Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

240
Università degli studi di Roma La Sapienza Dottorato in Storia delle Relazioni Internazionali Ciclo XXII IL PCI E LA QUESTIONE DI TRIESTE 1946-1957 Dottorando Stefano Fontana Coordinatore del Collegio dei Docenti Chiar.mo Prof. Gianluigi Rossi, Università degli studi di Roma La Sapienza Tutor Chiar.mo Prof. Gianluigi Rossi, Università degli studi di Roma La Sapienza

description

Università degli studi di Roma La Sapienza, 2011.

Transcript of Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

Page 1: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

Università degli studi di Roma La Sapienza

Dottorato in Storia delle Relazioni Internazionali

Ciclo XXII

IL PCI E LA QUESTIONE DI TRIESTE 1946-1957

Dottorando Stefano Fontana

Coordinatore del Collegio dei Docenti

Chiar.mo Prof. Gianluigi Rossi, Università degli studi di Roma La Sapienza

Tutor

Chiar.mo Prof. Gianluigi Rossi, Università degli studi di Roma La Sapienza

Page 2: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

IL PCI E LA QUESTIONE DI TRIESTE 1946-1957 INDICE Introduzione p.1 CAPITOLO I Dal trattato di pace all'espulsione della Jugoslavia dal Cominform p. 5 1.1 L'accordo per l'internazionalizzazione di Trieste (luglio 1946) p.5 1.2 L'Ufficio d'Informazione del Pci a Trieste p.13 1.3 Togliatti a Belgrado: Trieste per Gorizia (novembre 1946) p.17 1.4 La firma e la ratifica del trattato di pace (febbraio-luglio 1947) p.24 1.4.1 Le disposizioni del Trattato di Pace. p.24 1.4.2 La firma del Trattato di Pace p.25 1.5 L'accordo PCI-PCJ su Trieste dell’aprile 1947 p.30 1.6 Il ritorno di Vidali a Trieste (marzo 1947) p.33 1.7 La nascita del Cominform: le critiche al PCI di Kardelj e Djilas (settembre 1947) p.37 1.8 La questione di Trieste nella campagna elettorale del Pci del 1948 e la dichiarazione tripartita p.40 1.9 La risoluzione del Cominform del 28 giugno 1948 p.46

1.9.1 La risoluzione del Cominform e il PCTLT p.51 1.9.2 L’apparato speciale p.56 1.9.3 Mosca e l'applicazione della risoluzione da parte del PCI p.58

CAPITOLO II L'era delle trattative bilaterali (1949-1951) p.61 2.1 Rapporti economici e organizzativi tra PCI e PCTLT e attività in Jugoslavia p.61 2.2 Una diversa prospettiva: la collezione Documenti Diplomatici Italiani p.65 2.3 Il PCI e l'adesione italiana al Patto Atlantico p.67 2.4 Le elezioni amministrative del 1949 a Trieste p.69 2.5 La lotta sulla stampa dopo le elezioni amministrative p.72 2.6 L'introduzione del dinaro nella zona B p.75 2.7 Il PCTLT: “la via d'uscita” è l'applicazione del Trattato di pace p.78

2.7.1 Il Comitato Centrale del luglio 1949 p.78 2.7.2 Il II Congresso ordinario del PCTLT p.80

2.8 Il Cominform chiede un’intensificazione della lotta al titismo p.82 2.9 Cambiamento dello scenario internazionale: verso le trattative dirette p.86 2.10 Vidali contro il “baratto infame” p.88 2.11 La posizione sovietica sulla questione di Trieste p.91

2.11.1 La nota sovietica del 20 aprile 1950 recepita dal PCI p.91 2.11.2 Interpretazioni diplomatiche della posizione sovietica p.95

2.12 Questione di Trieste e guerra di Corea p.100 2.13 Lotta al titofascismo e caso “magnacucchi” p.103 2.14 Fase di stallo nella situazione internazionale circa la questione di Trieste p.105 2.15 Il PCI chiede che il TLT sia dichiarata “città aperta” p.108

Page 3: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

2.16 Allineamento delle posizioni di PCI e comunisti triestini p.113 CAPITOLO III Sulla via dell'accordo (1952-1954) p.116 3.1 La conferenza di Londra nella stampa comunista p.116 3.2 Primo Accordo di Londra p.121 3.3 Le elezioni amministrative del 1952 p.125 3.4 La proposta di Vidali per una soluzione provvisoria della questione del TLT p.130 3.5 Trieste quale posta in gioco del triangolo o quadrilatero balcanico p.132 3.6 Vidali confermato alla guida del PCTLT p.134 3.7 La posizione sovietica su Trieste dopo la scomparsa di Stalin e la campagna elettorale per le elezioni politiche del 1953 p.137 3.8 Il governo Pella e le proposte di plebiscito p.140 3.9 La nota angloamericana dell’8 ottobre 1953 p.148 3.10 Questione di Trieste e Comunità Europea di Difesa p.152 3.11 Il programma di Fanfani ed il PCI p.157 3.12 Il governo Scelba, “il più reazionario” p.160 3.13 Le ultime richieste di maggiore sostegno di Vidali al PCI p.162 3.14 Il Memorandum d’intesa p.167 CAPITOLO IV I comunisti triestini rientrano nel PCI (1955-1957) p.172 4.1 La IV Conferenza Nazionale del PCI: il PCTLT diventa PCTT p.172 4.2 L’apparato speciale e i contatti tra PCTLT e jugoslavi dopo il Memorandum d’Intesa p.174 4.3 Il viaggio di Krusciov a Belgrado: “il colpo di bora” p.179 4.4 Il V congresso del P.C. di Trieste p.185 4.5 Il VI Congresso del P.C. di Trieste: la federazione autonoma triestina p.189

Appendice p.193 Bibliografia p.215

Page 4: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

1

INTRODUZIONE

La presente ricerca prende in esame le posizioni del Partito Comunista

Italiano (PCI) sulla questione dell'attribuzione della città di Trieste e delle

zone limitrofe all'Italia o alla Jugoslavia successivamente agli eventi della

Seconda guerra mondiale.

Il periodo preso in considerazione parte dalla decisione della

Conferenza di pace di Parigi di istituire il Territorio Libero di Trieste fino ad

arrivare alla soluzione, più o meno condivisa dalle parti, del Memorandum

d'Intesa del 1954, con un capitolo conclusivo che analizza gli strascichi

della questione triestina nel movimento comunista locale e le residue

tensioni esistenti tra alcuni suoi elementi e la direzione del PCI da un lato, e i

dirigenti jugoslavi dall'altro.

E' stato perciò deciso di tralasciare il periodo, ampiamente studiato e

sfruttato dal punto di vista documentale, relativo alla Seconda guerra

mondiale in cui le relazioni che si svilupparono tra il PCI e Mosca in merito

alla questione di Trieste cominciarono ad assumere particolare interesse.

Giova però qui ricordare qualche episodio a tale proposito: Palmiro

Togliatti in una lettera inviata il 24 settembre del 1943 a Georgi Dimitrov1,

allora viceresponsabile della Sezione di informazione internazionale del

Comitato centrale (Cc) del Pcus, sollevò per la prima volta la questione di

Trieste con i sovietici con riferimento all'annuncio fatto dal Partito

comunista jugoslavo di volere annettere la Venezia Giulia. L'annuncio era

ritenuto “inopportuno”, almeno per i territori di Trieste e dell'Istria, dal

segretario del PCI.

Nel marzo 1944 la questione delle pretese territoriali jugoslave in Italia

fu sollevata a Mosca sia a nome dei comunisti italiani che di quelli jugoslavi.

Il ministro degli esteri sovietico Molotov suggeriva di rimandare a trattative

da tenersi alla fine della guerra, ribadendo così le tesi staliniane già

propugnate in passato: prima occorreva ottenere la vittoria contro i

nazifascisti e poi ci sarebbero state le sistemazioni territoriali.

Ad inizio aprile del 1944 si tenne un incontro tra la Direzione PCI per

1Gori F. e Pons S. (a cura di), Dagli archivi di Mosca, L’URSS, il Cominform e il PCI 1943-1951, Roma, Carocci,1998, pp. 226-227.

Page 5: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

2

l'Italia settentrionale e il Comitato centrale del Partito comunista sloveno: la

Venezia Giulia dove c'era una maggioranza slovena sarebbe andata alla

Jugoslavia, si sarebbe discusso dopo la guerra per zone dove c'era una

maggioranza italiana o una popolazione mista.

Nell'ottobre 1944 vi fu un incontro a Bari tra Togliatti, Kardelj e

Djilas: Togliatti si disse d'accordo che durante la lotta la Venezia Giulia

venisse occupata da jugoslavi, con l'instaurazione di un “potere popolare”

organizzato con l'aiuto del PCI, mentre i problemi su Trieste erano da

risolversi dopo la guerra2.

Nel febbraio del 1945 Togliatti scriveva a Mosca:

“La questione di Trieste e del suo status comincia a interessare la pubblica

opinione, anche perchè essa è sfruttata dai nostri nemici per creare un movimento

nazionalistico e isolare il Partito comunista. Non c'è dubbio che la maggioranza

degli italiani guardi a Trieste come a una città italiana. La maggioranza della

popolazione triestina è davvero italiana, ma essa ammetterebbe lo status di città

libera, soprattutto se fosse proposto dal nostro partito. Tuttavia, a questa soluzione

si opporrebbero i partiti italiani, forse persino i socialisti, e io non so se la

Jugoslavia l'accetterebbe. Finora noi non abbiamo proposto né esaminato alcuna

situazione concreta. Lotteremo contro coloro che utilizzeranno la questione di

Trieste per introdurre una divisione all'interno del popolo italiano e quello

jugoslavo [...] Vi prego caldamente di darmi il Vostro consiglio per orientare le

nostre iniziative future sulla questione, che può trasformarsi in una delle questioni

più importanti della politica italiana”3.

Poi si ebbe la crisi del maggio 1945 a Trieste. Togliatti rivolse un

nuovo appello a Mosca: gli jugoslavi non rispettavano i patti. Ma Dimitrov e

Stalin si espressero di nuovo a favore della Jugoslavia. A questo punto il

segretario del PCI tentò la via del negoziato diretto con gli jugoslavi e

presentò poi ai sovietici un piano per la città che prevedeva 2-3 anni di

autonomia politica e doganale per Trieste e la Venezia Giulia. Tramite

accordo diretto tra Italia e Jugoslavia alla fine del periodo la decisione

sarebbe stata presa con plebiscito, i comunisti italiani del resto erano

convinti che il proletariato avrebbe poi votato per l'annessione alla 2 Ibidem, pp. 231-232. 3 L. Gibjanskij, Mosca, il PCI e la questione di Trieste, in F. Gori e S. Pons, Dagli archivi di Mosca. L'URSS, il Cominform e il PCI. 1943-1951, Carocci, Roma, 1995, pp. 99-100.

Page 6: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

3

Jugoslavia e il PCI avrebbe fatto la figura di forza nazionale4.

Contava in questa fase Togliatti probabilmente ancora in una svolta a

sinistra del Paese ed a un accordo diretto con Tito per Trieste.

Come vedremo nel primo capitolo, anche tramite la figura di Eugenio

Reale a Parigi si cercò di convincere i sovietici.

Il 18 giugno Togliatti con il sovietico Mokrev avrebbe detto: “Se

Trieste diventerà un porto internazionale, ciò significa che essa cadrà in

mano agli angloamericani. Né la Jugoslavia di Tito, né l'Italia repubblicana

potranno adottare questa soluzione”5.

Sono stati riportati sopra alcuni esempi di come l'attività politico-

diplomatica di Togliatti, pur molto intensa fino al viaggio a Belgrado del

novembre 1946, fosse comunque piuttosto vincolata dalle direttive di Mosca,

come ben sappiamo, le quali si avviavano verso la logica degli schieramenti

contrapposti della Guerra Fredda, ignorando, o quasi, le questioni nazionali

alla base della situazione triestina.

La rottura tra Tito e Stalin e la conseguente espulsione della Jugoslavia

dal Kominform, avrebbe potuto restituire vigore all'azione del PCI sulla

questione di Trieste. Ma specialmente nei primi due anni non fu così, si

lasciò al p.c. triestino di Vidali l'iniziativa per quanto riguardava gli attacchi

alla “cricca di Tito”, forse perchè non si riteneva definitiva l'uscita della

Jugoslavia dal blocco comunista.

Si assiste progressivamente ad un allineamento delle posizioni di PCI e

Partito comunista del TLT (PCTLT) negli anni 1950-1952, con un intensa

collaborazione tra i due apparati nonostante sulla scena internazionale fino a

metà 1952 non avvengano in effetti cambiamenti rilevanti.

Nel 1953-1954 si avverte nel PCI una certa rassegnazione verso la

spartizione ormai inevitabile e affiora nei verbali delle riunioni di Segreteria

anche un certo risentimento verso Vidali e gli altri dirigenti triestini che

chiedono maggiore impegno da Roma. Anche questo determinerà un

“ritardo” nel rientro della sezione triestina all'interno del PCI avvenuto

soltanto nel 1957.

La ricerca è stata realizzata principalmente consultando il materiale

4 Ibidem, p. 101. 5 Ibidem, p. 102.

Page 7: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

4

documentale dell'Archivio del PCI presso la Fondazione Istituto Gramsci a

Roma: sono stati consultati ed utilizzati i verbali delle riunioni di Segreteria

e Direzione, del Comitato Centrale, dei Segretari Regionali, il “materiale

Kominform”, il fondo Pratolongo, il fondo Togliatti, il fondo Longo, il

fondo Vidali, il “materiale PCTLT” e quello dell'Ufficio Informazioni del

PCI a Trieste.

Per quanto riguarda la stampa comunista si è abbondantemente attinto

dagli articoli de l'Unità, ma anche dalle pagine della rivista Rinascita e da

Vie Nuove e dal locale quotidano Il Lavoratore.

Molto importante è stato, inoltre, per la ricostruzione della posizione

comunista nei dibattiti parlamentari, relativamente ai lavori di entrambre le

Camere, l'utilizzo della fonte degli Atti Parlamentari.

Infine, posso affermare che un valore aggiunto alla ricerca è stato dato

con il lavoro svolto presso l' Archivio Storico-Diplomatico della Farnesina,

ove la Collezione dei Documenti Diplomatici Italiani, ed in particolare la

Serie Affari Politici, fornisce spunti interessanti per diverse interpretazioni

dei fatti, sia rivelando la percezione del mondo diplomatico italiano circa le

sfumature delle dichiarazioni di PCI e PCTLT sulla questione triestina, sia,

cosa più importante, mostrando alcune notevoli riflessioni di importanti

diplomatici italiani sull'evoluzione della posizione sovietica sulla questione

di Trieste e le implicazioni che essa poteva avere sull'azione e sulle prese di

posizione degli esponenti del PCI.

Page 8: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

5

CAPITOLO I

DAL TRATTATO DI PACE ALLA RISOLUZIONE DEL COMINFORM DEL GIUGNO 1948

SOMMARIO: 1.1 L'accordo per l'internazionalizzazione di Trieste (luglio 1946); 1.2 L'Ufficio d'Informazione del PCI a Trieste; 1.3 Togliatti a Belgrado: Trieste per Gorizia (novembre 1946); 1.4 La firma e la ratifica del trattato di pace (febbraio-luglio 1947) 1.4.1 Le disposizioni del Trattato di Pace; 1.4.2 La firma del Trattato di Pace; 1.5 L'accordo PCI-Pcj su Trieste dell’aprile 1947 1.6 Il ritorno di Vidali a Trieste (marzo 1947) 1.7 La nascita del Cominform: le critiche al PCI di Kardelj e Djilas (settembre 1947); 1.8 La questione di Trieste nella campagna elettorale del PCI del 1948 e la dichiarazione tripartita; 1.9 La risoluzione del Cominform del 28 giugno 1948; 1.9.1 La risoluzione del Cominform e il PCTLT; 1.9.2 L’apparato speciale; 1.9.3 Mosca e l'applicazione della risoluzione da parte del PCI.

1.1 L'accordo per l'internazionalizzazione di Trieste Il 3 luglio 1946 a Parigi, nell'ambito dei lavori preparatori della Conferenza

di pace, le Potenze Alleate ed Associate e l'Italia trovarono un accordo nella

definizione del confine tra Italia e Jugoslavia. In tale data, venne deciso anche di

istituire il Territorio libero di Trieste nell'area che va da Monfalcone a Trieste,

Capodistria e fino a Cittanova d'Istria. L'accordo prevedeva che il Territorio,

regolato da uno statuto speciale, sarebbe stato amministrato da un Governatore

nominato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Fino al momento

dell'attuazione delle disposizioni del trattato di pace, la cosiddetta Zona A, creata

dalle intese di Belgrado del giugno 1945 e comprendente la zona costiera da

Monfalcone fino a Trieste, sarebbe dovuta rimanere sotto il controllo del governo

militare alleato, mentre la cosiddetta Zona B restava sotto l'occupazione

jugoslava, pur essendo abitata in larga parte da popolazione italiana.

La decisione in favore dell'internazionalizzazione di Trieste, città a larga

maggioranza italiana e porto strategico di vitale importanza nell'Adriatico,

costituiva un compromesso che a prima vista “urtava la sensibilità italiana poiché

appunto era basato sulla rinuncia alla sovranità su Trieste, ma che, visto il rinvio

alle Nazioni Unite, rappresentava nei fatti una pesante limitazione rispetto alle

Page 9: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

6

speranze jugoslave6”. Essa era stata inizialmente suggerita dagli inglesi e poi

riproposta dai francesi, esattamente dal presidente del Consiglio Bidault, in uno

dei momenti di maggiore tensione dalla fine della Seconda Guerra Mondiale tra

Stati Uniti ed Unione Sovietica.

Vi era stato, infatti, nella prima metà del 1946, un irrigidimento sovietico

alla conferenza dei ministri degli Esteri. Subito dopo la conseguente sospensione

della Conferenza di Parigi era parso che i contrasti tra gli alleati si sarebbero

ulteriormente approfonditi. Il segretario di Stato americano Byrnes aveva

minacciato di dare alle Nazioni Unite il compito della stesura dei trattati, cosa che

avrebbe potuto significare la fine dell'Alleanza e quindi rottura aperta. Il ministro

degli esteri sovietico Molotov aveva replicato duramente, sottolineando che la

posizione dell'Urss su Trieste (da assegnare secondo il Cremlino alla Jugoslavia)

poteva considerarsi l'unico punto sul quale le proposte sovietiche risultavano

sfavorevoli per l'Italia7.

Come ha scritto James Byrnes nelle sue memorie “l'idea del Territorio libero

non garba a nessuno”8: né agli italiani né agli jugoslavi; né ai sovietici né agli

americani. Eppure la sua forza stava proprio in questo, nell'essere “una vera

soluzione di compromesso, che nessuno avrebbe potuto rivendicare come una

propria vittoria”9.

Le notizie provenienti da Parigi scatenarono una ben prevedibile ondata di

manifestazioni e proteste sia a Trieste che a Roma. La stampa italiana, quale ne

fosse l'orientamento, si scagliò contro il governo di De Gasperi, del quale faceva

ancora parte il Partito comunista italiano, accusandolo di avere fallito perseguendo

una politica estera di attesa e, secondo i comunisti, servile nei confronti degli

anglo-americani e ostile all'Unione Sovietica. Le critiche più forti erano, però,

quelle rivolte alle Potenze vincitrici, colpevoli di volere imporre un diktat

all'Italia: “Noi li vediamo grossi, ma non grandi e tali da incutere timore ma non

ammirazione” commentava Benedetto Croce sull'Avanti10, mentre Luigi Longo,

vicesegretario del PCI, scriveva sull'organo di stampa del partito L’Unità: “Non si

6 Di Nolfo E., Storia delle relazioni internazionali. 1918-1999, ed. Laterza, Bari, 2000, p. 657. 7 Gualtieri R., Togliatti e la politica estera italiana. Dalla Resistenza al trattato di pace 1943-1947, Roma, Editori Riuniti, 1995, pp. 150-152. 8 Byrnes J., Carte in tavola, Garzanti, Milano, 1948, p. 219. 9 Gualtieri R., op. cit., p. 153. 10 Cfr.: Avanti!, 10 luglio 1946.

Page 10: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

7

combatte un’ingiustizia commettendone un’altra”11.

Per comprendere la posizione del Partito comunista italiano sulla questione

di Trieste a partire dalla sopra menzionata decisione degli Alleati sulla

costituzione del TlT, occorre cominciare con l'esaminare l'intervento del

segretario del PCI Palmiro Togliatti del 22 luglio all'Assemblea costituente, nel

dibattito sul secondo governo De Gasperi. Togliatti in quell'occasione indicò

esplicitamente il modello a cui il suo “progetto di politica estera per l'Italia”12

faceva riferimento. Spiegò come vi fosse uno stretto legame tra lo sforzo per

“difendere l'indipendenza italiana” seguendo il metodo di non legare l'Italia a

nessuno dei due blocchi che sembravano opporsi nel mondo e di cui tanto si

parlava. La questione di Trieste andava affrontata per mezzo di trattative dirette

con la Jugoslavia, abbandonando “una ispirazione anticomunista” che sarebbe

stata fatale ad una politica estera italiana la quale si proponeva “gli obiettivi

essenziali della difesa dell'indipendenza e della pace”. Amicizia perciò con

l'Unione Sovietica e lotta contro l'incubo di un'Italia (e della città di Trieste in

particolare) trasformata in naviglio portaerei di qualche potenza imperialistica o,

peggio, in deposito di bombe atomiche. A Trieste bisognava trovare una

soluzione che garantisse l’accordo e la collaborazione permanente coi popoli

jugoslavi. Ciò che del resto era nella tradizione di una politica nazionale italiana;

di una tradizione che partiva da Cavour, che continuava con Visconti Venosta e

con tutti i Ministri degli Esteri italiani, che seppero fare una intelligente politica

italiana, infine “in quella sinistra democratica, antidalmatica, antizaratina,

antifiumana, la quale ebbe una parte abbastanza importante nelle lotte dell'altro

dopoguerra”13.

Nei giorni seguenti sulla stampa comunista la polemica sulla politica estera

del governo fu continua. Sulla rivista Rinascita il governo veniva accusato di

“ispirazione ideologica antisovietica” e De Gasperi di avere un atteggiamento

troppo filo-occidentale mentre in modo differente, anzi opposto, andavano difesi

gli interessi italiani14.

Dalle colonne de l’Unità, Togliatti se la prendeva con don Sturzo, reo d’aver

mandato al Popolo, da Brooklin, una corrispondenza intrisa di anticomunismo, in

11 Cfr.: L'Unità, 2 luglio 1946. 12 Gualtieri R., op. cit., p. 169. 13 Atti parlamentari, seduta dell'Assemblea Costituente del 22 luglio 1946. 14 Che cosa si poteva fare?, Rinascita, anno III (1946), n. 7.

Page 11: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

8

cui tra l'altro si criticava Byrnes per aver voluto ricercare a tutti i costi un accordo

con i societici: “L’esistenza di questi orientamenti spiega meglio di altre cose

perché tanto si è lavorato a esasperare i rapporti con la Jugoslavia e col mondo

slavo […] Che la nostra diplomazia debba lavorare per lasciare Trieste in mano a

inglesi e americani, come base per eventuali azioni alla Bullit?”15.

Poi venne ripresa l'offensiva sul trattato di pace, ma in questo caso Togliatti,

come già era avvenuto nei primi di luglio, lasciò il campo ad altri: la posizione

sovietica su Trieste, favorevole alla Jugoslavia, rendeva imbarazzante una

polemica su questo aspetto, e limitarsi ad attaccare gli altri punti del trattato

sarebbe apparso, come in effetti era, pretestuoso16. Montagnana e Scoccimarro si

concentravano così sulle clausole economiche del trattato, tralasciando invece la

questione di Trieste, alla quale, all'epoca, era molto sensibile l'opinione pubblica

italiana.

Il segretario del PCI replicava, però, in prima persona alle “inopportune”

dichiarazioni di esponenti del Partito comunista francese su Trieste, i quali

insistevano sulla cessione della città secondo il volere di Mosca. Era necessario,

come comunisti italiani, spiegava Togliatti, non isolarsi rispetto alla comunità

nazionale, altrimenti sarebbe venuta a mancare quella forza capace di ispirare

l’interesse della solidarietà nazionale e il PCI sarebbe stato isolato nella lotta per

una miglior pace per l’Italia nella quale non avrebbe potuto avere nessuna parte17”.

Il 25 luglio 1946 era cominciata a Parigi, presso il Palais de Luxembourg, la

Conferenza di pace; lo stesso giorno era stata consegnata alla delegazione italiana

la bozza del trattato di pace, che si rivelava essere più duro e “punitivo” di quanto

si era immaginato, e nel quale permaneva la soluzione dell''internazionalizzazione

De Gasperi chiedeva un rinvio di un anno della decisione sulla questione

giuliana, Togliatti giunse a Parigi al seguito della delegazione italiana e, molto

probabilmente ottenne di incontrare Molotov insieme a Eugenio Reale per

discutere un mutamento nella posizione sovietica18. Secondo quanto riportato sei

anni dopo in un articolo su “l'Unità”, lo stesso Togliatti sosteneva che già a Parigi

era emersa la disponibilità di Tito a lasciare Trieste all'Italia19. Rientrato dunque

15 L'Unità, 30 agosto 1946. 16 Gualtieri R., op. cit., p. 170. 17 L’Unità, edizione milanese, 8 agosto 1946 18 Caprara M., L'attentato a Togliatti. Il 14 luglio 1948: il PCI tra insurrezione e programma democratico, Marsilio, Venezia, 1978, p. 123. 19 L'Unità, 27 settembre 1952.

Page 12: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

9

in Italia, il segretario del PCI, sembrava già avere in mente qualcosa riguardo

all'iniziativa che avrebbe poi preso agli inizi di novembre:

“Allo stato degli atti, cioè secondo il noto progetto di trattato e salvo il

lavoro che ancora possa farsi, Trieste non dovrebbe essere né italiana, né jugoslava... Purtroppo, mi pare esista da una delle parti un piano molto preciso di farne una specie di Malta o Gibilterra, e purtroppo ancora, a legger la stampa italiana, mi pare vi sia anche nel nostro paese chi sembra lavorare per una soluzione simile... Fare di Trieste una base dell'imperialismo anglosassone non è e non potrà mai essere un obiettivo di politica nazionale italiana. Trieste deve, se mai, essere governata dal popolo stesso di Trieste con le più ampie garanzie di democrazia. Se con i jugoslavi si potesse riuscire a trovare un accordo su questo terreno sarebbe forse ancora – ripeto, allo stato degli atti – la cosa migliore.20”

Come si vede, il segretario del PCI introduceva tra le righe l'ipotesi di

concludere un accordo diretto con gli jugoslavi che evitasse

l'internazionalizzazione di Trieste. Nei giorni successivi i delegati jugoslavi

Kardelj e Bebler si rivolsero con delle proposte ad Eugenio Reale, ritenendolo

uomo di fiducia all'interno della delegazione italiana21.

Eugenio Reale, membro della direzione del PCI e allora ambasciatore

italiano in Polonia, partecipava alle trattative di Parigi come membro della

delegazione italiana, portando nei dibattiti, per quanto possibile, anche il punto di

vista del PCI e riferendo dettagliatamente per corrispondenza a Togliatti sullo

svolgimento dei lavori. Dalla corrispondenza inviata da Reale a Togliatti è dunque

possibile ricavare preziose informazioni sui contatti diretti che ci furono tra

delegazione italiana e delegazione jugoslava nel settembre 1946. Il 21 settembre

Reale scriveva da Parigi a Togliatti circa gli ultimi sviluppi e le possibilità di

giungere ad un accordo diretto con gli jugoslavi, considerato anche che i russi

erano sempre più titubanti ad appoggiare le richieste di Tito:

“Si tratta, in fondo, di stabilire quale dovrà essere la nostra politica

estera nei prossimi vent’anni, se vorremo tenere desto l’irredentismo dei giuliani o covare propositi di rivincita o se non preferiamo invece rassegnarci al fatto compiuto, impegnarci a rispettare la frontiera italo-jugoslava nonché quello dello stato libero e vivere in buoni rapporti coi nostri vicini jugoslavi. [...]Gli jugoslavi che ho visti ancora da solo ieri sono ben disposti a trattare ed animati dalle migliori intenzioni. Se mons. Montini

20 L'Italia non deve più essere lo zimbello di gruppi reazionari stranieri. Intervista con il compagno Togliatti di ritorno da Parigi, L'Unità, 20 agosto 1946. 21 Duroselle J., Le conflit de Trieste, Editions de l'Institut de sociologie de l'Universite libre de Bruxelles, p. 241.

Page 13: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

10

non darà ordini in contrario ad Alcide, penso davvero che si potrebbe giungere ad un risultato favorevole. So che i russi hanno insistito molto presso gli jugoslavi e han dato loro consigli di moderazione”22 . Di lì a qualche giorno, Reale si dichiarava del parere “che i Quattro, per

farla finita una buona volta e indurre gli jugoslavi a firmare la pace potranno fare

qualche grossa concessione, per esempio Gorizia. In trattative dirette, da fare

subito, io credo che gli jugoslavi, i quali hanno grandi speranze ma nessuna

assicurazione da parte russa, si contenterebbero di meno, pur di uscire dalla

situazione difficile in cui si trovano”23. Ribadiva poi l'importanza di ristabilire

buoni rapporti con gli jugoslavi per la politica estera italiana dei successivi dato

che la pace e l’amicizia con la Jugoslavia avrebbero escluso l'adesione dell'Italia

o, meglio, il suo vassallaggio al blocco anglosassone e avrebbero anche dato un

certo orientamento alla nostra politica verso l’Unione Sovietica. “L’Italia -

concludeva Reale - deve avere una sua politica estera e smetterla di cercare di

speculare sul dissenso dei grandi”24 .

Sulle colonne de l’Unità, l'ambasciatore Reale, in maniera inusuale per un

ambasciatore, poiché piuttosto critico nei confronti del proprio Ministro degli

Esteri, affermava l'importanza di tornare ad avere buoni rapporti con la

Jugoslavia, non solo dal punto di vista politico ma anche da quello economico,

attraverso trattative dirette fra Italia e Jugoslavia le quali erano non solo

desiderabili, ma indispensabili per la pace. I due popoli non potevano rimanere

indefinitamente nemici per molteplici ragioni, fra cui quella che per cui

l'economia italiana era complementare all’economia jugoslava”25.

Le critiche provenienti dai comunisti alla proposta di rinvio avanzata da De

Gasperi a Parigi erano sì ferme, ma anche misurate nei toni. Le ragioni di questa

moderazione sulla questione di Trieste venivano illustrate da Togliatti alla

riunione del Comitato centrale del 18-19 settembre 1946. La proposta di De

Gasperi andava criticata “perché significava giuocare sulla prospettiva di guerra”,

ma era chiaro “che quella proposta non sarebbe stata accettata a Parigi a meno che

il blocco delle Quattro grandi potenze non si fosse rotto sulla questione italiana”.

Per di più non bisognava dimenticare che la polemica contro la politica di Bonomi

e di De Gasperi sarebbe diventata una polemica sbagliata se il PCI avesse 22 Archivio Partito Comunista (APC), Fondo Togliatti, Carte della Scrivania, mf. 0450. 23 APC, Fondo Togliatti, Carte della scrivania, mf 0318, p. 6. 24 Ivi, p. 6. 25 L'Unità, 20 settembre 1946

Page 14: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

11

“dimenticato” il fascismo. Sarebbe stato insomma un grave errore spingersi al

punto di dire che questi due uomini erano i responsabili (delle condizioni di pace),

poiché il vero responsabile era il fascismo. Per questo non era necessario accanirsi

troppo contro De Gasperi, e la linea scelta era stata di “criticare ma non […]

rovesciare il governo”26.

Il rapporto e le conclusioni di Togliatti al Comitato centrale rappresentano

un documento decisivo per interpretare l'azione politica comunista dopo le

elezioni del 2 giugno 1946 e comprendere meglio la natura e gli scopi

dell'offensiva sulle questioni di politica estera27. L'azione del PCI doveva essere di

“logoramento” ai danni della Dc, ma al tempo stesso, restando al governo, doveva

incidere sull'azione dell'esecutivo stesso. In quel momento, il peggioramento dei

rapporti tra le due superpotenze non era ancora considerato irreversibile, Togliatti

tendeva a negare l'esistenza dei “blocchi” contrapposti e la rottura internazionale

non era da considerarsi imminente. Una prova di ciò era costituita dagli accordi su

Trieste e sui trattati di pace, i quali, secondo il segretario PCI, erano destinati a

durare28. Tuttavia, grande attenzione bisognava dare alla questione di Trieste:

“Dato che non siamo riusciti ad ottenere l’obiettivo di avere Trieste nelle nostre frontiere dobbiamo per lo meno ottenere che essa non diventi alle porte d’Italia una nuova Gibilterra, una nuova Malta, una fortezza dell’imperialismo americano…Per quanto riguarda in particolare la Venezia Giulia occorre cercare l’accordo diretto e la collaborazione fra l’Italia e la Jugoslavia, e impedire che, sfruttando i contrasti fra i due paesi vicini e alimentando la divisione fra gli italiani su questo problema, Trieste possa essere trasformata, dai gruppi imperialistici internazionali, in una cittadella armata, a perpetua minaccia della pace e della sicurezza fra i due popoli”29.

Secondo Gualtieri, emergeva una forte contraddizione nella relazione di

Togliatti. Infatti, nella seconda parte relativa alla questione di Trieste, appariva

manifesta la denuncia “dell'esistenza di un blocco di Stati già costituito”. Tale

contraddizione avrebbe dimostrato la grande incertezza della situazione

internazionale, in cui la sopravvivenza dell'alleanza delle potenze vincitrici era

oggetto più di un “auspicio politico” che di una previsione30.

Sul numero di settembre del periodico del PCI “Rinascita”, Togliatti

26 APC, Verbali del Cc, 18/19-IX-1946, f.3/3, mf 181. 27 R. Gualtieri, op. cit., pp. 175-176. 28 Ivi, p. 178. 29 APC, Verbali del Cc, 18/19-IX-1946, f.3/3, mf 181. 30 R. Gualtieri, op. cit., p. 178.

Page 15: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

12

spiegava i motivi dell'impossibilità di trovare un accordo tra italiani e jugoslavi

nel modo in cui si stava procedendo alla Conferenza di pace e chiariva la

differenza tra “libero Stato” e “libero territorio” in riferimento alle diverse

soluzioni prospettate per lo statuto del TlT. A proposito della soluzione data alla

questione di Trieste nel progetto del trattato di pace per l'Italia elaborato dai

ministri degli esteri delle quattro grandi potenze, non vi poteva essere un accordo

tra italiani e jugoslavi. In linea di principio, infatti, la soluzione proposta veniva

respinta da ambo le parti. Dagli italiani, i quali chiedevano una estensione del

territorio “triestino” sino a comprendere altre zone di popolazione etnicamente

italiana; e dagli jugoslavi, i quali chiedevano, al contrario, una riduzione estrema

di questo territorio, sino a comprendere di fatto soltanto la cerchia dell'abitato

cittadino. Data la contraddittorietà assoluta delle due posizioni, e l'accordo

soltanto nel negare la soluzione proposta dai “quattro”, era evidente che

scompariva la possibilità di una trattativa; possibilità che forse avrebbe potuto

esistere se si fosse fatto, prima di quella proposta, un serio tentativo di

avvicinamento e d'intesa. Trieste come “libero territorio” era una zona che

perdeva o tendeva a perdere qualsiasi carattere nazionale, diventando “base” di un

gruppo di grandi potenze per l'affermazione di pretesi loro interessi di dominio

mondiale. Trieste “Stato libero” era una zona la cui popolazione, nazionalmente

indipendente, si governava da sé. Trieste “libero territorio” era una spina

consapevolmente infissa tra la Jugoslavia e l'Italia allo scopo di mantenere acceso

tra di esse un focolaio di intrighi, di discordia, di provocazioni. Trieste “Stato

libero” poteva invece diventare tra i due paesi, a condizione che entrambi

lealmente ne garantisero l'integrità e l'indipendenza, il terreno di una

collaborazione tra i due popoli per l'eliminazione tra di loro di ogni motivo di

discordia e di conflitti futuri 31.

31 Rinascita, n.9 – settembre 1946

Page 16: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

13

1.2 L'Ufficio d'Informazione del PCI a Trieste L'azione politica del PCI riguardo alla questione di Trieste nel 1946 non si

svolgeva, come è ben comprensibile, soltanto a Parigi presso la Conferenza di

Pace e a Roma presso la sede del PCI in Via delle Botteghe Oscure. Si cercava

invece di ristabilire una presenza attiva ed efficace nella città stessa, dove il PCI

sul finire della Seconda Guerra Mondiale aveva perso in influenza e visibilità sia

tra la popolazione slovena che tra quella italiana. Godeva invece di una certa

popolarità Tito, almeno tra gli sloveni, giunto per primo con il suo esercito a

“liberare” Trieste nell'aprile 1945. Vi era stato, nell'agosto del 1945, un accordo

tra PCI e Partito comunista sloveno per la formazione di un Partito comunista

della regione Giulia (Pcrg), diretto da Boris Krajgher, mentre era stato deciso di

attendere le decisioni della Conferenza di pace circa l'appartenenza statale di

Trieste. Tuttavia, l'accordo era stato disatteso appena un mese dopo quando il

comitato direttivo del Pcrg si era espresso in favore dell'annessione della regione

giulia alla Repubblica democratica federativa jugoslava. Seguirono mesi in cui lo

scontro tra filo-italiani e filo-jugoslavi a Trieste si faceva sempre più acceso e di

pari passo peggioravano i rapporti tra i comunisti del Pcrg e coloro che

rimanevano fedeli al PCI, mentre da Roma sia Togliatti che Longo affermavano

l'indiscussa italianità della città32.

Per avere la situazione di Trieste maggiormente sotto controllo e rendere

edotti i comunisti triestini della politica del PCI, la Direzione del PCI nei primi

mesi del 1946 decise di costituire un Ufficio informazioni (Ui), che pubblicava un

settimanale “L'informatore del popolo”. Esso fu diretto per due anni da Giordano

Pratolongo, membro del Comitato centrale (Cc) del PCI e deputato alla

Costituente. L'attività informativa e di propaganda dell'Ui non era vista certo di

buon occhio dal Pcrg che tentava di osteggiarla in tutti i modi. Nel maggio del

1946 Pellegrini e Pratolongo riferivano alla Segreteria sulle conversazioni avute

con Krajgher il quale definiva la politica del PCI su Trieste “controrivoluzionaria”

e l'Ui come “un'agenzia dell'imperialismo anglosassone”33 , essi precisavano però

che bisognava valutare se il linguaggio molto duro di Krajgher mirasse, in

quell'occasione, a influenzare i rappresentanti del PCI oppure fosse il frutto di

32 Vedi ad esempio: discorso di Longo del 22 ottobre 1945 al congresso della federazione romana del PCI, e l'intervento di Togliatti del 29 dicembre 1945 al V Congresso nazionale del PCI. 33 APC, Ufficio Informazioni del PCI a Trieste, mf. 96.

Page 17: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

14

“posizioni veramente maturate”. Riguardo ad incontri con compagni sulla linea

del PCI, Pratolongo riferiva di proposte circa la pubblicazione di documentazione

incriminante i membri del Cln in senso fascista e circa la possibilità di richiedere

a Stalin una dichiarazione sull'italianità di Trieste. Sicuramente più interessante di

quel periodo è l'osservazione di Pratolongo riguardo alla necessità che l'azione

dell' ufficio dovesse essere “avvolta in una certa atmosfera di freddezza” e

avrebbe dovuto essere “molto equilibrata e prudente” per non incorrere nelle

accuse degli “amici del partito giuliano” di tradimento e simili34.

Il primo giugno 1946, alla vigilia del referendum costituzionale, uscì il

primo numero dell'Informatore del popolo, ma Pratolongo lamentava alla

Segreteria, oltre ai problemi tecnici, mancanza di tempestività per cui ciò che un

mese prima poteva essere molto utile per spiegare la situazione esistente ai

triestini diventava allora poco significativo, tanto più che le posizioni sovietiche

alla Conferenza di Parigi, e anche quelle del partito comunista francese,

rafforzavano la posizione del partito giuliano. Col passare del tempo, nel mese di

luglio, si può notare come crescesse l'ansia e la preoccupazione di Pratolongo di

fronte alla scarsa organizzazione del PCI nell'affrontare la situazione di Trieste:

egli chiedeva che si rafforzasse politicamente l'Ufficio di Trieste in modo da far

fronte a ogni situazione e riteneva insufficiente la sua sola presenza. Definiva un

errore considerare Trieste come una qualsiasi federazione e suggeriva di elaborare

una linea politica che valesse per i comunisti e le masse nella zona A che sarebbe

restata all'Italia, e chiedeva che si cominciasse da subito a prendere delle misure

organizzative35.

Di fronte all'irrigidimento delle rivendicazioni a Parigi la politica di

pacificazione del PCI a Trieste veniva criticata come rinunciataria, i membri

triestini del partito venivano definiti strumenti della politica antinazionale del PCI

sulla Venezia Giulia e della politica russa e slava, accusati di avere difeso

l'italianità Trieste solo per scopi elettoralistici36.

Il P.c. giuliano riteneva invece un errore attenuare la lotta per le

rivendicazioni dei diritti degli sloveni perché bisognava influire sulle decisioni in

corso a Parigi e accentuare l'azione per “salvare” Gorizia e Monfalcone ed

34 APC, Ibidem. 35 APC, Ufficio Informazioni del PCI a Trieste, note di Pratolongo del 17 luglio 1946, mf. 96. 36APC, ivi, lettera di Pratolongo alla Segreteria del 10 agosto 1946, mf. 96.

Page 18: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

15

includerle nello Stato libero.

Risulta di scarso interesse per la ricerca il materiale relativo agli incontri

tenuti da Pratolongo con alcuni rappresentanti triestini di altre correnti politiche,

per il semplice motivo che ognuno dei presenti cercava in tali “riunioni”

ovviamente di fare propaganda per la propria causa, mentre Pratolongo prendeva

nota della possibilità di portare alcuni indipendentisti dalla propria parte e

dell'intenzione di partecipare a nuovi incontri del genere allo scopo di compiere

dei passi verso lo smantellamento del Cln.

Il 19 agosto del 1946 a Capodistria Pratolongo incontrava i maggiori

rappresentanti del partito giuliano Babic e Jaksetic, i quali mostravano di nutrire

ancora una certa ostilità nei confronti del PCI. Essi affermavano che l'attività

dell'UI sarebbe dovuta rimanere quella prospettata all'inizio: far conoscere alle

masse di Trieste la reale situazione in Italia e l'attività del PCI, dare al PCI

conoscenza di quanto avveniva a Trieste. Babic e Jaksetic non erano d'accordo

sulla costituzione dell'ufficio ma potevano tollerare la sua attività se fosse rimasta

in tali termini. Invece, l'Ufficio di fatto era un partito ed era assurdo che ci fossero

due p.c. nello stesso Paese. Pratolongo aveva chiarito che l'Ufficio doveva avere

anche la funzione di distendere i rapporti con gli altri partiti o gruppi del Cln,

aveva poi sottolineato come la decisione di Parigi per l'internazionalizzazione di

Trieste richiedesse di insistere maggiormente sulla creazione del fronte

democratico. Ma i due rappresentanti sloveni avevano replicato con nuove accuse

alla politica dell'Informatore del popolo e dell'Ufficio che era “un centro

antimarxista e controrivoluzionario”, essi si dovevano perciò allineare al Pcg,

altrimenti sarebbero stati denunciati pubblicamente. Per quanto riguardava

l'esigenza di una rettifica delle posizioni del Pcg, i tre erano d'accordo che essa

avvenisse gradualmente e dopo la conferenza di Parigi; Pratolongo non insisté

che esso seguisse le proposte del PCI, ma riferiva di esser convinto di avere

dimostrato come la linea del PCI fosse quella giusta, concludendo che i comunisti

italiani non avrebbero accettato di essere combattuti a Trieste perchè ciò non

corrispondeva alla realtà della loro attività.

Nel settembre e ottobre del 1946 Pratolongo scrisse diverse volte a Togliatti

sollecitando un incontro del “comitato dei quattro”, composto da rappresentanti

del PCI e del Pcj per trovare un accordo tra i due partiti circa la questione di

Trieste e la linea del partito comunista locale. In seguito a tali sollecitazioni,

Page 19: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

16

Togliatti scriveva un appunto a Longo pregandolo di adoperarsi per

l'organizzazione di una riunione del comitato dei quattro37: come vedremo nei

paragrafi successivi, l'incontro si tenne all'inizio dell'aprile 1947 a Belgrado e

portò alla firma di un accordo tra i due partiti. Secondo Pratolongo, Babic e i suoi

seguaci, che pure sostenevano la necessità della creazione di un fronte

democratico, in realtà cercavano di ritardare l'incontro tra PCI e Pcj, attendendo

prima nuovi sviluppi da Parigi; ad ogni modo l'esperto dirigente del PCI sapeva

che una volta fossero stati raggiunti accordi definitivi a Parigi sarebbe stato

necessario chiudere l'UI ed il suo giornale38.

37 APC, ivi, appunto di Togliatti per Longo del 5 settembre 1946, mf. 96. 38 APC, ivi, lettera di Pratolongo a Togliatti del 12 ottobre 1946, mf. 96.

Page 20: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

17

1.3 Togliatti a Belgrado: Trieste per Gorizia La risoluzione del 3 ottobre, in base alla quale la Conferenza della pace

raccomandava al Consiglio dei Ministri degli Esteri l'adozione di un modello che,

sia pur con qualche ambiguità, limitava notevolmente l'autogoverno e i poteri

dell'Assemblea locale, probabilmente fu l'evento decisivo per convincere Togliatti

ad intraprendere un'iniziativa personale a Belgrado. In realtà, già il 12 settembre

egli aveva prospettato a Kostilev l'ipotesi di un suo incontro con Tito, suscitando

il commento favorevole dell'ambasciatore sovietico a Roma secondo cui un

accordo tra i due politici comunisti “avrebbe significato il crollo totale di tutta la

politica di De Gasperi”39 .

Il 20 ottobre Togliatti fece pervenire a Tito, tramite l'ambasciatore sovietico

a Belgrado, una proposta di soluzione complessiva della vertenza che ricalcava il

contenuto di un precedente progetto di Kardelj, il quale aveva proposto il

trasferimento di Trieste all'Italia con uno statuto di autonomia in cambio del

passaggio della Venezia Giulia, compresa Gorizia, alla Jugoslavia.

La soluzione aveva l'evidente svantaggio di trasformare Trieste in un

enclave italiana in territorio jugoslavo e la diceva lunga anche il fatto che

all'epoca della Conferenza di Parigi Tito e Kardelj l'avevano considerata come una

soluzione di ripiego accettabile nel caso in cui non fossero riusciti a far passare il

condominio sulla città e il TLT venisse approvato40.

La notizia dell'accordo, presentato come la soluzione più vantaggiosa per

l'Italia sulla questione di Trieste fino a quel momento raggiunta, fu data sulla

prima pagina dell'Unità il 7 novembre:

“Il Maresciallo Tito mi ha dichiarato di essere disposto a consentire

che Trieste appartenga all'Italia, cioè sia sotto la sovranità della Repubblica italiana, qualora l'Italia consenta a lasciare alla Jugoslavia Gorizia, città che anche secondo i dati del nostro Ministero degli Esteri, è in prevalenza slava. La sola condizione che il Maresciallo Tito pone è che Trieste riceva, in seno alla Repubblica italiana, uno statuto autonomo effettivamente democratico, che permetta ai triestini di governare la loro città e il loro territorio secondo principii di democrazia [...] Io penso che è ora di smetterla di servirsi della questione triestina per seminare discordia tra due popoli i quali sono entrambi popoli di lavoratori, e che debbono collaborare nel modo più stretto

39 Aga Rossi E.,– Zaslavsky V., Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 121-122. 40 Gibjanskij L., Mosca, il PCI e la questione di Trieste (1943-1948), in Dagli archivi di Mosca. L’URSS, il Cominform e il PCI 1943-1951, a cura di F.GORI e S.PONS, Roma, Carocci,1998, p.122.

Page 21: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

18

allo scopo di liberarsi per sempre da ogni oppressione imperialistica e costruirsi una vita libera e felice. Del resto, l'Italia ha concesso un regime autonomo alla Valle d'Aosta; De Gasperi ha promesso all'austriaco Grueber di concedere un analogo regime al Tirolo, e sarebbe strano che chi parla d'autonomia ad ogni proposito, volesse proprio negarla in questo caso. Io penso dunque che la proposta del Maresciallo Tito può felicemente servire di base per la soluzione definitiva di tutte le questioni controverse tra i due Paesi e soprattutto per soffocare per sempre ogni possibile focolaio di discordia tra di loro. Abbiamo bisogno entrambi della pace. Tutti i popoli d'Europa hanno bisogno di pace”41.

Pochi giorni dopo, Togliatti chiariva su l'Unità la sua visione della

situazione giuliana e il significato della sua azione a Belgrado, fortemente criticata

come tentativo di “baratto” dal governo e dalla “stampa gialla”:

“Ecco come stanno le cose. Nel maggio 1945, quando fu compiuta la

liberazione d’Italia, quali e quante erano le città importanti d’Italia che, essendo state italiane nel 1919 venivano invece oggi contestate? Erano per lo meno le seguenti: Zara, Fiume, Pola, Gorizia, Trieste. Io non ho mai sostenuto e non sostengo che tutte queste città dovessero venire rivendicate all’Italia. So però che qualcuno lo pensava e ho sentito discorsi patetici e discorsi frenetici…Ebbene, oggi che Zara, ad esempio, tutti vedono che all’Italia non potrà più venire, io domando: il signor De Gasperi, responsabile della nostra politica estera, in quale modo è arrivato a questa conclusione? Con che cosa egli ha barattato questa città, se non con un calcio nel sedere? E lo stesso posso dire per Fiume, per Pola e anche per Trieste!...Un capolavoro, come si vede, di politica estera! Oh veramente, qui di “baratto” non si può parlare, perché tutto è gratuito e celestiale!...Il povero De Gasperi ci ha portato là dove ci ha portato, lui non ha “barattato” niente! Ma lui ha perduto tutto, eccetto la umiliante carezza fattagli sul dorso ricurvo dal compassionevole ministro Byrnes […] Bisognava non credere, come crede De Gasperi, che l’Italia abbia la missione di essere un bastione “occidentale” contro “l’oriente”, cioè una cittadella al servizio della reazione contro il socialismo; e non bisognava nemmeno pensare, come credo che egli pensi, che la Jugoslavia sia un paese di boscaioli e di banditi scomunicati, ma un grande paese libero, che domani sarà un grande paese industriale, e col quale noi abbiamo infiniti interessi comuni, e prima di tutto l’interesse di non lasciare che nessuno semini o alimenti discordie tra di noi”42.

Nel dibattito che si scatenò sulla stampa dopo il viaggio di Togliatti a

Belgrado intervenne a sostegno dell'azione del segretario del partito anche il

vicesegretario Luigi Longo. Dalle colonne del settimanale Vie Nuove, fresco di

stampa, ribadiva la strumentalità della questione triestina e denunciava

“l’irriconoscenza dei falsi nazionalisti nostrani”43. E' curioso notare il fatto che

41 L'Unità, 7 novembre 1946. 42 L'Unità, 10 novembre 1946. 43 Trieste all’Italia, Vie Nuove, n.9 - novembre 1946.

Page 22: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

19

denunciando la falsità di questi, Longo definisse “un assurdo” la creazione del

Territorio del Libero di Trieste che si poteva evitare accettando l'accordo Tito-

Togliatti.

Sulle colonne de l'Unità si sottolineava come anche il commissario sovietico

agli Esteri Molotov, favorevole alle posizioni di Togliatti e del PCI, avesse

dichiarato che la via migliore per la definizione del problema giuliano era quella

dei contatti diretti fra l'Italia e la Jugoslavia, “atti a promuovere e consolidare la

pace in Europa”44.

Rinascita allo stesso modo parlava di un piano di Togliatti “per l'Italia e per

la pace” che la parte democristiana in “un furore isterico” si rifiutava di

comprendere. Nello stesso articolo va notato come l'ipotesi di un plebiscito per

Trieste, che per anni sarebbe stata riproposta ciclicamente, veniva scartata perché

esso avrebbe comportato un analogo provvedimento per l'Alto-Adige ove l'Italia

avrebbe sicuramente perduto il confronto. Inoltre, un plebiscito in cui si sarebbe

voto secondo credo politico a Trieste avrebbe comunque visto prevalere

l'elemento slavo, mentre se fosse stato rispettato l'elemento etnico, ne sarebbe

scaturita una “cartina a mosaico” di difficile gestione. L'unica soluzione era quindi

quella delle trattative dirette tra le due nazioni45.

La reazione negativa del governo (e dell'opinione pubblica) di fronte alla

prospettiva di perdere Gorizia stupirono Togliatti che ironizzò sulla tendenza della

stampa italiana a presentare la città isontina “come una sacra città italiana, una

specie di Mecca dell'Italia”46.

Il 10 dicembre Longo addirittura reiterava l’iniziativa del segretario. Insieme

a Giordano Pratolongo il numero due del PCI si incontrò a Lubiana con Kraigher,

Miha Marino (ministro degli esteri e premier della repubblica slovena) e Branko

Babic (segretario del Pcrg). Ma il risultato fu un nulla di fatto.

Al Comitato centrale che si era tenuto dal 19 al 21 novembre del 1946,

Togliatti aveva illustrato con soddisfazione i progressi elettorali del partito

ottenuti nelle recenti elezioni amministrative. Ma nella sua relazione, era

soprattutto sull'imperialismo degli Usa dal quale l'Italia doveva difendersi che egli

si era concentrato: “E' possibile che, in una situazione determinata, il partito della

classe operaia abbia come suoi alleati anche degli elementi delle classi piccolo e 44 L'Unità, 20 novembre 1946. 45 Per l'Italia e per la pace, Rinascita, a. III (1946), n.10. 46 E. Aga Rossi – V. Zaslavsky, Togliatti e Stalin, op. Cit., p. 154.

Page 23: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

20

medio borghesi dell'imperialismo italiano”, ma era necessario evitare di scivolare

sul terreno della politica imperialistica.47

Il tentativo effettuato da Togliatti presso Tito, descritto qui dalla sua

preparazione fino al suo esito non del tutto scontato, secondo lo storico Valdevit

va letto “alla luce di quella visione di un mondo, già unito nella Grande Alleanza

antinazista, ma che si sta separando; è un'azione di una parte di essa, di un blocco

contro l'altro”48 . Secondo lo storico giuliano, l'azione di Togliatti non sarebbe

stata mirata a porre il PCI in una buona luce agli occhi dell'opinione pubblica

italiana quale “forza nazionale”49, anche in vista delle prossime elezioni

amministrative, ma piuttosto si trattatava di un messaggio a Tito:

“Eppure il passo di Togliatti un valore ce l'ha, ma si riferisce ad altro.

Col suo viaggio a Belgrado, Togliatti conclude quello che ha iniziato a dire con l'intervista a “l'Unità” del 20 agosto. Quanto più gli interessa è chiarire a Tito che, nel contesto della Grande Alleanza in crisi irreversibile, le solidarietà ideologiche si possono ricompattare a svantaggio di quelle nazionali... Come dice esplicitamente a Tito, quanto conta è trovare una “linea comune di comportamento fra comunisti italiani e comunisti jugoslavi” e l'opera di intermediazione esercitata dall'ambasciatore sovietico può fornirne il suggello”50.

Infatti, Togliatti avrebbe detto a Tito che la proposta sarebbe stata rifiutata

dagli anglo-americani, poiché, se un accordo sul TlT si poteva raggiungere a New

York, esso era possibile soltanto nel quadro della Grande Alleanza – certo, come

sussulto finale di essa – ma non come confronto al suo interno. Per inciso,

sarebbe stato entro una visione del genere che il PCI non si oppose nel luglio 1947

alla ratifica del trattato di pace51.

Diversa è l'opinione che si potrebbe trarre basandosi su una testimonianza di

Massimo Caprara, secondo il quale Togliatti “aveva sperato fino all'ultimo di

ottenere da Tito qualcosa di più della proposta di un baratto”, sia pure come

semplice base di discussione, e di fronte all'irrigidimento del leader jugoslavo,

consapevole dei ristretti margini che la trattativa veniva ad assumere, avrebbe

47 APC, Verbali Cc, Riunione del 18-19 novembre 1946, pp. 20-25. 48 Valdevit G., Il dilemma di Trieste. Guerra e dopoguerra in uno scenario europeo, Editrice Goriziana, 1999,p. 112-113. 49 In realtà, nella riunione del CC del 18-19 novembre 1946 Togliatti aveva affermato proprio che il viaggio a Belgrado mirava a dare al PCI un'immagine “sfacciatamente nazionale”, vedi APC, Verbali CC. 50 Ivi, p. 114. 51 Ivi, p.115.

Page 24: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

21

affermato sconsolato:«chiede in cambio Gorizia, e non capisce, allora che saranno

gli americani a decidere e non più noi»52.

In realtà, l'acuirsi della tensione internazionale che avrebbe portato, di lì a

poco, al nascere della Guerra Fredda vera e propria rese l'iniziativa di Togliatti

inutile, in quanto l'accordo che si era raggiunto a luglio sull'internazionalizzazione

di Trieste era il massimo che si potesse ottenere. Infatti, dopo le ultime

schermaglie diplomatiche, l'accordo venne firmato dai Quattro il 12 dicembre

1946 e il testo definitivo del trattato di pace fu consegnato all'ambasciata italiana

a Washington il 16 gennaio 194753. Contro la prospettiva della permanenza delle

truppe angloamericane nella zona A del Territorio Libero di Trieste, conduceva la

polemica in prima linea il settimanale del PCI Vie Nuove, diretto dal

vicesegretario Luigi Longo, che metteva in guardia i lettori circa l'esistenza di un

complotto in Friuli tra forze reazionarie locali ed internazionali mirante a tenere il

territorio sotto un'occupazione militare a tempo indeterminato54.

Nei primi giorni del 1947, in occasione dell'imminente viaggio di De

Gasperi negli Stati Uniti, in cui il capo del governo italiano andava a conoscere

“in anteprima” il contenuto del trattato, Togliatti scriveva un articolo che apparve

sia su Rinascita che su l'Unità, nel quale, dopo aver proposto un parallelismo tra il

suo viaggio a Belgrado in qualità di capo di un partito di massa e quello che si

accingeva a fare il presidente del Consiglio a Washington, spiegava l'importanza

della questione di Trieste per l'indipendenza e la pace del Paese, sebbene si

potesse dire che “i giochi fossero chiusi” per il momento. L'indipendenza d'Italia

era legata a due condizioni, nel momento attuale, spiegava Togliatti. La prima era

che l'aiuto economico e finanziario ch'essa aveva bisogno di ricevere dall'estero

per la sua ricostruzione non implicasse il vassallaggio economico e politico verso

chi avrebbe dato questo aiuto. La seconda era che l'Italia fosse rimasta estranea al

“torbido giuoco dei gruppi imperialistici provocatori di nuove guerre”. La prima

condizione era la più chiara anche per i profani, ed era chiarissima per tutti la

funzione che la città di Trieste avrebbe potuto avere nello sviluppo economico di

Italia. Si trattava per l'Italia, nei rapporti internazionali, di poter avere un notevole

volume di scambi con quei paesi la cui economia era in gran parte complementare

52 Caprara M., Il compagno Tito, in Panorama, 17 marzo 1980. 53 D. De Castro, op. cit., p. 528. 54 Nel Friuli si complotta contro la pace e la Nazione, Vie Nuove, 8 dicembre 1946; Gli angloamericani non andranno più via da Trieste?, Vie Nuove, 29 dicembre 1946.

Page 25: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

22

della propria e i quali, perciò, erano disposti al commercio in condizioni di parità,

senza fare elemosina e senza chiederne, e senza servirsi del commercio come di

uno strumento di assoggettamento politico. Questi paesi erano al momento attuale,

prevalentemente quelli dell'Europa orientale. Qualora la questione di Trieste

fosse stata risolta, attraverso contatti e accorsi diretti, in modo soddisfacente (o

anche solo relativamente soddisfacente) per le due parti, la pace sarebbe stata

consolidata, i provocatori di guerre avrebbero subito uno scacco e nessun motivo

avrebbe potuto in futuro venire agitato per trascinare l'Italia in una guerra.

Occorreva quindi ai provocatori di guerre che la questione di Trieste venisse

lasciata aperta, affinché essi potessero sempre avere a loro disposizione un

argomento per trascinare l'Italia dalla loro parte, con l'aiuto, s'intende di una

reazione nazionalistica italiana. La questione di Trieste non risolta avrebbe dovuto

avere, nello sviluppo della politica estera italiana, la stessa funzione che ebbe,

prima del 1914, l'irredentismo e triestino e trentino. Il partito comunista, quindi,

quando attraverso l'iniziativa di Togliatti e il suo viaggio a Belgrado aveva

presentato al paese la possibilità di avviare trattative che risolvessero la questione

di Trieste almeno con relativa soddisfazione italiana, aveva svolto una azione

concreta e di lunghe prospettive a favore dell'indipendenza italiana”55.

Nei confronti della Jugoslavia, trascorsi i mesi difficili delle trattative di

Parigi, i comunisti italiani tornavano a tessere le lodi come esempio di nuovo

Paese socialista che aveva sconfitto il nazi-fascismo e si avviava verso un felice

avvenire guidato dall' “eroe del popolo”56, come si può leggere ad esempio nel

discorso di Togliatti tenuto alla fine della terza Conferenza nazionale

d’organizzazione del PCI a Firenze ed incentrato sulla via italiana al socialismo57.

Alcuni giorni dopo, alla riunione di segreteria del partito del 23 gennaio,

Pratolongo riferiva sulla situazione a Trieste, sulla tendenza americana a fare della

città solo un centro commerciale, in contrasto con la posizione jugoslava

favorevole ad un'accelerazione nel processo di industrializzazione di Trieste e

dell'intera regione giuliana. Durante l'incontro venivano considerate le

conseguenze della posizione jugoslava nei rapporti tra il PCI e il Pcj e Pratolongo

ricordava come anche di recente fossero sorti nuovi contrasti con i compagni

jugoslavi su diverse questioni. Nonostante ciò era giunto da Belgrado un invito ai 55Cfr.: Rinascita, novembre-dicembre 1946; Viaggi all'estero, L'Unità, 3 gennaio 1947. 56 Tito eroe del popolo, Vie Nuove, 17 novembre 1946. 57 L'Unità, 11 gennaio 1947.

Page 26: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

23

compagni italiani a recarsi nella capitale della Repubblica Federativa Jugoslava

per un incontro tra delegazioni dei due partiti. Dopo uno “scambio di idee” si

decise di accettare la proposta, ma chiedendo che Longo, il quale avrebbe guidato

la delegazione italiana, fosse invitato con un motivo “esteriore”58, in modo tale da

non consentire alla stampa avversaria di speculare sulla ripresa delle relazioni tra i

due partiti comunisti.

58 APC, Verbali di Segreteria, Riunione 23 gennaio 1947, mf 268.

Page 27: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

24

1.4 La firma e la ratifica del Trattato di pace 1.4.1 Le disposizioni del Trattato di Pace

Il 10 febbraio 1947 a Parigi venne firmato il trattato di pace tra l'Italia e le

Potenze Alleate ed Associate. Per quanto riguarda la frontiera italo-jugoslava il

trattato prevedeva la cessione da parte italiana di 8.212 kmq di territorio con una

popolazione totale di 836.129 abitanti, dei quali, in base al censimento del 1921,

446.941 di lingua italiana e 352.196 di lingua slovena o serbo-croata. Di tale

territorio la maggior parte (7.429 kmq) andava alla Jugoslavia, il resto veniva a

costituire il Territorio libero di Trieste, la cui indipendenza ed integrità venivano

affidate al Consiglio di sicurezza dell'Onu. La cessione di questi territori dal punto

di vista economico implicava la perdita dei giacimenti carboniferi dell'Arsa, di

quelli di bauxite dell'Istria e naturalmente del complesso industriale di Trieste59.

Per quanto riguarda il Territorio libero di Trieste, bisogna dire che l'art.11

dell'Allegato VII del Trattato di pace disponeva che, fin tanto che non fosse stata

creata una moneta propria del T.l.T., l'Italia doveva fornire alla Zona A la quantità

di valuta estera e circolante necessaria, a condizioni non meno favorevoli di quelle

esistenti nell'Italia stessa. Questa clausola economica costituiva il principale

mezzo per vincolare l'Italia alla Zona A60. Alla Jugoslavia andavano inoltre

andavano pagati 125 milioni di dollari di riparazioni.

L''istituzione politica più importante del Territorio Libero di Trieste avrebbe

dovuto essere il Governatore. Lo Statuto, approvato il 10 gennaio 1947, ne

prevedeva la funzione e i poteri i quali erano tali da far convergere sulla nomina

del Governatore stesso gli interessi degli Occidentali e dell'Italia da un lato, dei

Russi e degli Jugoslavi dall'altro, così da rendere molto problematica la possibilità

di condurre in porto una questione tanto spinosa61. La difficoltà della sua nomina

risiedeva appunto nella qualità e nei limiti dei suoi poteri, che erano i seguenti: il

Governatore sarebbe stato consultato ad ogni stadio della situazione ed informato

ad ogni passo compiuto dal Governo del TLT, in quanto assisteva alle sedute della

Giunta, riceveva dal Consiglio di Governo un estratto degli ordini impartiti al

capo della polizia, da cui pure riceveva un rapporto. Egli avrebbe avuto il diritto

59 R. Gualtieri, op. cit., pp. 207-208. 60 De Castro D., La questione di Trieste. L'azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, Trieste, edizioni Lint, 1981, p. 566. 61 De Castro D., Cenni riassuntivi sul problema giuliano nell'ultimo decennio, Bologna, ed. Capelli, 1953, p.113.

Page 28: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

25

di sanzionare atti di politica estera, apponendovi la sua firma, avrebbe avuto il

potere finale della nomina dei magistrati e dei funzionari consolari nominati su

proposta del Governo, il potere di scelta e nomina del capo della polizia. Avrebbe

avuto il diritto di proporre provvedimenti legislativi all'Assemblea e

provvedimenti amministrativi al Governo. Avrebbe disposto del potere di veto

all'entrata in vigore di provvedimenti legislativi e amministrativi e di trattati e

convenzioni con l'estero, ma avrebbe avuto l'obbligo di informarne il Consiglio di

Sicurezza. Di fatto il suo potere sarebbe stato particolarmente rilevante in periodi

di emergenza, quando avrebbe assunto la potestà di dare ordini e farli eseguire.

1.4.2 La firma del Trattato di Pace

La firma italiana del trattato non era necessaria perché questo entrasse in

vigore, ma aveva politicamente un valore molto rilevante, in quanto “impegnava il

paese a considerare definitivamente chiusa una fase della sua storia”62 e a non

intraprendere in futuro campagne revisioniste. Il governo De Gasperi decise di

firmare il trattato solo il 7 febbraio63 ed il giorno seguente in Assemblea

costituente illustrò la procedura che si era stabilito di seguire: il governo

procedeva alla firma senza consultare l'Assemblea la quale si sarebbe espressa in

un secondo momento sulla ratifica.

Lo stesso 10 febbraio 1947, a Roma, alcuni uffici dell’ambasciata jugoslava

venivano assaltati da un gruppo di manifestanti, senza però causare gravi danni.

Velio Spano, del PCI, commentava così l’accaduto il 13 febbraio durante una

seduta dell’Assemblea Costituente: “La verità è che quel giorno l’Italia protestava.

Tutto il popolo italiano protestava e manifestava il suo cordoglio e la sua

indignazione per l’ingiusto trattato che ci veniva imposto. Era particolarmente

necessario quel giorno che questa protesta apparisse come la protesta di tutto il

popolo italiano e della sua volontà di rinnovamento. D’altra parte, questi

avvenimenti sono senza dubbio collegati con l’ambiente arroventato che si sta

creando in queste settimane nelle regioni giuliane”64.

Il 19 febbraio 1947, Togliatti, in conclusione di un intervento all'Assemblea

costituente nel corso del dibattito sulla crisi di governo che si era aperta,

accennava all'amarezza provocata dalla firma del trattato di pace, sottolineando 62 Ivi, p. 208. 63 D. De Castro, op. cit., p. 537. 64 Atti parlamentari, seduta dell' Assemblea costituente del 13 febbraio 1947.

Page 29: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

26

però come il momento non fosse propizio per una discussione di politica estera:

“Comprendiamo la firma, - come ha detto l'onorevole De Gasperi –

come un atto di politica estera, di cui possono valutare il peso, il valore, le conseguenze, forse meglio di noi, coloro i quali conoscono tutti i particolari dell'azione diplomatica che si sta svolgendo. La discussione sulla politica estera del nostro Paese e quindi anche sul Trattato la faremo a suo tempo. Riserviamo per quel momento di esporre le nostre opinioni sul Trattato. Il Trattato è quello che è. Voi già conoscete, però, la nostra convinzione, che avrebbe potuto essere migliore, se fossimo riusciti, durante gli ultimi due anni (dal marzo 1944, cioè da quando esiste un Governo italiano di tipo democratico) a condurre una politica estera più chiaroveggente, più aderente alle necessità nazionali e alla realtà della situazione nazionale ed internazionale […] Ad ogni modo, noi ci sentiamo amareggiati per il contenuto del Trattato, non demoralizzati. Non condividiamo, d'altra parte, quel genere di sentimenti, che alle volte sentiamo esprimere, se non in questa Assemblea, in una parte della stampa, e in cui affiorano le nostalgie d'un passato, che, invece, vogliamo sia sepolto per sempre”65.

Lo scontro in seno all'Assemblea costituente veniva rimandato così a cinque

mesi dopo: il dibattito sulla ratifica del trattato di pace si svolse solo nel luglio

successivo, in un contesto nazionale e internazionale profondamente cambiato.

Sul piano internazionale, nei mesi che precedettero la discussione

all'Assemblea costituente, si era consumata la rottura tra Stati Uniti e Unione

Sovietica. Vi era stato il 12 marzo 1947 il celebre discorso di Truman al

Congresso in cui il presidente Usa chiese l'autorizzazione per finanziamenti

speciali a Grecia e Turchia minacciate da infiltrazioni e pressioni comuniste. La

“dottrina Truman”, prevedeva che gli Stati Uniti sostenessero i popoli liberi in

pericolo di essere sottomessi da altri Stati, perché ciò era importante per la politica

estera e la sicurezza nazionale del paese. Essa inaugurava la politica del

containment nei confronti dei tentativi di espansione da parte sovietica. Nelle

settimane successive, nei Paesi dell'Europa occidentale in cui erano al governo

coalizioni comprendenti il partito comunista avvennero dei cambiamenti che

portarono all'estromissione dei comunisti dall'esecutivo ed in Italia non poteva

non accadere la stessa cosa, benché il PCI con i suoi 2.250.000 iscritti fosse il

partito comunista più “forte” d'Europa.

De Gasperi pronunciò il 30 aprile il discorso, divenuto celebre, sul “quarto

partito”, quello degli industriali e delle imprese, di cui si non si poteva non tenere

conto nel governare il Paese, aprendo così la crisi che condusse all'uscita dal

65 Atti parlamentari, seduta dell'Assemblea costituente del 19 febbraio 1946.

Page 30: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

27

governo del PCI e del Psi.

Il 5 giugno 1947 all'Università di Harvard il segretario di Stato statunitense

Marshall pronunciò un altrettanto famoso intervento sulle difficoltà internazionali

politiche ed economiche del momento, in cui spiegava che l'Europa avrebbe avuto

bisogno degli aiuti americani per almeno altri tre o quattro anni. Bisognava

risollevare l'economia europea per evitare che un peggioramento della situazione

causasse un deterioramento nei rapporti economici, sociali e politici66.

Si dava avvio così, nel mese di luglio, alla formulazione congiunta da parte

di Stati Uniti e Paesi dell'Europa occidentale del Piano Marshall, mentre i Paesi

dell'Europa orientale decisero di rimanerne fuori, seguendo il “consiglio”

dell'Unione Sovietica. Nella prima metà del 1947 vi era stato in questi Stati, con

l'eccezione della Cecoslovacchia, un passaggio “dal pluralismo, almeno di

facciata, all'aperto dominio dei comunisti”67.

Il partito comunista italiano, pur accettando l'ipotesi di crediti dagli Stati

Uniti, che poi sarebbero arrivati con il piano Marshall, insisteva sulla necessità

dell'autonomia nazionale nella determinazione degli obiettivi da perseguire nel

processo di ricostruzione68.

Il 20 giugno 1947 Togliatti intervenne all'Assemblea costituente nel dibattito

sulla crisi di governo, parlando della sfiducia delle masse nei metodi e nelle

politiche della Democrazia cristiana e prendendo ad esempio la questione di

Trieste negli ultimi mesi passata in secondo piano, rivolgendosi così a De

Gasperi: “Io ricordo quando ella, a scopo di speculazione elettorale, impostò tutta

una campagna di calunnie contro il nostro Partito per quanto riguardava la

questione di Trieste, mentre la nostra posizione nella questione di Trieste poteva e

doveva essere da lei sfruttata davanti al mondo intiero per dimostrare la

compattezza e l'unità del popolo italiano”69

Successivamente, introducendo i lavori del Comitato centrale, Togliatti

sviluppò un'analisi della fase internazionale che, probabilmente a causa

dell'imminente rifiuto sovietico del piano Marshall, rientrava pienamente negli

schemi della guerra fredda. Secondo tale schema, gli Stati Uniti miravano alla

“conquista di un dominio mondiale”, ottenibile grazie al predominio militare 66 E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, op. Cit., p. 684. 67 E. Di Nolfo, op. cit., p. 670. 68 La posizione di Togliatti in merito venne efficacemente espressa in un discorso tenuto al teatro Lux a Torino il 6 luglio 1947, riportato su l'Unità dell'8 luglio. 69 Discorso di Togliatti all'Assemblea costituente, seduta del 20 giugno 1947, p. 5096.

Page 31: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

28

garantito dal monopolio nel possesso della bomba atomica. Togliatti affermò

anche per la prima volta che le condizioni per l'avanzamento delle forze

democratiche e “l'estirpamento del fascismo” esistevano “solo nei paesi liberati

dall'Unione Sovietica”70 .

Per quanto riguardava il Trattato di pace, avvenuta la ratifica americana il 5

giugno 1947, per l'Italia non vi era più speranza di ottenerne una revisione, così l'8

luglio in seduta di Commissione dei Trattati della Costituente si decise di iniziare

il dibattito per la ratifica, tanto più che inglesi e francesi minacciavano di

escludere l'Italia dalla conferenza per il piano Marshall che stava per aprirsi

qualora non si fosse proceduto velocemente.

La vicenda del voto sulla ratifica non fu un esempio di ritrovato

coordinamento tra il PCI e Mosca dopo la rottura sul Piano Marshall sul quale,

come già detto sopra, Togliatti aveva espresso parere favorevole pur con alcune

riserve. I sovietici ricevettero informazioni contraddittorie circa l'atteggiamento

del PCI, legate alle oscillazioni del suo gruppo dirigente. Non risulta che la

decisione finale del PCI fosse stata concordata con Mosca71.

Togliatti alla Costituente sulla ratifica del trattato di pace si era limitato a

chiarire che si doveva tenere conto della posizione dell'Unione Sovietica, la quale

sembrava orientata nel senso di impedire che l'ammissione dell'Italia all'Onu, che

si sarebbe verificata dopo la ratifica del trattato di pace, portasse un altro voto a

favore del blocco occidentale, e a osservare che la ratifica del Trattato di pace con

l'Italia era condizionata dall'Unione Sovietica alla ratifica degli Stati Uniti e

dell'Inghilterra ai trattati di pace con le piccole potenze orientali72.

Il 31 luglio l'Assemblea votò a favore della ratifica del trattato di pace, il

PCI decise di astenersi dalla votazione, piuttosto che votare contro rischiando di

fare fallire la ratifica aggiungendo il proprio “no” ai voti sfavorevoli della destra

nazionalista.

Il giorno successivo si chiariva il senso di tale decisione: “la nostra

astensione ha voluto dire che se una parte degli argomenti portati a favore della

ratifica ci sembravano fondati, non potevamo in nessun modo rendere arbitro della

questione un governo nel quale, in generale, non abbiamo fiducia e di cui

70 APC, Verbali C.c., Riunione 1-4 luglio 1947, pp. 54-57. 71 S. Pons, op. Cit., p. 142. 72 Atti parlamentari, seduta dell'Assemblea Costituente del 23-07-1947.

Page 32: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

29

disapproviamo in particolare la politica estera”73.

Il 15 settembre 1947 furono depositate le ratifiche dei Quattro ed il Trattato

di pace entrò in vigore. La ratifica italiana fu depositata il 17 settembre. Lo stesso

giorno in cui il Trattato di pace entrò in vigore, peraltro, gli jugoslavi

minacciarono il comando alleato di essere sul punto di invadere la Zona A e nella

notte solo la “decisa fermezza”74 delle truppe americane aveva impedito a quelle

jugoslave di entrare dalla Zona B in direzione di Trieste. Secondo alcuni, da

questa data si può ritenere che la questione di Trieste sia stata pienamente inserita

nella politica del containment di Truman75.

L'atteggiamento tutto sommato morbido di Togliatti tenuto nella vicenda del

dibattito sulla ratifica del Trattato di pace si spiega con l'esigenza di favorire

l'approvazione del trattato poiché esso era il frutto dell'unità delle grandi potenze,

e garantiva che su problemi scottanti come quello di Trieste non si sarebbero prese

iniziative unilaterali che, in un quadro di crescente tensione internazionale,

avrebbero potuto avere esiti catastrofici. Anche nella nuova situazione

internazionale restava valido il principio che aveva sino a quel momento

informato la politica di Togliatti: “andava sempre verificata la coerenza tra ogni

mossa politica di carattere interno e le sue conseguenze sullo scenario

internazionale, nel quale l'Italia avrebbe dovuto svolgere il ruolo di punta avanzata

della distensione e mai quello di fonte di ulteriore inasprimento delle tensioni e

dei contrasti”76.

73 L'Unità, 1 agosto 1947. 74 D. De Castro, op. cit., p. 550. 75 Pupo R., Guerra e dopoguerra al confine orientale d'Italia (1938-1956), Udine, Del Bianco Editore, 1999, p. 169. 76 R. Gualtieri, op. cit., p. 218.

Page 33: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

30

1.5 L'accordo PCI-PCJ su Trieste dell’aprile 1947

Facendo un passo indietro e tornando ad esaminare direttamente lo sviluppo

della posizione del PCI sulla questione di Trieste, si riscontra nei verbali di

Segreteria di partito del febbraio 1947 un vivo interesse per la questione

dell'emigrazione italiana da Pola e dalla regione giuliana, sulla quale Longo

veniva incaricato di redarre una relazione sul modo di trattare il fenomeno e sui

metodi da seguire per lavorare in seno ad essa. Le direttive formulate dalla

Direzione sull'emigrazione giuliana specificavano che se tra i profughi vi erano

dei fascisti la maggioranza era composta da persone in buona fede ingannate dalla

propaganda sciovinista e essi potevano essere “conquistati alla democrazia”.

Occorreva dunque svolgere un'azione di chiarificazione politica e solidarietà

pratica, fornendo, ove possibile, alloggio e lavoro, sia sfruttando terre incolte, che

trovando posti nelle fabbriche77. Per contro, la richiesta da parte di alcuni

compagni di Trento di poter emigrare a Pola per colmare il vuoto lasciato dagli

italiani che partivano (o forse sarebbe meglio dire “fuggivano”) dalla città, veniva

respinta come assolutamente impraticabile78.

Pratolongo descriveva in una lettera l'esodo in direzione opposta di molti

operai spinti dal partito giuliano a lasciare Monfalcone per andare a lavorare in

Jugoslavia. Egli si opponeva a ciò dato che Monfalcone era una cittadina operaia

che poteva fungere da barriera rispetto a manovre e provocazioni reazionarie,

mentre Gorizia e parte del Friuli erano manovrate dalla reazione.

Dal punto di vista dell'organizzazione del partito a Trieste, si discuteva della

necessità di consentire a Giordano Pratolongo, gravemente malato di tubercolosi,

di poter prendere un periodo di cura non appena fosse arrivato a Trieste Vittorio

Vidali, il quale l'avrebbe sostituito come punto di riferimento del PCI nella città.

Nel mese di marzo, Pratolongo poneva all'attenzione dei compagni la

questione dei territori dell'Isonzo passati con la firma del trattato di pace sotto

l'amministrazione italiana: per fare fronte a tale situazione fu deciso di costituire

una federazione del PCI nel territorio della futura provincia di Gorizia,

comprendente anche i centri abitati di Monfalcone e Gradisca. In una lettera

indirizzata ai membri del Pcrg, la Direzione del PCI chiariva il senso della nuova 77 APC, Materiale Ufficio di Informazione del PCI a Trieste, direttive della Direzione sull'emigrazione giuliana e da Pola del 15 febbraio 1947, mf. 134. 78 APC, Verbali di Segreteria, mf 268.

Page 34: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

31

politica cercando di fare accettare ai comunisti giuliani il nuovo ruolo guida del

Partito comunista italiano nella regione e al tempo stesso esprimendo intenti di

riconciliazione: “la costituzione della federazione è conseguenza del trattato di

pace per cui il territorio fa parte dell'Italia, ma questo non è un distacco rispetto al

vostro passato di eroica lotta malgrado qualche volta vi sia stato dissenso tra noi e

voi”79.

Dopo il periodo delle trattative a Parigi che aveva visto il PCI ed il Pcj in

rapporti piuttosto tesi, negli ultimi mesi del 1946, come abbiamo già visto, si era

discusso in seno ai due partiti sulla necessità di rinsaldare i rapporti e trovare una

politica comune su Trieste nel nuovo scenario che si apriva con la firma del

Trattato di pace. Così, ad inizio aprile, Longo si recò a Belgrado e firmò con

Djilas un accordo sull'organizzazione del movimento comunista a Trieste e sulla

sua linea politica. In tale documento si esprimeva la necessità di tenere al più

presto una conferenza del partito comunista della Marca giuliana (TLT): in tale

conferenza sarebbe stato cambiato il nome del partito ed elaborato un programma

politico. Si constatava che l'Unione Antifascista Italo-Slava (UAIS) era ancora

un'organizzazione importante e indispensabile, essa doveva pubblicare una

dichiarazione solenne soprattutto in vista delle elezioni per il parlamento del TLT.

L'UAIS avrebbe dovuto allargare le sue forme di lavoro e avrebbe dovuto fare

tutto ciò che era necessario per battere – in collaborazione con gli altri

raggruppamenti politici – i raggruppamenti reazionari e gli agenti degli

imperialisti americani e inglesi.

Il PCI avrebbe trasmesso al p.c. di Trieste, dopo il congresso o la conferenza

di questo partito, il suo organo settimanale di stampa e avrebbe sciolto tutti i

gruppi di comunisti sul TLT che sarebbero passati sotto la competenza del p.c. di

Trieste.

Bisogna dire che a questo punto del documento, nel testo francese si legge

ancora sotto il segno di cancellatura fatto da chi sottoscrisse: “il compagno

Pratolongo verrà a lavorare a Trieste. Per questa ragione rinuncerà alla sua

funzione di membro del C.c. del PCI e al suo mandato di parlamentare a Roma”.

Proseguendo nel testo dell'accordo, si precisava che i delegati dei due partiti

avrebbero preso parte al congresso o alla conferenza in qualità di invitati.

79 APC, Lettera della Direzione al Pcrg di Gorizia, Monfalcone e Gradisca, del 22 maggio 1947, mf 268.

Page 35: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

32

Il PCI avrebbe assorbito le organizzazioni comuniste della Marca giuliana

che si trovavano sul territorio appartenente all'Italia, tali organizzazioni avrebbero

però mantenuto una cera autonomia. Il PCI assicurava il suo appoggio alle attività

democratiche della minoranza slovena soprattutto sotto forma di attività culturali,

sportive e cooperative.

Il PC della Jugoslavia dichiarava di valutare favorevolmente la parola

d'ordine del PCI per un'autonomia del Friuli, ovvero per l'autonomia di una

provincia friulana che avrebbe assorbito Monfalcone e Gorizia, (originariamente

nel testo francese si diceva: “i due partiti considerano che l'autonomia del Friuli

può essere loro utile e che di conseguenza la parola d'ordine del PCI per questa

autonomia è giustificata. La parola d'ordine dovrà essere quella dell'autonomia di

una provincia friulana che comprenderà Monfalcone e Gorizia”).

L'accordo che a prima vista sembra fare poco di più che fotografare la

situazione esistente per quanto riguarda il movimento comunista a Trieste e nella

“Marca giuliana”, rappresentava un tentativo importante di delimitare le rispettive

sfere di competenza e linee d'azione del PCI e del Pcj, soprattutto se si tiene conto

delle polemiche che c'erano state a più riprese sulla questione fin dal 1943, e

tenendo presente la rottura dell'anno successivo con l'espulsione della Jugoslavia

dal Cominform, a dire il vero determinata da una decisione proveniente da Mosca,

ma comunque con conseguenze decisive sui rapporti tra i due partiti almeno fino

al 1955. Possiamo dire quindi che l'accordo dell'aprile 1947 rappresentò forse il

momento di maggiore intesa tra i due partiti nell'arco di dieci o più anni di storia.

Page 36: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

33

1.6 Il ritorno di Vidali a Trieste

Nel frattempo, nel marzo 1947 a Trieste era rientrato Vittorio Vidali dopo un

lunghissimo viaggio di ritorno dal Messico, attraversando l'Unione Sovietica e

l'Europa orientale. Vidali era un esponente di notevole caratura nell'ambito del

movimento comunista internazionale. “Il giaguaro del Messico”, come veniva

chiamato Vidali, era fuggito da Trieste da giovane, poiché ricercato prima in

quanto antiaustriaco e socialista sotto il dominio asburgico e poi in quanto

comunista durante la dittatura fascista. Era emigrato negli Stati Uniti dove era

divenuto rapidamente un elemento di spicco nel movimento comunista

statunitense ed era stato tratto in arresto con le accuse di ingresso illegale nel

Paese ed anarchismo. Costretto di nuovo a fuggire si era recato a Mosca dove

aveva stretto un'importante amicizia con Elena Stassova, dirigente del Soccorso

rosso, la quale lo aveva incaricato di organizzare in Messico il Soccorso rosso.

Dopo aver combattuto in Spagna nella guerra civile con il nome di “Comandante

Carlos”, era tornato di nuovo per alcuni anni in Messico prima di essere

richiamato nella sua città natale nel 1947.

Probabilmente, come qualcuno sostiene, nella nuova situazione che seguiva

alla firma del trattato di pace, l'Urss aveva intenzione di imporre una correzione di

rotta alla linea del partito comunista triestino, fino a quel momento impegnato a

sostenere i tentativi jugoslavi di destabilizzazione, ponendo al comando un uomo

di fiducia quale Vidali era.

Nei primi giorni a Trieste Vidali, dopo una così lunga assenza, si trovò

spaesato nella sua stessa città, ebbe brevi incontri con i rappresentanti locali del

movimento comunista, dai quali fu ricevuto con “fredda cortesia”80, poiché in

effetti non si conoscevano se non di fama. Vidali espresse il desiderio di recarsi a

Roma per comprendere meglio la situazione e parlare con i dirigenti del proprio

partito, cosa che creò disappunto nei suoi interlocutori81. Dopo aver incontrato

anche Pratolongo, per il quale nutriva forte stima ed amicizia, Vidali partì per

Roma per ricevere “l'investitura ufficiale” e le direttive necessarie su come agire

all'inizio. Bisogna dire che qualche giorno prima egli aveva contattato con una

lettera la Direzione del PCI in cui scriveva, con qualche errore grammaticale

80 Vidali V., Ritorno alla città senza pace, Trieste, Vangelista, 1982, p. 19. 81 Vidali V., op. cit., p. 21.

Page 37: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

34

dovuto sicuramente alla disabitudine a scrivere in italiano, di essere d'accordo con

Pratolongo per aiutare nell'applicazione dell'intesa e della nuova linea stabilita

insieme agli jugoslavi, affermando che altrimenti la sua presenza sarebbe stata

inutile. Nella stessa lettera poneva anche la questione dell'espulsione dal partito

messicano, di cui era stato ingiustamente vittima, la quale avrebbe potuto dare

modo ai loro avversari politici di fare speculazioni in merito82. Ad una rapida

lettura del testo della lettera di Vidali alla Direzione, emerge subito la sensazione

del carattere forte e deciso del muggese che esordiva dicendo che “era ora di

finirla con le incertezze e [che] bisognava applicare la recente (sic) risoluzione”,

che bisognava comprendere che “il nemico principale” non era l'Italia e che uno

dei compiti principali era di “aiutare la creazione di buone relazioni tra i due

paesi”. Anche l'unità italoslovena non avrebbe dovuto identificarsi con l'unità

operaia-contadina ma con l'unità dei contadini con la maggioranza della

popolazione italiana, si sarebbe dovuto arrivare ad unità sindacale, “terminare con

la mancanza di rispetto dei patti e delle promesse sia fra noi che con gli altri”,

“terminare l'ostilità verso il PCI e verso gli italiani in generale”, “terminare la

diffidenza verso gli italiani nello stesso partito e nelle organizzazioni di massa”.

“Dobbiamo unire i democratici sostenitori delle tre tendenze jugoslava, italiana e

TLT per esigere che nel TLT si applichi la carta dell'Onu e ci sia pace, lavoro e

libertà”, concludeva Vidali.

A Roma, l'accoglienza “festosa, carica di affettuosa simpatia” era seguita

dal riconoscimento della necessità di rifiutare in quanto “assurda, ingiusta e

inammissibile” l’espulsione di Vidali dal partito messicano, e di Trieste quale sua

naturale collocazione in Italia (con la sola eccezione di Di Vittorio che proponeva

un incarico con sé alla CGIL). Lo stesso interessato concordava con Togliatti:

“ritengo che il mio posto sia a Trieste”83. Nell'incontro avuto nel pomeriggio “a

quattr'occhi” tra Togliatti e Vidali, il Segretario metteva in guardia circa la

difficile situazione esistente a Trieste:

“Caro Vidali so che andare a lavorare a Trieste non sarà semplice né

facile. Il problema di Trieste e di quelle terre di confine era e rimane spinoso, complesso anche angoscioso... Devi essere molto prudente e avere molta pazienza. L'ambiente in cui lavorerai è ancora rovente, le popolazioni sono ancora divise, il tessuto democratico è lacerato: non solo il fascismo ha rialzato la testa e, con l'appoggio degli Alleati e di certi ambienti romani,

82 APC, Lettera di Vidali inviata da Pratolongo alla Segreteria il 29 maggio 1947, mf. 269. 83 Vidali V., op.cit., pp. 23-24.

Page 38: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

35

riesce a colpire, ma la divisione esiste anche all'interno della classe operaia, tra i partiti democratici che in Italia sono stati uniti durante la Resistenza e lo sono rimasti tuttora. Esistono anche rancore, odio, desiderio di vendetta, pregiudizi e posizioni preconcette da parte di tutti. Si verificano aizzamenti contro l’Italia, contro la Jugoslavia, e questa “guerra fredda” che è arrivata in tutto il nostro paese, è da tempo di casa a Trieste…ci sono stati malintesi, incomprensioni e anche dissensi tra noi e i compagni jugoslavi. Con un po’ di buona volontà siamo riusciti a superare situazioni difficili, ridimensionando o almeno sdrammatizzando i problemi. Se a Belgrado l’atmosfera è chiara, a Lubiana è abbastanza nebbiosa e a Trieste spesso è buia. Ma noi siamo sicuri che tutto si risolverà. Non dobbiamo mai dimenticare che i popoli della Jugoslavia hanno dato un contributo decisivo alla vittoria sul nazifascismo. Sono stati i primi a insorgere con le armi; si sono organizzati ammirevolmente sia dal punto di vista militare che da quello politico e possono ben essere orgogliosi della loro indipendenza conquistata a prezzo di tanti sacrifici. I loro dirigenti ci criticano: per loro siamo dei riformisti, revisionisti. Pensano che avremmo potuto fare come loro o come stanno facendo adesso i greci, e ci guardano con diffidenza e non hanno mai né giustificato né compreso la nostra posizione sul problema giuliano. Ci ritengono malati di nazionalismo e sono critici su tutto quanto abbiamo fatto da Salerno in poi. E’ inutile che io ora entri nei dettagli. Sul posto potrai meglio capire passato, presente e futuro. Mantienti in stretto contatto con noi e sappi che siamo sempre pronti ad aiutarti col nostro consiglio. Pellegrini e Pratolongo sono membri del nostro C.c., rappresentano la regione Friuli-Venezia Giulia nella Costituente e vengono spesso a Trieste dove esiste anche un nostro Ufficio d'Informazione che pubblica un giornaletto”84. E' interessante qui mettere a confronto le parole appena citate del segretario

su Trieste con l'intervento dello stesso periodo di Grieco a nome del Comitato

centrale del PCI alla conferenza provinciale della neocostituita federazione di

Gorizia:

“Noi del PCI che siamo diventati un partito di governo, un grande partito nazionale, anzi il più grande partito nazionale, che non siamo quindi più un partito di propagandisti, ma siamo un partito…che ci troviamo momentaneamente all’opposizione, dovevamo per forza avere una posizione diversa da quella del Pcj sulla questione giuliana, perché nessun partito democratico nazionale può accettare che un altro paese chieda una parte del proprio territorio nazionale…Sappiamo che la questione nazionale è subordinata agli interessi internazionali del proletariato…Ma il proletariato internazionale non può avere l’interesse che l’Italia ricada nella reazione…Perché se per malaugurata ipotesi l’Italia dovesse ricadere ancora sotto il fascismo, più o meno mascherato, questa sciagura non sarebbe solo per noi italiani, ma anche per il fronte democratico internazionale”85.

Sicuramente più ampia e “sincera” la descrizione fatta da Togliatti a Vidali,

attento a mostrare i meriti come anche le “colpe” dei compagni jugoslavi, mentre

Grieco, rappresentando il PCI di fronte ad un gruppo di compagni composto

84 Vidali V., Ritono alla città senza pace, op.cit., p. 25. 85 APC, Verbale della federazione del PCI di Gorizia 15-16 giugno 1947, mf. 247.

Page 39: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

36

anche da ex membri del P.c.r.g., dava maggiore importanza agli elementi esterni

che avevano in qualche modo costretto il PCI ad avere una posizione diversa sulla

questione giuliana dal Pcj.

Agli inizi di settembre del 1947 a Trieste si tenne il Congresso costitutivo in

cui il Partito comunista della Venezia Giulia (Pcvg) prendeva il nome di Partito

comunista del Territorio libero di Trieste (PcTlT). Nella risoluzione conclusiva il

congresso deliberava la costituzione di un Consiglio di governo provvisorio e di

un'assemblea basata “sull'inoppugnabile realtà dei tre popoli conviventi e del

rapporto di forza esistente fra le varie correnti politiche” e l'elaborazione di una

legge e un regolamento elettorale basato sui principi democratici che permettesse

effettivamente la libera espressione popolare, così da dare vita ad un'Assemblea

Costituente democratica, la quale avrebbe avuto il compito di elaborare una

Costituzione veramente democratica del TlT”86.

86 APC, Fondo M, Mf 98, PCTLT, Congresso costitutivo 31 agosto – 2 settembre 1947.

Page 40: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

37

1.7 La nascita del Cominform: le critiche al PCI di Kardelj e Djilas. Dopo l'invito ai Paesi dell'Europa orientale a non partecipare al piano

Marshall, l'Unione Sovietica decise di dare vita al Cominform, una struttura di

coordinamento tra i partiti comunisti europei simile al precedente Comintern che

si era dissolto nel 1943. Tra le motivazioni principali alla base di questa decisione

vi era il timore di un accerchiamento che la politica di Truman aveva alimentato

nel corso del 1947. Inoltre, i governi comunisti nei Paesi dell'Europa orientale

stentavano a consolidarsi ed alcuni capi di partito non apparivano perfettamente

allineati con le direttive del Partito comunista dell'Unione Sovietica (Pcus),

propendendo invece per delle “vie nazionali al socialismo”.

La riunione costitutiva del Cominform, che si tenne a Szklarska Poreba in

Polonia dal 22 al 27 settembre 1947, si aprì con una relazione dell'ideologo

sovietico Zdanov. In essa si riconosceva che l'esperienza della partecipazione in

un governo di coalizione aveva mostrato che questa tattica dei partiti comunisti

aveva avuto successo e aveva permesso di aumentare l'influenza sulle masse, ma i

partiti comunisti occidentali, soprattutto quello italiano e quello francese, avevano

commesso degli errori, come ad esempio quello di non saper realizzare una

corretta combinazione tra forme di lotta parlamentari ed extraparlamentari, con il

risultato di “invaghirsi” delle combinazioni parlamentari87. I comunisti francesi e

italiani erano colpevoli anche di aver adottato la “teoria non marxista” sulla

possibilità di realizzare una nuova democrazia tramite “una pacifica via

parlamentare”. Le accuse si incentravano sulla reazione, giudicata debole e

inadeguata, dei partiti comunisti occidentali di fronte alla loro estromissione dal

governo e al Piano Marshall. Compito dei comunisti dell'Europa occidentale era di

“prendere nelle loro mani la bandiera della difesa dell'indipendenza nazionale e

della sovranità dei loro Paesi, così da rendere impossibile l'asservimento

dell'Europa”88.

Le accuse dei delegati jugoslavi al PCI si differenziavano da quelle

sovietiche, poiché si attaccava in prima persona Togliatti reo, secondo Kardelj, di

aver fatto parte di una tendenza revisionistica basata sull'illusione della transizione

87 Pons S., Una sfida mancata: l'Urss, il Cominform e il PCI (1947-48), in F. Gori e S. Pons (a cura di), Dagli archivi di Mosca: l'Urss, il Cominform e il PCI, Carocci editore, Roma, 1995, p. 136. 88 Di Nolfo E., op. cit., p. 717.

Page 41: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

38

pacifica dal capitalismo al socialismo89. I comunisti italiani e francesi avevano

nostalgia verso un ritorno al governo di coalizione con i partiti borghesi, disse

Kardelj.

Il senso di questo attacco era duplice: in un senso esso mostrava la fermezza

dell'impegno jugoslavo verso l'Urss, della quale a Mosca si era cominciato a

dubitare, dall'altro rappresentava forse una risposta alla sfida sovietica verso la

lealtà jugoslava, confermata con l'impegno a farsi carico di una posizione che in

quel momento Stalin non condivideva fino in fondo e che lasciava agli jugoslavi

di manifestare, “gettando sulle loro spalle il peso di un oltranzismo che poteva

forse anche isolarli, se la spaccatura Est-Ovest si fosse in qualche modo

allentata”90.

Per il Partito comunista italiano, che nei giorni della costituzione del

Cominform vedeva alcuni suoi dirigenti come Togliatti e Pratolongo protestare

all'Assemblea costituente per un tema all'epoca tutto sommato marginale, seppure

comunque importante, nel dibattito politico come le violenze perpetrate da gruppi

di fascisti nel goriziano91, le aspre critiche ricevute in Polonia costringevano ad un

cambiamento di strategia. Il moderatismo, in cui ben si inseriva il riconoscimento

del Piano Marshall come un gesto di pacificazione da parte degli Stati Uniti,

doveva cedere il passo ad un inasprimento dei toni. “L'Unità” divenne un giornale

di battaglia e gli scioperi un'arma di lotta politica92.

Il 7 ottobre su “l'Unità” appariva un'intervista a Longo in cui il

vicesegretario chiariva il significato della costituzione del Cominform.

Ma sicuramente più interessante è quanto si può leggere dal verbale della

riunione della Direzione del PCI che si tenne lo stesso giorno. Degne di nota sono

le parole di Scoccimarro che provocarono forti reazioni in alcuni dei presenti:

“Noi non abbiamo mai pensato alla possibilità di uno sviluppo pacifico verso la

democrazia e il socialismo”, nega che “si debbano apportare grandi mutamenti

alla nostra prospettiva di lavoro. Al contrario, noi abbiamo qualcosa da dire nei

confronti del partito jugoslavo che, a mio parere, ha fatto e fa una politica

sbagliata nel Territorio libero di Trieste”. Forte era invece l'autocritica compiuta

89 Cfr. Reale E., Nascita del Cominform, Milano, Arnoldo Mondadori Ed, 1958, pp. 116-122. 90 Di Nolfo E., op. cit., p. 718. 91 Atti parlamentari, seduta dell'Assemblea costituente del 29-09-1947. 92 Di Nolfo E., La repubblica delle speranze e degli inganni L'Italia dalla caduta del fascismo al crollo della Democrazia Cristiana, Firenze, Ponte delle Grazie, 1996, p. 338.

Page 42: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

39

da altri come Reale, che riteneva giuste alcune accuse mosse dai compagni

jugoslavi. Infine, interveniva anche il segretario Togliatti:

“…sulla difesa dell'Unione Sovietica. L'Unione Sovietica si difende

da sola, non si tratta di questo. Noi dobbiamo difendere la pace e l'indipendenza del nostro paese e perciò schierarci dalla parte della politica di pace dell'Unione Sovietica. Inoltre: esiste oggi una prospettiva immediata di insurrezione? Io ritengo che non sia gisuto porre così la questione ma, certamente, un comunista non può escluderla in eterno”93.

Un mese più tardi durante il Comitato Centrale del PCI vale la pena notare

ancora l'insistenza di Togliatti sul ripristino dei buoni rapporti con la Jugoslavia:

“La nostra critica al piano Marshall non è l'espressione di una politica che voglia

isolare l'Italia dal mondo capitalistico occidentale, poiché noi sappiamo che ciò

non è possibile, ma è la richiesta di una politica economica indipendente […] Le

nostre rivendicazioni devono essere di […] ripresa quindi di ampi rapporti di

collaborazione, di amicizia e di scambio con questi paesi ed in particolare […]

con quel paese di nuova democrazia che è direttamente confinante con noi: la

Repubblica popolare democratica jugoslava”94.

93 APC, Verbali Direzione, Riunione del 25 ottobre 1947, mf.272 94 APC, Verbali Comitato centrale, riunione del 11-13 novembre 1947, mf 276.

Page 43: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

40

1.8 La questione di Trieste nella campagna elettorale del PCI del 1948 e la dichiarazione tripartita

Il primo gennaio 1948 la Costituzione della Repubblica italiana entrò in

vigore e le elezioni per la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica furono

indette per il 18 aprile successivo.

Dal 4 al 10 gennaio 1948 si tenne il VI congresso del PCI, con cui si entrava

subito in clima da campagna elettorale.

Nel discorso di apertura di Togliatti veniva dato ancora grande risalto al

tema dell'amicizia con il “vicino orientale”, la Jugoslavia: “Noi vogliamo essere

amici con tutti i popoli che confinano con noi: respingiamo in particolare tutti i

tentativi che ogni giorno vengono rinnovati per cercare di mantenere un focolaio

di inimicizia tra noi e i popoli della Repubblica federativa popolare jugoslava” ed

il segretario concludeva con un saluto a nome del Partito comunista italiano a Tito

e alla Jugoslavia.

Su l'Unità del 6 gennaio dedicata quasi esclusivamente all'apertura dei lavori

del VI congresso PCI, appariva però un trafiletto sui negoziati per la nomina del

governatore del TlT: “Sforza sembra abbia più paura di accordarsi che di lasciare

che Trieste divenga una fortezza nelle mani dell'imperialismo anglo-americano”.

Il tema di Trieste ritornava così in primo piano dopo essere stato messo da parte

per diversi mesi, in occasione della campagna elettorale per le elezioni politiche

del 18 aprile. E così anche su l'Unità del 7 gennaio si leggeva: “Il governo ha

sabotato l'accordo sul Governatore di Trieste” e un'esaustiva cronaca degli

incontri avvenuti alcuni giorni prima a Roma tra il ministro plenipotenziario

Mladen Ivekovic e il Segretario generale del Ministero degli affari esteri Franzoni

per la scelta del governatore del TlT spiegava come la colpa del mancato accordo

fosse da attribuire al governo italiano il quale aveva proposto per la carica di

governatore del TlT tutte personalità che già sapeva essere inaccettabili per il

governo jugoslavo. Due giorni dopo veniva chiarito che “Sforza vuole a Trieste

gli anglo-americani”95.

Il 28 gennaio Pajetta riferiva alla Segreteria sulla riunione dell'Informbjuro

(Cominform) che si era appena tenuta: “Sia nel corso della riunione, che nelle

conversazioni avute con i compagni dei vari partiti, abbiamo avuto la ferma

95 L'Unità, 9 gennaio 1948.

Page 44: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

41

sensazione della grande stima che il nostro partito gode fra tutti i partiti fratelli.

Gli stessi compagni jugoslavi con i quali abbiamo parlato ci hanno dimostrato di

aver superato la posizione negativa che per lungo tempo hanno avuto nei nostri

confronti. La nostra impressione è che tutti aspettano grandi cose dal nostro

partito”96

Per sostenere la campagna elettorale appena cominciata, il PCI aveva

bisogno di ingenti fondi in maniera tale da poter tenere testa alla Dc che era

generosamente finanziata dal governo statunitense. Pietro Secchia inviato a Mosca

per trovare un accordo su tali finanziamenti, tornò in Italia con l'assicurazione che

il PCI avrebbe ricevuto a breve 650.000 dollari. Ottenute le risorse necessarie, il

PCI poteva scatenare l'offensiva propagandistica con tutte le sue armi97.

Ingrao, su l’Unità, inveiva contro i “lustrascarpe dell’America” e ribadiva

che solo accordi diretti potevano risolvere la disputa su Trieste, Togliatti

assicurava da Siracusa, durante l’ennesimo comizio, che il giorno in cui l’Italia

avesse avuto un governo libero, pure la questione di Trieste sarebbe stata “risolta

in quattro e quattr’otto”98.

Ma l'avanzata “trionfale” del PCI verso le elezioni del 18 aprile subì un

primo forte scossone con la crisi che si aprì in Cecoslovacchia il 20 febbraio. Gli

arresti in massa seguiti dal suicidio del ministro degli Esteri Masarik, in quello

che era rimasto l'unico Paese dell'Europa orientale che ancora non era stato

trasformato in un regime staliniano, colpirono l'opinione pubblica italiana e

furono abilmente sfruttati dalla propaganda democristiana.

Il 20 marzo 1948 i governi americano, britannico e francese resero pubblica

una loro dichiarazione secondo la quale tutto il TLT avrebbe dovuto essere

restituito all'Italia, visto che il Consiglio di Sicurezza non riusciva a raggiungere

un'intesa sul nome del governatore. Naturalmente non c'era nessuna possibilità

che tale dichiarazione “tripartita” fosse realmente applicata, poiché ciò avrebbe

richiesto un'azione di forza contro gli Jugoslavi che allora godevano ancora

dell'appoggio sovietico e meno ancora essa sarebbe stata applicabile dopo la

rottura tra Tito e Stalin alla fine del giugno 1948, poiché ciò avrebbe rigettato Tito

nelle braccia del dittatore sovietico. Chi aveva un minimo di confidenza con le 96 APC, Verbali Segreteria, 28 gennaio 1948 mf 278. 97 Riva V., Oro da Mosca : i finanziamenti sovietici al PCI dalla rivoluzione d'ottobre al crollo dell'URSS, Milano, Mondadori, 2002, p. 121. 98 Togliatti P., La nostra politica estera è legata ad una questione decisiva: la difesa della pace, L'Unità, 21-03-1948.

Page 45: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

42

contraddizioni del linguaggio diplomatico sapeva tutto questo sin dall'inizio e non

si faceva illusioni. Ma la dichiarazione del 20 marzo fu una specie di terno al lotto

per la DC, a poco meno di un mese dalle elezioni. Ciò che i Sovietici avevano

tolto all'Italia, gli occidentali si preparavano a renderle. La percezione generale fu

questa; essa contribuì a convalidare l'immagine della Dc come quella di un partito

“nazionale” e quella delle sinistre come l'immagine di una forza politica

“antinazionale”99 .

Secondo De Castro, la dichiarazione tripartita fu di estrema utilità agli

Alleati “più che un dono all'Italia. E se questa venne in luce prima delle elezioni

italiane, non deve essere considerata una manovra degli Occidentali, avente lo

scopo di influenzarle... in quanto ad una decisione simile, o prima o poi, si

sarebbe giunti. Se le elezioni italiane non fossero state vicine, forse la

dichiarazione tripartita sarebbe stata emessa più tardi, ma sarebbe arrivata ad ogni

modo”100.

Da ciò che emerge da documenti d'archivio del Foreign Office inglese e del

Dipartimento di Stato americano, le potenze occidentali decisero di emanare la

dichiarazione per prevenire un'analoga mossa che i comunisti italiani stavano

preparando per guadagnare consensi in vista delle elezioni101; benchè Pajetta si

fosse effettivamente recato in Jugoslavia nel febbraio precedente, tuttavia non si

hanno prove dei risultati raggiunti con tale missione.

Il 13 aprile ci fu la risposta sovietica alla dichiarazione tripartita, in cui si

affermava che non si poteva cambiare ciò che era stato stabilito nel Trattato di

pace attraverso corrispondenza o conferenze private. Tuttavia, il 22 aprile veniva

anche denunciato l'accordo che c'era stato tra Kardelj e Molotov a febbraio per

reciproche consultazioni in politica estera in quanto, secondo i sovietici, il

governo di Belgrado aveva dato risposta agli Occidentali circa la revisione del

trattato di pace con l'Italia senza preventivamente avvisare di ciò il Cremlino.

Quest'ultima mossa si può leggere come una condanna da parte sovietica alla

politica autonoma condotta da Tito su Trieste.

99 Di Nolfo E., La repubblica degli inganni. L'Italia dalla caduta del fascismo al crollo della Democrazia Cristiana, op.cit, p.346. 100 De Castro D., Cenni riassuntivi sul problema giuliano nell'ultimo decennio,op. cit., p.128. 101 Vedi per esempio: Pirjevec J., Tito Stalin e l'Occidente, Trieste, 1990, p. 73 e Pupo R., Fra Italia e Jugoslavia. Saggi sulla questione di Trieste (1945-1954), Udine, Del Bianco Editore, 1989, p. 65.

Page 46: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

43

Ma Togliatti non aveva atteso la risposta sovietica per attaccare la

Dichiarazione tripartita: il 26 marzo su l'Unità scriveva un articolo intitolato

“Truffa all'americana”, in cui appunto paragonava il governo italiano a chi nel

corso di una truffa per strada cerca di distrarre la vittima designata (in questo caso

il popolo italiano) mentre il truffatore vero e proprio (gli Stati Uniti) mette a segno

il colpo. Per risolvere la questione di Trieste in “quarantott'ore”, il segretario PCI

proponeva invece la già sostenuta soluzione delle trattative dirette con la

Jugoslavia, tornando a chiarire anche il significato della sua iniziativa diplomatica

del novembre del 1946:

“[…] I disgraziati uomini politici che oggi dicono di dirigere la nostra

politica estera – in realtà essi non dirigono nulla, ma vanno e lasciano andare il nostro Paese alla deriva nel vortice pauroso che trascina verso una nuova guerra e una nuova catastrofe i popoli d’Europa – non solo non posseggono nè il senso della realtà né il senso delle necessità nazionali, ma nei confronti dei gruppi imperialistici che vorrebbero imporci una nuova guerra per conto loro, compiono esclusivamente la degradante funzione del compare che tiene a bada il poveretto cui si sta cercando di portare via il portafogli con una truffa all’americana.

[…] I ministri occidentali hanno proposto, in sostanza, di risolvere la questione di Trieste senza tener conto della Jugoslavia, del cui parere, nella loro nota, nemmeno si fa cenno. Ma il trattato è firmato anche dalla Jugoslavia e non si vorrà negare che questo paese è, insieme con l’Italia, il più interessato alla questione triestina. Che cosa vuol dire rivedere un tratto collettivo per atto d’una sola parte, senza nemmeno consultare l’altra parte interessata? Credo non occorra possedere grande scienza storica e diplomatica per sapere cosa vuol dire. Nel migliore dei casi vuol dire una rottura di relazioni. Ma quando si leggono i discorsi di Truman e, come commento alla nota triestina dei tre occidentali, uomini di stato americani annunciano a suon di tromba che le navi americane nel Mediterraneo sono già cariche di bombe atomiche, è più che legittimo pensare che i guerrafondai d’oltre Oceano pensano probabilmente a qualcosa di molto più grave che a una rottura di relazioni pensano di scatenare un nuovo flagello tremendo e hanno scelto Trieste unicamente come un pretesto, per poter trascinare l’Italia nell’abisso sin dal primo momento, servendosi del nostro povero Paese come punto d’appoggio per i loro delitti….Quanto agli americani, agli inglesi ai francesi, se essi vogliono davvero aiutare l’Italia a riavere Trieste entro le sue frontiere e sotto la sua sovranità, essi non hanno da fare altro che una cosa: togliere il loro divieto alle conversazioni e alle trattative dirette tra la Repubblica italiana e la Repubblica jugoslava circa la questione di Trieste e tutte le altre che sono pendenti tra i due paesi, il pretesto del preteso richiesto scambio con Gorizia è una cosa che fa ridere chiunque si intenda di trattative diplomatiche. Nessuno lo sa meglio di me, che condussi quelle conversazioni con Tito nel novembre 1946 e al ritorno dichiarai che non vi era nessun “prendere o lasciare”, nessuno “scambio” tassativamente richiesto, ma vi era unicamente una prima impostazione, da parte jugoslava, del problema, tanto per aprire la trattativa”102.

102 Truffa all’americana, L'Unità, 26 marzo 1948.

Page 47: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

44

Bisogna qui tenere presente che Togliatti, poco prima di scrivere questo

articolo, aveva ricevuto rassicurazioni da Molotov riguardo alle preoccupazioni

che il segretario del PCI aveva sollevato in un incontro avvenuto vicino Roma con

l'ambasciatore sovietico Kostylev. Il Ministro degli Esteri sovietico aveva escluso

la possibilità che il PCI potesse fare ricorso ad una risurrezione armata in qualsiasi

caso, ammettendo solo la difesa armata delle sedi del PCI103. La risposta di

Molotov rientrava in una strategia sovietica, cominciata dal settembre 1947, in cui

la soglia della sfida non venne elevata mai oltre un certo livello, cioè quello del

rilancio dell'influenza sovietica nella “sfera d'influenza” occidentale.

Le critiche cominformiste avevano aperto una frattura tra moderati e

intransigenti all'interno del PCI, dinanzi alla quale Mosca non sostenne

apertamente né l'una né l'altra delle due posizioni. Nel momento delle decisioni,

Stalin fece però pendere il peso della bilancia verso i moderati e verso il ruolo di

Togliatti. Tuttavia, non fu messa in atto una politica formulata sulla base di un

coordinamento tra gli orientamenti dei comunisti italiani e le strategie della

politica estera dell'Urss, le quali verso l'Europa occidentale si riducevano alla

propaganda e all'attesa di nuovi conflitti sociali. Un evidente clima di incertezza

permaneva ancora alla vigilia delle elezioni dell'aprile 1948, anche se già alcuni

mesi prima si era delineata una presa di distanza dei sovietici dalle opzioni

insurrezioniste sostenute dagli jugoslavi. L'unico dato certo era quello della

militarizzazione dello scontro in Europa e del conseguente giro di vite nei

controlli esercitati da Mosca. Ai partiti comunisti dell'Europa occidentale si finì

col chiedere un contributo ad assecondare, anziché combattere, le tendenza verso

gli scenari della militarizzazione.104

Tornando alle posizioni espresse dal PCI sulla questione di Trieste durante

la campagna elettorale per le elezioni politiche dell'aprile del 1948 sulle pagine

de l'Unità, organo di stampa ufficiale del partito, vi erano stati sporadici articoli

sul tema105, finché non era arrivata la dichiarazione tripartita a sconvolgere il

quadro della situazione. Da allora la stampa comunista si era scatenata per alcuni

giorni affermando che solo un governo democratico e indipendente avrebbe

potuto risolvere la questione di Trieste, mentre le potenze occidentali speculavano 103 Gibjanskij L., Mosca, il PCI e la questione di Trieste (1944-1948), in F. Gori e S. Pons (a cura di), op. cit., p. 83. 104 Pons S., Un sfida mancata: l'Urss, il Cominform e il PCI (1947-1948), in F. Gori e S. Pons (a cura di), op. cit., p. 168. 105 Cfr.: Protesta della Jugoslavia per le navi americane a Trieste, L'Unità, 20-02-1948.

Page 48: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

45

sui sentimenti degli italiani offrendo territori di cui non disponevano e

guardandosi bene dal restituire le Colonie e Briga e Tenda. Belgardo era pronta a

trattare con l'Italia, ma sarebbero state pronte le potenze occidentali a restituire I

territori sopra menzionati e I miliardi pagati dall'Italia in conto riparazioni? Il

problema poteva essere risolto solo dall'intesa fra un'Italia democaratica e la

Jugoslavia , ma le proposte di Tito per la pace e la collaborazione amichevole

cozzavano con le reali intenzioni di Truman e dei “suoi servi” che desideravano la

guerra106. L'Unità tornava per un paio di settimane a tacere quasi, a parte qualche

trafiletto, su Trieste fino alla nota sovietica (13 aprile) di risposta alla

dichiarazione tripartita che Togliatti e compagni avevano aspettato con ansia

prima del giorno delle elezioni (18 aprile). Essa affermava chiaramente che il

trattato di pace, e quindi anche la questione di Trieste, non potevano venire

modificati senza l'accordo di tutti gli interessati. Sulle pagine de L'Unità il PCI

poteva quindi esultare, gridando al “bluff elettorale” verso la dichiarazione

tripartita, e sostenendo che al Quai d'Orsay si era d'accordo in linea di principio

con quanto espresso nella nota sovietica107.

106 Cfr.: Solo un governo democratico e indipendente potrà risolvere la questione di Trieste, L'Unità, 21-03-1948; Belgrado pronta a trattare con l'Italia su Trieste, L'Unità, 26-03-1948; Il problema di Trieste può essere risolto solo dall'intesa fra un'Italia democratica e la Jugoslavia, L'Unità, 27-03-1948; La Jugoslavia conferma la volontà di trattare direttamente con l'Italia, L'Unità, 31-03-1948. 107 Vedi ad esempio: Solo l'accordo di tutti I paesi interessati può restituire Trieste all'Italia, 14-04-1948; Il bluff su Trieste, L'Unità, 15-04-1948; Il Quay d'Orsay si dichiara d'accordo con la nota sovietica sulla questione di Trieste, L'Unità, 16-04-1948.

Page 49: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

46

1.9 La risoluzione del Cominform del 28 giugno 1948

La trasformazione dei governi dei Paesi dell'Europa orientale in altrettanti

regimi staliniani promossa dall'Unione Sovietica nel biennio 1946-47, con

conseguenti epurazioni anche violente all'interno dei partiti comunisti a capo di

quei governi, trovò un'eccezione in Jugoslavia. Qui la presenza di un leader come

Tito, che grazie ai successi della lotta partigiana da lui guidata durante la Seconda

Guerra Mondiale tendeva a considerarsi secondo solo a Stalin nell'ambito del

movimento comunista mondiale, faceva sì che le epurazioni non volute dallo

stesso capo jugoslavo fossero più difficili, come anche l'imposizione di direttive

non gradite. Mentre Stalin tra il 1941 e il 1947 aveva seguito una politica

“elastica”108 nei confronti del mondo occidentale, Tito era stato assai più rigido

nella contrapposizione all'Occidente, come anche l'andamento della riunione di

Szklarska Poreba del settembre 1947 aveva dimostrato. Inoltre, Stalin era

preoccupato dai tentativi di Tito di porsi a capo di una federazione comunista

danubiano-balcanica, che sembrava poter prendere forma dalla collaborazione

portata avanti dal leader jugoslavo con il capo del governo bulgaro Dimitrov nella

seconda metà del 1947. Così, nel marzo del 1948 Stalin giunse alla decisione di

dover intervenire per ristabilire le gerarchie nel blocco comunista e scrisse una

lettera a Tito di accuse di deviazionismo ideologico, ma il capo jugoslavo non

chinò la testa e respinse tutte le accuse. La resistenza di Tito spinse la direzione

sovietica a riunire il Cominform a Bucarest a fine giugno per decretare la

condanna del deviazionismo ideologico di Tito e dei suoi principali collaboratori

Djilas e Kardelj e la conseguente espulsione della Jugoslavia dall'organizzazione

comunista.

Per quanto riguarda i vertici del Partito comunista italiano, la risoluzione del

Cominform del 28 giugno 1948 non giunse del tutto inaspettata.

Fin dal 22 maggio, replicando ad una lettera di Suslov, Togliatti aveva dato

risposta favorevole alla proposta sovietica di convocare la riunione del

Kominform con all’ordine del giorno la situazione nel Pcj, chiedendo soltanto che

essa slittasse alla seconda metà di giugno per consentirgli di partecipare ai lavori

in parlamento: 108 Di Nolfo E., op. cit., p. 728.

Page 50: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

47

“Preoccupante e grave ci sembra il fatto che tutta la condotta dei compagni dirigenti del Pcj dimostra che essi non comprendono oppure hanno dimenticato il ruolo dirigente che spetta nel movimento comunista mondiale all’Unione Sovietica, e il ruolo dirigente che spetta al partito bolscevico nei confronti dei partiti comunisti degli altri paesi […]è vero che nel 1943 abbiamo deciso di sciogliere l’Internazionale comunista, ma questa decisione non è mai stata intesa da nessuno di noi, né può essere intesa come la negazione di questo ruolo dirigente dell’Unione Sovietica, del partito bolscevico e dei suoi capi, [che] doveva e deve fornire una guida per il giusto orientamento di tutti i partiti comunisti in questo periodo in cui essi non fanno più parte, come prima, di una organizzazione internazionale unitaria […] l’esperienza di questi ultimi anni crediamo dimostri a sufficienza che è grazie al potente aiuto che gli è stato dato dalle vittorie economiche, militari e politiche dell’Unione Sovietica che il movimento comunista ha potuto compiere particolarmente in Europa un enorme passo in avanti, sia con la creazione dei regimi di nuova democrazia nei paesi che sono stati liberati dall’esercito sovietico, sia con la formazione di grandi partiti comunisti di massa nei paesi che, come il nostro, sono passati da un regime [di] fascismo a un regime di predominio dell’imperialismo anglosassone”109.

Ma per quanto riguarda la “base”, nessuno poteva sapere ciò che stava per

succedere, come è testimoniato anche dagli articoli che apparivano sulla stampa

comunista: il 25 maggio 1948 su l’Unità si festeggiava solennemente il

compleanno di Tito ed il 27 maggio in un articolo intitolato “Si specchieranno i

grattacieli nelle pigre acque del Danubio” venivano dati resoconti entusiastici sui

progressi compiuti nel campo della democrazia socialista in Jugoslavia110.

Ancora ai primi di giugno Giuliano Pajetta, che da lì ad un mese sarebbe

stato sostituito da Ottavio Pastore come redattore all’Ufficio di Informazione,

riceveva da Togliatti l’indicazione di allinearsi sulle posizioni sovietiche, “avendo

però cura di sottolineare la nostra profonda stima verso i compagni jugoslavi”111.

Che il vertice del partito alla vigilia della crisi sapesse cosa bolliva in

pentola appare cosa certa, altrettanto certo, però è che il corpo del partito e persino

gli intimi di Togliatti erano all’oscuro del dissidio quando il segretario e Secchia

partirono per l’assise rumena, il 19 giugno112.

Alla riunione del Cominform intervenne Togliatti il 22 giugno con un

discorso in cui non “non si limitava ad avallare in toto le tesi sovietiche sulle

109 APC, Materiali Kominform, mf 192, p.0269. 110 L'Unità, 27 maggio 1948. 111 Forse Togliatti capì che Stalin sbagliava, in Globo, 24-6-1973, intervista a Giuliano Pajetta. 112 Zuccari M., op. cit., p. 167.

Page 51: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

48

“deviazioni” titine, ma scavava nella colpa fino a metterne a nudo il nocciolo:

l’attacco al ruolo guida dell’Urss e dunque all’unità del campo comunista”. Come

è possibile leggere dall'Archivio Secchia, Togliatti affermò che “i dirigenti del Pcj

hanno spezzato i loro legami con le democrazie popolari, con la terra del

socialismo e il movimento comunista, ed essi devono inevitabilmente scivolare

nel nazionalismo borghese. Cercare aiuto dai paesi imperialisti significa portare la

Jugoslavia all’inevitabile perdita d’indipendenza ed il popolo jugoslavo alla

rovina”113.

Togliatti aveva così ancora una volta deciso di seguire fino in fondo e senza

titubanze le indicazioni provenienti da Mosca. Lo confermerebbe anche l'aneddoto

secondo il quale avendo Antonio Giolitti espresso qualche dubbio sulla vicenda fu

zittito dal segretario del PCI al suo rientro da Bucarest: “Non osare neppure dirlo!

Guai ad avere dei dubbi, guai! Attento, questa per noi è la pietra di paragone. Guai

se avessimo incertezze o esitazioni: la nostra è una scelta di principio. Non è che

si possa chiedere se Tito abbia una qualche ragione, non può che avere tutti i

torti!”114.

La decisione dell’Informbjuro ricevette l'approvazione della direzione del

PCI “completa e senza riserve”, benché emergesse dagli interventi dei presenti

disagio e preoccupazione per le conseguenze internazionali e i possibili risvolti

interni dello scontro115.

Il 30 giugno su l'Unità si rimproverava alla Jugoslavia di non aver accettato

le critiche degli altri partiti comunisti e di non aver ammesso le proprie colpe116.

Sulla stessa pagina si trova anche un articolo del vicesegretario Pietro Secchia

intitolato “L'Unione Sovietica forza dirigente nella lotta per il socialismo” in cui

viene celebrato il ruolo di unica guida del movimento comunista mondiale

all'Urss, contro l'errore jugoslavo del perseguimento di una “via nazionale al

socialismo”.

Su L'Unità del primo luglio si affermava che Truman e Tito avessero

intavolato trattative per sbloccare l'oro jugoslavo depositato nelle banche

americane già da tre settimane e che la stampa americana cercava di sfruttare il

113 Ivi, p.170. 114 Di Loreto P., Togliatti e la “Doppiezza”. Il PCI tra democrazia e insurrezione (1944-1949), Bologna, Il Mulino, 1991, p. 276. 115 APC, Verbali della Direzione, riunione del 28 giugno 1948, mf 199, p. 1-15. 116 I dirigenti del P.c. di Jugolsavia rifiutano di correggere i propri errori, L'Unità, 30 giugno 1948.

Page 52: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

49

grave atteggiamento assunto dai dirigenti jugoslavi per provocare una “breccia

permanente” nel fronte anti-imperialista, riportando dichiarazioni del quotidiano

francese Le Monde si faceva anche un accenno a Trieste come possibile terreno

per trovare un accordo tra Stati Uniti e Jugoslavia: “L'organo di Quay d'Orsay Le

Monde si dimostra però assai pessimista circa la possibilità per gli Stati Uniti di

servirsi dei dollari per agganciare la Jugoslavia all'economia occidentale

sbloccando l'oro concedendo prestiti […] e persino escogitando un nuovo

compromesso sullo Statuto di Trieste”117. Nella stessa edizione del quotidiano

comunista Felice Platone commentava “la triste difesa dei dirigenti jugoslavi”

rispetto alle accuse che erano state mosse dagli altri membri del Cominform.

Finalmente il due luglio scriveva su l'Unità anche il segretario che si

scagliava contro la “stampa gialla” e i “signori occidentali” colpevoli di “fare il

gioco dei bussolotti” fraintendendo volontariamente il vero significato della

risoluzione del Cominform sulla mancata organizzazione del partito comunista in

Jugoslavia e sulla questione agraria. Togliatti ribadiva alla fine dell'articolo che la

guida del movimento socialista era una sola e cioè l'unico Paese in cui un partito

marxista-leninista aveva la funzione dirigente, l'Urss; l'errore dei dirigenti

jugoslavi era dovuto alla “presunzione” di non avere riconosciuto il contributo

determinante sovietico nella vittoria finale nella Seconda Guerra Mondiale118.

Sulla stessa pagina, veniva riportato anche un estratto dell'articolo che usciva lo

stesso giorno su Il lavoratore di Trieste, in cui i comunisti triestini si schieravano

“senza riserve e senza oscillazioni dalla parte del comunismo mondiale”, cioè

dalla parte dell'Unione Sovietica, chiedendo ai dirigenti jugoslavi di riconoscere e

correggere i propri errori tramite lo strumento della critica e dell'autocritica.

Il giorno precedente Togliatti alla riunione di cellula dell'apparato del PCI

fece un intervento molto significativo sulla decisione presa nei giorni scorsi in

Romania dopo che Secchia aveva letto un esauriente rapporto. Importantissimo

riguardo alla questione di Trieste è il brano del rapporto che segue, in cui il

segretario metteva in guardia i compagni dal cadere nella tentazione di

approfittare della “scomunica” jugoslava, scivolando sul piano del nazionalismo,

bisognava invece insistere sulla strada fino ad allora seguita dei contatti e delle

trattative diretti con gli jugoslavi: 117Cfr.: Lo sblocco dell'oro jugoslavo. Dichiarazioni di Washington sulle trattative con Tito. Contatti in corso già da tre settimane, L'Unità, 1 luglio 1948. 118 Cfr.: Considerazioni preliminari, L'Unità, 2 luglio 1948.

Page 53: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

50

“Sulla domanda posta dal compagno Romiti il quale desidera sapere se era più importante la questione di politica estera o quella di politica interna, credo che è difficile dire quale era la più importante perché se nei compagni jugoslavi vi è stata e vi è una deviazione sui problemi di politica estera, essa è stata la conseguenza del fatto che hanno abbandonato la via dell’internazionalismo e si sono posti su quella del nazionalismo e questo è dovuto al fatto che non riconoscono la funzione dirigente del partito bolscevico, dal fatto che hanno allentato i legami con i partiti e i paesi di nuova democrazia chiudendosi in una loro concezione nazionalistica.

Però guardiamoci bene, noi compagni italiani, a non far coincidere la nostra critica dei compagni dirigenti jugoslavi con quelle che erano ieri le posizioni del nazionalismo italiano. Il nazionalismo italiano ha combattuto contro la Jugoslavia popolare, contro la Jugoslavia di Tito e contro Tito rivendicando la città di Trieste, respingendo ogni contatto con la Jugoslavia di Tito a proposito della città di Trieste e facendo di questo stato e di questo regime il nemico numero uno dell’Italia. Facciamo quindi attenzione a non cadere noi stessa in quella linea, a non andare per quella strada perché quella sarebbe per noi una vera deviazione nazionalistica. Noi, a proposito della questione di Trieste, dobbiamo continuare a seguire quella che è stata la nostra linea negli ultimi tempi; noi rivendichiamo un regolamento di tale questione attraverso i contatti con la Jugoslavia popolare che abbia superato quelle deviazioni”119.

Togliatti aveva anche affermato che di fronte agli errori dei dirigenti

jugoslavi era stato necessario “mettere a tempo il dito nella piaga, denunciare gli

errori”120.

Nella prima metà di luglio continuarono sulla stampa comunista gli articoli

di denuncia della deviazione titina, ma con accuse generiche e ripetitive circa il

non riconoscimento jugoslavo del ruolo guida dell'Unione sovietica, la

degenerazione militaresca in corso in Jugoslavia e la questione agraria.

Il numero di Rinascita del luglio 1948 riportava l'articolo intitolato “Il fronte

del socialismo e i casi di Jugoslavia” di Felice Platone che si basava su una

rievocazione dell'internazionalismo proletario contrapposto al nazionalismo titino,

un po' poco per quella che era la rivista teorica del partito. In realtà, la scarsa

consistenza in termini ideologici di tali scritti costituiva la riprova di una battaglia

affrontata dalla Direzione senza convinzione né interesse. Il direttore di Rinascita

era Togliatti stesso e nella “sua” rivista si parlava poco della rottura forse perché

attento a non chiudere la porta in faccia agli jugoslavi, in omaggio a un ruolo di

mediatore nella disputa da più parti ventilato121.

119 APC, Fondo Togliatti, Carte della scrivania, mf. 1164, pp. 12-13. 120 Ivi, p. 3. 121 Galeazzi M. , Togliatti e Tito: tra identità nazionale e internazionalismo, Roma, Carocci, 2005, p. 66.

Page 54: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

51

Ad ogni modo, il nove luglio la Direzione rifiutava l'invito a partecipare al

congresso del Pcj considerato oramai “fuori dalla famiglia dei partiti comunisti

aderenti all'Ufficio di informazione”122.

Di fronte alla scarsa incisività della campagna di accusa del PCI contro

l'eretico Tito, Stalin in persona si preoccupava di inviare una lettera al compagno

Togliatti, lo stesso giorno in cui questi rimaneva vittima di un attentato a Roma:

“Ho l'impressione che voi contiate sulla sconfitta di Tito e del suo

gruppo al congresso del Pcj. In considerazione di ciò voi proponete di pubblicare materiali compromettenti i dirigenti jugoslavi nel cmapo dei rapporti con l'Urss. Debbo dirvi che noi moscoviti non contiamo e non abbiamo contato su una simile rapida sconfitta del gruppo di Tito. […] Il nostro scopo era, nella prima tappa, quello di isolare i dirigenti jugoslavi agli occhi degli altri partiti comunisti e di smascherare le loro macchinazioni truffaldine. […] In seguito avverrà il graduale distacco del gruppo marxista del partito da Tito e dal suo gruppo. Per questo occorre tempo e saper attendere. Si vede che in voi non c'è sufficiente pazienza per questo. Ma io vi consiglio di fornirvi di pazienza essendo che la vittoria del marxismo-leninismo in Jugoslavia fra qualche tempo non può essere messa in dubbio”123.

Dopo i disordini che scoppiarono in tutta Italia alla notizia del ferimento di

Togliatti, che i dirigenti del PCI si preoccuparono di controllare in qualche modo

in maniera tale che non si arrivasse ad un'insurrezione vera e propria, i toni della

campagna antitina su l'Unità si smorzarono, con l'eccezione dell'edizione milanese

sempre molto aggressiva nei confronti della Jugoslavia.

1.9.1 La risoluzione del Cominform e il PCTLT

L'arma migliore e più efficace per il PCI nello scontro con Tito diventò così

il Pc del TlT. Infatti, quella che per i comunisti italiani era una questione spinosa,

focolaio di tensioni internazionali e spina nel fianco della politica nazionale del

“partito nuovo” si rivelò un indubbio vantaggio nella disputa col maresciallo. Solo

in quello spicchio di terra che s'affaccia sul Golfo di Trieste, infatti, il PCI poteva

godere della favorevolissima situazione d'un partito ligio a Mosca e diretto da

Roma ma sostanzialmente presentato come autonomo da entrambe. Si trattava di

una posizione di favore che non aveva alcun partito comunista nel mondo: mentre

122 APC, Verbali della Direzione, 8-9 luglio 1948, mf 199. 123 APC, Materiali Cominform, mf.192, lettera di Stalin al compagno Gottwald copia al compagno Togliatti 14 luglio 1948.

Page 55: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

52

ogni partito cominformista doveva scendere in campo con tutto il peso del suo

apparato e dello Stato, di fatto i dirigenti del PCI, dopo le numerose critiche

sollevate dai primi interventi nella disputa sul problema dei contadini e dei

rapporti nel “Fronte”, tendevano a evitare la lotta frontale sui propri media

nazionali, al fine di non prestare il fianco ad accuse difficilmente arginabili, e

demandavano alle testate locali l'attuazione direttive cominformiste. Il lavoratore,

foglio del Pc del TlT, assumeva il ruolo che altrove solo gli organi centrali

potevano coprire: quello di custode dell'ortodossia e quotidiana tribuna dove

denunciare i crimini del titismo. A uso e consumo dei quadri locali, più esposti al

pericolo di “contaminazioni”, ma anche di quelli oltreconfine, dove il giornale

divenne strumento di propaganda e lotta politica fra le popolazioni istriane e

slovene italiciste e, ovviamente, fra le minoranze italiane rimaste in loco. Per

diversi anni fu impossibile distinguere gli editoriali di Leopoldo Gasparini o i

fondi di Vidali su Il Lavoratore, dai loro omologhi sul Robotniciske Delo o sullo

Zeri i Popullit124.

Il 3 e 4 luglio si riunì il Comitato esecutivo del Pc del TlT per discutere la

risoluzione dell'Ufficio d'Informazione: emersero due tendenze contrapposte

ognuna delle quali rappresentata da una risoluzione. La risoluzione Vidali

ricevette 6 voti e quella di Babic 4: prevalse dunque l'ala cominformista su quella

filojugoslava.

“Il Comunista” di Trieste affermava che la risoluzione, anche per il

comunismo triestino, era come un “raggio di sole”, una mano energica e forte che

apriva tutte le finestre della “casa”, che permetteva finalmente di respirare

liberamente, parlare, discutere, decidere. Essa indicava ciò che doveva essere un

partito comunista educato nello spirito dell'internazionalismo proletario, un partito

profondamente democratico, di tipo nuovo, legato alle masse ed amato dal

popolo”. Pratolongo e Destradi riferivano in segreteria a Roma il sette luglio,

portando una relazione di Vidali sulla situazione presente:

“Non c’è dubbio che la lotta sarà dura. Essi hanno un apparato, i fondi,

e sono spregiudicati nell’applicare tutti i mezzi di coazione, incluso quello poliziesco…Il loro obiettivo è mantenere il potere ed usarlo per impedire al partito di esprimersi e mettersi sulla buona strada. Sarebbe molto importante pubblicare nell’organo del Cominform un trafiletto riassumendo le notizie su Trieste ed indicando che la stragrande maggioranza d’italiani e slavi ha

124 Zuccari M., Il PCI e la “scomunica” del '48. Una questione di principio, in F. Gori e S. Pons (a cura di), op. cit., pp. 182-183.

Page 56: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

53

accettato la risoluzione del Cominform. Noi continueremo ad inviarvi notizie per telefono ma è importante che almeno ogni dieci giorni un compagno venga a trovarvi… Fino adesso ci siamo limitati a chiedere al Cc di Belgrado di riconoscere i suoi errori e di rivolgerci ad altre organizzazioni nella Jugoslavia affinché intervengano presso il Cc per obbligarlo a fare ciò. Abbiamo fatto così specialmente per non urtare la suscettibilità della popolazione slovena. Passiamo all’attacco?”

Nella riunione di segreteria si consigliava ai compagni triestini di seguire la

seguente linea: conduzione della lotta nel Cc secondo la risoluzione dell’Ui;

evitare di cadere nel nazionalismo e sciovinismo italiano; eleggere nel Cc una

direzione e una segreteria nuove, con maggioranza sicura per la linea dell’Ui;

tenere la riunione in zona A; lasciare aperta la questione dell’eventuale

partecipazione al congresso di Belgrado di delegati del Tlt; se la lotta fosse stata

portata nelle organizzazioni di massa, andavano conquistate queste organizzazioni

alla linea giusta”125.

La maggioranza cominformista del Pc del TlT a fine luglio informava la

Segreteria a Roma che ci sarebbe stato presto un congresso straordinario per

chiarire la situazione all'interno del partito; dalla risposta di Longo, che augurava

buon lavoro ai compagni triestini, si comprende che non venivano inviati delegati

né tantomeno aiuti finanziari:

“E' in questa situazione di così acuta lotta che voi, compagni triestini,

avete dovuto affrontare una dura battaglia in difesa dell'internazionalismo operaio, della fedeltà al fronte della democrazia e del socialismo minacciati dalla degenerazione nazionalistica di un gruppo che nel vostro partito aveva fatto sue le posizioni opportuniste e anti-marxiste dei dirigenti del comitato centrale del Pcj, condannato dalla risoluzione dell'Ufficio d'informazione dei partiti comunisti Il comitato centrale del PCI ha seguito attentamente le fasi della vostra lotta in difesa dei sani principi del marxismo-leninismo contro gli errori e le deviazioni del comitato centrale del Partito comunista jugoslavo e dei suoi uomini nel Partito comunista del Territorio libero di Trieste che con la loro azione tendevano ad allargare la breccia aperta dal comitato centrale di Belgrado nel blocco delle forze antimperialiste […] compagne e compagni congressisti siamo certi che da questo vostro congresso la vostra organizzazione di partito uscirà più forte ed agguerrita non soltanto per le prossime battaglie politiche ed economiche che dovrete affrontare […] per l'indipendenza del vostro territorio ma anche per l'organizzazione di un regime di democrazia […] voi saprete assolvere i compiti che vi stanno di fronte”126.

Il 21 agosto si tenne il congresso straordinario del Pc del TlT durante il

125 APC, Verbali della Segreteria, 7 luglio 1948, mf. 278. 126 APC, ibidem.

Page 57: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

54

quale fu decreta l'espulsione dei dissidenti titini, compreso Branko Babic e Vidali

fu eletto segretario generale al suo posto. Fu eletto un nuovo comitato esecutivo e

un nuovo comitato centrale.

Il Pc triestino divenne così, per posizione geografica ed ortodossia dei

quadri, “la punta di lancia della strategia cominformista in Italia”127.

Vidali presentò una relazione sulla situazione politica e organizzativa nel

partito dopo la risoluzione dell'Informbjuro. Descrisse l'azione aggressiva

dell'imperialismo americano nel mondo, in vari luoghi come a Trieste, in Corea, a

Berlino, essi approfittavano dell'occupazione militare protratta in seguito alla

mancata conclusione dei trattati di pace o, come a Trieste, malgrado i trattati di

pace, sfruttavano al massimo le difficoltà di ogni tipo per rimandare la soluzione e

mantenere un continuo stato di tensione, uno stato di guerra non guerreggiata, di

guerra fredda. Descriveva poi il ruolo dell'Urss e del movimento comunista

internazionale nella costruzione della democrazia e della pace mondiale. Alcuni

partiti comunisti come quello francese e quello italiano avevano subito critiche

anche aspre e avevano reagito correggendo i propri errori, cosa che invece non

aveva il Pcj. La risoluzione dell'UI accusava i dirigenti del Pcj di prendere

posizioni nazionaliste e contro l'Urss, di svolgere una politica sbagliata nelle

campagne, d'imporre un regime terroristico e poliziesco all'interno del partito, di

tendere ai compromessi con l'imperialismo. In campo internazionale la lotta sul

problema di Trieste lungi dallo scomparire dopo l'entrata in vigore del trattato di

pace con l'Italia era continuata e si era acutizzata nel quadro generale della lotta da

parte delle forze imperialistiche per la revisione di tutti gli impegni internazionali.

Attraverso il continuo e premeditato sabotaggio nella nomina del Governatore

l'imperialismo americano aveva puntato sul mantenimento dell'attuale situazione

di occupazione militare di Trieste da parte delle sue truppe in modo da avere una

base strategica a sua disposizione e allo stesso tempo dare la possibilità al suo

governo militare di praticare continue violazioni del trattato di pace legando la

vita economica e amministrativa triestina all'Italia impedendo così ogni possibilità

di ripresa e fornendo dimostrazioni artificiose dell'impossibilità di costituire il

TLT. Le grandi aziende che appartenevano al regime statale italiano e che

secondo il trattato di pace dovevano diventare proprietà del TLT erano di fatto

rimaste all'Italia. Lo stesso avveniva per ciò che riguardava la navigazione.

127 Zuccari M., op. cit., p. 194.

Page 58: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

55

Mentre così da una parte si impediva la ripresa economica di Trieste dall'altra

veniva mantenuto in vita un apparato amministrativo smisurato. Tra marzo ed

aprile '48 diversi provvedimenti avevano legato Trieste all'Italia, come quello

sulla valuta che costituiva, di fatto, un'unione monetaria. Nel campo del

commercio estero gli accordi dell'Italia con altri paesi valevano anche nella zona

A; nel TLT si applicavano anche gli accordi relativi al Piano Marshall che non

aiutavano la città perché esso prevedeva la riduzione della produttività

dell'industria navale principale settore dell'economia triestina. Il governo non

aveva voluto ammettere il PCTLT né il movimento democratico italo-slavo nei

consigli amministrativi, c'era dunque bisogno di elezioni. Il governo militare

alleato era riuscito tramite i partiti del blocco italiano e specialmente la

democrazia cristiana a conquistare parte della popolazione e delle masse

sfruttando i temi nazionalistici ma ciò non era riuscito tra gli elementi del

nazionalismo sloveno. Il problema Trieste tornava di prima importanza,

denunciate all'Onu le violazioni del trattato di pace del GMA a Trieste da parte

della Jugoslavia, ma questo non lavava le sue macchie, perché essa aveva rotto

l'unità del fronte socialista. Anche il PCTLT, diceva Vidali, non poteva pensare di

condurre una lotta efficace senza l'appoggio di tutto il fronte socialista e

democratico mondiale con a capo l'Urss. Isolandosi da tale fronte non aveva

nessuna possibilità di successo contro l'imperialismo. Trieste era una città

sensibile, ogni avvenimento internazionale specie se accadeva in Italia o

Jugoslavia aveva ripercussioni qui. La condanna dei dirigenti jugoslavi aveva

avuto profonde conseguenze sul partito. Immediatamente e spontaneamente i

comunisti triestini avevano preso posizione dopo la risoluzione. Si era aperta una

crisi che era già in forma latente nel partito. Una parte del partito guidata da Babic

aveva tentato di impedire che i comunisti triestini prendessero posizione contro la

Jugoslavia chiedendo che si prendesse una posizione neutrale. Il gruppo di Babic

aveva condotto una campagna diffamatoria impadronendosi dell'organo dell'O.F.

il Primorski Dnevnik.

Nel PCTLT la semi-legalità e il distacco di una parte dei suoi dirigenti dalle

masse facilitavano il burocratismo e il settarismo del partito stesso, portandolo

alla sua liquidazione e sviluppando nel partito metodi militari di direzione di tipo

trotzkista.

Errore qui a Trieste era stato considerare come unico pericolo il

Page 59: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

56

nazionalismo italiano quando esisteva invece un nazionalismo slavo borghese.

Nei riguardi del fratello PCI e dei suoi dirigenti venne ripetutamente

condotta una campagna ostile di calunnie e menzogne, veniva inculcato il

disprezzo verso il PCI128.

Alla fine di agosto, dunque, nella zona A c'erano due PCTLT: quello di

Vidali e quello di Babic, mentre nella zona B le autorità jugoslave proibirono al

gruppo di Vidali qualsiasi attività. Molti membri favorevoli al Cominform si

rifugiarono dalla Zona B alla Zona A. In seguito alla scissione al vertice si

verificò una rottura in tutto il mondo comunista triestino, ivi comprese le

organizzazioni di massa come I Sindacati Unici, l'UAIS-SIAU, le donne

antifasciste e il Fronte della gioventù. I cominformisti si impossessarono del

giornale Il lavoratore, mentre Primorski Dnevnik rimase sotto il controllo di

Babic. I cominformisti pubblicarono un giornale per gli sloveni dal titolo Delo

(“Lavoro” in lingua slovena).

1.9.2 L’apparato speciale

A fine settembre, la prima riunione della Segreteria presieduta dal

convalescente Togliatti veniva dedicata alla lotta al titismo, con l'analisi della

situazione esistente nel Pc del TlT al primo punto dell'ordine del giorno. Nella

relazione si parlava della necessità di utilizzare più ampiamente le possibilità

esistenti di legarsi con i compagni che si trovavano in Jugoslavia, in modo di

rafforzare l'attività in quel Paese. Per organizzare e dirigere tale lavoro sarebbe

stato creato uno “speciale centro”, nel quale avrebbero collaborato il

rappresentante del settore organizzativo del C.C. del PCI e i rappresentati del

PCTLT.

La sede e la composizione di questo centro dovevano restare segreti;

sviluppando l'attività del già esistente apparato speciale del Pc del TlT nel

prossimo futuro questo centro doveva riuscire a creare due canali di lavoro distinti

e indipendenti: uno per l'attività generale di propaganda e per l'informazione

attraverso tutte le possibili vie legali, semilegali e illegali; l'altro, rigorosamente

segreto, per l'attività organizzativa e politica all'interno del Pcj. Il centro non

doveva solo dirigere il lavoro dei compagni triestini, ma anche quello della

federazione di Gorizia e degli emigrati politici italiani in Jugoslavia. Pajetta

128 APC, Fondo M, Mf 98, PCTLT, Congresso straordinario 21-23 agosto 1948.

Page 60: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

57

riferiva che, sulla base dell'esperienza delle prime settimane di lavoro dei

compagni di Trieste e degli emigrati italiani, erano state date indicazioni per la

preparazione di un lavoro approfondito in Jugoslavia e si era fatto notare ai

compagni il danno che a questo proposito avrebbero comportato la fretta e la

superficialità. Aveva promesso inoltre di riferire regolarmente e in dettaglio

sull'attività del Partito comunista italiano e triestino in Jugoslavia. Nelle

conclusioni Togliatti aveva rilevato tutta l'importanza di un tale lavoro non solo

per il P.c. del TlT, ma anche per il PCI, con ciò sottolineando la responsabilità del

PCI in questo ambito129.

Anche Vidali scrisse alla fine della giornata un rapporto in cui chiariva

soprattutto gli aspetti relativi alla propaganda nella zona B tramite quotidiani ed

altre pubblicazioni. Va menzionato qui che circa un mese prima aveva inviato una

lettera agli altri partiti comunisti in cui chiedeva fondi per poter continuare le

attività e le pubblicazioni del partito, dato che con la rottura di giugno erano

venuti a mancare i finanziamenti da Belgrado130. Per la zona B Vidali chiariva che

il PCTLT disponeva di un piccolo apparato che aveva un rapporto diretto con

Capodistria, Isola, Pirano, Umago e con le città jugoslave di Rovigno, Pola,

Fiume. Per il momento ci si era limitati all'invio di giornali e volantini e dato

indicazioni di lavoro ai compagni che agivano in clandestinità. In una prima fase

della lotta, numerosi compagni erano stati arrestati e condannati, mentre altri

avevano dovuto fuggire; nella fase attuale tutto il lavoro era svolto da

organizzazioni clandestine. Nella zona B vi erano cinquemila soldati jugoslavi e

qualche migliaio di burocrati jugoslavi, tra i quali si stava iniziando a lavorare

[…] Il PCTLT aveva creato un piccolo apparato per il lavoro in Jugoslavia. Il

giornale del partito veniva diffuso clandestinamente nel territorio jugoslavo,

arrivava a Lubiana, Zagabria e Belgrado, anche se poco si sapeva “sugli effetti

della sua lettura”. […] Si nutriva fiducia nella crescita dell'opposizione interna in

Jugoslavia, una volta che ci sarebbe resi conto che il C.C. di Belgrado era contro

la Russia131.

“L'apparato speciale” coordinato da PCI e PCTLT, cui si è accennato sopra,

129 APC, Verbali Segreteria, mf 278, 27 settembre 1948; vedi anche Dagli archivi di Mosca, op. Cit., pp. 348-349. 130 Dagli archivi di Mosca, op. cit., sezione Documenti: Lettera di Vidali sulla situazione del Partito comunista del TlT, 16 agosto 1948, pp. 330-331. 131 Dagli archivi di Mosca, op. cit., sezione Documenti: Relazione di Vidali su Trieste, 27 settembre 1948, pp. 332-335.

Page 61: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

58

sviluppava la sua azione di propaganda in particolar modo nella zona B attraverso

informatori e agenti cominformisti in Jugoslavia. Nei primi mesi successivi

all'espulsione della Jugoslavia dal Cominform l'attività di tali agenti veniva

tollerata dalle autorità jugoslave locali, ma dal 1949 iniziarono la repressione e gli

arresti.

1.9.3 Mosca e l'applicazione della risoluzione da parte del PCI

Il giudizio dell'Unione Sovietica sul lavoro di propaganda svolto dal PCI in

Italia nei primi mesi dopo la risoluzione dell'Informbjuro risultava abbastanza

duro: non era stato fatto a sufficienza nella lotta contro la cricca titina, questo il

verdetto. Mentre nelle organizzazioni di partito era in corso l'esame della

risoluzione dell'Informbjuro sulla situazione nel Pkj, nei giornali e nei quotidiani

del Partito comunista italiano erano apparsi alcuni articoli nei quali venivano

spiegate soltanto singole questioni toccate dalla risoluzione. Gli articoli erano

dedicati soprattutto a singoli problemi di teoria del marxismo-leninismo e solo

indirettamente sfioravano l'attività pratica della direzione del Pkj. L'attenzione si

concentrava principalmente sulla questione contadina, dato che la stampa

reazionaria aveva richiamato le note indicazioni della risoluzione dell'

Informbjuro sui compiti della collettivizzazione dell'agricoltura e, deformandone

il senso, aveva sollevato il clamore per spaventare il contadino italiano. Dopo il

luglio 1948, i quotidiani e i giornali del PCI non avevano ospitato articoli sullo

smascheramento della cricca di Tito e solo di tanto in tanto avevano pubblicato

singole note informative, alquanto brevi, sulla situazione in Jugoslavia. Anche

l'esame della risoluzione dell'Informbjuro nelle organizzazioni del partito aveva

avuto un carattere sporadico e, dopo il luglio del 1948, l'apparato di propaganda

del partito non era tornato sulla questione della situazione all'interno del Pkj. La

Sezione stampa e propaganda del C.c. del PCI pubblicava la rivista “Propaganda”,

nella quale venivano ospitati articoli e materiali per i propagandisti e gli agitatori e

venivano indicati temi, questionari e schemi modello di conversazioni e di

relazioni. Pur essendo un sussidio fondamentale di orientamento per i funzionari

della propaganda di partito, questa rivista non affrontava i temi relativi alla

situazione del Pkj e non poneva all'apparato di propaganda gli obiettivi dello

smascheramento della cricca di Tito. Neppure l'analisi dei temi della teoria del

marxismo-leninismo, della costruzione del partito ecc., pubblicati in Propaganda,

Page 62: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

59

avevano relazione con la risoluzione sulla situazione nel Pkj dell'Informbjuro, né

ponevano gli obiettivi dello smascheramento dell'attività proditoria della direzione

del Pkj. In conclusione il Partito comunista italiano, dopo l'esame e l'approvazione

della risoluzione dell'Informbjuro, non aveva fatto propaganda contro la cricca di

Tito; nelle pubblicazioni del partito, lo smascheramento dell'attività antisovietica e

filoimperialista della direzione del Pkj non era quasi affrontato. Non era stato

posto all'apparato di propaganda del partito il compito di smascherare la cricca di

Tito”132

Il giudizio severo di Mosca sullo scarso operato del PCI nella lotta al titismo

riguardava anche gli organi di stampa più importanti, l'Unità, Rinascita e Vie

Nuove, che avevano ospitato una serie di articoli che spiegavano la risoluzione

dell'Informbjuro nei primi giorni ma poi si erano concentrati sui fatti che avevano

distolto l'attenzione del partito, ovvero l'attentato a Togliatti e lo sciopero

generale. Tuttavia, anche in seguito, quasi non avevano toccato la questione, non

avevano fatto propaganda attorno alla risoluzione dell'Informbjuro e non erano

intervenuti contro la direzione del Pkj, a meno che non si volessero prendere in

considerazione le brevi note di cronaca. Neppure il giornale “Per una pace stabile,

per una democrazia popolare!” aveva ricevuto alcun articolo di autore italiano

contro la cricca di Tito. L'articolo “Dove conduce il nazionalismo del gruppo di

Tito in Jugoslavia” (Pravda, 8 settembre 1948), anche se era stato ripubblicato su

l'Unità, non aveva tuttavia ricevuto la diffusione dovuta e non era stato preso in

esame dai comunisti italiani. I comunisti italiani spiegavano il silenzio della

stampa del PCI fin dall'estate del 1948 sulla questione della cricca di Tito con la

mancanza di informazioni. Tuttavia, la causa più importante era, secondo Mosca,

una precisa sottovalutazione da parte del C.c. del PCI del compito di smascherare

il tradimento della cricca di Tito, dal momento che i compagni italiani avevano

comunque la possibilità di ottenere autonomamente informazioni attraverso il P.c.

del Tlt o direttamente attraverso le loro organizzazioni estere. Era noto, infatti, che

tali informazioni giungevano al C.c. del PCI, ma che esse non erano state

utilizzate in interventi pubblici sulle pagine della stampa di partito. A parte

questo, Borba, che a Roma veniva venduta liberamente, conteneva un ricco

materiale per intervenire contro la cricca di Tito. Sulle pagine dei giornali del PCI

132 Nota informativa di Sevljagin sul PCI e la risoluzione del Cominform sulla Jugoslavia, 4 maggio 1949, in F.Gori, S.Pons, Dagli archivi di Mosca, op. Cit., p. 361-362.

Page 63: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

60

non veniva neppure illustrata la lotta contro gli agenti della cricca di Tito nelle file

del PCI, sebbene esistessero dati per intervenire in tal senso. La direzione del PCI

prestava costante aiuto alla lotta del Pc del Tlt contro i titini a Trieste e la dirigeva,

di fatto, ma l'attività dei compagni triestini, così come gli intrighi degli agenti di

Tito a Trieste, non venivano illustrati sulle pagine della stampa di partito, né

l'attenzione dei comunisti italiani veniva mobilitata attorno a tali questioni133.

133 Nota informativa di Sevljagin sul PCI e la risoluzione del Cominform sulla Jugoslavia, 16 maggio 1949, in F.Gori, S.Pons, cit. p. 369-370.

Page 64: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

61

CAPITOLO II

LA FASE DELLE TRATTATIVE BILATERALI

(1949-1951)

SOMMARIO: 2 .1Rapporti economici e organizzativi tra PCI e PCTLT e attività in Jugoslavia; 2.2 Una diversa prospettiva: la collezione Documenti Diplomatici Italiani; 2.3 Il PCI e l'adesione italiana al Patto Atlantico; 2.4 Le elezioni amministrative del 1949 a Trieste 2.5 La lotta sulla stampa dopo le elezioni amministrative; 2.6 L'introduzione del dinaro nella zona B; 2.7 Il PCTLT: “la via d'uscita” è l'applicazione del Trattato di pace; 2.7.1 Il Comitato Centrale del luglio 1949. Il II Congresso ordinario del PCTLT; 2.8 Il Cominform chiede un’intensificazione della lotta al titismo; 2.9 Cambiamento dello scenario internazionale: verso le trattative dirette; 2.10 Vidali contro il “baratto infame”; 2.11 La posizione sovietica sulla questione di Trieste; 2.11.1La nota sovietica del 20 aprile 1950 recepita dal PCI. Interpretazioni diplomatiche della posizione sovietica; 2.12 Questione di Trieste e guerra di Corea; 2.13 Lotta al titofascismo e caso “magnacucchi”; 2.14 Fase di stallo nella situazione internazionale circa la questione di Trieste; 2.15 Il PCI chiede che il TLT sia dichiarata “città aperta”; 2.16 Alineamento delle posizioni di PCI e comunisti triestini

2.1 Rapporti economici e organizzativi tra PCI e PCTLT e attività in

Jugoslavia

Dopo la risoluzione dell'Informbjuro del giugno 1948 e la successiva

affermazione dell'ala cominformista all'interno del PCTLT, il partito triestino,

sotto la guida di Vidali, avrebbe potuto riavvicinarsi finalmente al PCI, come

desiderava Togliatti, ma aveva soprattutto bisogno di aiuto da Roma sotto l'aspetto

organizzativo e finanziario, dato che i fondi provenienti dalla Jugoslavia erano

stati bruscamente interrotti. Un ritratto della situazione esistente nel partito

comunista cominformista a Trieste nell'autunno del 1948 ci viene dato dalle

parole di Vidali che sottolineava la sproporzione di forze in campo per quanto

riguardava i quotidiani rispetto al partito comunista triestino titino: “forte stampa

degli avversari noi [abbiamo] solo Il lavoratore”, lamentava scarse possibilità di

instaurare alleanze, e tuttavia credeva nella necessità di ingaggiare una lotta per

evitare che Babic indebolisse la “nostra base anche tramite gli indipendentisti”.

Page 65: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

62

“Le organizzazioni democratiche in Italia dovevano mantenere relazioni costanti

con le rispettive organizzazioni locali”134 concludeva Vidali.

Va detto qui che dalle carte dei verbali delle riunioni della Segreteria del

PCI, presenti all'Archivio del Partito Comunista d'Italia (APC) presso la

Fondazione Gramsci a Roma, relative al periodo trattato nel presente capitolo, in

molti casi trapelano soltanto sintetiche informazioni come l’elenco dei

partecipanti alle riunioni, l'ordine del giorno e le conclusioni determinate alla fine

della riunione. Mancano invece gli allegati, ovvero i rapporti stenografici delle

discussioni e degli interventi dei partecipanti: in questo modo ciò che possiamo

evincere dai verbali che sia utile per la ricerca in questione è l'informazione che in

una certa riunione la questione di Trieste fosse all'ordine del giorno, e quindi

anche la frequenza con la quale si affrontava in Segreteria questo tema, la

“discesa” a Roma di Vidali ed altri rappresentanti triestini per discutere i vari

aspetti della situazione triestina e analogamente l'invio di rappresentanti “romani”

a Trieste come osservatori, ma anche per dimostrare sostegno e vicinanza alla

causa.

E’ dai suddetti verbali che possiamo che Vidali e Pratolongo si recarono a

Roma nel gennaio del 1949 per informare la dirigenza del PCI sul modo in cui

veniva preparata la campagna elettorale, sull' “organizzazione sportiva” e sul

lavoro svolto in Jugoslavia. Si decise l'invio di un compagno, Arturo Cicalini, per

meglio stabilire le possibilità di lavoro in attività cospirativa, e al contempo

chiarire meglio la linea da seguirsi135.

Sull'attività in Jugoslavia sappiamo che tramite gite, gare sportive in cui gli

atleti stessi avvicinavano le persone del popolo, autisti di autocarri, ferrovieri ed

altro personale viaggiante si cercava di diffondere stampa e raccogliere

informazioni di qualsiasi tipo, economico, politico, sociale, stati d'animo della

popolazione, fatti accaduti, voci e opinioni, opinioni su stampa cominformista e

“trotzkista”. Si tentava di reclutare uomini fidati per organizzare un collegamento

e recapiti clandestini, creare cellule, migliorare la diffusione della stampa e

raccogliere documenti. Le direttive emanate erano: divulgare la stampa, fornire

notizie, svolgere lavoro di penetrazione nelle organizzazioni trotzkiste, riunioni di

gruppi e cellule comuniste, curare l'educazione individuale (per il momento). La 134 APC, Mf. 99, BUSTA 57/5, Rapporto di Vidali sulla situazione a Trieste 6 ottobre 1948. 135 APC, Mf. 100, Busta 13/1, Verbale n.5 - Riunione di Segreteria del 25 gennaio 1949.

Page 66: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

63

direttiva generale era: non frequentarsi tra compagni ma cercare compagnia nella

massa per poter svolgere meglio propaganda 136.

Una lettera di Vidali scritta a Platone della Direzione del PCI il 14 febbraio

del 1949 offre altre utili informazioni sulla situazione a Trieste del PCTLT, in

vista delle elezioni amministrative di giugno, mostra ancora una volta le

preoccupazioni di Vidali per una struttura debole e con poche risorse di fronte al

forte partito dei titini sostenuto con fondi jugoslavi e dotato di un apparato

numeroso. Solo nella “zona A” il gruppo di Tito, a detta di Vidali, contava 1.200

funzionari stipendiati, da ciò derivava per i comunisti triestini la necessità “di uno

stretto collegamento con il movimento comunista e democratico internazionale”.

Per rafforzare questo collegamento il partito di Vidali richiedeva l'appoggio del

PCI ed al tempo stesso iniziava ad inviare un bollettino quindicinale contenente

notizie della situazione in Jugoslavia e nella zona B del TlT, nonché un breve

resoconto dell'attività del partito e del movimento democratico della zona A, con

la preghiera di dare massima diffusione alle notizie ivi contenute137.

La risposta sintetica che troviamo nel verbale della riunione di Segreteria

successiva alla lettera di Vidali dava istruzioni per rispondere che il PCI

“appoggerà sempre e aiuterà il P.C. Del TLT” e affinché venisse dato maggior

rilievo sugli organi di stampa del partito alle notizie e all'informazione sul TLT138.

La distanza tra le posizioni sostenute dal PCI e quelle del PCTLT in questa

fase è evidenziata anche in un episodio minore, ma ugualmente significativo, di

un incontro di Mario Osti, rappresentante del PCI - Sezione Enti Locali, con

alcuni compagni triestini a Venezia per discutere della situazione a Trieste in vista

delle elezioni amministrative di giugno. Nel suo resoconto alla Segreteria del PCI

Osti parlava “di popolazione (a Trieste) stanca e insofferente verso impostazioni

prettamente politiche” e della necessità di un programma concreto per le elezioni

con le parole d'ordine “Comune autonomo e popolare”. I compagni triestini,

invece, lamentavano nel corso dell'incontro la tendenza del PCI alla

politicizzazione del programma contro l'imperialismo, mentre i triestini

obiettavano che tale posizione coincideva con la difesa del Trattato di pace e

136 Dagli archivi di Mosca: l'Urss, il Cominform e il PCI, 1943-1951, Francesca Gori e Silvio Pons (a cura di), Roma, Carocci, 1998; nota informativa sull'attività in Jugoslavia, Trieste 4 febbraio 1949, dattiloscritto in russo. Vedi anche: APC, Fondo Pratolongo, Mf. 135, Relazione del 4 febbraio 1949 “La nostra attività in Jugoslavia e in zona B”. 137 APC, MF. 100, Busta 2 13/1, Lettera di Vidali a Platone del 14.2.1949. 138 APC, Mf. 100, Busta 2 13/1,Verbale Segreteria n.12 – 18 febbraio 1949.

Page 67: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

64

Territorio libero ed era da loro sostenuta nei comizi e sulla stampa, obiettavano

anche che era troppo impegnativa e tale da invischiare l'azione del PCI da cui si

attendevano largo appoggio. Qualcuno alludeva anche alla reticenza, in realtà, del

PCI ad assumere un impegno vincolante a Trieste. La Sezione Enti Locali

chiedeva ai triestini di prendere posizione al momento attuale sul problema della

difesa della pace139.

Dai vidaliani arrivavano quindi a Roma richieste esplicite di aiuti finanziari

e d'altro genere, e richieste soprattutto di assunzione di responsabilità verso una

presa di posizione più netta che il PCI, sempre attento agli ordini provenienti da

Mosca, come anche agli umori dell'opinione pubblica italiana, per la quale, come

abbiamo già visto, la questione di Trieste era tutt'altro che superata, non era forse

in grado di dare.

Per quanto riguardava i problemi economici, è stato provato in realtà che nel

periodo in questione da Mosca arrivavano a Roma fondi per il tramite del PCTLT

ed in particolare della persona di Vidali140. Lo stesso Vidali faceva presente a

Roma, come abbiamo già visto nel capitolo precedente, che i fondi che prima

arrivano con continuità dalla Jugoslavia dal giugno '48 dovevano almeno in parte

essere concessi da Roma141. I problemi economici vennero in parte risolti con un

ridimensionamento dell'apparato organizzativo, circa il 70% di funzionari: vi era

stata l'espulsione di coloro i quali erano legati alla vecchia dirigenza e cominciava

allo stesso tempo un lavoro di rieducazione degli iscritti al partito contro il

nazionalismo e sciovinismo italiano ma anche contro quello titino.

139APC, Mf. 100, Busta 2 13/1, Documento di Mario Osti (Sezione Enti Locali) su elezioni amministrative di Trieste diretto alla Segreteria, 14 febbraio 1949. APC, Mf 100 - Documento di Mario Osti (Sezione Enti Locali) diretto alla Segreteria PCI su incontro con compagni triestini a Venezia del 7.2.1949. 140 V. Riva, Oro da Mosca: i finanziamenti sovietici al PCI dalla rivoluzione d'ottobre al crollo dell'URSS, Milano, Mondadori, 2002. 141 AA.VV., Dagli archivi di Mosca, op. cit., Rapporti di Vidali del 16 agosto e 27 settembre 1948, pp. 330-31 e 332-33.

Page 68: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

65

2.2 Una diversa prospettiva: la collezione Documenti Diplomatici Italiani

Esaminando la collezione dei Documenti Diplomatici Italiani che si trova

presso l'Archivio Storico-Diplomatico della Farnesina, in particolare la Serie

“Affari Politici”, che è a mio parere forse quella più interessante e che può fornire

più spunti di riflessione sull'argomento in oggetto grazie anche al maggiore

numero di documenti d'archivio da analizzare, risulta particolarmente utile ai fini

della presente ricerca l'analisi del fitto carteggio scambiato tra i diplomatici della

Rappresentanza Italiana a Trieste (che poi diventerà Missione Italiana a Trieste)

ed i dirigenti del Ministero degli Affari Esteri (MAE). Per la precisione si trattava

il più delle volte di quelli della Direzione Generale per gli Affari Politici Ufficio

IV (DGAP IV) che si occupava da vicino della questione di Trieste.

In alcune occasioni i diplomatici italiani si interessavano anche alle

posizioni del PCTLT, alla sua politica ed ai rapporti che intratteneva con il PCI, e

soprattutto all'individuazione, al riparo delle dichiarazioni ufficiali, delle reali

intenzioni dell'Urss riguardo ad eventuali accordi su Trieste nei quali non sarebbe

stata parte in causa. Tali corrispondenze, possono essere d'aiuto per ricostruire il

quadro della situazione dell'epoca, laddove risultino lacunosi i documenti

d'archivio del PCI, dal tono troppo propagandistico e ufficiale e quindi di nessun

aiuto gli articoli di stampa. Forniscono, infine, un altro punto di vista sulla

questione che giova alla ricchezza della ricerca.

Apprendiamo così, ad esempio, che nel gennaio del 1949 il Reggente della

Rappresentanza Italiana a Trieste ambasciatore Augusto Castellani illustrava al

Segretario di Legazione Francesco Lo Faro, capo della DGAP IV, le posizioni dei

partiti locali a Trieste in vista delle elezioni amministrative di giugno.

Castellani spiegava a Lo Faro che con la pubblicazione avvenuta il 14

gennaio sul quotidiano Il Lavoratore del progetto di programma elettorale del

PCTLT, era iniziata la fase concreta di schieramento dei vari gruppi politici

triestini in vista delle elezioni amministrative di giugno. La posizione del PCTLT

era, infatti, per molti aspetti e in questa fase, una posizione chiave, poiché esso si

trovava in mezzo ai due campi opposti, lo sloveno e l'italiano ed in essi sperava di

poter “sfruttare a proprio vantaggio gli errori e le mosse obbligate”. Tuttavia,

l'emergere di due distinti comunismi che andavano tingendosi ognuno di propri

motivi nazionalistici complicava non poco il discorso. Al momento, comunque, la

Page 69: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

66

presa di posizione dei cominformisti era molto cauta, il programma presentato non

era definitivo ma anzi costituiva un mero progetto di cui poteva essere sottolineato

soltanto: la tendenza ad astrarre dal piano politico, limitandosi ad osservazioni e

proposte di carattere tecnico e locale, cercando di evitare che le elezioni

assumessero in qualsiasi modo l'aspetto di un plebiscito; allo stesso tempo il

carattere realistico, lontano dall'ideologia rivoluzionaria, con l'obiettivo di

indirizzarsi anche alla piccola borghesia. Castellani concludeva definendo difficile

l'eventualità di un “blocco” di partiti italiani col PCTLT per evidenti motivi, in

riferimento anche a recenti dichiarazioni dell'avvocato Gasparini in seno al

Comitato Centrale del PCTLT sulla questione nazionale. “Per ora l'azione del

PCTLT tendente ad accaparrarsi le masse operaie slovene non può essere inutile

ai nostri fini sempre che si riesca ad arginare, con un opportuno impulso

all'attività della Camera del Lavoro, una simile penetrazione nelle masse operaie

italiane non estremiste”142.

142 Documenti Diplomatici Italiani - Serie Affari Politici 1950-1957, Busta 216, Telespresso (Tls.) n. 252/57 Rappresentanza Italiana Trieste - Augusto Castellani a MAE DGAP - Francesco Lo Faro, 14 gen 1949: elezioni amministrative a Trieste, posizioni dei diversi partiti politici locali.

Page 70: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

67

2.3 Il PCI e l'adesione italiana al Patto Atlantico

Nella seconda metà del 1948 i comunisti italiani vennero a conoscenza dei

negoziati per l'adesione dell'Italia al Patto Atlantico, ma la stampa comunista

come ad esempio la rivista Rinascita non dette inizialmente molto peso alla

notizia limitandosi a collocarla come un nuovo momento, una nuova forma della

vecchia politica imperialistica, un ovvio corollario sul piano militare del piano

Marshall. Tra la fine di novembre ed inizio dicembre si svolse in Parlamento un

dibattito sulla politica estera del governo, partendo da una mozione del leader

socialista Pietro Nenni che denunciava l'intenzione del governo De Gasperi di

aderire al Patto Atlantico e auspicava una politica estera di neutralità per l'Italia,

libera da alleanze o “blocchi” militari. Il dibattito non poteva non toccare

l'argomento Trieste, questione ancora “calda” della politica estera italiana sul

quale si esprimeva nel suo intervento anche il segretario del PCI Palmiro

Togliatti:

“Avete orientato la vostra politica nel senso della propaganda antisovietica

prendendo pretesto dalla questione di Trieste, mentre avreste dovuto sapere - e se

non sapevate allora lo dovete sapere adesso, perchè la cosa è risultata chiara dalle

ultime discussioni - che l’Unione Sovietica frenava le impazienze del Governo

jugoslavo in quel momento. […] Oggi, vi presentate alla Nazione con un

fallimento completo; e invano cercate di mascherarlo con la vostra odiosa

propaganda, la quale non ha nulla di nazionale, perché è  una brutta edizione della

propaganda di menzogne e di odio con le quali già il fascismo aveva cercato di

spezzare l’unità della Nazione. Sì, avete fatto tutte le promesse che avete fatto

durante la campagna elettorale: ma voi stessi sapete che perfino Trieste, che allora

venne fatta balenare agli italiani in quel modo così indegno, oggi viene tenuta in

serbo, dai vostri padroni, i quali pensano di potersene servire come offa per un

tradimento e per un traditore”143.

In verità, qui come in altre occasioni, Togliatti porta Trieste come esempio

di un modo propagandistico e fraudolento di fare politica del governo

democristiano, senza addentrarsi realmente nel problema per affrontarlo. Bisogna

dire che almeno in questo caso probabilmente non si trattava della sede più

appropriata per farlo, ma vedremo come anche in altre situazioni in cui ci si

143 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 2-12-1948.

Page 71: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

68

sarebbe potuto aspettare un intervento di Togliatti su Trieste, esso non vi è stato, e

cercheremo di spiegare anche le cause di tali “silenzi”.

L'undici marzo 1949 de Gasperi annunciò l'intenzione del governo di aderire

al Patto Atlantico, seguì un acceso dibattito in Parlamento, in cui interveniva il

deputato Giancarlo Pajetta per il PCI:

“ […] Ma noi vi vogliamo chiedere ancora una cosa nel lanciarvi questa nostra accusa: quali interessi nazionali hanno determinato questa vostra politica? Quale minaccia è ai confini, quale nemico è alle porte, per cui possa dirsi che quando l’incendio è vicino bisogna accettare il soccorso di chiunque possa dare una mano per spegnerlo? No, voi non ci avete detto che siete minacciati, che sono minacciati gli interessi nazionali del nostro Paese; voi non avete nemmeno avuto il pudore di giustificare e di spiegare il vostro schieramento con questa gente! Non sentite il bisogno neppure di fare dei distinguo. Vi è mancata perfino la temerarietà di parlare di una rivincita, di una guerra da promuoversi per ottenere qualcosa per il nostro Paese, sebbene qualche accenno vi sia stato fatto in passato, quando si è parlato della questione di Trieste (che forse sarebbe bene non dimenticare), qualche accenno che quella cosa sarebbe risolta in un riordinamento generale della carta di Europa!”144.

Ancora una volta, dunque, come in un discorso visto sopra di Togliatti, il

caso di Trieste è riportato come esempio negativo della politica estera del governo

democristiano e non viene affrontato in maniera specifica, sebbene, è bene

specificarlo, non fosse il tema centrale della discussione.

Successivamente a Pajetta intervenne nel dibattito in Parlamento anche

Palmiro Togliatti, ma il suo discorso sul Patto Atlantico non fece nessun

riferimento alla questione di Trieste. Del resto, la bussola sia in campo estero che

in campo interno per il PCI rimane la politica dell'Urss. Togliatti lo ribadisce

apertamente in Comitato Centrale: sono i compagni del Paese del socialismo reale

ad avere “possibilità che noi non abbiamo”145 e, quindi, a stabilire cosa vada in

agenda e cosa no, cosa sia da mettere in primo piano (ed in prima pagina) e cosa

tenere in attesa, aspettando indicazioni e momenti migliori per tornare ad agire.

144 Atti Parlamentari, Dibattito alla Camera dei Deputati, seduta del 12 marzo 1949. 145 APC, Mf. 132, Comitato centrale 29-31 marzo 1949.

Page 72: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

69

2.4 Le elezioni amministrative del 1949 a Trieste

In primavera Vidali e Pratolongo giunsero nuovamente a Roma per

concordare le linee d'azione per la propaganda elettorale in vista delle oramai

imminenti elezioni amministrative: fu deciso che la lotta per le elezioni diventasse

lotta politica per la libertà democratica e per la pace e che la Sezione propaganda

si incaricasse di aiutare il PCTLT nella campagna elettorale. Se dunque da una

parte prevalse la spinta del PCI alla politicizzazione del programma elettorale di

cui si parlava sopra, dall'altra si garantì anche un concreto sostegno di

“professionisti” dell'azione propagandistica che rispondeva, almeno parzialmente,

a quelle richieste di aiuto avanzate nei mesi precedenti da Vidali e dai suoi

compagni146.

In pieno clima di campagna elettorale, il sindaco di Venezia Gianquinto,

esponente del PCI, doveva ribadire, prima di un discorso a Trieste in cui avrebbe

sostenuto l'italianità innegabile della città, che avrebbe parlato in qualità di

rappresentante del Partito comunista e non a titolo personale come asseriva la

stampa avversaria. Gianquinto nel suo comizio affermò poi che in un clima di

distensione internazionale la questione di Trieste avrebbe potuto trovare la sua

naturale soluzione con il ritorno all'Italia, mentre in quel momento un'azione delle

potenze occidentali rivolta a restituire Trieste all'Italia contro il volere dell'Urss

avrebbe irrimediabilmente portato alla guerra. Si imponeva quindi la necessità di

accettare il mantenimento del TLT e sollecitare la nomina del Governatore, il che

avrebbe portato inoltre all'evacuazione delle truppe di occupazione dalla Zona A e

dalla Zona B147.

Il discorso di questo esponente del PCI, anche se tutto sommato di secondo

piano, rappresenta un altro esempio eclatante, ad opinione di chi scrive, degli

“equilibrismi dialettici” che ad ogni momento il Partito comunista italiano si

trovava a dover escogitare per fare andare d'accordo la posizione di Mosca, che

esigeva l'applicazione del Trattato di pace con la relativa messa in funzione del

146 APC, Mf. 100, Verbale Segreteria n. 21 – 1 aprile 1949; verbale n.33 – 19 maggio 1949. 147 Documenti Diplomatici italiani, Serie Affari Politici, b. 215, Tls. n. 3324 Rapp. It. Trieste a Pres. Cons. Ministri – Ufficio zone di confine, MAE 21/5/1949.

Page 73: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

70

TLT, e gli umori dell'opinione pubblica italiana in larghissima parte convinta che

la città dovesse subito tornare all'Italia, senza passare affatto per la condizione più

o meno transitoria di città-stato indipendente a livello di diritto internazionale.

Infine, può essere interessante tornare alla corrispondenza tra

Rappresentanza Italiana di Trieste e DGAP del MAE dell'ultima fase della

campagna elettorale per notare la diversa percezione della situazione da parte del

mondo diplomatico italiano e le diverse considerazioni rispetto ai mesi precedenti.

A tal proposito, Castellani da Trieste scriveva a Lo Faro concentrando

l'attenzione sulla possibilità che si costituisse, poco prima delle elezioni, una

Federazione autonoma triestina del Partito Socialista Italiano (PSI), la quale

avrebbe presentato una lista separata dal PCTLT, ma avrebbe agito di concerto

con esso, assumendo sul piano nazionale un atteggiamento favorevole alla

restituzione del Territorio all'Italia. Mentre il PCTLT, continuava Castellani,

avrebbe sostenuto l'intangibilità del TLT e avrebbe cercato di accaparrarsi i voti

degli elementi sloveni, la Federazione del PSI si sarebbe riservato di agire in

quegli ambienti operai italiani che sono particolarmente sensibili ai fattori

nazionali. La costituzione di tale Federazione avrebbe portato un grave colpo al

Partito Socialista della Venezia Giulia (PSVG), il quale, anziché intensificare la

sua azione nel campo operaio, aveva mantenuto sostanzialmente una politica di

attesa148.

Il PCTLT si sarebbe presentato da solo, respingendo qualsiasi forma di

blocco, in particolare la formula “uaisina”. Le ragioni di una simile condotta

potevano essere tratte dalla convenienza di adottare, anziché uno schema di

alleanza rigido, che avrebbe condotto ad affrontare con una formula unitaria e non

elastica la questione nazionale (ivi compresa la soluzione indipendentistica), un

piano d'azione coordinato di tutte le forze di sinistra, che sarebbero potute

giungere ad un'unione dopo le elezioni. Il Partito comunista slavofilo del TLT

sarebbe sceso in campo invece, con ogni probabilità, adottando la formula del

Fronte popolare slavo-italiano. A tal fine, erano in corso contatti con settori

indipendentisti ed elementi indipendentisti sloveni.

Il PCTLT poneva l'accento nella lotta elettorale sul programma classista; per

quanto riguarda la questione nazionale, esso in sostanza non disconosceva 148 Documenti Diplomatici Italiani, Serie Affari Politici, b. 216, Promemoria di Castellani (4 maggio 1949) a Lo Faro inviato anche a M. Innocenti (Uff. Zone di Confine) su quadro schieramento elettorale partiti locali 5 maggio 1949.

Page 74: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

71

l'italianità di Trieste e caldeggiava il mantenimento del TLT come una soluzione

provvisoria, la sola che fosse resa possibile dalla attuale situazione internazionale.

La costituzione di una Federazione autonoma triestina del PSI non aveva

avuto luogo, probabilmente per la pressione di elementi di destra e del centro del

PSI che temevano la scissione del PSVG, in gran parte formato da elementi

moderati149.

L'Ambasciata d'Italia a Washington commentava invece la testimonianza di

Robert Conway, corrispondente da Trieste per il Times Herald, il quale riportava

uno scambio di accuse avvenuto tra Vidali e Babic. Entrambi avevano parlato di

guerra sotterranea fra le due fazioni comuniste, Comway rilevava che il fatto che

sia l'uno che l'altro si fossero indotti ad esprimersi con tanta chiarezza costituiva

un sintomo dell'irreparabilità del dissidio fra le due fazioni stesse150.

Per quanto riguarda i rapporti tra PCI e PCTLT, invece, poco prima delle

elezioni avvenne un episodio che ci dà l'idea di quale distanza ci fosse tra le

posizioni dei due partiti, nonostante le tante riunioni di Segereteria dei mesi scorsi

nelle quali, come detto, erano stati raggiunti degli accordi solo parziali per una più

efficace azione comune. Vidali aveva preparato un documento di saluto ai triestini

e aveva chiesto a Togliatti di sottoscriverlo: ma il Segretario del PCI appose dei

cambiamenti, cancellando l'auspicio che Trieste fosse “italiana e libera”

sostituendolo con “sia governata liberata dai suoi cittadini ed eliminando dagli

obiettivi della politica del PCI quello del “ritorno di Trieste entro i confini

dell'Italia” che seguiva, nel documento originale di Vidali, a quello della difesa

della sua italianità. A questo punto, così modificato il comunicato, Vidali si rifiutò

di pubblicarlo e chiese a Roma di fare lo stesso151.

149 Documenti Diplomatici Italiani, Serie Affari Politici, b 216 Tls. n. 3312/637 del 21 maggio 1949. 150 Documenti Diplomatici Italiani, Serie Affari Politici, b. 510, Tls. n. 4193/182 del 18 maggio 1949. 151 APC, Mf . 100, Verbali della Segreteria, Riunione del 10 giugno 1949; vedi anche MF 99 PCTLT.

Page 75: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

72

2.5 La lotta sulla stampa dopo le elezioni amministrative

Le elezioni amministrative a Trieste furono segnate da un netto successo

della Democrazia Cristiana col 39% dei voti, seguito da una buona affermazione

del PCTLC con il 21%. Notevoli risultati ottennero anche gli indipendentisti col

9,7% e il M.s.i. col 6%.

La settimana seguente a Roma Vidali espose alla Segreteria la situazione

dopo le elezioni. Alla riunione intervennero anche Scoccimarro, Secchia, e

Togliatti che criticò alcune posizioni della campagna elettorale, parlò della

debolezza del risultato e delle sue cause eventuali, della possibilità di una azione

politica a proposito della questione di Trieste, della necessità dell'esame della

situazione e dell'azione del partito.

Si decise che la Segreteria prendeva atto delle informazioni avute dal

segretario del PCTLT. Questi prendeva atto per contro delle riserve e critiche che

gli erano state esposte. Un compagno della Segreteria si sarebbe recato a Trieste

per esaminare concretamente e ampiamente l'azione politica e organizzativa del

PCTLT152.

Critiche quindi all'azione autonoma del partito di Vidali da parte di

Togliatti, ma anche consapevolezza della necessità di fare di più per sostenere un

partito schiacciato da una parte dalla DC locale, sostenuta dal Governo Militare

Alleato (GMA), e dagli altri partiti ad essa alleati, e dall'altra parte dal partito

comunista babiciano sostenuto dalla Jugoslavia.

All'indomani delle elezioni il quotidiano dei “vidaliani” Il Lavoratore

riconosceva la vittoria “del nazionalismo italiano” e la sconfitta dell' “agenzia di

Tito a Trieste”, cioè dei “babiciani”, nonché degli slavi bianchi di Agneletto.

Attribuiva la vittoria dei partiti dichiaratamente italiani ai brogli e alle

manipolazioni che sarebbero stati compiuti in sede pre-elettorale e si mostrava

indignato del fatto che i voti ottenuti dal Partito Comunista venissero considerati

come voti italiani dopo che nella propaganda elettorale tale partito era stato

combattuto come anti-italiano153.

Gli organi di stampa jugoslavi e quelli cominformisti triestini si lanciavano

accuse identiche in una guerra fatta a “colpi di articoli”: su Il Lavoratore si 152 APC, Mf. 100, Verbale Segreteria n.40 – 27 giugno 1949. 153 Cfr.: Il Lavoratore, 18 giugno 1949.

Page 76: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

73

affermava ad esempio: “...oggi la Jugoslavia serve agli imperialisti più che il

governo di De Gasperi, la cricca belgradese ha avuto il compito di mettere a

disposizione degli imperialisti il territorio jugoslavo come base per l'aggressione

contro l'Urss”154.

Durante tutta la campagna elettorale, erano stati viceversa gli jugoslavi ad

accusare Vidali, appoggiato dalla Russia, di fare il gioco degli anglo-americani e

di sottrarre così il territorio di Trieste allo schieramento comunista internazionale.

I giornali jugoslavi parlavano di “funambolismi del Lavoratore”, poiché si diceva

che con le sue false notizie l'organo comunista triestino rispecchiava il pensiero

del Cominform, tendendo a giustificare l'annessione di Trieste all'Italia, perché,

secondo la tesi del Cominform, Trieste serviva meno agli imperialisti che non alla

Jugoslavia. Questi giornali, quindi, si indignavano, perché i sovietici avrebbero

preferito Trieste “marshalizzata” piuttosto che appartenente ad “un'onesta”

Jugoslavia socialista. Questo atteggiamento era considerato anti-marxista,

sciovinistico ed anti-democratico. Erano i cominformisti ad essere dei

“controrivoluzionari” ed il loro atteggiamento “non si differenziava dal (loro)

atteggiamento nei riguardi della Carinzia”155.

La guerra su carta stampata andava avanti poiché Il Lavoratore aveva

successivamente pubblicato che esisteva un accordo segreto De Gasperi-Tito per

dividersi il TLT ed i giornali jugoslavi avevano reagito uniformemente,

affermando che la notizia era stata pubblicata per ordine di Mosca con evidente

malafede.

Il Borba infine aveva dichiarato che tutta la stampa cominformista aveva

cominciato in ritardo a commentare i risultati delle elezioni amministrative, questo

perché mancava di istruzioni superiori. La risposta del PCTLT era stata trovata

nella formula che diceva che le elezioni avevano rappresentato la sconfitta delle

liste jugoslave, mentre la vittoria dei “partiti reazionari” era messa in secondo

piano156. In La Nostra Lotta, organo dell'UAIS del circondario istriano, il 29

giugno (“Insegnamenti dell'esperienza”) si arrivava addirittura a parlare di risultati

delle elezioni diversamente interpretabili a seconda della popolazione considerata

come residente a Trieste e quindi come “legittimo corpo elettorale triestino”; 154 Il Lavoratore, ibidem. 155 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 216, Tls. n. 1619/805, Legazione d'Italia Belgrado a Mae, 30 giugno 1949: elezioni a Trieste, Jugoslavia e Cominform. 156 D.D.I., Serie Affari Politici, Tls. n. 1699/833, Legazione d'Italia Belgrado a Mae, 5 luglio 1949: commenti ufficiali in zona B.

Page 77: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

74

nell'articolo si passava poi alle solite accuse ai cominformisti di aver tradito la

causa degli sloveni e di essere antileninisti e addirittura “antisovietici”. La satira

era anche di tipo personale nei confronti di Vidali a proposito del quale si

scriveva: “[...] sconclusionate elucubrazioni di un megalomane del Centro

America che ha preso troppo sole per aver perduto il sombrero”157.

Non meno forti erano gli attacchi sferrati dalle pagine del quotidiano

nazionale l'Unità sul quale Pajetta scriveva: “In questo posto di frontiera dove

ognuno, dieci volte al giorno, vede il confine e di là Capo d’Istria e Isola e Pirano,

tutti vi assicurano che i comunisti vinceranno presto anche in Jugoslavia e Tito, il

traditore contro il quale si appunta l’odio popolare, sarà spazzato via”158.

157 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 216, Tls. n. 1699/833. 158 Cfr.: L'Unità, 29.6.1949.

Page 78: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

75

2.6 L'introduzione del dinaro nella zona B

Gli attacchi violenti agli avversari politici, in primis “il traditore” Tito,

scaturivano, come spesso accadeva, anche dalla necessità di dimostrare che il PCI

era in prima linea nel campo del comunismo internazionale nella lotta contro i

“traditori”, a dispetto delle critiche che potevano arrivare come ad esempio alcuni

mesi dopo alla riunione dell'Informbjuro in Romania. In quell'occasione vi era

stata l'autocritica di Longo e della Direzione del partito per la “deficiente nostra

lotta contro Tito”, mentre scarsa e debole si definiva l'azione politica dal punto di

vista dell’orientamento”159.

Nel mese di luglio del 1949 il governo jugoslavo introdusse il "dinaro" nella

Zona B come unica moneta, confermando l'intenzione di voler dare vita ad un atto

unilaterale di annessione. Negli stessi giorni a Pola Tito annunciava la decisione

della Jugoslavia di cessare l'appoggio ai partigiani greci e allo stesso tempo di

richiedere aiuti economici all'Occidente. Dopo circa un anno di silenzio il leader

jugoslavo tornava a parlare della questione di Trieste affermando che la

Jugoslavia doveva essere interpellata su qualsiasi decisione venisse presa in

merito al TLT. Il discorso avrebbe potuto far pensare ad un primo cambiamento di

rotta dalla richiesta di creazione del TLT alla richiesta di spartizione dello stesso.

Presso il Ministero degli Esteri italiano si riteneva che la lentezza di presa di

posizione dei Governi occidentali nella questione della zona B avvalorasse la tesi

di quanti insinuavano che i governi alleati non avrebbero avuto scrupolo a

compromettere gli interessi italiani e ciò destava una “penosa impressione nella

nostra opinione pubblica. Senza dubbio, secondo il Ministro degli Esteri italiano

Carlo Sforza, la blanda reazione occidentale al gesto di Tito nella zona B era da

ritenersi responsabile del suo arrogante discorso a Pola160.

Il corrispondente a Belgrado del New York Herald Tribune informava che,

secondo fonti autorevoli, la dichiarazione di Tito a Pola era, in realtà, da ritenersi

di tono conciliativo ed indicante la sua volontà di esporre il punto di vista

jugoslavo su Trieste e negoziare con gli Occidentali. Tale manifestazione era

interpretata come volta a prevenire la possibilità che la Russia accedesse alla

159 APC, MF. 200, Verbali della direzione 24-11-1949 160 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 214, Telegramma n. 5923/C del 12/07/1949, Min. Sforza a Londra Washington Parigi Belgrado (Declassificato a non classificato ai sensi dell'O.d.s. n. 43-2006 del 9-11-2006).

Page 79: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

76

richiesta delle tre Potenze occidentali di restituire Trieste all'Italia. Un'iniziativa

russa del genere avrebbe reso possibile la revisione del Trattato di pace con l'Italia

e Tito isolato, a meno che egli non fosse riuscito ad accordarsi preventivamente

con gli Occidentali161.

Il Ministro Sforza ammoniva che l'attenzione dell'opinione pubblica italiana

alle reazioni di Usa e Gran Bretagna ad azioni illegali della Jugoslavia in zona B

era alta. I comunisti si preparavano a farne oggetto di larga speculazione politica

anche in relazione all'imminente discussione parlamentare per la ratifica del Patto

Atlantico. Qualsiasi esitazione da parte delle Potenze Occidentali sarebbe stata

immediatamente interpretata e sfruttata come conferma di insistenti voci

giornalistiche di accordi finanziari connessi ad una soluzione di compromesso a

danno dell'Italia per la questione del TLT. Anche dal punto di vista della politica

interna sarebbe stato perciò necessario che la presa di posizione delle Potenze

Occidentali fosse risultata pronta e decisa162. Ed aveva ragione il Ministro a

proposito delle intenzioni comuniste di speculare sull'azione jugoslava in zona B,

dato che ad esempio Il Lavoratore parlava, a proposito del cambio di moneta

sopra menzionato, di primo passo verso la spartizione del TLT, secondo l'accordo

De Gasperi-Tito. Di fronte a tale spartizione, ci sarebbero state probabilmente le

proteste degli Occidentali, ma alla fine, secondo il quotidiano comunista,

sarebbero prevalse ragioni di opportunità politica, tanto più che in quel momento

Tito sembrava contare per gli imperialisti più di De Gasperi163.

I fatti della Zona B, come previsto da Sforza, furono sfruttati anche in sede

di dibattito parlamentare sulla ratifica dell'adesione al Patto Atlantico sempre nel

luglio del 1949. Gian Carlo Pajetta nel suo lungo intervento chiedeva che le

elezioni fossero svolte non solo in zona A ma anche in zona B, affinché venisse

migliorata la condizione di Trieste, trasformata in “Shanghai dell'Adriatico” con

la presenza delle truppe anglo-americane. Pajetta accusava i democristiani di

remissività di fronte all'azione di Tito che si mostrava addirittura “truculento” nel

tentativo di ottenere i massimi risultati possibili nei negoziati , mentre il governo

italiano si limitava ad una protesta “pro forma” ritenendo che la questione fosse in

161 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 214, Tls. n. 15/139 DGAP IV a Londra Parigi Mosca Belgrado del 18/07/1949: dichiarazione Tito a Pola e atteggiamento russo. 162 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 214, Telegramma (Tlg.) n. 5870 Sforza a Londra e Parigi 10/07/1949. 163 D.D.I., Serie Affari Politici, Tls. n. 4154/803 Rapp. It. Trieste a MAE 7/7/49: cambio moneta in zona B, commenti stampa cominformista.

Page 80: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

77

realtà tra governo jugoslavo e governo americano164.

164Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, seduta del 14.7.1949.

Page 81: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

78

2.7 Il PCTLT: “la via d'uscita” è l'applicazione del Trattato di pace

2.7.1 Il Comitato Centrale del luglio 1949

Dalle carte dell'Archivio Gramsci, possiamo riscostruire i tre giorni di lavori

del Comitato Centrale del PCTLT del luglio 1949 in cui, al solito, fu Vidali a

dominare la scena. Non risultano particolarmente interessanti ai fini della presente

ricerca l'intervento di Marina Bernetic né la relazione organizzativa di Destradi,

mentre può valere la pena esaminare alcuni passaggi del discorso tenuto da Vidali.

Nel suo intervento egli esortava all'interno del Consiglio comunale a contrastare

sia il nazionalismo che il cosmopolitismo (citava Bielnisky: “il cosmopolita è

qualcosa di falso, d'ambiguo, di estraneo ed incomprensibile, uno spettro pallido e

nebuloso, un essere immorale, senza anima, indegno di portare il nome sacro di

uomo”). Sul problema di Trieste affermava che le dichiarazioni di Londra e

Washington significavano che le trattative sarebbero continuate, mentre sarebbe

stato concesso il prestito a Tito. Vidali accusava di non sincerità gli Occidentali

che avevano formato il Blocco Triestino ed il Fronte dell'indipendenza,

subordinando tutto ai loro piani di guerra, mentre Tito offriva loro un fronte del

quale Trieste era una testa di ponte.

Ma per qualsiasi soluzione circa la questione di Trieste, Vidali ricordava

l'imprescindibililità dell'assenso dell'URSS:

“L'Urss rispose alla tripartita, la escludono da tutto, ha chiesto due volte il governatore non è intervenuta nelle elezioni italiane né nelle nostre essa interverrà sicuramente, è la nostra bussola il suo ed il nostro nemico principale non è distinto. Il trattato di pace è stato rotto da tutti; la nostra posizione è distinta da quella degli indipendentisti: non esiste uno “stato libero”, abbiamo accettato un compromesso, ne volevano un altro quello Tito-Togliatti, c'è stato un momento nel quale si disse meglio l'Italia che gli anglo-americani, siamo disposti ad accettare un compromesso con il quale sia d'accordo l'Urss. Realizzare alleanze, tenendo la nostra libertà d'azione per altre soluzioni che noi dobbiamo desiderare al più presto. Nazionalismo italiano nei suoi vari aspetti titismo e cosmopolitismo sono sullo stesso piano. Le singole rivendicazioni della democrazia possono essere in contraddizione col movimento democratico mondiale in questo caso respingerle, bisogna valutare su scala mondiale le varie posizioni prese dall'Urss sul problema di Trieste”165 .

Quest'ultima frase di Vidali, è a mio parere non da sottovalutare, soprattutto

se si considera detta da un “uomo di Mosca”, qual'era Vidali, il quale si rendeva

165 APC, Mf. 99, pacco 1 busta 57/1, C.C. del PCTLT 15-17 luglio 1949.

Page 82: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

79

conto benissimo che le “varie posizioni” del Cremlino sulla questione di Trieste

potevano lasciare quanto meno perplessi i comunisti triestini, ma non per questo il

ruolo di guida “del movimento democratico mondiale dei sovietici poteva venir

messo in discussione per delle “singole (e locali) rivendicazioni della

democrazia”. Nelle sue conclusioni Vidali sosteneva l'importanza della lotta per la

pace a Trieste, la quale poteva essere utilizzata dagli Occidentali per

un'aggressione antisovietica sferrata in base all'art.4 del Patto Atlantico, qualora la

sicurezza dei loro governi fosse da considerare in pericolo per azione delle forze

di opposizione.

La risoluzione del Comitato Centrale ribadiva la linea del PCTLT:

“richiesta della nomina del governatore, come unica soluzione che in quel

momento permetteva l'allontanamento di tutte le truppe di occupazione,

l'unificazione delle due zone e lo stabilimento di condizioni di vita democratiche e

di ripresa economica e che potesse aprire la via anche ad altre soluzioni che

contribuissero alla difesa della pace”. Andava fatto uno sforzo per formare un

ampio fronte di tutti i cittadini e possibilmente di gruppi e partiti che, anche

mantenendo le proprie opinioni sulla futura appartenenza statale di quelle terre,

potessero trovarsi in quella fase d'accordo sull'obiettivo della nomina del

governatore, sulla base della lotta comune contro il principale nemico, cioè

l'imperialismo anglo-americano. Ulteriori obiettivi erano: allargare e rafforzare il

partito, allargare le organizzazioni democratiche di masse, renderle indipendenti

economicamente e più influenti166.

Intanto, frutto di un accordo per un maggiore sostegno del PCI sul territorio,

anche a livello di organi di stampa, l'Unità entrò a fine luglio a Trieste con una

pagina di cronaca dedicata al TlT.

166 APC, Mf. 99, pacco 1 busta 57/1, CC del PCTLT 15-17 luglio 1949.

Page 83: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

80

2.7.2 Il II Congresso ordinario del PCTLT

Al II congresso ordinario del PCTLT (16-18 settembre 1949) un Vidali più

prolisso del solito esponeva, in una relazione politica di ben trentotto pagine, la

situazione ed i progressi fatti dal proprio partito. Un anno prima il con il

congresso straordinario erano stati eliminati dal partito i seguaci di Tito. L'eredità

lasciata triste e disastrosa, il partito con errori, deficienze e deviazioni ideologiche

e politiche, il movimento viziato da nazionalismo borghese e cosmopolitismo. Il

partito era ancora semilegale, nascosto dall'Unione Antifascista Italo-slovena

(UAIS) con il quale le organizzazioni democratiche di massa si identificavano

completamente, con un apparato enorme di funzionari ed una situazione

economica disastrosa e caotica dovuta al fatto che la banda di Babic si era

appropriata di tutto il suo patrimonio.

Sulla questione di Trieste Vidali ribadiva la posizione del PCTLT espressa

altrove:

“unificazione delle due zone, evacuazione delle truppe d'occupazione e cancellazione di questo territorio dalla mappa bellica dell'imperialismo guerrafondaio. Nell'articolo “Baratto infame” dissi che ormai non poteva essere un segreto per nessuno che il processo d'inserimento della zona B nello stato jugoslavo e della zona A, sempre occupata dalle truppe anglo-americane, nel nesso amministrativo italiano, era un fatto. I discorsi di De Gasperi e Miha Marinko e Diminic confermavano questo fatto rinunciando entrambi alla difesa delle proprie minoranze sotto il governo straniero. Tanto a Tito come a De Gasperi senza parlare degli anglo-americani interessa la permanenza a Trieste delle truppe angloamericane perchè Trieste oltre ad essere una testa di ponte diretta contro i Paesi a democrazia popolare e contro l'Unione Sovietica rappresenta un avvertimento minaccioso contro il combattivo movimento democratico italiano e la crescente opposizione del popolo jugoslavo contro la cricca di Tito utile agli imperialisti anche per l'azione di provocazione per scindere il fronte unico socialista. Ricordavo che lo stesso Warren Austin rappresentante americano al Consiglio di Sicurezza nella discussione sulla proposta sovietica di nominare il governatore aveva affermato che erano in corso trattative tra le due nazioni sotto l'egida anglo-americana con esclusione dell'Urss e quindi fuori dall'Onu. Nell'articolo “La via d'uscita” ripetevo che De Gasperi e Tito conducono una lotta diretta contro l'Urss. La nota tripartita è inapplicabile mentre è applicabile la proposta sovietica. Se è necessario dobbiamo unirci tutti per fare una petizione popolare diretta al Consiglio di Sicurezza. Questa è l'unica via d'uscita nella situazione attuale. Dopo, la ricerca di una nuova soluzione sarà meno complicata e difficile che oggi. Ci si chiede quale sarebbe la nostra posizione se l'Urss cambiasse linea. Rispondiamo che la pietra di paragone per conoscere un democratico è il suo atteggiamento verso l'Urss, saremo sempre al fianco dell'Urss perché ogni sua posizione sul problema di Trieste sia quale sia sarà ispirata dagli stessi sentimenti: di solidarietà democratica e di pace […] Abbiamo resistito a molti attacchi e abbiamo accresciuto le nostre forze confortati dalla solidarietà dei partiti

Page 84: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

81

fratelli, specialmente del PCI e del suo dirigente Togliatti”167.

Per il PCI aveva partecipato ai lavori del congresso del PCTLT Giacomo

Pellegrini del comitato regionale Veneto. Il rapporto che inviò alla Segreteria

merita sicuramente attenzione, poiché in esso leggiamo che egli giudicava

“insufficiente l'orientamento del partito sulla questione nazionale e su quella

dell'appartenenza statale”, ravvisando indeterminazione e tendenza a sfuggire

l'esame delle questioni nel partito di Vidali. Benché certamente giudicato in

maniera positivo il fatto che molti delegati dichiarassero di dover seguire Mosca

sulla questione di Trieste, Pellegrini faceva giustamente notare che andava fatta

una distinzione tra vecchie e nuove posizioni e nemmeno il rapporto di Vidali

aveva fatto chiarezza in questo. All'interno del partito vi era una divisione tra

coloro che provenivano dal vecchio partito giuliano e quelli che venivano dal

Cominform, legata molto a questioni personali. Vidali, infine, concludeva

Pellegrini, era insufficientemente aiutato dai suoi collaboratori168.

A condividere le preoccupazioni di Pellegrini erano in molti anche a Roma.

Secchia si rivolgeva a Togliatti addirittura paragonando i rapporti del PCI con il

PCTLT con quelli intrattenuti col partito comunista inglese o americano, cioè i

vidaliani si consideravano come un partito completamente indipendente, “senza

per altro avere la forza di sviluppare una linea politica conseguente”. Era

necessario perciò “vedere la questione del PCTLT”, perché così non si poteva

“andare avanti”169. In realtà anche Vidali, come abbiamo visto anche in

precedenza, chiedeva un maggiore sostegno da Roma. In una lettera alla

Segreteria, in cui si lamentava per la riunione “saltata” a causa dell'assenza di

Togliatti, scriveva che nella lotta di Trieste sempre più dura e complicata lui

cominciava ad “essere stanco, anche fisicamente” ed il desiderio dei triestini era di

sentire “più vicini” i compagni del PCI170.

167 APC, Mf. 98, II Congresso ordinario PCTLT, 16-18 settembre 1949. 168 APC, Mf. 98, Lettera di Pellegrini Giacomo alla Segreteria del PCI, 18 settembre 1949. 169 APC, Mf. 100, busta 2 - 13/2, Verbale della Segreteria n. 58 – 4 ottobre 1949. 170 APC, Mf. 99, Lettera di Vidali a segreteria Roma 3 novembre 1949.

Page 85: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

82

2.8 Il Cominform chiede un’intensificazione della lotta al titismo

Sul piano internazionale, alcuni episodi possono essere considerati come

conferme dello spostamento, cominciato con la risoluzione del giugno 1948, della

Jugoslavia al di fuori del Cominform verso una posizione più o meno “neutrale”

in campo internazionale. Il primo era la nota sovietica dell'11 agosto 1949 alla

Jugoslavia in cui veniva dichiarata la fine de sostegno alle rivendicazioni

jugoslave sulla Carinzia e gli jugoslavi venivano addirittura definiti “fascisti

arrabbiati”. Il secondo è forse meno eclatante ma pur sempre importante: si

trattava dell'accordo commerciale dell'agosto 1949 tra Italia e Jugoslavia che

costituiva un primo “passo incontro” mosso dai due Paesi dopo la seconda Guerra

Mondiale. Infine, il 29 settembre 1949 l'Urss denunciava il trattato di amicizia con

la Jugoslavia, come definitivo gesto di rottura delle relazioni diplomatiche tra i

due Paesi non più facenti parte dello stesso schieramento.

In campo comunista a metà novembre del 1949 si tenne la terza conferenza

ufficiale del Kominform a Matra in Ungheria: all'ordine del giorno la lotta alla

“cricca di Tito”. La relazione di Gheorghiu-Dej “Il Pcj nelle mani di assassini e

spie” diceva che Tito eseguiva scrupolosamente gli ordini dei suoi padroni. Non

c'erano interessi nazionali che Tito non avesse tradito per ordine di Washington.

Secondo il quotidiano statunitense New York Herald Tribune vi erano stati dei

mutamenti nelle posizioni jugoslave riguardo alle rivendicazioni dell'Austria, sulla

questione di Trieste e quella dei partigiani greci. Ma in realtà “Giuda-Tito” si

opponeva a una soluzione equa degli interessi jugoslavi a Trieste171.

Nel suo intervento alla conferenza il delegato del PCI Arturo Cicalini aveva

affermato che dopo la risoluzione del giugno '48 la cricca di Tito aveva rafforzato

e sviluppato l'azione spionistica verso l'Italia. La risposta del PCI consisteva nella

campagna ideologica politica in seno al partito: vi erano dei membri e dei quadri

di base che non avevano bene assimilato il principio del ruolo dirigente dell'Urss.

La lotta, ovvero “vigilanza rivoluzionaria”, contro le influenze del titismo

tra i partigiani e nel Psi era un obiettivo primario. Nel TLT al momento della

risoluzione del giugno '48 la situazione era grave e complessa sia per

171 APC, Fondo M, Mf. 192, Materiale Kominform, luglio 1947-aprile 1950, pacco 12/II, Riunione U.I., Novembre 1949.

Page 86: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

83

l'occupazione anglo-americana che per politica nazionalista della cricca di Tito. Il

PCTLT era diretto dai titisti Babic e Ursic i quali avevano il monopolio della

stampa e della tipografia, dei mezzi finanziari del partito e anche il controllo sulla

maggior parte delle organizzazioni di massa. Dopo una lotta accanita sul terreno

ideologico e su quello organizzativo i titisti rimasti in minoranza erano stati

cacciati dal partito e battuti nelle organizzazioni di massa e fra le masse italiane e

slovene del TLT. I risultati delle ultime elezioni nel TLT erano stati schiaccianti:

21% per il PCTLT contro il 2% dei titini. Il lavoro del PCI in Jugoslavia per

aiutare i compagni in Istria e Slovenia poteva essere svolto sfruttando l'esperienza

del PCI stesso nel ventennio fascista: tramite la costituzione di un “apparato

speciale” composto da italiani, croati e sloveni, con sedi, uffici e servizi

indipendenti sia dal PCI che dal PcTLT. Era stata creata una rete organizzativa,

ancora debole tuttavia per mancanza di centralizzazione. L'Apparato Speciale

pubblicava materiale di propaganda da diffondere in Jugoslavia. Il confine era

sorvegliato, perciò la stampa veniva introdotta tramite marinai, ferrovieri,

familiari di emigrati, etc. Lettere e relazioni ricevute dall'Apparato Speciale

confermavano la situazione descritta da Dej in Jugoslavia.

La conclusione di Cicalini era che il PCI avrebbe rafforzato la lotta contro la

cricca facendo tesoro dell'esperienze fatte da altri partiti comunisti, non

dimenticando però che l'Italia era un paese “marshalizzato” e uno dei più esposti

all' azione spionistica di Tito172.

Le direttive del Cominform vennero subito metabolizzate dal PCI, in cui si

discusse la necessità di rafforzare l'unità della classe operaia contro la

penetrazione degli elementi trotzkisti. Togliatti invitava i compagni a superare

ogni ombra di scetticismo a tale riguardo: “Esso sarebbe oggi esiziale”173.

D'Onofrio rassicurava da una parte per la compattezza e l'ortodossia del

partito ma dall'altra criticava gli organi di stampa:

“Non vi è alcuna ragione di pensare che nel nostro partito vi siano correnti o

gruppi dissidenti, ma qualche spia che occorre individuare e colpire con sanzioni

politiche. Ma nel partito esistono condizioni oggettive perché si possono creare

situazioni di disagio (filotitoismo) e per questo occorre una grande azione di

172 APC, Mf. 192, Materiale Kominform, luglio 1947-aprile 1950, pacco 12/II, Riunione U.I., Novembre 1949. 173 APC, Mf. 192, Materiale Kominform, Comitato Centrale PCI 16-19 dicembre 1949.

Page 87: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

84

vigilanza e un miglioramento della politica dei quadri [...] E' inammissibile

continuare l'andazzo di settimanali che per due mesi non hanno combattuto

nemmeno con una riga sull'avvenimento della cricca di Tito”174.

A partire dalla conferenza del Cominform vi fu sicuramente

un'intensificazione del lavoro propagandistico da parte del PCI, ma anche di

quello organizzativo e politico.

Seguirono anche casi di aperta autocritica, per lo scarso impegno fino ad

allora tenuto sotto certi aspetti nella lotta contro i traditori titini, come in

occasione della riunione della segreteria del Cominform dell'aprile del 1950. Nel

suo intervento Roasio aveva esposto come dopo la conferenza del novembre 1949

era stata dedicata maggiore attenzione alla sorveglianza sulle infiltrazioni

titine175. Era stata sviluppata una campagna di stampa su l'Unità specie e nelle

edizioni veneta e triestina e su Vie Nuove. Il lavoro veniva svolto tramite

conferenze e riunioni sui partigiani, più esposti alle influenze jugoslave. Maggiore

lavoro era stato svolto nel Veneto: Gorizia, Udine e Pordenone. La Federazione di

Gorizia che si era spezzata in due dopo la risoluzione del giugno '48 doveva

condurre una “lotta più decisa, continua e conseguente”, politica ed organizzativa,

non solo nel partito ma anche nei sindacati e nelle organizzazioni di massa e nella

popolazione slovena. Il PCI aveva continuato in quei mesi a dare un aiuto

concreto di consigli, di direzione politica ed organizzativa al PCTLT ed aveva

continuato a sviluppare un'azione di propaganda, e in una certa misura di

organizzazione all'interno della Jugoslavia. Vi era una certa diffusione di giornali

in Jugoslavia e zona B da parte del PCI: Il lavoratore anche in Jugoslavia,

edizione milanese de l'Unità, il settimanale in lingua slovena Delo in Jugoslavia,

nel goriziano e a Trieste, Nuova Borba da Praga soprattutto tra gli sloveni del

TLT, copie della risoluzione dell'Informbjuro, infine, venivano diffuse in sloveno.

L'edizione triestina de l'Unità aveva condotto una campagna per dimostrare

l'antidemocraticità delle elezioni smascherando la politica di Tito e degli

imperialisti, le trattative del compromesso Tito - De Gasperi, sostenendo la

necessità dell'applicazione del trattato di pace con la nomina del governatore e

l'evacuazione del territorio libero dalle truppe americane e jugoslave. Il Comitato

174 APC, Mf. 192, ivi. 175 APC, Fondo M, Mf. 101, Materiale Kominform, Riunione segretariato U.I. 20-22 aprile 1950, b. 2/14.

Page 88: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

85

centrale del PCTLT aveva lanciato un appello diffuso tra i lavoratori nella zona B

e in Jugoslavia a votare contro la lista di Tito. Occorreva lanciare una protesta al

Consiglio di sicurezza firmata da organizzazioni democratiche, personalità e

associazioni di Trieste. Bisognava consegnare manifesti in Jugoslavia e in zona B

ai gruppi comunisti jugoslavi affinché si votasse contro Tito. Roasio tuttavia

ammetteva, e qui veniva la fase più apertamente autocritica, che il materiale in

Jugoslavia era ancora insufficiente sia come qualità che come quantità. Bisognava

aiutare poi chi era in carcere e migliorare i rapporti con gli agenti che operavano

in Jugoslavia”176.

176 APC, Fondo M, Materiale Kominform, Mf 101, Riunione segretariato Kominform 20-22 aprile 1950.

Page 89: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

86

2.9 Cambiamento dello scenario internazionale: verso le trattative dirette

Il 21 febbraio del 1949 il delegato americano al Consiglio di Sicurezza

delle Nazioni Unite aveva dichiarato che l'art. 2 dello Statuto del Territorio libero

di Trieste costituiva una pietra miliare per la salvaguardia dei diritti dell'uomo

"violati dal governo poliziesco operante in Zona B". Il delegato inglese

confermava che "una forma di governo poliziesco” era stata estesa dalla

Jugoslavia alla zona che essa doveva amministrare, con tutte le caratteristiche di

un governo totalitario. Ciò rendeva impossibile l'unificazione di questa zona con

la zona anglo-americana in vista della formazione di un territorio indipendente e

democratico secondo le linee previste dal Trattato di pace. In questa condizione

l'istituzione di un territorio indipendente avrebbe significato la creazione di una

zona aperta alle aggressioni dirette, secondo i metodi così spesso messi in pratica

nell'Europa orientale". Con tali dichiarazioni le Potenze Occidentali prendevano

atto pubblicamente per la prima volta della non realizzabilità concreta del

Territorio Libero di Trieste come ente autonomo di diritto internazionale. Tale

presa di coscienza fu ribadita più volte, fino ad arrivare alla spartizione delle due

Zone del 1954 tra Italia e Jugoslavia che mise la parola fine al TLT, creazione del

Trattato di pace del 1947 mai venuta alla luce.

Le potenze occidentali erano divenute perciò favorevoli ad un accordo che

nascesse da trattative bilaterali dirette tra Italia e Jugoslavia o anche che prendesse

spunto dalla dichiarazione tripartita del 1948. Allo stesso modo, dalla seconda

meta del '49, anche la Jugoslavia abbandonava l'idea della creazione del TLT e

propendeva per la spartizione del Territorio di Trieste. Da notare, tra l'altro, come

i diplomatici italiani si ponessero il problema di tenere in considerazione gli

aspetti legali e politici della reazione sovietica ad un eventuale accordo italo-

jugoslavo circa Trieste: la Russia si sarebbe trovata in serio imbarazzo nei

confronti del PCI, qualora avesse deciso di opporsi ad una soluzione del problema

di Trieste che avesse raccolto il favore di Roma e Belgrado177. Ma d'altra parte, i

Russi ancora una volta avrebbero potuto atteggiarsi a campioni della legalità,

sostenendo la necessità di applicare il Trattato di pace, malgrado ciò potesse

177 D.D.I.. Serie Affari Politici, b. 244, Rapporto segreto dell'ambasciatore a Washington Tarchiani al Min. Sforza del 13/12/1949 sui colloqui Bebler-Acheson.

Page 90: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

87

scontentare anche pesantemente i compagni italiani e triestini.

Alla fine del '49 cominciarono ad arrivare aiuti economici alla Jugoslavia da

parte dell'Occidente ed anche il governo italiano pensò a una serie di concessioni

economiche e sociali, che consentissero agli interessi slavi di “sentirsi a casa loro”

quanto a uso del porto, a transiti ferroviari, a facilità doganali e di navigazione,

che avrebbero dato al governo di Belgrado e a quello di Roma prestigio e a

quest'ultimo simpatie e crediti presso le Potenze occidentali riguardo alla

possibilità di ritorno dell'intero TLT all'Italia178. Sempre in tema di speranze

italiane di riottenere l'intero TLT, si noti che l'Ambasciatore Tarchiani riferiva a

Sforza il convincimento dell'influente funzionario del Dipartimento di Stato

americano Cavendish Cannon, secondo il quale addirittura la Jugoslavia sarebbe

stata oramai rassegnata a cedere tutto il TLT all'Italia salvo minime rettifiche di

confine. Ben note considerazioni di prestigio costituivano la sola ragione che

impediva in quel momento che ciò accadesse e facevano sì che il governo

jugoslavo accettasse solo trattative circondate dal più geloso segreto al

riguardo179.

Si hanno rapporti dettagliati dei successivi contatti avuti dall'ambasciatore

Tarchiani con il Dipartimento di Stato: egli, riferendo ari rappresentanti americani

anche il contenuto del colloquio Guidotti-Ivekovic, ribadiva la posizione italiana

di rivendicazione dell'intero TLT, in cambio magari di concessioni economiche

e/o concessioni territoriali minime alla Jugoslavia. Il governo americano

esprimeva la propria posizione: uscire da una certa passività che consisteva nel

reiterare la validità della dichiarazione del 20 marzo 1948 era impossibile senza

coinvolgere anche il governo britannico ed entrare in trattative vere e proprie con

gli attori in causa180.

178 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 244, Rapporto segreto n. 1477, Min. Sforza a Tarchiani 29/12/1949: intese economiche e sociali con Jugoslavia se possibile accordo per TLT. 179 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 244, Rapporto segreto n. 200/123 Sforza a Tarchiani 10/01/1950: dip. Di Stato, Cavendish Cannon. 180 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 244, Rapporto segreto n. 1751/926 Tarchiani a Sforza 16/2/1950: contatti con Dip. di Stato per Trieste.

Page 91: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

88

2. 10 Vidali contro il “baratto infame”

Rispetto all'avvicinamento jugoslavo all'Occidente e alle voci di un accordo

diretto tra Italia e Jugoslavia per la spartizione del TLT, PCI e PCTLT tornavano

alla carica, ciascuno con i propri uomini e mezzi.

L'edizione triestina dell'Unità cominciava a fare sentire la propria voce ad

inizio del 1950 con una serie di corrispondenze dal titolo “La via della guerra

passa per Trieste”, scritte dallo stesso direttore, Davide Lajolo (Ulisse). Come si

poteva leggere nella prima di tali corrispondenze, l'inchiesta si proponeva di

“documentare perché Tito ha tradito il fronte proletario, perché gli americani sono

a Trieste e ci vogliono rimanere, perché la via della guerra è passata e vorrebbe

ancora passare per Trieste”. In realtà, l'inchiesta che avrebbe voluto essere

obiettiva come tale, andava soltanto a dare un altro contributo alla campagna di

stampa scatenata dal Cominform contro Tito ed il titismo, essendo per lo più

costituita di frasi e passaggi dai toni propagandistici, in cui vi erano evidenti

segnali di revisionismo rispetto ai fatti della recente seconda Guerra Mondiale181.

A marzo del 1950 si riunì il Comitato Centrale del PCTLT, motivo della

riunione le elezioni nella zona B che si sarebbero tenute il 16 aprile. Vidali aveva

già scritto alla Segreteria che ci sarebbe stata un' unica lista in un Fronte popolare

italo-slavo, il ruolo principale sarebbe stato dell'Unione Antifascista Italo-Slava.

Aveva spiegato l'impossibilità di presentare una lista senza essere perseguitati

dall'OZNA182. Nella relazione al Comitato Centrale Vidali oltre a confermare la

posizione nota del PCTLT e la fedeltà a Mosca, segnalò anch'egli il cambiamento

avvenuto sul fronte jugoslavo:

“sul problema di Trieste hanno cambiato opinione anche i titisti. […] Babic ha detto che non bisogna più parlare di governatore, perchè questa sarebbe una parola d'ordine nostra per favorire l'annessione di tutto il TLT all'Italia, egli ha sostenuto invece l'accordo diretto tra i due governi. Essi in realtà propongono il baratto tra jugoslavi e anglo-americani delle due zone, hanno parlato negli ultimi tempi dell'accordo Tito-Togliatti interpretandolo come passaggio di Trieste all'Italia e di tutto il restante Territorio alla Jugoslavia. Le elezioni del 16 aprile dovrebbero servire a dimostrare la necessità di legare la Zona B al suo naturale retroterra”183.

A Roma si considerò giusta l'impostazione politica per le elezioni scelta da

181 D.D.I., Serie Affari Politici, Tls. n.513/86, Rappresentanza Italiana a Trieste a Mae/PCM-Ufficio Zone di Confine 19.01.1950: corrispondenze del direttore de l'Unità Davide Lajolo su Trieste. 182 APC, Mf. 264, Lettera di Vidali alla Segreteria, 10 marzo 1950. 183 APC, Mf. 99, Verbale C.c. PCTLT, 18 marzo 1950.

Page 92: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

89

Vidali. Venne posta però, come altre volte in precedenza, la questione di più

stretti contatti tra i due partiti. Allo scopo di stabilirli si decise di chiamare con

frequenza Vidali alle riunioni della Segreteria e di porre un rapporto di Vidali

all'ordine del giorno di una riunione della direzione, prima delle elezioni nella

zona B184.

All'indomani del diffondersi delle voci che volevano imminente a Trieste

uno sbarco di armi americane, con l'immediata accusa agli Stati Uniti di aver

sempre ostacolato l'applicazione del Trattato di pace allo scopo, ora a tutti

evidente, di trasformare in base militare la città185, alcuni esponenti comunisti del

PCI e del PCTLT, tra i quali Sereni, Longo, Jaksetich, Novella, Tominez e Ghini,

si riunirono per esaminare le possibili forme di protesta e resistenza da

organizzare e sostenere. Tra le idee scaturite dalla riunione, oltre a manifestazioni

e campagne stampa, quella di una petizione all'ONU per protestare contro lo

sbarco degli armamenti americani, in quanto esplicita violazione delle clausole del

Trattato di pace sul TLT186.

Iniziava su l'Unità per tutto il mese di aprile una feroce campagna contro il

regime di Tito in vista delle elezioni plebiscitarie che stavano per tenersi in zona

B e della precedente unione doganale della stessa zona con la Jugoslavia. Negli

articoli si parlava di manovra “sciovinista e intransigente” di Tito in zona B, con

la complicità delle potenze occidentali dimentiche delle dichiarazioni del 1948, e

al suo cospetto di un governo democristiano pronto a rinunciare alle promesse

elettorali187.

Anche Vidali chiedeva alla Segreteria di pubblicare sull'Unità e gli altri

organi di stampa comunista reportages sulla zona B. I senatori e deputati del PCI

avrebbero dovuto promuovere l'invio di una delegazione in zona B e non lasciare

che fossero quelli degli altri partiti a farlo. Tramite conferenza stampa si dovevano

invitare tutti i giornalisti locali, italiani e di altri paesi, a recarsi nella zona B188.

Alla vigilia delle elezioni Vidali tenne egli stesso una conferenza stampa in

184 APC, MF 264, Verbale di Segreteria n. 20, 21 marzo 1950. 185 Il primo carico di armi diretto al porto di Trieste, l'Unità, 31 marzo 1950. 186 APC, Fondo M, Mf. 99, PCTLT, Riunione per esaminare questione sbarco armi americane a Trieste, 4-4-1950. 187 Vedi ad esempio: Tito e Trieste, L'Unità, 7 aprile 1950; Sforza pronto ad accantonare le promesse elettorali su Trieste, L'Unità, 9 aprile 1950; Umiliante scacco di Sforza nei tentativi di accordo con Tito, L'Unità, 11 aprile 1950; Con la complicità degli Occidentali Tito ha violato il trattato di pace, L'Unità, 18 aprile 1950. 188 APC, Mf. 264, Lettera Vidali alla segreteria per chiedere riunione dopo ultimi avvenimenti, 11 aprile 1950, annotazione di Togliatti 14 aprile “Sta bene. Chiamarlo”.

Page 93: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

90

cui rilevò come si era andata delineando la politica del “baratto”: abbandono da

parte dei titini della linea della difesa del Trattato di pace per quella delle trattative

dirette, nota di Belgrado a Roma per accordi sulla base della situazione attuale,

dichiarazioni di De Gasperi circa l'entrata nel Patto Atlantico senza sollevare il

problema di Trieste, discesa sul terreno scelto da Belgrado. Tito era per la

spartizione in base alla divisione attuale delle zone, mentre Sforza propendeva per

una linea etnica, questa era la differenza tra i due.

Riguardo all'ipotesi di un plebiscito, Vidali affermava che esso poteva

diventare una buona soluzione solo nel momento in cui le truppe d'occupazione

avessero lasciato il territorio. Infine, comunicava la decisione del Comitato

centrale, riunito in riunione straordinaria, secondo tutti i partiti e movimenti e

partiti locali avrebbero dovuto prendere un'iniziativa per proporre al Consiglio di

Sicurezza la nomina del Governatore, l'unificazione delle due zone,

l'allontanamento di tutte le truppe d'occupazione, jugoslave ed anglo-americane,

sulla base del rispetto del Trattato di pace. Questa era la soluzione “più giusta e

conseguente” alla questione di Trieste. Qualora tale appello presso il Consiglio di

Sicurezza fosse rimasto inascoltato, il PCTLT avrebbe proposto, pur di evitare il

“baratto”, un plebiscito che avrebbe contemplato “tutte le possibili proposte dei

gruppi etnici locali e nel quale avrebbero dovuto essere garantite le condizioni del

controllo più democratico possibile”189 .

Il 16 aprile nella zona B si svolsero le elezioni amministrative in un clima di

pesante tensione: vennero chiuse le comunicazioni terrestri e marittime con

Trieste, allontanati i non residenti, imposte limitazioni ai giornalisti. Si

verificarono aggressioni violente contro la popolazione italiana che, sia per

indicazione del Cln, sia spontaneamente, si asteneva massicciamente dalle

votazioni.

189 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 246, Tls n. 1801/458 A.Castellani (Rappresentanza Italiana a Trieste) a Mae/PCM-Uff. zone di confine/Leg. Belgrado 19.4.1950: questione di Trieste, atteggiamento del partito comunista cominformista.

Page 94: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

91

2.11 La posizione sovietica sulla questione di Trieste

2.11.1 La nota sovietica del 20 aprile 1950 recepita dal PCI

Pochi giorni dopo le elezioni in zona B, l'Unione Sovietica comunicò la

propria posizione sulla questione di Trieste in una nota in cui chiedeva il rispetto

delle clausole del Trattato di pace e quindi il ritiro delle truppe straniere dal

territorio di Trieste e la nomina del governatore del Territorio Libero. In essa si

spiegava come le potenze occidentali avessero respinto tutti i candidati proposti

dai Sovietici per la carica di governatore allo scopo di mantenere la base militare

nella città. In realtà, non si trattava di posizioni innovative, qualcuno parlò di

argomenti “logori” da parte di Mosca, ma era l'ufficialità e la tempestività con cui

tali posizioni venivano espresse a renderle particolarmente rilevanti.

Lo stesso giorno si tenne una riunione di Segreteria, in cui, dopo “ampia

discussione”, si decise di rendere pubblica la posizione del partito sulla questione

di Trieste190: Vidali e Longo vennero incaricati di redigere il comunicato in cui si

diceva che la direzione del PCI si dichiarava d'accordo con le proposte dei

comunisti triestini per l'applicazione del trattato di pace , l'unificazione delle due

zone del Territorio e l'allontanamento di tutte le truppe. Si decise anche che

Pajetta avrebbe riferito in Parlamento: il dibattito scaturiva da un'interpellanza di

Pietro Nenni al Ministro degli Esteri “sulla politica generale del governo nelle

questioni attinenti alla organizzazione del Territorio Libero di Trieste; sul valore

attuale che il Governo attribuisce alla raccomandazione tripartita del 20 marzo

1948 circa il ritorno alla sovranità italiana del Territorio Libero di Trieste; sui

risultati dei passi del Governo del ministro degli affari esteri presso i ministri

degli esteri degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Francia, in relazione ai fatti

compiuti del governo di Belgrado nella zona B del Territorio Libero di Trieste per

quanto riguarda la riforma valutaria e l’unione doganale e in occasione delle

elezioni del 16 aprile 1950”. A sua volta Pajetta aveva presentato una

interpellanza al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri “circa il grave

insuccesso della politica governativa nella questione della difesa della italianità e

della applicazione del .trattato di pace per la parte relativa al Territorio Libero di

Trieste”. Nel suo intervento fiume del 22 aprile alla Camera dei Deputati Pajetta 190 APC, Mf. 265, Verbale Riunione di Segreteria n. 26 – 20 aprile 1950.

Page 95: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

92

cominciò col fare una ricostruzione storica della questione di Trieste:

“[...] E successivamente, dopo la conclusione della guerra, quando gli jugoslavi del partito comunista e il governo di Belgrado rivendicarono l’istituzione, come frutto della vittoria, di una settima repubblica federale, comprendente la zolla di Trieste fino a Gorizia, quale fu la posizione dei comunisti italiani ? [...] Ebbene, nel suo rapporto al comitato centrale, al quinto congresso del partito comunista italiano, tenuto a Roma il 29 dicembre 1945, il segretario generale del nostro partito, il nostro compagno Togliatti, diceva: (( Per quel che riguarda la questione di Trieste, essa è  per noi molto delicata. Gli operai di Trieste hanno preso un atteggiamento favorevole alla annessione della città allo Stato federale jugoslavo. All'epoca la soluzione era stata la seguente: ((Riteniamo che la funzione degli operai di Trieste sia quella di lottare insieme a noi contro le forze reazionarie italiane e di servire, come mediatori fra i due popoli, a trovare una soluzione di questo problema che elimini ogni motivo di dissenso tra i due popoli, spenga ogni scintilla di lotta nazionalistica tanto dall’una che dall’altra parte, e permetta di fare opera permanente di pace N. […] Successivamente, quando la situazione sembrava essere avvelenata da una serie di dispute, vi fu il viaggio dell’onorevole Togliatti a Belgrado e il suo colloquio con Tito. Togliatti ottenne il riconoscimento della italianità della città di Trieste. E lo ottenne da Tito ! […]

Pajetta continua con lo spiegare come la dichiarazione del 20 marzo 1948

avesse avuto un “risultato addormentatore” che aveva impedito al governo

democristiano di fare una politica attiva in questo settore. La nomina del

governatore, richiesta anche dalla recente nota sovietica, avrebbe voluto dire

l’evacuazione delle truppe straniere, la garanzia internazionale delle libertà

nazionali e democratiche a norma dell’articolo 21 del trattato, e costituiva l’unica

soluzione realizzabile. Seguitava il deputato comunista a parlare del recentissimo

documento emanato dal governo di Mosca:

“Nella recente nota sovietica ho trovato delle cose che mi pare non possano preoccupare gli italiani. In questa nota sta scritto: “In base agli stessi regolamenti, dal momento dell’entrata in carica del governatore, le truppe straniere di stanza ne1 Territorio ed il cui numero per quell’epoca deve essere ridotto a 5 mila uomini per ognuno degli Stati partecipanti all’occupazione di Trieste, debbono essere poste a disposizione del governatore per novanta giorni. Allo scadere di questo termine, tutte le truppe straniere debbono essere ritirate dal T.L.T., entro 45 giorni”. Le disposizioni si applicano dunque per tutte le truppe straniere, ed è ridicolo quindi giocare sull’equivoco di affermare che si tratta soltanto delle truppe anglo-americane. “In base alle clausole del trattato di pace - prosegue la nota sovietica - dovevano le truppe straniere cioè essere evacuate da Trieste verso la fine del gennaio 1948” [...] E se questo si fosse realizzato, quei morti non sarebbero morti, e quei deportati non sarebbero stati strappati alle loro case. Forse il deputato che ha parlato ieri non avrebbe più fatto un discorso commovente, ma quegli italiani che egli dice di difendere avrebbero vissuto una vita diversa. Ecco perché noi abbiamo accolto questa proposta, ed ecco perché noi oggi vorremmo che potesse essere realizzato quello che ancora

Page 96: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

93

non è stato fatto. Ma che cosa sarebbe avvenuto se il Territorio Libero fosse stato amministrato diversamente? Abbiamo avuto le elezioni del 12 giugno, malgrado certe limitazioni, e l’intervento anche sfacciato, del governo alleato, come pure la inflazione del corpo elettorale, ecc. I1 Territorio Libero ha dimostrato che potrebbe governarsi da se. Non vedo dunque quale è la preoccupazione da parte vostra quando avete avuto una maggioranza di voti, e quando affermate di essere sicuri di questa maggioranza. Noi vorremmo sapere che cosa avevate da temere voi perché le elezioni si estendessero a tutto il territorio. E permettetemi di ricordarvi, soltanto per inciso che, dopo aver condotto per tanti mesi un' imprudente, una calunniosa campagna contro i comunisti triestini, palazzo Chigi, dopo quelle elezioni, si è affrettato a fare una dichiarazione per iscrivere fra gli italiani di Trieste anche i comunisti, perché avevano avuto una notevole affermazione, perché non erano stati liquidati, com’era nelle vostre speranze. Ma permettetemi una citazione ancora. Si tratta questa volta di un articolo del nostro compagno Togliatti dove ci sono parole che acquistano oggi un particolare significato.

“Voi avete creduto alle promesse che sono state fatte, volete crederci e volete accontentarvene ancora. Ma noi fin da allora abbiamo denunziato il pericolo che era insito in quella politica. Il 26 marzo 1948, proprio dopo la dichiarazione tripartita, Togliatti ricordava un suo colloquio con Salvatore Contarini e diceva, parlando della conversazione che aveva avuto con questo diplomatico, come Contarini ad un tratto, rispondendo ad una osservazione dello stesso Togliatti che si domandava se forse la Politica di Bonomi era ispirata dal desiderio, di ricevere dagli anglosassoni Trieste, diceva: “No, gli anglosassoni non daranno Trieste all’Italia, nè alla Jugoslavia: la lasceranno pendere in mezzo ai due paesi. Se ne serviranno, se potranno, per rafforzare un regime loro alleato al di là dell’Isonzo, altrimenti la terranno sospesa fino ad una nuova guerra e la offriranno a noi per farci fare ancora una guerra per conto loro”.

Questo è il pericolo grave - chiudeva Pajetta - e noi ad ammonirvi di questo

pericolo non abbiamo aspettato oggi. Voi nascondete la realtà della situazione

attuale. La verità è che Trieste non è libera. Trieste è una colonia militare”191.

Su l'Unità continuava la campagna stampa a sostegno delle posizioni del

PCI e anche del PSI nel dibattito parlamentare in corso, mentre si schernivano i

presunti fallimenti della diplomazia italiana nelle trattative condotte con gli

jugoslavi, nelle quali alle caute proposte di Sforza era seguito in sostanza un

rifiuto di Tito, che in un'intervista aveva affermato che le trattative avrebbero

dovuto essere sviluppate sulla base dell'accordo con Togliatti del 1946.192 La

191 Atti parlamentari, Seduta Camera dei Deputati del 22 aprile 1950. 192 Vedi ad esempio: Proposte costruttive di Nenni per l'integrità del Territorio di Trieste, l'Unità, 22 aprile 1950; Acheson tace sulla dichiarazione tripartita. Belgrado preannuncia l'annessione della zona B, l'Unità, 22 aprile 1950; Perché rifiutano?, l'Unità, 23 aprile 1950; Il governo respinge la sola via che salva il Territorio di Trieste, l'Unità 23 aprile 1950; Tito d'accordo con gli USA contro la nomina del Governatore, l'Unità, 27 aprile 1950; Tito invita il governo italiano a sacrificarsi per il buon vicinato, l'Unità, 28 aprile 1950; Troppo ottimistiche le dichiarazioni di Tarchiani, l'Unità, 28 aprile 1950; Le proposte di Sforza respinte ieri da Tito, l'Unità, 29 aprile 1950; Sforza avrebbe proposto di barattare la zona A con la zona B, l'Unità, 30 aprile 1950.

Page 97: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

94

stampa comunista affondava il colpo anche “sull'insensatezza” del governo

democristiano che si ostinava a non considerare le parole di Pajetta alla Camera e

quindi la nota sovietica sopra menzionata che mostrava, secondo l'avviso del PCI,

l'unica via possibile per una soluzione della questione di Trieste.

Nella definizione della posizione sulla questione di Trieste da parte del PCI,

la parola era lasciata ancora a Pajetta che definiva Trieste vittima di un doppio

sciovinismo. Quello italiano era sovvenzionato economicamente e nutrito

politicamente da Roma, responsabile di una lunga campagna d'odio nei confronti

degli slavi, assertore dai tempi della guerra delle rivendicazioni territoriali “più

folli”. Quello slavo era invece una diretta propaggine del “regime terroristico dei

fascisti di Tito” che aveva l'ulteriore colpa della “snazionalizzazione in corso nella

zona B”193. Pajetta definiva Trieste il più grande problema insoluto della politica

estera italiana, che poteva essere utilizzato anche come “metro col quale misurare

le intenzioni e i risultati dell'attività diplomatica di De Gasperi”. Il leader

democristiano aveva preferito tenere aperto un conflitto latente sul confine

orientale che poteva scoppiare in qualsiasi momento per dar sfogo al suo

anticomunismo. Ciò consentiva agli americani di mantenere una base militare a

Trieste, trasformata appunto in “piazza d'armi dell'imperialismo”194, “centro di

intrighi e provocazione”, e che costituiva una “piaga purulenta che può infettare

tutto il corpo della nazione”195

Il dibattito parlamentare proseguì nel mese di maggio anche in Senato ove

Sforza ribatteva la necessità di un accordo fra Italia e Jugoslavia. Vi furono

colloqui esplorativi con il rappresentante di Belgrado a Roma. Ma l'Italia ottenne

un altro rifiuto ed il ministro degli Esteri jugoslavo Ivekovic, in due successivi

discorsi, affermò che l'Italia voleva creare un'atmosfera di minacce e di pressioni.

In Senato il dibattito continuò sul disegno di legge “Stato di previsione

della spesa del M.A.E. per l'esercizio finanziario dal 1 luglio 1950 al 30 giugno

1951”, ovvero sul bilancio di previsione del Ministero degli Esteri. Tra i temi

riguardanti la politica estera italiana rientrava all'epoca a buon diritto la questione

di Trieste e diversi furono gli interventi su Trieste anche di senatori socialisti,

mentre per il PCI intervenne soltanto il senatore Pastore che parlò di pace e lotta

193 G.C. Pajetta, La politica estera italiana e il problema di Trieste, Rinascita, a. VIII (1950), n.5. 194 Cfr.: L'Unità, 23 agosto 1950. 195 G.C. Pajetta, La politica estera italiana e il problema di Trieste, cit.

Page 98: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

95

contra il nucleare ma non menzionò mai il la questione del TLT196.

Evidentemente, ad un mese dalle elezioni plebiscitarie in zona B e dalla

conseguente nota sovietica, le istruzioni erano di mettere tutto a tacere, come già

successo altre volte, e come dimostra anche la brusca interruzione dell'infuocata

campagna stampa su l'Unità durata circa un mese di cui abbiamo parlato sopra.

2.11.2 Interpretazioni diplomatiche della posizione sovietica

E' molto interessante prendere in esame a questo punto la corrispondenza

dell'ambasciatore a Mosca Brosio col Ministero degli Esteri in cui egli tentava di

ricostruire la posizione sovietica sulla questione di Trieste in base alle ultime

vicende. Dopo la nota del 20 aprile, scriveva Brosio, la prima comune

interpretazione adottata dall'ambasciata nord-americana a Mosca e poi anche dai

britannici e dagli italiani stessi, era stata che i sovietici volessero ostacolare un

accordo diretto italo-jugoslavo. Ma successivamente, quando i sovietici

insistettero sulla instaurazione del TLT facendone addirittura una condizione per

la conclusione del Trattato austriaco, si comprese meglio che la linea sovietica

ostacolava fino a un certo punto gli accordi italo-jugoslavi, “anzi in un certo senso

li agevolava”. Poiché la costituzione del TLT si poteva considerare praticamente

impossibile, continuava l'ambasciatore nel suo ragionamento, l'insistenza sovietica

su di essa non faceva che impedire ogni possibilità di assegnare Trieste all'Italia

mediante adesione sovietica alla dichiarazione tripartita del 1948; per ulteriore

conseguenza, non lasciava che una sola via d'uscita obbligata, quella dell'accordo

diretto italo-jugoslavo, in un modo, per di più, che favoriva gli jugoslavi,

indebolendo la cara che l'Italia possedeva nella dichiarazione tripartita.

Si rendevano conto di tutto ciò, oppure svolgevano una politica

contraddittoria, finendo col facilitare involontariamente l'accordo italo-jugoslavo a

favore degli jugoslavi, nella loro “ostinata e inutile insistenza” sulla formula del

TLT? Brosio riteneva che i sovietici avessero rispettato a Trieste due interessi

fondamentali: impedire un solido e duraturo accordo fra Italia e Jugoslavia, non

solo e non tanto su Trieste, quanto in linea generale, perché tale accordo,

appoggiato dagli USA, avrebbe creato probabilmente una più solida barriera

contro di loro nell'Europa sud-orientale. L'altro interesse era quello di allontanare

196 Atti Parlamentari, Seduta del Senato della Repubblica del 24 maggio 1950.

Page 99: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

96

da Trieste e dal relativo territorio le truppe di occupazione alleate.

Naturalmente, la soluzione del TLT costituiva per i sovietici la soluzione

ideale, poiché soddisfaceva contemporaneamente entrambi gli interessi sovietici:

da un lato creava un focolare permanente di conflitti interni a Trieste, sia fra

italiani comunisti e non comunisti, che fra italiani e slavi ; dall'altro importava,

nella sua fase definitiva, la demilitarizzazione di Trieste, e nella fase provvisoria,

la riduzione delle forze miste a 15.000 uomini, sotto il controllo del Consiglio di

Sicurezza del quale l'Urss faceva parte. Viceversa, un accordo italo-jugoslavo

avrebbe compromesso l'interesse permanente sovietico a dividere italiani e

jugoslavi, e avrebbe anche potuto rafforzare Tito rendendone sempre più difficile

il rovesciamento da parte dei cominformisti; ma quanto meno, avrebbe soddisfatto

l'altro interesse, di allontanare le truppe alleate, suddividendo il Territorio di

Trieste ed assorbendolo entro due Stati ugualmente liberi da occupazione

straniera. Perciò i sovietici avrebbero potuto accettare l'accordo italo-jugoslavo

come un pis-aller che avrebbe dato loro qualche svantaggio, ma anche qualche

vantaggio. Avrebbero sconfessato l'accordo, nel caso fosse arrivato, solo pro-

forma, o addirittura sarebbe arrivati a riconoscerlo, ciò sarebbe dipeso

specialmente dalle condizioni riguardo allo sgombro delle truppe alleate.

In questa loro posizione, la complicazione del Trattato per l'Austria non

influiva sull'intrinseco della questione triestina: quest'ultima veniva utilizzata per

sabotare il Trattato austriaco non viceversa. Se per caso, sosteneva Brosio, gli

alleati avessero rinnegato in futuro la dichiarazione tripartita e fossero tornati alla

soluzione del TLT per concludere il Trattato austriaco, l'Urss ne sarebbe stata ben

contenta, salvo poi trovare altre ragioni per continuare a ostacolare il Trattato

austriaco. Ma anche su questo i sovietici non si facevano illusioni: sapevano che

gli alleati non volevano il TLT, ma non erano entusiasti per la conclusione del

Trattato austriaco.

Si chiedeva in conclusione Brosio se una soluzione provvisoria sulla

formula del TLT poteva essere utile al fine di giungere ad un accordo italo-

jugoslavo ed avrebbe trovato nell'atteggiamento sovietico una qualche

giustificazione. L'ambasciatore si dava risposta negativa, osservando che

costituire il TLT, pur secondo lo statuto provvisorio, significava far cessare la

sovranità italiana e far intervenire il potere del Consiglio di Sicurezza, o, in altri

termini, il diritto di veto dell'Unione Sovietica.

Page 100: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

97

La delicatezza dell'argomento faceva sì che l'ambasciatore chiedesse

istruzioni speciali al Ministero prima di procedere in qualsiasi tipo colloquio con i

rappresentanti sovietici, anche se Brosio si diceva appunto convinto della

necessità di una “cauta interrogazione diretta” ai Russi su come loro avrebbero

visto un eventuale accordo diretto italo-jugoslavo197.

Il Ministero degli Esteri, in special modo come abbiamo detto l'ufficio

quarto degli Affari Politici, lavorava assiduamente in quel periodo per interpretare

le mosse di Mosca sulla questione di Trieste e quindi decifrare quale fossero le

reali intenzioni al riguardo. Decisiva, lo abbiamo visto, era stata la scelta del

governo sovietico di legare la soluzione della questione della creazione del TLT

con quella della conclusione del Trattato austriaco.

Un altro documento d'archivio, riservato declassificato, che ci può aiutare

nella nostra ricostruzione è il resoconto di una conversazione avvenuta tra il

Consigliere Stampa dell'ambasciata italiana a Washington dr. Gabriele Paresce e

l'Addetto Stampa sovietico Zinchuk nella stessa capitale. Zinchuk si dimostrava

particolarmente interessato a sapere come sarebbero state abbordate le trattative

dirette con gli jugoslavi e cioè se sarebbe stato portato immediatamente loro

innanzi uno schema dettagliato di compromesso elaborato dalle autorità italiane, o

se invece, come volutamente accennava di voler ritenere, sarebbero stati gli alleati

a tratteggiare una soluzione e farla presentare dagli italiani stessi come dagli

alleati approvata in precedenza. Portata la conversazione sulla dichiarazione del

1948, Zinchuk l'aveva definita come semplice atto di propaganda elettorale, il cui

vero valore gli italiani avrebbero dovuto, col loro intuito, comprendere subito e

portare ad un maggiore adeguamento della realtà, con un passo a Mosca per non

ottenerne, se non l'assenso, per lo meno l'interessamento. Anche nel momento in

cui i due parlavano, continuava Zinchuk, l'Italia non doveva dimenticare che la

questione di Trieste riguardava anche la Russia e quindi Mosca andava tenuta al

corrente in qualche modo delle intenzioni italiane. Alle obiezioni fattegli che

l'atteggiamento russo si era manifestato varie volte in senso negativo ed

ultimamente sembrava essersi cristallizzato nell'ultima nota sovietica

sull'applicazione integrale a Trieste delle clausole del trattato di pace, egli

replicava che la nota sovietica avrebbe potuto anche essere interpretata come una

197 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 240, Tls. segreto n. 1138/457, Brosio (Amb. Mosca) a Mae 14/5/1950: posizione sovietica nei confronti della questione triestina.

Page 101: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

98

presa di posizione di principio, volta a ricordare la necessità del rispetto dei

trattati. Riconosceva per di più essere stato utopistico pensare che si potesse dar

luogo, nell'assetto internazionale del dopoguerra, ad una città-stato tipo Danzica,e

tornava ad insistere per sapere quali sarebbero state le rettifiche e gli scambi

reciproci di territorio ai quali l'Italia sarebbe stata disposta ad accedere nel quadro

delle trattative dirette con la Jugoslavia. Zinchuk osservava che non si poteva

tenere all'oscuro la Russia delle trattative che si sarebbero svolte ne considerarla

parte disinteressata e non si poteva portare il fatto compiuto davanti ad essa, in

quanto Mosca avrebbe dovuto considerare qualsiasi soluzione trovata a sua

insaputa e senza il suo benestare quale violazione del trattato di pace con l'Italia

“con tutte le conseguenze che ne derivano”. Ripeteva la solita argomentazione

sovietica sull'inopportunità che a Trieste restassero truppe di potenze straniere e

lanciava infine come ultima domanda perché l'Italia non ritenesse conveniente

aderire alla proposta già avanzata da “qualcuno” per la cessione di Gorizia alla

Jugoslavia in cambio di Trieste, ed alla replica di Paresce, Zinchuk si ritirava

proferendo “vaghe parole di comprensione del punto di vista italiano”198.

Come faceva giustamente osservare l'ambasciatore Brosio, l'Addetto stampa

sovietico era probabilmente incaricato di sondare semplicemente a che punto

fossero le trattative italiane con la Jugoslavia, riservando i sovietici comunicazioni

importanti, quale quella del loro assenso ad un accordo diretto italo-jugoslavo, ad

un livello più alto. Ad ogni modo, i sovietici non andavano tenuti al corrente delle

conversazioni in corso, in quanto avrebbero potuto in qualsiasi momento sabotarle

con indiscrezioni e campagne di stampa. Avrebbero potuto fare ciò sia giocando

sul nazionalismo jugoslavo, cercando di mettere il governo di Tito in difficoltà di

fronte alla propria opinione pubblica, sia con il governo italiano, dando ai

comunisti italiani l'occasione di una campagna patriottica. L'ambasciatore italiano

a Mosca era del parere che se l'accordo fosse stato raggiunto i sovietici avrebbero

protestato ma vi si sarebbero inchinati. Messi invece nella possibilità di influire

sulla conclusione dell'accordo, essi “senza alcuno scrupolo e senza riservatezza”

avrebbero agito secondo il loro contingente interesse199.

198 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 240, Tls. riservato n. 13/435 DGAP IV a Amb. Mosca 14/6/1950: Resoconto conversazione consigliere stampa ambasciata a Washington Paresce e addetto stampa sovietico, 29 maggio 1950 (Delassificato). 199 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 245, Tls. riservato n. 6007/3482 Tarchiani (amb. Washington) a Mae 31/5/1950 (Declassificato): conversazione consigliere stampa Paresce con addetto stampa sovietico Zinchuk.

Page 102: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

99

Nel frattempo gli Stati Uniti avevano risposto il 16 giugno alla nota

sovietica del 20 aprile con una nota alla quale a loro volta i sovietici replicarono a

luglio ribadendo le accuse mosse nella loro prima nota e sostenendo che gli

alleati, i quali avevano proposto a Mosca di apportare una modifica al trattato di

pace con l'Italia, avevano commesso una violazione del trattato stesso. Da tale

pretesa violazione i russi avevano preso lo spunto tra l'altro per rifiutarsi di

proseguire le conversazioni per il trattato di pace con l'Austria. E' da notare come

tale seconda nota sovietica fosse stata presentata appena due giorni prima della

data fissata per la riunione dei Sostituti per il Trattato di pace austriaco.

Vale la pena qui fare presente che l'autorevole opinione dell'ambasciatore a

Mosca Brosio, sopra riportata, secondo il quale il collegamento tra la questione

della creazione del TLT e quella della conclusione del trattato di pace austriaco

mirava semplicemente ad ostacolare e dilazionare la stipula di quest'ultimo,

veniva alcuni mesi più tardi messa in discussione dall'ostinata prosecuzione da

parte sovietica di questa strategia. Questo portava alcuni diplomatici italiani a

ritenere che in realtà l'Urss desse un'importanza essenziale allo sgombero di

Trieste da parte degli anglo-americani200.

200 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 515, Tls. riservatissimo n. 193/33 Segr. Leg. Giacomo Profili (Leg.Vienna) a Mae 11.1.1951: Austria-Jugoslavia-Trieste e la Russia.

Page 103: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

100

2.12 Questione di Trieste e guerra di Corea

Nell'estate del 1950 un grave incidente d'auto mise Togliatti fuori causa per

alcuni mesi: si profilò in tale occasione l'ipotesi di un cambiamento ai vertici con

Longo e Secchia alla guida del partito. Togliatti ricevette il prestigioso incarico

della presidenza del Kominform, che stava appunto a confermare un suggerimento

però da Mosca a lasciare spazio nel partito ad altri e quindi anche ad

un'impostazione diversa, almeno in parte, della strategia politica e organizzativa.

Ad inizio 1951, Togliatti si ristabilì completamente dall'incidente e rifiutò

l'incarico al Kominform rimanendo Segretario del PCI.

Nel periodo di “vacanza” nella guida del partito stava a Longo curare i

rapporti con Vidali e tentare di limitarne l'autonomia operativa, ricordandogli che

sulla questione di Trieste non andava proposta nessuna cosa che significasse

mutamento fondamentale della posizione sino ad allora sostenuta. Su questioni di

rilevante importanza era sempre necessario consultarsi prima con la Direzione del

PCI, questa era la regola201. Perciò, il Comitato Centrale del PCTLT, in cui Vidali

si proponeva di esporre una nuova linea politica circa la questione di Trieste,

andava rimandato, così concludeva Longo.

Il Comitato Centrale del PCTLT veniva, in effetti, rimandato al febbraio

seguente, ma il tono allarmato di Vidali non si era placato: si viveva sempre un

momento di aggravata minaccia alla pace mondiale da parte dell'imperialismo

americano, la popolazione italiana e slava del TLT, territorio occupato

militarmente da truppe americane, inglesi e jugoslave, vedeva con inquietudine il

perfezionarsi di un'alleanza politico-militare tra i governi satelliti

dell'imperialismo americano di Roma e Belgrado e vedeva con particolare

preoccupazione la trasformazione del Territorio e specialmente del porto di

Trieste in una base militare per il settore alpino-balcanico, dove il traditore Tito

era chiamato ad assolvere le funzioni del coreano Syng Man Rhee202. Il paragone

di Tito con il presidente sudcoreano feroce anti-comunista, non era a dire il vero

farina del sacco di Vidali, ma era stato coniato, non senza un certo successo,

201 APC, Fondo M, Mf. 99, PCTLT, Lettera di Longo a Vidali 14 dicembre 1950. 202 APC, Fondo M, Mf. 99, Vidali a Direzione PCI – III congresso PcTlT 16 febbraio 1951.

Page 104: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

101

alcuni mesi prima da Mario Pacor su Vie Nuove203, poco dopo lo scoppio della

guerra di Corea.

Credo si possano confinare per lo più nell'ambito della carta stampata i

collegamenti tra la situazione di Trieste e la guerra di Corea, talmente lontani

geograficamente e diversi per caratteristiche i due contesti, benché “fonti

attendibili” avessero fatto pervenire al M.A.E. informazioni sulle intenzioni del

PCTLT di formare i “quadri” per un Comitato di salute pubblica e di una Guardia

popolare in previsione di sviluppi dell'azione russa nei Balcani. La mancanza di

ulteriori conferme ed il capovolgimento della situazione in Corea fecero poi

ritenere che l'idea fosse stata accantonata204.

A quanto pare la situazione di allarme era stata generata alcuni mesi prima,

in realtà, da una voce confidenziale che informava che il PCI aveva interpellato i

suoi attivisti, in particolare nelle zone di Parma, Reggio Emilia e Forlì205, per

chiedere loro chi fosse disposto a recarsi nella zona di Trieste per prendere viva

parte alla lotta per la difesa dell'italianità di quella terra, “abbandonata ormai alle

mire imperialistiche di Tito, per l'inettitudine del Governo italiano e per il

tradimento degli alleati occidentali”. Secondo l'Appunto Segreto che riportava tale

voce confidenziale, l'interpellanza non aveva avuto un esito positivo fino a quel

momento, poiché agli stessi attivisti non era parso troppo chiaro il ruolo che essi

sarebbero stati chiamati a svolgere. Taluno, in proposito, riteneva che potesse

trattarsi di “un nuovo motivo propagandistico a sfondo nazionalista, divulgato dal

PCI per accendere l'entusiasmo dei giovani, e guidarli inconsapevolmente ad

azioni che avrebbero potuto compromettere tutta la delicata situazione politica di

quel settore, e ciò, può darsi, secondo un piano predisposto dall'Urss”206.

Come possiamo vedere, la mobilitazione, se mobilitazione c'era stata da

parte del PCI, era cominciata prima dello scoppio della guerra di Corea e quindi

sembra difficile trovare un collegamento tra le due questioni.

L'andamento della guerra di Corea, con il prevalere ad un certo momento

degli “imperialisti”, preoccupava il segretario del PCI Togliatti più in generale per

203 M. Pacor, Tito è diventato il Si Man Ri dei Balcani, Vie Nuove, 6 agosto 1950. 204 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 246, Tls. n. 21479/971 Lo Faro (DGAP IV) a Min. Interno-Gabinetto, (giorno non leggibile) novembre 1950: attività del partito comunista a Trieste. 205 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 246, Appunto segreto D/152, 20.6.1950: invio attivisti comunisti in zona Trieste. 206 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 246, Appunto segreto D/127, 16.5.1950: invio attivisti comunisti in zona Trieste.

Page 105: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

102

la cattiva ripercussione che poteva avere visto che nel partito le posizioni di lotta

contro l'imperialismo non erano state del tutto accettate. Incertezze nel partito

potevano ancora esistere. La linea da seguire era quella di intensificare ancora la

lotta per la pace207. Per Secchia la campagna sulla Corea contro bombardamenti e

cessazione delle ostilità era inesistente soprattutto perché la stampa non aiutava.

Gli effetti degli avvenimenti degli ultimi giorni si sentivano con ripercussioni

negative. Metteva in guardia sul fatto che il titismo avrebbe speculato su queste

cose, avrebbe sfruttato l'arma della stampa, specialmente il Corriere di Trieste208.

207 APC, Fondo M, Mf. 263, Direzione riunione 28 settembre 1950. 208 APC, Fondo M, Mf. 263, Direzione - riunione 28 settembre 1950.

Page 106: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

103

2.13 Lotta al titofascismo e caso “magnacucchi”

Giancarlo Pajetta aveva concluso il III congresso del Pc del TlT rilevando

l’importanza internazionale della lotta dei comunisti triestini contro “la cricca di

Belgrado” e il valore europeo della lotta dei compagni sloveni contro i “traditori

dei popoli della Jugoslavia”. Fu in questa sede che vennero formulate le critiche

più articolate al “titofascismo, cane da guardia dell’imperialismo”, contenute nella

relazione letta dal giovane neodirettore del Delo, settimanale in lingua slovena,

Karel Siskovi. Il “compagno Mitko” declamava senza perifrasi: “I titofascisti sono

per la guerra all’Unione Sovietica, alle democrazie popolari, alla Cina, per lo

sterminio dell’umanità, per la vittoria dell’imperialismo americano e per

l’estendersi della sua egemonia fascista e schiavista a tutto il mondo. […] La lotta

contro il titofascismo è un dovere ed un compito d’onore di tutti i democratici,

non solo dei comunisti, ma di tutti gli uomini amanti della pace e della libertà”209.

La relazione, era preceduta da una prefazione di Vidali contenente

l’ammonizione che “la bestia, anche se ferita e nascosta nella sua tana,

rappresenta ancora un pericolo”, soprattutto per il Pc del TlT, dove si sarebbe

voluto “trasformare ogni compagno in un Magnani o un Cucchi”, ragion per cui la

vigilanza era d’obbligo210.

Il riferimento era alla vicenda Magnani-Cucchi, esplosa alcune settimane

prima in occasione dell'inizio del VII Congresso provinciale del PCI, quando il

deputato Magnani propose e commentò un ordine del giorno che affermava che i

comunisti erano impegnati a difendere i confini nazionali contro ogni aggressione

esterna, da qualunque parte provenisse. Chiedeva di dire un no esplicito al

concetto dell'Urss come Stato-guida e alle "rivoluzioni importate su baionette

straniere". Magnani e Cucchi furono espulsi dal PCI con accusa di collusione “con

elementi titoisti”. Togliatti, appena rientrato da Mosca, liquidò il caso dei

“Magnacucchi” con una battuta: “anche nella criniera di un nobile cavallo da

corsa si possono sempre trovare due o tre pidocchi”211. Togliatti chiedeva di

isolare e manifestare disprezzo verso i traditori senza dar troppa importanza al

caso.

Anche prima del caso “Magnacucchi” la lotta contro il devazionismo ed i 209 APC, mf. 335, Verbali del comitato federale triestino, 9/11-2-1951, p. 1632-1843. 210 La lotta contro il titofascismo, Trieste, ed. Il lavoratore, 1951. 211 Cfr.: L’Unità, 1-3-1951.

Page 107: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

104

traditori titini costituiva un obiettivo primario della strategia politica del PCI. Ciò

scaturiva, come abbiamo già visto, anche dalle accuse di scarso impegno nella

lotta contro i traditori titini che gli venivano mosse nell'ambito del Cominform, le

quali venivano reiterate ancora nel novembre del 1950212.

A Trieste poi la lotta raddoppiava perché diveniva contemporaneamente

lotta contro Tito per la difesa delle minoranze italiane in Jugoslavia e lotta contro

De Gasperi per la difesa dei diritti nazionali degli sloveni. Si trattava comunque di

due facce dello stesso problema213.

212 APC, Mf. 190, Verbali della Direzione – Riunione del 6-12-1950, Ingrao informa su riunione segretariato del Kominform: viene dato su l'Unità scarso rilievo alla lotta ideologica contro il titismo. 213 APC, mf. 325, Verbali del comitato federale di Gorizia, II congresso provinciale, 8/10-12-1950, intervento di Arturo Cicalini.

Page 108: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

105

2.14 Fase di stallo nella situazione internazionale circa la questione di Trieste

Alla Conferenza dei Sostituti dei Ministri degli esteri a Parigi, nel marzo del

1951, l'Urss aveva ribadito la sua politica che legava la conclusione del trattato di

pace con l'Austria all'attuazione completa dello statuto del TLT. La tesi sovietica,

al di là di ogni fondamento giuridico, sembrava possedere una sua validità

politica, considerato il circolo vizioso in cui si era immobilizzato il problema

triestino: l'Italia non intendeva lasciar cadere la carta di favore che era stata la

dichiarazione tripartita del 1948 e, comunque, era già stata ampiamente sacrificata

nel suo territorio nazionale a vantaggio jugoslavo per poter consentire a nuovi

abbandoni che non fossero marginali. Gli alleati occidentali riconoscevano l'equità

delle rivendicazioni italiane ma non intendevano compromettere i loro rapporti

con Belgrado e desideravano che la soluzione fosse trovata direttamente tra Roma

e Belgrado, riservando a sé un cauto compito di mediazione. Tito non riconosceva

la dichiarazione tripartita, si sforzava, per mezzo di un provvedimento dopo

l'altro, di stabilire un'annessione de facto della Zona B e opponeva, a tutte le

iniziative del governo italiano per aprire una discussione di fondo, manovre di

dilazionamento. La posizione jugoslava era riaffermata da Tito il 13 gennaio, in

un'intervista al corrispondente dell'agenzia ANSA da Belgrado:

“Data l'attuale situazione mondiale, penso che non sarebbe opportuno affrontare il problema senza aver prima stabilito una frontiera ben chiara e accettata, in linea di principio, da ambedue le parti. Questo agevolerebbe la rapida soluzione della questione. Se affrontassimo questo problema senza la dovuta preparazione, il fatto potrebbe essere sfruttato da coloro che non desiderano rapporti di buon vicinato tra la Jugoslavia e l'Italia, e, in definitiva, peggiorerebbe la situazione, secondo me non ancora matura per una soluzione”214.

La stessa idea era sostenuta da Tito in un discorso dell'11 marzo al

congresso dei combattenti jugoslavi a Belgrado:

“Ai popoli jugoslavi e al popolo italiano conviene che per ora del problema di Trieste non si parli [...] lo sapremo risolvere quando sarà il momento e non ora che l'atmosfera del mondo è così piena di elettricità che ad ogni momento vi è il pericolo che divampi in un altro luogo l'incendio della guerra”215.

Quale fosse il senso di tale politica di rinvio lo rivelava una interpellanza,

214 ISPI - Annuario di politica internazionale - anno 1951 – Milano, ed. Idos, 1951, p. 35. 215 ISPI - Annuario di politica internazionale, cit., 1951, p. 37.

Page 109: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

106

rivolta il 23 febbraio al ministro Sforza dai senatori liberali Casati e Sanna

Randaccio sull'acquisto da parte di un gruppo finanziario inglese del quotidiano Il

Corriere di Trieste, il quale sosteneva le tesi indipendentiste. Inoltre, il Comune di

Trieste, si leggeva sempre nel testo dell'interpellanza, era sul punto di esaminare

una legge elettorale diversa da quella italiana, il governo di occupazione aveva

innovato l'ordinamento scolastico italiano in maniera tale che i titoli di studio ivi

conseguiti non potevano poi essere riconosciuti né a Trieste né in Italia. Allo

stesso tempo il governo jugoslavo continuava l'opera di trasformazione di istituti e

di allontanamento e sostituzione di persone che consentiva alla Jugoslavia una

graduale annessione di fatto della zona B.

Poiché si diffondeva nei circoli politici l'opinione che il Comando militare

alleato di Trieste – alla cui testa, all'inizio di marzo, il generale Winterton aveva

sostituito il generale Airey – perseguiva da qualche tempo un indirizzo meno

favorevole alle posizioni italiane, in connessione all'intenso lavorio diplomatico di

Londra per agganciare a sé la politica jugoslava, risultò tempestivo il viaggio che

dal 12 al 15 marzo avevano compiuto a Londra il presidente del Consiglio De

Gasperi e il ministro degli Esteri Sforza. Nel comunicato conclusivo del loro

incontro col primo ministro Attlee e col ministro degli Esteri Morrison, veniva

dichiarato che:

“I ministri britannici hanno confermato che essi intendono mantenere la dichiarazione tripartita su Trieste del marzo 1948, in vista di un regolamento mediante conciliazione, e i ministri italiani hanno affermato che è loro desiderio raggiungere un amichevole accordo con il governo jugoslavo su questa questione”216.

De Gasperi prima di lasciare Londra era più esplicito e ottimista:

“Ormai abbiamo la certezza che Trieste ritornerà sotto la sovranità italiana. Questa certezza ce l'hanno riconfermata gli uomini di Stato britannici, assicurandoci di rimanere fermi sulla dichiarazione tripartita del 1948. Non ce n'era bisogno, ma la conferma di quella dichiarazione per il ritorno del TLT sotto la sovranità italiana costituisce oggi per noi una più solida base diplomatica. Ora vedremo ciò che sarà necessario fare in conformità agli sviluppi della situazione internazionale. Comunque noi abbiamo oggi l'assoluta certezza che Trieste rimarrà italiana”217.

Belgrado rispose respingendo ancora più nettamente la dichiarazione del

1948. Il giornale Politika la definì il 16 marzo una “imposizione”, il giorno dopo

216 ISPI - Annuario di politica internazionale, cit., 1951, p. 38. 217 ISPI - Annuario di politica internazionale, cit., 1951, p. 39.

Page 110: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

107

il presidente del Consiglio della Repubblica popolare slovena Marinko affermò

che “ogni ritorno alla dichiarazione tripartita non può che indebolire gli sforzi

tendenti a raggiungere un accordo tra Italia e Jugoslavia” e che non essendo la

situazione matura “è meglio non porre nemmeno la questione di Trieste”218.

218 ISPI - Annuario di politica internazionale, cit., 1951, p. 40.

Page 111: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

108

2.15 Il PCI chiede che il TLT sia dichiarata “città aperta”

La stampa del PCI commentava invece i fatti di Londra come “il sacrificio

di Trieste”, in cui De Gasperi aveva dovuto riconoscere “la scarsa importanza

pratica” della dichiarazione tripartita, ridotta a “puro e semplice espediente di

propaganda elettorale”219. La soluzione più giusta, l'unica possibile, quella

proposta dall'Urss con l'applicazione del trattato di pace e la conseguente

creazione del TLT veniva “arricchita” in questa fase della formula che chiedeva

che tutto il Territorio fosse dichiarato “città aperta”220.

Togliatti aprendo il VII Congresso Nazionale del PCI sull'uscita della

Jugoslavia di Tito dal campo comunista dichiarava: “E' vero che vi è stato il

passaggio della cricca di Tito al campo degli imperialisti, ma il suo

smascheramento è stato rapido, completo”221. Nel suo intervento Vidali esordiva

ricordando ai presenti che era la prima volta quella che una rappresentanza di

comunisti italiani e slavi di Trieste e territorio si recava ad un congresso del PCI

dalla fine della seconda guerra mondiale. Poi ricordava i legami dei comunisti

triestini col PCI che le spie titiste avevano cercato di recidere senza successo,

finché non era arrivata “come una benedizione” la risoluzione dell'Ufficio di

Informazione. Tuttavia la lotta a Trieste, trasformata in una base militare anglo-

americana, restava difficile e la soluzione del problema del TLT veniva

subordinata da Roma e Belgrado ai preparativi di guerra contro l'Urss ed a un

possibile intervento contro i movimenti democratici in Italia e Jugoslavia, come

veniva indicato nell'articolo quattro del Patto Atlantico. Il cosmopolita “von

Gasperi” voleva dimenticare il passato ed arrivare ad una conciliazione con le

“spie di Belgrado” che “oltre ad essere rabbiosamente antisovietiche e

anticomuniste, nutrono per il popolo italiano e particolarmente per il partito di

Togliatti un odio cannibalesco”. Il “baratto infame” preparato da Washington,

Londra e Parigi, e tacitamente accettato da Roma e Belgrado, avrebbe dato a Tito

non solo la zona B ma anche la città di Trieste, che sarebbe dovuta diventare,

secondo gli americani, il porto di guerra della Jugoslavia222.

Durante il periodo della propaganda elettorale per le elezioni amministrative 219 Il sacrificio di Trieste, Vie Nuove, 25-3-1951. 220 M. Pacor, Trieste reclamata dai comunisti come “città libera”, Vie Nuove, 2-1951. 221 L'Unità, 4-4-1951, p. 1 e 3. 222 Oggi Togliatti conclude il VII Congresso del PCI. Vidali denuncia gli intrighi anti-italiani di Tito e degli americani a Trieste, L’Unità, 8-4-1951.

Page 112: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

109

in Italia, che videro una leggera flessione della Dc e un avanzamento delle destre,

mentre il consenso del PCI restava pressoché inalterato, l'attenzione dell'opinione

pubblica si era spostata su temi diversi concernenti soprattutto la situazione

economica.

La polemica su Trieste riafforava vivace nell'estate, dopo che un'inchiesta

del Corriere della Sera di Milano aveva rivelato un orientamento

“indipendentista” del nuovo capo dell'amministrazione militare della zona A

generale Winterton: un sintomo lo si era avuto anche nell'evoluzione del “Fronte

popolare” jugoslavo di Trieste dalla tesi dei negoziati italo-jugoslavi, sostenuta

nel 1950, alla tesi dell'applicazione dello statuto previsto dal trattato di pace,

assunta nel suo programma elettorale del 15 maggio223. Altro sintomo era una

serie di atti e omissioni di tale amministrazione, smentiti da questa, in un

comunicato del 10 luglio, nel loro significato di cambiamento di indirizzo, non

conformi allo spirito della dichiarazione tripartita. La ripresa del dibattito in

Senato avvenne l'11 luglio con 8 interpellanze su Trieste tra cui anche quella del

comunista Pastore che denunciavano negli aspetti politici e giuridici più rilevanti

di tali atti e omissioni (inaugurazione della Fiera di Trieste, competenza della

Corte di Cassazione italiana, trasmissioni radio). In particolare nella sua

interpellanza Pastore si rivolgeva a De Gasperi per sapere quali fossero

“effettivamente gli svolgimenti della questione di Trieste per la quale tanto

allarme si è diffuso in questi giorni nell'opinione pubblica”224.

Alla Camera dei Deputati, il mese seguente, il dibattito s'incentrava sulla

formazione del nuovo governo De Gasperi, tuttavia Trieste restava un nodo

fondamentale da sciogliere per il nuovo esecutivo democristano. Per Giancarlo

Pajetta Trieste restava soprattutto la pietra di paragone della politica estera

degasperiana, ciò che era avvenuto in quella città si sarebbe avrebbe potuto

ripetersi altrove:

“Così è della vostra politica estera. Sulla base del suo oltranzismo atlantico ella ci ha ripetuto, con voce sempre più stanca e sempre più monotona, che la dichiarazione tripartita vale ancora. Ma non soltanto Trieste continua ad essere una base anglo-americana e jugoslava, ma voi avete fatto di Livorno una città che vorreste diventasse come Trieste, ed anche di Napoli vorreste fare una città come Trieste. Ella, onorevole Presidente del Consiglio, non ci ha spiegato nulla, non ci ha detto le vere

223 ISPI - Annuario di politica internazionale,cit., anno 1951, p.41. 224 Cfr.: L'Unità, 11-7-1951, p. 5.

Page 113: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

110

ragioni della crisi, che si è ridotta ad un giuoco di bussolotti, soprattutto nei riguardi delle critiche che sono partite dal seno stesso del partito di maggioranza”225.

Il giorno dopo intervenne anche Togliatti definendo i democristiani allo

stato attuale come “vassalli” degli americani, “botoli ringhiosi lanciati contro

l’altra parte”.

Il segretario del PCI spiegava che perseguendo tale politica si sarebbe messo

a repentaglio l'ingresso nelle Nazioni Unite e la sola cosa che si sarebbe potuto

ottenere era una dichiarazione analoga a quella del 1948 relativa a Trieste, che il

PCI aveva smascherato come inutile fin dall'inizio, mentre il governo

democristiano non era stato nemmeno in grado di chiarirne al proprio popolo il

reale significato. Significava essa annessione, promessa senza alcuna condizione

del Territorio Libero all’Italia? Significava, invece, integrazione del Territorio

Libero nel territorio nazionale italiano con un regime di autonomia analogo a

quello dell’Alto Adige? Gli errori non andavano ripetuti, spiegava in sostanza

Togliatti: i problemi italiani potevano essere risolti solo in un’atmosfera di

distensione internazionale e da un governo il quale si fosse orientato

consapevolmente o avesse dato quel contributo che avrebbe potuto dare alla

creazione di una simile atmosfera di distensione226.

Lo stesso giorno dell'intervento di Togliatti alla Camera, Vidali a Trieste

teneva una conferenza stampa per rivelare il piano segreto degli inglesi che si

nascondeva dietro alla campagna di stampa degli ultimi mesi, stavolta più forte

delle precedenti. Esso voleva l'assegnazione alla Jugoslavia non solo della zona B

ma anche della parte slovena della zona A, mentre il centro di Trieste,

apparentemente consegnato all'Italia, sarebbe rimasto di fatto sotto l'occupazione

militare anglo-americana. In caso di tensione internazionale, poi, alla Jugoslavia,

cui sarebbe spettata la difesa della Carinzia e della zona del TLT, sarebbe andata

anche la città di Trieste, senza contare qui i compensi territoriali promessi dai

britannici in Romania, Bulgaria, Ungheria e Grecia227.

Di fatto era alla penna di Vidali che venivano affidati gli interventi di spicco

225 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 2 agosto 1951. 226 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 3 agosto 1951; oppure vedi: Togliatti accusa la politica di De Gasperi di distruggere il patto di pace e di unità su cui si fonda la Repubblica, L'Unità, 4-8-1951. 227 Importanti rivelazioni di Vidali. Gli anglo-americani si sono accordati con Tito per concedergli Trieste “in caso di tensione”, L'Unità, 4-8-1951.

Page 114: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

111

contro gli jugoslavi nella stampa comunista nella seconda metà del 1951:

l'obiettivo era sempre quello di accentuare la propaganda contro la cricca titina,

mantenendo alta la sorveglianza ideologica e politica, poiché si temeva una

recrudescenza dell'azione degli agenti titini e dei traditori del partito228.

Annunciate le elezioni amministrative nella Zona A per ottobre Vidali

ribadiva la preoccupazione, già espressa da Togliatti nel discorso alla Camera

sopra citato, per l'intenzione degli Occidentali di affidare all'esercito titista la

difesa di una zona comprendente anche Trieste nell'ambito dell'organizzazione del

Piano Béthouart per la difesa della zona alpino-orientale . Come conseguenza di

questa nuova situazione doveva essere rafforzato il movimento della pace a

Trieste con un intervento attivo e direttivo dei comunisti: il Comitato triestino per

la pace chiedeva che Trieste fosse dichiarata “città aperta” assieme a tutto il

Territorio con l'allontanamento di tutte le truppe anglo-americane e titiste229. La

lotta per la pace a Trieste aveva uno dei suoi aspetti principali e specifici nella

lotta per la soluzione del problema stesso del TlT che il Partito comunista esigeva

sulla base dell'applicazione del Trattato di pace con l'Italia. Ogni volta che il

problema veniva dibattuto i governi americano ed inglese cercavano di sfuggire

all'impegno preso con la firma del trattato di pace. Procrastinavano la definizione

del problema e diffondevano attraverso la loro stampa e i loro agenti italiani o

jugoslavi nuove proposte, al fine di mantenere e consolidare questa loro base

strategica e affidarla alla giurisdizione militare di Tito, aggravando l'attuale

condizione di status quo per inserire sempre più stabilmente il TLT nel dispositivo

militare mediterraneo ed atlantico.

La Nota Tripartita già da lungo tempo riconosciuta ufficialmente come un

“buffetto sulla guancia” dell'elettorato italiano nel 1948, era stata superata

dall'appoggio ai cosiddetti “accordi diretti” fra Italia e Jugoslavia, accettati in via

di massima sia da Tito che da De Gasperi, a netto vantaggio del primo. Il PCTLT

aveva denunciato il “baratto infame” fin dal 1949 e sistematicamente denunciato

tutte le manovre che venivano messe in atto in quegli anni per concretizzarlo

invitando la popolazione triestina a richiedere compattamente unita l'applicazione

del trattato di pace. La proposta di una “linea etnica” suggerita da Davies e

sostenuta da Sforza sarebbe finita, come aveva detto qualcuno, per rassomigliare 228 Apc, Fondo M, Mf 266, Verbali della Segreteria, n. 36, 25-7-1951. 229 Unificazione delle zone A e B e allontanamento delle truppe straniere. Presentato il programma elettorale del PC per le prossime elezioni a Trieste, L'Unità, 21-8-1951.

Page 115: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

112

ad un merletto più che ad una frontiera.

Andava portata avanti una raccolta di firme nel TlT per un appello all'Onu

per l'immediata applicazione trattato di pace, unico modo per vedere rispettati

diritti umani e politici nel TlT e per migliorare le condizioni economiche della

popolazione collegando Trieste e il suo porto al suo naturale e storico retroterra

dell'Europa centrale e orientale230.

230 V. Vidali, Elezioni a Trieste, in Per un pace stabile per una democrazia popolare, 19 agosto 1951, in APC, Fondo M, Mf. 99, PCTLT, b. 57/V.

Page 116: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

113

2. 16 Allineamento delle posizioni di PCI e comunisti triestini

Durante il dibattito alla Camera sullo stato di previsione della spesa del

MAE per l'esercizio finanziario 1951-1952, Togliatti sentì la necessità, poiché più

volte chiamato in causa dai democristiani e dalle destre su questo argomento, di

fare una ricostruzione storica del suo viaggio a Belgrado nel novembre 1946 nella

quale chiariva soprattutto quali erano stati i ruoli dei due interpreti dell'incontro:

“ […] Circa la questione di Trieste, però, mi si permetta una parentesi,

poiché si parla continuamente di quella che è stata la nostra posizione, e in

particolare la mia, su questo problema […] Nel novembre 1946, quando mi recai a

Trieste, il trattato non era stato ancora firmato né ratificato. Io però riportai da

quel viaggio due cose: non una, due; e non parlo della questione (pure importante)

del ritorno dei prigionieri, che in quella occasione venne regolata. Circa Trieste, la

prima cosa che io portai era la dichiarazione dell'italianità di Trieste da parte di

Tito. Quella dichiarazione fu fatta soltanto quella volta, quell’unica volta, dal

dirigente del governo e dello Stato jugoslavo. La seconda cosa che portai fu una

proposta di divisione fatta dal maresciallo Tito, che io fui incaricato di trasmettere

e che trasmisi. Ora si dice, mentendo, che io sarei andato a offrire a Tito Gorizia.

Come se avessi potuto offrire qualcosa a qualcuno! Ma poi, se avete un minimo di

comprensione politica, ricordatevi che noi eravamo allora al Governo, e in alcuni

dei posti più importanti del Governo, [...] e che, se avessimo ritenuto che quella

proposta avrebbe dovuto essere accettata, non saremmo rimasti nel Governo;

avremmo per lo meno chiesto che sulla questione si pronunciasse la Camera, cosa

che non facemmo perché dicemmo, chiaramente, nel Consiglio dei ministri, che

consideravamo possibile e necessario iniziare una trattativa in quanto vi era stata

una apertura, ma che accettare quella proposta non si poteva. Quella fu allora la

nostra posizione. La trattativa non continuò e riconosco che, se non continuò, non

f u per colpa di chi allora dirigeva la nostra politica estera, ma per colpa dei

dirigenti della Jugoslavia. Tutto il resto che si dice a questo proposito è falso. [...]

Tutta la questione cambiò dopo che il trattato di pace fu firmato e ratificato dal

Parlamento: perché allora si creò una situazione, in fondo, per chi avesse voluto e

saputo, più favorevole di quella che non esistesse prima. In sostanza, il trattato di

pace, che sanciva la costituzione del Territorio Libero, se fosse stato applicato

Page 117: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

114

letteralmente, dandosi al Territorio Libero un’amministrazione e una direzione

politica completamente autonome, apriva senza dubbio una strada per cui tutto il

Territorio Libero sarebbe potuto tornare a essere parte dell’Italia. Ma voi non

avete allora né voluto né potuto fare quello che si doveva, perché eravate già

troppo legati alla parte americana e inglese, la quale a proposito di Trieste ha un

solo interesse”231.

A questo punto del discorso Togliatti ripeté l'aneddoto del colloquio avuto

con Contarini nel 1944, evidentemente tale episodio era particolarmente caro al

dirigente comunista che nei discorsi alla Camera sulla questione di Trieste che

avessero una certa rilevanza finiva sempre per raccontarlo. Del resto, abbiamo

visto come la maggior parte delle posizioni su Trieste fossero ripetute pressoché

costantemente da parte dei comunisti nei discorsi ufficiali e solo un attento

osservatore può coglierne le diverse sfumature e ciò che di personale, se così si

può dire, l'autore aggiungeva nel suo intervento o articolo.

Pajetta definiva dal canto suo la dichiarazione tripartita come una sorta di

“truffa elettorale”, che invece di portare una soluzione portava elementi di

maggiore attrito nella zona e a fare della città di Trieste, del Territorio Libero di

Trieste, oggetto di disputa internazionale. Il PCI era a favore dell’applicazione del

trattato di pace, affinché i cittadini del Territorio Libero di Trieste fossero in grado

di darsi un’assemblea, delle leggi, di governarsi da soli, senza la presenza di

truppe americane, inglesi e jugoslave. Ma bisognava agire con urgenza, poiché il

tempo lavorava contro, perché in quel momento si compiva, nella città di Trieste,

non soltanto nella zona B, un’opera di corruzione, di snazionalizzazione, un’opera

che era stata denunciata e condannata dallo stesso sindaco democristiano di

Trieste. […] Tale soluzione avrebbe lasciato impregiudicati i diritti e le

rivendicazioni nazionali, impregiudicata la determinazione del destino del

Territorio Libero secondo la volontà che poteva essere espressa dai suoi cittadini.

Per cui, essa offriva possibilità dal punto di vista nazionale, dal punto di vista del

diritto di queste popolazioni, dal punto di vista della pace. […] Il PCI riteneva che

il Territorio Libero di Trieste era stato configurato nel trattato di pace già a danno

della città. Il   Governo italiano, del quale i comunisti facevano parte, chiese,

quando si discusse del trattato di pace, che se il Territorio Libero di Trieste

doveva essere costituito, esso doveva essere più vasto di quello che era 231 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 9-10-1951.

Page 118: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

115

attualmente. La limitazione ad esso che le trattative in corso tra Italia e Jugoslavia

lasciavano supporre sarebbe stato una cosa esiziale non solo per i diritti di quelle

popolazioni, ma per la loro vita economica. La capitolazione secondo la

cosiddetta linea etnica avrebbe significato portare le truppe di Tito ad un

chilometro dal porto di Trieste, avrebbe significato, in una zona mista, in una zona

dove l’intreccio tra sloveni ed italiani era tale, che era difficilissimo distinguere le

zone di prevalenza dell’uno o dell’altro gruppo etnico, rendere impossibile la vita

di Trieste. Quindi il PCI denunciava lo spirito con il quale le trattative venivano

intraprese e il tentativo del governo italiano di tagliare in due la zona A232.

Le posizioni del CC del PCTLT erano in perfetta sintonia stavolta con i

discorsi pronunciati dai dirigenti del PCI: si chiedeva il “massimo impegno” di

tutti contro la revisione dei confini233.

Quel che emerge chiaramente dagli archivi del periodo è lo strettissimo

rapporto esistente tra la direzione romana del PCI e “la sua appendice triestina”,

secondo alcuni studiosi234 “rigidamente subordinata ad essa”, anche e soprattutto

dal punto di vista finanziario. Accanto ai bisogni economici erano le questioni

organizzative del PCI triestino ad essere affrontate da Roma235, a più riprese

sollecitata anche dalle federazioni di confine per un maggiore interessamento

verso i compagni detenuti nelle carceri di Tito”236. La visita di Tombesi a Trieste

aveva come scopo principale proprio l'esame della situazione finanziaria del

PcTlT. Prima della risoluzione del giugno del 1948 riceveva regolarmente

finanziamenti dallo stato jugoslavo, mentre scarsi erano sempre rimasti quelli

invece provenienti dagli iscritti. Prima di ripartire Tombesi ebbe un colloquio con

Vidali e Destradi e fu deciso di ridurre il numero dei funzionari, aumentare i

contributi degli iscritti, ridurre le spese degli spostamenti dei dirigenti (erano

effettuati sempre in macchina per motivi di sicurezza)237.

232 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 10-10-1951. 233 APC, Fondo M, Mf 99, Cc del PcTlT 13-16 ottobre 1951. 234 Cfr.: M. Zuccari, Il dito nella piaga:Togliatti e il PCI nella rottura tra Tito e Stalin. 1944-57, Milano, ed. Mursia, 2008, p. 254. 235 APC, Fondo M, MF 266 Verbale Segreteria n.57 - 21 novembre 1951. 236 APC, Fondo M, MF 266, Verbale Segreteria n.52 – 8 novembre 1951. Il verbale della riunione recita: “Vidali informa sulla posizione politica dei partiti triestini nel momento attuale. Spiegazione sulla politica dei due partiti. La Sezione di Organizzazione è incaricata di una riunione con un gruppo di compagni dirigenti del PCTLT per esaminare la situazione organizzativa di questo partito”. 237 APC, Fondo M, MF 99, PCTLT, Missione di Tombesi a Trieste, 7-14 ottobre 1951.

Page 119: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

116

CAPITOLO III

SULLA VIA DELL'ACCORDO (1952-1954)

SOMMARIO: 3.1 La conferenza di Londra nella stampa comunista; 3.2 Primo Accordo di Londra; 3.3 Le elezioni amministrative del 1952; 3.4 La proposta di Vidali per una soluzione provvisoria della questione del TLT; 3.5 Trieste quale posta in gioco del triangolo o quadrilatero balcanico; 3.6 Vidali confermato alla guida del PCTLT; 3.7 La posizione sovietica su Trieste dopo la scomparsa di Stalin e la campagna elettorale per le elezioni politiche del 1953; 3.8 Il governo Pella e le proposte di plebiscito; 3.9 La nota angloamericana dell’8 ottobre 1953; 3.10 Questione di Trieste e Comunità Europea di Difesa; 3.11 Il programma di Fanfani ed il PCI; 3.12 Il governo Scelba, “il più reazionario”; 3.13 Le ultime richieste di maggiore sostegno di Vidali al PCI; 3.14 Il Memorandum d’intesa.

3.1 La conferenza di Londra nella stampa comunista

L’anno nuovo non sembrò modificare l’atteggiamento della stampa

comunista verso il paese di Tito, alla cui corte imperversavano “intrighi di spie”238

, ma a questo punto, l'accento veniva sempre più posto sulla questione di Trieste

che sembrava essere giunta ad una svolta. Nonostante, infatti, esponenti del PCI

affermassero che tutto ciò che si aveva dal governo era “silenzio, inerzia e

passività”239, le trattative tra Jugoslavia e Italia, con l'intermediazione

principalmente della Gran Bretagna, andavano avanti. Il governo jugoslavo aveva

richiesto un proprio sbocco al mare nella zona del porto di Trieste con un

memorandum il 26 gennaio. Successivamente Tito si era dichiarato favorevole

alla creazione del Territorio libero di Trieste, sottratto al Consiglio di Sicurezza e

con un Governatore alternativamente italiano e jugoslavo e con un vice-

governatore dell'altra Nazione. De Gasperi, dalla conferenza atlantica di Lisbona

cui stava partecipando, aveva risposto che il progetto in questione avrebbe

condotto alla esasperazione dei contrasti interni tra i due gruppi e ad una continua 238Tito sapeva che i nazisti conoscevano il suo cifrario, l’Unità, 17-1-1952. 239 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 31-01-1952: così Ingrao commentava le promesse fatte da De Gasperi alla vigilia della partenza per Ottawa nel precedente settembre quando era stato deciso l'ingresso di Grecia e Turchia nel Patto Atlantico. Allora De Gasperi aveva garantito di far ritorno in Italia con la realizzazione della dichiarazione tripartita in tasca, oltre che con l'ammissione dell'Italia all'Onu e con numerose commesse per l'economia italiana.

Page 120: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

117

lotta imperniata su tali contrasti, cosa che avrebbe avuto come conseguenza di

rendere acuti e permanenti i contrasti tra i due Paesi confinanti240. Il governo

italiano aveva in seguito inviato ai governi di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti

una nota verbale di protesta contro “la profonda alterazione subìta dalla

fisionomia nella zona B nel campo economico, sociale e amministrativo e di

fronte soprattutto al moltiplicarsi delle sopraffazioni poliziesche nei riguardi degli

abitanti della zona che, ai termini del trattato di pace, continuano a mantenere la

cittadinanza italiana”241.

Pochi giorni dopo, durante una manifestazione organizzata in occasione del

quarto anniversario della dichiarazione tripartita, vi furono gravi scontri tra i

manifestanti e la polizia civile, che si ripeterono peraltro nei giorni successivi.

Alla Camera l'opposizione “sdegnata” era rappresentata dal compagno

Nenni che denunciava il fallimento della politica governativa242, mentre Vidali

annunciava la decisione di proclamare uno sciopero generale a Trieste243.

Cominciavano ad apparire anche sulla stampa comunista le prime indiscrezioni

delle trattative in corso a Londra che avrebbero portato alla conclusione

dell'accordo di maggio. Si parlava della zona B definitivamente assegnata alla

Jugoslavia e della zona A sempre sotto controllo anglo-americano con un

“contentino all'Italia di una compartecipazione militare al centro di Trieste”. In tal

modo si spiegava il recente discorso di De Gasperi in Senato in cui aveva

affermato la ricerca della realizzazione della dichiarazione tripartita “nella misura

del possibile” e l'atteggiamento generale della DC che finiva col mostrarsi

rinunciataria di fronte a Tito e alla Gran Bretagna perfino sull'italianità di

Trieste244.

Ciò che si prospettava all'orizzonte era che si sarebbe giunti, di fatto, alla

spartizione del TLT tanto vituperata dal PCI, e per di più essa non sarebbe

avvenuta tra italiani e jugoslavi, ma tra anglo-americani e jugoslavi con solo una

modesta partecipazione del governo italiano nella gestione del territorio. Tutta

l'operazione, poiché orchestrata in vista delle prossime elezioni in Italia, veniva

240 ISPI – Annuario di politica internazionale, Milano,ed. Idos, 1952, p. 60. 241ISPI, op.cit., 1952, p. 62. 242 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 21 marzo 1952. 243 Sciopero generale proclamato a Trieste contro le repressioni degli anglo-americani, l'Unità, 21-03-1952. 244Rinuncia all'italianità di Trieste nelle manovre degli atlantici e della D.C., l'Unità, 27-03-1952.

Page 121: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

118

bollata come un “calcolo elettorale, non solo ignobile ma perfino sbagliato”, in

quanto questa volta, a differenza di quanto accaduto nel 1948, gli italiani

avrebbero saputo riconoscere “il tradimento nazionale al quale si aggiungeva una

confessione di fallimento”245.

Il senatore comunista Orlando interveniva in Senato con una severa critica

alla vigilia della partenza di De Gasperi per Londra ove, diceva, non si sapeva

affatto quale decisioni sarebbero state prese, considerato che “nell'arcobaleno

delle notizie” date, a tratti si prospettava la piena italianità di Trieste e in altri

momenti la semplice presenza di qualche plotone di poliziotti italiani in città, e

tutto ciò mentre Tito tornava all'attacco arrivando perfino a negare in un discorso

l'italianità stessa di Trieste. L'appello ad un'ampia discussione in aula del senatore

Orlando tuttavia sulla questione rimaneva inascoltato e seguiva solo un aspro

intervento del socialista Lussu246.

La notizia dell'imminente inizio di nuovi negoziati a tre tra Stati Uniti,

Regno Unito e Italia a Londra indusse il governo jugoslavo ad aspre dichiarazioni

sulla politica di denazionalizzazione e oppressione nei confronti delle minoranze

slovena e croata condotta in passato dall'Italia nella regione giulia, mentre nella

situazione corrente le potenze occidentali facevano il gioco del neofascismo

italiano o del cominformismo sovietico in una questione che era invece da

risolversi esclusivamente su base bilaterale247.

Le remissive dichiarazioni in Senato di De Gasperi in Senato si

accompagnavano con l'annuncio che le elezioni amministrative si sarebbero tenute

in Zona A il 25 maggio, lo stesso giorno delle amministrative nel resto d'Italia. Il

commento di Vidali alle prime voci di proposte di coalizione di tutti i partiti

italiani ad esclusione di socialisti, comunisti e sloveni era significativo: “si

configura già il tentativo di creare quella formazione truffaldina che vedrà uniti in

una specie di Sodoma e Gomorra politico tutti gli anticomunisti”248.

Nella seduta conclusiva del dibattito in Senato sul bilancio del Ministero

degli Esteri il senatore Negarville ricordava quale era stato il momento in cui il

governo avrebbe potuto e dovuto agire per risolvere la questione di Trieste: si

245 R. Mieli, Un calcolo sbagliato, l'Unità, 28-03-1952. 246 Orlando attacca la politica d.c. Per Trieste. Spano smaschera le manovre federaliste, l'Unità, 2-4-1952. 247 ISPI, op.cit., 1952, p. 64. 248Il ministro Acheson rassicura Tito sugli incontri a tre per Trieste, l'Unità, 3-4-1952.

Page 122: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

119

trattava del periodo successivo alla rottura tra Jugoslavia e Urss nel 1948. Ma

avendo deciso di intraprendere una politica estera non indipendente e legata alle

decisioni degli angloamericani il governo democristiano aveva perso la grande

occasione ed il risultato era quello di trovarsi a trattare nella fase attuale in una

posizione meno vantaggiosa di quella che avrebbe potuto essere quattro anni

prima249.

La campagna sulla stampa comunista contro i negoziati in corso proseguiva

sul settimanale Vie Nuove, in cui veniva dato risalto alle ricostruzioni storiche dei

precedenti tradimenti all’italianità di Trieste250, oppure alle recenti umiliazioni che

la stessa aveva subito251. Ottavio Pastore vi elencava i tre colpi inferti all’italianità

della città nella storia recente: il primo colpo dato dai tedeschi dopo l’8 settembre

1943 per il distacco della Venezia Giulia dall’Italia; il secondo colpo inferto dagli

anglo-americani, consentendo di fatto a Tito di impadronirsi dell’Istria e di

giungere per primo a Trieste nell’aprile 1945. Il terzo era venuto dai

democristiani, cui importava più servire la politica americana che l’unità

italiana252.

A fine aprile Togliatti sceglieva la forma dell'intervista su Paese Sera per

rispondere alle accuse lanciate da De Gasperi contro il PCI a Napoli circa

l’ambiguità sulla questione di Trieste: ricordava come egli stesso, al V Congresso

nazionale del PCI, il 29 dicembre del 1945, aveva apertamente preso posizione

contro quegli operai triestini che chiedevano l'annessione della città alla

Jugoslavia e aveva chiesto loro di svolgere un importante compito di mediazione

tra i due popoli al fine di spegnere “ogni scintilla di lotta nazionalistica tanto

dall'una che dall'altra parte”. Il PCI non aveva nemmeno sostenuto alcuna linea di

frontiera per la Venezia Giulia: fin dall'inizio aveva sostenuto l'italianità di Trieste

e le trattative dirette con la Jugoslavia. Con l'iniziativa dell'autunno del '46 verso

Tito, si era ottenuto la liberazione dei prigionieri di guerra e la dichiarazione

dell'italianità di Trieste da parte del governo jugoslavo (l'unica resa fino a quel

momento). Togliatti aveva ben spiegato allora che le offerte fatte da Tito

dovevano costituire solo un inizio per le trattative, “un assaggio fatto da una delle

parti, e niente di più”. Una diversa politica estera, non comunista, sosteneva 249 Negarville denuncia gli errori del governo che ha compromesso gli interessi di Trieste, l'Unità, 4-4-1952. 250 Dal 1939 Trieste era stata ceduta alla Germania, Vie Nuove, 20-04-1952. 251 Marussich G., La battaglia di Trieste, Vie Nuove, 6-04-1952. 252 Pastore O., Tre colpi contro Trieste, Vie Nuove, 4-5-1952.

Page 123: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

120

Togliatti, ma del tipo di quella promossa da Badoglio a Salerno, avrebbe condotto

ad una diversa soluzione del problema253.

253 De Gasperi porta la responsabilità attuale della situazione di Trieste, l'Unità, 29-4-1952. L'intervista, rilasciata a Paese-Sera, si può consultare anche in APC, Fondo Togliatti, Carte Ferri-Amadesi.

Page 124: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

121

3.2 Primo Accordo di Londra

La conferenza di Londra si concluse con la firma di un accordo relativo alla

partecipazione italiana all'amministrazione della zona A del Territorio libero. Il

comunicato emesso al termine dei lavori chiariva che l'esame completo e

dettagliato della struttura amministrativa della zona A, fatto dai tre rappresentanti,

e le modifiche al suo ordinamento stabilite nell'accordo andavano intesi “senza

pregiudizio della soluzione definitiva del problema dell'avvenire del Territorio

libero nel suo insieme”254. Il testo dell’accordo, chiamato Memorandum d’intesa e

successivamente Primo accordo di Londra255, composto di dieci articoli,

disponeva che un consigliere politico italiano presso il comandante della zona

sarebbe stato nominato dal governo italiano per rappresentarlo in tutte le materie

che interessavano l'Italia nei riguardi della zona. Un direttore superiore

dell'amministrazione sarebbe stato proposto dal governo italiano e nominato dal

comandante di zona al fine di esercitare le funzioni di governo civile. Cittadini

italiani in numero adeguato sarebbero stati nominati dal comandante di zona per le

varie cariche e funzioni nelle direzioni e nei dipartimenti.

Tito definì l'accordo una “grave violazione del trattato di pace con l'Italia” e

“una vergognosa ingiustizia fatta alla Jugoslavia”256. Dalle parole il governo

jugoslavo passò rapidamente ai fatti e le contromisure al Memorandum d'intesa

introdussero nella zona B, con l'apertura delle frontiere tra zona B e Jugoslavia, un

regime politico analogo a quello della Repubblica federale jugoslava. La tesi di

Nozzoli, su l’Unità, era che le misure jugoslave erano già state autorizzate dagli

angloamericani come contropartita dell’accordo di Londra257 ed esse sarebbero

forse state prese con più calma da Tito, dopo le elezioni italiane del 25 maggio, se

De Gasperi non avesse varcato il limite postogli dalle potenze atlantiche

pretendendo, nei suoi discorsi elettorali, di vedere nelle concessioni di Londra un

passo verso l’applicazione della dichiarazione tripartita del 1948. Questo aveva

esposto Tito al rischio di apparire quale perdente della conferenza e lo aveva

254 ISPI, op.cit., 1952, p. 66. 255 De Castro D., Il problema di Trieste : genesi e sviluppi della questione giuliana in relazione agli avvenimenti internazionali, 1943-1952, Bologna, Cappelli, 1952, p.370. 256 Ivi, p. 371. 257 Nozzoli G., Nuovi provvedimenti annessionistici della Jugoslavia nella zona B di Trieste, l’Unità, 16-5-1952.

Page 125: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

122

obbligato a precipitare gli eventi con le misure annessionistiche della zona B258.

L'accordo di Londra provocò anche una nuova presa di posizione sovietica:

con una nota indirizzata ai governi statunitense e britannico il governo di Mosca

collegando, more solito, la questione di Trieste ai rapporti tra Occidente e Oriente,

al tema del trattato di pace con l'Austria e a quello delle basi anglo-americane in

Europa, protestava per la situazione creatasi nella zona A e ribadiva le accuse

contro gli occidentali intenti ad “adattare quel territorio, neutrale in base al trattato

di pace con l'Italia, la sua mano d'opera e le sue risorse materiali, ai piani di guerra

dell'aggressivo blocco atlantico e a trasformare la zona di Trieste in base militare

e navale permanente degli Stati Uniti e della Gran Bretagna”. La nota insisteva sul

ritiro delle truppe straniere dalla zona A e sulla nomina senza indugio del

governatore259. La risposta angloamericana giunse il 19 settembre con una nota in

cui si rispedivano al mittente le accuse e veniva affermato che la responsabilità

principale per la mancata applicazione delle clausole relative al TLT ricadeva

sull'atteggiamento ostruzionista sovietico260.

Renato Mieli su l’Unità condannava il Memorandum, considerato “più che

un fallimento un tradimento”, con cui si avallava la spartizione del TlT e si

abbandonava definitivamente ogni speranza sulla zona B261.

Su l'Unità veniva poi riportata la dichiarazione del Comitato Esecutivo del

PCTLT, riunitosi dopo la pubblicazione del comunicato della conferenza di

Londra, in cui si denunciava il tentativo di far passare le “irrisorie concessioni”

del memorandum come una vittoria, mentre si trattava di un’altra tappa verso la

realizzazione del “baratto infame” che decretava l’annessione della zona B a

Belgrado. Venivano citate infine le parole del socialista Nenni che affermava che

il governo italiano avrebbe fatto meglio a sostenere l’applicazione del Trattato di

pace, come anche lui aveva chiesto. L’accordo di Londra, per riconoscimento

dello stesso De Gasperi, stava nell’ambito del trattato ma si prestava a due

interpretazioni: quella di Palazzo Chigi, secondo cui esso non pregiudicava la

soluzione definitiva, e quella di Belgrado che ravvisava nell’accordo l’implicita

accettazione della spartizione se non da parte italiana almeno da parte dei

258 Calamandrei F., Nuovi provvedimenti annessionistici della Jugoslavia nella zona B di Trieste. I primi commenti inglesi, l’Unità, 16-5-1952. 259 ISPI, Annuario di politica internazionale, op. Cit., 1952, p. 70. 260 ISPI, op.cit., ivi. 261 Mieli R., De Gasperi firma l’accordo fallimentare che avalla la spartizione del T.L.T., l’Unità, 10 maggio 1952.

Page 126: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

123

firmatari della dichiarazione tripartita del 1948262.

Ma spettava al Segretario del partito formulare la posizione ufficiale sul

Memorandum d’intesa e Togliatti lo fece in un lungo articolo destinato al numero

in corso di pubblicazione della rivista Rinascita ma che apparve prima su l’Unità.

Nell'articolo “La questione di Trieste” del 14 maggio, Togliatti prendeva in

esame il memorandum di Londra, che a suo parere partiva dal riconoscimento

preciso e dalla conferma del trattato di pace, ma nel contenuto del trattato

introduceva alcune modificazioni sostanziali. La prima era che veniva consolidata,

attraverso il riconoscimento italiano di fatto, la divisione del Territorio in due

zone, estranee l’una all’altra. In secondo luogo, l’accordo significava che il

governo italiano ammetteva e riconosceva, di fatto, di non avere niente a che fare

con il modo come la zona B era governata. Dopo l’accordo di Londra la zona B

non soltanto era jugoslava: ma il governo italiano aveva compiuto un atto che

significava il riconoscimento di questo stato di cose. In terzo luogo, tanto nella

zona A quanto nella zona B continuava l’occupazione militare straniera, da un lato

degli anglo-americani, dall’altro degli jugoslavi. Sarebbero stati assunti

nell’amministrazione della zona A, in alcuni posti di importanza non decisiva,

funzionari italiani, ma non sarebbe stato fatto nessun passo, né nella zona A, né

nella zona B, che avrebbe consentito alle popolazioni un margine più largo di

autogoverno. L’inizio, nei confronti di tutti, di una trattativa favorevole per le

frontiere sarebbe stato dato con una dimostrazione di politica indipendente nel

Mediterraneo, mentre Bonomi e De Gasperi già poche settimane dopo la

liberazione di Roma si erano presentati come “vassalli” degli anglo-americani.

Così avvenne che essi non riuscirono né a discutere né a trattare di nulla, e resero

l’Italia e sé stessi “zimbello di eventi che non furono assolutamente più in grado

di dominare”. Ogni volta che, in apparenza, essi discutevano di una questione, la

conclusione inevitabile era che dovevano fare un’altra ritirata gratuita, cioè

abbandonare qualche altra cosa in cambio di niente. Questa “totale impotenza

diplomatica”, continuava Togliatti nel suo articolo, derivava da un'errata

impostazione politico-generale, i dirigenti clericali e i loro satelliti cercarono di

mascherarla, nel Paese, con una campagna di calunnie contro la sinistra dello

schieramento democratico. Il tono di questa campagna era nazionalistico, ma si

trattava di un nazionalismo singolare che si sarebbe potuto dire “degli impotenti”.

262 Il Pc di Trieste denuncia le responsabilità di Tito e De Gasperi, l’Unità, 11-05-1952.

Page 127: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

124

D’Annunzio fece molto male all’Italia, con il suo nazionalismo: aveva almeno

messo le mani sopra una città e creata una situazione. I nazionalisti clericali,

invece, erano quelli che non erano riusciti a salvare niente, nemmeno Briga e

Tenda dalle mani dei loro avidi alleati, e persino l’Alto Adige, probabilmente,

avrebbero ceduto, se non vi fosse stato, qui, un divieto sovietico all’espansione

del germanesimo verso il Sud. Riguardo alla Venezia Giulia, la posizione dei

comunisti era che si dovesse sin dall’inizio (cioè dal momento in cui tutto era

ancora in discussione) trattare, ma per potere trattare con serietà bisognava aver

evitato o corretto l’errore indicato sopra. Tutti videro, scriveva Togliatti, che

questa posizione dei comunisti italiani era diversa tanto da quella jugoslava

quanto da quella di tutte le altre potenze, in quel momento, ma non vi fu nessuno,

nel campo reazionario e clericale, che sottolineasse questo fatto o che almeno lo

capisse e ne sapesse ricavare qualche conseguenza. Non era più comodo, si

chiedeva Togliatti retoricamente, bollare i comunisti alla fascista come

antinazionali, e ciò proprio nel momento in cui essi indicavano e aprivano alla

nazione una via favorevole? Redatto il trattato di pace e mentre Tito si trovava

ancora nel campo antimperialista, era chiaro, per chi sapeva ragionare, che

un’altra possibilità si apriva per regolare la questione di Trieste, ed era di far leva

sul desiderio (che allora poteva ancora esistere in Tito) di evitare che Trieste

diventasse una base imperialista anglo-americana. Questo fu il punto di partenza

del viaggio di Togliatti a Belgrado, e se era vero che Tito, per il modo come

presentò la sua offerta, pose un serio ostacolo iniziale, non meno vero era che se

allora non si fosse ad arte scatenata la campagna dei clericali in forme

vergognose, dei passi in avanti sopra una via nuova si sarebbero potuti fare. E del

resto, l’attribuzione alla Jugoslavia della zona B, poi di fatto avvenuta, era una

cosa di maggior peso della condizione che Tito pose allora, assumendosi anch’egli

(e forse con intenzione che gli ulteriori eventi spiegavano meglio) la sua parte di

responsabilità nella rottura di quella iniziativa263.

263 Togliatti P., La questione di Trieste, l’Unità, 14-5-1952 e, in forma completa, Rinascita, aprile 1952. E’ possibile consultare l’articolo anche in APC, Fondo Togliatti, Carte Ferri-Amadesi.

Page 128: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

125

3.3 Le elezioni amministrative del 1952

In vista delle elezioni amministrative, la Segreteria inviò un rappresentante

della sezione Governo degli Enti Locali a Trieste in veste di osservatore sulla

preparazione da parte dei compagni del PCTLT della campagna elettorale e in

veste di esperto in materia di propaganda. Nella relazione inviata alla Segreteria al

termine della “missione” a Trieste, Riccardo Ravagnan sosteneva che la lotta

avveniva esclusivamente su temi politici, in particolare circa la futura

organizzazione del territorio. La sensazione era che gli avversari cercassero di

mantenere la lotta solo sul terreno politico per ingannare più facilmente l'elettore

medio triestino ed evitare dibattiti sull'economia triestina, il “malgoverno

dell'amministrazione comunale”, le questioni sociali e altri problemi per loro

pericolosi. La base del partito era da parte sua “presa dall'orgasmo della lotta”,

orientata verso le grandi manifestazioni dimostrative, in particolare verso i comizi,

e sottovalutava l'importanza del lavoro capillare e della propaganda differenziata.

C'era invece scarsa partecipazione in conferenze riguardanti i problemi

amministrativi e indifferenza verso la crisi economica sociale e morale che

colpiva la popolazione del territorio. Altra cosa che lasciava perplesso Ravagnan

era il fatto che si affrontasse la lotta elettorale a Trieste senza cercare di portare la

lotta sui problemi dei salari e della produzione.

Dalla diminuzione del numero degli iscritti ai sindacati unici, conseguiva

probabilmente anche una perdita di influenza sulle masse operaie, come

testimoniava l’inattività di queste negli scioperi. Anche le altre organizzazioni di

massa, come ad esempio le Consulte popolari, risultavano in numero scarso e non

sufficientemente attive. I semplici temi politici e soprattutto quelli riguardanti il

futuro politico del Territorio libero da soli allo stato attuale non avrebbero fatto

aumentare di molto l'influenza del partito sulla popolazione triestina. Il consiglio

che la segreteria del PCI aveva dato l'anno precedente al PCTLT circa

l'opportunità di dare durante la campagna elettorale ampio dibattito ai problemi

amministrativi, sociali, ed economici, ad opinione di Ravagnan, rimaneva valido

e ciò nonostante i fatti del 20 marzo e le conversazioni in corso a Londra. La

decisione della Direzione PCI di ridurre il numero di oratori da mandare a Trieste

si era rivelata anch’essa opportuna poiché ciò avrebbe permesso di “invogliare i

compagni a dare il dovuto sviluppo al lavoro capillare”.

Page 129: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

126

Dietro invito di Vidali, Ravagnan aveva tenuto una breve conferenza

all'apparato del Comitato Centrale del PCTLT e di alcune organizzazioni di massa

sull'importanza e l'organizzazione del lavoro capillare, su come sviluppare la

propaganda capillare territoriale che faceva perno sulle sezioni delle cellule e i

gruppi, sulla propaganda capillare nel proprio luogo di lavoro (fabbriche, porto,

mercati e simili), e in seno alla propria categoria professionale, commerciale,

artigianale. Aveva anche illustrato l'importanza delle assemblee popolari, di rione,

di strada, di borgata e di categoria ove discutere i problemi delle singole comunità.

Durante la sua permanenza a Trieste aveva raccolto del materiale statistico circa la

crisi economico-sociale della zona e il malgoverno dell'amministrazione comunale

e l'aveva inviato alle commissioni stampa e propaganda e enti locali affinché

elaborassero dei bollettini per gli attivisti di base e per gli oratori rionali264.

Ravagnan allegava alla sua relazione una copia della deliberazione del

Comitato Esecutivo del PCTLT alla Direzione del Blocco Triestino che aveva

proposto “l'apparentamento” di tutte le liste che rivendicavano l'applicazione del

trattato di pace. In essa si dichiarava che il PCTLT rifiutava l’apparentamento

poiché la legge sull'apparentamento era ritenuta antidemocratica e pregiudicava la

minoranza nazionale: essa era stata fatta per consentire di unire alla D.C. fascisti e

monarchici, e ai titini i clericali sloveni e i cosiddetti indipendentisti.

L'apparentamento era possibile “solo se serio e sincero”: solo con applicazione del

trattato di pace come obiettivo.

Ad ogni modo la questione triestina, dopo il primo accordo di Londra, non fu

in primo piano nella campagna elettorale comunista e sporadici furono i comizi,

forse soltanto quelli tenuti da Giancarlo Pajetta “esperto” dei temi internazionali,

incentrati sul tema del “fallimento dei negoziati da parte di De Gasperi” e la sua

“responsabilità nella cessione della zona B”265.

Alle elezioni amministrative del 25 maggio il risultato a Trieste fu

controtendenza rispetto a quello nazionale, infatti il quadripartito ottenne la

264 APC, Fondo M, MF 218, Relazione di Ravagnan (Sezione Governo Enti Locali) alla Segreteria sulla visita al PCTLT dal 15 al 20 aprile 1952. 265 Cfr: Un grande comizio di Pajetta a Trieste, l’Unità, 18-5-1952; Miserando tentativo di De Gasperi di coprire la cessione della zona B, l’Unità, 22-5-1952; Pajetta denuncia le responsabilità di De Gasperi per Trieste, l’Unità, 23-5-1952; G. Marussich, Gli arrangements di Londra hanno amareggiato i triestini, Vie Nuove, 18-5-1952.

Page 130: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

127

maggioranza assoluta, il PCTLT perse nove seggi al Consiglio comunale, i partiti

filoslavi sostanzialmente tennero e le destre ottennero più voti che nel 1949. Nel

resto d'Italia, invece, la DC attestatasi al 41,9% aveva segnato delle perdite sia nei

confronti delle sinistre, che avevano raggiunto il 33,4%, che delle destre e dei

monarchici che avevano toccato il 23,5%.

Sulle pagine de l'Unità dei giorni seguenti, tra l'esultanza per le grandi

affermazioni ottenute dal PCI alle elezioni, specialmente nel centro-sud, e il largo

accoglimento che veniva dato alle accese proteste sovietiche contro la firma degli

“accordi contrattuali” tra Germania federale e potenze occupanti e del trattato

istitutivo della Comunità europea di difesa (CED), non trovava alcuna spazio la

questione di Trieste, ove secondo il risultato delle elezioni amministrative, appena

riportato in un trafiletto, la tesi annessionistica aveva nettamente prevalso.

Neppure al Comitato Centrale del PCI di giugno la questione di Trieste

trovava menzione nell’ambito della lotta per la pace che il partito si poneva come

primo obiettivo da perseguire, contro la politica imperialista americana che si

avvaleva in Europa del “focolaio tedesco” e nei Balcani del regime, seppure

“abbastanza vacillante” 266, di Tito che anzi avrebbe ottenuto un legame indiretto

con la NATO tramite un’ eventuale alleanza con Grecia e Turchia267. L’accordo

tra Italia e Jugoslavia per la spartizione del TLT veniva commentato come ormai

certo, con rassegnazione polemica, quale base di una normalizzazione dei rapporti

tra i due paesi affinché Trieste e il suo territorio divenissero “quell’anello di

congiunzione strategica fra l’Europa occidentale ed i Balcani, indispensabile per

la saldatura dello schieramento antisovietico lungo il Mediterraneo”268.

La stampa comunista seguiva con attenzione durante l’estate le trattative tra

potenze occidentali e Tito e non perdeva occasione per rinfocolare le

polemiche269, sebbene la polemica anti-titina non si avvalesse dei toni truci del

266 APC, Fondo M, Mf 262, Verbali del CC 20-22 giugno 1952; vedi anche: Unità degli italiani per la pace e la libertà contro l’aggravata minaccia dell’imperialismo straniero, l’Unità, 22-6-1952. 267 Sensazionali rivelazioni americane sull'alleanza tra Tito, Grecia e Turchia, l'Unità, 22-6-1952. 268 Settimana di negoziati critici tra Acheson, Eden e Scuman, l'Unità, 24-6-1952. 269 Cfr.: Il governo nella trappola del riarmo e degli impegni militari, l’Unità, 19-8-1952; Tito e gli Occidentali a colloquio per Trieste, l’Unità, 19-8-1952; Tito conferma il blocco con Atene e Ankara e chiede la spartizione del T.L. di Trieste, l’Unità, 21-8-1952; Pressione anglo-franco-americana per la spartizione del TL di Trieste, l’Unità, 22-8-1952; Gravi rivelazioni sull’indegno baratto che verrà proposto da Eden per Trieste, l’Unità, 24-8-1952; Conferma ufficiosa alle trattative per la spartizione del TL di Trieste, l’Unità, 25-8-1952;

Page 131: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

128

passato, a parte qualche caso isolato, come una fotografia del maresciallo, in

prima de l’Unità del 13 settembre, con tanto di didascalia: “Il traditore Tito cane

da guardia dell’imperialismo”. Anzi, a partire da quello stesso mese si registrava,

sul quotidiano, il tentativo di analizzare in maniera più articolata le “trame

dell’avventuriero di Belgrado” nella regione Giulia270.

Nei negoziati in corso a settembre De Gasperi, per contro, veniva raffigurato

dalla stampa comunista come figura debole, pronto a fare concessioni agli alleati

occidentali e quindi indirettamente a Tito, tramite la figura del mediatore Eden, e

contro di lui venivano lanciate le accuse di traditore della nazione271.

Togliatti sull’Unità del 27 settembre ribadiva la posizione dei comunisti su

Trieste chiedendo l’applicazione del trattato di pace, che avrebbe consentito,

secondo il segretario del PCI, alle popolazioni del TLT di autogovernarsi e Trieste

avrebbe cessato di essere una base militare degli imperialisti. I dirigenti jugoslavi

avevano già riconosciuto i diritti italiani, affermava Togliatti, tornando

sull’incontro di Belgrado del 1946, che svelava essere stato la conseguenza di un

suo precedente passo nei confronti degli jugoslavi nell’agosto del ‘46, a Parigi,

dove aveva ottenuto il riconoscimento dei diritti nazionali italiani nella città

contesa, salvo poi il “rialzo del prezzo” da parte di Belgrado, nel novembre di

quell’anno, con la prospettata cessione di Gorizia”272.

Dal 14 ottobre iniziava il dibattito alla Camera dei Deputati

sull’approvazione del bilancio del M.A.E., De Gasperi si disse contrario

all’accantonamento della questione di Trieste. L’Italia proponeva di sottoporre

alla Corte internazionale di giustizia l’esame della validità del trattato di pace

italiano, delle misure prese dal governo militare jugoslavo della zona B fin dal

1945, in maniera particolare di quelle prese successivamente al Memorandum

d’intesa di Londra. Il governo jugoslavo rispondeva rifiutando la proposta italiana

e accusando a sua volta il governo italiano di compiere la graduale annessione

270 Cfr.: Zuccari M., Il dito nella piaga:Togliatti e il PCI nella rottura tra Tito e Stalin. 1944-57, Milano, Mursia, 2008, pp. 246-248. Cfr.: su l’Unità: Il porto di Trieste rivendicato da Tito, 11-9-1952; Tito rivendica il condominio di Trieste e non si contenta più della spartizione del T.L.T., 15-9-1952; Belgrado rivendica la zona A del TLT, 18-9-1952; I titisti reclamano l’annessione della zona B, 1-10-1952. 271 Cfr.:De Gasperi fa nuove concessioni alla vigilia dell’incontro con Eden, l’Unità, 13-9-1952; G. Pajetta, Tradimento, l’Unità, 17-9-1952; Il Parlamento chiamerà De Gasperi a rendere conto della sorte di Trieste, l’Unità, 18-9-1952 272 La posizione dei comunisti su Trieste in una intervista di Palmiro Togliatti, l'Unità, 27-9-1952.

Page 132: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

129

della zona A in violazione delle disposizioni del trattato di pace273.

Togliatti rimproverava al dibattito sulla politica estera in corso in aula

un’eccessiva frammentarietà, ciò aveva caratterizzato anche il dibattito sulla

questione di Trieste che era stata considerata isolandola dal complesso delle

rimanenti. Togliatti, consapevole dei passi avanti, seppur lenti, che Italia e

Jugoslavia facevano verso l’accordo, si diceva ormai pessimista in merito alla

creazione del TLT e vedeva messa in discussione perfino l’assegnazione della

“zona A” a causa dei tanti errori commessi dal governo italiano:

“La questione di Trieste […] si pone oggi in modo incomparabilmente più grave che non si ponesse immediatamente dopo la firma del trattato di pace. Allora si presentava la possibilità della formazione di quel famoso staterello libero soggetto a un regime autonomo sotto controllo internazionale; oggi, quando noi diciamo che questa sarebbe ad ogni modo una soluzione più favorevole del regime attuale, ci si dice che essa non è l’ideale e si sottolineano le difficoltà cui sarebbe legata. Lo sappiamo; ma forse che è un ideale per un italiano il trattato di pace stesso? No, non è un ideale! E’ la dura conseguenza dei terribili errori commessi dalle classi dirigenti italiane sotto il fascismo! La questione, però, è che oggi, di fatto, è difficile persino comprendere come a una soluzione simile si possa arrivare, perché sono stati fatti tali e tanti passi indietro per cui oggi non è più di tutto il cosiddetto Territorio Libero né della zona B che si discute, ma della zona A. La zona B di fatto è annessa alla Jugoslavia. Quando oggi aprite un dibattito, quando si conduce sulla stampa internazionale un dibattito che probabilmente riflette le discussioni che hanno luogo fra i dirigenti della politica estera dei singoli paesi, non si discute più della zona B, ma solo delle concessioni ulteriori relative alla zona A, e a sfavore dell’Italia, che dovrebbero essere fatte per giungere a una soluzione che soddisfi la Jugoslavia e coloro che l’hanno presa sotto il loro patronato”274.

273 ISPI – Annuario, op. cit., 1952, pp. 71-72. 274Atti Parlamentari, seduta del 17 ottobre 1952, dibattito sul bilancio del MAE.

Page 133: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

130

3.4 La proposta di Vidali per una soluzione provvisoria della questione del

TLT

Al Consiglio comunale di Trieste Vidali, introducendo senza dubbio un

elemento di novità nella posizione sostenuta dal PCTLT e, di riflesso anche dal

PCI, propose che si approvasse una mozione unitaria che avrebbe dovuto rilevare

il carattere di provvisorietà dell’amministrazione fiduciaria vigente del TLT e

sottolineare che tale situazione provvisoria, prevista dall’allegato 7 del Trattato di

pace con l’Italia, si protraeva ormai da cinque anni, con gravissime conseguenze

per la popolazione delle due zone. Come L’elemento innovativo era costituito dal

fatto che la mozione unitaria avrebbe dovuto chiedere al Consiglio di Sicurezza

dell’ONU la sostituzione, fino alla soluzione definitiva del problema del TLT, del

regime di duplice amministrazione fiduciaria esistente nelle due zone, con

un’unica amministrazione civile, nominata dal Consiglio di Sicurezza, la quale

avrebbe provveduto alla sostituzione delle truppe anglo-americane e jugoslave,

che occupavano il Territorio Libero, con altre “eventuali forze d’ordine” designate

dallo stesso Consiglio di Sicurezza. La commissione designata dal Consiglio di

Sicurezza avrebbe potuto essere composta di vari membri, ai quali si sarebbe

potuto affidare la direzione dell’apparato governativo. Si trattava di una soluzione

di transizione, la quale avrebbe potuto, intanto, assicurare l’unificazione delle due

zone, “la restaurazione di tutte le libertà democratiche, il rispetto dei diritti

dell’uomo e dei diritti nazionali e l’autonomia comunale”. Secondo Vidali, le

caratteristiche della mozione e il fatto che essa non avrebbe pregiudicato la

soluzione definitiva del problema e la lotta dei partiti per quelle soluzioni che

ritenevano più giuste avrebbero permesso alla mozione di venire sottoscritta da

tutti i raggruppamenti acquisendo un peso tale da non poter essere ignorata in sede

internazionale275.

La proposta fu secondo Vidali “ignorata o respinta”276, ma rappresentò

comunque un elemento di novità, potremmo dire un segnale di “risveglio” dei

comunisti triestini e italiani rispetto all’immobilismo di cinque anni sulla formula

dell’applicazione del trattato di pace, che comunque restava, e non poteva essere

diversamente, l’obiettivo finale del partito sulla questione triestina. Tale proposta

275 M. Kolenc, Vidali propone l’unificazione amministrativa, l’Unità, 31-10-1952. 276 V. Vidali, Ritorno alla città senza pace. Il 1948 a Trieste, Vangelista, 1982, p. 67.

Page 134: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

131

rimase valida per diversi mesi e fu propugnata, come vedremo a breve, con

tenacia, ripetutamente, come accadeva per altre posizioni del partito ripetute in

ogni occasione, fino a che non fossero diventate una sorta di “slogan” o un

patrimonio comune degli iscritti, ed ebbe il pregio, forse proprio perché si

presentava come una soluzione provvisoria, di venire accolta anche da partiti e

movimenti esterni al comunismo (soprattutto socialdemocratici).

Page 135: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

132

3.5 Trieste quale posta in gioco del triangolo o quadrilatero balcanico

Al Comitato Centrale del PCI di novembre la questione di Trieste non fu

toccata, si parlò di “legge truffa”, guerra di Corea e questioni del lavoro277. Gli

organi della stampa comunista continuavano perciò a seguire gli eventi relativi

alla questione triestina con il solito approccio critico, ma come abbiamo visto per

il periodo successivo al primo accordo di Londra, senza eccessivo clamore.

Venivano sottolineati i nuovi timori per le sorti del TL di volta in volta che un

ministro italiano compiva un passo verso la Jugoslavia o De Gasperi “tendeva la

mano” a Tito e solo nei confronti di quest’ultimo, come abbiamo già sottolineato

sopra, in alcune occasioni si accentuavano i toni sensazionalistici, come nel caso

delle voci fatte circolare a fine anno sulle intenzioni del dittatore jugoslavo di

annettere al proprio Paese Albania e Bulgaria278.

Nei primi giorni del 1953 il problema di Trieste era riproposto

all’attenzione internazionale con un sondaggio dell’Associated Press. Questa

informava che Stati Uniti e Gran Bretagna avrebbero esaminato l’opportunità di

inviare “una ferma ma pur tuttavia amichevole richiesta all’Italia e alla Jugoslavia

per la rapida soluzione delle loro divergenze sulla futura sorte di Trieste sulla base

dei confini tracciati nel trattato di pace italiano e cioè: Zona A e porto di Trieste

all’Italia, Zona B alla Jugoslavia; ritiro dalla zona A delle truppe di occupazione

anglo-statunitensi”279. La notizia fu smentita il giorno seguente da Foreign Office

e Dipartimento di Stato, ma le voci di una mediazione anglo-americana

ritornarono nel corso dell’anno più volte.

Sia l’Unità280 che il settimanale Vie Nuove sottolineavano come le smentite

da Londra e Washington non fossero arrivate quella volta in maniera perentoria e

tutto fosse da ricollegare ai negoziati in corso circa il “quadrilatero balcanico”.

Trieste costituiva la posta in gioco281 per l’adesione jugoslava al blocco balcanico

che si andava costituendo tra Ankara, Belgrado e Atene e, al quale si sarebbe

277 APC, Fondo M, Mf 189, Verbali del CC dell’11-12 novembre 1952. 278 Cfr.: Il viaggio di Pacciardi suscita nuovi timori per il TL di Trieste, l'Unità, 2-11-1952; De Gasperi a Redipuglia ha teso la mano a Tito, l'Unità, 5-11-1952; Tito auspica l’annessione della Bulgaria e dell’Albania, l'Unità, 12-11-1952. 279Cfr. ISPI – Annuario di politica internazionale, Milano, Ed. Idos, 1953, p. 59. Cfr. La spartizione del TLT riproposta dagli occidentali, l’Unità, 5-1-1953. 280 Conferme inglese alle rivelazioni sulla spartizione del Territorio Libero, l’Unità, 6-1-1953. 281 La posta è puntata su Trieste, Vie Nuove, 16-1-1953.

Page 136: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

133

potuta aggiungere l’Italia, che si perfezionò nel trattato di amicizia e

collaborazione reciproca tra i tre paesi del 28 febbraio 1953282. Sulle stesse pagine

di Vie Nuove venivano riassunte le prospettive della nuova proposta di soluzione

provvisoria della questione di Trieste del PCTLT per la sostituzione delle

amministrazioni anglo-americana e jugoslava con un’amministrazione unica, a

carattere civile, diretta dal Consiglio di Sicurezza. Essa avrebbe significato

unificazione delle due zone e sgombero delle truppe d’occupazione, ripristino di

tutte le libertà democratiche e del rispetto dei diritti umani, condizioni migliori per

tutti i partiti per lottare in favore della soluzione finale ritenuta più giusta283.

La rivelazione del piano Bradley284 dava un grosso contributo alla polemica

comunista contro le manovre diplomatiche che mettevano in relazione la

soluzione della questione di Trieste con la formazione di un blocco balcanico

legato all’Occidente. Tale piano prevedeva un riarmo accelerato della Jugoslavia

che avrebbe portato sui confini italiani un esercito di un milione e duecentomila

uomini, confermando le voci dei mesi precedenti che volevano affidata a Tito

dagli americani la difesa dei confini orientali d’Italia285.

L’immutata posizione del governo italiano sul problema triestino era

confermata dal presidente del Consiglio De Gasperi in una relazione alla

Commissione degli Esteri al Senato, in cui aveva accennato anche all’opinione

espressa dal nuovo Segretario di stato americano che faceva presente la necessità

di tenere conto anche della situazione degli jugoslavi286. L’Italia rimaneva

comunque ferma nelle sue posizioni: la Dichiarazione tripartita del 1948287.

282 Di Nolfo E., Storia delle relazioni internazionali, op.cit , p. 819. 283 Le tre prospettive della nostra proposta, Vie Nuove, 16-1-1953. 284 Piano Bradley per i Balcani ai danni dell'Italia e del TLT, l'Unità, 30-12-1952. 285 Cfr. Gli americani affidano a Tito la “difesa” dei confini italiani, l'Unità, 1-11-1952. 286 L’on. De Gasperi non ha riserve, l’Unità, 6-2-1953. 287 ISPI – Annuario, cit., 1953, p.59.

Page 137: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

134

3.6 Vidali confermato alla guida del PCTLT

Il quarto congresso del P.C. di Trieste si aprì con la relazione del segretario

Vidali che ripropose la soluzione provvisoria, già esposta nell’ottobre precedente,

di un’amministrazione civile unica delle due zone diretta dal Consiglio di

Sicurezza, allo scopo di bloccare la spartizione “ormai in atto”288.

Roasio, alla guida della rappresentanza del PCI al congresso, rilevava come,

essendo Trieste considerata la “cerniera” che doveva saldare lo schieramento del

Patto Atlantico con quello del blocco balcanico appena firmato ad Ankara, i

comunisti triestini erano chiamati a svolgere un ruolo molto importante nella lotta

per la pace289. La soluzione provvisoria proposta da Vidali per l’amministrazione

civile unica delle due zone venne inserita anche nella mozione conclusiva del

congresso290, a testimonianza del fatto che l’adesione all’applicazione delle

disposizioni del trattato di pace non bastava più di fronte all’avanzare dell’accordo

per la spartizione ed urgeva trovare una proposta alternativa concreta.

E’ da notare come tale proposta fu adottata in seguito anche dal Partito

Socialista della Venezia Giulia (PSVG) e dalla Commissione d’inchiesta istituita

dall’Internazionale Socialista, cosa di cui Vidali si compiaceva sebbene ciò

avvenisse, secondo lui, in una forma in cui tendeva a limitare la partecipazione

della cittadinanza e dei partiti, nel momento in cui vi era invece il bisogno di unire

tutti i cittadini sotto un minimo comune denominatore che era la richiesta di

unione delle due zone e di sgombero delle truppe d’occupazione291.

Dal congresso il PCTLT usciva più coeso che mai sotto la guida di Vittorio

Vidali, confermato segretario292, dotato secondo il Consigliere politico italiano a

Trieste Diego De Castro di “eccezionali qualità organizzative” ed esperienza tali

che lo rendevano “pericoloso” per l’amministrazione democristiana ed abile a

288 Il congresso dei comunisti triestini aperto da una relazione di Vidali, l’Unità, 28-2-1953. 289 Si è chiuso il congresso dei comunisti triestini, l’Unità, 2-3-1953. 290 Cfr. D.D.I., Serie Affari Politici, b. 650, Tls. 792/254, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 09/03/1953: congresso del PCTLT. 291 Vd. L’Unità ed. milanese, 18-3-1953; vedi anche: D.D.I., Serie Affari Politici b. 650, Tls 1057/336, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 25/03/1953: proposta di Vidali e mozione del PSVG sulla questione di Trieste; D.D.I., Serie Affari Politici, b. 650, Tls. 2622, Ufficio Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 18/7/1953: proposta dell’Intersoc per il TLT. 292 Vidali confermato segretario del P.c. triestino, l’Unità, 15-3-1953. Lo stesso Comitato Esecutivo confermava Maria Bernetic (Marina) nella carica di vice-segretaria del partito.

Page 138: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

135

fronteggiare tentativi di scissione del partito, quali quelli ipotizzati nel mese di

marzo e di cui De Castro riferiva a Roma293. La guida del partito da parte del

“giaguaro del Messico” era quindi salda ed egli non intendeva lasciare Trieste per

tornare in Messico o in altri Paesi dell’America Latina, come pure cercavano di

accertare alcuni diplomatici e funzionari italiani e stranieri294 (in questa fase come

in altre fino al 1954).

Nel mese di aprile Vidali veniva messo nuovamente alla prova da Il

Giornale di Trieste che, partendo dalla considerazione che la politica estera russa,

con la scomparsa di Stalin, era in fase di evoluzione ed andava trasferendosi su

nuove basi, poneva all’attenzione del segretario del PCTLT il revirement

conseguente che si andava manifestando a Belgrado. Di fronte, dunque, allo

scenario di un riavvicinamento tra Mosca e Belgrado, il quotidiano, vicino agli

ambienti moderati della DC, poneva a Vidali la domanda su come avrebbe agito,

considerando anche che Malenkov avrebbe potuto dare credito alle richieste titine

su Trieste per riprendere rapporti amichevoli. Il giornale invitava Vidali ad

abbandonare il suo “isolamento burocratico” con un programma che non fosse la

solita ripetizione delle formule coniate in passato da Mosca e precisare quale

“azione illuminatoria” si proponesse di svolgere per evitare che Tito e Kardelj

giungessero a Mosca prima di lui295. Vidali nella sua risposta affermava di non

credere che ci fossero mutamenti in corso nella politica estera sovietica essendo

essa ispirata dal 1917 ad una politica di pace. Per quanto riguardava il

riavvicinamento tra Mosca e Belgrado non lo considerava possibile trattandosi da

una parte di un partito politico e dall’altra “di una banda di spie senza principi”. In

merito alla questione di Trieste Vidali chiariva che ciò che bisognava evitare era

trasferire il problema su “nuove basi”, ovvero sulla situazione di fatto della

spartizione, e ripeteva la necessità per i cittadini di ottenere quanto meno

un’amministrazione unica civile provvisoria296. Sappiamo come Vidali sarebbe

293 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 650, Tls. 1180, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 03/04/1953: tentativi di scissione nel PCTLT. 294 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 650, Tls. 5550, DGAP VI a amb. Messico, 24/4/1953: attività comunista in America Latina – Vidali. Vedi anche: V. Vidali, Ritorno alla città senza pace. Il 1948 a Trieste, Vangelista, 1982, passim. 295 Discorso a Vidali, Il giornale di Trieste, 12-4-1953. 296Cfr.: L’Unità ed. milanese, 15-4-1953. Per quanto riguarda la polemica tra Il giornale di Trieste e Vidali è possibile consultare anche i seguenti documenti inviati dal Consigliere Politico De Castro a Roma: D.D.I., Serie Affari Politici b. 650, Tls 1216/428, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 13/04/1953: Giornale di Trieste su Vidali; D.D.I., Serie Affari Politici b. 650, Tls 5373, DGAP IV a

Page 139: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

136

stato clamorosamente smentito circa il riavvicinamento tra Urss e Jugoslavia due

anni più tardi, ma nel 1953 i tempi erano davvero prematuri per ammettere una

tale possibilità e ancora poco si poteva immaginare circa il nuovo corso della

politica estera sovietica “post Stalin”.

amb. Londra, Mosca, Parigi, Washington, del 21/04/1953: “Discorso a Vidali” del Giornale di Trieste, risposta de l’Unità; D.D.I., Serie Affari Politici b. 650, Tls. 1316/428, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 16/04/1953: risposta di Vidali al Giornale di Trieste; D.D.I., Serie Affari Politici, b. 650, Tls. 5913, DGAP IV a amb. Londra, Mosca, Parigi, Washington, del 2/5/1953: “Discorso a Vidali” del Giornale di Trieste.

Page 140: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

137

3.7 La posizione sovietica su Trieste dopo la scomparsa di Stalin e la

campagna elettorale per le elezioni politiche del 1953

L’agenzia ufficiale jugoslava Tanjug accusava il governo italiano di fare

proposte “assolutamente inaccettabili”, mentre essa si faceva portavoce del

desiderio jugoslavo di migliorare i rapporti tra i due Paesi tramite colloqui diretti e

scambi di idee su tutti i problemi, affinché venisse rafforzata la sicurezza nei

Balcani, anche se i toni dei discorsi di Tito spesso non sembravano ispirati da una

volontà della ricerca di un accordo, ma anzi di riaccendere la polemica e gli

animi297.

Nonostante le polemiche, il miglioramento dei rapporti fra Italia e

Jugoslavia era considerato sempre un obiettivo di grande importanza per la

politica europea, come riconosciuto anche nel comunicato ufficiale diramato il

venti marzo, in occasione dell’anniversario della dichiarazione tripartita, al

termine della visita a Londra di Tito. Lo stesso giorno, il segretario degli Esteri

jugoslavo Popovic dichiarava che una soluzione poteva essere raggiunta attraverso

“colloqui diretti tra i due governi interessati” e “con la comprensione e la buona

volontà” del governo italiano298. Popovic non escludeva pregiudizialmente

l’esame delle due soluzioni prospettate negli ultimi tempi dall’Italia: la soluzione

etnica e quella del plebiscito. Nessun cenno invece veniva più fatto alla soluzione

fino a quel momento prospettata da Belgrado, cioè il condominio italo-jugoslavo

nel TL. Secondo l’Unità, inoltre, i governi di Londra e Belgrado avevano prestato

attenzione a non diramare, in occasione della visita di Tito in Gran Bretagna,

comunicati relativi ad accordi economici299 o ad un vero e proprio trattato di

amicizia tra i due Paesi, per non mettere in una situazione sfavorevole De Gasperi

a ridosso delle elezioni, benché si ritenesse che accordi di tipo militare fossero già

stati stretti300.

Per quanto riguardava la soluzione di uno scambio di popolazioni,

prospettata dal quotidiano inglese Times e ritenuta “equa se volontaria” dal

297 Cfr. interviste di Tito al Daily Mail e al Daily Express entrambe del 4-3-1953. 298 ISPI – Annuario, cit., 1953, pp. 60-61. 299Cfr. Calamandrei F., Carte coperte per Trieste “fino alle elezioni italiane”, l’Unità, 15-3-1953. 300 Accordo raggiunto tra Churchill e Tito per potenziare la marina da guerra jugoslava, l’Unità, 19-3-1953.

Page 141: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

138

Foreign Office, essa venne respinta nettamente ed immediatamente sia dal

governo italiano che da quello jugoslavo301.

In un discorso a Milano il 26 aprile De Gasperi ricordava agli alleati come

costituisse “un loro impegno d’onore” che non poteva essere negato la

dichiarazione tripartita e, polemizzando con Nenni, il quale aveva giustificato

l’opposizione di Molotov alla tesi italiana sulla base delle promesse fatte dall’Urss

a Tito durante la guerra, chiedeva che cosa avrebbe impedito all’Urss allora di

rendere anche giuridicamente perfetta la formula proposta dagli alleati nel 1948

aderendovi in un momento in cui conti di guerra si potevano considerare “chiusi

in un ambiente di distensione”302. Si noti che l’Unità ignorava completamente

questo passaggio del discorso di De Gasperi e cioè la questione della pozione

sovietica a Trieste alla luce dei possibili cambiamenti nello scenario

internazionale dopo la morte di Stalin303. In seguito, con l’accendersi della

campagna elettorale per le elezioni politiche del 7 giugno, le pesanti accuse di De

Gasperi all’Urss suscitavano una risposta decisa de l’Unità. Il Presidente del

Consiglio aveva “rivelato” che la Russia era stata la più dura tra i vincitori verso

l’Italia ed aveva incluso tra i torti fatti dalla Russia all’Italia in sede di negoziati al

tavolo di pace il fatto che, avendo l’Urss promesso a Tito la Venezia Giulia, gli

aveva dato tutta l’Istria e gli avrebbe dato anche Trieste se all’ultimo momento gli

altri alleati non fossero riusciti a ricorrere all’espediente del TLT che aveva avuto

il merito di salvare Trieste. Nell’articolo veniva contestato a De Gasperi di non

“rivelare” il motivo del suo rifiuto alle proposte sovietiche per la costituzione del

TLT con conseguente sgombero delle truppe anglo-americane e jugoslave, mentre

appoggiava i piani anglo-americani e titini di spartizione del TLT che erano

“purtroppo del 1953!”304.

L’offensiva sulla questione triestina sulla stampa comunista era affidata

ancora una volta alle parole di Vidali il quale affermava in un’intervista che la

vittoria della Democrazia Cristiana alle elezioni politiche di giugno avrebbe

significato certamente il baratto per Trieste: Tito si sarebbe impadronito non solo

301 Cfr. Times, 7-4-1953. 302 ISPI – Annuario, cit., 1953, p. 63. 303 Cfr. Nuove minacce di De Gasperi alla Costituzione e risposte insultanti alle proposte sovietiche, l’Unità, 27-4-1953. 304 De Gasperi si scaglia contro l’Urss per respingere le prospettive di distensione, l’Unità, 4-5-1953.

Page 142: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

139

della zona B, ma anche di parte della zona A e a Trieste sarebbero rimaste le

truppe angloamericane. Obiettivo del PCTLT era evitare che Trieste fosse trattata

ancora come “amabile vittima della guerra fredda”. Le dichiarazioni vidaliane

costituirono quasi un motivo-guida per i dirigenti del PCI che su ogni piazza

d’Italia combattevano a suon di comizi l’avvicinarsi della temuta riforma

elettorale, Togliatti in testa. Il segretario del PCI non perdeva l’occasione di

denunciare da ogni pulpito le connivenze fra il regime di De Gasperi e quello di

Tito, rivendicando per sé ed il suo partito i meriti d’una coerente difesa degli

interessi della nazione305. Qualche giorno dopo il maresciallo si dichiarava

disposto a cedere Trieste, ma in cambio di due sobborghi orientali, Servola e

Zaule, abitati prevalentemente da slavi. Grande fu l’indignazione dell’organo del

PCI nel dare notizia che in tal modo non solo la zona industriale del porto, ma

anche lo stadio e il cimitero del capoluogo giuliano sarebbero finiti in mani slave.

Il più indignato di tutti era Vidali: “Condominio su Trieste? Sarebbe il caos –

affermava intervenendo sull’Unità a metà di giugno – i triestini avrebbero il

potere nelle mani così come […] i popoli della Jugoslavia con Tito e come lo

avrebbero avuto gli italiani se i clericali avessero vinto con la legge truffa”306.

Il sette giugno, giorno delle elezioni politiche in Italia, il sottosegretario agli

Esteri jugoslavo Bebler aveva proposto, in effetti, di prendere in considerazione i

princìpi etnici ma su base di parità: alla Jugoslavia doveva andare una ricompensa

territoriale delle assegnazioni di territori non italiani per garantire i corridoi tra

Trieste ed altri centri, che sarebbe stata costituita di territori dove vivevano gli

italiani (ovvero dei sobborghi di Servola e Zaule come aveva successivamente

chiarito Tito). La proposta fu dichiarata immediatamente inaccettabile da Palazzo

Chigi.

305 Cfr. Rivelazioni di Togliatti sul Vaticano e la pace, l’Unità, 18-5-1953; P. Ingrao, Una politica per Trieste!, l’Unità, 20-5-1953; Tito attacca aspramente l’Urss vantando i suoi meriti atlantici, l’Unità, 22-5-1953. 306 Vidali V., Condominio per Trieste?, l’Unità, 16-6-1953.

Page 143: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

140

3.8 Il governo Pella e le proposte di plebiscito

L’annuncio sovietico di ripresa dei rapporti diplomatici con la Jugoslavia

nell’agosto del 1953 inizialmente passò ignorato dal PCI307. Allo stesso modo,

quasi un anno più tardi, nel giugno del 1954, la segreteria del PCI decideva di

tenere segrete, d’accordo col PCUS, le dichiarazioni fatte da Krusciov alla

riunione del segretariato del Kominform, in cui aveva parlato della necessità di

instaurare nuovi rapporti con la Jugoslavia e del fatto che la rottura del 1948 era

stata colpa anche di Stalin308.

Bisogna dire che l’intransigenza della nuova leadership governativa

democristiana sul problema triestino, dopo l’uscita di scena di De Gasperi, trovava

nel PCI un accorato sostenitore, benché su posizioni ovviamente assai critiche del

cosiddetto governo “d’affari e di transizione” retto da Giuseppe Pella. Alla

proposta di Bebler di giugno era seguito ad ogni modo un silenzio di quasi due

mesi, ma ad agosto la tensione salì rapidamente dopo i discorsi del nuovo

Presidente del Consiglio309 e le note dell’agenzia Jugopress che aveva definito

“non costruttiva” la presa di posizione di Roma, al punto che l’agenzia United

Press trasmetteva la notizia secondo cui la Jugoslavia avrebbe avuto l’intenzione

di annettere la zona B preparandosi “alle più grandi manovre post-belliche” nelle

immediate vicinanze di Trieste310. Il governo Pella reagì immediatamente facendo

affermare dal portavoce di Palazzo Chigi che, qualora la Jugoslavia avesse

concepito effettivamente “un simile gesto inconsulto ed irresponsabile”, la

reazione italiana sarebbe stata senza dubbio quale “la coscienza del popolo

esigeva”, e disponendo misure di precauzione militari. Truppe italiane furono

mosse verso il confine jugoslavo, secondo anzi le note di protesta del governo

jugoslavo almeno in un’occasione esse varcarono il confine nei pressi di Gorizia.

Pella ottenne in questo modo di incontrare a Roma gli ambasciatori delle tre

potenze occidentali e rassicurandoli da una parte di evitare incidenti di frontiera

dall’altra parte chiese che l’Italia fosse messa nella zona A nelle stesse condizioni

307 Zuccari M., Il dito nella piaga, op. cit., p. 276. 308 Cfr.: Seniga G., Togliatti e Stalin: contributo alla biografia del segretario del PCI, Milano, Sugar, 1961, pp. 48-50. 309 Atti Parlamentari, Senato della Repubblica, sedute del 22 e del 24 agosto 1953. 310 ISPI – Annuario, op. cit., 1953, pp. 66-67; vedi anche: La Jugoslavia si prepara ad annettersi la zona B, l’Unità, 29-8-1953.

Page 144: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

141

della Jugoslavia in zona B311.

Sulla stampa comunista i primi allarmanti commenti della crisi politica, che

sembrava poter sfociare sul piano militare, indicavano che se si voleva salvare

Trieste e il TLT bisognava cambiare la vecchia politica, poiché il nazionalismo

fascista e il servilismo atlantico erano gli alleati di Tito312 e avevano fallito per

ammissione della stessa stampa filogovernativa313, mentre i comunisti triestini

rivolgevano un appello alla cittadinanza triestina per chiedere all’ONU con

urgenza di attuare la soluzione provvisoria dell’amministrazione unica delle due

zone314.

Alberto Jacoviello su l’Unità tirava le somme della politica estera

degasperiana che dall’accettazione della dichiarazione tripartita in avanti si era

macchiata della colpa di tradimento della nazione, essendo stata tale dichiarazione

fintamente utilizzata come cardine della politica su Trieste e avendo dato modo in

realtà di dare atto ad una serie di rinunce315, in maniera tale che lo sconsiderato

successore Pella aveva messo in pericolo la città (e la nazione) con il suo “non si

passa” che aveva causato la “ritirata strategica”, in realtà solo temporanea, di Tito.

Jacoviello reclamava la separazione delle responsabilità del governo da quelle di

chi aveva armato il “Si Man Rye dei Balcani” che minacciava l’annessione

formale della zona B, pur condannando atti di forza che rischiavano di fare del

Territorio libero “terra di pascolo per gli eserciti titini e angloamericani” 316.

La proposta di soluzione provvisoria di amministrazione civile unica veniva

presentata come propria dei comunisti triestini e tuttavia pienamente condivisa dal

PCI; essa, si ricordava su l’Unità, era stata giudicata la via preferibile al momento

anche dalla Commissione istituita dall’Internazionale socialdemocratica317.

Per tutto il mese di settembre sulla prima pagina de l’Unità si gridava alla

spartizione del TLT, accusando Foster Dulles di rinnegare la dichiarazione

tripartita, Tito di voler annettere tutto il TLT, Pella di proporre il plebiscito per

311 Cfr.: De Castro D., Il problema di Trieste : genesi e sviluppi della questione giuliana in relazione agli avvenimenti internazionali, 1943-1952,op.c it., pp. 399-400. 312 Se si vuole salvare Trieste e il TLT bisogna cambiare la vecchia politica, 313 La stampa riconosce il fallimento della politica governativa per Trieste, l’Unità, 31-8-1953. 314 Presa di posizione dei comunisti triestini, l’Unità, 30-8-1953. 315 Jacovello A. La prova del tradimento, l’Unità, 4-9-1953. 316 Jacovello A., Trieste e la pace, l’Unità, 2-9-1953. 317 Cfr.: Le proposte dei comunisti triestini per garantire l’integrità del TLT, l’Unità, 3-9-1953; Perchè non rispondono alle proposte di Vidali, l’Unità, 4-9-1953.

Page 145: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

142

nascondere i propositi di spartizione318. Assai minore lo spazio riservato sulle

pagine del quotidiano agli interventi dal tono in qualche modo propositivo,

probabilmente proprio perché essi costituivano delle eccezioni, come le parole di

Longo, che paragonava la situazione attuale a quella dell’8 settembre 1943 per i

pericoli che riapparivano dopo anni di politica di “tensione e divisione” da parte

di De Gasperi, quelle di Vidali e quelle di Togliatti alla festa nazionale de l’Unità

a Milano319. In particolare Longo, nel suo discorso in occasione del decimo

anniversario dell’armistizio dell’otto settembre 1943, accusava i successori di De

Gasperi “di non sapere risalire dal pozzo dell’antisovietismo dove questi si era

gettato a capofitto, nel tentativo di afferrare la luna fattagli intravedere dagli

americani” e, invitato il governo a riprendere il contatto con “le sane correnti

popolari e patriottiche della nazione” lanciava una costruttiva proposta per salvare

Trieste e la pace:

“Bisogna richiamare tutti gli Stati firmatari del trattato di pace al rispetto dei patti.

Questo può mettere tutti i contraenti del trattato di pace con le spalle al muro, può isolare

l’avida cricca jugoslava e permettere all’Italia e ai triestini di salvaguardare le proprie

ragioni nazionali ed i propri interessi. Pretendere una revisione unilaterale del trattato di

pace significa legittimare l’analoga pretesa da parte di Tito. Si ritorni invece al già

acquisito, al già firmato. Si dia il bando alle rodomontate militari di questi giorni che si sa

come cominciano ma non si sa come finiscono, incapaci persino a parare colpi di mano

titini contro gli occupanti anglo-americani di Trieste perché è inconcepibile che gli

jugoslavi si scaglino contro i loro protettori. D’altra parte, se Tito si avventasse su Trieste

con la complicità degli anglo-americani, nulla potrebbe opporre il governo italiano perché

troppo stretta è la sua dipendenza politica e militare dagli imperialisti”320.

318 Cfr.: Un accordo militare concluso tra gli anglo-americani e Tito, l’Unità, 1-9-1953; La spartizione del Territorio Libero già accettata dal governo italiano?, l’Unità, 3-9-1953; Foster Dulles annuncia che l’America rinnega la dichiarazione tripartita su Trieste, l’Unità, 4-9-1953 (e sullo stesso tema cfr.: Carte in tavola, Vie Nuove, 13-9-1953); Il governo reagisce all’annuncio di Dulles mostrandosi disposto alla spartizione del TLT, l’Unità, 5-9-1953; Tito chiede l’annessione di tutto il Territorio di Trieste, l’Unità, 7-9-1953; Il governo incapace di indicare una soluzione del problema triestino, l’Unità, 10-9-1953; Pella avrebbe già proposto la spartizione del TLT, l’Unità, 11-9-1953; Pella propone un plebiscito nel TLT senza lo sgombero delle truppe straniere!, l’Unità, 14-9-1953; La proposta di plebiscito per Trieste nasconde il proposito di una spartizione, l’Unità, 15-9-1953. 319 Costruttive proposte di Longo per salvare Trieste e la pace, l’Unità, 7-9-1953; La risposta di Vidali alle minacce jugoslave, l’Unità, 8-9-1953; Solo con una politica di pace e di rispetto dei trattati si possono difendere gli interessi italiani nel TL di Trieste, l’Unità, 15-9-1953; Un’amministrazione civile chiesta per tutto il TLT. Proposta del Partito comunista triestino, l’Unità, 22-9-1953. 320 Costruttive proposte di Longo per salvare Trieste e la pace, l’Unità, 7-9-1953.

Page 146: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

143

Nella riunione di Segreteria del diciotto settembre primo punto all’ordine

del giorno era la questione di Trieste: veniva letta dapprima la relazione di Vidali

che spiegava che nel Comitato Centrale del PCTLT non erano ancora state

discusse le ultime dichiarazioni di Pella in attesa di una presa di posizione del

PCI. Le posizioni erano più chiare dopo che Jugoslavia e Italia avevano chiarito le

loro richieste. In sostanza Tito avanzava le stesse pretese dell'Italia: voleva tutto il

TLT. La sua azione era stata ben preparata presso gli americani, mentre si teneva

la zona B riteneva che il tempo lavorasse in suo favore riguardo alla zona A.

Lo spostamento delle truppe italiane aveva creato del panico, stornando

l'attenzione degli operai dalle lotte economiche, al quale si aggiungeva perplessità

dopo le proposte di Pella che si riteneva preparassero la divisone del TLT. USA e

Regno Unito adottavano una tattica dilatoria verso il plebiscito, mentre la

popolazione triestina pensava che esso fosse possibile e realizzabile, a differenza

dell'applicazione del trattato di pace che avrebbe tirato troppo in lungo le cose,

quasi all'infinito. Il plebiscito, secondo le stime di Vidali, sarebbe stato favorevole

per l'Italia al 90% e per il TLT nella misura del 51%. Per i comunisti triestini

sarebbe stato difficile dichiararsi contro il plebiscito: qualora fosse stato

organizzato, il PCTLT vi avrebbe partecipato. Vidali definiva la situazione attuale

“insostenibile”, “viviamo come in stato di emergenza”, commentava. Anche per

tale ragione sottolineava la necessità di avere una posizione in comune con il PCI:

“Chiediamo intanto un'amministrazione civile, i socialdemocratici sono d'accordo, i democristiani sono divisi. In città vi è un'accentuazione del nazionalismo, si ha paura di colpi di mano e di decisioni improvvise. Abbiamo respinto le proposte di Tito e conduciamo una campagna per chiedere l'amministrazione civile e l'allontanamento delle truppe straniere. La popolazione è contro il condominio che significherebbe un governatore jugoslavo con diritti di cassare le decisioni degli organi civili. Gli indipendentisti sono per il TLT e legati a Tito”321.

Alla relazione di Vidali seguì un acceso ed interessante dibattito in cui

l’intervento di Emilio Sereni spicca per un’affermazione piuttosto forte che dà

l’idea di come le stessero cambiando dopo anni di impegno politico, dibattiti,

iniziative e negoziati sulla questione di Trieste. Sereni, dopo aver proposto che il

problema fosse legato all’Onu per il rispetto del trattato di pace e dell’ammissione

dell’Italia alle Nazioni Unite, disse: “La maggior parte dei nostri compagni e degli

italiani è abbastanza indifferente su Trieste”.

321 APC, Fondo M, Mf 131, Verbale di segreteria del 18-9-1953.

Page 147: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

144

Togliatti sosteneva che era da ritenere esagerata la tendenza a considerare

tutto quanto avveniva come un gioco: vi era un contrasto reale, si trattava di una

questione nazionale e anche di espansione, di sviluppo economico e di

affermazione militare. Come nella Saar vi era un contrasto reale. La proposta di

Pella per un plebiscito nel TLT si differenziava dalle precedenti. Dal punto di

vista propagandistico era giusta e difficile da respingere. Come politica reale era

sbagliata perché scopriva tutta l'azione dell'Italia. L'obiettivo della politica italiana

avrebbe dovuto essere l'unità di tutto il territorio sotto un'amministrazione civile

unica. Ponendo la questione del plebiscito invece Pella non tendeva ad unificare il

territorio. Bisognava tener presente che la proposta di divisione poteva in quel

momento venir attuata solo facendo delle concessioni a Tito nella città. A questo

tendevano gli americani. In questo caso invece della proposta di Pella sarebbe

stata accettata quella di Tito. Poteva darsi che Pella avesse voluto fare una

dichiarazione di principio e poi aspettare. Ciò contrastava però con la proposta di

una conferenza che risolvesse rapidamente la questione. Non era certo che i

risultati del plebiscito sarebbero stati quelli che prevedeva Vidali. Nelle

condizioni attuali nella zona B, secondo Togliatti, il 95% avrebbe votato per la

Jugoslavia. Inoltre, nella zona A il fattore nazionale sarebbe stato determinante

per gli slavi. Se non ci fossero state le truppe titine nella zona B le cose sarebbero

andate diversamente, ma ciò solo dopo parecchi mesi della loro partenza. Togliatti

perciò si chiedeva e chiedeva ai presenti:

“Non possiamo opporci al plebiscito, atto democratico. Ma è attuabile? Non si apre in questo modo il problema della divisione? Se si fa il plebiscito con le truppe straniere sul posto le cose possono complicarsi e portare a una spartizione. Tito ha manovrato bene. Prima ha lasciato incerti se era o non era con l'Occidente. Ora gioca tra Usa e Regno Unito cercando di avere dei vantaggi dagli uni e dagli altri. Dobbiamo chiedere per prima cosa un'amministrazione civile dell'intero territorio”322.

Enrico Berlinguer, a capo della Federazione Giovani Comunisti Italiani

(FGCI), assicurava che nelle manifestazioni studentesche la parola d'ordine

sarebbe stata “plebiscito”. “Noi dovremo chiedere il ritiro delle truppe straniere

dal TLT”, dichiarava il giovane Berlinguer.

Il vicesegretario Luigi Longo proponeva che si chiarisse il significato del

plebiscito, poiché esso poteva voler dire politica di attesa o divisione del territorio

322 APC, Fondo M, Mf 131, Verbale di segreteria del 18-9-1953.

Page 148: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

145

gettandone la responsabilità sugli elettori per come avrebbero votato. Si sarebbe

potuto andare al plebiscito solo qualora fossero state create una serie di condizioni

preliminari. Velio Spano raccomandava di precisare la posizione in merito al

plebiscito, considerato che l’Unità aveva dato l’impressione che il PCI fosse

contro di esso. Antonio Roasio riteneva necessaria la partecipazione a

manifestazioni studentesche per evitare l’isolamento. Pietro Secchia riprendendo

le parole di Togliatti, chiariva che secondo lui non opporsi al plebiscito non

significava che il PCI fosse ad esso favorevole: ciò andava spiegato con cura.

Vidali si trovò d’accordo con la linea di Togliatti ed il chiarimento di Secchia.

Togliatti aggiunse che bisognava insistere sull’unificazione del TLT e la necessità

di un’amministrazione civile. La decisione finale fu quella di pubblicare su

l’Unità un editoriale che avrebbe chiarito la posizione del partito sul plebiscito323.

L’editoriale uscì su l’Unità e poi sulla rivista Rinascita, come consuetudine.

In realtà va ricordato come la proposta di plebiscito per risolvere la questione

triestina fosse stata ventilata più volte nel corso degli anni dal 1947, cioè dalla

firma del trattato di pace italiano. Essa era stata riportata all’attualità dal nuovo

Presidente del Consiglio Pella con un discorso in Campidoglio il 13 settembre e

veniva definita da Togliatti nell’articolo su Rinascita “senza dubbio di contenuto

democratico”, ma che avrebbe portato nelle attuali condizioni di occupazione

militare anglo-americana e jugoslava ad esiti non favorevoli all’Italia. Avrebbe

poi forse potuto costituire un pericoloso precedente per l’Alto Adige, ove la

vittoria italiana sarebbe stata ancora meno scontata. Allora era da capire, secondo

Togliatti, quali erano le reali intenzioni che soggiacevano a questa proposta di

Pella. Il PCI sosteneva la necessità di stabilire un punto fermo che non consentisse

un ulteriore peggioramento a danno dell’Italia: sia la richiesta per l’applicazione

del trattato di pace, che la più limitata rivendicazione di un’amministrazione civile

unica per tutto il TLT creavano le condizioni per un eventuale plebiscito e non lo

escludevano. La proposta così come era stata fatta, invece, avrebbe condotto ad un

altro arretramento italiano o a un nulla di fatto324.

Nonostante la convergenza con altre forze e partiti contro la spartizione del

TLT, restava la necessità di mantenere una propria posizione distinta, ciò valeva

anche nelle manifestazioni giovanili ove la FGCI avrebbe dovuto partecipare con 323 APC, Fondo M, Mf 131, Verbale di segreteria del 18-9-1953. 324 La proposta del plebiscito per Trieste, Rinascita, n. 8 (agosto), 1953; vedi anche: La proposta di plebiscito per Trieste. Una nota di “Rinascita”, l’Unità, 27-9-1953.

Page 149: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

146

le proprie “parole d’ordine”, senza “accordarsi per poi scomparire” o andare “solo

per fare a pugni”, ma avrebbe dovuto anche prendere posizioni proprie sulla

questione di Trieste aprendo dibattiti e conducendo agitazioni su proprie

iniziative325.

Nel mese di ottobre il dibattito alla Camera dei Deputati sul bilancio del

MAE offrì, come ogni anno, un’ottima occasione per affrontare in aula i maggiori

temi della politica estera italiana. Nenni si dichiarò d’accordo con la proposta di

plebiscito di Pella, ma solo se essa fosse stata integrata con il ricorso al Consiglio

di Sicurezza e con la richiesta che esso creasse nelle due zone le condizioni per

una libera consultazione del popolo. Tutto ciò comportava una seria preparazione

diplomatica non solo a Washington e Londra ma anche a Mosca, concludeva il

leader socialista326. L’intervento di Togliatti al dibattito ammoniva che

l’atlantismo non era una politica nazionale, ma una politica di divisione,

nell’ambito di tale politica vi era stato l’inganno della dichiarazione tripartita che

era un messaggio alla Jugoslavia affinché accelerasse i tempi della sua rottura con

l’Urss, già in corso e nota alle potenze occidentali. Sullo strumento del plebiscito,

Togliatti dava la sua approvazione in via teorica circa la sua democraticità, ma

ripeteva le perplessità espresse su l’Unità pochi giorni prima circa l’opportunità di

attuarlo in quel momento nelle condizioni note, tanto più che una delle due parti si

era già dichiarata contraria ad esso327. Il problema di fondo, affermava Togliatti,

era la necessità di dare una svolta alla politica estera italiana, poiché la politica

atlantica andava contro la distensione e non aiutava a risolvere questioni

internazionali gravi come quella di Trieste ed anzi conduceva ad una divisione

ancora maggiore dell’Europa fondata sulla CED328.

Nel frattempo il Presidente del Consiglio aveva dichiarato che certamente il

parlamento italiano non avrebbe ratificato il trattato della Comunità europea di

difesa, se l’Italia non avesse potuto annettere la zona A329, tentando così di

influenzare Foster Dulles su uno dei suoi principali progetti in cui peraltro era già

alle prese con le difficoltà nel persuadere la Francia a ratificare il trattato330.

325APC, Fondo M, Mf 165,Verbale riunione di segreteria del 22-9-1953. 326 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati dell’1-10-1953. 327 Cfr.:Tito respinge la proposta del plebiscito per il TLT, l’Unità, 29-9-1953. 328 Atti parlamentari, seduta (pom.) della Camera dei Deputati del 2-10-1953. 329 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 2-10-1953. 330 Cfr.: D. De Castro, Il problema di Trieste : genesi e sviluppi della questione giuliana in relazione agli avvenimenti internazionali, 1943-1952,op.cit., p.403; E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali. 1918-1999,op.cit., pp. 793-794.

Page 150: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

147

Al termine del dibattito, il 6 ottobre, la Camera approvò all’unanimità la

mozione del liberale Cortese sulla proposta di plebiscito, anche se in verità non vi

era in essa nessun riferimento diretto al plebiscito. In tale mozione la Camera

invitava il governo a “persistere tenacemente nell’azione diretta a realizzare le

condizioni necessarie per garantire in modo effettivo i diritti dell’Italia sull’intero

Territorio libero e ad assicurare il ritorno alla madrepatria di quelle terre e di

quelle popolazioni”331.

331 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 6-10-1953. Socialisti e comunisti si astennero sui primi tre capoversi della mozione in cui si faceva riferimento alla Carta atlantica e alla Dichiarazione tripartita del 1948.

Page 151: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

148

3.9 La nota angloamericana dell’8 ottobre 1953

Due giorni dopo arrivò la dichiarazione anglo-statunitense che annunciava

la decisione di porre termine al governo militare alleato e tenuto conto del

“preminente carattere italiano della Zona A”332 di trasferire l’amministrazione

della zona al governo italiano. Pella comunicava il giorno seguente la decisione ai

due rami del Parlamento dichiarando che il governo italiano accettava.

Seguì un dibattito parlamentare con interventi dei leaders di tutti i partiti.

Nenni sosteneva che la dichiarazione angloamericana conduceva alla pratica

spartizione del Territorio libero, con l’abbandono, da parte italiana, delle

precedenti proposte di plebiscito nelle due zone e delle rivendicazioni sulla zona

B333. Togliatti riconosceva la nuova situazione favorevole con la fine

dell’occupazione militare alleata e il ritorno dell’amministrazione civile italiana.

Ma, metteva in guardia Togliatti, bisognava fare attenzione che la situazione di

fatto appena creata non divenisse anche situazione di diritto, ovvero che non si

addivenisse alla spartizione definitiva del TL. Altro problema sarebbe stato quello

della condizione economica e morale della città: isolata e con un retroterra

ristretto, sentendo il problema della zona B e del suo destino. La questione doveva

essere inserita in un quadro più ampio di trattative per una distensione

internazionale334.

Molto meno misurati apparivano i toni su l’Unità, di quelli usati alla

Camera: il TLT era stato “smembrato” e lo stesso Togliatti parlava apertamente di

“servitù atlantica” che aveva condotto ad una situazione senza vie di uscita335. Il

PCTLT chiedeva che prima che si applicasse una decisione che ledeva

“l’inscindibilità” del proprio territorio, fossero interrogate le popolazioni, fosse

chiesto loro se erano disposte ad essere oggetto di un simile

“mercanteggiamento”. Il PCTLT “esigeva” un referendum organizzato dalle

Nazioni Unite nelle due zone affinché si desse la possibilità alle popolazioni di

decidere la propria sorte336.

332 ISPI – Annuario, op.cit., 1953, p. 76. 333 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 9-10-1953. 334 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 9-10-1953. Cfr: anche: Togliatti denuncia i gravi pericoli della spartizione pur giudicando positiva la fine dell’occupazione anglo-americana, l’Unità, 10-10-1953. 335Il T.L. di Trieste smembrato, l’Unità, 9-10-1953; Una dichiarazione di Palmiro Togliatti, l’Unità, 9-10-1953. 336 I comunisti triestini chiedono un referendum sulla sorte del TLT, l’Unità, 9-10-1953.

Page 152: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

149

I verbali delle riunioni Segreteria del PCI documentano uno scambio fitto di

incontri: ben tre riunioni in una settimana, sebbene si abbia l’impressione che il

dibattito non fosse così animato e i dirigenti comunisti fossero preparati agli

eventi. Nelle riunioni si decise di rivolgere un’interrogazione alla Camera a

Pella337 e sottolineare con molta enfasi nel dibattito al Senato il pericolo di

tensione internazionale provocato dagli ultimi sviluppi della questione triestina338.

Nella terza riunione Pajetta riferiva sulla situazione di Trieste che era di generale

malcontento contro la proposta angloamericana, mentre aperte erano le

discussioni nel partito del TLT: le proposte erano per il referendum e nessuna

spartizione339. Base della politica del PCTLT restava ad ogni modo il trattato di

pace. Si stabilivano infine le grandi linee dell'intervento di Sereni al Senato in cui

indicò come pericolo maggiore “la psicosi sciovinista e bellicista” che alcuni si

sforzavano di attizzare contro le provocazioni di Tito, che avrebbe condotto, senza

un intervento correttivo, alla conseguenza inevitabile dello scatenamento di due

opposti nazionalismi. Sereni proponeva un’iniziativa italiana all’ONU, che si

legasse all’azione in corso al Consiglio di Sicurezza, al fine di salvare Trieste

attraverso la “via dell’unità del Territorio Libero e dell’integrità dei diritti italiani

e della convivenza pacifica fra italiani e sloveni nei territori in questione”340. La

proposta di Sereni si riallacciava alla risposta sovietica alla dichiarazione anglo-

americana che si era esplicitata in una nota del dodici ottobre in cui venivano

ribadite le accuse mosse nelle note precedenti alle potenze occidentali di

ostacolare l’applicazione del trattato di pace circa l’attuazione delle disposizioni

relative al TLT341. Il giorno successivo il delegato sovietico all’ONU Vyshinsky

chiedeva al presidente del Consiglio di Sicurezza che il Consiglio fosse convocato

per discutere sulla questione di Trieste. Vyshinsky presentava contestualmente un

progetto di risoluzione che trovava l’origine e la giustificazione dell’azione

sovietica nella mancata applicazione del Trattato di pace italiano del 1947 e nella

recente spartizione di fatto del TLT che stava “aumentando l’attrito tra i paesi

confinanti con il TLT” e avrebbe costituito un “pericolo per la pace in Europa”; si

337 APC, Fondo M, Mf 165, Verbale Riunione di Segreteria del 9-10-1953. 338 APC, Fondo M, Mf 165, Verbale Riunione di Segreteria del 10-10-1953. 339 APC, Fondo M, Mf 165, Verbale Riunione di Segreteria del 14-10-1953. 340Sereni chiede un’iniziativa italiana all’ONU che eviti la spartizione e i pericoli d’un conflitto, l’Unità, 16-10-1953. 341 L’Urss denuncia le responsabilità occidentali per lo smembramento del territorio di Trieste, l’Unità, 13-10-1953; vedi anche: ISPI – Annuario, op.cit., 1953, pp. 80-81.

Page 153: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

150

indicavano inoltre le misure da mettere in atto, compresa la nomina di un

governatore di nazionalità svizzera342.

Affioravano segnali di sfiducia e rassegnazione rispetto agli esiti

dell’iniziativa sovietica in seno al Consiglio di Sicurezza in una lettera che i

comunisti triestini indirizzarono a tutti i partiti triestini, in cui si premetteva che il

PCLT continuava a credere che la costituzione del TLT era la soluzione che

avrebbe permesso l’unificazione delle due zone, l’evacuazione delle truppe

straniere, la neutralizzazione e demilitarizzazione del territorio, l’autogoverno

delle popolazioni, e per tale motivo ci si era rivolti al Consiglio di Sicurezza e alla

riunione dei tre ministri (Foster Dulles, Eden e Bidault) in corso a Londra.

Tuttavia, si era consapevoli che in quest’ultima sede sarebbero state prese,

arbitrariamente, le decisioni sulla sorte del Territorio, per tale motivo si chiedeva

agli altri partiti triestini un intervento collettivo presso il Consiglio di Sicurezza e

alla riunione dei tre Ministri degli esteri affinché si tenesse un plebiscito nelle due

zone prima che qualsiasi decisione venisse presa343. Vidali, dopo aver elencato gli

ultimi fatti che testimoniavano il baratto in corso tra Pella e Tito, assicurava ai

lettori de l’Unità che tutti i partiti triestini avevano risposto positivamente

all’appello per il plebiscito, tranne la Democrazia Cristiana, ma con modalità

diverse: ma tali risposte condizionate non avrebbero scoraggiato il PCTLT,

commentava Vidali, e si sarebbe andati avanti per un’azione comune in tal

senso344.

Per quanto riguardava la stampa periodica comunista, il settimanale diretto

dal vicesegretario Longo Vie Nuove metteva l’accento sul senso di precarietà e

vero e proprio timore che aveva investito i triestini dopo la dichiarazione

angloamericana, riprendendo così uno dei punti-chiave del discorso di Togliatti

alla Camera del nove ottobre, ma veniva dato spazio anche all’ottimismo

incrollabile del compagno Vidali345. Sulla rivista Rinascita si faceva una summa

di quella che doveva essere la strategia in Europa di Dulles, in cui Trieste non

contava affatto, poiché erano Italia o Jugoslavia a dover entrare in alleanze

342 L’Urss contro la spartizione del TL di Trieste e per lo sgombero di tutte le truppe straniere, l’Unità, 14-10-1953; Viscinski rivendica all’ONU l’integrità del Territorio Libero, l’Unità, 16-10-1953. 343 Passo all’ONU per il plebiscito proposto dai comunisti del TLT, l’Unità, 17-10-1953. 344 Vidali V., Il plebiscito contro il baratto, l’Unità, 21-10-1953. 345 L’Istria piange Trieste non ride, Vie Nuove, 17-10-1953; Trieste che accadrà?, Vie Nuove, 24-10-1953.

Page 154: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

151

militari legate al “fronte dell’aggressione atlantica”. Gli angloamericani si erano

comportati con Italia e Jugoslavia come le potenze coloniali con due tribù

indigene tenute assoggettate spartendo la posta tra esse346.

346 Trieste atlantica, Rinascita, n. 10 (ottobre), 1953.

Page 155: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

152

3.10 Questione di Trieste e Comunità Europea di Difesa

La Segreteria del PCI tornava ad occuparsi a novembre della situazione

politica e parlamentare dopo il voto dei bilanci da parte delle Camere. Togliatti

affermava che sarebbe stato errato dire che il governo Pella era uguale ai

precedenti, anche se evidenti cambiamenti di sostanza non c’erano. In politica

estera esso aveva sollevato la questione di Trieste, forse per ottenere un successo

che facesse dimenticare il sette giugno. Non era prevedibile una rapida soluzione

della questione di Trieste; in quel momento era difficile anche una spartizione

senza che l'Italia facesse concessioni nella zona A. In politica estera bisognava

impostare una grande campagna contro la ratifica della CED e contro l'esercito

tedesco, dandole un profondo carattere popolare: a ciò occorreva legare la

questione del Tirolo e di Trieste. Per Trieste Togliatti indicava di continuare a

sostenere l'applicazione del trattato di pace che, malgrado fosse peggiore della

dichiarazione tripartita, aveva concreti motivi che lo giustificavano. Tra due stati

in lotta con le loro rivendicazioni il TLT poteva essere una soluzione pacifica

favorevole alla popolazione. Si sarebbe trattato di una soluzione

internazionalistica contro i piani anglo-americani di servirsi dell'Italia e della

Jugoslavia come di loro pedine347. Il vicesegretario Secchia sosteneva che la

stanchezza che si notava nel partito derivava dall’incertezza politica sulla

posizione del PCI verso il governo Pella. Per Trieste suggeriva di introdurre un

elemento internazionalista che avrebbe fatto meglio comprendere la posizione del

partito per l'applicazione del trattato di pace, e avrebbe impedito le manifestazioni

di tipo nazionalistico compiute da compagni che occupavano posti importanti.

“Non è possibile che noi non ci differenziamo dai nazionalisti sulla questione di

Trieste”, chiudeva severo Secchia348. Secondo Celeste Negarville in politica estera

al momento attuale “il problema più grosso” era quello della CED, per Trieste era

giusta la posizione nuova proposta da Togliatti, ma fino alla ratifica della CED era

opportuno far dipendere questa dalla soluzione della questione di Trieste349.

Togliatti chiudeva la riunione ribadendo la necessità di avere una parola d'ordine

347 APC, Fondo M, Mf 165, Verbale riunione di Segreteria del 5-11-1953, intervento di Togliatti. 348 APC, Fondo M, Mf 165, Verbale riunione di Segreteria del 5-11-1953, intervento di Secchia. 349 APC, Fondo M, Mf 165, Verbale riunione di Segreteria del 5-11-1953, intervento di Negarville.

Page 156: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

153

generale, che poteva essere quella di “un governo di pace”. Registrava l'accordo

dei presenti sull'importanza del problema della CED da porre indipendentemente

dalla questione di Trieste. Tuttavia, sottolineava Togliatti, se la questione di

Trieste avesse provocato un malcontento generale ciò avrebbe aiutato il PCI a non

lasciar ratificare la CED350.

Rispetto agli incidenti verificatisi ad inizio novembre in occasione della

celebrazione dell’anniversario dello sbarco delle truppe italiane a Trieste, che

provocarono la morte di sei manifestanti e numerosi feriti, il PCTLT reagiva in

Consiglio comunale presentando due mozioni che chiedevano una commissione

d’inchiesta da parte dell’ONU e l’attuazione del referendum nelle due zone351 e

tenendo la prima assemblea congiunta con la Federazione triestina del PSI352 con

il quale, ricordiamo, vigeva un patto d’unità d’azione. In Parlamento, i deputati

Giancarlo Pajetta e Boldrini proponevano un’interpellanza al Presidente del

Consiglio e Ministro degli Esteri Pella in cui si chiedeva se il governo italiano

intendeva fare proprio il voto espresso dal Consiglio comunale di Trieste, quale

organo maggiormente rappresentativo della volontà dei triestini al momento, e se

intendeva quindi chiedere una commissione d’inchiesta internazionale per

accertare la responsabilità per uso ingiustificato di armi e tutte le illegalità ed

abusi perpetrati, affinché potessero essere puniti i colpevoli e accertate “le cause

prossime e remote dello stato attuale di disagio delle popolazioni triestina e

istriana”, e chiedere altresì una libera consultazione delle popolazioni di entrambe

le zone circa la soluzione del problema territoriale353. Giancarlo Pajetta in un

successivo intervento in aula invitava Pella ad attuare il voto del Consiglio

comunale di Trieste, espressione di un caso particolare in cui democristiani e

comunisti avevano votato insieme, perché tutti a Trieste erano stanchi del baratto,

della spartizione, e dopo l’otto ottobre si era recato personalmente a Trieste e

aveva constatato che vi era tra i cittadini “perplessità e dolore”, e non giubilo, ciò

a causa della preoccupazione per la sorte degli italiani residenti nella zona B354.

350 APC, Fondo M, Mf 165, Verbale riunione di Segreteria del 5-11-1953. 351 I comunisti del TLT propongono una inchiesta dell’ONU su Trieste, l’Unità, 12-11-1953. 352 Socialisti e comunisti triestini si impegnano a lottare contro il baratto, l’Unità, 5-11-1953. 353 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 16-11-153; cfr.: I comunisti chiedono che il governo faccia proprio il voto dei triestini, l’Unità, 17-11-1953. 354 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 18-10-1953; cfr.: Pajetta invita ad attuare il voto di Trieste, l’Unità, 19-11-1953.

Page 157: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

154

Tra novembre e dicembre Luigi Longo, in qualità di protagonista della

resistenza italiana, conduceva una campagna sulla posizione dei comunisti italiani

nei confronti delle rivendicazioni jugoslave su Trieste nel periodo 1943-47 fatta di

rivelazioni basate su documenti dell’epoca, che culminava in una conferenza

stampa in cui veniva documentata la continuità della politica nazionale del PCI

per Trieste e l’opposizione alle pretese di Tito. Alle domande dei presenti sulla

situazione attuale della questione triestina Longo rispondeva che l’applicazione

del trattato di pace sarebbe stata possibile sole ove l’Italia avesse abbandonato il

“criterio di discriminazione” introdotto nella propria politica estera, procedendo

verso una politica orientata alla distensione internazionale. Restava una seconda

soluzione che era quella proposta dal PCTLT con sgombero delle truppe straniere

e referendum355.

Nel rapporto di Togliatti al Comitato Centrale del sei dicembre veniva

sottolineato come negli ultimi tempi la questione di Trieste fosse stata al centro di

tutto. Non era facile dire perché questa questione era stata sollevata dai governanti

italiani e da quelli jugoslavi proprio in questo momento e nel modo che si

conosceva, spiegava Togliatti. Soprattutto era difficile dirlo, purtroppo, per quello

che riguardava i governanti italiani. Non si sfuggiva, a prima vista, all'impressione

che qui vi era stata impreparazione, improvvisazione e leggerezza, perché in

sostanza i risultati erano stati contrari a tutto quello che ci si aspettava e che era

stato annunciato al Paese. Forse era più giusto ritenere che l'iniziativa dei

governanti italiani era stato soltanto indiretta, e che vi era stato invece un esplicito

proposito, in particolare americano, di sollevare la questione giuliana, per riuscire,

attraverso una qualsiasi soluzione di essa, favorevole o sfavorevole ai [nostri]

interessi e alla [nostra] dignità nazionale, a ottenere determinati risultati nel

rafforzamento di quello che essi chiamavano lo schieramento atlantico e cioè nel

sottoporre tanto il popolo italiano quanto quello jugoslavo agli interessi di un

imperialismo aggressivo e alla preparazione della guerra. Per quello che

riguardava i governanti italiani era venuta alla luce una fondamentale loro

incapacità. Si erano dimostrati incapaci sia di essere fermi nella difesa di una

355 Cfr.: E’ la resistenza a consentirci la difesa dell’italianità di Trieste!, l’Unità, 23-11-1953; Luigi Longo documenta la continuità della politica nazionale del PCI per Trieste, l’Unità, 3-12-1953; M. Cesarini Sforza, Ecco le prove che la resistenza salvò Trieste, Vie Nuove, 6-12-1953; L. Longo, I comunisti hanno sempre difeso l’italianità di Trieste, Rinascita, n. 12 (dicembre), 1953.

Page 158: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

155

posizione di principio che era stata loro segnata dal Parlamento, sia di trovare un

compromesso accettabile e utile, che permettesse alle due parti di sostare. La

realtà era che il solo compromesso possibile e utile, per l'Italia, era quello che il

PCI aveva presentato e che lasciava intatto il TLT applicando puntualmente il

trattato di pace. Continuava Togliatti su l’Italia all’interno dell’alleanza atlantica: “Essa non è in grado di far valere le aspirazioni che corrispondono alla

coscienza diffusa fra i cittadini, ma si trova alla mercè di iniziative, di movimenti, di intrighi di cui è soltanto più uno strumento, avendo perduto la propria autonomia e la propria dignità. La soluzione da noi proposta può diventare elemento di una azione generale di politica estera, che risollevi il prestigio dell'Italia. L'Italia infatti se vuole oggi farsi valere deve rivendicare una distensione dei rapporti internazionali ed una politica di pace realizzata attraverso il rispetto di tutti i trattati internazionali. Nello sviluppo di una azione simile, qualunque possano essere i risultati finali circa la questione del TLT, l'Italia può trovare consensi, contatti, e soprattutto possibilità nuove di far sentire la propria voce nel mondo, scopo che non può essere invece raggiunto tramite la politica atlantica di asservimento all'imperialismo capitalista o tramite la politica europeista”356.

Lo stesso giorno Italia e Jugoslavia raggiunsero un accordo per il ritiro

simultaneo delle truppe concentrate lungo la frontiera, dando un concreto segnale

di distensione e facendo dichiarazioni d’intenti sulla ripresa dei negoziati per la

soluzione definitiva della questione territoriale.

A Trieste Vidali, che negli ultimi mesi abbiamo visto godere di una libertà

d’azione maggiore rispetto al passato, probabilmente in ragione di una situazione

che andava determinandosi nettamente e per cui non “c’era più tempo” per

rispettare le direttive provenienti da Roma, ove tra l’altro le direttive spesso

sembravano scarseggiare proprio per mancanza di capacità innovativa

specialmente dal maggio del 1952 in poi, svolgeva un’interessante iniziativa

“politico-diplomatica” incontrando il Consigliere politico italiano Diego De

Castro insieme al segretario della federazione triestina del PSI Salvo Teiner.

Vidali poneva una serie di questioni al professor De Castro, alcune

secondarie per così dire, come quella di alcuni comunisti che erano tra i profughi

della zona B non aiutati dal CLN dell’Istria, altre legate agli ultimi avvenimenti,

gli incidenti di novembre, in cui secondo Vidali vi era la responsabilità anche del

sindaco democristiano Bartoli oltre che del Comando militare alleato, ed altre

concernenti la soluzione della questione triestina in generale. Riguardo a queste

ultime il leader cominformista proponeva l’unione di tutti i partiti triestini contro 356 APC, Fondo M, MF 132, Verbale Comitato Centrale del 6-12-1953.

Page 159: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

156

Tito e che gli italiani, come popolazione, continuassero a sostenere il plebiscito.

De Castro rispondeva al primo punto lusingando Vidali che, essendo il suo partito

il meglio organizzato, ciò sarebbe significato per gli altri partiti dovere accordarsi

con il partito comunista ed egli poteva ammettere tale soluzione solo in un caso

“estremissimo” (conflitto bellico). Riguardo al plebiscito De Castro sosteneva

essere anche la tesi del governo e la stampa aveva sbagliato a discostarsene troppo

presto. In materia di politica internazionale, Vidali affermava che Tito non

desiderava entrare nel Patto atlantico né che l’Italia entrasse nel Patto balcanico,

ma ambiva ad essere la terza forza nei Balcani. Egli non aveva intenzione di

risolvere il problema di Trieste per ragioni di politica interna e internazionale.

De Castro chiudeva il suo resoconto al MAE357 sull’incontro constatando

come le idee di Vidali non fossero “peregrine”, notando anzi con interesse il fatto

egli avesse “le stesse impressioni che abbiamo tutti noi”358.

Nello stesso periodo notiamo da parte della Direzione Generale Affari

Politici del Ministero Affari Esteri uno spiccato interesse a rilevare

nell’atteggiamento dell’Unione Sovietica un eventuale cambiamento di posizione,

un “ammorbidimento” in seno al Consiglio di Sicurezza che facesse in qualche

modo intuire un’opposizione solo formale dei sovietici alla partecipazione italiana

di una “conferenza a cinque” che si andava progettando da mesi per risolvere

definitivamente la questione triestina. Venivano presi in considerazione, in tale

contesto, anche gli articoli dei principali organi della stampa sovietica quali

Pravda, Istvestia, Novoie Vremia, ed altri e i relativi intervalli di tempo con cui gli

articoli venivano pubblicati359.

357 D.D.I., Serie Affari Politici, Busta 632, Tls 4202/1396 Ufficio Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff zone di confine, 1/12/1953: colloquio con Vidali e Teiner. 358 Riguardo a tale identità di vedute può essere utile consultare l’articolo Trieste paravento della politica jugoslava, in Esteri, del 15-1-1954. 359 D.D.I., Serie Affari Politici, Busta 632, Tlg 15162 amb Mosca a Mae 7/12/1953: articolo Pravda “Chi ostacola soluzione questione Trieste”; TLs 14/I5513 DGAP IV a amb. Ankara, Atene, Londra, Parigi, Washington 7/12/1953: Trieste – stampa sovietica; Tls 15489 DGAP IV a amb. Londra, Parigi, Washington 5/12/1953: atteggiamento sovietico su Trieste; Tlg 1059 amb. Washington a Mae 1-12-1953: Tito aggressivo dopo morte Stalin perché di nuovo accordatosi con Urss.

Page 160: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

157

3.11 Il programma di Fanfani ed il PCI

L’inizio del 1954 era caratterizzato dall’iniziativa diplomatica assunta dai

governi britannico e statunitense in veste di cauti mediatori tra Italia e Jugoslavia

e da prese di posizione e schermaglie ufficiose tra le due parti in causa, dirette

essenzialmente a sondare i reciproci atteggiamenti e nello stesso tempo a ribadire,

di fronte alle opinione pubbliche dei rispettivi Paesi, le richieste e la linea di

condotta fino a quel momento seguite. Il punto di vista del governo italiano era

precisato il 26 gennaio dinanzi alla Camera dei Deputati da Amintore Fanfani

nelle dichiarazioni programmatiche del nuovo governo da lui presieduto. Dopo

aver affermato di ritenere la dichiarazione dell’otto ottobre come un impegno

degli alleati “che intendiamo sia rispettato”, Fanfani dichiarava che l’azione

diplomatica in corso doveva ribadire l’opportunità e la necessità di non ritardare

oltre la definizione del problema del Territorio libero360. Molto duro il giudizio di

Pietro Ingrao su l’Unità sul programma del nuovo governo democristiano che in

politica estera faceva un passo indietro sulle posizioni che lo stesso De Gasperi

era stato costretto a prendere nel luglio precedente. Abbandonati, infatti, anche

quegli accenti di dignità nazionale che erano almeno nelle parole dell’onorevole

Pella, il nuovo presidente del Consiglio aveva voluto praticamente sedare le

preoccupazioni degli occidentali sulla questione di Trieste, scriveva Ingrao. C’era

stata per l’Italia la “nuova amara beffa della dichiarazione dell’otto ottobre”: per

Fanfani questa “rinnovata truffa” all’Italia era diventata una “sosta”. C’erano stati

i fatti di Trieste, le provocazioni, i morti: Fanfani non aveva trovato una parola di

condanna, di riserva verso “la politica di chi aveva sparso quel sangue a Trieste”:

e tutta la sua politica triestina si riassumeva nella ricerca di un’equa soluzione

senza tentennamenti né debolezze, “cioè zero”, concludeva con una bocciatura

senza riserve il direttore de l’Unità361.

Nella riunione di Direzione del PCI tenutasi il giorno precedente alla

presentazione del programma del nuovo governo, Scoccimarro sosteneva

l’impossibilità per il partito di non votare contro (e quindi anche semplicemente di

astenersi) un governo che presentava nuovamente dei bilanci con spese militari

aumentate. Sembrava inoltre che Fanfani volesse presentare la formula “si va a

360 Atti Parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 26-1-1954. 361 Ingrao P., Il richiamo della foresta, l’Unità, 27-1-1954.

Page 161: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

158

Trieste e alla CED contemporaneamente” il che significava in pratica “andare alla

CED”362.

Nell’ambito della Conferenza di Berlino dei Ministri degli Esteri delle

quattro potenze occupanti la Germania, Molotov presentò un progetto per la

“conclusione del trattato di Stato per il ristabilimento di un’Austria indipendente e

democratica” in cui si prevedeva di “incaricare i vice ministri degli affari esteri di

esaminare la questione di Trieste, in relazione con le proposte del governo

sovietico di non utilizzare la città di Trieste ed il territorio adiacente come base

militare”. Ancora una volta, quindi, la conclusione del trattato austriaco veniva

collegata con la soluzione della questione triestina da parte del governo sovietico,

tra le motivazioni che venivano date c’era la preoccupazione espressa da Molotov

che l’Austria non divenisse una base militare anglo-americana come già Trieste

era divenuta. Su l’Unità grande risalto veniva dato all’iniziativa di Mosca che

apriva “nuove prospettive per l’Italia” ed era veramente conforme agli interessi

italiani che erano quelli di avere il TLT come il Brennero liberi da truppe

straniere363.

I documenti di archivio del PCI dell’epoca ci rivelano una certa staticità

sulla questione di Trieste, l’attenzione maggiore, lo abbiamo già visto, veniva data

alla CED cui in qualche modo a fasi alterne, soprattutto in relazione

all’andamento dei negoziati internazionali, veniva collegata la questione triestina.

Si raccomandava dunque in Direzione di continuare la lotta contro la CED (la

campagna era condotta dall’attivissimo Emilio Sereni), in cui si inseriva la

questione della proibizione delle armi atomiche e della bomba H364 e quella di un

patto di sicurezza europeo. In politica interna l’idea principale era quella della

rottura del monopolio della Democrazia Cristiana al governo365. Vi era interesse

vivo comunque per questioni minori, relative alla questione triestina, come

testimonia la risposta di Secchia al compagno Rossi che aveva chiesto il mese

precedente di trasferire la sede della federazione di Gorizia a Monfalcone: i

362 APC, Fondo M, Mf 131, Verbale Riunione di Direzione del 25-1-1954. 363S. Segre, Molotov propone che la questione di Trieste sia discussa insieme al trattato austriaco, l’Unità, 13-02-1954; R. Mieli, Conformi agli interessi italiani le proposte di Molotov sull’Austria, l’Unità, 14-02-1954; S. Segre, Molotov propone l’accordo sull’Austria e una discussione su Trieste all’ONU, l’Unità, 15-02-1954. 364 Cfr.: Togliatti P., Trovare un accordo tra il mondo cattolico e il mondo comunista per salvare la civiltà minacciata di distruzione dalla bomba H, l’Unità, 13-4-1954: discorso al Comitato Centrale. 365 APC, Fondo M, Mf 131, Verbali di Direzione, febbraio 1954.

Page 162: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

159

dirigenti della federazione non erano d'accordo, spiegava Secchia, il 7 giugno

erano stati ottenuti circa 2300 voti: si potevano fare passi avanti ancora e ciò

sarebbe stato facilitato dal mantenere una direzione qualificata, trasferire la sede

dal capoluogo poteva sembrare come una rinuncia. Sulla nota di Secchia Togliatti

aggiungeva a penna: “la politica verso gli sloveni ne sarebbe indebolita”366.

366 APC, Fondo M, MF 165, Nota per la Segreteria, 19 febbraio 54.

Page 163: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

160

3.12 Il governo Scelba, “il più reazionario”

Il nuovo presidente del Consiglio Mario Scelba nelle dichiarazioni

programmatiche al Parlamento non si limitava ad auspicare l’intesa sul Territorio

libero ma, alludendo alla posizione geografica e alle economie complementari dei

due Paesi, considerava tale accordo come la premessa per una più ampia e più

proficua collaborazione367. Nel dibattito che seguiva sulla politica estera, le

opposizioni rimproveravano al governo di non sapere utilizza il processo

dell’integrazione europea, al cui centro era in quel momento il problema della

CED, per ottenere una più aperta solidarietà degli alleati verso gli interessi italiani

a Trieste. Il socialista Lussu affermava che il governo sembrava voler

“insabbiare” la questione di Trieste368. Alla Camera Ingrao poneva sotto accusa

tutta la politica estera di solidarietà atlantica, richiamandosi alle iniziative di Pella,

mentre Nenni deplorava la richiesta di ratificare la CED “senza negoziarla, senza

condizionarla, senza neppure esigere dagli angloamericani una soluzione di

giustizia per Trieste e per la zona A del Territorio libero”. L’intervento di

Togliatti fu invece estremamente breve, in quanto, dopo aver ricordato come il

PCI avesse lavorato per anni per creare un clima di distensione, invitava deputati

comunisti e socialisti ad uscire dall’aula come segno di protesta contro Scelba

considerato fautore di una politica di violenza contro le masse lavoratrici369.

Anche nei dibattiti interni alla Direzione del PCI si insisteva sulla necessità

di dipingere il governo Scelba come “il più reazionario che ci sia mai stato nel

nostro Paese”. Per il resto bisognava proseguire nelle campagne contro la bomba

H e contro la CED che finivano per andare di pari passo e delle quali la prima si

rivelava strumentale alla seconda370. Occorreva inoltre sfruttare le perplessità

delle gerarchie ecclesiastiche sull’imperialismo e sulla bomba ad idrogeno;

secondo Togliatti occorreva cambiare indirizzo in politica estera nel mondo e in

Italia, “questo era l'essenziale”371.

Analoghe erano le parole di Longo al Comitato Centrale: occorreva

impedire la ratifica della CED e portare avanti una “crociata per l’interdizione

della bomba atomica”. I “cedisti” desideravano una dichiarazione del tenore di 367 Atti parlamentari, seduta della Camera dei deputati del 18-2-1954. 368 Atti parlamentari, seduta(pom.) del Senato della Repubblica del 18-2-1954. 369 Atti parlamentari, seduta della Camera dei deputati del 18-2-1954. 370 APC, Fondo M, Mf 131, Verbali Riunioni di Direzione, aprile 1954. 371 APC, Fondo M, Mf 131, Verbale Riunione di Direzione, 29 aprile 1954.

Page 164: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

161

quella bipartita dell'8 ottobre 1953 sul problema di Trieste sottoscritta dai sei

Paesi. In Campidoglio Pella aveva legato la ratifica della CED alla questione di

Trieste, ora si tendeva a negare tale collegamento, bisognava sottolineare questo

fatto372.

Vidali si faceva promotore presso la Segreteria del PCI di un’iniziativa dei

partigiani della pace di Trieste i quali avevano intenzione di convocare entro

breve tempo una conferenza sul tema “Trieste e la CED”: la conferenza avrebbe

dovuto aver luogo mentre si discuteva la CED in Italia. A tale manifestazione

preparata con una buona agitazione avrebbero partecipato i comitati della pace e

le organizzazioni democratiche del TLT, i rappresentanti dei comitati della pace

delle regioni di frontiera. Per dare alla conferenza il massimo rilievo, i partigiani

della pace triestini che contavano sull’incondizionato appoggio morale e materiale

del PCI (e del PCTLT) chiedevano un aiuto ai compagni italiani: messaggi di

solidarietà dalle città italiane e possibilmente una forte rappresentanza dei gruppi

parlamentari (PCI, PSI e indipendenti) e dei partigiani. Chiedevano inoltre che la

stampa, sia quotidiana che periodica, mettesse in rilievo l’evento373. La

conferenza, cui parteciparono esponenti del comunismo e socialismo triestino,

chiedeva ai “grandi quattro” l’applicazione del trattato di pace374.

Nel frattempo a Londra andavano avanti i negoziati tra angloamericani e

jugoslavi, che chiedevano aggiustamenti territoriali rispetto alla soluzione

dell’otto ottobre, e indiscrezioni trapelate lasciavano intendere che si era vicini ad

un compromesso. La reazione del governo italiano a tali indiscrezioni fu di

dichiarare l’opposizione dell’Italia alla trasformazione in alleanza militare del

patto balcanico prima che fosse risolta la questione triestina: l’opposizione

derivava dal timore che l’alleanza proprio nella fase decisiva del problema di

Trieste, potesse contribuire a rafforzare ulteriormente la posizione jugoslava nei

confronti degli Occidentali dato il collegamento indiretto esistente tra la NATO e

la progettata alleanza balcanica. Il diritto della NATO a dare il proprio previo

consenso all’alleanza balcanica, reclamato dall’Italia, venne contestato non solo

dalla Jugoslavia ma anche (ed energicamente) dalla Grecia375.

372 APC, Fondo M, MF 132, Verbale del Comitato Centrale, 11-14 aprile 1954. 373 APC, Fondo M, Mf 165, Lettera di Vidali alla Segreteria del 24-4-1954; Verbale di riunione Segreteria del 4-5-1954, in cui si dava l’assenso all’iniziativa. 374 Appello triestino ai “4” Grandi per l’applicazione del Trattato, l’Unità, 19-07-1954. 375 Cfr.: ISPI –Annuario, op. cit., 1954, pp. 474-476; Il governo rifiuta di pronunciarsi sul piano di spartizione del TLT, l’Unità, 12-05-1954;La Commissione Esteri contro la

Page 165: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

162

3.13 Le ultime richieste di maggiore sostegno di Vidali al PCI

Gli articoli di Vidali apparivano sempre più inquieti, colmi d’ansia per la

sorte della sua città destinata a rimanere vittima di un accordo che prevedeva la

costruzione di un porto jugoslavo presso Capodistria con fondi americani che

avrebbe significato un impoverimento per le attività economiche della città. Nelle

cancellerie occidentali non si voleva tenere conto e c’era anzi disprezzo,

denunciava Vidali, per l’opinione dei “natives”, triestini e istriani, e per i loro

interessi “tanto meschini di fronte ai grandi ideali della civiltà occidentale e

atlantica e della bomba all’idrogeno”. Triestini e istriani contavano meno di una

mandria di bestiame, per i “mercanti” occidentali, ma tale atteggiamento faceva sì

che nelle due zone si diffondesse la convinzione che solo il trattato di pace

avrebbe potuto risolvere il problema, tanto che un referendum avrebbe dato non

meno dell’ottanta per cento dei voti a favore del TLT376.

Vidali, insieme al compagno triestino Siskovic, scendeva a Roma per

esporre le proprie preoccupazioni in Direzione. Il primo a prendere parola era

Togliatti che notando come la questione di Trieste si stesse riacutizzando non

escludeva che potesse venire fatta improvvisamente una proposta di soluzione. La

questione della CED poteva far accelerare la soluzione della questione di Trieste

anziché consigliare di rinviarla. Il leader del partito comunista triestino esprimeva

incertezza su ciò che poteva succedere e confermava che a Trieste c'era più

preoccupazione che nel passato, specie tra istriani e dalmati profughi. La base di

diversi partiti si era dichiarata favorevole al TLT, cioè alla posizione del PCTLT.

Anche in questa sede, Vidali si diceva certo che gli jugoslavi per ragioni interne

non desideravano risolvere la questione di Trieste e intendevano tenere l’Italia

fuori dal Patto balcanico. Era da prevedersi una soluzione provvisoria senza la

partenza delle truppe straniere: il PCTLT avrebbe insistito nel denunciare il

baratto, rivolgendosi a tutta la popolazione nell’invocare la formazione del TLT.

Occorreva fare comizi in Italia, un intervento della CGIL, più spazio su l’Unità e

una conferenza di pace a Trieste377. Il dibattito seguiva sulle ipotesi di iniziativa

politica che era possibile inserire nella situazione come, ad esempio, una raccolta

spartizione del TLT, l’Unità, 13-05-1954. 376 Vidali V., La sorte di Trieste, l’Unità, 19-05-1954; V. Vidali, Crescente adesione dei triestini alla soluzione del Trattato, Rinascita, n. 5 (maggio), 1954. 377 APC, Fondo M, mf131, Verbale Riunione di Direzione, 20 maggio 54.

Page 166: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

163

di firme contro la spartizione a favore del TLT o del plebiscito; si discuteva anche

sulla possibilità di legare la nuova iniziativa alla questione della CED, anche se in

tal caso il timore era quello che la posizione del partito ne uscisse troppo

indebolita a causa delle forti divisioni che c’erano nell’opinione pubblica sul

tema. Giancarlo Pajetta affermava che l’opinione pubblica italiana era al momento

attuale “disponibile ad accettare qualsiasi soluzione” che desse Trieste all'Italia. Il

governo era compromesso con gli angloamericani e non poteva gloriarsi di nessun

risultato, le destre erano ancora più compromesse per le richieste precedenti.

Dunque, per Pajetta sulla questione triestina la linea da seguire era la seguente: “Dobbiamo attaccarci a Capodistria e sottolineare l'esclusione

dell'Italia da ogni funzione balcanica. Inchiodare il governo e le destre a tutte le loro posizioni precedenti. Condurre una grossa campagna. Fare intervenire gli esuli già tanto utilizzati contro di noi. Portare la questione in Parlamento. Inviare a Trieste una delegazione di parlamentari d'opposizione. I compagni di Trieste dovrebbero venire in Italia a gettare l'allarme. [Dobbiamo] chiedere un’amministrazione internazionale che metta fine a distinzione tra zona A e zona B. Proporre che i partiti del TLT organizzino essi stessi il plebiscito. Se non accettano organizziamo noi la petizione”.378

Anche Togliatti era consapevole della stanchezza degli italiani rispetto alla

questione triestina e cercava di proporre la sua “ricetta” per risvegliare l’interesse: “L'opinione pubblica italiana oggi si disinteressa di Trieste ed è pronta

ad accettare qualsiasi soluzione. Bisogna far sentire nuovamente la questione all'opinione pubblica con un'iniziativa che parta da Trieste. L'iniziativa non sia lanciata solo dai comunisti contro la spartizione e per il plebiscito. Sia presa da socialisti, socialdemocratici ed altre forze. Non far leva sulla CED che dividerebbe le forze favorevoli alla petizione. Polemica dei governativi sul patto balcanico, sostengono che entrando nella CED si evita il patto: quindi attenzione a gettarsi nella discussione. Gli americani presentano soluzioni catastrofiche per ottenere l'approvazione della CED. Intensificare la campagna in Italia. I compagni di Trieste ci dicano cosa possono fare”379.

Nel prosieguo dell’acceso dibattito Vidali lamentava il peggioramento della

situazione e la necessità di un’iniziativa immediata. La petizione avrebbe dovuto

essere lanciata dal PCTLT e da altri partiti e avere la prospettiva di un buon

risultato. Il problema non era di smascherare l'avversario ma di mobilitare le

masse contro il baratto. Alla domanda del leader triestino sulla possibilità che il

PCI avrebbe potuto lanciare una petizione in Italia, Togliatti oppose in effetti un

378 APC, Fondo M, mf 131, Verbale Riunione di Direzione, 20 maggio 54, intervento di Pajetta 379 APC, Fondo M, mf 131, Verbale Riunione di Direzione, 20 maggio 54, intervento di Togliatti.

Page 167: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

164

rifiuto, argomentando che tale iniziativa avrebbe richiesto “uno sforzo enorme e

l'impegno del partito per varie settimane”; il PCI non poteva fare una

dichiarazione senza rivendicare il voto del Parlamento e ciò non era utile ai

compagni triestini. Vidali insisteva per un’intensificazione della campagna da

parte del PCI contro la spartizione, poiché il problema non era costituito da

Capodistria, ma dal fatto che si doveva impedire che la zona B andasse alla

Jugoslavia. Egli indicava nella debolezza dei socialisti un fattore potenzialmente

importante e perciò invitava ad intervenire presso la direzione del PSI.

La decisione finale presa nella riunione suggeriva al PCTLT l’adozione di

un'iniziativa triestina (raccolta di firme) contraria alla spartizione del TLT e

favorevole al plebiscito. Si raccomandava di intensificare intanto, in Italia, la

campagna contro la spartizione, sulla stampa e nel Parlamento380. Effettivamente,

nelle settimane seguenti specialmente su l’Unità abbondavano gli articoli dedicati

agli ultimi sviluppi della questione di Trieste: si metteva in guardia sul fatto che

incombeva l’accordo per un’alleanza militare balcanica e l’Italia ne sarebbe

rimasta fuori senza che la questione triestina fosse stata risolta in maniera

definitiva381.

In Parlamento Scoccimarro, intervenendo in polemica col ministro Piccioni

in chiusura del dibattito sul bilancio del MAE in Senato, proponeva i principi che

avrebbero dovuto caratterizzare la questione triestina: nessuna accettazione della

spartizione del TLT, nessuna rinuncia al principio di autodeterminazione delle

popolazioni interessate, una soluzione del problema in modo da creare la

possibilità di una vita concorde e democratica tra e italiani e slavi ivi residenti382.

Seguiva un’iniziativa alla Camera di Togliatti che presentava

un’interrogazione su alcune dichiarazioni dell’ambasciatrice americana a Roma

Clara Boothe Luce e compiva un intervento incentrato sulla questione della CED

lasciando a Nenni l’offensiva sul problema triestino383.

Con l’approssimarsi dell’accordo per la spartizione del TLT Vidali,

380 APC, Fondo M, mf 131, Verbale Riunione di Direzione, 20 maggio 54. 381 Nuovo brutale invito greco all’Italia a non intralciare l’alleanza con Tito, l’Unità, 22-05-1954; L’incubo della spartizione su Trieste e sul Territorio Libero, l’Unità, 25-05-1954; L’annuncio del Patto balcanico preludio alla spartizione del TLT, l’Unità, 6-6-1954; Gli angloamericani comunicano il piano di spartizione del TLT, l’Unità, 9-6-1954. 382 Piccioni si pronuncia in un vuoto discorso per la spartizione “provvisoria” del TLT. La replica di Soccimarro che illustra i tre principi per una giusta soluzione della questione triestina e sottolinea la gravità della richiesta di ratificare la CED, l’Unità, 24-6-1954. 383 Interrogazione di Togliatti sulla Luce, l’Unità, 6-7-1954; Clara Luce e Piccioni annunciano che mancano pochi giorni alla spartizione, l’Unità, 10-7-1954.

Page 168: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

165

sentendo evidentemente sempre di più su di sé tutta la pressione e le aspettative di

chi ancora desiderava una soluzione diversa alla questione, scriveva una lettera

alla Direzione del PCI spiegando che a breve ci sarebbe stato a Roma un incontro

dei rappresentanti triestini dei partiti governativi con le rispettive direzioni: “qui

tutti si chiedono cosa stanno facendo i partiti operai italiani in merito al problema

Trieste”. Il resto della lettera era di tono polemico per la lentezza di

collaborazione da parte del PCI nell’attuare ciò che era stato deliberato a maggio: “Noi vi abbiamo scritto recentemente che sarebbe opportuno organizzare comizi in tutta Italia ma voi non ci avete ancora risposto. Tali comizi andrebbero fatti con presenza di socialisti e comunisti triestini. A Trieste si sviluppano iniziative politiche concrete che dovrebbero costituire una base solida per un'azione sulla questione di Trieste da sviluppare nella Repubblica. Infatti è stato quasi ultimato il referendum nei comuni sloveni e Muggia. A Trieste c'è stata una levata di scudi degli esuli che protestano contro la spartizione e la pressione alla base di tutti i partiti ha obbligato i dirigenti dei quattro partiti ad andare a Roma per sostenere le nostre richieste. Siamo già entrati nella fase degli scioperi contro la spartizione”384.

Al termine dell’incontro tra la delegazione triestina e i gruppi parlamentari

di PCI e PSI veniva emanato un comunicato in cui si esprimeva viva

preoccupazione per il progetto di spartizione del TLT e angoscia per gli esuli della

zona B; il PCI affermava anche che continuava a ritenere l’applicazione del

trattato di pace quale migliore soluzione possibile della questione triestina e che

sarebbero stati presi accordi col PSI per un’azione comune allo scopo di

“giustamente orientare l’opinione pubblica del Paese nel senso richiesto dalla

necessaria solidarietà con le popolazioni triestine”385. I comunisti e socialisti

triestini lanciavano anche un appello agli italiani affinché esigessero che il

governo chiedesse all’ONU di tenere un plebiscito nel Territorio libero386.

Ma oramai aleggiava una certa rassegnazione tra le fila del partito verso una

spartizione, “fatto compiuto”, che ci si chiedeva se sarebbe stata applicata senza la

ratifica del Parlamento. Su Rinascita v’era ancora modo di “vagheggiare” una

Trieste al centro dei contatti e degli scambi politici economici e d’altro tipo tra

Paesi capitalistici e Paesi socialisti in un’Europa dominata dallo “spirito di

Ginevra”, mentre più realisticamente su Vie Nuove veniva descritta la spartizione

che i triestini non avrebbero accettato, in quanto avrebbero continuato a chiedere

una sistemazione più equa e il diritto all’autodeterminazione tramite plebiscito e si 384 APC, Fondo M, Mf 131, Lettera di Vidali alla Direzione del PCI del 9-7-1954. 385 L’avversione di Trieste esposta dai delegati socialisti e comunisti, l’Unità, 16-7-1954. 386 Appello agli italiani dei comunisti e socialisti dal TLT, l’Unità, 4-8-1954.

Page 169: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

166

prevedeva che circa quindici o ventimila istriani si sarebbero presentati al confine

della zona A per entrarvi non appena la spartizione fosse stata sancita387.

Il nove agosto veniva firmato a Bled, in Slovenia, il trattato di alleanza

ventennale tra Jugoslavia, Grecia e Turchia che contemplava la mutua difesa in

caso di attacco, in tal modo anche la Jugoslavia veniva collegata al sistema

atlantico, il quale subiva tuttavia un grave colpo con la caduta del progetto della

CED dovuta alla mancata ratifica da parte del parlamento francese. In seguito a

tali avvenimenti la spartizione del TLT veniva definita su l’Unità un “delitto

insensato”, non costituendo più un impedimento alla ratifica della CED, secondo

quanto veniva asserito dai democristiani388. Ma si trattava delle ultime isolate

proteste, continuando il PCTLT ad emettere soltanto comunicati sui pericoli delle

azioni a Trieste di “squadracce fasciste” che creavano deliberatamente disordini e

smascherando l’esistenza di un arsenale nascosto nei pressi del porto389, mentre il

PCI sostanzialmente taceva. E, infatti, a fine settembre, i comunisti triestini

chiedevano un incontro con i compagni del PCI per esaminare i loro problemi e

chiedere un “appoggio in maggiore misura”. Togliatti si diceva d’accordo per

organizzare l’incontro ma dissentiva sull’affermazione relativa allo scarso

sostegno prestato: “Solo noi abbiamo condotto la campagna per Trieste”390,

commentava seccamente il Segretario, che dava in queste poche parole

l’impressione di essere un po’ stanco delle lamentele e delle richieste di maggiore

aiuto da parte di Vidali, poiché tutto ciò che poteva essere fatto era stato fatto in

realtà.

387 L’accordo di spartizione applicato senza la ratifica del parlamento?, l’Unità, 9-8-1954;Fatto compiuto la spartizione del TLT?, Vie Nuove,15-8-1954; Di Trieste e della pace, Rinascita, luglio 1954; Questa è la spartizione di Trieste che i triestini non accetteranno, Vie Nuove, 18-07-1954. 388 La spartizione del TL di Trieste sarebbe ora un delitto insensato, l’Unità, 26-8-1954. 389 Cfr.: L’Unità 8-8-1954, 1-9-1954, 4-9-1954. 390 APC, Fondo M, Mf 131, Verbale Riunione di Direzione, 21-9-1954.

Page 170: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

167

3.14 Il Memorandum d’intesa

Vidali scriveva nuovamente alla Segreteria a fine settembre, facendo

riferimento al progetto di spartizione ormai accettato dal governo italiano. Per

quanto riguardava la rettifica territoriale, ammetteva Vidali, essa era peggiore di

quella che si supponeva. Vidali chiedeva l’arrivo a Trieste del giornalista

Maurizio Ferrara per alcune corrispondenze sulla situazione e chiedeva, quasi con

tono supplichevole, che la stampa comunista dedicasse più spazio al problema,

rammaricandosi al contempo per una dichiarazione inviata alle quattro edizioni de

l’Unità che non era stata pubblicata (ma di cui non abbiamo testimonianza nei

documenti d’archivio), malgrado ciò fosse stato richiesto due volte, ed otteneva un

colloquio con Togliatti. Veniva inoltre deciso in Segreteria di aprire il dibattito in

Senato sulla questione triestina391.

Ma oramai non c’era più tempo per altre riunioni di Direzione, né azioni

concertate, né raccolte di firme, né altre iniziative politiche: l’accordo tra Italia e

Jugoslavia era finalmente giunto. Su l’Unità veniva annunciato che sarebbe stato

compiuto entro la settimana, Vidali teneva un’estrema conferenza di denuncia in

cui definiva l’accordo peggiore di tutte le proposte che erano state fatte in passato

e frutto di trattative segrete condotte per mesi alle spalle dell’ONU e delle

popolazioni locali. Il PCTLT, che dell’imminente accordo accettava come

elemento positivo la partenza delle truppe straniere, proponeva per una più equa

soluzione un plebiscito o una conferenza internazionale, come quella pochi mesi

prima svoltasi a Ginevra, cui avrebbero partecipato le grandi potenze, Italia e

Jugoslavia, e i rappresentanti locali392.

Il cinque ottobre 1954 i rappresentanti dell’Italia, della Gran Bretagna, degli

Stati Uniti e della Jugoslavia firmavano a Londra il Memorandum d’intesa sul

Territorio Libero di Trieste, con il quale, constatata l’impossibilità di dare

attuazione al trattato di pace con l’Italia, era stabilita la cessazione del governo

militare nelle zone A e B del Territorio libero e l’estensione nelle stesse delle

amministrazioni civili italiana (zona A) e jugoslava (zona B). Il Memorandum

391 APC, Fondo, Mf 116, Lettra di Vidali alla Segreteria del 30 -9-1954, Verbale riunione di Segreteria del 4-10-1954. 392 Il baratto del TL di Trieste compiuto entro la settimana, l’Unità, 4-10-2010; M. Konsulich, Il discorso di Vidali, l’Unità, 4-10-2010; E’ cominciato l’esodo delle popolazioni dai villaggi della zona A ceduti a Tito. Solenne appello del PCTLT, l’Unità, 5-10-2010.

Page 171: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

168

d’intesa prevedeva inoltre lievi rettifiche della linea di demarcazione tra le zone A

e B a favore della B, rettifiche interessanti una superficie di 11,5 chilometri quadri

con circa tremila abitanti, nonché varie disposizioni volte a normalizzare la

situazione politica ed economica del Territorio libero. Il governo italiano si

impegnava a mantenere a Trieste il porto franco e i governi italiano e jugoslavo

convenivano: di non esercitare alcuna discriminazione per ragioni politiche a

carico delle persone che venivano a passare sotto le loro rispettive

amministrazioni, di aprire negoziati per regolare e facilitare i traffici locali e infine

di consentire il ritorno, nelle rispettive zone, delle persone in esse già residenti393.

Il Memorandum d’intesa veniva definito in un comunicato ufficiale della

Direzione del PCI “il peggiore degli accordi”394 e nel dibattito tenutosi in Senato

comunisti e socialisti si univano negli attacchi contro “il baratto imposto dalla

politica atlantica”, mentre Longo tornava di nuovo sulla difesa dell’italianità di

Trieste compiuta dal PCI durante la Resistenza395.

Il Comitato Centrale del PCTLT, nella sua riunione del nove e dieci ottobre,

udita la relazione del suo segretario Vittorio Vidali e dopo un ampio dibattito sul

Memorandum d’intesa, approvava una dichiarazione all’unanimità che definiva

l’accordo di Londra come “la peggiore di tutte le soluzioni prospettate” fino a quel

momento per la questione del TL. L'accordo sacrificava alla politica di guerra

l'esigenza di pace e benessere dei due popoli con “l'unico obiettivo di completare i

piani di aggressione americani”. Si trattava di un “vergognoso mercato”,

giustificato nel memorandum con l'impossibilità di tradurre in atto le clausole del

trattato di pace. L’intenzione dei due governi era di considerare definitiva la

separazione delle due zone e procedere all’annessione. Il PCTLT aveva tra i

propri obiettivi il diritto delle popolazioni a un plebiscito, la lotta per fare

applicare gli impegni sottoscritti dai due governi a garanzia dei diritti e degli

interessi delle due popolazioni. Il P.c. di Trieste avrebbe lottato affinché fosse

eliminata la “bardatura di guerra e di carattere coloniale nell'amministrazione”,

fossero soppressi i tribunali militari, il Consiglio territoriale a Trieste fosse eletto

a suffragio universale e con rappresentanza proporzionale con facoltà legislative

ed amministrative, ci fosse una rinascita economica della zona, per l’unità 393 ISPI – Annuario, op. cit., 1954, pp. 478-479. 394 Il peggiore degli accordi, l’Unità, 6-10-2010. 395 Spano Lussu e Molè attaccano al Senato il baratto imposto dalla politica atlantica, l’Unità, 7-10-2010; Metà del Senato non vota la spartizione del TL di Trieste, l’Unità, 9-10-2010¸ Intervista con Longo sui comunisti e Trieste, l’Unità, 10-10-2010.

Page 172: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

169

sindacale, per pacifici rapporti commerciali con tutti i Paesi, per la difesa di tutte

libertà democratiche e dei diritti nazionali, per il libero transito di persone e merci

tra le due zone396.

Il governo sovietico prendeva atto dell’accordo, in considerazione del fatto

che esso era il risultato di un’intesa tra la Jugoslavia e l’Italia e del contributo che

recava all’alleggerimento della tensione tra questi due Paesi. Tale comunicazione

era considerata dai comunisti triestini prova della “saggia e tenace politica di

distensione” condotta dall’Unione Sovietica, in cui si inquadrava anche la

normalizzazione dei rapporti diplomatici ed economici con la Jugoslavia397.

Ricordiamo qui che, come detto precedentemente, non era stato dato nessuno

spazio sulla stampa comunista alla notizia relativa alla ripresa dei rapporti

diplomatici tra Jugoslavia ed Unione Sovietica nell’agosto del 1953.

Alla vigilia del voto sul bilancio del MAE Togliatti rilasciava un’intervista a

l’Unità in cui indicava le linee di una nuova politica estera per l’Italia, considerati

i fallimenti della politica imposta dall’imperialismo, primo tra tutti la spartizione

del TLT, conclusasi con “l’accordo peggiore che da parte italiana si potesse

ottenere”398.

La Direzione del PCI si riuniva un’ultima volta sui problemi del Territorio

di Trieste il ventotto ottobre. Apriva l’incontro la relazione di Vidali che definiva

la spartizione così come era avvenuta “la peggiore delle spartizioni”: la Zona B

era annessa alla Jugoslavia, vi era iniquità nel nuovo confine tracciato e molta

amarezza tra i triestini. Si trattava di un accordo fatto in funzione della guerra, da

considerarsi definitivo. Il p.c. triestino rimaneva all’opposizione alla testa delle

masse lavoratrici, poiché vi era tra l’altro un concreto pericolo di ritorno del

fascismo in città. Tra gli sloveni si lavorava per creare un fronte nazionale, anche

con i titini. Occorreva creare un largo fronte fra gli italiani per l’osservanza

dell’accordo di spartizione ed esigere un’adeguata partecipazione del p.c. triestno

all’amministrazione civile. Si poneva anche il problema del cambiamento del

nome del partito essendo divenuto il TLT semplicemente Territorio di Trieste. I

comunisti triestini dipendevano dal PCI e se i titini desideravano mettersi in

396 APC, Fondo Togliatti, Carte della scrivania, Verbale del Comitato Centrale del PCTLT del 9-10 ottobre 1954. 397 L’Urss prende atto dell’accordo di Londra su Trieste, l’Unità, 13-10-1954.; I comunisti triestini e la nota dell’URSS, l’Unità, 18-10-1954. 398 Un’intervista di Togliatti all’Unità sulle linee di una nuova politica estera, l’Unità, 19-10-1954.

Page 173: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

170

contatto con loro dovevano sciogliere i loro gruppi, restituire quello che avevano

sottratto nel 1948, liberare i compagni arrestati in zona B. I compagni chiedevano

spiegazione di ciò che stava avvenendo. I titini dicevano che l'Urss aveva

capitolato su tutta la linea. Vidali chiedeva di “lasciar fare a noi per risolvere

rapporti locali coi titini” e sosteneva l’importanza che il proprio partito rimanesse

l’unico partito comunista presente a Trieste e non si tornasse ad una situazione

come quella del 1947. Giancarlo Pajetta si dichiarava sostanzialmente d’accordo

con Vidali: andava sostenuta la necessità di evitare una politica che favorisse

l’irredentismo e risolvesse invece i problemi concreti a Trieste; andava rivendicata

la giustezza della posizione precedentemente tenuta dal PCI e dal PCTLT su

Trieste nonostante si riconoscesse che c’era stata comunque una soluzione;

bisognava aiutare lo sviluppo del Psi e dei rapporti con indipendentisti e

socialdemocratici, salvaguardare l’unità tra sloveni e italiani, difendere i diritti

nazionali degli sloveni. Gli Jugoslavi avrebbero avuto problemi, secondo Pajetta,

per giustificare la politica filo-occidentale con l’espulsione dal Cominform,

occorreva perciò fare polemica su questo. Bisognava invece lasciare, come chiesto

da Vidali, che i compagni triestini risolvessero con autonomia a livello locale tali

problemi e non porre il problema della trasformazione del partito del Territorio di

Trieste. Terracini, Sereni e Di Vittorio costituivano lo schieramento dei contrari

alle proposte di Vidali: i compagni triestini dovevano entrare a far parte del PCI,

magari dilazionando nel tempo questo processo. Per quanto riguardava la

spartizione, essa era una soluzione del problema, definitiva: andava valutata come

avevano fatto i sovietici. Secondo Longo, la spartizione era sì definitiva, ma non

c’era ancora ragione politica per far entrare il P.c. di Trieste nel PCI. Il problema

si sarebbe posto quando la situazione politica sarebbe cambiata. I nuovi problemi

invece erano i rapporti dei triestini con la politica italiana e la difesa dei loro

interessi. Anche la difesa degli italiani nella zona B non era compito particolare

dei compagni triestini.

Infine, interveniva Togliatti constatando la mancanza di un accordo tra i

presenti e rilevando il giusto orientamento della risoluzione del PCTLT che

dimostrava che l'azione del partito era stata giusta. Vidali nel suo rapporto

sembrava orientato dal problema del nuovo rapporto coi titini, continuava

Togliatti. Era sicuramente vantaggioso che si stabilissero nuovi rapporti tra Urss e

Jugoslavia: Tito si era prestato al gioco degli imperialisti, ma non era andato fino

Page 174: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

171

in fondo. Ancora oscura restava però la questione del patto balcanico. Occorreva

da parte di Vidali quindi “maggiore serenità” nell'esaminare la situazione. Non

poteva che salutare il nuovo orientamento della politica jugoslava e non doveva

esserne “eccessivamente imbarazzato”. La situazione di Trieste veniva dichiarata

da Italia e Jugoslavia provvisoria, il PCI affermava che era definitiva ma non

aveva interesse a considerarla tale. Si sarebbe continuato nella rivendicazione

della pienezza dei diritti democratici, anche dei diritti nazionali degli slavi e per la

rinascita economica della zona. Bisognava continuare ad occuparsi della zona B in

base al Memorandum d'intesa. Riguardo all’ingresso dei comunisti triestini nel

PCI, Togliatti lo definiva al momento attuale un errore: occorreva mantenersi

temporaneamente sulla base del Territorio di Trieste, stabilendo particolari

rapporti col PCI di cui si poteva fissare la forma e uno scambio di rappresentanze

permanenti tra i due partiti. Bisognava sostenere il movimento per l’autonomia

regionale del Friuli, ma in quella fase non doveva essere esteso a Trieste che

aveva questioni di carattere diverso, poiché per l’Italia sarebbe stato pericoloso

riaprire la questione del TLT in quel momento.

La decisione presa dalla Direzione prevedeva di affidare ad una

commissione composta da Pajetta, Scoccimarro, Novella e Vidali la preparazione

di un documento scritto per la soluzione delle questioni relative alla politica dei

comunisti a Trieste399.

399 APC, Fondo M, Mf 116, Verbale riunione di Direzione del 28-10-1954.

Page 175: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

172

CAPITOLO IV

I COMUNISTI TRIESTINI RIENTRANO NEL PCI SOMMARIO: 4.1La IV Conferenza Nazionale del PCI: il PCTLT diventa PCTT; 4.2 L’apparato speciale e i contatti tra PCTLT e jugoslavi dopo il Memorandum d’Intesa; 4.3 Il viaggio di Krusciov a Belgrado: “il colpo di bora”; 4.5 Il V congresso del P.C. di Trieste; 4.6 Il VI Congresso del P.C. di Trieste: la federazione autonoma triestina

4.1 La IV Conferenza Nazionale del PCI: il PCTLT diventa PCTT

Il nove gennaio si teneva la IV Conferenza nazionale del PCI aperta

dall’appello di Togliatti per la “salvezza dell’umanità contro l’aggravato pericolo

atomico”, contro il riarmo della Germania di Bonn che faceva “risorgere un

focolaio permanente di conflitti in Europa”, a favore della si tensione

internazionale, della pacifica coesistenza dei popoli e della pace mondiale.

Nel suo intervento Vidali chiedeva che il Memorandum d’Intesa fosse

“applicato fedelmente” poiché contemplava la tutela degli interessi degli italiani e

degli sloveni e favoriva l’eliminazione degli attriti tra Italia e Jugoslavia, anche se

i comunisti triestini avrebbero rifiutato la spartizione come definitiva. Riguardo

alla situazione economica della città, con una disoccupazione quasi al 20%, essa

andava risanata “potenziando organicamente l’industria cantieristica”. Circa la

questione dell’autonomia del P.c. di Trieste dal PCI, Vidali sosteneva che, non

accettando il carattere definitivo che il governo intendeva dare alla spartizione, il

proprio partito aveva tratto una conclusione organizzativa, d’accordo con la

direzione del PCI, decidendo “per il momento” di chiamarsi Partito Comunista del

Territorio di Trieste (PCTT). Ciò a Trieste non aveva destato sorpresa,

commentava Vidali, che ci teneva però a precisare che i comunisti triestini non

erano autonomi in molte cose, poiché combattevano le stesse lotte del popolo

italiano sotto la guida del PCI.

Il ventitré gennaio si teneva a Trieste una Conferenza straordinaria dei

comunisti triestini, dominata dalla questione degli “obiettivi e compiti dei

Page 176: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

173

comunisti nella nuova situazione di Trieste”, presente per la Segreteria del PCI

Mauro Scoccimarro, il quale individuava nell’autonomia della città il problema

politico fondamentale, come “mezzo di difesa delle libertà democratiche contro

l’involuzione reazionaria del governo centrale”, come condizione necessaria per

lo sviluppo economico della regione di Trieste, “mezzo di difesa e di garanzia

delle minoranze nazionali contro ogni forma di oppressione nazionalistica”400.

400 L’autonomia è condizione per lo sviluppo di Trieste, l’Unità, 24-1-1955.

Page 177: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

174

4.2 L’apparato speciale e i contatti tra PCTLT e jugoslavi dopo il

Memorandum d’Intesa

Nella riunione di Segreteria del quattro febbraio venivano discussi il

lavoro e le proposte di indirizzo di Arturo Cicalini, il quale aveva presentato circa

due settimane prima una relazione sull’azione svolta in direzione della Jugoslavia

da parte dell’Apparato speciale costituito, o per meglio dire rafforzato, nel 1948.

Cicalini affermava che dopo i noti accordi fra Urss e Jugoslavia anche i comunisti

italiani e triestini avevano dovuto compiere una “svolta” nella loro particolare

attività, in attesa di cessarla completamente non appena fossero pervenute

direttive in tal senso. Alla vigilia della conferenza nazionale del PCI del gennaio

1955, Cicalini si era recato a Trieste recando le nuove direttive, indicate dal

compagno Togliatti, in cui si chiedeva di non fare più nessun lavoro tendente a

costituire gruppi di opposizione, non inviare più materiale clandestino di

propaganda antititista; continuare a raccogliere materiale informativo, ma

limitatamente alle notizie riguardanti l'atteggiamento dei vari dirigenti jugoslavi

nei confronti dell'Urss, continuare ad aiutare economicamente le vittime politiche

del terrore titista (in carcere vi erano ancora centinaia di compagni fra cui anche

alcuni funzionari di partito), continuare a interessarsi della situazione di operai e

compagni di origine italiana che lavoravano negli stabilimenti industriali di

Fiume, Pola, ed altri centri (della loro situazione, orientamento, rivendicazioni).

Anche il metodo di lavoro doveva cambiare, abbandonando le azioni clandestine

quali l’ invio di funzionari e stampa illegali in Jugoslavia; l’Apparato speciale

andava ridotto al minimo in termini di risorse umane e finanziarie401 impiegate:

esso sarebbe stato composto da Maria Bernetic, Karel Siskovic, ed un altro

membro. I membri dell’Apparato avrebbero dovuto cercare “agganci con i

dirigenti titisti locali” e sarebbe stato necessario “epurare” il vecchio archivio

distruggendo ciò che non serviva più. Mentre riguardo alla situazione in

Jugoslavia dopo gli accordi con l’Urss Cicalini affermava di non disporre di

sufficienti informazioni, riguardo alla situazione a Trieste, dal punto di vista dei

rapporti del PCTT con il gruppo titista, Cicalini sosteneva che essa era abbastanza

confusa e senza una chiara prospettiva poiché i titisti (non solo quelli di Trieste 401 APC, Fondo M, Mf 117, Relazione di Cicalini alla Segreteria sul lavoro svolto in direzione della Jugoslavia, 20-1-1955; a proposito dell’ammontare del contributo del PCI all’Apparato speciale veniva indicato:“richiedere al PCI un assegno mensile di 300.000 lire invece delle precedenti 500.000”.

Page 178: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

175

ma anche quelli jugoslavi) si “presentavano come i vincitori”, come coloro che

avevano ragione nei confronti dell'U.I. e dell'Urss e pretendevano di imporre

determinate condizioni. A quanto si diceva i titisti volevano imporre

l'allontanamento dalla direzione del PCTT di Vidali e della Bernetic e la

rivalutazione di Jaksetic. Tutte queste voci, fondate o meno che fossero, creavano

uno stato d'animo di perplessità e incertezza fra gli stessi dirigenti del PCTT, cosa

di cui bisognava tenere conto secondo Cicalini402.

La Segreteria deliberava l’accettazione delle proposte per quanto riguardava

l'indirizzo del lavoro: tutta l’attività dell’Apparato speciale sarebbe passata al

partito del territorio di Trieste che avrebbe dovuto svolgerla nel quadro generale

della sua attività, con un aiuto del PCI qualora si fosse rivelato necessario.

Alla relazione di Cicalini venivano acclusi alcuni allegati che riguardavano

gli incontri avvenuti tra i membri del PCTLT e alcuni dirigenti jugoslavi e titini

del TLT. La prima serie di colloqui coinvolse, tra il dicembre del 1954 ed il

gennaio 1955, Maria Bernetic ed un dirigente titino a Trieste, l'avvocato Joze

Dekleva membro della direzione dell'organizzazione titista O.F., consigliere

comunale a Trieste. La Bernetic era stata incaricata da Vidali di prendere contatti

allo scopo di “conoscere l’orientamento politico dei titini”, l’opinione sulla

normalizzazione dei rapporti tra Urss e Jugoslavia. Dekleva sosteneva la necessità

di seguire la normalizzazione intrapresa con l’Urss anche a Trieste, tramite un

patto elettorale tra titini e cominformisti e il sacrificio tra questi ultimi di Vidali,

“elemento disgregatore”, e della Bernetic, compromessa per il suo lavoro verso la

Jugoslavia. Tutte le questioni apere sarebbero state trattate e risolte con la

Direzione del PCI, col compagno Togliatti e i dirigenti della Lega dei comunisti

jugoslavi. Dette questioni erano state trattate già tra sovietici e jugoslavi. I titini si

dicevano certi che nel giro di un anno o due ci sarebbe stata a Trieste l’unione tra

titini e cominformisti, con l’intervento del Pcus. Togliatti nella relazione della 4a

conferenza nazionale aveva dimostrato di aver accettato i princìpi della nuova

politica sovietica: non ingerenza negli affari interni dei partiti, decentralizzazione,

coesistenza dei popoli, lotta per il socialismo e contro i monopoli. I titini

giudicavano che Trieste avesse perduto ruolo e importanza del passato e fosse

ormai una città provinciale, di conseguenza il movimento rivoluzionario triestino

avrebbe dovuto fare la politica di sacrificare la particella al tutto. Anche l'Italia

402 APC, Fondo M, Mf 117, Relazione Cicalini, 20-1-1955.

Page 179: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

176

avrebbe perduto la sua importanza internazionale, grande importanza invece si

doveva dare al movimento comunista italiano con 7 milioni di voti. Trieste

entrava nell’ingranaggio dello stato italiano, anche il p.c. di Trieste non avrebbe

mantenuto la sua autonomia e Vidali sarebbe stato trasferito a cariche più

importanti403.

Karel Siskovic (Mitko) era stato invece contattato da un funzionario del

Ministero degli Esteri jugoslavo, Pavle Gregorin, che aveva prospettato nuovi

rapporti tra Urss e Jugoslavia su base di “completa uguaglianza e libertà di

critica”. In Italia il governo jugoslavo avrebbe appoggiato le forze socialiste ma

anche PCI, pur non essendo d'accordo con esso su alcune questioni e non

dimenticando “le strigliate di Togliatti ricevute in due occasioni”, mentre

assicuravano di non voler avere a che fare con Cucchi e Magnani. Secondo

Gregorin, non importava a Belgrado che i titini di Trieste e Gorizia “fossero

amici” di Magnani e Cucchi, potevano avere amicizie anche senza consultare

linea di Belgrado. Non avrebbero mai rinunciato all’annessione di Trieste e

Gorizia e prima o dopo ciò sarebbe avvenuto nella prospettiva di un

peggioramento dei rapporti con l'Italia (tuttavia egli riconosceva alla fine della

discussione che Trieste non appartenne mai agli sloveni e da un punto di vista

nazionale l'annessione alla Jugoslavia non sarebbe stata molto giusta). Mitko si

limitava a declinare l’invito per una visita in Jugoslavia, sostenendo al contempo

di non aver mutato idea sulla giustezza delle posizioni sovietiche e del PCI su

Trieste404.

Gregorin tornava a visitare Mitko il venti febbraio, per affrontare i problemi

concreti relativi a “una collaborazione fattiva nell'interesse delle forza socialiste a

Trieste”. Siskovic proponeva l’ incontro dei rappresentanti jugoslavi con

comunisti di Trieste e PCI, poiché il PCTT faceva “parte integrante del PCI”: ma

si sarebbe parlato soltanto di Trieste (eventualmente anche della collaborazione

tra jugoslavi e PCI, lasciava intendere Mitko). Gregorin chiedeva che l'incontro

avvenisse in segreto per evitare che da una fuga di notizie ne risultasse

danneggiata la collaborazione405. La Segreteria del PCI dava l’assenso alla

403 APC, Fondo M, Mf. 117, Rapporto di Marina (M. Bernetic) circa i colloqui avuti con l’avv. Dekleva, dicembre 1954 –gennaio 1955. 404 APC, Fondo M, Mf. 117, Rapporto di Mitko (K. Siskovic) circa il colloquio avuto con Pavle Gregorin, 6-1-1955. 405 APC, Fondo M, Mf. 117, Rapporto di Mitko (K. Siskovic) circa il secondo colloquio avuto con Pavle Gregorin, 20-2-1955.

Page 180: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

177

partecipazione al contatto che veniva proposto, suggerendo però che non gli si

attribuisse troppa importanza406. Si raccomandava anche di chiudere una

polemica iniziata tra Primorski Dnevnik e Delo alcune settimane prima che poteva

portare ad un allontanamento e che ad opinione dello stesso Vidali “non serviva a

niente”407.

Nel mese di febbraio Vidali, mentre si trovava in Unione Sovietica, era stato

convocato alla sede del Comitato centrale del PCUS ove gli veniva chiesto un

parere sull’ipotesi di un ristabilimento dei rapporti tra Mosca e Belgrado e su quali

fossero i problemi da risolvere in tale caso. Vidali diceva di valutare

positivamente il riavvicinamento dei due Paesi, avendo già il PCTT alcuni

rapporti con i comunisti jugoslavi che si sviluppavano positivamente, chiedeva

però un giusto preavviso riguardo all’iniziativa sovietica e poneva la questione dei

prigionieri politici in Jugoslavia. A sua volta Vidali domandava cosa avrebbero

fatto i sovietici in caso di richiesta da parte di Belgrado di annessione di Trieste: i

sovietici rispondevano che l’avrebbero appoggiata, Vidali replicava seccamente: “

noi no, assolutamente no”408.

Nella riunione di Segreteria del 10 marzo 1955 veniva votata

favorevolmente una mozione del PCTT per rivendicare un consiglio territoriale

eletto democraticamente a Trieste409. Vidali aveva proposto la mozione,

premettendo che il Territorio di Trieste non poteva essere inserito in una regione

che rappresentava l’unità politica dello Stato italiano in quanto il Memorandum

d'intesa e il trattato di pace non prevedevano il suo assoggettamento alla sovranità

italiana. Quando ciò sarebbe avvenuto sarebbe stata preferibile la costituzione in

regione autonoma per ragioni politiche e economiche410. La mozione, che il PCTT

avrebbe presentato al Consiglio comunale di Trieste, prevedeva la creazione di un

consiglio territoriale con poteri amministrativi e legislativi e che le sue

deliberazioni fossero soggette a controllo di costituzionalità da parte di un

commissario generale del governo al quale sarebbero stati affidati anche poteri per

provvedimenti di carattere generale e d'ordine pubblico. In caso di annessione del

Territorio di Trieste (T.T.) all'Italia, si proponeva la creazione di un ente

regionale staccato da quello previsto dall’articolo 116 della Costituzione (ovvero 406 APC, Fondo M, Mf. 117, Verbale riunione di Segreteria del 22-2-1955. 407 APC, Fondo M, Mf. 117, Lettera di Vidali alla Segreteria del 20-2-1955. 408 Vidali V., Ritorno alla città senza pace, op. cit., pp. 72-73. 409 APC, Fondo M, Mf. 194, Riunione di Segreteria dl 10-3-1955. 410 APC, Fondo M, Mf. 194, Lettera di Vidali alla Segreteria (con allegata mozione).

Page 181: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

178

il Friuli-Venezia Giulia). Si sarebbe trattato di una regione costituita dal

Territorio di Trieste ed eventualmente dalla provincia di Gorizia qualora lo

avesse richiesto la popolazione di questa città.

Terracini, in un promemoria sulla mozione dei compagni triestini,

considerava corretta la loro impostazione che avrebbe affidato ad un organo

elettivo, cioè il suddetto consiglio territoriale, il compito di elaborare lo Statuto

speciale previsto. Tuttavia, egli suggeriva per il momento di non rivendicare la

formazione di una regione formata soltanto dai territori di Trieste e Gorizia,

poiché ciò avrebbe potuto generare confusione con l’attuale richiesta del PCI di

formazione della regione autonoma del Friuli-Venezia Giulia con Udine e

Gorizia411.

411 APC, Fondo M, Mf 194, Promemoria Terracini su mozione PCTT.

Page 182: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

179

4.3 Il viaggio di Krusciov a Belgrado: “il colpo di bora” Di fronte ad una folla di quarantamila persone nello stadio di Trieste

Togliatti teneva un discorso in cui ricordava le visite compiute nella città negli

anni Venti e poi il viaggio, passando per Trieste, a Belgrado nel 1946 ove aveva

ottenuto da Tito il primo riconoscimento dell’italianità di Trieste e che avrebbe

potuto dar luogo all’inizio di una conversazione per una soluzione più accettabile

del problema di quella inizialmente proposta, ma ciò non era stato possibile

poiché la questione di Trieste fu utilizzata “da entrambe le parti – occorreva

ammetterlo, diceva Togliatti – per acuire le divisioni politiche e nazionali”. Ma

nel 1955 la questione di Trieste non poteva considerarsi ancora risolta, sosteneva

Togliatti, con la crisi economica che colpiva la regione e costringeva molti ad

emigrare all’estero. Trieste sarebbe potuta risorgere divenendo porto franco e città

aperta ai Paesi dell’Europa orientale, primo tra tutti la Jugoslavia, con la quale la

maggior parte dei partiti italiani avevano invece a lungo avuto un atteggiamento

ostile. A tale proposito Togliatti proseguiva così: “Bisogna sostituire a questa politica la comprensione reciproca, una

politica di convivenza e di pace. Noi stessi, comunisti italiani, abbiamo avuto, nel passato, aspri contrasti con gli uomini che hanno diretto e tuttora dirigono il governo e lo Stato jugoslavo; ma noi non abbiamo nessuna intenzione di lasciarci accecare dalle recriminazioni del passato e di esaurirci in queste recriminazioni. Per la soluzione radicale e definitiva dei problemi di Trieste, è necessaria, noi lo sappiamo, la collaborazione tra Italia e Jugoslavia. Ebbene, essa ci deve essere nell’ambito di una politica generale di pace”412.

Il diciannove maggio su l’Unità veniva riportato l’editoriale pubblicato sulla

Pravda circa l’annuncio dell’imminente viaggio di Krusciov, Bulganin e Mikojan

a Belgrado. Il riavvicinamento tra Unione Sovietica e Jugoslavia e il

ristabilimento di normali relazioni tra i due Paesi in tutti i settori, oltre che un

nuovo contributo alla distensione in Europa, erano gli obiettivi dell’incontro

secondo la Pravda413.

La Segreteria del PCI inviava, alla vigilia dell’incontro a Belgrado, un breve

messaggio al Cremlino in cui si diceva: “siamo d'accordo con comunicazione,

eccezionale importanza ristabilimento relazioni normali tra Urss e Jugoslavia.

Qualora a Belgrado si raggiungano condizioni per pubblicazione di tale

comunicato sarà bene sia seguito da articoli esplicativi, necessari particolarmente

412 In una grande manifestazione a Trieste Togliatti rinnova l’appello a lottare per la pace, l’Unità, 3-5-1955. 413 Boffa G., La Pravda sui rapporti fra Urss e Jugoslavia, l’Unità, 19-5-1955.

Page 183: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

180

per quelle zone dove la lotta tra nostro movimento comunista e dirigenti jugoslavi

è stata particolarmente aspra”414. Così su l’Unità Bulganin “condannava la politica

dei blocchi” da Belgrado, mentre Krusciov illustrava “gli importanti successi

dell’iniziativa sovietica di pace”415.

Nella riunione di Direzione del 26 maggio, alla quale partecipava la

Bernetic, venivano trattate le implicazioni della recente firma del Trattato di Stato

con l'Austria, il quale aveva riflessi anche sulla “questione di Jugoslavia” che si

andava discutendo in quei giorni. Si sarebbero probabilmente dovute correggere le

dichiarazioni del 1948 e del 1949416, o soltanto quelle del 1949417, sul titismo: una

collaborazione con la Jugoslavia sarebbe stata possibile, nonostante le divergenze

politiche e ideologiche, tuttavia dopo il convegno di Belgrado sarebbe stato

necessario parlare con Vidali circa i riflessi nel Veneto e nell’Alto Adige e circa il

rapporto con i titini a Trieste.

Il giorno seguente, Vidali chiedeva di vedere l’incaricato dalla segreteria

Pellegrini fuori dal T.T., a Cividale, recandogli il testo di un comunicato sui

lavori del Comitato centrale triestino e tacendo completamente riguardo

all’articolo che sarebbe uscito su Il Lavoratore418. In esso Vidali esprimeva,

d’accordo con il gruppo dirigente del PCTT419, parziale comprensione per

l’autocritica operata da Krusciov a Belgrado ma difendeva contemporaneamente

l’atteggiamento assunto dai comunisti triestini nel 1948. L’iniziativa di Belgrado,

del resto, si inquadrava in un’azione più ampia per la ricerca della distensione

internazionale, ma alcuni avevano visto nel gesto sovietico, commentava Vidali,

“una Canossa”, “un atto di contrizione”, “una vittoria politica e diplomatica del

maresciallo Tito”. Ad ogni modo Vidali ammetteva di non essere d’accordo con

tutto ciò che era compreso nella dichiarazione del compagno Krusciov, sul regime

interno jugoslavo, sull'interpretazione che i dirigenti jugolsavi davano del

marxismo-leninismo e della risoluzione dell'U.I. del 1948. In particolare, quando

si diceva che le relazioni tra Urss e Jugoslavia sarebbero state troncate per l'azione

dei nemici del popolo e agenti dell'imperialismo Beria e Abakumov attraverso

414 APC, Fondo M, Mf. 194, Allegato a Verbale riunione di Segreteria del 7-8 giugno 1955, Risposta della Segreteria ad un comunicato del PCUS su imminente viaggio Krusciov a Belgrado (originale in cirillico), 25-5-1955. 415 Cfr.: L’Unità 26 e 27 maggio 1955. 416 APC, Fondo M, Mf. 195, verbale riunione Segreteria del 26-5-1955, intervento Spano. 417 APC, , Fondo M, Mf.195, verbale riunione Segreteria del 26-5-1955, intervento Longo. 418 APC, Fondo M, Mf. 194, Allegati al verbale della riunione di Segreteria del 7-8-1955. 419 Cfr.: AA.VV., Comunisti a Trieste, op. cit., p. 141.

Page 184: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

181

montature e documenti falsi. La sorpresa dei comunisti triestini per tale

affermazione era stata enorme e aveva scosso il partito “come la bora scuote i

nostri alberi”. Vidali difendeva le posizioni prese nel 1948 come detto: “Tutti sanno che il nostro partito e tutti i democratici triestini italiani e

slavi all'annuncio della risoluzione dell’U.I. manifestarono la loro gratitudine in forma clamorosa ed unanime. Essa rifletteva una situazione che da anni perdurava nel nostro territorio [...] Noi avallammo quella risoluzione nella parte fondamentale con nostri documenti, con nostre sofferenze, con nostre esperienze, senza interventi di un Beria e di agenti dell'imperialismo [...] Ecco perché il C.C. del nostro partito ha approvato sin dal primo momento in merito all'incontro di Belgrado una risoluzione precisa ed in quella pubblicata in questo numero afferma che “i comunisti triestini devono sentirsi fieri della lotta combattuta specialmente in questi ultimi anni per ricostruire il partito sulle basi del marxismo-leninismo-stalinismo e dell'internazionalismo socialista”. Ecco perché essi non sentono il bisogno di rivedere il loro operato il quale, malgrado gli errori, le deficienze e anche le esagerazioni, ha contribuito a circondare il partito della fiducia delle masse lavoratrici [...] Perciò noi non possiamo solidarizzare con la dichiarazione di Krusciov e sebbene siamo profondamente addolorati e dispiaciuti di questa divergenza di giudizio preferiamo esprimere francamente la nostra opinione perché siamo convinti che essa almeno per le nostre esperienze corrisponde alla verità obiettiva. Sia chiaro per tutti che se nel giugno 1948 noi fossimo stati convinti che in Jugoslavia, che nella zona B si praticava il socialismo, il marxismo-leninismo e che a Trieste il nostro partito era retto da uomini, norme e metodi veramente comunisti l'atteggiamento dei comunsti triestini sarebbe stato differente”420.

Le parole di Vidali erano questa volta troppo pesanti per non ricevere un

“richiamo”, pubblico ed immediato, da parte del PCI: su l’Unità Longo definiva la

posizione “errata, dovuta certamente ad un’affrettata e superficiale valutazione dei

fatti e delle parole male riferite e male interpretate”. Forse si poteva trovare una

giustificazione nell’esasperazione della lotta che per anni aveva diviso il

movimento operaio locale, continuava Longo, “d’altra parte nessuno aveva

chiesto o poteva chiedere ai comunisti triestini di sconfessare l’azione che sulla

base dei principi marxisti e leninisti essi avevano sempre condotto per difendere e

rafforzare il movimento operaio e democratico a Trieste”421.

Dopo la convocazione d’urgenza a Roma di Laura Weiss del PCTT e

l’invio di Amadesi “in missione esplorativa” a Trieste422, e nonostante un articolo

420 La dichiarazione del compagno Krusciov ed i compagni triestini, Il Lavoratore, 30-5-1955. 421 Dichiarazioni di Luigi Longo su un articolo del “Lavoratore”, l’Unità, 1-6-1955. 422 APC, Fondo M, Mf. 194, Missione Amadesi a Trieste 2-6 giugno 1955; negli incontri cui partecipò Amadesi in quei giorni affioravano le prime ammissioni da parte dei comunisti del PCTT di essere stati influenzati dall’emozione sollevata dalle prime notizie da Belgrado, ma, a parte ciò, le tesi riportate dall’una e dall’altra parte erano sostanzialmente le stesse ripetute alcuni giorni dopo alla riunione di Segreteria a Roma: non

Page 185: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

182

di parziale smentita di Vidali423, il sette giugno la Segreteria si riuniva, presenti lo

stesso Vidali, Bernetic, Weiss, Siskovic oltre ai più importanti dirigenti del PCI,

per avere “una discussione aperta e approfondita con i compagni triestini allo

scopo di ottenere da questi la ritrattazione completa”424 di ciò che era stato scritto

su Il Lavoratore. Il primo a prendere la parola era Vidali che rivelava, come aveva

fatto qualche giorno prima ad Amadesi a Trieste425, il contatto avuto con i

sovietici ad aprile, in occasione del quale era stato messo in guardia circa

l’intenzione dei titini di “spezzare il PCI” e veniva consigliato di arrivare anche

alla rottura con essi qualora avessero attaccato il PCTT o il PCI. A Trieste si

svolgeva già un’azione comune coi titini, i quali, secondo Vidali, intendevano

conquistare il Comune insieme al PCTT e poi riproporre il problema del

passaggio di Trieste alla Jugoslavia. Riguardo all’incontro di Belgrado il leader

del PCTT ammetteva la possibilità di divergenze coi sovietici.

Giancarlo Pajetta parlava di “grande atto forza dell’Urss”, mentre i

comunisti triestini avevano fatto “il gioco della stampa borghese che cercava di

snaturarlo”: era incomprensibile parlare di “colpo di bora” se esisteva una

collaborazione coi titini, vi era stata “grande presunzione e intemperanza”.

D’Onofrio, Spano e Scoccimarro erano d’accordo sul fatto che ad ogni modo i

compagni triestini, pur godendo del loro particolare regime d’autonomia,

avrebbero dovuto consultare i “fratelli maggiori” del PCI prima di compiere un

passo così importante, che prevedeva addirittura motivi di dissenso con Mosca. I

triestini difendevano nel corso della riunione l’articolo di Vidali, sostenendo che

era apparso evidente ai loro occhi che con l’autocritica di Krusciov si metteva in

discussione la risoluzione del 1948426. Nel secondo giorno di riunione si chiedeva

ai triestini di sottoscrivere una dichiarazione rilasciata da Longo la sera precedente

alla riunione dei quadri romani e dopo un ultimo acceso dibattito in cui si usavano

termini quali “malcostume”, “tradimento”, “doppia faccia”, “presunzione e

è stato pertanto considerato utile qui tenerne conto. 423 Cfr.: Un’intervista del compagno Vidali sui colloqui fra Urss e Jugoslavia, l’Unità, 4-6-1955. Vidali affermava sulle divergenze in atto: “Tutti sanno che è esistita una divergenza di opinioni sull'interpretazione di alcuni passaggi del discorso di Kruscev, interpretazioni da parte nostra che il compagno Longo ha ritenuto affrettate ed errate, ma io credo che si potrà arrivare ad un chiarimento entro brevissimo tempo”. 424 APC, Fondo M, Mf. 194, Verbali riunione 31 maggio (convocazione Weiss a Roma) e 6 giugno( missione Amadesi a Trieste), 1955. 425 APC, Fondo M, Mf. 194, Resoconto di Amadesi sul Comitato esecutivo del PCTT del 2-6-1955. 426 APC, Fondo M, Mf. 194, Verbale riunione Segreteria del 7-6-1955.

Page 186: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

183

strafottenza”, veniva approvato un testo in cui il Comitato centrale del PCTT

riconfermava la sua approvazione e soddisfazione in merito alla politica sovietica

nei riguardi della Jugoslavia, riconoscendo che tale politica era determinata dalla

volontà di contribuire al rafforzamento delle forze della pace nel mondo e del

movimento operaio internazionale. Il C.C. del PCTT riconosceva che le riserve

nell'articolo su Il Lavoratore costituivano “un grave errore determinato da

interpretazione errata e affrettata” a cui si era stati tratti dalla situazione locale

esasperata dalla lotta che aveva diviso per tanti anni il movimento operaio a

Trieste. Il modo con cui si era reagito era contrario a rapporti fraterni e solidali

che dovevano intercorrere tra partiti fratelli soprattutto quando erano in gioco

valori fondamentali della pace e del movimento democratico e operaio

internazionale. I comunisti triestini si impegnavano a sviluppare sulla base dei

principi marxisti-leninisti la politica del p.c. di Trieste, allo scopo di consolidare le

posizioni della classe lavoratrice, di rafforzare l'unità antifascista e democratica e

cementare la fratellanza italo-slava ampliando ancora l’azione e le iniziative già

prese in questo senso427.

In una successiva riunione della Segreteria, stavolta senza i membri del

PCTT, Longo sottolineava come la posizione di Vidali avesse danneggiato il PCI

sia a Trieste che nel Friuli. Allo stesso modo, Pellegrini faceva notare che anche

nel Veneto le ripercussioni erano state forti e ci si interrogava sulla validità della

risoluzione del 1948. Emergeva quindi nel PCI l’importanza di chiarire,

specialmente ai “quadri”, l’importanza politica dell’incontro di Belgrado e

dell’azione svolta dall’Urss per recuperare al campo socialista comunisti e popoli

della Jugoslavia428.

A Trieste invece i maggiori problemi consistevano nel decidere la nuova

politica: la collaborazione coi titini doveva essere sviluppata non solo in campo

sloveno ma in azioni unitarie di diverso tipo, quali manifestazioni e simili

iniziative. Su questo punto vi erano molte riserve e Vidali chiedeva per tale

“svolta molto radicale” la possibilità di una nuovo incontro con membri della

Segreteria del PCI429.

Per tutta l’estate fino ad ottobre del 1955 continuavano da entrambe le parti

le proposte di contatti tra PCJ e PCI e l’invito di delegazioni politiche, di 427 APC, Fondo M, Mf 194, Allegati a riunione Segreteria dell’ 8-6-1955. 428 APC, Fondo M, Mf 195, Verbale riunione Segreteria del 10-6-1955. 429 APC, Fondo M, Mf 194, Lettera di Vidali alla Segreteria del 6-6-1955.

Page 187: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

184

amministrazioni comunali, sindacali, in Jugoslavia430, ma il PCI propendeva per

una tattica attendista, aspettando un invito formale da parte dei dirigenti

jugoslavi431.

A fine anno, sulla questione della rappresentanza politica di Trieste, la

Segreteria proponeva al PCTT di rivolgersi ufficialmente e pubblicamente ai

gruppi parlamentari comunisti chiedendo loro di sollevare la questione, affinché

fosse al più presto presente in parlamento una rappresentanza politica della

popolazione triestina432.

430 APC, Fondo M, Mf 122, Verbali riunioni Segreteria luglio-dicembre 1955; Mf 195, Verbali riunioni Direzione marzo- dicembre 1955. 431 APC, Fondo M, Mf 122, Verbale riunione Segreteria del 17-7-1955, intervento Longo. 432 APC, Fondo M, Mf 122, Verbale riunione Segreteria del 20-12-1955.

Page 188: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

185

4.4 Il V congresso del P.C. di Trieste

A fine settembre si discuteva in Direzione della preparazione delle tesi da

presentare al congresso del PCTT: Togliatti riteneva inopportuno continuare a

parlare del baratto, bisognava concentrarsi sulla situazione attuale, quindi sulla

crisi politica ed economica che investiva la responsabilità del governo e della

classe dirigente triestina. Il PCTT avrebbe dovuto battersi per l’organizzazione di

un’autorità politica eletta democraticamente a Trieste, contro i “disgregatori” che

avversavano la distensione internazionale e contro la stessa politica di Tito.

Togliatti ricordava a Vidali, che appariva titubante nel corso del dibattito, l’utilità

di “fare una polemica come si deve” coi titini433. Vidali ripresentava dunque le

tesi per il futuro congresso, stavolta modificate secondo le indicazioni di Togliatti

e sulla base del dibattito sviluppato a Roma: esse partivano da una considerazione

dell’importanza degli avvenimenti recenti di Vienna (Trattato di Stato) e Belgrado

(incontro Krusciov-Tito) per il rafforzamento della pace in un settore cui Trieste

era interessata come porto dell’Europa centrale. Tuttavia, dopo la soluzione del

problema triestino, a cui, si ricordava, il PCTT era contrario, non vi era stata la

stabilizzazione e normalizzazione delle condizioni di vita sperate e si era invece

approfondita la grave crisi politico-economica. La crisi economica era determinata

dalla perdita dell'intero mercato regionale, dalla posizione eccentrica rispetto al

mercato italiano, dall'estrema vicinanza della frontiera, dal passaggio su territorio

straniero delle ferrovie più economiche per il retroterra, dall'impedimento agli

scambi con una parte importante del retroterra appartenente all'area economica

socialista. Per la ripresa economica era importante dunque il ripristino del libero

transito di merci e persone tra ex zona A ed ex zona B. I comunisti triestini

dovevano intensificare i loro sforzi per realizzare l'unità degli italiani e sloveni e

di tutti i democratici di ogni corrente politica. Era necessario per il partito un più

deciso superamento della sua ancora insufficiente forza numerica, individuando

con maggiore audacia i lavoratori e i democratici disposti a militare nelle nostre

file.

La soluzione data al problema di Trieste col baratto e l'equivoco sul carattere

di provvisorietà o di definitività della situazione, oltre a rendere instabile la vita

economica, aveva profondamente deluso le speranze di tutti coloro che credevano

di vedere soddisfatte le esigenze di democrazia che Trieste ancora attendeva.

433 APC, Fondo M, Mf 136, verbale riunione di Direzione del 29-9-1955.

Page 189: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

186

Sottoposto a regime commissariale, il Territorio di Trieste mancava di ogni

autonomia perché mancava un organismo territoriale democraticamente eletto, in

grado di esercitare il potere legislativo e difendere libertà democratiche contro

l’involuzione reazionaria del governo centrale434. Su tali tesi, in cui Vidali non

eliminava il tema per lui centrale del baratto come chiesto da Togliatti, la

Segreteria poneva dubbi e proponeva un rinvio del congresso “per avere un

dibattito migliore”435.

Il congresso si tenne, in effetti, solo sei mesi più tardi, nell’aprile del 1956,

dopo che le rivelazioni del XX congresso del PCUS avevano sconvolto il mondo

comunista, Vidali compreso che si era recato a Mosca, incontrandovi Togliatti.

Sul suo Diario un resoconto del dialogo avvenuto tra i due:

“A cena parlo con Togliatti di Trieste. Noi triestini diamo studi di una

“indipendenza” che non ha chiari significati né giustificazioni. Ora ci sono dei

pericoli e sarebbe molto meglio far parte del PCI. Togliatti è d’accordo, ma sono i

triestini a dover decidere. Va bene; decideranno dopo le elezioni”436.

Nel V Congresso del PC di Trieste, dunque, i triestini dovettero ancora

attendere per rientrare nel PCI, nonostante i “pericoli” che incombevano, coi titini

nuovamente spavaldi a Trieste, sostenuti dal regime jugoslavo tutt’altro che

isolato a livello internazionale e anzi proiettato, con lo scioglimento del

Cominform e il riconoscimento alla tesi sulla legittimità delle diverse vie al

socialismo, a proporsi alla guida, insieme alla Cina e all’Indonesia, del

Movimento dei Paesi non-allineati.

Si trattava quindi di un “congresso di transizione” in cui Vidali, dopo aver

illustrato nella sua relazione la grave crisi economica che colpiva la sua città a

causa dell’inadeguata politica governativa, salutava “il ristabilimento e il

progressivo rafforzamento delle relazioni tra Jugoslavia e Urss e democrazie

popolari, quale positivo contributo alla distensione internazionale”, così come

salutava il miglioramento delle relazioni fra Italia e Jugoslavia, augurandosi che

queste diventassero sempre più costruttive, che ogni controversia venisse risolta

tramite trattative, poiché la sorte di Trieste era “legata allo sviluppo sociale e

434 APC, Fondo M, Mf 136, Lettera di Vidali alla Segreteria, 5-10-1955. 435 APC, Fondo M, Mf 136, verbale riunione Segreteria del 18-10-1955. 436 Vidali V., Diario del XX Congresso, Trieste, Vangelista ed., 1974, p. 43. Trattasi delle elezioni amministrative.

Page 190: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

187

quindi pacifico dei Paesi vicini”437. Al congresso la delegazione del PCI era

guidata da Scoccimarro che nel suo intervento auspicava che le relazioni fra

Jugoslavia e Paesi socialisti divenissero sempre più strette nella lotta per la pace

ed il socialismo. Riguardo al XX congresso del PCUS, il senatore del PCI

sottolineava come il processo di revisione critica in corso dimostrasse come la

rivoluzione socialista avesse la forza e la capacità di correggere se stessa dalle

insufficienze e dai difetti che via via venivano scoperti438. Nella riunione del

primo giugno del 1956, veniva discussi i contatti avuti con la Lega dei comunisti

jugoslavi, Togliatti parlava dell’invito ad andare in Jugoslavia, dell’ “accoglienza

straordinariamente cortese”, del “tono molto cortese e cordiale”, di come si

sarebbero dovuti organizzare in futuro i rapporti tra i due partiti e delle decisioni

del XX congresso del Pcus. Alla luce dei recenti eventi la posizione migliore era,

secondo Togliatti, quella di favorire la posizione di autonomia degli jugoslavi.

Nella riunione del venti giugno Togliatti rivelava il contenuto del rapporto

Krusciov sul culto della personalità e sullo stalinismo439.

Vidali chiedeva invece che fosse data maggiore attenzione in parlamento da

parte del gruppo comunista alla questione della “zona franca integrale” proposta

per Trieste, dato che si era costituito anche un comitato cittadino per la zona

franca che intendeva presentarsi alle elezioni con il nome di Movimento

economico nazionale440.

In una successiva lettera alla Segreteria, il PCTT poneva la questione della

necessità di un dibattito precongressuale nel PCI sulla costituzione della

federazione autonoma triestina “di cui noi parliamo dal nostro congresso di aprile

e sul quale il nostro partito dovrebbe esprimersi prima del congresso PCI in una

confrenza territoriale” 441. Nel PCTT coesistevano due “correnti”: una parte era

favorevole alla costituzione di una federazione del PCI ma la maggioranza di essi

riteneva che non avrebbe dovuto essere una federazione come le altre ed invece

avere una concreta e ampia autonomia sulla quale si esprimeva l’esigenza di

formulazioni precise.

Si riteneva inoltre che la federazione autonoma avrebbe dovuto poter

437 Aperto il congresso del PC di Trieste, l’Unità, 7-4-1956. 438 I comizi del PCI. Scoccimarro a Trieste, l’Unità, 9-4-1956. 439 APC, Fondo M, Mf 136, verbali Direzione, settembre 1955 – luglio 1956. 440 APC, Fondo M, Mf 125, Lettera di Vidali alla Segreteria del 18-6-1956, verbale riunione Segreteria 23-7-1956. 441 APC, Fondo M, Mf 125, Lettera del PCTT alla Segreteria del PCI, 3-9-1956.

Page 191: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

188

esprimere “un giudizio chiaro e spregiudicato” sulla politica nazionale jugoslava

nella zona B.

L'altra opinione notevolmente diffusa era che, fin tanto che la soluzione del

problema triestino rimaneva giuridicamente qual era, la trasformazione del partito

di Trieste in federazione del PCI sarebbe risultata in vari settori popolari male

accetta mentre essa sarebbe apparsa logica, automatica nel momento di una

ufficiale annessione del territorio di Trieste all'Italia442.

Per quanto riguardava il processo di “destalinizzazione” appena avviato con

il XX Congresso del PCUS ed il “rapporto Krusciov” sul culto della personalità di

Stalin, si discuteva (e si condannava) in Direzione sugli articoli scritti da Vidali in

merito al XX congresso del PCUS e ai rapporti tra sovietici e jugoslavi: Togliatti

conveniva con il leader triestino soltanto sull’ingiustizia delle condanne ai

sostenitori del Comiform443. Per quanto riguardava la possibilità di vie diverse in

direzione del socialismo, Togliatti raccomandava di non insistere sul

policentrismo ma di affermare che il PCI si proponeva di stringere rapporti con gli

altri partiti.

Ad ottobre la delegazione del PCI di ritorno dalla Jugoslavia faceva sapere

che i detenuti politici erano stati liberati, le frontiere erano considerate definitive

da parte del governo jugoslavo, il quale chiedeva anche cosa si potesse fare per

risolvere il problema del partito di Trieste. Vidali aveva lamentato la mancata

comunicazione dell’iniziativa del PCI in Jugoslavia ai compagni triestini e la

presenza, nuovamente, di due partiti comunisti a Trieste444.

442 APC, Fondo M, Mf 125, Lettera del PCTT alla Segreteria del PCI, 3-9-1956. 443 APC, Fondo M, Mf 127, verbale riunione Direzione del 26-9-1956. 444 APC, Fondo M, Mf 127, verbale riunione Direzione del 25-10-1956.

Page 192: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

189

4.5 Il VI Congresso del PC di Trieste: la federazione autonoma triestina

Anche a Roma, ancora nel 1957, vi erano resistenze all’ingresso dei

comunisti triestini nel PCI, poiché ciò si riteneva prematuro non essendo stato

risolto lo stato giuridico del Territorio. L’opinione prevalente era che soltanto

discutendo sulle posizioni del comunismo internazionale e chiarendo le questioni

ideologiche si sarebbe attenuata l’atmosfera e si sarebbe facilitato il rapporto coi

jugoslavi445.

All’interno della Segreteria veniva raggiunto l’accordo nel mese di marzo e

si accettava l’orientamento verso la trasformazione del p.c. triestino in federazione

autonoma446.

Tornava in questo frangente il tema della costituzione della regione

autonoma che avrebbe potuto includere il Territorio di Trieste: il PCI era

favorevole, come la Democrazie Cristiana, all’inclusione di Trieste nella futura

regione. Vidali obiettava che in tal modo si sarebbe proceduto ad una “pura e

semplice annessione”447 del T.T., ma Terracini aveva replicato: “Noi riteniamo che la presentazione stessa del progetto della D.C.

faccia ritenere superato il problema e che anzi lo stesso governo democristiano dando il benestare alla presentazione del progetto di statuto intenda risolvere di fatto il problema politico sul piano amministrativo; che nel T.T. le forze politiche le quali sono contrarie a una soluzione definitiva costituiscono una minoranza esigua; che la Jugoslavia oramai di fatto considera definitiva l'attuale status avendo di fatto annesso il territorio ad essa provvisoriamente assegnato in amministrazione fiduciaria dal Memorandum d'intesa; che il nostro partito nell'attuale condizione non ha nessun interesse ad opporsi alla soluzione adottata dal progetto di statuto”448.

A questo punto, nulla più ostacolava il ritorno dei comunisti

triestini nelle fila del PCI: Vidali presentava il progetto di tesi per il sesto

congresso del P.C. di Trieste in cui spiegava che, pur essendo Trieste parte

integrante dell’economia d’Italia, essa era votata a servire col suo porto un

retroterra internazionale, ma si tentava da parte italiana di bloccare il commercio

con i paesi socialisti danneggiando così il porto e la città. Trieste risultava quindi

essere zona depressa di nuovo tipo. In primo luogo Trieste aveva bisogno di larga

autonomia per darsi soluzioni nel campo economico. Nella regione prevista 445 APC, Fondo M, Mf 130, Verbale riunione Segreteria del 9-2-1957. 446 APC, Fondo M, Mf 130, Verbale riunione Segreteria del 7-3-1957. 447 APC, Fondo M, Mf 130, Incontro tra Vidali, Pellegrini, Terracini e Lizzero su questione regione autonoma, 28-2-1957. 448 APC, Fondo M, Mf 130, Lettera di Terracini (sezione enti locali) alla Segreteria, 7-3-1957.

Page 193: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

190

dall'art. 116 della Costituzione Trieste capoluogo avrebbe dovuto godere di una

sua particolare autonomia in ragione della peculiarità dei suoi problemi. La

cosiddetta zona franca integrale era fondamentale per attirare traffici

internazionali e dare impulso a tutti i settori dell'economia. I comunisti triestini

dovevano, in tale difficile contesto,mantenere la storica collaborazione con il Psi

ma anche allargarla a socialdemocratici e repubblicani e ai lavoratori cattolici che

sentivano l’ esigenza politica di apertura sociale. Esaminata la situazione

economica Vidali affrontava la questione della trasformazione del suo partito in

federazione del PCI:

“Essendo venuta a cessare le condizioni politiche che per oltre un decennio

hanno tenuto organizzativamente separati i comunisti triestini dal PCI e anche in

considerazione dello stretto nesso esistente fra le lotte, gli obiettivi e le prospettive

economiche e politiche dei lavoratori e del popolo di Trieste con quelle dei

lavoratori e del popolo in tutta Italia, i comunisti triestini sono convinti che la

trasformazione del loro partito in federazione autonoma è assolutamente

necessaria e attuale”.

Sul dibattito in campo internazionale tra dirigenti jugoslavi e sovietici,

ritenuto “utile a conseguire maggiore chiarezza ideologica”, Vidali auspicava una

collaborazione sempre più stretta con la Lega dei comunisti jugoslavi. Riguardo

alla via italiana al socialismo, affermava l’importanza del ventesimo congresso del

Pcus al fine di “eliminare dogmatici schematismi”, in tal senso i comunisti

triestini facevano proprie le tesi dell’ottavo congresso del PCI, pur ribadendo il

ruolo guida dell’Urss449.

Se è vero che la totalità dei militanti, italiani e sloveni, faceva propria la

scelta operata dal congresso del P.C. di Trieste di rientrare nel PCI, Claudio Tonel

ci racconta come alcune centinaia di iscritti al partito, nel corso della campagna di

tesseramento alla fine del 1957, rifiutassero la tessera del PCI “perché aveva il

tricolore”, chiedendo in sua vece una tessera rossa450. La Segreteria accordava la

stampa di una tessera particolare per la federazione autonoma triestina di colore

rosso con falce, martello e alabarda451.

449 APC, Fondo M, Mf. 129, Lettera di Vidali del 23-5-1957, allegato a verbale riunione di Segreteria del 31-5-1957. 450 AA.VV., Comunisti a Trieste, op. cit., p. 144. Tonel aggiunge anche che “il fenomeno (del rifiuto delle tessere con tricolore), sia pure in costante decrescendo, è durato ancora un paio d’anni”. 451 APC, Fondo M, Mf. 128, verbali riunioni Segreteria 1-10-1957, 2-11-1957.

Page 194: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

191

A causa della particolare situazione vissuta a Trieste, “la lotta era stata più

aspra che in qualsiasi altra parte”452 e anche per tale motivo i comunisti triestini,

guidati da Vidali, tornarono a Lubiana per incontrare i membri della Lega dei

comunisti sloveni soltanto nel 1962.

452 Vidali V., Ritorno alla città senza pace, op. cit., p. 81.

Page 195: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 196: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 197: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 198: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 199: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 200: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 201: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 202: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 203: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 204: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 205: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 206: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 207: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 208: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 209: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 210: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 211: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 212: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 213: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 214: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 215: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 216: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 217: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 218: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 219: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 220: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 221: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 222: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 223: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 224: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 225: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 226: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 227: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 228: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 229: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 230: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 231: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957
Page 232: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

 

215  

 

Bibliografia  

 

Letteratura citata nel testo

Aga Rossi E,Zaslavsky V., Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, Bologna, Il Mulino, 1997

Agosti A., Storia del Partito comunista italiano : 1921-1991, Roma, Laterza, 1999

Agosti A., Togliatti, Torino, Utet, 1996

Byrnes J., Carte in tavola, Garzanti, Milano, 1948

Caprara M., L'attentato a Togliatti. Il 14 luglio 1948: il Pci tra insurrezione e programma democratico, Marsilio, Venezia, 1978

D'Agata R., La questione di Trieste nella vita politica italiana dalla liberazione al trattato di pace, in "Storia e politica", anno 9, fasc.4., ottobre-dicembre 1970

De Castro D., La questione di Trieste. L'azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, Trieste, edizioni Lint, 1981

De Castro D., Cenni riassuntivi sul problema giuliano nell'ultimo decennio, Bologna, ed. Capelli, 1953

De Castro D., Il problema di Trieste : genesi e sviluppi della questione giuliana in relazione agli avvenimenti internazionali, 1943-1952, Bologna, Cappelli, 1952

De Leonardis M., La diplomazia atlantica e la soluzione del problema di Trieste (1952-1954), Esi, Napoli, 1992

Di Loreto, Togliatti e la 'doppiezza'. Il PCI tra democrazia e insurrezione1944-1949, Il Mulino, Bologna, 1991

Di Nolfo E., Storia delle relazioni internazionali, 1918-1999, ed. Laterza, Bari, 2000

Di Nolfo E., La repubblica delle speranze e degli inganni L'Italia dalla caduta del fascismo al crollo della Democrazia Cristiana, Firenze, Ponte delle Grazie, 1996

Duroselle J., Le conflit de Trieste, Editions de l'Institut de sociologie de l'Université libre de Bruxelles, 1966

Galeazzi M. , Togliatti e Tito: tra identità nazionale e internazionalismo, Roma, Carocci, 2005

Galeazzi M. (a cura di), Roma-Belgrado, gli anni della Guerra Fredda, Longo, Ravenna,1995

Page 233: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

 

216  

 

Gibjanskij L., Mosca, il PCI e la questione di Trieste (1943-1948), in Dagli archivi di Mosca, L’URSS, il Cominform e il PCI 1943-1951, a cura di F.GORI e S.PONS, Roma, Carocci,1998

Gori. F e Pons S. (a cura di), Dagli archivi di Mosca, L’URSS, il Cominform e il PCI 1943-1951, Roma, Carocci,1998

Gozzini G. e Martinelli R., Storia del Partito comunista italiano, vol. VII, Dall'attentato a Togliatti all'VIII congresso, Torino, Einaudi,1998

Gualtieri R., Togliatti e la politica estera italiana. Dalla Resistenza al trattato di pace 1943-1947, Roma, Editori Riuniti, 1995

Mammarella G., Il Partito comunista italiano 1945/1975 dalla Liberazione al compromesso storico, Firenze, Vallecchi, 1976

Martinelli R., Storia del Partito comunista italiano, vol. VI, Il 'partito nuovo' dalla Liberazione al 18 aprile, Einaudi, Torino, 1995

Pirjevec J., Tito Stalin e l'Occidente, Trieste, 1990

Pons S., Una sfida mancata: l'Urss, il Cominform e il Pci (1947-48), in F. Gori e S. Pons (a cura di), Dagli archivi di Mosca: l'Urss, il Cominform e il Pci, Carocci editore, Roma, 1995

Pupo R., Guerra e dopoguerra al confine orientale d'Italia (1938-1956), Udine, Del Bianco Editore, 1999

Pupo R., Fra Italia e Jugoslavia. Saggi sulla questione di Trieste (1945-1954), Udine, Del Bianco Editore, 1989

Reale E., Nascita del Cominform, Milano, Arnoldo Mondadori Ed, 1958

Riva V., Oro da Mosca : i finanziamenti sovietici al PCI dalla rivoluzione d'ottobre al crollo dell'URSS, Milano, Mondadori, 2002,

Seniga G., Togliatti e Stalin: contributo alla biografia del segretario del PCI, Milano, Sugar, 1961

Spriano P., Storia del Partito comunista italiano, V vol., La Resistenza. Togliatti e il partito nuovo, Einaudi, Torino, 1975

Tonel C.(a cura di), Comunisti a Trieste - Un’identità difficile, Roma, Editori Riuniti, 1983

Tonel C.(a cura di), Dalla Liberazione agli anni‘80. Trieste come problema nazionale, Roma, Salemi editore, 1984

Tonel C.(a cura di), Storia e attualità di Trieste nella riflessione dei comunisti, Roma, Salemi editore,1985

Valdevit G., Il dilemma di Trieste. Guerra e dopoguerra in uno scenario europeo, Editrice Goriziana, 1999

Page 234: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

 

217  

 

Valdevit G., La questione di Trieste 1941-1954: politica internazionale e contesto locale, Milano, Angeli, 1986

Vidali V., Ritono alla città senza pace, Trieste, Vangelista, 1982

Vidali V., Diario del XX Congresso, Trieste, Vangelista ed., 1974

Zuccari M., Il Pci e la “scomunica” del '48. Una questione di principio, in F. Gori e S. Pons (a cura di), Dagli archivi di Mosca: l'Urss, il Cominform e il Pci, Carocci editore, Roma, 1995

Zuccari M., Il dito nella piaga: Togliatti e il PCI nella rottura tra Tito e Stalin. 1944-57, Milano, Mursia, 2008  

 

Fonti a stampa

Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) a cura di, Annuario di politica internazionale, anno 1951, Milano, ed. Idos

Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) a cura di, Annuario di politica internazionale, anno 1952 , Milano, ed. Idos

Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) a cura di, Annuario di politica internazionale, anno 1953, Milano, ed. Idos

Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) a cura di, Annuario di politica internazionale, anno 1954, Milano, ed. Idos

L'Unità (1945-1957)

Vie Nuove (1946-54)

Rinascita (1946-1954)

Il Lavoratore (1946-50)

Atti Parlamentari

Atti parlamentari, seduta dell'Assemblea costituente del 19 febbraio 1946

Atti parlamentari, seduta dell'Assemblea Costituente del 22 luglio 1946

Atti parlamentari, seduta dell' Assemblea costituente del 13 febbraio 1947

Atti parlamentari, seduta dell' Assemblea costituente del 20 giugno 1947

Atti parlamentari, seduta dell'Assemblea Costituente del 23 luglio1947

Atti parlamentari, seduta dell'Assemblea costituente del 29 luglio 1947

Page 235: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

 

218  

 

Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 2 dicembre 1948

Atti Parlamentari, seduta alla Camera dei Deputati seduta del 12 marzo 1949

Atti Parlamentari, seduta alla Camera dei Deputati del 14 luglio 1949

Atti parlamentari, Seduta Camera dei Deputati del 22 aprile 1950.

Atti Parlamentari, Seduta del Senato della Repubblica del 24 maggio 1950

Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 2 agosto 1951

Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 3 agosto 1951

Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 9 ottobre 1951

Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 10 ottobre 1951

Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 31 gennaio 1952

Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 21 marzo 1952

Atti Parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 17 ottobre 1952

Atti Parlamentari, seduta del Senato della Repubblica, del 22 agosto 1953

Atti Parlamentari, seduta del Senato della Repubblica, e del 24 agosto 1953

Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati dell’1 ottobre 1953

Atti parlamentari, seduta (pom.) della Camera dei Deputati del 21 settembre 53

Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 6 ottobre 1953

Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 9 ottobre 1953

Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 16novembre153

Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 18 ottobre 1953

Atti Parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 26 gennaio 1954

Atti parlamentari, seduta della Camera dei deputati del 18 febbraio 1954

Atti parlamentari, seduta(pom.) del Senato della Repubblica del 18 febbraio 1954

Archivio del Partito Comunista Italiano (Fondazione Istituto Gramsci) , Fondo Mosca:

APC, Verbali del Cc, 18/19-IX-1946, f.3/3, mf 181

APC, Verbali Cc, Riunione del 18-19 novembre 1946, pp. 20-25

APC, Verbali di Segreteria, Riunione 23 gennaio 1947, mf 268

Page 236: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

 

219  

 

APC, Verbali C.c., Riunione 1-4 luglio 1947, pp. 54-57

APC, Verbali di Segreteria, mf 268

APC, Lettera della Direzione al Pcrg di Gorizia, Monfalcone e Gradisca, del 22 maggio 1947, mf 268

APC, Lettera di Vidali inviata da Pratolongo alla Segreteria il 29 maggio 1947, mf. 269

APC, Verbale della federazione del Pci di Gorizia 15-16 giugno 1947, mf. 247

APC, Verbali Direzione, Riunione del 25 ottobre 1947, mf.272

APC, Verbali Comitato centrale, riunione del 11-13 novembre 1947, mf 276

APC, Verbali Segreteria, 28 gennaio 1948, mf 278

APC, Verbali della Direzione, riunione del 28 giugno 1948, mf 199, p. 1-15

APC, Verbali della Direzione, 8-9 luglio 1948, mf 199

APC, Verbali della Segreteria, 7 luglio 1948, mf. 278

APC, Verbali Segreteria, mf 278, 27 settembre 1948

APC, Fondo M, MF 218, Relazione di Ravagnan (Sezione Governo Enti Locali) alla Segreteria sulla visita al PCTLT dal 15 al 20 aprile 1952

APC, Fondo M, Mf 262, Verbali del CC 20-22 giugno 1952

APC, Fondo M, Mf 189, Verbali del CC dell’11-12 novembre 1952

APC, Fondo M, Mf 131, Verbale di segreteria del 18-9-1953

APC, Fondo M, Mf 165,Verbale riunione di segreteria del 22-9-1953

APC, Fondo M, Mf 165, Verbale Riunione di Segreteria del 9-10-1953

APC, Fondo M, Mf 165, Verbale riunione di Segreteria del 5-11-1953

APC, Fondo M, MF 132, Verbale Comitato Centrale del 6-12-1953

APC, Fondo M, Mf 131, Verbale Riunione di Direzione del 25-1-1954

APC, Fondo M, Mf 131, Verbali di Direzione, febbraio 1954

APC, Fondo M, MF 165, Nota per la Segreteria, 19 febbraio 54

APC, Fondo M, Mf 131, Verbale Riunione di Direzione, 29 aprile 1954

APC, Fondo M, Mf 165, Lettera di Vidali alla Segreteria del 24-4-1954; Verbale di riunione Segreteria del 4-5-1954, in cui si dava l’assenso all’iniziativa

Page 237: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

 

220  

 

APC, Fondo, Mf 116, Lettera di Vidali alla Segreteria del 30 -9-1954, Verbale riunione di Segreteria del 4-10-1954

APC, Fondo M, Mf 117, Relazione di Cicalini alla Segreteria sul lavoro svolto in direzione della Jugoslavia, 20-1-1955

APC, Fondo M, Mf 117, Verbale riunione di Segreteria del 22-2-1955

APC, Fondo M, Mf 194, Riunione di Segreteria dl 10-3-1955

APC, Fondo M, Mf 194, Allegato a Verbale riunione di Segreteria del 7-8 giugno 1955, Risposta della Segreteria ad un comunicato del PCUS su imminente viaggio Krusciov a Belgrado (originale in cirillico), 25-5-1955

APC, Fondo M, Mf 195, verbale riunione Segreteria del 26-5-1955

APC, Fondo M, Mf 195, Verbale riunione Segreteria del 10-6-1955

APC, Fondo M, Mf 122, Verbali riunioni Segreteria luglio-dicembre 1955

APC, Fondo M, Mf 136, verbale riunione di Direzione del 29-9-1955

APC, Fondo M, Mf 125, Lettera di Vidali alla Segreteria del 18-6-1956, verbale riunione Segreteria 23-7-1956

APC, Fondo M, Mf 127, verbale riunione Direzione del 26-9-1956

APC, Fondo M, Mf 130, Verbale riunione Segreteria del 9-2-1957

APC, Fondo M, Mf 129, Lettera di Vidali del 23-5-1957, allegato a verbale riunione di Segreteria del 31-5-1957

APC, Fondo M, Mf 128, verbali riunioni Segreteria 1-10-1957, 2-11-1957

APC, Ufficio Informazioni del Pci a Trieste:

- APC, Ufficio Informazioni del Pci a Trieste, mf. 96

- Ufficio Informazioni del Pci a Trieste, note di Pratolongo del 17 luglio 1946, mf. 96.

- Lettera di Pratolongo alla Segreteria del 10 agosto 1946, mf. 96.

- Appunto di Togliatti per Longo del 5 settembre 1946, mf. 96.

- Lettera di Pratolongo a Togliatti del 12 ottobre 1946, mf. 96.

- Direttive della Direzione sull'emigrazione giuliana e da Pola del 15 febbraio 1947, mf. 134

Page 238: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

 

221  

 

Archivio Partito Comunista (APC), Fondo Togliatti:

- Carte della Scrivania, mf. 0450

- Carte della Scrivania, mf. 0318, p. 6

- Carte della scrivania, mf. 1164, pp. 12-13

- Carte Ferri-Amadesi

- Carte della scrivania, Verbale del Comitato Centrale del PCTLT del 9-10 ottobre 1954

Archivio Partito Comunista (APC), Materiale PCTLT:

APC, Fondo M, Mf 98, PCTLT, Congresso costitutivo 31 agosto – 2 settembre 1947

APC, Fondo M, Mf 98, PCTLT, Congresso straordinario 21-23 agosto 1948

APC, Materiali Kominform:

APC, Materiali Kominform, mf 192, p.0269.

APC, Materiali Cominform, mf.192, lettera di Stalin al compagno Gottwald (copia al compagno Togliatti), 14 luglio 1948.

Documenti Diplomatici Italiani - Serie Affari Politici 1950-1957

Busta 216, Telespresso (Tls) n. 252/57 Rappresentanza Italiana Trieste - Augusto Castellani a MAE DGAP - Francesco Lo Faro, 14 gen 1949, su elezioni amministrative a Trieste, posizioni dei diversi partiti politici locali.

B. 215, Tls n. 3324, Rapp. It. Trieste a Pres. Cons. Ministri – Ufficio zone di confine, MAE, 21/05/1949.

B. 216, Promemoria di Castellani (4 maggio 1949) a Lo Faro inviato anche a Innocenti (Uff. Zone di Confine) su quadro schieramento elettorale partiti locali, 5 maggio 1949

B. 216, Tls n. 3312/637 del 21 maggio 1949

B. 510, Tls n. 4193/182 del 18 maggio 1949

B. 216, Tls n. 1619/805, Legazione d'Italia Belgrado a Mae, 30 giugno 1949: elezioni a Trieste, Jugoslavia e Cominform

Tls n. 1699/833, Legazione d'Italia Belgrado a Mae, 5 luglio 1949, commenti ufficiali in zona B.

Page 239: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

 

222  

 

B. 216, Tls n. 1699/833.

B. 214, Telegramma (Tlg) n. 5923/C del 12/07/1949, Min. Sforza a Londra, Washington, Parigi, Belgrado (Declassificato a non classificato ai sensi dell'Ods n. 43-2006 del 9-11-2006).

B. 214, Tls n. 15/139, DGAP IV a Londra, Parigi, Mosca, Belgrado del 18/07/1949: dichiarazione di Tito a Pola e atteggiamento russo.

B. 214, Tlg n. 5870, Sforza a Londra e Parigi, 10/07/1949.

Tls n. 4154/803, Rapp. It. Trieste a MAE, 7/7/49: cambio moneta in zona B, commenti stampa cominformista.

B. 244, Rapporto segreto dell'ambasciatore a Washington Tarchiani al Min. Sforza del 13/12/1949 sui colloqui Bebler-Acheson.

B. 244, Rapporto segreto n. 1477, Min. Sforza a Tarchiani, 29/12/1949: intese economiche e sociali con Jugoslavia se possibile accordo per TLT.

B. 244, Rapporto segreto n. 200/123, Sforza a Tarchiani, 10/01/1950: dipartimento di Stato, Cavendish Cannon.

B. 244, Rapporto segreto n. 1751/926, Tarchiani a Sforza, 16/2/1950: contatti con Dip. di Stato per Trieste.

B. 650, Tls 1057/336, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 25/03/1953: proposta di Vidali e mozione del PSVG sulla questione di Trieste

B. 650, Tls 792/254, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 09/03/1953: congresso del PCTLT

B. 650, Tls 2622, Ufficio Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 18/7/1953: proposta dell’Intersoc per il TLT

B. 650, Tls 1180, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 03/04/1953: tentativi di scissione nel PCTLT

B. 650, Tls 5550, DGAP VI a amb. Messico, 24/4/1953: attività comunista in America Latina – Vidali

B. 650, Tls 1216/428, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 13/04/1953: Giornale di Trieste su Vidali

B. 650, Tls 5373, DGAP IV a amb. Londra, Mosca, Parigi, Washington, del 21/04/1953: “Discorso a Vidali” del Giornale di Trieste, risposta de l’Unità

B. 650, Tls 1316/428, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 16/04/1953: risposta di Vidali al Giornale di Trieste

Page 240: Stefano Fontana - Il PCI e la questione di Trieste 1946-1957

 

223  

 

B. 650, Tls 5913, DGAP IV a amb. Londra, Mosca, Parigi, Washington, del 2/5/1953: “Discorso a Vidali” del Giornale di Trieste

B. 632, Tls 4202/1396 Ufficio Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff zone di confine, 1/12/1953: colloquio con Vidali e Teiner

B. 632, Tlg 15162 amb Mosca a Mae 7/12/1953: articolo Pravda “Chi ostacola soluzione questione Trieste”

B. 632,Tls 14/I5513 DGAP IV a amb. Ankara, Atene, Londra, Parigi, Washington 7/12/1953: Trieste – stampa sovietica

B. 632, Tls 15489 DGAP IV a amb. Londra, Parigi, Washington 5/12/1953: atteggiamento sovietico su Trieste

B. 632, Tlg 1059 amb. Washington a Mae 1-12-1953: Tito aggressivo dopo morte Stalin perché di nuovo accordatosi con Urss