Spiritualità ignaziana e sacramenti - CVX ItaliaLe ragioni della mia conversione di Emmanuel Ofta...

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Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 2 DCB - Filiale di Roma cristiani nel mondo Rivista della CVX Comunità di Vita Cristiana Anno XXVII · Settembre/Ottobre 2012 · Nº 4 Spiritualità ignaziana e sacramenti In questo numero L’Uomo Eucaristico Esercizi spirituali di coppia Uno sguardo ignaziano sull’unzione degli infermi Un’emozione oltre i confini della Chiesa: Speciale Card. Martini Spiritualità ignaziana e sacramenti In questo numero L’Uomo Eucaristico Esercizi spirituali di coppia Uno sguardo ignaziano sull’unzione degli infermi Un’emozione oltre i confini della Chiesa: Speciale Card. Martini Rivista della CVX Comunità di Vita Cristiana Anno XXVII · Settembre/Ottobre 2012 · Nº 4

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    cristiani nel mondoRivista della CVX Comunità di Vita CristianaAnno XXVII · Settembre/Ottobre 2012 · Nº 4

    Spiritualità ignazianae sacramenti

    In questo numero ■ L’Uomo Eucaristico ■ Esercizi spirituali dicoppia ■ Uno sguardo ignaziano sull’unzione degli infermi ■Un’emozione oltre i confini della Chiesa: Speciale Card. Martini

    Spiritualità ignazianae sacramenti

    In questo numero ■ L’Uomo Eucaristico ■ Esercizi spirituali dicoppia ■ Uno sguardo ignaziano sull’unzione degli infermi ■Un’emozione oltre i confini della Chiesa: Speciale Card. Martini

    Rivista della CVX Comunità di Vita CristianaAnno XXVII · Settembre/Ottobre 2012 · Nº 4

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    cristiani nel mondoRivista della CVXComunità di Vita Cristiana d’Italia

    1 editorialeSpiritualità ignazianae sacramentidi P. Vincenzo Sibilio S.I.

    5 Spiritualità ignaziana e sacramentiIl Sacramento della Riconciliazione:festa dell’abbraccio trinitariodi Salvo Collura

    8 Spiritualità ignaziana e sacramentiL’Uomo Eucaristico: da un amore ricevutoad un amore donatodi P. Loris Piorar S.I.

    12 Spiritualità ignaziana e sacramentiIl sacramento sponsaleovvero stare alla presenza dell’altrodi MariaGrazia e Umberto Bovani,Massimo e Patrizia Ripamonti,Oriana e Luca Gaspari,Valentina e Massimo Gnezda

    20 Spiritualità ignaziana e sacramentiUn sacerdote di oggi si interrogadi P. Rodolfo E. De Roux S.I.25 Spiritualità ignaziana e sacramentiUno sguardo ignazianosull’Unzione degli Infermi

    di P. Massimo Pampaloni S.I.

    30 Spiritualità ignaziana e sacramentiLe ragioni della mia conversionedi Emmanuel Ofta Yebhoa32 Speciale Card. MartiniUn’emozione oltre i confinidella Chiesa

    In copertina: Battesimo di Cristo di Piero della Francesca (National Gallery, Londra)

    3 Spiritualità ignaziana e sacramentiIl significato reale del battesimo.Intervista a padre Franco Martellozzodi Maurizio Debanne

  • Sacramento, mistero, simbolo, un unicosenso: segno significante una realtà che èdietro e che supera il segno stesso; stru-

    mento e via per accedere all’incontro con l’Al-tro; mezzo messo nelle nostre mani di uominiper entrare in relazione tra noi e con Lui.Ignazio di Loyola, in un periodo di forte conte-stazione e di messa in discussione dei sacramen-ti nella Chiesa (cfr. la protesta luterana che poiviene chiamata riforma), non contesta e non an-nulla la tradizione ma, inserendosi in essa, cercadi approfondire il senso, di ridare valore e vigo-re ai sacramenti al di là dei riti e delle stratifica-zioni culturali addensatesi su di essi.A Manresa, a cui bisogna sempre riandare percomprendere il “nostro modo di procedere”,Ignazio racconta di aver avuto un’esperienza

    particolarissima: “ascoltando un giorno la Messanella chiesa del convento, alla elevazione del Cor-po del Signore, vide con gli occhi interiori come deiraggi bianchi che scendevano dall’alto. Questo fe-nomeno, dopo tanto tempo, egli non lo sa ricostrui-re bene; ma ciò che allora comprese con tutta chia-rezza, fu percepire come era presente in quel san-tissimo sacramento Gesù Cristo Nostro Signore”.(Autobiografia, 29).Sempre nell’Autobiografia, al n. 93 ci parla del-l’ordinazione presbiterale “ad titulum pauperta-tis” insieme con gli altri compagni che non era-no sacerdoti. La stima profonda di questo sacra-mento e del servizio che ne deriva sta proprio inquel “ad titulum paupertatis”: in un tempo incui spesso l’essere ordinati preti era una questio-ne di prestigio e di realizzazione umana, Ignazio

    CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 1

    E D I TO R I A L E

    Spiritualità ignazianae sacramentiDI P. VINCENZO SIBILIO S.I.

  • EDITORIALE

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    ritorna alle origini e intuisce che, per il serviziodel Vangelo e dello Spirito e per una vera rifor-ma della Chiesa, è necessario essere poveri cosìcome Gesù ha voluto per i suoi Dodici.Colpisce ancora di più la sua decisione, descrit-ta in Autobiografia 96, che, “una volta sacerdote,sarebbe rimasto un anno senza celebrare la messaper prepararvisi meglio e per pregare la Madonnache lo volesse mettere con suo Figlio”. Egli è con-sapevole del dono ricevuto e della santità richie-sta nella celebrazione del sacrificio eucaristico.Quando finalmente, dopo un lungo periodo dipreparazione, celebrerà la sua prima messa ilgiorno di Natale del 1538, nella Cappella delPresepe a S. Maria Maggiore in Roma, sarà talela gioia che non potrà raccontarla a nessuno mache noi possiamo comprendere dal modo e dal-lo stile con cui celebrerà in genere la Messa edalle grazie e favori che fortunosamente trovia-mo accennati nel diario spirituale.Nel cammino degli Esercizi, Ignazio dedicheràmolto tempo a parlare della Confessione divul-gandosi a distinguere anche i peccati mortali equelli veniali, sottolinea l’importanza dellaConfessione Generale (che egli ha sperimenta-to, nel suo cammino di pellegrino, a Monserrat)e suggerisce l’importanza dell’esame di coscien-za come via per cantare le meraviglie di Dio ecome mezzo per riconoscere tutte le non rispo-ste d’amore che noi diamo a tanto Amore.Grazie alla sua esperienza spirituale, Ignazio,nella formula instituti dirà che la Compa-gnia di Gesù è istituita “ per la difesa e propaga-zione della fede e del progresso delle anime nella

    vita e nella dottrina cristiana e ciò mediante… laconsolazione spirituale dei credenti con l’ascoltar-ne le confessioni e con l’amministrazione degli al-tri sacramenti…” e, reagendo alla prassi allora inuso, tanto da creare “scandalo”, raccomanderànon solo ai suoi compagni nelle costituzionidella compagnia di gesù ma anche ai laicila confessione e la comunione frequenti.L’amore di Ignazio per i sacramenti e l’impor-tanza di essi nella nostra vita e nel “modo diprocedere” (anche della CVX), ci ha spinti a de-dicare questo numero quasi esclusivamente adun approfondimento dei sacramenti. Voluta-mente, accanto a riflessioni profonde e autore-voli, abbiamo inserito qualche testimonianza.L’obiettivo è offrire al lettore il desiderio non so-lo di saperne di più ma di sperimentare di più laforza e la grazia di questi mezzi che ci sono statiofferti dal Signore e che, insieme con la fre-quentazione amorevole e cordiale della Sua Pa-rola e il servizio al povero, sono via privilegiataper il nostro incontro con Lui e per rafforzare ilnostro amore.Un grazie particolare a Maurizio Debanne perla memoria che ci offre del Cardinale Carlo Ma-ria Martini morto venerdì 31 agosto scorso. Pernoi gesuiti e per tutta la famiglia ignaziana,Martini è stato un formatore e un esempio, in-carnando quel “modo di procedere” che Ignaziodescrive nelle Costituzioni: un uomo profonda-mente innamorato di Gesù che ricerca costan-temente, attraverso la lettura e lo studio dellaSua Parola, la prossimità amorosa ai più poveri,l’eccellenza del servizio alla Santa Chiesa di Dio.Io ho avuto la grazia di conoscerlo personal-mente sin dal secondo anno del mio Noviziatoe l’ultimo incontro è avvenuto due anni fa aGallarate: egli, già divorato dal Parkinson, pie-no della sua dignità e profondamente lucido,con il suo sorriso timido e sincero, con grandesemplicità, ha ripreso un colloquio con me co-me tra fratelli interessati entrambi alla sorte del-la loro Madre, la santa Chiesa alla quale ha de-dicato tutta la sua passione.

  • La sfida che ci pone il sacramento del bat-tesimo «è capire come legare l’acqua santaalla vita reale». P. Franco Martellozzo, ge-

    suita missionario in Ciad da oltre quarant’anni eoggi vicario del Vicariato apostolico di Mongo,ritorna più volte su questo punto. «L’utilizzodell’acqua non può ridursi ad un gesto rituale,bensì deve diventare una pratica di vita che ap-porta qualcosa di positivo nella comunità».

    Puoi farci un esempio?In un villaggio il mio predecessore aveva co-struito, pagando di tasca propria i lavoratori,delle dighe per poter alimentare dei pozzi che sierano seccati. Dopo un po’ che lui si era trasfe-rito, le dighe si sono rotte e i pozzi non ci han-no messo molto a prosciugarsi. Quando sonoarrivato io, la comunità si aspettava che pagassidelle persone per riparare le dighe.

    Cosa è successo?Semplice: gli ho detto chiaramente che l’acquala bevono loro e dunque era compito loro ripa-rare ciò che si era guastato. Da parte mia potevogarantire un’assistenza tecnica.

    Comprensibile. Ma non vedo il collegamentocon il sacramento del battesimo…Proprio in quel periodo stavo portando avantinello stesso villaggio il ritiro dei battesimi aduna ventina di ragazzi tra i quindici e i ventianni. Nei nostri incontri li facevo riflettere sucome potevano manifestare al villaggio che ilbattesimo aveva dei riflessi concreti nella lorovita reale e non solo spirituale. Il frutto del lorodiscernimento è stato incredibile: hanno decisodi riparare le dighe che si erano rotte. Io, comepromesso, ho fatto la mia parte prestando loromazze, picconi e cariole. L’acqua è così tornataad alimentare di nuovo i pozzi e la gente del vil-laggio ha constato che il lavoro caritativo diquesti giovani è stato di beneficio per tutti.Da questo esperimento abbiamo elaborato unsistema di catechesi che, a cominciare dai piùpiccoli, parte dal risveglio della fede e dall’im-pegno a collaborare per il Creato di Dio, adesempio piantando alberi.

    Questo in Ciad è molto più semplice, il con-tatto con la natura è reale.In Italia potreste fare in un altro modo.

    Quale?Ad esempio la parrocchia del mio paese (Cam-posampiero in provincia di Padova, ndr) orga-nizza giornate di pulizia cittadina in cui ragazzie meno giovani tolgono la sporcizia dalle strade.L’importante è cominciare dai bambini. Noiprima gli chiediamo di piantare e curare il loroalbero personale, in seguito di coltivare un ortoe infine di piantare alberi non più per se stessima per la collettività. Questa è la nostra cate-chesi che affronta anche il problema della salu-te. Così il ragazzo arriva al battesimo già impe-gnato a cambiare la società.

    SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI

    CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 3

    Il significato reale del battesimo.Intervista a padre Franco MartellozzoDI MAURIZIO DEBANNE

  • SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI

    4 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012

    Quante persone hai battezzato?Tante, ma il numero non conta.

    Il caso più significativo?È successo cinque anni fa. Dopo aver sposatoun uomo cristiano, una donna musulmana è ve-nuta da me chiedendomi se potevo aiutarla aconoscere meglio la fede del marito per viveremeglio l’intesa familiare. Dopo tre anni di cate-cumenato è stata battezzata. Suo fratello, inte-gralista islamico, non ha digerito la conversio-ne. È andato a protestare al Consiglio islamicodi N’Djamena, la capitale del Ciad, che haaperto un’inchiesta. Sentite le parti, il Consi-glio, che da noi è molto più aperto di quelli neipaesi arabi, ha dato ragione alla donna e torto alfratello che è stato sgridato “per aver tentato didistruggere una coppia che funziona bene”.

    Come si svolge il rito del battesimo nel Vica-riato apostolico di Mongo?Non viene mai battezzata una persona da sola.La cerimonia avviene sempre la notte del sabatosanto e prevede la benedizione del fuoco davan-ti alla chiesa e una processione. Le donne dan-zando trasportano l’acqua in delle anfore men-tre il sacerdote instaura un dialogo con i catecu-meni in cui può intervenire chiunque dellacomunità per dare consigli. Quando esconodalla Chiesa, i neo battezzati vanno a casa pervestirsi di bianco, ritornano in processione coni loro padrini e madrine e alla fine ricevono l’o-lio. È una grande festa per la comunità.

    P. Franco Martellozzo benedice un pozzo realizzato grazie al contributo del MAGIS, ong dei gesuiti italiani.

  • SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI

    CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 5

    «Occorre che tutta la Chiesa, mediantela sua martyria, la sua leiturgia e lasua diaconia, sia per il mondo sacra-

    mento, cioè segno e strumento, di riconciliazione;e che tutto ciò che essa è e crede, testimoni e rendapresente, nello Spirito Santo, l’annuncio della ricon-ciliazione che Dio ci ha donato in Cristo Gesù.»1

    Così, tra il 1982 e il 1983, la Commissione Teo-logica Internazionale (CTI), presieduta dal Card.Kasper, concludeva il documento che aveva pertitolo: “La Riconciliazione e la Penitenza”, prepa-rato in vista del Sinodo dei Vescovi di quell’anno.Il documento, nonostante il tempo trascorso,rappresenta ancora un ottimo riferimento perl’approfondimento del tema oggetto di quest’ar-ticolo e un buon punto di partenza per la corret-ta comprensione delle note ufficiali successiva-mente pubblicate.Le poche righe del presente articolo certamentenon basteranno a dare ragione della natura delSacramento della Riconciliazione. In tal senso,il breve brano sopra citato mi permette almenodi precisare alcune coordinate, non avendo pre-tesa alcuna di completezza ed esaustività.La questione fondamentale che il documentodella CTI si proponeva e che rimane, tuttosommato, identica oggi potrebbe essere cosìriassunta: «In che modo è possibile rinnovare eribadire la bellezza di questo strumento di gra-zia, non solo nelle sue caratteristiche più estrin-seche ma già nell’atteggiamento interiore a par-tire dal quale lo proponiamo e lo celebriamo»?Iniziamo da qui. Ogni approfondimento, delresto, impone una prospettiva di partenza, una“domanda”, che si costituisca, essa stessa – pale-sandosi o meno non importa – come principiodella successiva trattazione.Procedendo, allora, dall’osservazione del conte-sto globale attuale, non possiamo non notareche il diritto alla privacy si erge a valore presso-ché inderogabile e la mediazione ecclesiale,espressa in questo Sacramento dal Sacerdote chelo concelebra con il Penitente, viene, nella pras-si, quantomeno misconosciuta.

    Lavoro nell’ambito della pastorale giovanile daqualche tempo: non temo smentite quando pre-ciso che, tra i ragazzi, non esiste percezione al-cuna della necessità di questa mediazione, anzi,ogni tentativo di ribadirla viene quasi sistemati-camente “bollato” come invasione di uno spa-zio considerato privatissimo.E non sono rari – anzi… – i casi di fedeli che,nonostante la conoscenza dei contenuti essen-ziali della Tradizione della Chiesa e dell’orto-prassi legata a questo sacramento, non esitanoad accostarsi all’Eucarestia in modo, diremmo,almeno, “improprio”.Bene: è possibile che la situazione attuale nonsia semplicemente il frutto di una catechesi ap-prossimativa, di una formazione cristiana lacu-nosa, ma esprima una esigenza di fondo quan-tomeno interessante?Il Nuovo Rito, promulgato nel 1973, costò set-te anni di faticosa elaborazione. Rispetto ai pre-cedenti, sottolinea la dimensione ecclesiologicae trinitaria del Sacramento in maniera eminen-te, sin dai quaranta praenotanda che lo introdu-cono, in una linea essenzialmente storico-salvi-fica. Il titolo di “Riconciliazione” spazza viaogni apparente “riduzionismo accusatorio” edevidenzia il protagonismo della grazia molto piùdei certamente noti, ma logori, “Confessione” e“Penitenza”.Le due tipologie rituali prevalentemente prati-cate, quella individuale e quella comunitariacon confessione e assoluzione individuali, han-no in comune una particolare attenzione e curapersonale del Penitente, il quale è, innanzitutto,accolto. Ampio spazio viene poi lasciato alla let-tura della Parola di Dio, mentre più ridimensio-nata rispetto al passato pare l’importanza accor-data alla “confessione dei peccati” vera e pro-pria, sebbene proprio i peccati commessi restinola materia del Sacramento, e all’ “imposizionedella soddisfazione” (comunemente chiamatapenitenza). Registriamo, così una grande di-stanza dalla prassi del XVI e XVII secolo cheavevano dedicato pagine e pagine di riflessione

    Il Sacramento della Riconciliazione:festa dell’abbraccio trinitarioDI SALVO COLLURA

  • teologico-pastorale alle casistiche e alle classifi-cazioni dei peccati, con addirittura l’indicazio-ne delle opportune soddisfazioni!Proseguendo, momento conclusivo del rito èl’assoluzione, seguita dal rendimento di grazie(o, nella celebrazione comunitaria, dalla bene-dizione) e dal congedo.Se, quindi, da un lato, in continuità con la Tra-dizione, notiamo l’esigenza della contrizione delPenitente, cioè del suo percepire la colpa cometale e rattristarsene, e una certa attenzione alladimensione giudiziale dell’assoluzione, nonpossiamo non scorgere, però, i segni di una verae propria “svolta antropologica”: il peccato de-termina una frattura nella storia del penitente euna ferita nella comunità degli uomini, in oriz-zontale, e nel rapporto tra l’uomo e Dio, in ver-ticale. A tale rottura si oppone, per mezzo delSacramento della Riconciliazione, l’intera storiadella Salvezza e l’accorata preghiera della Chie-sa, che accompagnano il Penitente nella celebra-zione e lo inducono ad uscire fuori dalla consi-derazione che il peccato assuma rilevanza soloin ordine al personale rapporto con Dio. Sin dalVI secolo, infatti, sin da quando, cioè, la prassidella confessione auricolare si diffuse in Europaad opera del monachesimo irlandese, la dimen-sione ecclesiale di questo Sacramento andò viavia perdendosi e l’iniziale attenzione alla perso-na sfociava in forme di individualismo più omeno accentuate.La Chiesa entra a pieno titolo nella celebrazionedel Sacramento perché, oggettivamente, è partein causa. Il peccato non è un reato di “lesa mae-stà” nei confronti della Chiesa. Piuttosto essoimpedisce il costituirsi e il manifestarsi di quelRegno di Amore incondizionato e libero, che èla Chiesa: il peccato è frutto di una dolorosa fe-rita primigenia, da cui scaturisce una inclinazio-ne al male che resta, in qualche modo, presentenell’uomo come segno della sua fragilità e chelo pone costantemente a dipendere dal suoCreatore e dal Suo Amore. Ciò è vero tanto inrelazione al peccato d’origine quanto alle strut-

    ture di peccato che precedono il nostro stessovenire alla luce e che condizionano senza che cene accorgiamo ogni nostra percezione e ogninostro giudizio.Inoltre, la pace nuova che il sacramento inaugu-ra nella vita del Penitente lo inserisce ancora piùradicalmente nell’escatologico “abbraccio trini-tario”, attraverso il dono rinnovato della pienez-za della vita divina traboccante nell’intera crea-zione.In ultima analisi, il sacramento della Riconcilia-zione è la “festa dell’abbraccio” che lega il Padreal Figlio attraverso lo Spirito. Abbraccio nelquale anche noi siamo inseriti, per mezzo dellaMorte e della Resurrezione di Cristo e dell’espe-rienza battesimale – che di quella Morte e Re-surrezione è segno – dalla quale noi stessi rina-sciamo come creature nuove.

    SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI

    6 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012

  • In Gesù di Nazaret inchiodato sulla Croce, ilPadre scorge ogni uomo, ogni peccatore. La SuaMorte e la Sua Resurrezione si fanno per noistrumento di Riconciliazione. Il Padre che guar-da all’uomo peccatore vede, innanzitutto, SuoFiglio: attraverso la Sua Incarnazione nulla piùci separa dalla vita di Dio.Se la “festa dell’abbraccio” è l’esito della nostra“felix culpa”, occorre davvero prestare attenzio-ne al sapore, tutto orientale, che accosta alla di-mensione giudiziale del Sacramento della Ri-conciliazione, un carattere essenzialmente “tera-peutico”: il peccatore è l’ammalato, il ferito, e lagrazia medicinale che lo guarisce è somministra-ta dalla Chiesa, per mezzo del Sacerdote, attra-verso il Sacramento della Riconciliazione. Mu-tuo dalla prospettiva teologica ortodossa questaimmagine tipica di molti autori tra cui Nicode-mo l’Aghiorita nel suo Exomologhêtárion2.Non è soltanto, quindi, per l’adempimento diuna prassi giudiziale che si ricorre al Sacerdote –sebbene l’ammissione di coincidenza tra sé el’autore della colpa commessa sia già buon prin-cipio di guarigione –, ma anche – forse, soprat-tutto – per ottenere la somministrazione dellagiusta medicina, del giusto rimedio, che sana ciòche è malato e lava ciò che è sporco. Tale rime-dio non sarà, però, determinato in ultima istan-za dalla sola “soddisfazione della pena” quantopiuttosto già dall’azione di grazia dello Spirito,che muove verso la Riconciliazione, con noi lacelebra e ci restituisce nuovi alla vita di Dio.E, come per l’intera Chiesa, così per ogni singo-lo penitente, attraverso la personale e singolaretestimonianza (martyria), resa a mezzo della ce-lebrazione del Sacramento della Riconciliazione(leiturgia), è possibile tornare ad un servizio(diaconia) pieno ed autentico, ravvivato dallafiamma stessa dell’Amore di Dio, dal cui “ab-braccio” nulla ci sottrae.La citazione di apertura, “non secondaria” inimportanza rispetto a quanto la precede, sichiude auspicando che la Chiesa testimoni e at-tualizzi, renda, cioè, presente, in tutto ciò che è

    e che crede, questo “abbraccio” trinitario dalquale è avvolta e che a nessuno è precluso, per-ché, appunto, già pienamente attuale in CristoGesù, Crocifisso e Risuscitato dal Padre, vivo eoperante nelle Sue Membra attraverso la pienez-za dello Spirito che ha lasciato a noi per condur-ci, in esodo, verso il Suo ultimo e definitivo av-vento, alla fine della Storia.Possa questo auspicio realizzarsi sempre più pie-namente nella vita delle nostre comunità fino ariconoscerle realmente come segno in terra del-la Vita Eterna concessaci, sin d’ora, in abbon-danza.

    1 Commissione Teologica Internazionale, La Riconciliazionee la Penitenza, in «La Civiltà cattolica», 135, 1/1984, p.72.2 Ottimo testo per l’approfondimento della questione nell’OrienteCristiano, al di là della semplice immagine qui offerta: Nicodemol’Aghiorita, Exomologhêtárion, Venezia 1868.

    CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 7

    In ultima analisi, il sacramento della Riconciliazione è la“festa dell’abbraccio” che lega il Padre al Figlio attraverso lo Spirito.

    Abbraccio nel quale anche noi siamo inseriti,per mezzo della Morte e della Resurrezione di Cristo

    e dell’esperienza battesimale

  • 21 settembre 2012, Buenos Aires. Con una de-legazione di ragazzi italiani siamo al primo con-vegno mondiale del MEG. Tra canti, esperienzeda tutto il mondo, celebrazioni, abbiamo iltempo di condividere quale sia lo specifico, laparticolare attenzione del MEG (MovimentoEucaristico Giovanile). Da Taiwan all’Argentina,dal Cile alla Francia, dal Congo al Libano finoad arrivare a noi, lo specifico chiaramente rico-nosciuto è l’eucaristia.In questi giorni focalizziamo la dimensione del-l’eucaristia attraverso tre dimensioni particolari.

    La dimensione sacramentale. L’eucaristia vis-suta nella celebrazione è al centro della nostravita cristiana. La comprensione del sacramentoe la partecipazione a questo sono due aspettistrettamente legati tra loro. Infatti, attraversouna partecipazione attiva e consapevole, ogni

    persona può comprendere meglio il significatodi quello che celebra per se stesso e per gli altri.La maggior comprensione del sacramento per-mette poi di viverlo meglio.

    La dimensione esistenziale. L’eucaristia non èuna dimensione che termina nella celebrazione,bensì siamo invitati a viverla nella nostra quoti-dianità. Per aiutarci a ricordare questa dimen-sione, nel MEG, si è soliti dire: ”vivere la messa24 ore su 24”. La nostra giornata può così di-ventare una continua offerta al Signore di quel-lo che viviamo: relazioni, studio e lavoro, usodel tempo e l’uso dei nostri beni. In questi am-biti di vita possiamo vivere lo stile di amore eservizio che accogliamo nella celebrazione euca-ristica. Con questa espressione facciamo la pri-ma intuizione di Ignazio di Loyola nel “cercaree trovare Dio in tutte le cose”.

    8 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012

    SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI

    L’Uomo Eucaristicoda un amore ricevuto ad un amore donatoDI P. LORIS PIORAR S.I.

  • La dimensione progettuale. Attraverso il MEGsi propone al bambino, ragazzo e giovane di di-ventare simile a Gesù, colui che ha dato tutto sestesso per amore. Proporre questo cammino si-gnifica seguire le indicazioni che il Padre Kol-venbach, ex Superiore Generale dei Gesuiti,diede in occasione della festa dei 40 anni delMEG: “Per il MEG l’unico Progetto-Uomo cheha vero valore, che non illude, è l’ “uomo eucari-stico”. Cioè un cristiano che vive, che fa propri isentimenti, le scelte che Gesù vive ogni volta che“spezza il pane”, che sceglie come unico mododi vivere lo stile di vita scelto da Gesù nell’Eu-caristia”. Questo progetto di uomo nel MEG sichiama Progetto Uomo Eucaristico (P.U.E.).

    Il brano dei discepoli di Emmaus (testo fonda-tivo del MEG) in Lc 24,13-35 esplicita in ma-niera particolare la figura di Gesù Eucaristia.Ripercorrendo nella lettura il testo lucano ci sipuò facilmente accorgere come l’incontro diGesù con i due discepoli rappresenta una vera epropria celebrazione eucaristica, Gesù “si spezzaper noi” non solo in un particolare momentocenando con i discepoli ma nel corso di tutta larelazione con loro; è quindi il modo tipico diGesù d’incontrare l’uomo e c’invita a compierealtrettanto con i nostri fratelli che il Signore cipone accanto.

    La liturgia, infatti, è costituita come tutti sap-piamo essenzialmente da quattro momenti cheriprendono esattamente le 4 situazioni fonda-mentali del racconto di Emmaus: la convoca-zione dei fedeli, la liturgia della parola, la litur-gia eucaristica, l’invio dei fedeli. Questi 4 mo-menti ci indicano 4 caratteristiche di Gesù chesi desidera gustare ed interiorizzare per poi met-tere in pratica nella vita quotidiana: egli è Uo-mo di Ascolto, Uomo di Relazione, Uomo diComunione, Uomo di Testimonianza.Da Lui si riceve questo Amore, con Lui si desi-dera ripartire per donare l’Amore ricevuto, per-ché l’Amore ricevuto riparte sempre da noi.

    Uomo di Ascolto. In Luca 24,13-24, Gesù siavvicina ai discepoli. Sono tristi e delusi per tut-to quello che è successo a Gerusalemme, le lorosperanze sono svanite e ritornano alle loro case,a Emmaus. Gesù si avvicina, cammina con lo-ro, li ascolta, li lascia esprimere le loro sofferen-ze, le loro delusioni, accoglie la loro vita, li riu-nisce così come aiuta noi a vivere la celebrazio-ne eucaristica in questa prima parte.Gesù, ascoltandoci si mostra così come un uo-mo che sa fare silenzio, sa accogliere, sa dare unarisposta …

    È Uomo del Silenzio. Non c’è possibilità diascolto autentico se non si impara a fare silen-zio. Esso è presenza e ricettività nei confronti dise stessi e del proprio mondo interiore, di Dio edella sua parola, dell’altro e del mistero della suaunicità e individualità. Ogni parola, se non èfondata sul silenzio, può rischiare di trasformar-si in rumore, di svuotarsi di significato. Il silen-zio al quale vogliamo fare riferimento è lo stessodi Gesù che si accosta ai due discepoli di Em-maus e si dà un tempo per accogliere le loro de-lusioni, il loro scoraggiamento, le loro paure.

    È Uomo di Accoglienza. Solo il passaggio dalpossesso al dono fa veramente crescere l’amore.Gesù è colui che sa accogliere senza pregiudizi,

    CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 9

    L’eucaristia non è una dimensione chetermina nella celebrazione, bensì siamo

    invitati a viverla nella nostra quotidianità.L’eucaristia è il luogo in cui riscoprire

    l’Amore folle di Dio per noi.

  • con apertura massima nei confronti di qualun-que diversità, chinandosi, se ce n’è di bisogno,senza aspettarsi nessun tornaconto… Accettaredi seguirlo è mettersi sulle sue orme e aprire lebraccia ai nostri fratelli, capire che la nostra vi-ta, la nostra felicità non è nel prevaricare qual-cuno ma nell’accoglierlo, esercitando con tuttil’atteggiamento della simpatia a priori (una del-le regole d’oro del cammino MEG e si rifà al-l’intuizione originaria di Ignazio di Loyola,quando all’inizio del libro degli esercizi invital’esercitante ad avere fiducia nell’uomo, a ricer-care innanzitutto la bellezza e la positività neigesti e nelle parole dell’altro).

    È Uomo di Risposta. Dopo aver fatto silenzio,dopo avere aperto il cuore e la mente all’acco-glienza di Dio e dei fratelli, ora giunge il tempodella risposta che non può essere altro che unanostra presenza concreta, forte ed esplicita nelmondo che abitiamo. Una presenza che parli diamore, di vicinanza, di stile di vita “altro”, digrande umanità. La stessa risposta che Gesù of-fre ai due di Emmaus scegliendo di camminareaccanto a loro; la stessa risposta che noi ricevia-mo da Cristo nell’Eucaristia.

    Uomo di Relazione. Dopo averci convocato ilSignore nella celebrazione dona alla nostra vitauna prospettiva nuova, la possibilità di vedere lecose, l’esistenza in maniera differente. È la litur-gia della Parola. Analogamente al testo lucanoin cui Gesù comincia a parlare, aiuta i discepolia comprendere la storia (Lc 24,25-29); inizia acosì a stabilire una relazione che crescerà sem-pre più fino a dare se stesso, prima nello spezza-re il pane per loro e poi nello scomparire invi-tando così i discepoli a cercare la sua presenzanella comunità, nelle relazioni vere tra loro econ i più bisognosi. In questo modo Gesù in-contra l’uomo (e lo incontra in molti modi di-versi a seconda della nostra situazione di vita…)dandogli fiducia, rimanendo con lui, fedele, no-nostante la fragilità e debolezze dell’uomo.

    È Uomo di Incontri. Dio sceglie di camminare,in Gesù, sulle strade dell’uomo, di entrare inuna realtà caratterizzata dalla debolezza e dalla epovertà, facendosi a sua volta debole e povero.Allo stesso modo di Gesù, per noi, essere Uomi-ni e donne di Eucaristia, significherà innanzitut-to andare incontro agli altri e farci, a nostra vol-ta, loro compagni di strada. E in questo nostrofarci vicini, porremo una speciale attenzione afarci conoscere così come siamo, senza indossa-re maschere, ad avere cura e rispetto per le sen-

    sibilità e le storie di ciascuno, a mantenere unatteggiamento sempre aperto nei confronti dicoloro che incontreremo lungo la via.

    È Uomo di Fiducia. Gesù stesso ci offre l’unicabuona ragione per fidarci degli altri sempre e“nonostante tutto”; e, cioè, il fatto che Egli perprimo si è fidato di noi, ha messo tutta la sua vi-ta nelle nostre mani, ci ha voluto rendere parte-cipi del progetto di salvezza che il Padre ha pertutti gli uomini.Gesù si fida di noi e ci affida sempre qualcunodi cui prenderci cura e al quale dare, a nostravolta, tutta la nostra incondizionata fiducia. Èuna sfida che può darci la misura della nostraconcreta capacità di amore.

    È Uomo di Fedeltà. Nella Bibbia, uno degli at-tributi principali di Dio è quello di essere fede-le. L’amore e la parola di Dio, una volta dati,non vengono mai revocati. Gesù, garante dellafedeltà del Padre, arriverà, per fedeltà, a dare lapropria vita per l’uomo e nell’istituzione del-l’Eucaristia, nel Pane e nel Vino, noi abbiamo lacertezza che Cristo rimane vicino all’uomo sem-pre e per sempre.L’amore senza fine di Dio rende anche noi capa-ci di amare nella stessa maniera. Solo in questoorizzonte esiste la possibilità di resistere di frontealle prove, ai cambiamenti, alle debolezze. Soloin questa prospettiva in cui l’altro viene per pri-mo, che è la prospettiva eucaristica, è possibilepronunciare senza paura la parola “per sempre”.

    Uomo di Comunione. Nella liturgia eucaristica,il Signore condivide la sua vita con noi e ci ren-de così tutti fratelli, facenti parte di un unicocorpo, e ci invita a fare altrettanto.Si unisce a noi e ci mostra l’unico modo per en-trare veramente in comunione con gli altri: darela vita e invita gli altri a darsi la vita reciproca-mente (Lc 24,29-32). In questo momento così in-tenso Gesù si mostra capace di dire grazie per tut-to e tutti quelli che ha ricevuto, diviene propriocosì capace di spezzarsi, di spezzare il pane che èlui, per costruire così l’unità tra noi e con Dio.

    È Uomo che Dice grazie. Gesù è l’uomo del“grazie”. Innumerevoli sono le occasioni, du-rante la sua vita, in cui riconosce il suo legamecon Dio, la necessità della relazione con Lui, ilbisogno di esprimergli gratitudine per la Suaamorevole presenza. E dire “grazie” è l’interrut-tore che accende la scintilla della comunione.Sappiamo che “Eucaristia” significa “rendimen-to di grazie” (Lc 22, 19). Nella gratitudine, nel

    SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI

    10 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012

  • sapere “dire-bene” (benedizione) si situa il piùalto grado dell’amore. Perché essa è possibile so-lamente se siamo capaci (come Gesù lo è) di ac-corgerci dell’altro e della sua presenza e di rico-noscerla come importante e vitale per noi.

    È Uomo che Spezza il pane. Il momento in cuiGesù spezza il pane è il momento in cui Egli cicomunica tutto sé stesso e tutta la sua stessa ca-pacità d’amore. Gesù, figlio di Dio, si fa pane,si spezza, si fa fonte di vita, e si dona perchéquanti lo accolgono possano a loro volta farsipane e spezzarsi per gli altri.Riconoscere Gesù in quel pane significa accet-tarlo come norma di comportamento della pro-pria esistenza.

    È Uomo che Costruisce l’unità. Il doppio signi-ficato dell’espressione ‘fare la comunione’ espri-me bene il legame che c’è tra partecipazione allacelebrazione eucaristica, in cui si consumanopane e vino consacrati, e la comunione tra lepersone. L’unità “secondo Dio” è proprio quellache è scaturita dall’evento pasquale. È l’unità inCristo che, dopo la sua morte e risurrezione, siè già realizzata e che noi possiamo riconoscere onegare: non per questo sarà meno vera e presen-te nella storia.Le nostre scelte e i nostri atteggiamenti, però,possono contribuire a rendere visibile questomistero e, perciò, è nelle nostre mani la possibi-lità di scegliere, giorno dopo giorno, con ogninostro comportamento, in qualsiasi nostro ge-sto di testimoniare la bellezza e il significato del“costruire” unità intorno a noi, nei nostri am-bienti, nelle nostre relazioni ma anche – o me-glio, soprattutto – dentro noi stessi

    Uomo di Testimonianza. La celebrazione euca-ristica “si conclude” con l’invio, è il momentofinale della Messa in cui il Signore ci invita, co-me comunità, ad andare ad annunciare e a rac-contare agli altri l’esperienza d’amore che abbia-mo vissuto. Anche nel testo lucano, il Signorepur non essendo presente più fisicamente, bensìnei loro cuori e nel pane spezzato, li invita adandare a raccontare questa esperienza meravi-gliosa agli altri, a raccontare chi è Gesù. Ora es-si hanno il coraggio di ritornare a Gerusalem-me, la città della morte che ritorna a diventarela città della pace, della vita, in cui testimonia-re, quello che Gesù stesso ha testimoniato a noi:Dio è più forte delle nostre morti, delle nostreoscurità, egli riempie del suo amore attento esincero i vuoti della nostra esistenza e c’invita atestimoniarlo agli altri.

    Gesù invita a partire per vivere la gioia di un in-contro rinnovato, per poter raccontare agli altriquello che si vive, camminando nel mondo.

    È Uomo che Vive la gioia. Chi ha incrociato ilSignore sulla sua strada è inevitabilmente abita-to da un sentimento di gratitudine e di gioiache si comunica contagiosamente a tutti coloroche lo circondano e che lo incontrano. In altreparole potremmo dire che la gioia è un “sinto-mo” di questo incontro, la misura dell’autenti-cità della nostra fede.Su questa certezza si costruisce anche la nostravita che, pur non essendo esente da difficoltà,avvenimenti dolorosi e tristi, in Cristo e nellasua resurrezione trova ragione anche al misterodella sofferenza.

    È Uomo che Racconta ciò che vive. È possibiletestimoniare che Cristo è risorto e vivo, solo seè risorto e vivo nella propria vitall testimone è colui che ha incontrato il Signore,è stato con lui e questo “stare con Lui” gli ha ac-ceso il cuore e ha illuminato la sua vita. La gioiache lo abita è diventata incontenibile e così il bi-sogno di dire la bellezza di questo incontro achiunque incontri sulla sua strada.

    È Uomo che Cammina nel mondo. Il Signore ciinvia nel mondo, ci spinge a metterci in giocosenza farci troppe domande.Questo deciderci a partire apre la via della testi-monianza, quella che allarga i nostri orizzontifino agli estremi confini della terra, quella che cispinge a metterci al servizio di ogni uomo, quel-la che dà significato e compimento all’incontroche abbiamo avuto con Gesù-Eucaristia.

    L’eucaristia è il luogo in cui riscoprire l’Amorefolle di Dio per noi. Una riscoperta vissuta nellacelebrazione eucaristica, nella vita quotidiana,avendo sempre come modello e progetto (dal la-tino: pro avanti jacere gettare) per il futuro Ge-sù, l’unico progetto-uomo che vale e che ci ren-de capaci di donare Amore, un Amore ricevutoda Lui, perché l’Amore parte da Lui, ma riparteda me!

    CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 11

  • Ci piace iniziare questa riflessione ricor-dando il Concilio Vaticano II. Al punto48 della Gaudium et Spes si definisce,

    con una essenzialità invidiabile, la sostanza del-l’atto sponsale, affermando che «il matrimonioè intima comunità di vita e amore».Definizione essenziale perché veramente nonmanca di nulla: il matrimonio è «una comu-nità» perché si è minimo in due; una comunità«intima» perché si sta talmente vicini da diven-tare una sola carne; dentro la vita perché tuttosi gioca sull’imparare a gestire in due nient’altroche la vita; e si sostanzia nell’amore perché nonriguarda la gestione di un’azienda e quindi nonsono le prestazioni che fanno la differenza.Ispirati da questa prospettiva, possiamo dire che

    per il credente (ma non solo) il sacramentosponsale in primo luogo è sapere, e soprattuttoricordarsi, che tutto questo (cioè diventare inti-ma comunità di vita e amore) ha a che fare con ilsacro, è un evento sacrale. Detto sbrigativamen-te, ma per capirci, il sacramento sponsale ci di-ce: «… guarda che sposandoti andrai ad avere ache fare con il sacro… cioè con qualcosa che tiè dato solo in parte di capire, con qualcosa chesolo parzialmente ti appartiene… tienine con-to… e cogline il senso». Ricordare questa impli-cita identità del sacramento matrimoniale cisembra fondamentale.Non è certo casuale che nella lettera agli Efesini,al capitolo 5, Paolo ricorda che l’uomo e la don-na sono chiamati a diventare una sola carne (loricorda perché viene detto all’inizio del testo bi-blico in Genesi 2). E poi aggiunge che il misteroè grande (il termine sacramentum nella tradizionecristiana è spesso usato insieme al termine miste-rium).Capiamo che la prospettiva è affascinante maanche impegnativa. Potremmo dire che il sacra-mento sponsale è un evento talmente grande (idue che diventano uno attraverso la carne) edinaccessibile nel suo mistero (perché non ci èdato di assaporarlo totalmente nella sua pienez-za, tende all’oltre) che ha bisogno di essere dife-so, custodito, esattamente come una “cosa” sa-cra. Quindi il sacramento sponsale è saper cu-stodire nella sua sacralità un mistero che ci èaffidato per la vita, attraverso la nostra vita.Proprio perché il sacramento sponsale è entrareconcretamente, attraverso la vita, dentro un mi-stero grande allora richiede un atto, cioè unascelta, cioè una volontà esplicitata e dichiarata(vedi il senso delle promesse matrimoniali…).Proviamo a capire un pochino più da vicino ilproblema, facendo un piccolo passo in dietro. Ilsacramento del matrimonio è l’unico sacramen-to al plurale e questo contraddistingue in modosostanziale la natura stessa del sacramento. Lapluralità, infatti, è una condizione di vita che al-tera i parametri di riferimento, modifica il no-

    SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI

    12 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012

    Il sacramento sponsaleovvero stare alla presenza dell’altroDI MARIAGRAZIA E UMBERTO BOVANI, MASSIMO E PATRIZIA RIPAMONTI, ORIANA E LUCA GASPARI, VALENTINA E MASSIMO GNEZDA

  • stro DNA relazionale, ci pone in una zona difrontiera dove l’incontro con l’altro, andando ascomodare la nostra individualità rivela zoneinedite di noi. Questa mutazione genetica chel’altro determina, per la semplice ragione di es-sere al nostro fianco, qualifica la sostanza del sa-cramento sponsale. Non esiste grazia matrimo-niale al di fuori di questa imprescindibile realtà:l’altro posto al nostro fianco ci cambia a partiredalle radici.Nel matrimonio il senso della presenza dell’altronon è mai definito una volta per sempre, mutaper le tante condizioni che accadono continua-mente nella vita di una coppia. Pensiamo peresempio ai tempi diversi del matrimonio: primae dopo l’avvento dei figli, oppure prima o dopol’attesa di un desiderio che fatica a compiersi e arealizzarsi. Sono tempi diversi della vita, che sia-mo chiamati a vivere sempre vicini alla stessapersona ma con ragioni profondamente diverse.Il sacramento del matrimonio si definisce e si so-stanzia proprio nel trovare continuamente sensoa un evento all’interno di un movimento che lavita ordinariamente ci presenta.Sappiamo bene che è così; quante volte lo sen-tiamo dire da coppie più o meno affaticate, an-che dopo pochi anni di matrimonio: “all’iniziotutto sembrava possibile, alla nostra portata, poi lecose sono cambiate, la vita di tutti i giorni, i figli,la stanchezza quotidiana”. Il sacramento del ma-trimonio in primo luogo va a lavorare su que-sto: è una promessa ed un impegno che assu-miamo con l’altro perché di fronte ai mutamen-ti della vita sappiamo sempre guardare in modosostanziale a ciò che è irrinunciabile: l’altro e ilsenso di quella presenza posta al nostro fianco.In questo senso il sacramento sponsale allora ciallunga lo sguardo, liberandolo da pesi e fatichelegate essenzialmente ad attese che riponiamoin modo un po’ presuntuoso, sulla nostra vita.Uno sguardo lungo che è il frutto della graziama insieme è anche dono della presenza dell’al-tro, o meglio dono della nostra volontà di inve-stirci pienamente per quella presenza. Il matri-

    monio non ci permette di stare sulla soglia, ametà strada. Il sacramento sponsale va a identi-ficarsi attraverso questo libero atto di mettercipienamente in gioco per l’altro.Sappiamo che ogni sacramento è una grazia po-tenziale, nel senso che la sostanza di un sacra-mento non ha nulla di miracolistico, la grazia èsempre misteriosamente congiunta con l’atto divita che va a incarnare quella grazia. Se questo èvero per tutti i sacramenti, lo è in modo parti-colare per il sacramento sponsale, l’incarnazio-ne del sacramento accade esattamente dove in-contriamo la presenza dell’altro.Diceva il buon De Rougemont: «Essere inna-morati è uno stato; amare è un atto. Si subisceuno stato, ma si decide un atto». Ecco, ripren-dendo il discorso iniziale, il sacramento sponsa-le è esattamente in questa linea: una grazia chesi definisce in un atto, in una scelta, in una vo-lontà a favore di una presenza.Proviamo adesso a capire quali atti, quali scelteè necessario fare per vivere pienamente il sacra-mento sponsale. È chiaro che il discorso potreb-be aprirsi a molteplici aspetti.A noi interessa suggerire due questioni, cioè dueatti che permetto al sacramento sponsale di atti-varsi:1) Bisogna scegliere di abbandonarsi, arrendersi al-la logica dell’amore che ribalta le regole del mondo.Bisogna andare controcorrente per vivere piena-mente la sfida di essere due.Non ci sembri questo una banalità o peggio an-cora una bella favoletta. Il rischio di omologarcidentro degli schemi preordinati da qualcuno oqualcosa è reale e ben concreto. A volte la que-stione è sottile e quindi impercettibile, ma di-venta visibile in superficie quando notiamo innoi o nella coppia un malessere, un disagio.Spesso la patologia ha come causa proprio que-sta questione. In qualche momento abbiamo ab-bandonato la vigilanza, abbiamo allentato la no-stra volontà di decidere in due cosa è meglio pernoi, ci siamo uniformati a qualcosa che intima-mente non ci appartiene e non corrisponde ai

    CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 13

    Nel matrimonio il senso della presenza dell’altronon è mai definito una volta per sempre,

    muta per le tante condizioni che accadonocontinuamente nella vita di una coppia.

  • nostri desideri più intimi e profondi. E’ bene sa-pere in questi momenti che possiamo tornare indietro, riappropriarci del nostro potere di discer-nimento e ridare così forza e vigore al sacramen-to sponsale che ci vuole liberi nella verità di ciòche siamo in due. Il sacramento sponsale è attodi vigilanza contro il rischio delle omologazioni.

    2) Bisogna entrare nella consapevolezza che l’amo-re ci investe di una responsabilità, quella di rende-re visibile al mondo che l’amore è possibile, ed èpossibile proprio a partire dalle cose quotidiane.In questa linea il sacramento sponsale si dice intutta la sua concretezza possibile, facendo que-sto rendiamo un grande servizio alla fede e allasua testimonianza nel mondo. C’è bisogno diquesta prospettiva resa visibile dalla nostra vita,ne ha bisogno il mondo così come ne ha biso-gno la Chiesa, che di questo mondo fa parte. Ilmatrimonio cosa deve rendere visibile nel mon-do se non questo? La cosa difficile sta nel mette-re in risalto esattamente la vita normale, quellavita che ci sembra spesso scontata, ripetitiva eordinaria. Se riusciamo a compromettere il sa-cramento sponsale con questa ordinarietà alloratutto cambia. Cambia la nostra prospettiva divita perché ci è dato di capire che la straordina-rietà della vita sta nel vivere in modo straordi-nario le cose più scontate. Cambia la nostra vitaspirituale perché diamo visibilità ad una fedeche, uscendo dai luoghi un po’ soffocanti deinostri “giri ecclesiali”, riconquista la freschezzadi una promessa sempre nuova perché semprepronta a lasciarsi provocare dal nuovo.Per concludere, ci sembra importante ribadirequesto. Il sacramento del matrimonio ha biso-gno di uscire all’aria aperta, di ossigenarsi e mi-schiarsi con le cose del mondo. La forza inscrit-ta nel mistero sponsale è più forte di ogni cosa,bisogna però che lo liberiamo da paure e pregiu-dizi perché possa, leggero, narrarsi semplice-mente per ciò che è.

    MariaGrazia e Umberto Bovani

    ESERCIZI SPIRITUALI PER COPPIE E FAMIGLIE

    Il «cibo solido»per la crescita interiore

    “…qui posso darti un appuntamento e guar-darti negli occhi!”La ricerca di una casa dove poter sostare, il desi-derio profondo di gustare quel silenzio che èsorgivo della Parola che ci fa esistere, la neces-sità di curare un’intimità “cuore a cuore” capacedi restituirci a quell’essenzialità – “noi due!” –che è il “principio e fondamento” della nostraumanità, la speranza di trovare due “compagnidi viaggio” (lui e lei, come noi) fraterni nell’a-scoltarci e disponibili nel condividere parole‘vissute’ sulla vita…Sono queste le mozioni interiori più profondeche all’inizio della nostra avventura a due han-no orientato i passi verso quella fecondità dellanostra relazione che osavamo sperare fosse se-condo la volontà del Padre.La ricerca di una sintonia spirituale genuina-mente evangelica e di una condivisione di laiciadulti nella fede e partecipi di quel sacerdoziobattesimale in Cristo da vivere per tutti secondoi doni propri a ciascuno ci hanno condotti – or-mai dieci anni fa – fino a Sant’Antonio in queldi Boves dove… abbiamo trovato ristoro! Lì giàda qualche anno vivevano Umberto e Maria-Grazia Bovani. Insieme avevano iniziato a dareforma a quel “dono responsabilizzante” (da traf-ficare evangelicamente!) rappresentato dallacondivisione della propria esperienza umananella fede in un luogo capace di accogliere. E lasostanza di ciò che avevano avviato incarnavaprofondamente quello che era il cuore del no-stro desiderio, a partire dalla sorgente comunedella spiritualità ignaziana, strada privilegiataper la conoscenza di sé e quindi del Maestro.Il nostro scrivere, oggi, a proposito dell’espe-

    SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI

    14 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012

  • rienza degli esercizi spirituali secondo il metododi S. Ignazio di Loyola per coppie e famiglie –uno scrivere che va da Sant’Antonio a Concene-do di Barzio e oltre – non può che aprirsi conquesta memoria personale di quel dono respon-sabilizzante: dono che è condiviso già da moltie desiderato da molti di più.L’estate trascorsa ci ha regalato la contemplazio-ne di un germinare di vite in ricerca di «cibo so-lido» (1Cor 3,2; Eb 5,12) grazie agli appunta-menti che avevamo programmato.Anzitutto il raddoppio degli esercizi da noi indi-vidualmente guidati per coppie a motivo dellacrescente richiesta che a Boves non si riuscivapiù a soddisfare… e se ci fosse stata una terzacasa, sarebbe stata riempita anche quella!Poi la prima settimana di preghiera, formazionee confronto proprio in merito al raccoglierci perguardare più da vicino il dono che sono gli eser-cizi ignaziani per coppie e la nostra esperienzain merito, con persone che già condividono laspiritualità ignaziana e sono in ricerca o prontea diventare loro stessi guida e conduttori.

    «La messe è molta» (Mt 9,37; Lc 10,2) e… glioperai ci sono!Sì, questa è la nostra testimonianza! Ci sono, in-fatti, mogli e mariti (come i due di Emmaus)pronti a raccogliere l’invito del Maestro di Na-zareth e, sulla scia del suo discepolo Ignazio, de-siderosi di essere oggi, in questo tempo e insie-me a questa chiesa, «pietre vive … costruite co-me un edificio spirituale, per un sacerdoziosanto e per offrire sacrifici spirituali graditi aDio, mediante Gesù Cristo (1Pt 2,5)». Ci sonouomini e donne in ricerca di una parola umanasulla loro vita, con la speranza che questa vitapossa essere spirituale. Ci sono famiglie che cer-cano lo spirituale (l’autentico, il veramente pre-zioso) lontano dalla normalità, dalla quotidia-nità dello loro storie relazionali e terrene e nonlo trovano, a volte nemmeno nei luoghi che do-vrebbero essere deputati a ciò.“Offrire sacrifici spirituali” oggi è davvero una

    delle urgenze che vengono urlate dal silenzio direlazioni spente, dall’indifferenza di amanti de-lusi, dall’opacità di una sposa «che è rimasta in-dietro di duecento anni» (C. M. Martini).

    “La ricerca di una casa dove poter sostare…”.Mentre «le nostre case religiose sono vuote»(C. M. Martini)Il cammino percorso ci fa dire che dell’esperien-za spirituale è possibile beneficiarne se trovi ca-sa, ovvero incontri un uomo ed una donna chedentro il loro umano si esercitano nella ricercadi quel lasciarsi abitare dallo Spirito che condu-ce a partecipare indegnamente alla Passione diCristo. Testimoniano così una umanità espostanella relazione con l’altro, umanità che divienecorpo donato e sangue versato verso il noi chegià siamo dinanzi a Lui ma che ci sta davanti esi allontana quando ci affanniamo a dire conti-nuamente “Io”. Dare tempo e cercare condivi-sioni per realizzare luoghi che divengano casadove “potersi dare un appuntamento e guardarsinegli occhi” è partecipare alla creazione di spazinei quali «l’altro mi è posto di fronte, come unaiuto alla mia solitudine»: ovvero è come … ri-tornare agli inizi, biblici per questo umani e vi-ceversa.

    “Il desiderio profondo di gustare quel silenzioche è sorgivo della parola che ci fa esistere”«Quando si evita a ogni costo di ritrovarsi soli,si rinuncia all’opportunità di provare la solitu-dine: quel sublime stato in cui è possibile racco-gliere le proprie idee, meditare, riflettere, crearee – in ultima analisi – dare senso e sostanza allacomunicazione. Certo che chi non ne ha maigustato il sapore non saprà mai ciò che ha per-so, ha lasciato indietro, a cosa ha rinunciato»(Z. Bauman).Impegnare, oltre il lavoro, le energie che ritenia-mo importante trafficare per il Regno nella dire-zione di intercettare coppie che vivono insiemema sole e accompagnarle nel gustare quella “so-litudine” abitata dall’ascolto di una Parola che ti

    CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 15

  • di narra di un Dio in cerca del tuo smarrimentoè una grazia che in questi anni abbiamo gustatoabbondantemente. Amici, conoscenti, comu-nità cristiane ed anche i media ci parlano conti-nuamente di una folla che desidera spegnere laconnessione con il vuoto ed accendere l’ascoltoed il dialogo autentici. Del cortile e del boscoabbiamo bisogno, se non proprio come luoghifisici, certamente come spazi esistenziali doveessere con qualcuno, in amicizia, in compagnia.

    “La necessità di curare un’intimità cuore acuore capace di restituirci a quell’essenzialità– noi due! – che è il principio e fondamentodella nostra umanità”Se è vero che “ogni persona che sperimenta gliesercizi di fatto scrive il proprio libro degli eser-cizi, assumendo così una propria competenzasul testo, per la semplicissima ragione che hacompetenza sulla propria vita … - ed è altret-tanto vero che - … la vita affettiva, la vita dicoppia è una vita che comprendiamo nella pra-tica” (U. Bovani) occorre condividere le nostredisponibilità ed affinare le nostre sensibilità permigliorare la cura di proposte che siano davveroautentici inviti a riscoprire l’essere due, maschioe femmina, come ‘principio e fondamento’ del-la relazione di coppia.Accenniamo solamente all’apertura degli eserci-zi per indicare una strada che è tutta da percor-rere, tenendo sullo sfondo l’icona dei due diEmmaus: rileggere la propria vita in due alla lu-ce della pedagogia ignaziana e avere il coraggio,la competenza e la fantasia di proporre una ri-lettura degli esercizi come coppie per le coppie.Il dono di parole e vite che ti aiutano a rileggerela tua storia di coppia come un ‘principio e fon-damento’ dal quale continuamente ripartire e alquale sempre ritornare è un bene troppo prezio-so da non essere ‘trafficato’ ed un urgenza oggiancor più tale da non essere ascoltata.

    “La speranza di trovare due compagni diviaggio (lui e lei, come noi) fraterni nell’a-

    scoltarci e disponibili nel condividere parole‘vissute’ sulla vita”L’itinerario degli esercizi è una strada maestranel crescere in umanità che abbisogna nella no-stra contemporaneità di salti di qualità metodo-logici e di ‘persone vive’ che sappiano spendersiper formare alla prassi del discernimento, del-l’indifferenza, della contemplatio ad amorem …Il dono degli esercizi spirituali di S. Ignazio, ‘di-stillato’ di quella pedagogia che lo Spirito hausato con lui a vantaggio di tanti, è un tesoroprezioso che va condiviso meglio e più di quan-to finora siamo riusciti a fare.I giorni di formazione e ricerca che abbiamoproposto hanno provato a rileggere il percorsoindividuale tracciato da S. Ignazio negli esercizisperimentandolo come coppie per coppie.La convinzione che ci anima - essendo gli eser-cizi “un’esperienza che va praticata là dove sia-mo (esistenzialmente parlando)” - è quella chele coppie che hanno maturato passi significativinel crescere nella prassi degli esercizi possanodivenire annuncio oggi nella chiesa e nel mon-do di un patrimonio che ha da essere tutto di-stribuito, condiviso e fatto crescere.Rivolgiamo un invito alle coppie CVX e a tuttequelle che hanno avuto la grazia di bere al poz-zo della spiritualità ignaziana: cerchiamoci, tro-viamoci, diamoci una mano nel trafficare evan-gelicamente e con il bagaglio delle nostre com-petenze umane il dono che abbiamo ricevuto.A presto!Anche via mail: [email protected]

    Massimo e Patrizia Ripamonti

    SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI

    16 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012

  • TESTIMONIANZA

    Un abito versatilee robusto

    La spiritualità è un abito, e un abito deve piace-re. Il matrimonio si caratterizza e si ricorda inprimo luogo per l’abito, certo quello che indos-sa la sposa, che suscita curiosità ed interesse, manell’insieme si guarda alla coppia, a come sta in-sieme con quelle nuove vesti, così speciali.La spiritualità piace, o non piace, se si proponecome veste congeniale alla tua forma, alla tuastruttura, alle tue inclinazioni e quindi ai tuoimovimenti. Ci siamo trovati, nel matrimonio,rivestiti di un abito che avevamo incontrato, co-me proposta, all’inizio del nostro cammino diformazione giovanile. Il Sarto ci è venuto in-contro con discrezione, mandando avanti suoicollaboratori, che ci hanno fatto toccare la stof-fa, saggiare la resistenza, gustare i colori, con-templare la forma che la veste poteva assumere,

    se avessimo deciso di indossarla.La spiritualità che aveva animato Ignazio diLoyola, è la stessa che, tramite lui e l’esperienzadegli Esercizi spirituali, ha aiutato molte perso-ne, nei secoli, a conoscere, amare e seguire Gesùdi Nazareth, a lasciarsi ispirare dallo Spirito, adabbandonarsi alla volontà del Padre. In questastoria ci siamo sentiti coinvolti e abbiamo deci-so di lasciarci portare, senza precostituire ognitappa, ma al contrario, cercando il senso in ciòche accadeva. La Comunità di vita Cristiana èstata per noi una forma concreta per vivere, in-sieme ad altri, la dinamica che si genera se ci siaffida a questa spiritualità ed ai suoi strumenti,se si comprende che è l’abito che fa per noi.È un abito versatile, di stoffa robusta, di ottimafattura, resistente alle intemperie; ma anche ele-gante, distinto, adatto agli incontri ed alle occa-sioni più preziose, più intime. La lucentezza deltessuto, la vivacità dei colori, dipendono da va-rie condizioni: il rinnovamento interiore, chenaturalmente viene da cercare se lo si indossa, eche prende la forma degli Esercizi spirituali,quando è possibile, ma anche di tutte le moda-lità ed occasioni di incontro quotidiano o co-munque regolare con la Parola; il dialogo, con-tinuo ed intimo, in casa nello (s)correre deigiorni, o in tempi da custodire con cura, in unadimensione dove lo scambio di parole porta adiradare le nebbie, o ad alleggerire i pesi, o adesaltare le meraviglie, ma comunque a far emer-gere la Parola per noi, la Parola per oggi, qui.Ma non ci sarebbe freschezza se l’abito nonprendesse aria, nell’incontro con gli altri. Accadeallora che accogliendosi, a tu per tu nell’amici-zia, o nell’esperienza fraterna di una comunità,ci si accorge come i nostri colori si intonano aquelli degli altri, o comunque compongono unnuovo disegno, che però bisogna saper vederedall’Alto, e che può anche essere in grado di at-tirare qualcuno, perché più visibile. Stando in-sieme, la cura si sposta sugli altri, l’attenzionepuò diventare ammirazione, oppure si rivolgeagli abiti sgualciti, a quelli dove si vede ancora il

    CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 17

  • segno di strappi, e si trova il coraggio di mostra-re alcune pieghe di sé, di noi, che preferivamotenere nascoste.È la passione, che fa tutto questo. L’Amore cheIgnazio ha imparato a conoscere e che ci invitaa contemplare, in particolare al termine delcammino degli Esercizi; l’Amore che muove leTre Persone Divine a donarsi, e che ci invitacontinuamente a vivere la nostra vita come ri-sposta (per usare le parole dei Principi Generalidella CVX).La passione che ci ha attirato l’uno all’altra, e ciha portati a diventare nuova creatura, è la stessapassione che preme perché non stiamo a rimira-re il nostro abito, o a proteggerlo perché non sidebba macchiare. Ci spinge, ci porta fuori, cisostiene nelle delusioni indicando orizzonti piùampi, cambiando il punto di osservazione dellanostra vita, che pure rimane quella di prima. Èuna forza che ci attrae, perenne, sempre viva. Ese il sentimento che abbiamo provato, l’unoverso l’altra, ora, custodito negli anni, assumeforme diverse, questa forza è intatta, vitale e vi-vificante, e si propone continuamente come unmistero di comunione che cerca persone in gra-do di renderlo visibile, tangibile, perfino com-mestibile, nelle case e sulla tavola di tutti i gior-ni della nostra vita. Questo è possibile, la stradac’è, i mezzi per percorrerla anche, e sappiamoche si chiamano Ascolto, Preghiera, Discerni-mento per una scelta di servizio, là dove ti trovi,e abbiamo provato che ci sono sempre, basta ri-conoscerli, angeli che accompagnano durante ilcammino (Tb. 5, 5 “Conosci la strada? – chiedeTobia all’angelo Raffaele – Certo, parecchie vol-te sono stato lì, e conosco bene tutte le strade”).

    Oriana e Luca Gaspari

    TESTIMONIANZA

    Vita di comunitàe matrimonio:alla ricerca di unasintesi possibile

    L’attuale Cvx di Trieste è nata, dopo un lungopercorso iniziato nei primi anni ‘90, dall’espe-rienza degli Esercizi spirituali. Oggi sappiamoche questo inizio fu per molti aspetti inusuale:una ventina di giovani, provenienti da parroc-chie e identità ecclesiali diverse, provarono a ri-trovarsi per non perdere quel talento che gliEsercizi avevano fatto scoprire per la prima vol-ta. Quel rapporto così vivo con la Parola, lacomprensione di una spiritualità incarnata nellavita di ogni giorno erano perle troppo prezioseperché andassero disperse. Nessuno voleva tor-nare indietro, lasciare che l’esperienza degliEsercizi si esaurisse in un lontano ricordo. Cosìè iniziato anche il nostro cammino di formazio-ne ignaziana, prima grazie a un’amica, che ave-va alle spalle un’attiva adesione alla Cvx, poi,nel 1996, grazie a una coppia di Firenze prove-niente dalla stessa esperienza che, per motivi dilavoro, veniva a vivere nella nostra città. Anchegrazie alla loro guida, sono seguite le tappe suc-cessive: i primi impegni temporanei, la colloca-zione della sede della Comunità nel Centro gio-vanile dei Padri gesuiti, l’arrivo dei primi assi-stenti (ricordiamo con affetto p. Bruno Bois, p.Enrico Mariotti — di cui oggi la nostra comu-nità porta il nome — e p. Massimo Tozzo), l’in-contro con la Cvx nazionale e interregionale.Questo breve excursus ci consente di ricordareche la presenza di sposi è stata graduale, contri-buendo a mantenere tuttavia una composizioneeterogenea della nostra Comunità, dato che ne

    SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI

    18 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012

  • fanno parte anche coniugi con il marito o lamoglie non aderenti, separati, consacrati e sin-gle. Il riconoscerci come Comunità unita dall’o-riginale ricerca di una vita spirituale nel quoti-diano ci ha consentito di non sentire la neces-sità di far parte di un gruppo-famiglie, tantoche la presenza dei non sposati si è rivelata pernoi un valore aggiunto, che ci ha fatto crescerenella comprensione della complessità della vita.D’altra parte, vivere il matrimonio “dentro” laCvx è stato anche il nostro impegno a migliora-re la qualità delle relazioni interne ed esterne, inuna prospettiva di apertura al mondo, a comin-ciare dalla propria realtà locale.Anche per noi coppia, dal giorno del nostro sì,della nostra alleanza, come a Cana, abbiamo av-vertito in modo più speciale la presenza del Si-gnore Gesù, Ospite discreto che ha trasformato,passo dopo passo, giare colme d’acqua in vinoinebriante: il vino dei doni ricevuti, a comincia-re dalle nostre figlie, dei nostri incontri, dellenostre amicizie, del nostro lavoro.Se è vero che, come ci insegna Ignazio, fine ulti-mo della nostra vita è «salvare la propria anima»,la vita di coppia e familiare ci ha fatto scoprireche questa salvezza per noi due passa attraversoil quotidiano mistero sponsale, «via mistica»dell’essere l’uno per l’altra e del non poter pre-scindere l’uno dall’altra. Proprio la Comunità,luogo di condivisione e di preghiera, non senzalimiti, conflitti e contraddizioni, è stata la carti-na di tornasole della vita sponsale delle coppiepresenti, in cui gratuitamente continuiamo adare e soprattutto a ricevere.Negli ultimi anni per le nostre famiglie si è con-cretizzata la possibilità di partecipare agli Eser-cizi spirituali con una formula innovativa, nonsolo perché garantisce per la durata del ritiro lacura e l’animazione dei figli, ma soprattuttoperché il percorso è pensato esplicitamente perle coppie. Se gli Esercizi di per sé sono struttu-rati per il singolo esercitante, in questo caso l’ul-timo colloquio con la guida è dei due sposi as-sieme, che riconoscono in tal senso la specialità

    della propria vita sacramentale. Segnaliamoquesta scelta, ormai per noi consolidata, perchéè l’unico momento estivo in cui la nostra iden-tità di Cvx “allargata” cede il passo alle esigenzespirituali della coppia, un punto di arrivo e dipartenza, che ci consente di riassaporare congratitudine il senso della nostra quotidianità,della nostra vita familiare e della nostra apparte-nenza ecclesiale.

    Valentina e Massimo Gnezda

    CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 19

    Due

    Quando saremo due saremo veglia e sonnoaffonderemo nella stessa polpacome il dente di latte e il suo secondo,saremo due come sono le acque, le dolci ele salate,come i cieli, del giorno e della notte,due come sono i piedi, gli occhi, i reni,come i tempi del battitoi colpi del respiro.Quando saremo due non avremo metàsaremo un due che non si può dividere conniente.Quando saremo due, nessuno sarà uno,uno sarà l’uguale di nessunoe l’unità consisterà nel due.Quando saremo duecambierà nome pure l’universodiventerà diverso.

    Erri De Luca(Solo andata – righe che vanno troppo spesso

    a capo, Feltrinelli, p. 76)

  • Il sacerdote come problemaPer strano che possa sembrare, ci ha colto disorpresa (quasi come una dolorosa scoperta) ladrammaticità umana del sacerdozio. Eppure,l’uomo sacerdotale è sempre stato lì, alla vista ditutti, nel cuore delle città. Figura familiare nel-l’ambito quotidiano del credente (come confor-tante sublimazione o come scandalo doloroso),quest’uomo, più di una volta, è apparso all’in-credulo come un baluardo dell’oscurantismo edell’ipocrisia; la sua stessa ordinaria assenza dal-l’orizzonte senza preoccupazioni dell’indifferen-te, portava con sé il sospetto di un’abolizione se-lettiva.

    Un sacerdote di oggi si interrogaPerché questa ignoranza tanto diffusa dei rischiumani di una grazia che non sfugge alla dram-

    maticità delle nostre opzioni più libere? Forse lastessa teologia del sacerdozi osi è preoccupatapiù della sua ontologia profonda (cristologicaed ecclesiale), che non del fenomeno umanoche ne deriva quando si dà un volto storico alCristo Capo del nostro tempo intermedio. Sidefinì il suo dover essere, si ripensarono i mezziche dovevano tradurre questo dover essere inuno stile di vita e di azione apostolica. Ma, fo-calizzata così l’attenzione sulle funzioni socio-religiose del sacerdote, fino a che punto abbia-mo perso di vista l’uomo che, intanto, continuaa vivere e a lottare la sua umanità comune sottouna uniformante veste talare e nella simbolicamagnificenza degli ornamenti cultuali? Come sitraduce la grazia del sacerdozio ministeriali intermini di umana esistenzialità quotidiana?È di fronte a questi interrogativi che improvvi-

    SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI

    20 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012

    Un sacerdote di oggi si interroga*

    DI P. RODOLFO E. DE ROUX S.J.

  • samente il sacerdote ritorna a essere un proble-ma umano. E una volta entrato in crisi, cade inpieno sotto il fuoco critico e scrutatore del so-ciologo, dell’artista, del giornalista – come siconviene alla nostra società dei mass media. Peralcuni è uno spettacolo interessante. Un indicedel momento cruciale che viviamo, momentodi passaggio a un altro tipo di civiltà. Il finale diun’avventura dello spirito umano. Crepuscolodel divino che, scomparendo definitivamentedall’orizzonte del divenire storico, manda un ul-timo fuoco tragico e inutile, nel piccolo ridottodi poche vite umane. Agonia di Dio nel cuoredell’uomo che identificò per tradizione, conLui, la Sua “ditta”: il sacerdote.Per altri invece, i credenti, questa è una crisi cheli tocca personalmente Qualcosa di se stessi siagita, si scandalizza, s’interroga, spera e disperasul volto di questo “uomo di Dio”, di questo“altro Cristo” che vive e soffre oggi la sua tenta-zione. Le sue speranze, la sua ricerca sotto losguardo tante volte deformante del Grande In-quisitore contemporaneo: il cinema, la stampa,la televisione, la radio.Per il sacerdote stesso significa rimettere sul tap-peto un tema sempre sconcertante: l’avventu-rarsi nel mistero di se stesso. È un tentativo, fu-gace eppure stimolante, di imprigionare inschemi logici e di linguaggio la propria irriduci-bili spontaneità, la sua identità che sfugge aogni definizione. In ultima analisi, è scoprireuna volta di più il paradosso di questo progettoumano di vivere nei limiti di se stesso lì dovel’uomo presente si sveste del suo io possessivosolo per cominciare, di nuovo, come abbando-no totale, nel Tu supremo e originante.

    Sorge la domandaPerché sono sacerdote? Lo vogliamo o no, la do-manda è qui, inevitabile, stimolata dalla stessaattitudine critica del momento. Quale è il sensoultimo di questa chiamata che sorse, un giorno– unico e indimenticabile – nel profondo di mestesso, esigendo da me un’opzione tanto più ir-

    revocabile quanto più libera e compromettente;una decisione che condiziona e modella total-mente la mia esistenza? Cosa sono io, sacerdote?Quale è la linea di questo progetto divino-uma-no, intravisto tante volte, non so se con doloreo con gioia, sperimentato come una forza chetoglie a me persino me stesso senza tuttavia far-mi smettere, minimamente, d’essere me stesso?Sono sacerdote. È il fatto luminoso della mia vi-ta. E tuttavia è la mia croce. Non un privilegiorispetto agli altri. No, neppure se fosse un tragi-co privilegio. È semplicemente la mia realtàumana. Amalgama indissolubile di forza e didebolezza, di gioia e di dolore, di successo e difallimento. È il mio rischio, la mia possibilità.

    Un uomoSì. Anzitutto il sacerdozio, come mia personaleesistenzialità, è la mia maniera specifica di par-tecipare al bene comune delle realtà umane. Edè così che la domanda comincia a mutarsi in ri-sposta.Sono sacerdote perché sono uomo. Né la fedené l’incredulità di tanti miei fratelli può ormaiignorare il mio aspetto umano, il mio cuoreumano, la mia lotta, la mia tristezza e la mia fe-licità di vivere come uomo. (…)Un uomo tra gli uomini. Decisione di essere nelnon-essere. Apertura infinita nella chiusuracreaturale. Generosità enorme, nata come unfiore esotico e incomprensibile dal letame delmio egoismo, del mio esasperante fluire vigliac-camente da me verso di me, per me. Contro ofuori degli altri.Il sacerdozio non mi redime dai miei limiti, dal-le mie deficienze, dalle mie prevaricazioni. Ma,ugualmente, non mi aliena dai valori della miacondizione umana. È piuttosto un orizzonte at-traente che mi chiama a essere uomo, più uo-mo, fino al limite supremo delle mie possibilità.

    Un uomo per gli uominiIl mio sacerdozio non è assolutamente una fu-ga. È integrazione, compromesso. Scala di Gia-

    CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 21

  • cobbe attraverso la quale Dio viene all’uomo.Solo la mia pusilamminità o la mia stanchezza –frutti amari della fiducia esclusiva in me stesso– possono invertire il suo senso originario edeformare questo cammino di Dio agli uominitrasformandolo in una scaletta da incendio perle mie deplorevoli evasioni; e questo avvienequando il Giona, che si annida in ogni uomo diapostolo, si rifiuta in me di accettare il rischiodella Parola; quando la fruizione egoista delloSpirito corrompe in me questa fonte di acquaviva impedendole di scorrere; o, forse, e piùspesso, quando l’eco delle mie angustie perso-nali, delle mie esasperazioni umane, ripetuta al-l’infinito nella cassa di risonanza degli altri, siingigantisce e giunge ad essermi insopportabile.Un uomo per gli uomini. Spalla a spalla nellosforzo titanico per un mondo migliore, piùumano. Impaziente con le su impazienze. Illusoe utopico con i suoi sogni e le sue aspirazioni.Disilluzo e amareggiato con i suoi fallimenti.Un uomo che partecipa del peccato e della mor-te. Un uomo che insiste nell’amare e nella spe-ranza della resurrezione. (…)

    Un uomo con gli uominiQuando vedo una madre letteralmente «attac-cata» alla culla del suo bimbo infermo; quandoconosco l’affanno di un padre di famiglia; quan-do constato la sollecitudine che non conosce ri-poso di un medico o di un’infermiera; quandointravedo l’attività instancabile di un uomo distato; di un rivoluzionario; di un artista genui-no; non posso fare a meno di vedere in essi unacrescita del mio proprio essere e, a volte, un ta-cito rimprovero al mio dover-essere.«Essere-per-gli-altri!». Chi non lo ha sperimen-tato almeno qualche volta, nei momenti piùbelli, più umani? La differenza sarebbe nel ca-rattere totalizzante della mia consegna sacerdo-tale? Perché questo essere-per-gli-altri non con-diziona solo una parte della mia attività o delmio essere. Non è solo un ufficio, una professio-ne, né tanto meno uno statuto sociale dinanzi

    al quale io possa ritirarmi a mio arbitrio, deltutto o periodicamente, secondo i miei gusti o imiei bisogni.Il sacerdozio ricopre e afferra tutta la mia vita,la mia attività pubblica e privata. Non «eserci-to» semplicemente Cristo, sono alter Christus.

    Alter Christus(…) La tradizione della chiesa, riconosciuta dalVaticano II; ha descritto il mio sacerdozio comesacramentalità ministeriale (simbolo e strumen-to) di Cristo Capo, di Cristo Fonte di ognirealtà e dinamismo cristiano. Ognuno, nellamisura in cui è veramente cristiano, è Cristo. Lasua attività cristiana è Cristo che la attua in lui.Cristo che insegna, santifica, dirige. Ma io, nel-la misura del mio essere-sacerdote-ministeriale,sono Cristo come dispensatore e responsabiledella Parola, della Vita, dell’Azione.Questa è la mia peculiarità ultima, esclusiva. Inme vive e agisce il Cristo della iniziativa radicale,della grazia come grazia, in tutta la sua gratitudi-ne irriducibile. E, per questo, il mio sacerdozio-ministeriale, il mio essere-per-gli-altri, pur re-stando essenzialmente un servizio, è ne non pos-so evitare che sia, anche un «potere». Un potereche nessuna impresa umana prometeica, neppu-re degli altri membri del corpo cristiano, può ot-tenere da sé sola. Un potere che viene da Dio,per Cristo, nello Spirito, e che prende la suaespressione umana, la sua tangibilità terrena,nella mia realtà sacerdotale di uomo-Cristo.Solo che, precisamente qui, dove il mio sacer-dozio sembrerebbe distaccarsi definitivamentedagli uomini, sono ancor più vincolato agli uo-mini. Anzitutto perché Cristo stesso è l’UOMO.Perché in Lui il divino non si dà a noi se non

    SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI

    22 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012

  • impregnato di umanità. È per antonomasia ilSERVO. Io stesso, quindi, sono in funzione del-l’uomo. Il mio potere è un servizio, un dono diDio, in me, non a me, ma agli altri.

    Ministro dell’amore di Cristo…Il mio celibato non implica una censura, un ri-fiuto dell’amore umano nella sua espressionesessuale. Ma dice anzitutto, simbolicamente, unaltro momento, non meno importante della suaimmensa ricchezza. Altri forse porteranno ra-gioni molto più valide e profonde per affermareil celibato sacerdotale; per me, esistenzialmente,il suo sigillo consacrante è, innanzitutto, inse-gna d’amore: dell’amore del Padre, in me, agliuomini; dell’amore degli uomini, in me, al Pa-dre. Per esso sono anche testimone, dispensato-re e pastore dell’amore redento in mezzo agliuomini che tremano d’amore e si dibattono conl’amore egoista tanto vicino all’odio.Non posso concepire il mio sacerdozio se noncome un ministero della pace, della riconcilia-zione universale; un ministero che implica, avolte, una lotta aperta, in nome dell’amore,contro il male e l’oppressione mimetizzati sottotante forme.

    … e della risposta umana(…) Essere cristiano è aver detto sì a Dio in Cri-sto e negli uomini. È vivere giorno per giorno ilsì della fede, della carità, della speranza nell’ac-cettazione (che è rischio e compromesso) dellagrazia. La mia missione sarà risvegliare questarisposta nel cuore dell’uomo, di ciascun uomoattraverso la proclamazione della Parola che in-terpella; seguire e difendere questa risposta consollecitudine pastorale; consacrarla, restaurarlae promuoverla nell’amministrazione dei sacra-menti fino al momento culminante in cui la miattività sacrificale e ministeriale incorpora que-sta risposta, come sacrificio spirituale, al sacrifi-cio unico di Cristo, nell’unità dinamica e tota-lizzante della celebrazione eucaristica della chie-sta, Cristo totale.

    Uomo della Chiesa(…) Sono quindi un uomo-della-chiesa. Segnotra gli uomini della sua presenza missionaria emanifestazione dell’origine cristologica (di gra-zia) della stessa. Segno attuante, agente ministe-riale di questa missione ecclesiale che è la stessadi Cristo, nella sua espansione storica. Ecco, inuna chiesa che è essenzialmente campo di riso-nanza della Parola, ambito visibile della graziasalvifica, potestà conduttrice del peregrinareumano nel suo esodo perpetuo della morte allavita, sono uomo della Parola, del Sacramento,del Pastorale (potestà pastorale).

    Uomo della ParolaSono il suo responsabile. Ad essa è vincolato in-dissolubilmente il mio destino terreno. In veritànon sono il portavoce esclusivo. Può anche ri-suonare su labbra non ministeriali. Ma il cari-sma che purifica e il sigillo che autentica deriva-no dalla responsabilità e prerogativa della fun-zione magisteriale e gerarchica della qualepartecipo. Parola eterna, sempre la stessa e sem-pre nuova. Oggi sottoposta, per decisione apo-stolica, a uno sforzo gigantesco di rinnovamen-to e adattamento in risposta provvidenziale alleprovocazioni che vengono dall’emergere dellatecnopoli come impronta e forgia di una nuovacultura.Questo processo ineludibile è mio compito, an-goscia, mio rischio, e può diventare la mia ten-tazione. Rischio di tradirla, di svirilizzarla,strappandola dal ceppo vivo della tradizione ec-clesiale. Tentazione di abbassare le sue istanzedivine (nel tentativo di raggiungere un uomodalle prospettive unicamente orizzontali) al li-vello vulnerabile e discutibile delle ideologie,della prassi, delle utopie umane. (…)

    Uomo del PastoraleOgni cristiano è un capo, responsabile della ri-conciliazione universale in Cristo. Un principiodinamico trascendente di unione e promozionecomunitaria. Partecipa della regalità universale

    CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 23

    In me vive e agisce il Cristo della iniziativa radicale,della grazia come grazia, in tutta la sua gratitudine irriducibile.

    E, per questo, il mio sacerdozio-ministeriale, il mioessere-per-gli-altri, pur restando essenzialmente un servizio,

    è ne non posso evitare che sia, anche un «potere».

  • di Cristo che dà dimensione salvifica all’impe-gno umano. Ma il popolo di Dio, in questa eco-nomia dei mediatori, (profeti e guide) richiede,per disposizione divina, il Pastorale, indice e so-stegno dei suoi pastori. E nelle mie mani mini-steriali riposa e scotta, con urgenza e responsa-bilità incalzanti, il Pastorale.Responsabilità direttiva che non è pretesa di pri-vilegio o di predominio, ma di servizio. Un ser-vizio – nel potere – che nasce dall’obbedienza to-tale alla fede, in me e nei miei fratelli. Potestàconduttrice che riconosce, sincera e umile, i suoilimiti e si sforza di rimanere nella sua sfera dicompetenza; che per questo sa trasformarsi incollaborazione e rispetto esemplari dinanzi ad al-tri poteri che rivendicano per sé, legittimamen-te, la gestione del bene comune degli uomini.Questa funzione, come le precedenti, può costi-tuire la mia tentazione: di preminenza, di desi-derio inconfessato di abuso d’autorità. (…) Diqui la mia lucida coscienza della terribile re-sponsabilità del comando, della sua crescentedifficoltà, non meno che della mia impotenzapersonale e dell’adulterio dei miei fratelli; que-sto servizio-potestà si converte facilmente inuna croce che solo la forza di Cristo, nella miadebolezza, può rendere sopportabile. E mentremi opprimono la solitudine e l’ineluttabile re-sponsabilità del mandato, Egli m’incalza nell’in-timo, gridando: «Impugna il tuo Pastorale , po-niti dinanzi al mio popolo». «Da oggi stesso tido autorità sulle genti e sui regni, per demoliree abbattere per perdere e annientare, per riedifi-care e piantare» (Ger 1,10).

    Sacerdote di oggi e di domaniQuando percorro così, in un unico sguardo, l’o-rizzonte illimitato della presenza salvifica di Cri-sto nella sua chiesa, intravedo la possibilità mol-teplice di un pluralismo di incarnazioni, di rea-lizzazioni concrete, all’interno dell’identitàfondamentale, inerente a questo mistero – unicoe vitale – del sacerdozio ministeriale di Cristo.Profeta, liturgo, pastore: tre note melodiche che

    possono integrarsi in molte e diverse armonie;che possono moltiplicarsi in un’infinità di varia-zioni all’interno di questa grande sinfonia del-l’azione salvifica ministeriale.Non so quali forme concrete rivestirà domani ilmio sacerdozio. E soffro oggi, in questo abboz-zo incerto, per le deviazioni di alcuni miei fra-telli nel sacerdozio. Ma il Signore di tutti è Ge-sù che non si smentisce. È compito della suachiesa discernere la riuscita attraverso le devia-zioni; il carisma innovatore nonostante i capric-ci personali. In ogni caso, e sotto qualunqueforma, il sacerdozio sarà sempre una realtà per-cepibile solamente alla luce tenebrosa della fe-de; fecondo unicamente del dinamismo purifi-cante della carità; accattabile e sostenibile solonell’attrazione confortante della speranza.In quest’ora di tempesta e di tenebra, la nostradebolezza si appoggia fiduciosa su di Lui. Eglisuciterà, sempre di nuovo, libertà capaci di ac-cettare la sfida della sua chiamata; per afferrarela Parola sulle labbra di coloro che tacciono nel-la morte o nella disperazione; per rinnovare ilPane che altri abbandonano sulla sua mensa;per raccogliere il Pastorale che altri lasciò caderelungo il cammino.Loro e noi, fratelli di oggi e di domani, nellagloria e nella croce del sacerdozio, andremo in-contro – stretti in una ineludibile identità – auno stesso sacrificio, a una stessa tentazione: es-sere pastori autentici o lupi rapaci; custodi le-gittimi della Porta o ladri furtivi dell’ovile; servidell’Amore di Dio e degli uomini o speculatoriper la propria affermazione; fonti di acqua vivao cisterne torre, vuote, offerte – in tragica burla– alla sete degli uomini. Ma nonostante tutto, ilsacerdozio di Cristo prolungherà sempre la suarisonanza ministeriale nella chiesa, per il mon-do. E avrà sempre labbra che proclamano, checonsacrano, che dirigono il popolo di Dio versole Porte della Vita.

    * La traduzione dell’articolo, già pubblicato in «Rassegna di Teo-logia», è stata curata da P. Vincenzo Sibilio S.I.

    SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI

    24 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012

  • Tra tutti i sacramenti, quello dell’Unzio-ne degli Infermi (UI) è quello che miappare, così in prima battuta, più “osti-

    co” per una trattazione sotto la prospettiva chemi è stata richiesta. Quale potrebbe mai esserela specificità “ignaziana” di un sacramento co-me quello della UI?Mi pare di poter dire, allora, che più che unosguardo sul sacramento in sé, potrebbe rivestireun certo interesse riflettere a partire da uno

    sguardo ignaziano sulla situazione nella qualeagisce il sacramento. E tale situazione è una del-le più problematiche dell’esistenza umana: è la“ferita”, l’esperienza del limite, della malattia,della sofferenza e, spesso, della vicinanza ? pro-babile od ormai certa, poco importa ? dellamorte.Mi chiedo allora: quali sono le “coordinateignaziane” fondamentali per inquadrare il no-stro argomento? Non ho dubbi, è la dinamica

    SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI

    CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 25

    Uno sguardo ignazianosull’Unzione degli InfermiDI P. MASSIMO PAMPALONI S.I.*

  • degli Esercizi e, in modo del tutto speciale per ilnostro scopo, il Principio e Fondamento (PF).L’altra dimensione non può che essere l’aposto-licità. Vediamo.

    PF e la fragilità creaturaleInizio la nostra lettura della malattia, e quindi ilsenso dello sperimentare la grazia per mezzo delSacramento, a partire da questo testo chiave de-gli Esercizi (ES 23), a mio avviso una delle piùpreziose meditazioni che Ignazio propone nelsuo libretto.Al di là del suo aspetto che potrebbe sembrare adalcuni un po’ “ragionieristico”, in esso ci sonodegli insights spirituali poderosi. Sappiamo che ilPF è come il quadro generale dentro il quale im-parare non solo a vivere la propria esistenza spi-rituale, ma direi proprio imparare ad abitarla.Il primo aspetto del PF che vorrei richiamare èquando dice che siamo creati. Essere creato si-gnifica che l’essere in relazione di dipendenzacon il Creatore mi è fondante, mi è assoluta-mente proprio, mi appartiene come costitutivo.Ciò implica che io non sono l’Essere, ma che ilmio essere mi è stato donato; quindi, io questoessere l’ho ricevuto. Sono un essere finito, com-pletamente sottoposto alla dura legge dei prin-cipi della termodinamica: sarà forse un modoun po’ freddo di dirlo, ma il mio corpo è desti-nato a consumarsi, non può rigenerarsi all’infi-nito né restare completamente immune allapossibilità di “problemi di funzionamento”. In-fatti, esso è sottoposto a tutte le possibili accele-razioni di tale processo irreversibile di degenera-zione dovute all’emergenza statistica di malattiee incidenti; indice che vediamo ancora più ele-varsi nel momento in cui prendiamo in consi-derazione un altro elemento stocastico nella suastessa natura: il gioco delle libertà umane. Que-ste possono, con il loro agire non assolutamentecontrollabile da me, intervenire per dare un’ul-teriore accelerazione al mio processo di degene-razione, per me