PROTEZIONE

CIVILEStefano Ventura

La memoria delle catastrofi

Napoli, 25 e 26 novembre 2010

Università Federico II

Associazione Italiana di Storia Orale

Istituto Italiano per gli Studi Filosofici

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15 gennaio 1968, Belice

6 maggio 1976, Friuli

Gli “angeli del fango”

4 novembre 1966L’alluvione di

Firenze

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La memoria dei soccorritori: fonti

- interviste e testimonianze

dirette

- diari e memoriali pubblicati nel

corso degli anni

- resoconti tratti dalla stampa

- corrispondenze

- rete (pagine web, blog, social

networks)

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1980, le cause del ritardo dei soccorsi

- i battaglioni dell’esercito specializzati erano lontani.

- Le vie di comunicazione erano difficilmente accessibili e molte

volte interrotte o crollate

- Le figure chiave nei paesi molte volte morirono (sindaci, parroci,

carabinieri, medici)

- Le prime notizie dei telegiornali, oltre a sottovalutare l’evento,

collocavano l’epicentro a 50 km di distanza dall’epicentro reale

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Un emigrato

“ Era domenica sera e io mi trovavo nella mia casa in Svizzera, dove lavoravo. Al telegiornale comunicarono la notizia di un terremoto, avvenuto in Campania con epicentro tra Eboli e Battipaglia. Le notizie non parlavano di conseguenze gravi e io pensai al mio paese, Teora, ma non pensavo che era successo niente di grave. Il giorno dopo andai al lavoro e alcuni colleghi mi misero agitazione perché iniziavano a nominare altri paesi: Lioni, Sant’Angelo, Conza…. Teora! Tornai a casa agitato e mi misi davanti alla tv e al telefono per mettermi in contatto con Teora. Grazie allo scambio di informazioni tra parenti che erano sparsi qua e là, riuscii a raccogliere qualche notizia. Mi sono messo in macchina e sono partito per Teora”.

Teora

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L’arrivo dei volontari

“A Contursi, pure se la Valle del Sele territorialmente comincia lì, il dramma non è ancora visibile. Dopo Quaglietta, verso Temete, si vedono due casolari completamente distrutti. Nella piccola pianura dove le strade di Laviano, Santomenna, Valva si incontrano con la nazionale, si ha la percezione del grande disastro: una quantità incredibile di bare accatastate ai lati della strada, vicino a gruppi scomposti di roulotte: fango, camion e un vortice di gente e di mezzi che si incrociano dappertutto. Geograficamente è in quel punto che inizia il caos”.

Un volontario di Terni a Castelnuovo di Conza

Laviano

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“ Mentre parlavo con il militare, per caso alzai gli occhi: uno “spettacolo” terrificante, l’intero paese era ridotto ad un ammasso di macerie, non si vedeva neppure una casa in piedi. Dietro a quelle poche abitazioni che avevano resistito al sisma, c’era solo un enorme montagna di pietre che restituivano un’immagine spettrale e di morte da far venire i brividi anche ad uno come me, che nella vita ne aveva viste di tutti i colori”

I volontari arrivano nei paesi distrutti

Le immagini della distruzione Un volontario della Misericordia di Prato, S. Mango sul Calore

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A contatto con il dolore

“La scena era sempre la stessa, straziante e coinvolgente. Era difficile per noi seppure estranei non sentirci partecipi di quei dolori, di quei pianti, di quelle disperazioni. Uomini che riconoscevano la moglie e a volte anche i figli, donne che ritrovavano tra i corpi ricomposti nelle bare i mariti, i figli, gli anziani genitori. Nel piazzale antistante al cimitero si respirava un’aria pregna di dolore e tristezza, la rabbia ormai non esisteva più, non c’era più posto per quel sentimento. L’aria era gravida del mefitico odore caratteristico della morte, ogni volta che arrivava il camion militare”.

Un geometra del comune di Mantova, volontario a S. Angelo d. L.

Sant’Angelo dei Lombardi, l’ospedale crollato

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La quotidianità dell’emergenza

“Dopo 15 giorni eravamo riusciti a portare la corrente a tutte le roulottes e tende, a fornire ai nuclei familiari una stufa elettrica, a fare un impianto idrico in tutto il campo, con lavandini e rubinetti ogni 4/5 roulotte, ad alimentare con acqua corrente i servizi igienici, a migliorare la cucina e il refettorio, che attraverso il self-service offriva oltre 1000 pasti caldi. Chi era in cucina faceva i salti mortali per inventarsi un modo diverso di cucinare lo scatolame e mettere insieme lo stesso tipo di pasta”.

Un operaio dell’Ansaldo a Laviano

Gli aiuti materiali

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Le motivazioni politiche

“Nei primi mesi gli argomenti che maggiormente discutemmo erano legati al nostro intervento e a quanto dalla politica dipendevano le questioni per cui noi tutti eravamo in quelle zone. Però la necessità di una presenza politica organizzata, in contrapposizione al sindaco e con alle spalle un grande partito come il PCI, si sentiva. Rocco, leader di questo gruppo del comitato popolare, si adoperò per convincere il gruppo a entrare nel PCI e ricostruire nel paese la presenza di un grande partito. Chi, come me, era del PCI e di origine meridionale, ne fu particolarmente commosso”.

Operaio Ansaldo a Laviano, 1981.

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Le motivazioni dei volontari

“la prima spinta era la curiosità, ma non una curiosità macabra: volevo vedere coi miei occhi, capire quel che potevo, direttamente, del problema meridionale, pagare quasi il debito della mia ignoranza. Pensavo che ci potesse essere bisogno di qualcuno che lavorasse materialmente, di essere utile agli altri, ma anche a me stessa. Cercavo, in un atteggiamento di umiltà, di dirmi: forse c’è qualcuno che ha necessità delle tue mani, io ci vado, voglio vedere, voglio aiutare”.

Una volontaria di Milano a Villamaina (Av)

Il campo base di Bergamo a Lioni

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L’orgoglio dei volontari e la memoria del terremoto

“Il viaggio di ritorno l’ho fatto su un furgone della croce rossa, sdraiato dietro su scatoloni di attrezzature. Ero ridotto da sembrare un profugo sfuggito da una zona di guerra. Stivaloni di gomma, giacca a vento e pantaloni lerci, capelli arruffati, barba lunga incolta e zaino militare in spalla pieno zeppo di indumenti sporchi di fango ormai seccato. Attaccato alla giacca, tenevo in bella vista il tesserino di riconoscimento con la mia fotografia dove si poteva leggere “COLONNA MANTOVANA SOCCORSI PRO IRPINIA” . Lo tenevo in bella vista appuntato sul petto per non essere scambiato per un barbone, ma soprattutto lo tenevo lì per orgoglio”.

Un volontario di Mantova a S. Angelo dei L.

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Grazie per l’attenzione

L’Irpinia oggi

Stefano Ventura

[email protected]

www.orent.it

teoraventura.ilcannocchiale.it