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Corso di Laurea in Scienze Motorie A.A. 2009/2010 I VALORI DELLO SPORT: IL FAIR PLAY Laureando: Stefano Monetti

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Corso di Laurea in Scienze Motorie

A.A. 2009/2010

I VALORI DELLO SPORT:

IL FAIR PLAY

Laureando:

Stefano Monetti

INTRODUZIONE

Lo sport è un’attività che mette sempre in competizione con altri.

Quando ci si oppone agli altri, tale competizione non può essere separata da una certa attitudine

morale.

Si deve operare in un clima di lealtà e verità, nel rispetto totale e sincero della persona e delle regole

scritte e non scritte, che esprimono l’etica dello sport.

I comportamenti non dovranno essere isolati e dovranno accordarsi con l’atteggiamento generale di

questi sportivi, fino a corrispondere a una filosofia di vita.

Regolamento Panathlon International, -fair play-

Con il termine fair play si indica una regola non scritta, ma insita nello spirito delle discipline

sportive, a contatto fisico e non, letteralmente tradotto in gioco corretto, più precisamente associabile

alla parola lealtà. Esso può essere considerato come la norma etica vigente sia tra i partecipanti alle

attività sportive che tra gli organizzatori delle stesse. I principi etici insiti nel fair play sono elementi

tutt’altro che facoltativi; essi sono qualcosa d’essenziale in ogni attività sportiva e in ogni fase della

gestione del settore sportivo. Tutto ciò è applicabile a ciascun livello di abilità a impegno nell’attività

sportiva, dallo sport ricreativo a quello agonistico. Lo sport – praticato in modo leale - è riconosciuto

come qualcosa che dà agli individui l’opportunità di conoscere se stessi, di esprimersi, di raggiungere

soddisfazioni e ottenere successi personali, di divertirsi e di raggiungere un buono stato di salute.

Il fair play è citato molto dai media, tuttavia si ipotizza che la maggior parte delle persone non sappia

ancora cosa significhi fair play. Le conseguenze di una possibile ignoranza diffusa indirizzano a una

visione dello sport screditata dei valori positivi (che esso ha e apporta) e infangata da episodi negativi, a

volte anche raccapriccianti. Molto probabilmente il concetto di fair play e dei suoi principi non

dovrebbe essere solo emanato dai giornali, tv o radio; nel suddetto caso la trasmissione e la promozione

dei valori del fair play dovrebbe essere materia di tutti gli enti educativi a partire dalla famiglia, dalla

scuola e dalle associazioni ricreative, culturali e soprattutto sportive. Da questa ipotesi si è scelto di

testare il livello d’informazione non degli adulti, ma dei giovani, dato che saranno i praticanti e le stelle

dello sport di domani. La società e l’individuo potranno trarre i vantaggi che lo sport può offrire

soltanto quando il fair play sarà una priorità e non un concetto marginale. A quest’ultimo deve essere

attribuita un’attenzione centrale da parte di tutti quelli che, direttamente o indirettamente, favoriscono e

promuovono esperienze sportive per bambini e giovani.

L’indagine è stata sviluppata coinvolgendo gli studenti, al fine di verificare quanto il fair play è

conosciuto e quanto una sua costante manifestazione negli incontri sportivi sarebbe considerata

importante. La fascia di età presa in esame parte dal quinto anno della scuola primaria fino

all’università, riservando un approfondimento particolare dedicato agli studenti di Scienze Motorie.

Capitolo I

CENNI STORICI

1.1 Dalle origini ai tempi nostri

Nell’Antica Grecia, qualora si fossero verificati comportamenti sleali, gli atleti erano tenuti a

prestare giuramento alle terrificanti statue di Zeus Horkios e Zanes, a Olimpia, in segno di punizione.

Questo fa capire che vi era motivo di imporre una norma di conformità, anche a quei tempi. Tuttavia,

altri studi non confermano questa tesi, sostenendo (come O’Neil, 1979) che nella Grecia di Omero il

fair play come lo conosciamo attualmente non era poi così diffuso; anzi, si può affermare che esso era

decisamente carente. Per passare dalle antiche Olimpiadi a quelle moderne dobbiamo spostarci di circa

duemila anni. In Inghilterra, nel periodo a ridosso di quella che viene chiamata la prima Olimpiade

moderna, più precisamente nel XVIII e XIX secolo, la parola sport era quasi equivalente a lealtà. E

proprio in Inghilterra durante l’Età Vittoriana, nasce e prende forma il fair play come lo conosciamo

oggi, dagli aristocratici circoli dei gentlemen, i quali vivevano la competizione sportiva considerandola

solo e semplicemente un’attività da praticare, un gioco in cui ci si prendeva parte. La vittoria, inoltre,

non solo era ritenuta una cosa poco importante, ma anche qualcosa da disprezzare; a questo proposito

essa non era adeguata se si voleva essere menzionati e lodati dalla stampa (solo il Bollettino Reale

apprezzava la vittoria). Il risultato della partita, quindi, era visto molto meno importante del prendervi

parte. Fair play aveva un significato che andava ben oltre al solo rispetto delle regole; lo sport aveva un

semplice scopo: offrire divertimento e piacere. Si cominciava a pensare, però, che il professionismo,

qualora fosse entrato nello sport, avrebbe mutato la partita da gioco a lavoro, snaturando e distruggendo

la vera ragione dell’esistenza dell’attività sportiva: il sopracitato divertimento. Col passare degli anni

questo cominciava ad avverarsi e furono introdotti nuovi regolamenti che andavano di pari passo con i

tempi, esprimendo il desiderio di un controllo sociale. Nel 1848, infatti, venne pubblicato il

“regolamento di Cambridge” che rifletteva gli atteggiamenti sociali delle classi media e alta dell’Età

Vittoriana. Successivamente, nel 1871, si introdusse nelle partite la figura dell’arbitro che venne visto

come un controllo sociale esterno ed effettivo. Questa forma di controllo si ritenne necessaria e avvenne

proprio quando le porte dell’antica competizione calcistica, la FA CUP, furono aperte a tutti i club,

includendo anche quelli della classe operaia. Da questo momento il codice d’onore dei gentlemen non

era più valido per tutti gli interessati, e il calcio non era più giocato solo per divertimento. Le partite si

trasformarono in dispute per emergere e il gioco divenne una parte della lotta tra classi. Per la gente

comune esso diventò un modo per salire la scala sociale ed economica; per l’aristocrazia esso diventò

un modo per dimostrare la superiorità nel quadro politico del tempo. In questo gioco il fair play perse il

suo fondamento sociale e le sue regole non furono più considerate valide. Inoltre, con l’aumento

dell’interesse dei media, l’idea del fair play fu ridotta alla considerazione del “fallo accettabile”, ovvero

di un comportamento che si preoccupa limitatamente a non far male all’avversario. Il fair play cambiò

da situazione di atteggiamento leale e corretto a una situazione di atteggiamento opportunistico, come

se la fase di gioco fosse una battaglia da vincere solo rispettando le regole scritte, senza tener conto di

quelle non scritte.

Rilanciando un’idea più nobile dello sport, il barone Pierre De Cubertin tentò di promuovere un gioco

leale e corretto epurandolo dal motivo che spesso spingeva gli atleti a non rispettare le regole, ovvero la

vittoria. A lui fu attribuito l’onore di aver pronunciato forse una delle frasi più famose al Mondo:

l'importante non è vincere, ma partecipare. Con questo pensiero, De Cubertin cercò di riportare in vita

nobili ideali dell’Antica Grecia sull’onda delle nascita delle Olimpiadi moderne nel 1894 (due anni più

tardi ci fu la prima Olimpiade ad Atene), anch’esse promosse dallo stesso barone. Tuttavia, studi

successivi dimostrarono che gli ideali dell’Antica Grecia non erano così puri o nobili come sosteneva

De Cubertin: gli atleti, infatti, cercavano assiduamente la vittoria in quanto la consideravano come

l’obiettivo da raggiungere per essere ricordati per sempre e diventare immortali (pensiero che stride

assai con l’idea che si limita a ritenere importante la sola e semplice partecipazione alla competizione).

Avvicinandoci maggiormente ai giorni nostri, arriviamo al 1963, anno in cui si decise di promuovere

l’idea contrastante lo sciovinismo e la violenza associata allo sport. Essa nacque durante un seminario a

Gauting, vicino a Monaco di Baviera, ove presero parte membri dell’U.N.E.S.C.O., del C.E.I.P.S.

(Comitato Internazionale per l’Educazione Fisica e lo sport) e dell’A.I.P.S. (Associazione

Internazionale della Stampa Sportiva), nel quale si ideò un trofeo per premiare gli atti di fair play nello

sport. È importante ricordare che il primo a ricevere il premio di riconoscimento chiamato Trofeo Del

Fair Play Pierre de Cubertin fu l’italiano Eugenio Monti, autore di un gesto lodevole compiuto durante

le Olimpiadi di Innsbruck. Egli, nella gara di bob a due valevole per la finale, realizza un ottimo tempo

e gli unici avversari che possono batterlo sono i britannici capitanati da Tony Nash. Questi ultimi non

possono prendere il via per l’ultima discesa, allora Monti stacca un pezzo corrispondente dal suo mezzo

per permettere di gareggiare a Nash, che vinse la gara e conquistò la medaglia d’oro. Altro episodio

meritevole di menzione è quello che ha fatto Luciano Aquarone nel giugno del 1972. Egli partecipò alla

maratona di Bruxelles, gara valida per la qualificazione ai Giochi Olimpici di Monaco di Baviera. La

sera precedente la gara, Acquarone riempì la sua borraccia di tè molto zuccherato, mentre il compagno

De Menego riempì la sua con sola acqua e qualche compressa di vitamina C; purtroppo quest’ultimo

ebbe un leggero mancamento nel bel mezzo della maratona. Acquarone intravide la possibilità di

arrivare terzo ed essere selezionato per i Giochi Olimpici alla veneranda età di 42 anni. Egli, però, non

si dimenticò del suo compagno e gli passò la sua borraccia: De Menego si riprese e riuscì ad arrivare

secondo; Acquarone purtroppo arrivò solo ottavo (quarto tra gli italiani) e non andò a Monaco, ma

questo gesto gli risultò utile per ricevere il premio fair play alla carriera nel 1984.

Solo nel 1973 si comincia a parlare di Comitato Internazionale per il Fair Play. Nel 1982 si costituì

l’A.I.C.V.S. (Associazione Internazionale Contro la Violenza nello Sport); nel 1987 compaiono atti che

denunciano non solo la violenza, ma anche il doping e la commercializzazione impropria.

Negli anni novanta ci si è trovati di fronte rivoluzioni nel mondo dello sport e del calcio in particolare,

con l’introduzione delle partite in pya-per-veiw, la rivoluzione dei tesseramenti e la sponsorizzazione

degli eventi si è assistito a un’impennata degli interessi economici e della commercializzazione di tutto

lo sport. Verso la fine di questo decennio si è assistito al primo intervento della Commissione Europea

con il trattato di Amsterdam del 1997. Da qui cominciano una serie d’interventi volti a tutelare lo sport

mantenendo la specificità dello stesso, ossia senza modificare i regolamenti interni di ciascuna

disciplina. Ciò che l’Europa si è prefissata di fare è tutelare le persone che muovono lo sport e che

lavorano per esso, garantendo libertà di circolazione e sistemazione nel territorio europeo in tutti gli

stati dell’UE. Essa, inoltre, supporta tutte le iniziative contro il doping, la violenza, le gare truccate e

tutto ciò che scredita lo sport.

1.2 De Cubertin

L'importante non è vincere, ma partecipare. Questo pensiero viene attribuito al barone Pierre De

Cubertin ispiratosi all’Antica Grecia, periodo in cui, secondo il padre fondatore dell’Olimpiade

moderna, vi era la concezione pura dello sport, senza macchie di violenza, inganni o interessi personali.

Egli, dalla sua concezione sportivo-psicologica, ha concepito il moderno ideale olimpico con postulati

universali, democratici e umanitari. De Coubertin considerava lo sport come un’occupazione in nessun

caso oggetto di lusso, o attività per sfaccendati e nemmeno compensazione muscolare al lavoro svolto,

ma come possibile fonte di perfezionamento interno non condizionata dall’occupazione lavorativa: un

patrimonio uguale per tutti, la cui assenza non può essere sostituita da nulla. Il barone francese instaura

uno stile e una coscienza dello sport, nei quali egli intravede lo sport come cinghia di trasmissione del

codice etico per il popolo. Di conseguenza l’estasi sportiva deve essere impregnata di spirito di fair

play, spirito nobile e disinteressato, rischiosamente in pericolo quando la pressione commerciale o degli

interessi condiziona le gare sportive.

Sebbene la Storia sia piena di documenti di relazioni filosofiche a supporto dell’ideale di De Coubertin,

non posiamo tralasciare dati e reperti che ci affermano quanto la ricerca della vittoria fosse, per gli atleti

dell’Antica Grecia, l’unico degli obiettivi da perseguire. L’idea di poter vincere era associata alla

commemorazione in eterno dell’uomo che riusciva a sovrastare gli altri uomini partecipanti alle gare

Olimpiche. Questi atteggiamenti sono in stretta relazione con alcuni aspetti della situazione

contemporanea sullo sport; si pensi all’interesse commerciale di un’azienda che ha come testimonial un

centometrista: la sua vittoria può portare in alto il nome del marchio, incrementando inoltre i guadagni

dello stesso atleta.

Non abbiamo documenti che affermino che De Coubertin abbia voluto attribuire all’Antica Grecia uno

spirito puro e idealistico per dare più enfasi al suo progetto e al suo ideale, pur sapendo che a quel

tempo non vi era il fair play nelle antiche competizioni Olimpiche. Di sicuro possiamo dire che anche

grazie a questo “errore” storiografico si è giunti all’Olimpiade moderna e alla concezione di sport.

Capitolo II

Il fair play

2.1 Situazione europea

Il consiglio d’Europa tenutosi a Rodi (13-.15 maggio 1992) apre il trattato sul Codice Europeo

di Etica Sportiva partendo dal principio che le considerazioni etiche insite nel gioco leale (fair play)

non sono elementi facoltativi, ma qualcosa d'essenziale in ogni attività sportiva.

L’obiettivo è quello di dare una linea al fair play e di tracciare la strada che porti alla promozione di

questo principio, individuando gli enti responsabili della diffusione e rispetto dello stesso. Di seguito

riportiamo il primo punto del trattato, ovvero la definizione di fair play:

Fair play significa molto di più che il semplice rispetto delle regole. Esso incorpora i concetti di

amicizia, di rispetto degli altri e di spirito sportivo. Il fair play è un modo di pensare, non solo un modo

di comportarsi. Esso comprende la lotta contro l'imbroglio, contro le astuzie al limite della regola, la

lotta al doping, alla violenza (sia fisica, che verbale), a molestie sessuali e abusi verso bambini, giovani

o verso le donne, allo sfruttamento, alla diseguaglianza delle opportunità, alla commercializzazione

eccessiva e alla corruzione.

Il consiglio d’Europa non si è limitato a dare una definizione circoscritta allo sport, ma ha anche

investito altri ambiti d’interesse legati alla vita sociale e alle sue problematiche. Da ciò ha preso spunto

la FIFA, organo mondiale del calcio, che ha fondato e promosso un progetto chiamato proprio Fair

Play, per aumentare l'etica all'interno del calcio e per prevenire la discriminazione in questo sport. In

una forma simile alla definizione che troviamo sul codice di etica sportiva, anche questo impegno

ufficiale esula dal mero contesto calcistico: oltre a cercare di ridurre il razzismo all'interno del calcio,

il Fair Play è il supporto che la FIFA dà alle organizzazioni che cercano di migliorare le condizioni di

vita nel mondo.

Il Consiglio d’Europa ha individuato due enti più un terzo gruppo (quest’ultimo forse il più importante)

responsabili a impegnarsi per promuovere i suddetti principi perché non ci può essere iniziativa senza

soggetti che la supportino. I responsabili sono: i governi, le organizzazioni sportive e, soprattutto, le

singole persone. Ecco che cosa il trattato esorta a fare:

Governi

I Governi hanno le seguenti responsabilità:

1. stimolare l'adozione di criteri etici efficaci in tutti i settori della società in cui è presente lo sport;

2. incoraggiare e sostenere quelle organizzazioni e quelle persone che, nella loro attività con lo

sport, dimostrano sani principi etici;

3. incoraggiare gli insegnanti a considerare la promozione dello sport e del fair play quale

componente centrale dei programmi scolastici di educazione sportiva;

4. sostenere le iniziative mirate alla promozione del fair play nello sport, particolarmente tra i

giovani, e incoraggiare le istituzioni ad assumere il fair play come priorità;

5. incoraggiare a livello nazionale e internazionale la ricerca per migliorare la comprensione dei

complessi problemi della pratica sportiva giovanile e per identificare i comportamenti

antisportivi e le opportunità per promuovere il fair play.

Organizzazioni sportive o connesse allo sport

Le organizzazioni sportive, o comunque connesse allo sport, hanno le seguenti responsabilità:

- creazione di un contesto idoneo per il fair play

1. pubblicare chiare linee-guida per definire i comportamenti conformi o non conformi all'etica, e

verificare - in tutte le forme di sport e a tutti i livelli di partecipazione - l'applicazione di

incentivi e/o sanzioni coerenti e appropriate;

2. garantire che tutte le decisioni siano conformi ad un codice di etica applicabile alla loro

disciplina sportiva ed ispirata al Codice europeo;

3. incrementare la coscienza sul fair play nell'ambito della loro sfera d'influenza tramite campagne

d'opinione, premi, materiale educativo e opportunità di formazione. Esse devono anche

sorvegliare e valutare l'impatto di queste iniziative;

4. creare sistemi che premiano il fair play e la progressione personale, oltre che il successo

agonistico;

5. fornire aiuto e sostegno ai giornalisti perché promuovano il fair play;

- azioni verso i giovani

1. garantire che le strutture agonistiche riconoscano le esigenze speciali del giovane e del bambino

che cresce, e che consentano livelli graduali di partecipazione, dal livello ricreativo a quello

altamente agonistico;

2. sostenere la modifica dei regolamenti perché rispettino i bisogni particolari dei giovani e perché

l'enfasi venga posta sul fair play oltre che sul successo agonistico;

3. garantire azioni di salvaguardia – in un contesto di sostegni e protezioni verso bambini, giovani

e donne – sia per proteggere tali persone da molestie sessuali ed abusi, sia per prevenire lo

sfruttamento di bambini, particolarmente quelli che dimostrano attitudini precoci;

4. garantire che tutti i membri dell'organizzazione con responsabilità verso bambini e giovani siano

ben qualificati per guidare, formare, educare e allenare queste fasce d'età e, in particolare, che

capiscano i cambiamenti biologici e psicologici implicati nel processo di maturazione dei

bambini.

Singole persone

Le singole persone hanno le seguenti responsabilità:

- comportamento personale

1. avere un comportamento esemplare che costituisca un modello positivo per i bambini e i

giovani; non premiare in alcun modo i comportamenti sleali, né adottarli personalmente, né

chiudere gli occhi su quelli di altri; applicare sanzioni appropriate contro ogni comportamento

sleale;

2. garantire che il proprio livello di formazione e di qualificazione sia adatto ai bisogni dei bambini

in funzione dei diversi livelli di impegno sportivo;

a. azioni verso i giovani

1. garantire che la salute, la sicurezza e il benessere dei bambini o dei giovani atleti vengano prima

di ogni altra considerazione come il successo – anche per interposta persona - o la reputazione

della scuola, della società sportiva, dell'allenatore o del genitore;

2. far vivere ai bambini un'esperienza di sport che li incoraggi a partecipare per tutta la vita ad una

sana attività fisica;

3. evitare di trattare i bambini semplicisticamente come piccoli adulti, essere coscienti delle

trasformazioni fisiche e psicologiche implicate nella maturazione giovanile e di come questi

cambiamenti influiscono sulla prestazione sportiva;

4. evitare di imporre a un bambino aspettative sproporzionate alle sue possibilità;

5. mettere in risalto il piacere e la soddisfazione di fare sport, e non esercitare pressioni indebite

contrarie al diritto del bambino di scegliere liberamente sulla sua partecipazione;

6. dedicare un interesse uguale ai giovani con maggiore o minore talento; sottolineare e premiare,

oltre che i successi agonistici più evidenti, la progressione individuale e l'acquisizione di

capacità personali;

7. incoraggiare i più piccoli a elaborare propri giochi con proprie regole, ad assumere il ruolo di

allenatore, giudice di gara e arbitro oltre che quello di partecipante; a elaborare propri incentivi e

sanzioni per il fair play o per atti di slealtà, ad assumersi la responsabilità personale delle proprie

azioni;

8. fornire ai giovani e alle loro famiglie la maggiore informazione possibile sui rischi e sui benefici

potenziali relativi al raggiungimento di elevate prestazioni sportive.

Come si è potuto notare la promozione del fair play è indirizzata verso bambini e giovani: proprio per

questo motivo si è scelto di fare un’indagine prendendo come campioni gli studenti, partendo dalla

scuola primaria fino all’università.

Praticare un’attività sportiva significa, per un giovane, ottenere e conquistare progressivamente

l’equilibrio psico-fisico, imparare ad ammaestrare i propri istinti e pulsioni attraverso il rispetto delle

regole, dei tempi e dei ritmi di allenamento. Questo vuol dire anche distribuire e sopportare la fatica,

imparare a soffrire quando serve e a gioire con i propri compagni di squadra, sempre nel rispetto degli

avversari, da non considerare affatto “nemici” da sconfiggere ed umiliare, ma semplici atleti con cui

confrontarsi nel pieno rispetto delle regole.

Avere un comportamento corretto non è semplicemente rispettare il regolamento, ma anche

adottare un atteggiamento che rispetti alcuni principi, che possiamo trovare nella Carta del Fair Play e

nella Carta dei Diritti del Ragazzo nello Sport:

“Carta del Fair Play”

1. fare di ogni incontro sportivo, indipendentemente dalla posta e dalla virilità e della

competizione, un momento privilegiato, una specie di festa;

2. conformarmi alle regole e allo spirito dello sport praticato;

3. rispettare i miei avversari come me stesso;

4. accettare le decisioni degli arbitri o dei giudici sportivi, sapendo che, come me, hanno diritto

all'errore, ma fanno tutto il possibile per non commetterlo;

5. evitare le cattiverie e le aggressioni nei miei atti, e mie parole o miei scritti;

6. non usare artifici o inganni per ottenere il successo;

7. rimanere degno della vittoria, così come nella sconfitta;

8. aiutare chiunque con la mia presenza, la mia esperienza e la mia comprensione;

9. portare aiuto a ogni sportivo ferito o la cui vita sia in pericolo;

10. essere un vero ambasciatore dello sport, aiutando a far rispettare intorno a me i principi suddetti.

“La Carta dei Diritti del Ragazzo nello Sport”

Tutti i ragazzi hanno il diritto di:

praticare sport

divertirsi e giocare

vivere in un ambiente salutare

essere trattati con dignità

essere allenati ed educati da persone competenti

ricevere un allenamento adatto alla loro età, ritmo e capacità individuale

gareggiare con bambini dello stesso livello in una adeguata competizione

praticare lo sport in condizioni di sicurezza.

riposarsi.

avere la possibilità di diventare un campione, oppure di non esserlo.

Tutto questo potrà essere raggiunto quando i governi, le federazioni, le agenzie e le società sportive,

nonché le industrie, i media, i manager, gli studiosi dello sport, i dirigenti, gli allenatori, i genitori e i

giovani stessi approveranno questa dichiarazione.

Gand, 24 settembre 2004

2.2 In Italia

La situazione italiana è formalmente in linea con quella europea; tutte le associazioni che

supportano il fair play aderiscono alla Carta del Fair Play e alla Carta dei Diritti del Ragazzo nello Sport

nonché al Codice Europeo di Etica Sportiva. Faro che illumina il panorama italiano è il Comitato

Nazionale Italiano Fair Play, fondato nel 1994 e riconosciuto come Associazione Benemerita dal CONI.

In questi ultimi quattro anni esso è profondamente cambiato grazie alle nuove presenze sul territorio (85

Comitati Provinciali e 19 Regionali), alle iniziative e alla consapevolezza dell’importanza attribuita alla

missione, oggi strategica, di fronte ai comportamenti di una parte della società civile.

Anche in questo caso notiamo la volontà di una definizione di fair play, cosa che ci fa capire quanto sia

importante spiegare il significato del termine, onde evitare che esso si trasformi e rimanga un solo e

semplice slogan. Fair play significa molto di più che giocare nel rispetto delle regole. Esso incorpora i

concetti di amicizia, di solidarietà, di rispetto degli altri e di spirito sportivo. Il fair play è un modo di

pensare, non solo un modo di comportarsi. Esso comprende la lotta contro l'imbroglio, contro le

astuzie al limite della regola, la lotta al doping, alla violenza (sia fisica che verbale), allo sfruttamento,

alla disuguaglianza delle opportunità, alla commercializzazione eccessiva e alla corruzione.

Il Comitato sposa la linea europea, come già accennato sopra, e acquisisce tutti principi descritti nella

parte dedicata all’Europa, tra cui anche il Codice di Etica Sportiva Europeo, che considera il fair play

essenziale se si vuole promuovere e sviluppare lo sport come attività di crescita e di partecipazione tra i

giovani di tutto il mondo. Il principio fondamentale del Codice stabilisce, infatti, che le considerazioni

etiche insite nel gioco leale non sono elementi facoltativi, ma qualcosa d'essenziale in ogni attività

sportiva, in ogni fase della politica e della gestione del settore sportivo. Queste considerazioni sono

applicabili a tutti i livelli di abilità e impegno, dallo sport ricreativo a quello agonistico.

Proposta del Comitato Nazionale Italiano Fair Play, recentemente approvata, comprende una serie di

iniziative predisposte per il periodo che va dal 2009 al 2012, nell’ambito dello specifico Protocollo

d’Intesa con il Ministero dell’Istruzione e di concerto con il Comitato Olimpico, per la promulgazione

dello spirito del fair play. Tutto ciò è nato da alcune considerazioni:

contrastare il teppismo negli stadi e fuori, e il non rispetto delle regole e dello spirito del fair

play tra agonisti;

supportare gli investimenti articolati da parte delle istituzioni, per correggere la deriva assunta

dai fenomeni di droga e di doping;

arginare e sconfiggere la carenza di cultura o di educazione, contrastando il dilagare del

bullismo e della violenza, spesso gratuita, a danno delle fasce più deboli della popolazione;

correggere atteggiamenti diseducativi anche nell’ambito familiare e mediatico.

Importante associazione italiana, fondata nel 1951 a Venezia, è il Panathlon International. Il termine

proviene dalla lingua greca e può essere tradotto con l'espressione "insieme delle discipline sportive".

Il Panathlon è un "Club-service" con finalità etiche e culturali che si propone di approfondire,

divulgare e difendere i valori dello sport, inteso come strumento di formazione e di valorizzazione della

persona e come veicolo di solidarietà tra gli uomini ed i popoli. Esso si prefigge di:

- favorire l’amicizia tra tutti i panathleti e quanti operano nella vita sportiva;

- diffonde a tutti i livelli, con azioni sistematiche e continue, la concezione dello sport

ispirato al fair play, quale elemento culturale degli uomini e dei popoli;

- promuovere studi e ricerche sui problemi dello sport e dei suoi rapporti con la società,

divulgandoli nell’opinione pubblica in collaborazione con la scuola, l’università ed altre

istituzioni culturali;

- partecipare alla elaborazione delle normative sportive, intervenendo nei procedimenti di

proposta, consultazione e programmazione nel campo dello sport, con le modalità

previste dai singoli ordinamenti nazionali e regionali;

- adoperare affinché la possibilità di una sana educazione sportiva venga garantita ad

ognuno, senza distinzione di razza, di sesso e di età, soprattutto attraverso la promozione

di attività giovanile e scolastica, culturale e sportiva;

- incentivare e sostenere le attività a favore dei disabili, e quelle per la prevenzione della

tossicodipendenza ed il recupero delle sue vittime, le iniziative di solidarietà con i

veterani sportivi, la promozione e la realizzazione dei programmi di educazione alla non

violenza e di dissuasione del doping;

- sostenere il Movimento Olimpico nelle azioni concordanti con le finalità

dell’Associazione;

- promuovere l’espansione del movimento panathletico in tutto il mondo mediante la

costituzione di nuovi Panathlon Club.

Capitolo III

PROBLEMATICHE

3.1 Doping

In una società che richiede il massimo dell’efficienza e nella quale i campioni dello sport sono

esaltati e “utilizzati” a scopi commerciali, è estremamente importante fissare dei limiti etici, soprattutto

quando si tratta di doping e sport con gli atleti che potrebbero ricercare la vittoria ad ogni costo e,

tramite essa, il successo con forti vantaggi finanziari. La parola doping, purtroppo molto utilizzata in

questi ultimi anni, è un anglicismo derivato dal verbo to dope equivalente a drogare. Il doping sportivo,

quindi, significa uso di droga ai fini del miglioramento artificiale e fraudolento dei risultati di gara.

Il doping rappresenta una forma di violenza nello sport? Apparentemente no. Comunemente, violenza

sportiva s’intende trasgressione delle regole tramite aggressione fisica, ovvero l’utilizzo della forza

fisica direzionata all’atto di infrangere le regole e la trasformazione dell’agonismo in odio.

Analizzando, però, l’ambito semantico della parola violenza, notiamo che l’inserimento della parola

doping all’interno del suo contesto linguistico è assolutamente indubbio. Violare, violenza o violento

(dalla stessa radice latina) hanno un significato che, sostanzialmente, viene riferito al trasgredire una

norma, all’infrangere una legge o un precetto, al maltrattare o screditare qualcosa, al fare qualcosa

contro il modo regolare o fuori della ragione o della giustizia. È evidente che il doping è trasgressione

della norma naturale del principio olimpico paritetico e democratico d’identità di scelte dinnanzi al

risultato sportivo. Colui che si dopa infrange la norma e giocando con vantaggio commette una frode.

Per il professor Ladròn de Guevara, il doping raggruppa tre caratteristiche:

si realizza attraverso metodi o mezzi non naturali;

presuppone un pericolo, almeno potenziale, per la salute dell’atleta;

è sempre atto sleale nei confronti degli altri.

Lo sport mette in gioco valori profondi e forti emozioni; la competizione sportiva rappresenta

un tentativo di afferrare un momento della vita nel quale ci si mette in discussione e ci si

confronta con gli altri. L'atleta vincitore, dopo una competizione leale, salendo sul podio per la

premiazione, dimostra a sé stesso e al pubblico, che nessun altro è stato in grado di superare la

prova alla sua stessa maniera.

Per giungere alla vittoria, lo sportivo si sottopone a una serie di allenamenti rigorosi, volta a

migliorare e perfezionare il proprio rendimento fisico. Questo tipo d’impegno permette

all’atleta di conoscere e padroneggiare al meglio il proprio corpo e le sue potenzialità,

rappresentando così un modo per realizzare se stesso ed imparare a conoscere la sua personalità.

Possiamo affermare che la gara sportiva é il terreno dove l'atleta mette alla prova il suo fisico,

mentre si misura con gli altri. Ma nell'attività sportiva il corpo pone dei limiti, spesso non ce la

fa' a raggiungere la meta stabilita dall'ambizione e dallo sforzo di volontà nonostante disciplina

ed allenamento. Se il corpo viene "aiutato" artificialmente, attraverso doping o droghe in

genere, si potrà forse raggiungere il successo sportivo, ma si assiste a un estremo rifiuto di

conoscere sé stessi ed accettare i propri limiti.

Si presume che per evitare questi episodi sia importante attuare un piano di prevenzione,

partendo dall’educazione di tutti i giovani, sportivi e non. Di iniziative ne sono sorte molte, ma

tra tutte citiamo quella del Panathlon, che per un’opera di prevenzione (…) ha organizzato una

tavola rotonda sul tema “doping nello sport” con rappresentanti del mondo sportivo, dell’ambiente

medico, di dirigenti sportivi, di formatori e dell’autorità politica, dando avvio ad un dibattito aperto e

molto interessante. Si è voluto così sensibilizzare i genitori, allenatori, dirigenti sportivi, insegnanti e

autorità politiche sugli eventuali pericoli ai quali i ragazzi possono essere esposti nella pratica del loro

sport.

3.2 La violenza nello sport

Cominciamo a parlare citando uno degli episodi più spiacevoli del mondo sportivo, che ha avuto

luogo, nel 1985, allo stadio di Heysel e che ha spinto il Consiglio d'Europa a redigere la prima

Convenzione europea sulla violenza e i disordini degli spettatori. Entrata in vigore nel novembre 1985,

questa Convenzione costituisce uno dei pilastri nella lotta contro questi fenomeni in Europa.

La Convenzione riguarda principalmente il calcio, ma in linea generale interessa tutti gli sport. Essa

invita gli stati firmatari ad adottare misure concrete al fine di prevenire e controllare la violenza. La

Convenzione indica anche delle misure per identificare e agire legalmente contro i trasgressori.

Il Consiglio d'Europa s’impegna a monitorare l'applicazione dei provvedimenti elencati nella

Convenzione attraverso le visite di studio nei diversi stati che hanno già ratificato il testo. Queste

informazioni servono come base per stilare rapporti di valutazione, il cui obiettivo è misurare i progressi

realizzati in materia dai vari paesi. Durante la preparazione di eventi internazionali, come i Mondiali o il

Campionato Europeo, il Consiglio d'Europa organizza delle riunioni con i diversi attori responsabili

della sicurezza e cerca di coordinare la sua azione con quella degli stati firmatari della Convenzione

collaborando anche con l’UEFA, la FIFA e il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI).

SCOPO DELLA TESI

Troppo spesso nello sport si sente parlare di gare macchiate da doping, stratagemmi

opportunistici, match combinati, il tutto finalizzato all’incremento di prestazioni o introiti. A fare da eco

a questi episodi sono i media che non dovrebbero avere una funzione solo re-attiva, ossia riflettere i

problemi della nostra società, ma anche pro-attiva, cioè stimolante, educativa e innovativa. Di

soluzioni se ne possono trovare molte e possono essere leggi e norme che contrastano questi eventi,

controlli più frequenti, punizioni più severe nei confronti di chi sbaglia; potremmo andare avanti ancora

per escogitarne altre, ma può il cambiamento culturale essere la risposta al problema? Di certo il fair

play sarebbe il motore che porterebbe all’innovazione culturale dello sport. Questa parola è presente nei

discorsi di molti sportivi e non, ma evidentemente conosciuta e assimilata da pochi; probabilmente se

questa norma etica fosse nota a tutti si assisterebbe ad una diminuzione degli episodi negativi che

infangano il nome dello sport. Molto probabilmente i mezzi d’informazione di massa non sono i canali

più adatti alla diffusione dei principi del fair play, né tanto meno alla trasmissione degli stessi. Si tratta,

infatti, di valori etici e di etica dello sport, e, ogni volta che si parla di valori, essi non possono essere

semplicemente diffusi, ma trasmessi. Di conseguenza non possiamo escludere il concetto di educazione,

e quindi riferirci ai giovani e a tutti gli enti responsabili dell’educazione stessa. I candidati alla

promozione e alla trasmissione del fair play diventano perciò la famiglia, la scuola e le associazioni

ricreative, culturali e sportive.

Dai presupposti sopraccitati, si è scelto di testare il livello d’informazione tra i giovani e scoprire cosa

pensano, dividendo quest’ampia fascia d’età in base alla scuola che frequentano: quinto anno di scuola

primaria, triennio della scuola secondaria inferiore, quinquennio della scuola secondaria superiore,

Università e Corso di Laurea in Scienze Motorie. Non vi è l’intento di verificare le performance degli

studenti, ma quanto informati sono i giovani, e di conseguenza quanto possono fare in più gli enti

educativi per migliorare la trasmissione dei valori del fair play.

MATERIALI E METODI

Per l’indagine sono stati utilizzati più questionari autosomministrati a seconda della fascia d’età

coinvolta. Essi sono composti da 2 sezioni: la prima si riferisce ai dati anagrafici come il sesso, l’età, la

sede della scuola o il corso di laurea, l’eventuale sport praticato attualmente o in passato, e se

l’intervistato partecipa a gare, mentre per il rispetto della legge sulla privacy non è stato richiesto il

nome e il cognome; la seconda è composta da 10 a 28 domande a risposta chiusa singola o con

possibilità di scelta multipla.

I soggetti destinatari sono studenti del quinto anno di scuola primaria, del triennio della scuola

secondaria inferiore (o di primo grado), del quinquennio della scuola secondaria superiore (o di secondo

grado), dell’Università e del Corso di Laurea in Scienze Motorie. La zona territoriale del campione

esaminato riguarda Padova, la Riviera del Brenta e il Miranese, ove è stato presentato il questionario

direttamente presso le scuole; diversamente per gli studenti dell’Università si sono sfruttati i luoghi

come mense o aule studio, per gli studenti di Scienze Motorie il test è stato consegnato e compilato

durante le ore di lezione, dopo aver chiesto ai professori la disponibilità all’effettuazione dell’indagine

nella loro ora.

L’indagine risale alla primavera del 2009 e alcuni dati sono soggetti relativi solo a quel periodo.

L’INDAGINE

4.1 Attività fisica

La tabella sottostante presenta la situazione degli studenti coinvolti nella pratica dello sport.

Tabella 1 - quanti studenti praticano sport -

Sapere che almeno il 50% degli studenti di tutte le fasce prese in considerazione pratica sport è

importante in quanto ci fa capire che il campione di intervistati non è estraneo al mondo dello sport

dove nasce il fair play. Analizzando il grafico si nota che dalla scuola primaria alla scuola secondaria di

secondo grado abbiamo un calo del numero di studenti praticanti l’attività sportiva, ma fortunatamente

questa tendenza s’interrompe e nella fascia degli universitari si nota una buona ripresa.

Ora verifichiamo quanti studenti sono coinvolti attualmente in gare, ovvero quanti sanno cosa vuol dire

mettersi in competizione con altri e cercare di vincere.

Tabella 2 - studenti che partecipano a gare sportive -

Nella scuola primaria si può notare che abbiamo il 50% dei bambini che gareggiano con altri

coetanei, mentre nelle altre fasce d’età si riscontra una progressiva diminuzione della partecipazione

alle gare. Si passa da un 43% della scuola secondaria di primo grado, al 30% della scuola secondaria di

secondo grado, al 25% dell’università. Discorso a parte merita l’analisi del campione di laureandi in

Scienze Motorie che presenta un 43% di studenti che partecipano a competizioni sportive.

Confrontando i due grafici, vediamo che alla voce università c’è sì una buona percentuale di

persone che fanno attività sportiva, ma nella stessa fascia abbiamo una bassa percentuale di studenti che

partecipano a gare. Dai questionari è emerso che una buona fetta di persone frequenta centri fitness,

ecco spiegato il motivo di come ci sia questa differenza tra un grafico e l’altro.

4.2 Fair play

Di fair play ne abbiamo parlato nell’introduzione, analizzando la sua traduzione e il suo

significato, ma non sappiamo ancora il livello di conoscenza tra gli studenti. Vediamo ora quanti

intervistati hanno mai sentito nominare questo termine, cosa secondo loro vuol dire e come lo

tradurrebbero in lingua italiana. Sono stati chiamati, inoltre, a rispondere a domande più dettagliate, per

esempio riguardanti quali concetti possono rientrare nei principi del fair play o quali persone sono

maggiormente chiamate in causa per dare l’esempio. Nella parte finale analizzeremo alcuni pareri

personali e troveremo argomentazioni sull’esperienza vissuta da questi ragazzi nella loro vita sportiva.

I prossimi grafici ci illustreranno tutta l’elaborazione dei dati raccolti e potremmo realmente

avere un quadro generale della situazione della conoscenza degli studenti in merito al fair play.

Tabella 3 - studenti che hanno già sentito parlare di fair play -

Dai dati raccolti e riportati in questo grafico è evidente che la parola fair play è nota a molti:

circa il 60% di tutti gli intervistati l’ha sentito nominare almeno una volta. Un dato che salta all’occhio

è il 15% degli studenti di Scienze Motorie che non lo ha mai sentito nominare, cosa che stupisce molto

vista l’indirizzo di studio di questo Corso di Laurea.

Tabella 4 - valutazione dell'informazione -

In questi grafici è rappresentato il livello di conoscenza riguardante il fair play tra gli sportivi e

tra le persone che non praticano sport espresso dalle valutazioni fornite dagli intervistati. È stata

proposta una scala di valutazioni tradotta poi numericamente che riportiamo qui sotto:

VALUTAZUIONI NUMERI BASSO 1

QUASI SUFFICIENTE 2

SUFFICIENTE 3

BUONO 4

ALTO/OTTIMO 5

Da questi dati è evidente che gli studenti considerano il livello molto basso non solo tra le

persone comuni, ma anche tra gli sportivi: né in un caso né nell’altro la media delle valutazioni arriva

alla sufficienza.

Ora verifichiamo se il parere qui sopra espresso coincide con la realtà. Analizzeremo dapprima la

traduzione del termine da parte degli intervistati e successivamente cosa, secondo loro, significa fair

play.

Tabella 5 - significato di fair play -

Tabella 6 - traduzione di fair play – definizione di fair play -

Si è scelto di proporre una sola domanda sul significato della parola fair play agli studenti della

scuola primaria per una presentazione del quesito in maniera più semplice. Per quelli dalla scuola

secondaria di primo grado in poi sono stati proposti prima un quesito sulla traduzione del termine in

questione e successivamente uno che chiedeva la sua definizione. Nella prima domanda era possibile

scegliere solo una risposta, mentre nella seconda si potevano scegliere anche più risposte atra quelle

elencate. Al primo posto tra le scelte degli intervistati c’è la risposta “gioco corretto” come traduzione

letterale del termine, mentre lealtà si trova al secondo posto, e possiamo affermare che quest’ultima è la

traduzione in un italiano più fluente. Pochi hanno scelto “gioco perfetto” o “gioco organizzato”, ovvero

le uniche due risposte lontane da quelle corrette. Analizzando i grafici sulla definizione di fair play

notiamo che vi è una progressiva riduzione delle percentuali di risposte sbagliate (“non farsi male” e

“organizzare incontri sportivi”), ma è poco comprensibile quel 5% di studenti di Scienze Motorie che

hanno considerato il “non farsi male” come possibile significato. “Lealtà” è il termine più corretto e la

stragrande maggioranza delle risposte totali coincide con questo. Da tenere in considerazione, anche,

l’opzione “vincere rispettando le regole”, diversa dal semplice “rispettare le regole”, in quanto include

la componente agonistica che analizzeremo nel prosieguo del trattato. Da questo dato possiamo

affermare che molti studenti ritengono che la competizione è una componente dello sport e avremo

conferma di ciò con i risultati di alcuni grafici che vedremo più avanti.

Pur avendo constatato che gli studenti considerano il livello di conoscenza del fair play non

sufficiente, possiamo affermare che una buona percentuale degli stessi studenti ha saputo dare risposte

corrette sia per quanto riguarda la traduzione che per quanto riguarda il significato da attribuire al

termine. Senza ombra di dubbio siamo di fronte a dati positivi, che hanno potuto dare i giusti

presupposti per una compilazione adeguata a tutto il questionario; diversamente i risultati successivi

sarebbero stati completamente inutili.

4.3 I principi, i danni allo sport e gli esempi da seguire

Verificato che l’argomento fosse chiaro ai più, la nostra indagine prosegue con ciò che

caratterizza il fair play, ossia i principi sui quali si fonda. Analizzeremo anche cosa può danneggiare lo

sport, quali sono le persone più adatte a promuovere il fair play e cosa è possibile fare per tutelare la

correttezza dentro e fuori dai perimetri di gara.

Tabella 7 - beneficienza è uno dei principi del fair play? -

Il grafico sopra proposto rappresenta una scala di valutazioni espresse dagli intervistati alla

domanda che chiedeva quanto potesse rientrare il concetto di beneficienza nei principi di fair play. I

giudizi espressi dagli intervistati sono stati tradotti in numeri dall’1 al 6 in questo modo:

VALUTAZIONE NUMERO Per niente 1 Poco 2 Abbastanza 3 In buona misura 4 Molto 5 Moltissimo 6

Possiamo notare che dalla prima fascia d’intervistati all’ultima vi è un notevole decremento della

valutazione, ma di questo avremo modo di approfondire più avanti quando parleremo della F.I.F.A. e

dell’iniziativa che promuove da un paio d’anni a questa parte.

Tra i quesiti proposti vi è quello che chiede quali concetti posso rientrare tra i principi del fair

play. Dall’elenco che riportiamo qui sotto gli studenti potevano scegliere anche più di una risposta:

Migliorare la condizione di vita nel mondo

Promuovere il rispetto delle regole

Contrastare il razzismo

Praticare sport senza farsi male

Migliorare le condizioni fisiche personali

Contrastare la diffusione del doping e della droga

Contrastare la violenza

Tabella 8 - principi del fair play -

I risultati sono indubbiamente interessanti: “promuovere il rispetto delle regole” è l’opzione con

più preferenze mentre la percentuale di risposte che supportano “contrastare il razzismo” non sembra

essere molto quotata rispetto alla sua reale importanza; progressivo è l’aumento dell’opzione

“contrastare il doping e la droga”, mentre tende a sparire la risposta “migliorare le condizioni di vita nel

mondo”; sono degli abbagli, invece, il “migliorare le condizioni fisiche personali” e il “non farsi male in

sport, che però hanno delle buone considerazioni.

Dopo questa importante parte è stato curioso sapere in che misura il fair play fosse stato

benefico per l’individuo che pratica sport, per le organizzazioni sportive e per la società in cui viviamo

nel suo complesso.

Tabella 9 - quant'è benefico il fair play? -

Fornendo una scala di valutazioni, tradotta poi in numeri dall’1 al 6, le ultime tre fasce di

intervistati hanno risposto alla domanda sopracitata. Risultati chiarissimi indicano che il parere degli

studenti è sicuramente indirizzato a un giudizio positivo. La tabella sottostante illustra la scala di

valutazioni:

VALUTAZIONE NUMERO Per niente 1 Poco 2 Abbastanza 3 In buona misura 4 Molto 5 Moltissimo 6

La stessa scala di valutazioni è stata utilizzata per dare un giudizio al fair play e per sapere

quanto esso contribuisce a dare una buona reputazione allo sport. I risultati riportati nel grafico

sottostante indicano che il parere degli studenti è positivo e i giudizi crescono dalla scuola secondaria di

primo grado fino al corso di Scienze Motorie. Questo incremento ci permette comunque di affermare

che il livello di reputazione che dà il fair play è sicuramente alto.

Tabella 10 - fair play dà buona reputazione allo sport? -

Dopo aver analizzato tutta la positività che ha in serbo il fair play, è giunto il momento di

presentare ciò che può danneggiare lo sport. Nei prossimi grafici avremo di fronte il quadro dei

potenziali atti che arrecano danno allo sport.

Tabella 11 - i potenziali atti dannosi per lo sport -

Interesantissimi risultati ha dato il quesito a risposta multipla che invitava gli studenti a scegliere

quali elementi possono arrecare danno allo sport. I primi due grafici non hanno tutte le opzioni perché si

è voluto agevolare le due fasce di intervistati con una presentazione più semplice. Si sono tenuti, però

gli stessi colori in modo tale da rendere più facile il confronto. Analizzando i dati del primo grafico

notiamo che gli studenti della scuola primaria non gradiscono chi approfitta o le distrazioni dell’arbitro

o degli infortuni degli avversari, ma soprattutto, con un buon 27% di risposte, essi considerano il fare

finta di avere male per fermare un’importante azione avversaria uno degli elementi più dannosi.

Tra i dati della seconda fascia di intervistati, diversi da quelli della prima, emerge un 14% attribuito alla

voce “interessi economici” considerati dannosi per lo sport , “mentre vincere” e “alta competizione”

stanno al 5% e al 4%. Questi ultimi due si riducono rispettivamente al 2% e al 3% nel grafico della

scuola secondaria di secondo grado.

Quello che emerge confrontando i grafici degli intervistati sostanzialmente della stessa età, ovvero

Università e Scienze Motorie, è che il vincere detiene un importante 13% tra i primi e 0% tra i secondi.

Gli studenti di Scienze Motorie, infatti, considerano più dannosi gli interessi economici (16%) rispetto

al vincere o all’alta competizione (1%). Sta di fatto che in tutti i grafici si nota che la voce “razzismo”

detiene all’incirca un 20%.

Non possiamo proseguire senza scoprire chi dovrebbe dare l’esempio ai nostri giovani studenti,

al fine di avere sempre una situazione corretta e leale nel mondo dello sport. Ecco proposto prima il

confronto tra grafici delle prime due fasce d’intervistati, e successivamente il confronto tra i dati delle

ultime tre fasce.

Tabella 12 - chi dovrebbe dare l'esempio? - scuola primaria - scuola secondaria di primo grado -

Analizzando i dati rilevati tra gli studenti della scuola primaria e quelli della scuola secondaria

di primo grado, notiamo che il maggior promotore del fair play nonché esempio da seguire è

l’allenatore; risultato forse scontato. Non si può dire lo stesso del dato riguardante i personaggi tv: si

passa dal 6% al 18%, percentuale triplicata dalla quale si evince che il loro ruolo è sentito molto da

parte dei ragazzini del secondo gruppo preso in esame.

Tabella 13 - chi dovrebbe dare l'esempio? - scuola secondaria di secondo grado - università - scienze motorie -

Altre variabili e altri risultati tra gli studenti della scuola secondaria di secondo grado,

l’università e Scienze Motorie. Gli allenatori, assieme ai direttori tecnici, restano i più gettonati come

promotori del fair play ed esempi da seguire. I dati evidenti sono, però, quelli riguardanti l’importanza

del ruolo dei medici e collaboratori che, se per la terza e la quinta fascia d’intervistati sono

rispettivamente all’1% e al 4%, tra le risposte degli studenti universitari hanno un peso del 9%. Curioso

è il dato degli studenti della scuola secondaria di secondo grado che con il 12% delle risposte

attribuiscono una consistente responsabilità agli arbitri.

In casi di violenza, stratagemmi come il doping o la droga, partite truccate e altre situazioni che

infangano lo sport, spesso ci si chiede come possa essere permesso tutto ciò. E se un aiuto dello Stato

con leggi adeguate fosse un supporto per contrastare tutto questo?

Tabella 14 - l'impegno di un governo -

Sono riportati qui sopra i risultati delle risposte alla domanda “In che misura ritieni che leggi

statali adeguate, ovvero l’impegno del Governo di un Paese, possano supportare tutti gli enti e tutti i

soggetti coinvolti nella diffusione e nel rispetto della lealtà sportiva?”. Dominante in tutte e tre le

situazioni la risposta “parzialmente”, ma ciò che conta è l’aumento della risposta “molto” dal 16% al

40-43% e la riduzione della risposta “per niente” dal 15-16% all’8%; evidentemente è considerato

importante il supporto di leggi che tutelino lo sport e la sua purezza. A supporto di tutto ciò possiamo

ricordare come in Inghilterra l’aiuto del Governo portò a salvare il calcio dagli hooligans e a rendere la

Premier League uno dei campionati più belli del mondo.

4.4 Fair Play: un impegno della F.I.F.A.

Forse pochi sanno che la F.I.F.A. ha dato vita ad un impegno ufficiale chiamandolo proprio Fair

Play. Si è voluto verificare quanto vera è questa frase e quali obiettivi sarebbe disposta a raggiungere.

Tabella 15 - fair play movimento f.i.f.a. –

Su 481 intervistati 59 studenti affermano di sapere che la F.I.F.A. ha nominato “Fair Play” un

impegno ufficiale per aumentare l'etica all'interno del calcio e per prevenire la discriminazione in questo

sport e 422 sono all’oscuro di questa iniziativa, confermando il pensiero espresso sopra. Gli intenti del

Fair Play comunque, esulano dal mero contesto calcistico: oltre a cercare di ridurre il razzismo

all'interno del calcio, il Fair Play è il supporto che la FIFA dà alle organizzazioni che cercano di

migliorare le condizioni di vita nel mondo.

Di seguito viene proposto lo schema dei grafici riguardanti i pareri espressi dagli studenti

quando sono stati interpellati per attribuire al movimento chiamato “Fair Play” gli impegni che

dovrebbe raggiungere.

Tabella 16 - cosa deve promuovere? -

Come detto sopra, il “Fair Play” non agisce solo nel contesto calcistico, ma anche nell’ambito

della beneficienza e dell’etica in generale. La risposta con maggiore percentuale su tutte e tre le fasce

d’intervistati è “invitare ad un atteggiamento moralmente corretto” e possiamo affermare che rientra

negli impegni che questo movimento vuole raggiungere. Pareri contrastanti tra gli studenti

sull’argomento razzismo: se per gli intervistati della scuola secondaria di secondo grado e per quelli di

Scienze Motorie la risposta “contrastare il razzismo” oscilla tra il 12% e il 18%, per quelli

dell’università l’impegno di eliminare la xenofobia non è tra i principali obiettivi che il “Fair Play”

intende conseguire. Se poi prendiamo in considerazione l’intento di migliorare le condizioni di vita nel

mondo, la percentuale delle risposte si abbassa dal 9% al 7% fino al 3 %. I risultati di questi tre grafici

confermano il primo: una esigua fetta di persone era a conoscenza del movimento fondato dalla F.I.F.A.

4.5 Il terzo tempo

Tabella 17 - terzo tempo -

Il grafico ci mostra quanti intervistati hanno mai sentito parlare di terzo tempo. Delle quattro

fasce di studenti prese in considerazione, solo quella degli universitari presenta un livello

d’informazione inferiore al 50%, mentre considerando il totale notiamo che le risposte affermative

superano il 60%. Ora la domanda sorge spontanea: quanti sanno veramente che cos’è il terzo tempo?

Tabella 18 - significato di terzo tempo -

Questo quesito ha fatto emergere il livello di conoscenza per quanto riguarda il terzo tempo. Per

chi non lo conoscesse è un’usanza nata nei campi di rugby e consiste nel mangiare assieme agli

avversari dopo la partita. Col passare degli anni si è iniziato a chiamare terzo tempo anche il saluto a

tutti gli avversari e ai direttori di gara com’è d’usanza nel tennis e nella pallavolo. Purtroppo questa

pratica non è molto conosciuta tra i bambini della scuola primaria, confusa forse con i tempi

supplementari o con il nuovo regolamento calcistico che prevede tre tempi nella categoria pulcini.

Considerando esatte le prime due risposte, possiamo dire che il 50% degli studenti della scuola

secondaria di primo grado conoscono il terzo tempo. Se nella scuola secondaria di secondo grado c’è un

ottimo livello di conoscenza con una ridotta percentuale di risposte errate, tra gli studenti universitari

emerge un dato pesante: il 16% delle risposte dicono che il terzo tempo sia un’altra frazione di gioco

per coloro i quali non hanno giocato e il 30% un altro tempo in caso di pareggio. Dei dati degli studenti

di scienze motorie non parliamo delle risposte esatte (41% e 47%) ma di quel 12% di risposte errate:

6% per “fare un altro tempo in caso di parità” e 6% per “altro tempo per chi non ha giocato”.

Francamente chi scrive non si sarebbe mai aspettato queste risposte dai laureandi in Scienze Motorie.

Per un’analisi ancora più approfondita è opportuno scoprire quante persone sanno da quale sport

proviene il terzo tempo.

Tabella 19 - da quale sport proviene il terzo tempo -

La domanda è stata formulata in questo modo: ” Secondo te da quale/i sport proviene il terzo

tempo?”, implicando la possibilità di due o più risposte. Così facendo parte degli intervistati ha

espresso più di una preferenza, ma sta di fatto che una su tutte è da considerarsi la più adeguata:

“rugby”. In questo sport rientrano sia l’usanza di salutare tutti gli avversari che l’usanza di mangiare

assieme a loro al termine della partita. Accettabile è anche la tesi che attribuisce alla pallavolo il saluto

a tutti gli avversari e ai direttori di gara, tra l’altro utilizzando un sistema preciso senza esclusioni: i

giocatori si danno una stretta di mano, trovandosi fianco a fianco, passando lateralmente la rete di gioco

concludendo con gli arbitri. Per quanto riguarda gli altri sport non si esclude la presenza del terzo

tempo, ma di sicuro non possiamo attribuire a loro la sua provenienza. I risultati dei grafici parlano

chiaro: solo i laureandi in Scienze Motorie hanno dato più risposte corrette, anche se sembra strano che

l’opzione “calcio” con il 7% superi l’opzione “pallavolo” che ha il 6% delle preferenze.

Ed è proprio di calcio che andiamo a parlare ora; più precisamente di come viene rispettato il

terzo tempo nello sport più famoso del mondo.

Il terzo tempo inteso come saluto a tutti gli avversari e ai direttori di gara da farsi in ogni partita

viene spesso citato nel calcio, ma come viene applicato? Tra le risposte a questa domanda solo una è

sbagliata: perfettamente. Comprensibile è il 16% delle risposte errate degli studenti della scuola

secondaria di primo grado visti anche gli errori sulla definizione di terzo tempo, diminuite poi negli

studenti della fascia successiva. Non si capisce, però, come gli studenti universitari abbiano espresso

l’1% delle risposte sbagliate e per i laureandi in Scienze Motorie gli errori arrivino al 4%: forse sono

stati intervistati in un momento in cui vi era un calo di concentrazione?

4.6 Le esperienze degli studenti

Viene proposto un argomento breve, caratterizzato da due domande che mirano a svelate le

esperienze sportive degli intervistati. La prima chiede se agli studenti è mai capitato di sentirsi dire da

persone più grandi (dirigenti, allenatori, genitori…) di giocare per divertirsi e accettare la sconfitta, ma

notare in loro un atteggiamento totalmente opposto alle dichiarazioni. La seconda chiede se agli studenti

è mai capitato di essere stati obbligato a non rispettare le regole o gli avversari pur di vincere.

Nell’ordine, presentiamo i due grafici:

Tabella 20 - educatori che raccomandano di giocare per divertirsi e comportarsi in maniera opposta alla

dichiarazione -

Da questo grafico non si evince una logica di sviluppo del problema in quanto notiamo che nella

scuola primaria abbiamo il 40% delle risposte affermative, per poi passare all’90% della scuola

secondaria di primo grado, scendendo a circa 50% della secondaria e 40% dell’Università. Sta di fatto

che il problema c’è ed è alto nell’età adolescenziale, ovvero quella dei cambiamenti non solo personali

ma anche dello sport, in quanto ci si avvicina sempre di più alla modalità di gioco regolamentare.

Tabella 21 - quanti sono stati esortati a non rispettare le regole e/o gli avversari pur di vincere -

Questo grafico mostra i risultati della seconda domanda. Se nella prima colonna le risposte

affermative sono sotto il 20%, e nelle ultime tre queste oscillano tra poco più del 20% e il 30%, tra gli

studenti della scuola secondaria di primo grado è presente un pesante 80%. Non sappiamo spiegarci il

motivo di questo risultato, sta di fatto che la situazione non è affatto positiva dato che dobbiamo

considerare che tra le risposte negative ci sono anche quelle di chi non ha mai fatto sport.

Riteniamo importante, a questo punto, riportare la carta dei diritti del ragazzo nello sport, al fine di

presentare i principi importanti che un giovane deve sempre avere senza condizioni.

Carta dei Diritti del Ragazzo nello Sport

o Diritto di divertirsi e di giocare;

o Diritto di fare sport;

o Diritto di beneficiare di un ambiente sano;

o Diritto di essere trattato con dignità;

o Diritto di essere circondato e allenato da persone competenti;

o Diritto di seguire allenamenti adeguati ai suoi ritmi e di avere i giusti tempi di riposo;

o Diritto di misurarsi con giovani che abbiano le medesime probabilità di successo;

o Diritto di partecipare a competizioni adatte alla sua età;

o Diritto di praticare il suo sport in assoluta sicurezza;

o Diritto di non essere un campione.

4.7 Le idee degli studenti

I tre grafici qui sotto riportano i risultati delle risposte a una domanda che implicava una risposta

prettamente personale. Questa prendeva spunto da un’intervista di qualche anno fa all’allenatore di una

nota squadra di serie A, durante la quale affermò di aver invitato i suoi giocatori a non fermare il gioco

volontariamente qualora ci fosse stato un avversario a terra.

Tabella 22 - se un giocatore è a terra continuo a giocare? -

Gli studenti sono stati invitati a giudicare questo atteggiamento scegliendo tra le risposte

riportate qui sotto:

1. totalmente in disaccordo; ci si dovrebbe fermare sempre quando un avversario si trova a terra, fa

parte di una norma morale;

2. d’accordo nei casi in cui il giocatore si accorge che l’avversario sta fingendo il dolore;

3. pienamente d’accordo; questo atteggiamento non è richiesto da nessuna norma e il regolamento

parla chiaro: fermare il gioco in questi casi fa parte di una discrezione dell’arbitro.

In tutte e tre le fasce almeno un terzo degli intervistati è in totale disaccordo con il concetto espresso

dall’allenatore, mentre tra il 40% e il 50% delle risposte troviamo un’approvazione della dichiarazione

solo nel caso in cui ci si accorge che l’avversario sta fingendo il dolore. Notiamo infine che in tutti i

grafici che chi è pienamente d’accordo con il pensiero sopra menzionato si trova sempre in minoranza

rispetto alle altre due risposte.

“Indipendentemente da ciò che è moralmente giusto o sbagliato, saresti disposto a fare uno

strappo alle regole pur di portare a casa un risultato positivo?”. Con questa domanda volta a sondare

l’indole degli intervistati e a scoprire quanto la voglia di risultato positivo supera l’onestà in campo,

ovvero il fair play scopriamo dei dati molto interessanti.

Tabella 23 - quanti sono disposti a fare uno strappo alle regole pur di ottenere un risultato positivo -

Notiamo che più del 50% degli studenti della scuola secondaria di secondo grado farebbero uno

strappo alle regole pur di vincere, mente la percentuale si abbassa man mano che passiamo di categoria

in categoria, senza abbassarsi, però, sotto il 33%. Possiamo concludere, guardando le somme nella

colonna del totale, affermando che il 40% degli studenti non rispetterebbe il fair play pur di ottenere un

risultato positivo e questo rende molto difficile la diffusione e la tutela della lealtà in gara.

CONCLUSIONI

L’indagine, ricca di dati, ha mostrato un quadro generale della situazione tra gli studenti. L’attività

fisica è praticata, ma progressivamente diminuisce la partecipazione alle gare con il rischio di non

conoscere o definire il fair play. Abbiamo visto questo non si è verificato così pesantemente, ma anzi, le

scelte errate sono in quantità ridotte rispetto a quelle corrette. Senza dubbio, il fair play dà una buona

reputazione allo sport e chi dovrebbe trasmettere i valori dello stesso sono gli educatori, in primis gli

allenatori, che con il loro ruolo fanno da esempio a tutti i giovani atleti. Tuttavia le esperienze di alcuni

studenti hanno evidenziato come ci siano stati casi ove si è verificato un comportamento non corretto da

parte degli allenatori, e questo non è un buon segno visto che, indipendentemente dalla loro formazione,

tutti sono chiamati a dimostrare uno spirito leale e corretto, ovvero sportivo. Il Codice di Etica Sportiva

si esprime in merito, considerando responsabili per il fair play tutte le singole persone, ossia genitori,

insegnanti, allenatori, arbitri, giudici di gara, dirigenti sportivi, amministratori, giornalisti, medici e

farmacisti, compresi gli atleti di alto livello che costituiscono modelli di comportamento. I dati

confermano che, pur non conoscendo questo Codice, gli studenti sostengono che tutti coloro che

operano nello sport sia su base volontaria, sia professionistica, compresi gli spettatori, possono

assumere una responsabilità rispetto al fair play.

In casi di problematiche più gravi, gli studenti considerano importante un intervento di leggi statali che

siano indirizzate a tutelare e difendere lo sport e i sui valori. Questo risultato conferma ciò che ha

sottolineato il Codice di Etica Sportiva citando i Governi tra i responsabili di tutela e sostegno del fair

play.

Interessanti, poi, sono stati i risultati sul terzo tempo, sulla sua entità e sulle sue origini, dai quali è

emerso che nel calcio non vi è un’applicazione corretta e costante, come invece dovrebbe essere dopo la

decisione del Consiglio di Lega nel 2007.

Non con percentuali altissime, abbiamo visto che più di qualcuno sarebbe disposto a fare uno strappo

alle regole pur di portare a casa un risultato positivo, ma preferiamo fare un plauso a tutti quelli che

hanno dato una risposta negativa al quesito. Le risposte al quesito che chiedeva se era giusto continuare

a giocare con un avversario a terra e attendere l’eventuale fischio dell’arbitro per fermarsi hanno dato i

seguenti risultati: circa un 20% degli intervistati è d’accordo, approssimativamente la metà

continuerebbe solo se il giocatore avversario facesse finta di aver male e almeno un terzo di loro è in

totale disaccordo. Siamo al cospetto di due eventi dannosi per lo sport: il disinteresse per gli avversari

infortunati e la simulazione del dolore acuto. In entrambi i casi ci sono norme nel regolamento

finalizzate a limitare questi episodi, ma solo il fair play può risolvere le due problematiche perché, come

disse Candido Cannavò, il fair play è atteggiamento spirituale, voce che dal di dentro suggerisce cosa

fare; esso non può diventare norma regolamentare da gestire come, per esempio, un fuorigioco.

Oltre all’indagine, si è voluto presentare anche uno spirito positivo, evitando denunce sugli eventi che

screditano lo sport. Questa posizione non è stata presa per chiudere gli occhi davanti a scene,

sportivamente parlando, poco nobili, ma per aprirli a tutte le iniziative mirate alla valorizzazione dello

sport e del fair play. Di anno in anno si stanno intensificando le proposte per preservare i valori che lo

sport ha in serbo e per promuovere l’idea di lealtà come concetto inseparabile dallo sport. Per sostenere

lo sviluppo di una morale sportiva sono stati istituiti anche dei premi assegnati agli atleti, alle squadre,

ai dirigenti, alle tifoserie e agli arbitri in base al comportamento dentro e fuori dal campo.

Il quadro generale è chiaro: una buona percentuale della nuova generazione ha dimostrato di conoscere

almeno a grandi linee il fair play; sebbene alcuni non lo conoscessero, tutti hanno provato a definire

quali sono i suoi principi e quanto è benefico per lo sport. Analizzando anche i pareri e le esperienze

personali c’è ancora molto da fare per portare tutto secondo i canoni di un gioco il più possibile

corretto, ma le prospettive sono positive. Abbiamo molta fiducia in questi ragazzi.

Allegati

1.1 Questionario scuola primaria

Questionario sul fair play Età:________ Sesso:_________ Sede della scuola:_________________________

Hai mai fatto sport? [si] [no]

Se si quale?

Basket Per quanti anni?_____________

Rugby Per quanti anni?_____________

Pallavolo Per quanti anni?_____________

Calcio Per quanti anni?_____________

Tennis Per quanti anni?_____________

Atletica Per quanti anni?_____________

Nuoto Per quanti anni?_____________

Altro____________________________ Per quanti anni?_____________

Attualmente fai sport? [si] [no] Se sì, quale? __________________________Fai gare? [si] [no]

1. Hai mai sentito parlare di fair play?

[si] [no]

2. Secondo te cosa vuol dire la parola fair play?

Lealtà

Onestà

Gioco corretto

Giocare senza farsi del male

Cercare di vincere rispettando le regole

Giocare senza imbrogliare

3. Ti è mai capitato di essere stato obbligato a non rispettare le regole o gli avversari pur di

vincere?

[si] [no]

4. Secondo te, quali tra queste cose possono danneggiare lo sport?

Arrabbiature degli allenatori o dei genitori per una partita

Razzismo

Approfittare delle distrazioni dell’arbitro

Approfittare degli infortuni degli avversari

Fare finta di avere male per fermare un’azione avversaria pericolosa per la tua squadra

vincere

5. Quali tra queste persone dovrebbero insegnare il fair play o dare l’esempio?

Mamma

Papà

Maestra

Allenatore

Dirigente/accompagnatore

Fratelli/sorelle

Personaggi tv

6. Ti è mai capitato di sentirti dire da persone più grandi (dirigenti, allenatori, genitori…) di giocare

per divertirti e poi vedere loro arrabbiarsi x il risultato e fare di tutto per vincere?

[si] [no]

7. Hai mai sentito parlare del “terzo tempo”?

[si] [no]

8. Se hai risposto sì alla domanda precedente, qual’é il significato di questa parola?

Fare un altro tempo dopo i due regolamentari per far entrare chi non ha giocato

Trovarsi con gli avversari dopo la partita e mangiare assieme a loro

Salutare ogni elemento della squadra avversaria

In caso di pareggio, fare un altro tempo per trovare il vincitore

9. Secondo te da quale sport proviene?

Basket

Rugby

Pallavolo

Calcio

Tennis

Atletica

Nuoto

10. Nelle tue esperienze sportive hai mai fatto il terzo tempo?

[si] [no]

1.1 Questionario scuola secondaria inferiore

Questionario sul fair play Età:________ Sesso:_________ Sede della scuola:_________________________

Hai mai fatto sport? [si] [no]

Se si quale?

Basket Per quanti anni?_____________

Rugby Per quanti anni?_____________

Pallavolo Per quanti anni?_____________

Calcio Per quanti anni?_____________

Tennis Per quanti anni?_____________

Atletica Per quanti anni?_____________

Nuoto Per quanti anni?_____________

Altro____________________________ Per quanti anni?_____________

Attualmente fai sport? [si] [no] Se sì, quale? __________________________Fai gare? [si] [no]

1. Hai mai sentito parlare di fair play?

[si] [no]

2. Con quale parola tradurresti fair play?

Gioco corretto

Lealtà

Gioco perfetto

Onestà

3. Conosci il vero significato di questa parola?

[si] [no]

4. Quali tra questi definizioni si avvicina di più al significato di fair play? (una o più risposte)

Giocare senza farsi del male

Cercare di vincere rispettando le regole

Lealtà

Rispettare le regole

Giocare senza imbrogliare

5. Come reputi il livello di conoscenza del fair play tra coloro che praticano attività sportiva?

Basso

Quasi sufficiente

Sufficiente

Buono

Alto/ottimo

6. Indipendentemente dal loro interesse verso lo sport, come reputi il livello di conoscenza del fair

play tra le persone?

Basso

Quasi sufficiente

Sufficiente

Buono

Alto/ottimo

7. Quali tra questi concetti ritieni che possano rientrare tra i principi del fair play? (una o più

risposte)

Migliorare la condizione di vita nel mondo

Promuovere il rispetto delle regole

Contrastare il razzismo

Praticare sport senza farsi male

Migliorare le condizioni fisiche personali

8. In che misura credi che il fair play apporti una buona reputazione allo sport?

Poco

Sufficientemente

Abbastanza

Molto

Moltissimo

9. Quali tra questi soggetti dovrebbero impegnarsi a promuovere e a far rispettare il fair play? (una

o più risposte)

Mamma

Papà

Maestra

Allenatore

Dirigente/accompagnatore

Fratelli/sorelle

Personaggi tv

10. Quali tra questi elementi consideri potenziali atti che arrecano danno allo sport? (una o più

risposte)

Arrabbiature degli allenatori o dei genitori per il risultato negativo della partita

Razzismo

Approfittare delle distrazioni dell’arbitro

Approfittare degli infortuni degli avversari

Fare finta di avere male per fermare un’azione avversaria potenzialmente pericolosa per la

propria squadra

Vincere

Alta competizione

Interessi economici

11. In che misura ritieni possibile che il concetto di beneficienza rientri nei principi del fair play?

Per niente

Poco

Abbastanza

In buona misura

Molto

Moltissimo

12. Hai mai sentito parlare del “terzo tempo”?

[si] [no]

13. Potendo scegliere tra le opzioni sotto elencate, quali si avvicinano di più al significato di questo

concetto?

Al termine della partita, incontrare gli avversari per mangiare assieme a loro

Salutare ogni elemento della squadra avversaria nonché i direttori di gara prima di lasciare il

campo

In caso di pareggio, fare un altro tempo per trovare il vincitore

Accordo tra società per far giocare in quel tempo tutti gli elementi che non sono scesi in

campo nei 2 regolamentari

14. Secondo te da quale sport proviene?

Basket

Rugby

Pallavolo

Calcio

Tennis

Atletica

Nuoto

15. Nelle tue esperienze sportive hai mai fatto il terzo tempo?

[si] [no]

16. Secondo te, in che tipo sport sono presenti fair play e terzo tempo?

Solo in sport con contatto fisico

Solo in sport di squadra

Solo in sport di squadra con contatto fisico

Solo in sport individuali con contatto fisico

In tutti gli sport senza distinzioni

17. In quali di questi sport reputi assenti fair play e terzo tempo e ritieni importante inserirli? (una o

più risposte)

Basket

Rugby

Pallavolo

Calcio

Tennis

Atletica

Nuoto

18. Come pensi sia rispettato il terzo tempo nel calcio?

In maniera perfetta

Non è ancora stato assimilato da tutte le squadre/persone

Se ne parla molto, ma non viene applicato sempre/correttamente

Non viene applicato

19. Nelle tue esperienze sportive, ti è mai capitato di essere stato obbligato a non rispettare le

regole o gli avversari pur di vincere?

[si] [no]

20. Nelle tue esperienze sportive, ti è mai capitato di sentirti dire da persone più grandi (dirigenti,

allenatori, genitori…) di giocare per divertirti ed accettare la sconfitta, ma notare in loro un

atteggiamento totalmente opposto alle loro dichiarazioni?

[si] [no]

1.3 Questionario scuola secondaria superiore, Università, Scienze Motorie

Questionario sul fair play Età:________ Sesso:_________ Sede della scuola:_________________________

Hai mai fatto sport? [si] [no]

Se si quale?

Basket Per quanti anni?_____________

Rugby Per quanti anni?_____________

Pallavolo Per quanti anni?_____________

Calcio Per quanti anni?_____________

Tennis Per quanti anni?_____________

Atletica Per quanti anni?_____________

Nuoto Per quanti anni?_____________

Altro____________________________ Per quanti anni?_____________

Attualmente fai sport? [si] [no] Se sì, quale? __________________________Fai gare? [si] [no]

1. Hai mai sentito parlare di fair play?

[si] [no]

2. Con quale parola tradurresti il termine fair play?

Gioco corretto

Lealtà

Gioco perfetto

Onestà

Gioco organizzato

3. Conosci il vero significato di questa parola?

[si] [no]

4. In base alle risposte precedenti, quali tra queste definizioni si avvicina di più al significato di fair

play? (una o più risposte)

Giocare senza farsi del male

Cercare di vincere rispettando le regole

Lealtà

Rispettare le regole

Giocare senza imbrogliare

Organizzare correttamente incontri sportivi

5. Come reputi il livello di conoscenza del fair play e informazione a riguardo tra coloro che

praticano attività sportiva?

Basso

Quasi sufficiente

Sufficiente

Buono

Alto/ottimo

6. Indipendentemente dal loro interesse verso lo sport, come reputi il livello di conoscenza del fair

play e informazione a riguardo tra le persone?

Basso

Quasi sufficiente

Sufficiente

Buono

Alto/ottimo

7. Quali tra questi concetti ritieni che possano rientrare tra i principi del fair play? (una o più

risposte)

Migliorare la condizione di vita nel mondo

Promuovere il rispetto delle regole

Contrastare il razzismo

Praticare sport senza farsi male

Migliorare le condizioni fisiche personali

Contrastare la diffusione del doping e della droga

Contrastare la violenza

8. In che misura ritieni possibile che il concetto di beneficienza rientri nei principi del fair play?

Per niente

Poco

Abbastanza

In buona misura

Molto

Moltissimo

9. In che misura ritieni che il fair play sia benefico per l’individuo che pratica sport, per le

organizzazioni sportive e per la società in cui viviamo nel suo complesso?

Per niente

Poco

Abbastanza

In buona misura

Molto

Moltissimo

10. In che misura credi che il fair play apporti una buona reputazione allo sport?

Per niente

Poco

Abbastanza

In buona misura

Molto

Moltissimo

11. Quali tra questi elementi consideri potenziali atti che arrecano danno allo sport? (una o più

risposte)

Arrabbiature degli allenatori o dei genitori per il risultato negativo della partita

Razzismo

Approfittare delle distrazioni dell’arbitro

Approfittare degli infortuni degli avversari

Fare finta di avere male per fermare un’azione avversaria potenzialmente pericolosa per la

propria squadra

Considerare la gara come una battaglia

Vincere

Alta competizione

Interessi economici

12. Se tu avessi l’opportunità, saresti propenso a rimproverare coloro che screditano lo sport?

[si] [no]

13. Quali tra questi enti/soggetti dovrebbero impegnarsi a promuovere e a far rispettare il fair play?

(una o più risposte)

Partecipanti alle attività sportive

Educatori

Organizzazioni sportive

Genitori

Direttori tecnici/allenatori

Arbitri

Medici/collaboratori

Autorità pubbliche/Governi

Giornalisti

Spettatori

14. Violenza verbale, atteggiamenti irascibili, violenza dentro e fuori gli stadi…quanto credi che

questi elementi possano mettere in difficoltà il programma di promozione e applicazione del fair

play?

Per niente

Poco

Abbastanza

In buona misura

Molto

Moltissimo

15. In che misura ritieni che leggi statali adeguate, ovvero l’impegno del Governo di un Paese,

possano supportare tutti gli enti e tutti i soggetti coinvolti nella diffusione e nel rispetto della

lealtà sportiva?

Per niente (non rientra negli obblighi di un Governo)

Parzialmente

Moltissimo (rientra negli obblighi di un Governo)

16. Hai mai sentito parlare del “terzo tempo”?

[si] [no]

17. Potendo scegliere tra le opzioni sotto elencate, quali si avvicinano di più al significato di questo

concetto? (una o più risposte)

Al termine della partita, incontrare gli avversari per mangiare assieme a loro

Salutare ogni elemento della squadra avversaria nonché i direttori di gara prima di lasciare il

campo

In caso di pareggio, fare un altro tempo per trovare il vincitore

Accordo tra società per far giocare in quel tempo tutti gli elementi che non sono scesi in

campo nei 2 regolamentari

18. Secondo te da quale/i sport proviene? (una o più risposte)

Basket

Rugby

Pallavolo

Calcio

Tennis

Atletica

Nuoto

19. Nelle tue esperienze sportive hai mai fatto il terzo tempo?

[si] [no]

20. Secondo te, in che tipo di sport sono presenti fair play e terzo tempo?

Solo in sport con contatto fisico

Solo in sport di squadra

Solo in sport di squadra con contatto fisico

Solo in sport individuali con contatto fisico

In tutti gli sport senza distinzioni

21. In quali di questi sport reputi assenti fair play e terzo tempo e ritieni importante inserirli? (una o

più risposte)

Basket

Rugby

Pallavolo

Calcio

Tennis

Atletica

Nuoto

22. Come pensi sia rispettato il terzo tempo nel calcio?

In maniera perfetta

Non è ancora stato assimilato da tutte le squadre/persone

Se ne parla molto, ma non viene applicato sempre/correttamente

Non viene applicato

23. Sapevi che il termine fair play viene utilizzato come nome per chiamare un impegno ufficiale preso

dalla F.I.F.A.?

[si] [no]

24. Quali tra questi intenti credi che questo impegno chiamato fair play possa cercare di promuovere?

(una o più risposte)

Contrastare il razzismo

migliorare le condizioni di vita nel mondo

migliorare l’organizzazione degli eventi sportivi

proporre regole e norme per la salvaguardia dello sport

invitare ad un atteggiamento moralmente corretto

promuovere la pace nel mondo

25. Nelle tue esperienze sportive, ti è mai capitato di essere stato obbligato a non rispettare le

regole o gli avversari pur di vincere?

[si] [no]

26. Nelle tue esperienze sportive, ti è mai capitato di sentirti dire da persone più grandi (dirigenti,

allenatori, genitori…) di giocare per divertirti ed accettare la sconfitta, ma notare in loro un

atteggiamento totalmente opposto alle loro dichiarazioni?

[si] [no]

27. Indipendentemente da ciò che è moralmente giusto o sbagliato, saresti disposto a fare uno

strappo alle regole pur di portare a casa un risultato positivo?

[si] [no]

28. In un’intervista di qualche anno fa, l’allenatore di una nota squadra di serie A, affermò di aver

invitato i suoi giocatori a non fermare il gioco volontariamente qualora ci fosse stato un

avversario a terra. Come giudichi questo atteggiamento?

Sono totalmente in disaccordo. Ci si dovrebbe fermare sempre quando un avversario si trova

a terra, fa parte di una norma morale

Sono d’accordo nei casi in cui il giocatore si accorge che l’avversario sta fingendo il dolore

Sono totalmente d’accordo. Questo atteggiamento non è richiesto da nessuna norma e il

regolamento parla chiaro: fermare il gioco in questi casi fa parte di una discrezione

dell’arbitro

BIBLIOGRAFIA

Codice Europeo Di Etica Sportiva. Rodi, 13-15 Maggio 1992

Fair play: trofei e diplomi assegnati dal CIFP dal 1965 al 1994 (I quaderni di Panathlon n.4,

collana di temi sportivi edita dal “Panathlon International”).

FAIRPLAY - Corso - Agenda di scienze motorie e sportive. Di Alberto Rampa, Maria Cristina

Salvetti. Editore: juvenilliascuola.

Quelli del rugby. fango, mete e fairplay: i segreti dello sport da bestie giocato da gentiluomini.

Di Bergamasco Mauro; Bergamasco Mirco; Capizzi Lia. Rizzoli.

Educare con lo sport Tettamanti Giancarlo; Vivere In.

Sport. Etiche. Culture. Pubblicazione: Rapallo Panathlon International, 2004.

Fair play- Sponsor- Doping. Di Gandolfi, Giorgio. Rapallo Panathlon International [2004

it.wikipedia.org

www.unonotizie.it

www.treccani.it

www.premiofairplay.com

www.roberto-vincenzi.com

www.conipuglia.it

www.ultrasblog.biz

www.footballnetwork.org

blogosfere.it

www.cafebabel.it

www.loccidentale.it

www.sportmedicina.com

fitds.it

www.panathlon .net

INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1: CENNI STORICI

1.1 DALLE ORIGINI AI TEMPI NOSTRI

1.2 DE COUBERTIN

CAPITOLO 2: IL FAIR PLAY

2.1 SITUAZIONE EUROPEA

2.2 IN ITALIA

CAPITOLO 3: PROBLEMATICHE

3.1 DOPING

3.2 LA VIOLENZA NELLO SPORT

SCOPO DELLA TESI

MATERIALI E METODI

RISULTATI

CONCLUSIONI

ALLEGATI

BIBLIOGRAFIA