stArt_05

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Bimestrale di arte e cultura - Anno 1 num. 5 - Distribuzione gratuita

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EDITORE Associazione di Promozione Sociale “Muretti a secco” Via Canale D’Alonzo, 15 Gravina in P. (Ba) [email protected]

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DIRETTORE RESPONSABILEMario Barbarisi

ART DIRECTOR Manuela Coluccino

stARTRegistrazione del Tribunale di Bari n° 10 del 22/03/2011Num. R.G. 820/2011Tiratura 5000 copie

EDITORE Associazione di Promozione Sociale“Muretti a secco”Via Canale D’Alonzo, 15 Gravina in P. (Ba)[email protected]

PROGETTO GRAFICOe IMPAGINAZIONEManuela [email protected]

HANNO COLLABORATOCosmo Mario Andriani, Michele Ardito, Umberto Binetti, Marisa Carlucci, Arcangela Cicolecchia, Paolo Direnzo, Teresa Fiengo, Vito Antonio Loprieno, Michele Marrulli, Mario Pace.

PUBBLICITÁMandea graphic&webwww.mandea.it

COPERTINADipinto in copertina di Michele ArditoL’Abitudinario, 2007

STAMPAEurografica di Michele CataldiVia Don S. Valerio, 8 - Gravina in P. (Ba)Tel. 080 3262727www.tipografiaeurografica.it

La partecipazione a stART è assolutamente GRATUITA La scelta di pubblicare o meno il materiale pervenuto rimane ad insindacabile giu-dizio dell’editore, il quale si riserva di non pubblicarlo, di pubblicarne solo una parte e/o di farlo in un numero a propria scelta. L’editore si riserva, comunque, il diritto di impaginare il materiale all’interno della struttura grafica e della gabbia d’impa-ginazione della rivista e di modificare la qualità delle immagini per permetterne la corretta visualizzazione e prestazione.

L’italiano, lingua tra le più affasci-nanti e complesse del pianeta Ter-ra, dà al termine Tempo, numerosi significati e sfumature.Lo scorrere dei minuti, dei secondi, degli anni; il tempo metereologico con il suo susseguirsi delle stagio-ni e quindi fortemente correlato al trascorrere dei giorni ed inevitabil-mente parente stretto del primo menzionato; il tempo inteso come ritmo, successione di accenti, spo-stamento degli stessi in un deter-minato spazio (battute, movimen-ti, etc.), anche quest’ultimo viene incastonato nel primo, in quan-to deve svilupparsi in un determi-nato arco di tempo. Ce ne sareb-bero moltissimi altri di significati, ma tutti in ogni caso sono sempre correlati agli altri. Pensateci! È for-se proprio per questo motivo, per la sua natura interscambiabile, che i Padri della nostra lingua, in una sorta di sottomissione e adorazio-ne del dio Tempo, hanno voluto

che quest’ultimo fosse slegato da qualsiasi rigida definizione e assu-messe il significato più consono a seconda del contesto, in quanto l’umanizzazione dello stesso, at-traverso una semplice definizione, non sarebbe stata adeguata ad un concetto che è al di sopra e al di là dell’uomo.E poi il sogno dell’essere umano: viaggiare nel tempo. Come si fa? In che modo? La risposta sta nel termine stesso che ne è il mezzo. Ad esempio, il sole che noi vedia-mo è ciò che la nostra stella era 8 minuti prima (tanto è il tempo che la luce impiega per arrivare sulla Terra) e quello che noi guardiamo è in realtà il passato.Lo scorrere degli anni sui nostri corpi, le rughe, i capelli bianchi non sono il risultato del trascorre-re del tempo su noi stessi?Il tempo è l’unica forma che ha in sè domanda e risposta, azione e conseguenza, realtà e finzione.

di Francesco Sossio Sacchetti

Anno 1 num. 5 - Gen/Feb 2012

TeatroIl tempo teatrale

6LetteraturaNodo Gordiano

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AgronomiaI Patriarchi

della natura12MusicaA tempo di musica

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LetteraturaIl mare di lato

10ComunicazioneConcezione del Tempo

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PoesiaIl rito... della vita

8CinemaIl “ritmo” dei film

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PitturaSe non c’è Tempo...

4FotografiaFotografia e sistema

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Quando sono arrivato qui la pri-ma volta c’era solo un deserto, e neanche tanto interessante. Non ero il benvenuto. Consi-derato come un tiranno, non ho ricevuto una degna acco-glienza, certo degna della mia natura. Quelli che avrei dovuto gestire, dominare, controlla-re ed evolvere, hanno iniziato a parlare tra sè, male, ad odi-armi in segreto, a coalizzarsi e decidere come farmi torna-re indietro. Era una missione complessa, ero giunto per un disegno ben preciso ed ir-revocabile, mandato da un indefinibile e sconosciuto siste-ma di cose. All’epoca c’era solo polvere immobile, pezzi di terra fredda e pietre senza colori, un albero fermo ed un corvo con-gelato dall’eternità, dei bambini fermi, cavalli capovolti e muc-

che appoggiate su di un fianco. Miei cari lettori, non sono paz-zo, non vi sto parlando di una scultura e neanche di morti sur-gelati.

Il luogo che vi descrivo, il mio nuovo luogo di lavoro, era fermo ed io sono il Tempo.

Sono stato mandato qui per far vivere la vita che abitava senza esistere

(in mia assenza). Alberi, cavalli e bambini, pie-tre, terreno e mucche, farfalle, violette e corvi, non avevano nostalgie senza di me, poiché non avevano ricordi. Sono stato duro, ma non avevo alternativa. Per prima cosa ho dovuto inse-gnargli a morire. Li ho amati ed

abbracciati, mi sono avvolto alle loro esistenze ed ho cominciato a farli ruotare in una meravi-gliosa girandola trasformista, il cui brio ha tolto loro il pensie-ro funesto. Pian piano la terra intorno all’albero cominciava a gonfiarsi ed il castagno ad ingi-gantirsi ed arricchire le proprie fronde, ed in questo movimen-to, di cui sono l’autore, i merli spiccavano il volo. Ora è co-sì come lo conoscete, il mondo, stanco ed ingiusto, ma l’unica speranza perché non si suggelli in questa Era irrespirabile sono io ed il mio talento di trasfor-matore. E poi, quando proprio non ce la farete, potete sempre scartare quel regalo meraviglioso che vi feci milioni di anni orsono: i ricordi.

Se non c’è Tempo......non c’era Tempo.

Pitturadi Michele Ardito - Pittore e Video Artist

Pittura

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Mi conoscono tutti, c’è chi mi apprezza e chi no, c’è chi mi ac-cusa d’esser lento e m’invita all’affanno, chi vuol rallentar-mi, chi mi chiede il turbo, chi con le ali e chi lascia che gli sci-voli addosso silenziosamente. Il desiderio dei vecchi è che ca-pitolassi all’indietro, i carcerati mi darebbero fuoco, i depressi mi guardano pietosi. In metro-politana non si accontentano mai di quello che faccio e mi rincorrono impazziti. Ogni co-sa si consuma, si trasforma e muore, rinascendo differente.Non vi ho uccisi, costringendo-vi alla condizione della morte, semplicemente vi ho spinti a cambiare, poichè il cambiamen-to è l’esistenza stessa ed io l’ho suggellata nelle vostre vite.

In basso: disegni che sequen-ziano il video EGLI (di Michele Ardito, rdr). Tutti rappresentano il tempo che scorre, che ci cambia

e ci trasforma, rende ampio quel contenitore della nostra vita, aggiunge idee e sensazioni ogni volta nuove, che ci permettono di

essere incoerenti e cambiare idea sulle cose (se siamo intelligenti)... di solito chi non cambia mai opinione su nulla non lo è!

Michele Ardito - Dettaglio dell’opera “i sensi di colpa” olio su tela, 40x50cm.

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Teatro

Se il tempo, nella sua accezione generale defi nisce un periodo o percorso cronometrabile, il rit-mo teatrale, s’interessa partico-larmente di quel tragitto artisti-co/temporale che, attori, dan-zatori, tecnici della scenogra-fi a, musicisti, perfi no costumisti, devono avere nella stesura di un evento performativo.Chi, da tempo, segue le mie evoluzioni artistiche sa perfet-tamente come il mio teatro sia espressamente legato all’uso della “voce del corpo” e al “cor-po della voce”. Per essere anco-ra più chiari alla presenza, nello spazio teatrale, di uno o più at-tori abili a comunicare in modo totale (corpo e voce) il messag-gio artistico che s’intende tra-smettere.Un lavoro complesso specie quando, sulla scena, agiscono più personaggi che costringono il pubblico a pilotare la propria attenzione non sulla scena nella

sua completezza ma a incanala-re la loro concentrazione maga-ri su uno o due degli attori.In questa metodologia, tipi-ca del teatro di ricerca e di spe-rimentazione, il ritmo o tempo teatrale diviene elemen-to determinante per la riuscita della performance.Giova, a que-sto punto un esempio chiarifi -catore.Nello spazio sce-nico vi sono da un lato un attore/attri-ce che racconta una storia, magari confi -da segreti della pro-pria vita.Dalla parte opposta vi so-no degli altri attori che, in contemporanea parlano o agiscono tra di loro.Il racconto/testimonianza inter-rompe l’azione complessiva.

Cosa accade? E come fare in modo che, pur nella libera scel-ta dello spettatore che si sentirà più attratto dalle

Spesso, quando si parla di tempo teatrale, si fa riferimento a quello che è definito “ritmo”.

Teatro

Il tempo teatrale

di Umberto Binetti - Attore e Regista

Umberto BinettiAttore e regista dal 1974. È il direttore artistico e pedago-go di QUARTA IPOTESI – Perfor-ming Arts Center uno dei gruppi storici del teatro di sperimenta-zione italiano.

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azioni complessive del grup-po e non dall’attore/attrice mo-nologante o viceversa, la scena complessiva abbia un tempo/ritmo capace di coinvolgere l’in-tero pubblico?Bene. Tutto è nel tempo/ritmo. Nella musica di sottofondo che per esempio, accompagnava la scena e che, improvvisamen-te, zittisce; o da movimenti del gruppo che repentinamente di-minuiscono d’intensità; o da un cambio di luci che pone in mag-giore visibilità l’attore/attrice monologante. E, su tutto, un’improvvisa pau-sa, un silenzio, magari di brevis-simo tempo, che interrompe il fl usso complessivo della scena.Una pausa che, come tutti i mu-sicisti sanno, altro non è che parte di uno spartito musicale.Il tempo diventa elemento de-terminante.

Sbagliare i tempi è come un’improvvisa

stortura in un brano musicale.

È come un percussionista che, preso da improvvisa pazzia, de-cide di inventarsi un assolo nel bel mezzo di un brano presta-bilito.

Concludendo mi verrebbe da dire che per acquisire le

tecnologie attoriali di tem-po ce n’è.Per capire cosa sia, invece, il ritmo/tempo nel teatro bisogna fare in fretta, al-trimenti il lavoro a venire

potrebbe fi nire per esse-re inutile.

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VITA Doloresvalutato...a semplice abusodei metri.Abisso realedi speranza fortuita,strappata malinconiadai tempi inesauribili.Versareversi, come lacrimesu rocciaavida d’ombre,e ad ogni passonutriredi rarefatto amorerigagnoli di sangueaffannato.E svuotarsi,in sogni iridatidi formedisidratarsial liquido suonodel mondo,nell’infinito bisognod’amarti,conchiglia di mare,vellutato specchiodell’essere mio,da troppo tempooramai solitaria,totale presenzadi giornisolamente vissutia cercarti.di Cosmo Mario Andriani

IL RITO Tra me e mio padre c’è una porta. Tra me e mio padre c’è una porta chiusa a chiave. Spio la sua vita da una serratura onirica. Lo vedo camminare col suo abito più elegante con passo sicuro e frettoloso.Il caos del suo inconscio mi ghiaccia. Mi percepisce. Si volge assicurandosi della mia presenza nel mondo,e che la mia presenza nel mondo sia ricordata. Rifletto in una pozzanghera,incontro me trent’anni fa e severa mi chiede il perché del mio ritorno. Dalle mie viscere risalgono i pesanti calori di reminiscenze infantili, fatte del profumo di buccia d’arancia bruciata sulla stufa a carbone della casa paterna, e la musica della banda del paese nei giorni di festa. Il cappello di mio nonno poggiato sul banco del barbiere. Le bolle di sapone. I cani randagi affamati dietro le vetrine delle sale da tè. Le castagne della nonna all’angolo della piazza. Il fotografo con la polaroid.Autunno prende per mano Infanzia riportandola nella pozzanghera.di Arcangela Cicolecchia

Poesia

Pensieri, aforismi e parole.

Poesia

Il rito... della vita

Che strano, tutti parlano del tempo, ma nessuno fa niente per cambiarlo. Mark Twain

Alla sapienza non si può nuocere; il tempo non la cancella; nessuna cosa la può sminuire. Seneca

Anche per il pensiero c’è un tempo per arare e un tempo per mietere. Ludwig Wittgenstein

Chi tempo ha e tempo aspetta, perde l’amico e denari non ha mai. Leonardo Da Vinci

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Lo stage è rivolto anche a chi non ha mai avuto esperienze nel settore dello spet-tacolo. Il progetto è fi nalizzato - attra-verso uno specifi co tragitto laboratoriale - alla realizzazione di un evento teatrale riveniente da un testo drammaturgico predefi nito. L’intero progetto prevede tre distinti moduli/momenti di lavoro tra di loro interdipendenti:

● Training ●Nel training si lavorerà essenzialmente su metodologie fi nalizzate ad incanalare tutta l’energia espressa dal corpo/attore, senza che essa si disperdi e non riesca ad ottenere l’elemento essenziale del nostro lavoro: l’attenzione dello spettatore.

● Le prove ●Questa fase è fi nalizzata essenzialmente alla costruzione di una struttura: la crea-zione cioè di “paletti” (limitazioni) al lavo-ro energetico prodotto dal training. Il testo drammaturgico incomincia ad ave-re una specifi ca collocazione nel tragitto laboratoriale.

● Lo spettacolo ●L’uso dello spazio creativo e lo studio del sottotesto sono il nucleo centrale di que-sta fase. Nel nostro “fare spettacolo” l’idea dello spettatore viene posta al centro dell’attenzione. Egli non è un osservatore.Egli è, o meglio diviene, nell’evoluzione dello spettacolo e per la capacità dell’at-tore di trasmettere, un attore (player) potenziale.

Il corso sarà tenuto dal M° Umberto Binetti. Attore e regista dal 1974. Allievo di Eugenio Barba e direttore artistico di QUARTA IPOTESI - Per-forming Arts Center, uno dei gruppi storici del teatro di ricerca italiano. Dal 1980 ad oggi ha curato oltre 80 stage di formazione attoriale e la regia di 28 eventi teatrali.

LuogoGravina in Puglia (Ba)presso la sede ARCI Muretti a seccoin Via C. D’Alonzo,13

Durata4 ore settimanali per 2 mesi (32 ore)

PeriodoMarzo-Aprile 2011

Costo75 € al mese

Info e modalità di iscrizione:www.arcimurettiasecco.it/qi

Quanti ImprobabiliStage di formazione

parateatrale

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di Vito Antonio Loprieno - Scrittore

“Il passato rivive ogni giorno per-ché non è mai passato.” Così recita un antico proverbio africano. Di quell’Africa, a sud del mondo, da cui tutti siamo venuti. Ed in eff etti il passato non ci lascia mai. Lo portiamo dentro di noi, sempre, anche se molto spesso lo disconosciamo, illudendoci del futuro. Rinnega-re il passato signifi ca rinnegare noi stessi, la nostra storia, la no-stra cultura, le nostre tradizioni, le nostre frustrazioni, le nostre conquiste.Ed è per questo che amo rac-contare romanzi storici della bellissima terra, a sud dell’Euro-pa. Un altro sud. Lo stesso sud.Il mare di lato, il mio nuovo lavo-ro, vuole essere proprio questo, una testimonianza di quello che il mare nel novecento ha rap-presentato per noi pugliesi.

Due anziani, nuovi amici, rileggono

attraverso lo scorrere del tempo le vicissitudini

che hanno coinvolto i pescatori dell’Adriatico,

dal fascismo, passando per la seconda guerra mondiale, si-no all’emigrazione sulle coste pugliesi di albanesi e nordafri-cani. E fanno ciò ripercorren-do la storia della loro vita e del-le loro famiglie. Lo fanno sotto gli occhi di un gabbiano, un es-sere immortale che volando di costa in costa lungo il Mediter-raneo, ruba agli uomini le sto-rie da tempo immemore. Dive-nendo, così, l’unico testimone di quelle storie minori che non si leggono sui libri di scuola, ma che rappre-

sentano al meglio il nostro pas-sato, attraverso il quale poter co-struire un futuro, né nuovo, né migliore, semplicemente un fu-turo altro. E così impariamo che la storia si ripete, cambiano gli uomini, la loro origine, cambia il colore della loro pelle, ma la rappresentazione è sempre la stessa. Così per Aurelio partito da Ceglie Messapica prima del-la guerra alla volta di Milano, al-la ricerca di un lavoro, sempli-ce e dignitoso. Così per Amadou Dior, ventiquattro anni, sene-galese, fuggito dal deserto del Sahel, e approdato involontaria-mente sulle coste Italiane. Due uomini così diversi, eppure co-sì uguali, che spe-

Il mare di latoIl passato rivive ogni giorno perché non è mai passato.

Letteratura

nendo, così, l’unico testimone di

Vito Antonio Loprieno, nato a Monterotondo di Roma ma di origini familiari baresi, ha vissuto sino a 16 anni a Matera. Narratore innamorato della cultura popolare meridionale, Antonio svela il grande amore per la sua terra, mentre fa capolino tra le pagine del racconto la sua passione per la cucina pugliese. Dopo il successo editoriale del precedente romanzo Lo-rodipuglia (Il Grillo Editore, 2010), dedicato a contadini e masserie di Puglia, non poteva mancare l’altra faccia di questa splendida regione, il mare e le sue genti. Un viaggio tra le onde delle emozioni più vive.

L’Autore

Letteratura

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rano in un futuro altro da quello che appare già scritto indelebile sulla sabbia.“Ho visto il mare in una lacrima ed ho capito” dirà Aurelio all’ami-co Francesco, comprendendo solo dopo settant’anni della sua vita le ragioni del mare, il suo grande cuore. Quel mare che a poco a poco stiamo uccidendo, sfruttando-lo e avvelenandolo, dimenti-cando che egli è una creatura vivente, che ci ha dato la vita. Una mamma grande e sconfina-ta che genera amore, dalla not-te dei tempi del genere uma-no. Ma non per sempre e il lento scorrere del tempo ce lo dimo-stra. Il mare così come lo cono-sciamo non sarà per sempre e tanto meno l’uomo, destinato a pagare i propri errori, le proprie debolezze, le sue misere vanità.Eppure, oggi, il mare nostro è ancora lì. Percorrendo con un Intercity la ferrovia che da Bari porta a Pescara ci accompagna il mare di lato. Sempre lì. Rassi-curante. Sembra proteggerci ac-carezzando il nostro fianco. Spe-ranzoso che l’uomo rinsavisca e si decida attraverso il sentimen-to della condivisione di provare a vivere in armonia con se stes-so e i propri simili, rispettando la natura e amando il mare. Quel-la condivisione che allontana gli uomini dalle bestie, in questo lungo viaggio intrapreso dal ge-nere umano. Anche per chi non crede fa bene ricordare le paro-le di Gesù “Siate viandanti nel-la società dei sedentari, perché la strada è il luogo della speranza e il viandante è l’uomo della spe-ranza”.Parole che vengono da mol-to lontano, ma il passato rivive ogni giorno perchè non è mai passato. Tempo ce n’è. Per un’al-tra vita.

Servizio Catering • Mense Aziendali • Mense ScolasticheLa Grotta di Varvara Sergio & C. snc

Via Archimede, 8/10 zona PIP - Gravina in Puglia (Ba)Tel./fax 080 3255870 - cell. 339 3138498

e-mail: [email protected]

...il gusto di amare

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L’importante significato culturale dei grandi alberi.

Agronomia

I Patriarchi della natura

di Paolo Direnzo - Agronomo

Sono stati protagonisti dei mi-ti, delle cosmogonie, delle vi-sioni del mondo. Un motivo ci sarà? Essendo esseri viventi, fa-cilmente diventarono simbolo del cosmo, dell’universo inteso come organismo; infatti, ad og-gi, alcuni studiosi riconoscono agli alberi una sorta di cervello, e quindi comportamenti. Ri-cordiamo gli alberi sacri dedi-cati alle divinità, ad esempio, presso i Germani, la quercia al dio Odino, come presso i Greci a Zeus; il tiglio

alla dea Freia. Gli alberi, inoltre, e in modo particolare gli esem-plari più grandiosi, i Patriarchi dunque, suggestionarono i nostri antenati per la stabi-lità, le dimensioni, la forza, la consistenza del tronco, il doppio ruolo di creature tellu-riche, con le radici ben ferme nella madre terra e nello stesso tempo celesti, con la chioma, aerea nel cielo. In particolare i Patriarchi ar-

borei, furono confermati e raff orzati nel ruolo

simbolico della cosmicità,

della spazialità, dell’essere. Così essi furono simbolo di vitalità, potenza, saggezza e rappresentarono l’essenza della vita con la capacità, che in antico apparve suprema ma-gia, di trasformare luce solare ed elementi chimici in ossige-no e zuccheri, essenziali per gli animali, uomini compresi.

Agli alberi si associa la foresta, a sua volta

simbolo del Cosmo e come tale, ora

demonizzata, ora sacralizzata a seconda del percorso storico e ideologico dell’uomo.

Gli alberi sono certamente fon-te di salute neuropsichica, con il loro mantello verde che rego-la le funzioni neurovegetative. L’Associazione dei Patriarchi della Natura www.patriarchi-natura.it studia da anni questo meraviglioso mondo vegetale, raccogliendo documenti e informazioni sui vecchi alberi

d’Italia e svolgendo attività rivolte alla tutela e alla miglior conoscenza di questo straor-dinario patrimonio naturale. Nel tempo è stato realizzato un archivio, che viene aggiornato periodicamente, nel quale

sono oggi memorizzate circa 6000 piante ritenute di note-vole interesse per le loro carat-teristiche di età, dimensione, rarità o per l’elevato valore scientifi co, ecologico, storico o paesaggistico. Chiunque voglia segnalare alla Associazione la presenza di patriarchi arborei lo può fare. Tale contributo è un’impor-tante attività per preservare e tutelare un patrimonio storico che, se perso, non si potrebbe più recuperare.Ma come è possibile calcolare

l’età di un albero? Semplice-mente contando gli anelli visi-bili sulla sezione di un tronco di albero tagliato, infatti ciascun anello rappresenta un anno di vita. La dendrologia e in particolare la dendrocronologia studia lo sviluppo nel tempo degli alberi: ci fornisce pertanto, grazie allo studio degli anel-li, la data degli avvenimenti storici della pianta.Ogni anello infatti porta una particolare informazione: condizioni climatiche negative producono infatti anelli molto stretti, mentre buone condizio-ni producono degli anelli mol-to larghi. I punti di riferimento per la datazione possono esse-re gli anni di clima eccezionale. Periodi di siccità, piogge ab-bondanti, fuochi, attacchi di insetti o malattie, ferite, tagli, inquinamento atmosferico e altre avversità lasciano la loro traccia negli anelli di crescita dell’albero. Gli alberi sono

degli indicatori biologici senza pari, i loro anelli di crescita ci dicono molte cose su come è cambiato il nostro ambiente. Ogni anno, in ogni albero, ap-paiono nuovi anelli di crescita. Più un albero è grosso più è vecchio.

Gli alberi sono la nostra memoria

e per questo bisogna in tutti i modi preservarli

e, perché no, anche incentivare la loro

piantumazione, in modo da segnare nel tempo un evento

degno di essere ricordato. Quindi il ricordo di una nascita o una speciale ricorrenza potrà essere mantenuta nel tempo grazie alla presenza di un al-bero che forse un giorno potrà diventare un “Patriarca della Natura”.

L’albero più vecchio del mondo è svedese: una conifera sempreverde che ha 8.000 anni. A farne la stima è stato Leif Kullman nel 2009, un botanico dell’Università svedese di Umea. Secondo la sua età quest’albero sarebbe cresciuto quando i ghiacci dell’ultima glaciazione si stavano ritirando, e supererebbe quelli che fi no ad oggi erano ritenuti i più vecchi come Matusalemme, un pino che si trova vicino Las Vegas che ha un età stimata intorno ai 5.000 an-ni. Ma nel resto del mondo ci sono altri alberi con migliaia di anni, ed è nota una zona in Iran dove c’è un cipresso di oltre 4.000 anni, e in Cile dove ne è stato censito uno di circa 3.600 anni. Altri arbusti di 2.000 o 3.000 anni sono abbastanza diff usi nel mondo, e in Italia il Corpo Fore-stale dello Stato ne ha trovati circa 150. Il più anziano del nostro Paese è un olivo selvatico che si trova in Sardegna in provincia di Sassari ed ha 3.000 anni. (fonte: focus.it)

Curiosità

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L’importante significato culturale dei grandi alberi.

Agronomia

I Patriarchi della natura

di Paolo Direnzo - Agronomo

Sono stati protagonisti dei mi-ti, delle cosmogonie, delle vi-sioni del mondo. Un motivo ci sarà? Essendo esseri viventi, fa-cilmente diventarono simbolo del cosmo, dell’universo inteso come organismo; infatti, ad og-gi, alcuni studiosi riconoscono agli alberi una sorta di cervello, e quindi comportamenti. Ri-cordiamo gli alberi sacri dedi-cati alle divinità, ad esempio, presso i Germani, la quercia al dio Odino, come presso i Greci a Zeus; il tiglio

alla dea Freia. Gli alberi, inoltre, e in modo particolare gli esem-plari più grandiosi, i Patriarchi dunque, suggestionarono i nostri antenati per la stabi-lità, le dimensioni, la forza, la consistenza del tronco, il doppio ruolo di creature tellu-riche, con le radici ben ferme nella madre terra e nello stesso tempo celesti, con la chioma, aerea nel cielo. In particolare i Patriarchi ar-

borei, furono confermati e raff orzati nel ruolo

simbolico della cosmicità,

della spazialità, dell’essere. Così essi furono simbolo di vitalità, potenza, saggezza e rappresentarono l’essenza della vita con la capacità, che in antico apparve suprema ma-gia, di trasformare luce solare ed elementi chimici in ossige-no e zuccheri, essenziali per gli animali, uomini compresi.

Agli alberi si associa la foresta, a sua volta

simbolo del Cosmo e come tale, ora

demonizzata, ora sacralizzata a seconda del percorso storico e ideologico dell’uomo.

Gli alberi sono certamente fon-te di salute neuropsichica, con il loro mantello verde che rego-la le funzioni neurovegetative. L’Associazione dei Patriarchi della Natura www.patriarchi-natura.it studia da anni questo meraviglioso mondo vegetale, raccogliendo documenti e informazioni sui vecchi alberi

d’Italia e svolgendo attività rivolte alla tutela e alla miglior conoscenza di questo straor-dinario patrimonio naturale. Nel tempo è stato realizzato un archivio, che viene aggiornato periodicamente, nel quale

sono oggi memorizzate circa 6000 piante ritenute di note-vole interesse per le loro carat-teristiche di età, dimensione, rarità o per l’elevato valore scientifi co, ecologico, storico o paesaggistico. Chiunque voglia segnalare alla Associazione la presenza di patriarchi arborei lo può fare. Tale contributo è un’impor-tante attività per preservare e tutelare un patrimonio storico che, se perso, non si potrebbe più recuperare.Ma come è possibile calcolare

l’età di un albero? Semplice-mente contando gli anelli visi-bili sulla sezione di un tronco di albero tagliato, infatti ciascun anello rappresenta un anno di vita. La dendrologia e in particolare la dendrocronologia studia lo sviluppo nel tempo degli alberi: ci fornisce pertanto, grazie allo studio degli anel-li, la data degli avvenimenti storici della pianta.Ogni anello infatti porta una particolare informazione: condizioni climatiche negative producono infatti anelli molto stretti, mentre buone condizio-ni producono degli anelli mol-to larghi. I punti di riferimento per la datazione possono esse-re gli anni di clima eccezionale. Periodi di siccità, piogge ab-bondanti, fuochi, attacchi di insetti o malattie, ferite, tagli, inquinamento atmosferico e altre avversità lasciano la loro traccia negli anelli di crescita dell’albero. Gli alberi sono

degli indicatori biologici senza pari, i loro anelli di crescita ci dicono molte cose su come è cambiato il nostro ambiente. Ogni anno, in ogni albero, ap-paiono nuovi anelli di crescita. Più un albero è grosso più è vecchio.

Gli alberi sono la nostra memoria

e per questo bisogna in tutti i modi preservarli

e, perché no, anche incentivare la loro

piantumazione, in modo da segnare nel tempo un evento

degno di essere ricordato. Quindi il ricordo di una nascita o una speciale ricorrenza potrà essere mantenuta nel tempo grazie alla presenza di un al-bero che forse un giorno potrà diventare un “Patriarca della Natura”.

L’albero più vecchio del mondo è svedese: una conifera sempreverde che ha 8.000 anni. A farne la stima è stato Leif Kullman nel 2009, un botanico dell’Università svedese di Umea. Secondo la sua età quest’albero sarebbe cresciuto quando i ghiacci dell’ultima glaciazione si stavano ritirando, e supererebbe quelli che fi no ad oggi erano ritenuti i più vecchi come Matusalemme, un pino che si trova vicino Las Vegas che ha un età stimata intorno ai 5.000 an-ni. Ma nel resto del mondo ci sono altri alberi con migliaia di anni, ed è nota una zona in Iran dove c’è un cipresso di oltre 4.000 anni, e in Cile dove ne è stato censito uno di circa 3.600 anni. Altri arbusti di 2.000 o 3.000 anni sono abbastanza diff usi nel mondo, e in Italia il Corpo Fore-stale dello Stato ne ha trovati circa 150. Il più anziano del nostro Paese è un olivo selvatico che si trova in Sardegna in provincia di Sassari ed ha 3.000 anni. (fonte: focus.it)

Curiosità

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di Cosmo Mario Andriani - Fotografo

Fotografia e sistemaLa Fotografia è una necessità intimamente vissuta da rispettare con fermezza.

Fotografia

“Per me che uso la macchina fo-tografica è interessante uscire dal piano orizzontale della realtà, avere la possibilità di un dialogo stimolante perché le immagini abbiano un respiro irripetibile.Riscrivere le cose cambiando il segno, la conoscenza abituale dell’oggetto, dare alla fotografia una pulsazione emozionale tutta nuova. Il linguaggio diventa trac-cia, necessità, spirito dove la for-ma si sprigiona non dall’esterno, ma dall’interno in un processo creativo. […] Prima di ogni scat-to c’è uno scambio silenzioso tra oggetto e anima, c’è un accordo perché la realtà non esca come da una fotocopiatrice, ma ven-ga bloccata in un tempo senza tempo per sviluppare all’infinito la poesia dello sguardo che è per me forma e segno dell’inconscio.Il linguaggio è così la coscien-za espressiva interna che ha ac-carezzato la realtà pur rimanen-do fuori, è l’attimo originale, te-stimone di una realtà tutta mia, un prelievo fatto sotto la pel-le dell’oggetto, guidato fuori dal-le regole per una libertà che è an-che allargamento alle possibilità del reale.” [1]Mi riaggancio alla testimonian-za del Fotografo Mario Giaco-melli per porre a tutti - fotografi e non - una domanda.Avere mai provato un “dum al

cuore” – per esprimerla alla ma-niera dell’amico regista teatrale Umberto Binetti – quando siete avvinghiati dal silenzio/rumo-re di una collina che state foto-grafando?Avete mai sentito anelli invi-sibili circoscrivere voi e la per-sona a cui state scattando un ritratto, prima del click finale che tutto svuota, ricaricando, assieme all’inevitabile mac-canismo dell’otturatore, una tensione nuova? Credo che la risposta a tutto questo sia palese.Vlem Flusser, docente di Filoso-fia della comunicazione all’Uni-versità di San Paolo in Brasile, scrive così: “Se le immagini do-vessero essere decifrate, biso-gna tener conto del loro carattere magico. È un errore decifrarle co-me se fossero «elementi congela-

ti». Sono, al contrario, traduzioni di eventi in situazioni: sostituisco-no le scene agli eventi. Il loro po-tere magico è dovuto alla struttu-ra di superficie, e la loro dialetti-ca inerente, le loro contraddizio-ni interne, devono essere valuta-te alla luce della magia di cui so-no dotate.” [2]E allora viene spontaneo chie-dersi: quale rapporto ha oggi la Fotografia con il nostro “siste-ma”? A mio avviso la Fotografia non può essere banalizzata in circoli da allegra scampagnata o da foto in cui gli elementi por-tanti diventano semplicemente culi e tette. La Fotografia è una necessità intimamente vissuta, da condividere con delicatezza, da rispettare con fermezza. La Fotografia è anche una discipli-na in continua evoluzione e stu-pidamente arrogante si dimo-

Foto di Cosmo Mario Andriani

Fotografia

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stra chi non è spinto dalla curio-sità, o peggio, teme di appren-dere il suo continuo cammino tecnologico fermandosi sempli-cemente a commentare test e prove di nuovi apparecchi foto-grafici e obiettivi. In parole povere, per dirla alla maniera di Roland Barthes: “La società si adopera per far rinsa-vire la Fotografia, per tempera-re la follia che minaccia ad ogni istante di esplodere in faccia a chi la guarda. Per far questo, essa ha a disposizione due mezzi. Il pri-mo consiste nel fare della Foto-grafia un’arte, giacchè nessun’ar-te è pazza. […] L’altro mezzo è quello di generalizzare, greariz-zare, banalizzare la Fotografia al punto che di fronte a lei non vi sia più nessun’altra immagine rispet-to alla quale essa possa spiccare, affermare la sua specialità, il suo scandalo, la sua follia. Questo è appunto ciò che accade nella no-stra società, in cui la Fotogra-fia schiaccia con la tirannia le al-tre immagini: niente più stampe, niente più pittura figurativa, se non ormai per affascinata (e af-fascinante) sottomissione al mo-dello fotografico. Osservando gli avventori di un bar, qualcuno mi ha detto giustamente: «Guarda come sono spenti; al giorno d’og-gi, le immagini sono più vive del-le persone». Uno dei segni distin-tivi del nostro tempo è forse que-sto rovesciamento: noi viviamo conformemente a un immagina-rio generalizzato”. [3]A noi la libertà di scegliere quale delle due strade intraprendere.

[1] Lorenzo Cicconi Massi, Mi ricor-do Mario Giacomelli, DVD Ed. CONTRA-STO, 2011.[2] Vilem Flusser, Per una filosofia del-la fotografia, Ed. Agora Editrice, 1987.[3] Roland Barthes, La camera Chiara - Nota sulla fotografia, Ed. Giulio Einau-di editore S.p.A., Torino 1980 e 2003.

● Il Guaio

● Paologatto

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Nuova LetteraturaNuova Letteratura

Quasi sempre la letteratura co-stituisce una “sintesi” organica dell’anima e del pensiero d’un po-polo, ovvero uno specchio della società di quel popolo in un tempo definito. In un periodo come quel-lo da noi vissuto riteniamo legitti-mare la nascita di una “nuova let-teratura” capace di leggere i nostri pensieri come nel testo che vi ap-prestate a leggere. (nde)Tempotempo... temporali, come i poteri che scomunicano, poe-ti maledetti. Le religioni ci han-no insegnato la morte e segna-to il futuro. Un futuro che passa il giorno in una frettolosa notte e che ci preoccupa nel suo secon-do... fine... di vivere. Ho molta dif-ficoltà nel pensare alla vita come movimento, foss’anche una pel-licola di un film ma che in real-tà, nella sua struttura, altro non

è che una successione d’imma-gini fisse. In una logica diversa-mente matematica si potreb-be scomporne i fotogrammi in un disegno disumano. E allora il tempo? Primadopodurante. L’affanno nell’ordine. Tempo=spazio/velocità. È co-sì che definiamo il nostro desti-no, come qualcosa di misurabi-le e ancor peggio apprezzabile solo se si ha un luogo matemati-co in cui correre a sua misura. Ho un aspetto che attende di essere vecchio, ho una voce che suona ma senza verbo... come il tempo che sarà. Lo sapevate che il mo-to di rivoluzione della terra è così chiamato per un tale Copernico che spodestò un certo Tolomeo? Geniale. Da quel momento in poi tutti gli uomini iniziarono a cor-rere, a correre. Proprio come fan-

no al circo taluni equilibristi sopra un grande pallone; con la diffe-renza che l’equilibrista è consape-vole di essere un circense mentre l’uomo si ostina a voler scoprire dove finisce il cerchio. È un mo-vimento simile a quello del ‘68 quando una tale generazione ri-voluzionò un certo sistema, ap-parentemente piatto, mettendo in moto un meccanismo che tan-to assomiglia a un pensiero circo-lare dal quale vedo assai impro-babile uscirne. Bene. Abbiamo scomodato frantumi di fisica sto-ria religione matematica. Sapete, il tempo è tiranno e ho le lette-re contate per pensare all’eter-no, per ricordare l’uomo, per rac-contare di un passato che è un tempo certo. Chiederci se c’é an-cora tempo è pari alla domanda quando è nato l’uomo. Aver fidu-cia che abbiamo ancora tempo è l’atto di una presunzione.A volte ho talmente i pensieri ad-dosso che mi chiedo se esista un tempo per vivere e un tempo per morire. Più che altro mi chiedo della sua successione logica e in quale atto conviene indirizzarsi. È come un nodo gordiano nell’in-tricato vivere per morire oppure morire per la vita.Anche oggi è un altro domani e ciò che ho scritto ieri è sempre più presente nel desiderio che sia passato.

Aver fiducia che abbiamo ancora tempo è l’atto di una presunzione.

di Marisa Carlucci - Scrittrice

Nodo Gordiano

Foto di Cosmo Mario Andriani

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Il rinnovo della tessera non è un atto di mera buro-crazia o di gestione, ma è il sostegno ad un proget-to, la condivisione di valori e pensieri comuni e la conferma di voler contribuire alla prosecuzione di un ambizioso percorso collettivo.

Contribuire con la sottoscrizione signifi ca rendere sempre più forte il nostro circolo, arricchirlo del-le proprie idee e competenze e a far sì che tutte le attività e le iniziative continuino a smuovere le co-scienze dei cittadini.

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Cinema

Il “ritmo” dei film

Cinemadi Manuela Coluccino - Art Director stART

La vera magia.

Il ritmo di un film è la linfa che lo sostiene, o al contrario, la fragilità che lo uccide, perchè nasce dalla somma di tutte le sue componenti e in fondo ne è la sintesi. Verrebbe spontaneo pensare che il ritmo sia una caratteristica peculiare del mon-

taggio, ma è vero solo in parte... è qualcosa di più complesso, ma anche di più semplice. Facciamo un esempio musicale: per un batterista avere balance vuol dire suonare sul tempo ma con il tempo, non vuol dire scandirlo, ma esserne parte; se

ha balance (che ovviamente non si impara, ma si ha) è in grado di sostenere senza sforzo anche la musica più pesante, di farla volare. Perciò un film che ha balance ti trascina nel suo tempo e ti porta con sè. Due maestri del ritmo: James Cameron e Akira Kurosawa. Terminator, Aliens, True Lies, Titanic, come Rashomon, I sette samurai, Dersu Uzala, sono film con un balance straordinario. Cameron è un narratore chiaro: non fa inquadrature strane, ma quello che rende i suoi film così coesi e trascinanti è proprio il ritmo implacabile. Lo stesso vale per Kurosawa, che ha composto le sue sinfonie su ritmi lenti, che non vuol dire avanzare come una lumaca, ma semplicemente essere con il tempo!

Escludendo i film sperimentali,

tutti gli altri hanno bisogno di un giusto ritmo che li sostenga,

anche quelli che vengono definiti poetici o d’autore, e perfino quelli realizzati con il preciso intento di sovvertire le regole o di infischiarsene del tutto. Ma quali sono gli elementi che determinano il ritmo di un film? Più o meno tutti, anche se

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è evidente che alcuni sono più determinati di altri. Ovviamente il montaggio è uno di questi, ma anche la recitazione degli attori e la sceneggiatura.

Se una sceneggiatura non ha ritmo, il regista e il montatore dovranno fare i salti mortali per cavarne

fuori un film decente. La percezione del ritmo di un film possiamo definirla con chiarezza solo dopo averlo visto interamente. Se un film precipita nel finale, la catastrofe avrà conseguenze re-troattive su tutto ciò che abbia-mo visto fino a quel momento, fino a spingerci a ricordare ogni cosa sotto un’altra luce. Anche una meravigliosa impen-nata finale è retroattiva: illumina tutto ciò che si è lasciata alle spalle. Pensate a Le ali della libertà di Frank Darabont, il film carcerario dove Tim Robbins è il bancario ingiustamente condannato: quel finale sorprendente e liberatorio trasforma letteral-mente tutto ciò che abbiamo visto prima. La nostra perce-zione del ritmo globale del film ne viene stravolta. Eppure, anche se iniziamo a vederlo dalla metà, il ritmo imiplacabile delle sequenze ci trascina con sè, ci spinge a seguire la storia di quell’uomo incarcerato e del suo amico nero.Dice un proverbio del cinema: “Da un’ottima sceneggiatura si può tirar fuori un pessimo film, ma è molto difficile fare il con-trario.” Le storie devono andare avanti, non si possono fermare o tornare indietro.

Tratto da: Paolo Morales, Narrare con le immagini, Ed. Dino Audino editore, 2008

Tutto ebbe inizio nel 1894 in Francia, grazie al rivoluzionario dispositivo dei fratelli Lumiere, chiamato “Cinematografo”. I due fratelli non riconob-bero il grande potenziale che il cinema poteva avere sulle menti della gen-te, ma la persona che aveva visto nel cinematografo un enorme poten-ziale, fu il francese orologiaio, inventore e popolare mago G. Mèliès, che creò un nuovo dispositivo, basandosi sul prototipo dei fratelli Lumiere. Le qualità che Mèliès possedeva erano la sua grande esperienza come il-lusionista e mago da palcoscenico. Ormai l’incantesimo del cinema stava stregando tutto il mondo, nuovi artisti e tecniche nascevano a vista d’oc-chio. In California il regista D.W. Griffith fondò la sua compagnia cinema-tografica dando vita ad Hollywood. La nuova generazione di cinemato-grafi richiedevano, degli effetti visivi sempre più sofisticati ed elaborati in relazione con le loro sceneggiature e storie. Nacque così una nuova tec-nica cinematografica, il “Matte Painting”, che aggiungeva alla scena rea-le un fondo dipinto che estendeva il set. Molti artisti contribuirono a cre-are luoghi inimmaginabili e panorami mozzafiato. L’Industria del cinema si dimostrò una macchina inarrestabile che aveva sempre più bisogno di sbalordire nacque così lo “Schermo Verde”, che permette di sostituire digi-talmente lo sfondo. L’utilizzo di questa tecnologia è stata applicata al film Guerre Stellari (1977) per costruire i suoi splendidi scenari. Un altro esem-pio che rappresenta uno dei film più straordinari ed importanti nella sto-ria degli effetti speciali è la trilogia del Il Signore degli Anelli (2001-2003) dove i protagonisti ed i luoghi di questo racconto epico sono ambientati in una terra fantastica e incantata. L’ultima frontiera raggiunta in ambito vi-sivo è stato il 3D, che ha superato la barriera spaziale dello schermo per im-mergere fisicamente lo spettatore nella storia. Il film che per eccellenza ha utilizzato il 3D e altre tecniche come Motion Capture, è Avatar (2009).Gli effetti speciali da quando sono nati, hanno sempre giocato un ruo-lo di estrema importanza nella storia del cinema, ci portano oltre la re-altà permettendoci di navigare attraverso il tempo e lo spazio, per poi approdare in magici ed incantevoli mondi, facendoci evadere an-che se per poco, da questo mondo un po’ privo di magia. Mario Pace

Viaggio nel tempo... attraverso effetti speciali

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Gli scrittori beat furono dapprima un piccolo gruppo di amici , e soltanto più tardi divennero un vero e proprio movimento. La Beat Generation letteraria comprende un numero relativamente ristretto di scrittori, orbitanti intorno alla Columbia University di New York nella metà degli anni quaranta, e rimasti grandi amici, incoraggian-dosi continuamente l’un l’altro circa le proprie capacità letterarie. Dovet-tero passare altri dieci anni, quando negli anni cinquanta gli editori cominciarono a prendere sul serio il loro lavoro. La Beat Generation era costituita da un piccolo gruppo di scrittori adulti, con sede a New York o nella zona della Baia di San Francisco e strettamente correlati all’industria editoriale.

Spesso si pensa alla Beat Generation come ad un fenomeno degli anni cinquanta, ma il termine fu coniato da Jack Kerouac nel 1948, e suc-cessivamente divennne di dominio della pubblica opinione nel 1952 quando un amico di Kerouac, John Clellon Holmes, scrisse un articolo sulla nascente Beat Generation.

Jack KerouacUno dei maggiori esponenti

della Beat Generation

Un po’ di storia...

Comunicazione

Così parlò Kerouac del tempo umano... che poi cosa sarebbe il tempo? La concezione co-mune e occidentale del tempo è sicuramente diversa e cam-biata con il passare degli anni (appunto...), nelle civiltà e tra i popoli.Se pensiamo al tempo, comu-nemente lo associamo ad una linea retta che da una parte ha

il passato, dall’altra il futuro e al centro il presente. Sarebbe bello, in un certo senso, vivere nel presente, fare tesoro del passato e di tutte le esperienze che ci hanno portato ad essere le persone che siamo attual-mente e non pensare al futuro o perlomeno pensarci con spirito positivo. Il tempo cam-bia il nostro vivere quotidiano

(pensiamo alle grandi invenzio-ni), il tipo di comunicazione e il nostro stile di vita.

Arriviamo ai giorni nostri in cui grazie

ai passi da gigante fatti dalla tecnologia

la comunicazione assume diversi significati

e modalità.

Nasce la comunicazione, sem-pre e ovunque, grazie a inter-net e a mezzi ad esso connessi come i-phone, smart phone ecc... collegati a social network, i quali a loro volta forniscono comunicazione a 360°, dai com-menti alle chat. Altra forma giornalistica e comunicativa è la web tv che tende a dare informazioni e news sulla rete globale e si in-sedia trasversalmente nei social network e in tutto il world wide web.Per concludere pensiamo al tempo come lo scorrere di esperienze e l’acquisizione di nuove competenze per vivere al meglio il presente senza angosciarci, come sicuramente sentiva Kerouac quando ha pensato questa frase, pensan-do al passato, agli anni che scorrono, al futuro misterioso.

“Camminai per le tristi strade del tempo umano.” Jack Kerouac

Comunicazione

Concezione del Tempo

di Teresa Fiengo - Associazione TerraMadreEsperta in comunicazione pubblicitaria

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Cos’è il tempo?... Lo scorrere de-gli anni, dei mesi, dei giorni, del-le ore, dei minuti, dei secondi? O è il rendersi conto che qual-cosa è passata e non si può più riprendere?... ai posteri l’ardua

sentenza (menomale che ci so-no loro che ci risparmiano un sacco di fatiche mentali...).Per quanto mi riguarda il tem-po è qualcosa che ci appartiene, che è nostra, e dato che è no-

stra, solo e soltanto noi abbia-mo il diritto di gestirla. Le mie considerazioni riguardo il con-cetto di tempo in relazione a quello che faccio ogni giorno, sono di natura sia teorico-musi-cale che fi losofi ca. Spesso applico quella che è la suddivisione del tempo in una serie periodica di accen-ti, ma molte volte mi capita di fl uttuare nel tempo in manie-ra “caotica” riuscendo a far sì che non sia più il tempo a rac-chiudere me, bensì il contra-rio. Divento padrone del tem-po! ...et woilà!Inoltre credo che essendo que-sta un’azione semplicissima da compiere, ai tempi d’og-gi sia più diffi cile da applicare e di conseguen-

Musicadi Michele Marrulli - Percussionista

Musica

A tempo di musicaNoi stessi padroni del nostro tempo!

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za da cogliere. Cerco di essere più chiaro: l’arte in genere è fi -glia del tempo in cui si vive, per cui se noi viviamo in un perio-do storico e in una società fon-data sul sistema monetario, in cui l’unico obiettivo è il “sacro-santo” profi tto, l’arte inevitabil-mente è mercato.

Se il mondo in cui viviamo è caratterizzato

dallo scorrere folle del tempo, la musica ne avrà

sicuramente le stesse caratteristiche:

ritmi frenetici e quadrati, durata breve ed eff etto immediato.Umberto Galimberti ne I miti del

nostro tempo scrive: “Non ci so-no più idee. Non ci sono più va-lori. Non se ne producono più. La passività e l’inerzia sembrano ca-ratterizzare l’atmosfera del nostro tempo, dove l’impressione è che nessuno abbia una storia da scri-vere né passata né futura, ma so-lo energia da liberare in una sor-ta di spontaneità selvaggia, dove non circola alcun senso, ma tut-to si esaurisce nella fascinazione dello spettacolare.”.In conclusione la musica d’oggi viene creata per venderla - ed è anche giusto che sia così - per-ciò, secondo voi, per poter es-sere riconosciuto come grande artista nella nostra società, un percussionista quali caratteristi-che dovrebbe avere? Ai posteri

l’ardua sentenza? No! Ve lo dico io: deve esse-re superveloce, quasi una macchina da guerra, da non sbagliare un colpo, perfetto, disumano! Con l’unico limi-te che la sua “arte” non potrà perdurare nel tempo perché è semplicemente vuota, pri-va di un senso, di una storia, di pura vita.Ecco perché quando suono mi vien voglia di ingannare questo modo di vedere, ascol-tare e sentire il ritmo facendo-lo sembrare caotico, senza un beat preciso... quando in realtà la pulsazione c’è ed è ben chia-ra! Si tratta solo di saper ascol-tare, fermarsi un attimo e con calma prendersi tutto il tempo che si vuole, perché il tempo è nostro e di nessun altro.

PROGRAMMA RADIOFONICO

diINTRATTENIMENTO

ideato e condotto da Frank Defelice

autore e interprete di vari personaggi

in collaborazione con: Donatella Santo

parte tecnica e redazionaleLucia Tullo

collegamenti esterniAchille Granieri

interprete di alcuni personaggi

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Radio Studio Uno FM 101.3

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● RIVOLUZIONE-EVOLUZIONE ●In apparenza due parole dissomi-glianti con poco o nulla in comune. La prima. Ricorda un’immagine di lotta, conflitto, caos, crepanza del passato in favore del presente.La seconda. Evoca un’idea di mi-glioramento, progressione, trasfor-mazione, bisogno di ri-scoprire.Ma... l’evoluzione e la rivoluzione sono i due atti successivi di uno stes-so fenomeno: l’evoluzione precede la rivoluzione e questa precede una nuova evoluzione, generatrice di ri-voluzioni future.Ogni trasformazione della materia, ogni realizzazione di un’idea, nel momento stesso del cambiamento, è ostacolata dall’inerzia dell’am-biente; il nuovo fenomeno non può realizzarsi se non attraverso uno sforzo tanto più violento o una fatica tanto più intensa quanto maggio-re è la resistenza. Il filosofo tedesco Herder, parlando della Rivoluzione francese, diceva, appunto, “Il seme penetra nella terra e per molto tem-po sembra morto; poi improvvisa-mente butta fuori il suo germoglio, sposta la dura terra che lo ricopre, fa violenza alla nemica argilla: eccolo diventare pianta, fiorire e maturare il suo frutto”. E il bambino, come na-sce? Dopo essere rimasto nove mesi nelle tenebre del ventre materno, anch’egli riesce con violenza ad usci-re, lacerando il suo involucro e, talvol-ta, uccidendo perfino la madre. Così sono le rivoluzioni: necessarie conseguenze delle evoluzioni che le hanno precedute.

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