Spazialismi a confrontoMaria Maschietto Daniele Milan Milena Milani Lalli Munari Monica Peloso...

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Spazialismi a confronto

VINICIO VIANELLO BRUNA GASPARINI SAVERIO RAMPIN

Il firmatario e le presenze parallele

a cura di

Elsa DezuanniGiovanni Granzotto

Ennio Pouchard

VINICIO VIANELLO BRUNA GASPARINI SAVERIO RAMPIN

Il firmatario e le presenze parallele

Spazialismi a confronto

Museo Civico di Santa CaterinaTreviso, Piazzetta Mario Botter

12 ottobre 2008 - 11 gennaio 2009

Mostra a cura diElsa DezuanniGiovanni Granzotto

RealizzazioneStudio d’Arte GR,Sacile (Pordenone)

CoordinatoreEnnio Pouchard

OrganizzazioneUgo Granzotto

Catalogo a cura diElsa DezuanniGiovanni GranzottoEnnio Pouchard

Progetto graficoDiego Arnoldo

AssicuratoreAssicurazioni Generali S.p.A.Agenzia Generale di Treviso

TrasportiTransmont, Sacile (Pordenone)

In copertinaVinicio Vianello, Barena (Rocket), 1954 (particolare)

In quarta di copertinaBruna Gasparini, Sonorità, 1955 (particolare)Saverio Rampin, Momento n. 158, 1954 (particolare)

Nessuna parte di questa libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dai proprietari dei diritti e dell’editore

© 2008 GMV Libri, Villorba-TrevisoTutti i diritti riservati

Crediti fotograficiArchivi Galleria del Cavallino, VeneziaArchivio Vinicio Vianello, Treviso (T. Follina)Archivio Milena Milani, SavonaArchivio Saverio Rampin, Venezia Maria Maschietto

Un particolare ringraziamento aMaria Lucia Fabio Danilo De Filippo e figli Toni FollinaAntonio LucchettaFiorenzo LucchettaGaspare LucchettaGiancarlo LucchettaClaudio Ruberti

Si ringrazianoAmbra Altissimo Dal ZottoFranca Calimani RampinPaolo CardazzoSilvia CarraroOtto Celotto CorradiAnna Gloria EsterFlavio FasanElena FollinaGalleria Valmore Studio d’Arte, VicenzaOdilla GarbuioMassimo GaspardoAldo GaspariniNicola LimanaMaria MaschiettoDaniele MilanMilena MilaniLalli MunariMonica PelosoSilvano e Gianna PelosoMarino SinosiSabina TutoneSergio Zompetti

Assicurazioni Generali S.p.A.Agenzia Generale di Treviso

Città di Treviso

in collaborazione con

Studio d’Arte GR, Sacile

La mostra è stata resa possibile grazie al contributo di

Spazialismi a confronto

VINICIO VIANELLO BRUNA GASPARINI SAVERIO RAMPIN

Il firmatario e le presenze parallele

Deflettendo dal ritmo binario adottato nelle quattro precedenti puntate — due artisti di volta in volta chiamati sul proscenio, a formare coppie per affinità (così nel segmento d’avvio che pro-poneva i sodali, e solidali, Bacci e Morandis) o per sottintesa e sia pur non mai verificata disso-nanza — questa mostra conclusiva del ciclo sullo Spazialismo si declina secondo un andamento ternario. Motus in fine velocior, giusta una scansione lucidamente preordinata in sede di stesura del progetto espositivo e frutto di un quadro critico saldamente acquisito a monte, che invita ora a suggello Bruna Gasparini (sola presenza femminile), Saverio Rampin e Vinicio Vianello, tra i tre il nome più noto al pubblico, anche in virtù del suo fervido impegno nell’arte del vetro e nel design, oggetto di una recentissima rivisitazione al Museo di Castelvecchio.Il ciclo fa qui punto: dopo undici retrospettive — tanti sono gli autori — ormai da leggere come un’unica articolata (e da qui in avanti ineludibile) monografia sullo Spazialismo, versante ve-neziano. È stato accolto con l’attenzione che meritava il grande impegno che vi hanno profuso i curatori, e con loro gli sponsor che l’hanno intelligentemente sostenuto insieme con i gene-rosi prestatori delle opere. Per parte mia, partecipo la soddisfazione dei Musei Civici di Treviso nell’aver dedicato il proprio spazio espositivo di maggior prestigio a una delle esperienze più feconde dell’arte italiana del secondo dopoguerra, incentivando quell’apertura alla contem-poraneità (di riconosciuto alto profilo) che non può oggi non darsi nelle istituzioni indirizzate piuttosto, per tradizione e per valenza intrinseca del patrimonio, alla valorizzazione del passato meno prossimo.

Emilio Lippi Direttore delle Biblioteche e dei Musei Civici

Trentadue anni fa il Gruppo Euromobil includeva nella propria strategia di comunicazione un programma di interventi promozionali in favore dell’arte contemporanea, entro ambiti scelti sulla base di preferenze ed esperienze acquisite nel tempo.Da diversi anni abbiamo deciso di affiancare all’impegno imprenditoriale, nel settore dell’arredamento, il convinto sostegno a eventi artistici di assoluto prestigio in Italia e all’Estero. Essere sponsor di una grande mostra, così come sostenere l’attività di alcuni tra i più importanti artisti italiani, per noi ha significato, e sempre più significa, non solo offrire un contributo concreto, ma soprattutto riconoscere un’identità di ispirazione tra l’aspetto creativo del nostro lavoro e quello che ha portato alla genesi dei grandi capolavori dell’arte. Lo sviluppo di tali azioni si è gradualmente differenziato tra il sostegno alle attività espositive di molteplici artisti e l’appoggio concreto a rassegne di levatura storica, come appunto la serie di esposizioni dedicate al tema “Spazialismi a confronto” nella Sala ipogea del Museo di Santa Caterina a Treviso.

Antonio, Fiorenzo, Gaspare e Giancarlo Lucchetta Gruppo Euromobil

GMV, Grafiche Marini Villorba, ha accolto con entusiasmo di partecipare alla realizzazione del ciclo di mostre sul tema “Spazialismi a confronto”, offrendo in omaggio i relativi cataloghi. L’ampia serie di rassegne, che a Treviso ha trovato luogo ideale nella Sala ipogea del Museo di Santa Caterina, si completa ora con il quinto appuntamento dedicato a Vinicio Vianello, Bruna Gasparini, Saverio Rampin. La collaborazione intrapresa rientra nella politica editoriale di que-sta azienda trevigiana, sviluppata principalmente nel settore dei cataloghi per mostre d’arte e delle monografie d’artista, per una stimolazione culturale partecipativa nel proprio ambito ter-ritoriale. A ciò dedica le proprie energie per garantire una produzione mirata all’estrema cura qualitativa del prodotto, sia nei contenuti, sia nella realizzazione grafica e tipografica.GMV esprime un convinto apprezzamento per la scelta monotematica, centrata su uno dei movimenti artistici che ha caratterizzato l’arte italiana del secondo Novecento ed è ancora non sufficientemente indagato.

Claudio Ruberti GMV Libri

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Le Assicurazioni Generali hanno partecipano in qualità di sponsor, tramite l’Agenzia Generale di Treviso, alla realizzazione del programma biennale di cinque mostre d’arte contemporanea, realizzate nel Museo Civico di Santa Caterina a Treviso sul tema unico dello Spazialismo in ambito veneziano, giunto ora all’ultimo appuntamento. Abbiamo ampiamente apprezzato gli esiti delle altre quattro mostre, in cui sono stati confrontati Edmondo Bacci con Gino Moran-dis, Virgilio Guidi con Mario Deluigi, Tancredi con Ennio Finzi e Luciano Gaspari con Riccardo Licata. Desta particolare interesse ora la conclusione con Vinicio Vianello, Bruna Gasparini e Saverio Rampin, che mette in luce il confronto tra un artista che ha aderito formalmente allo Spazialismo, sottoscrivendo più di un manifesto del Movimento, e altri due che invece hanno seguito da esterni le attività e le iniziative degli artisti spaziali, rapportandovisi per affinità di ricerche. Con tale adesione le Assicurazioni Generali intendono riaffermare il proprio interesse sempre vivo nella promozione culturale estesa alle zone di competenza delle singole agenzie.

F. Rosi, G. Trevi, P. Lenzi, F. Martin Assicurazioni Generali Agenzia Generale di Treviso

Turinvest Spa persegue il progetto ambizioso di coniugare raffinatezza architettonica, alta tec-nologia, bellezza naturale e arte. Da tale intento è nato il Villaggio Sant’Andrea, un complesso turistico residenziale sul litorale veneto, portato a compimento con scrupolosa attenzione alle esigenze di chi lo abita e nel rispetto del contesto paesaggistico. Qui la proposta artistica si è concretizzata nel mosaico del maestro Riccardo Licata — una delle sue opere maggiori per di-mensione oggi esistente a cielo aperto nel territorio italiano — e avrà seguito con l’installazione di sculture di grandi dimensioni di insigni maestri nei complessi edilizi già in fase di edificazione e in quelli futuri da realizzare. La scelta di operare dando sostegno all’arte abbiamo voluto allargarla contribuendo al compi-mento di questo ciclo di mostre sullo Spazialismo veneto, allestite nel museo di Santa Caterina a Treviso, che si qualifica quale iniziativa di valore storico e di alto pregio artistico. Danilo, Stefano e Andrea De Filippo Turinvest Spa

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SOMMARIO

Il firmatarioe le ricerche parallele 17Elsa Dezuanni

ViXX.................. ................................. 21Giovanni Granzotto

Carlo Cardazzo, Venezia e lo Spazialismo 28 Ennio Pouchard

VINICIO VIANELLO Biografia 36Opere 39

BRUNA GASPARINI Biografia 64Opere 67

SAVERIO RAMPIN Biografia 84Opere 87

APPENDICE Ennio PouchardAntologia criticaVinicio Vianello 107Bruna Gasparini 111Saverio Rampin 115Lo Spazialismo, i manifesti 125Bibliografia essenziale 137

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La storicizzazione dello Spazialismo veneto si è avviata dagli Ottanta con una serie di rassegne, da Lugano (Villa Malpensata) a Venezia (Fondazione Bevilacqua La Masa), Ferrara (Palazzo dei Diamanti), Vicenza (Basilica Palladiana), Pordenone (Villa Galvani), e altre, di cui sono strumento essenziale i rispettivi cataloghi. A tali mostre si lega l’iniziativa dei Civici Musei trevigiani che, nei prestigiosi spazi del Museo di Santa Caterina, hanno promosso un ciclo biennale di cinque esposizioni, iniziato nel 2006, con il titolo comune di Spazialismi a confronto, del quale siamo ora al quarto appuntamento, dedicato a Luciano Gaspari (Venezia 1913-2007) e Riccardo Licata (Torino 1929).Nelle mostre precedenti sono state presentate le opere di Edmondo Bacci e Gino Morandis (10 novembre 2006 - 21 gennaio 2007), Virgilio Guidi e Mario Deluigi (31 marzo - 17 giugno 2007) Tancredi ed Ennio Finzi (14 ottobre 2007 - 13 gennaio 2008), selezionate dal periodo che va dalla fine del decennio 1940 alla fine degli anni Sessanta, con incursioni nella produzione successiva, per indicare gli sviluppi di determinate poetiche. Va subito chiarito che la spinta fontaniana a ricercare nuovi linguaggi espressivi fu interpretata dagli spaziali veneti — che rimasero per lo più ancorati ai mezzi tradizionali — come un’apertura verso ricerche e proposte libere da dettami teorici e stilistici, che non fossero quelli man mano determinati dall’artista stesso nel “farsi” dell’opera. Non è ravvisabile tuttavia alcuna incoerenza in chi aderì allo Spazialismo sottoscrivendo i manifesti o partecipando alle mostre collettive degli spaziali, e ben lo esprimeva nel 1972 Milena Milani, portavoce del Movimento e compagna di Carlo Cardazzo, scrivendo: «eravamo convinti che ancora vi sarebbero stati artisti che avrebbero scolpito o dipinto con le materie usate per il passato, ma eravamo altrettanto convinti che queste materie sarebbero state affrontate e guardate con altre mani, con altri occhi». Chi aderì allo Spazialismo di fatto esplorò la propria intelligenza per assecondare una personale sensibilità; ed ecco perché ognuno rimase debitore solo a se stesso. Il “confronto”, dunque, tra gli undici artisti dell’intera rassegna (che si concluderà con Vinicio Vianello — il più vicino a Fontana per mentalità di sperimentatore — e con una sezione dedicata a Bruna Gasparini e Saverio Rampin) non è volto a rilevare affinità o contaminazioni. Al contrario, mira a delineare la vicenda artistica e umana che ha connaturato lo Spazialismo veneto, portando in luce le singole personalità:

IL FIRMATARIO E LE RICERCHE PARALLELE

Elsa Dezuanni

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sia dei firmatari dei manifesti, sia degli artisti a loro legati per la partecipazione agli eventi del Movimento o anche per la sola frequentazione, i quali attraverso il dialogo instauratosi hanno maturato la mentalità per percorrere autonome vie di ricerca. Luciano Gaspari (1913-2007) e Riccardo Licata (1931) — che è stato allievo dell’altro al liceo artistico — operarono al di fuori del gruppo degli spaziali, cui tuttavia sono stati e sono sempre più relazionati dalla critica.Per Gaspari l’avvio in mostra avviene con un paesaggio di intonazione postcubista collocabile all’inizio del decennio ‘50, o forse anche un po’ prima, seguito da un’opera appena posteriore che rivela un brusco cambiamento verso l’informale,

con pennellate irruenti e una materia addensata, quasi che il pittore volesse marcare il superamento dell’esperienza precedente in modo irreversibile. Lungo il percorso espositivo diventa poi evidente che egli procedeva con una produzione che si distingue per tipologie diverse. Sulla metà degli anni Cinquanta la gestualità si è mutata in una pittura magra, all’inizio sobriamente tonale, che presenta raffigurazioni di masse gassose in movimento, talora squarciate da voragini luminose, in un dialogo serrato tra spazio e luce. In Concetto spaziale del 1958 il registro però è cambiato e la forma ha preso contorni ben definiti; si avviava intanto la serie denominata da Gaspari Dal ciclo delle stagioni: composizioni di forme astratte, ordinatamente disposte, elaborate con preziosismi cromatici su ampie campiture di fondo. I colori adesso brillano, squisitamente equilibrati su una gamma tonale accesa da piccoli tocchi di risalti timbrici. Da qui, nascevano le tante Germinazioni protratte fino all’inizio degli anni Settanta. Il titolo era da intendersi quale rimando al risveglio della natura — da cui Gaspari diceva di sentirsi molto attratto — poeticamente interpretato con forme terrigene trasmutantisi in spazi cosmici. Il passaggio a una diversa sperimentazione, con cambiamento di tecnica e supporto, giunse alquanto repentino. Da Icona del 1973 circa fino a Movenze della natura di una decina d’anni dopo (opere realizzate con una tecnica mista su carta) vive un ritorno all’informale e si profila il legame di Gaspari con l’arte vetraria, per via delle trasparenze e dell’amalgama dei colori. A fine anni Ottanta ricomparivano invece

V. Vianello, Grafia spaziale, 1951

forme determinate da contorni in un’astrazione — si veda il Trittico del 1988 — che sembra non aver rimosso il passato Ciclo delle stagioni; ma gli anni Novanta, lui ottantenne, rivedevano il ritorno all’informale con lavori di straordinaria freschezza coloristica. L’analisi di queste diverse fasi ha permesso la ridatazione di più opere, prendendo quali punti fermi le pochissime datate sul fronte dal maestro, le riproduzioni su dépliant di mostre tenute in tempi diversi e le foto documentarie. Altresì, si è tenuto conto che un po’ di confusione l’ha creata Gaspari stesso, attribuendo date erronee nell’autenticare i suoi lavori a distanza di tanti anni, in età ormai avanzata. Una delle note Germinazioni (tavola qui a p. 56), ad esempio, più volte vista e pubblicata con la datazione 1958-1960, va invece spostata al 1970-71. Prendendo, infatti, in considerazione un’altra Germinazione (tavola qui a p. 58), firmata in alto a sinistra “L. Gaspari 71”, risulta evidente che la gamma dei verdi e l’elemento sferico, che costituisce il fulcro d’attrazione, corrispondono perfettamente e devono essere ravvicinati nei tempi di esecuzione. Inoltre, se si considera che quest’opera ha partecipato all’edizione del 1973 della Rassegna Nazionale d’arte Quadriennale di Roma, è impensabile che, là dove tutti i partecipanti propongono le rispettive novità di orientamento, il maestro abbia presentato un dipinto realizzato quindici anni prima. Il medesimo ragionamento vale per l’altra Germinazione esposta nella stessa Quadriennale (tavola qui a p. 57).In Riccardo Licata c’è un fil rouge che attraversa tutta l’opera: il suono. Quello della musica, quello della voce umana. Era il 1949 quando, assistendo ai concerti della Fenice, fu attratto dai movimenti della bacchetta del direttore d’orchestra, trasformata nella sua immaginazione in una matita che tracciava disegni virtuali nello spazio. Da qui l’idea di materializzarli graficamente in un taccuino durante l’ascolto. Cominciava così la trasformazione dei suoni in segni, evoluti gradatamente in un alfabeto pittorico, ispirato dalla musica, ma anche dal canto e dall’intonazione di voci recitanti, che egli ascoltava nel suo atelier durante il lavoro. E il legame tra il dipinto e il suono è diventato tale che in una lunga intervista rilasciata a Michele Beraldo (di prossima pubblicazione) Licata ha affermato: «I segni che facevo corrispondevano a una precisa musica e non a un’altra. Osservando i miei lavori, anche di 50 anni fa, so risalire all’autore che ascoltavo mentre li dipingevo». Il primo dipinto in mostra è un Intreccio del 1953, un movimentato intrico segnico, serpenteggiante, in cui V. Vianello, Senza titolo, 1960

V. Vianello, Grafia spaziale, 1951

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compare, nella parte alta, una griglia in sottofondo. Particolare questo che sembra anticipare la bellissima serie di opere Senza titolo — che arriva alla fine di quel decennio — in cui la composizione è vagamente ripartita a scacchiera. Le differenti zone cromatiche hanno confini che si compenetrano, e in ognuna di esse il segno, diventato carnoso e sensuale, creava armoniche raffigurazioni astratte, arrivando all’esito di suggestivi effetti scenografici. In tale produzione la ricerca di Licata non appare orientata verso un’astrazione pura, ma derivante piuttosto da reazioni emotive e sedimentazioni del sentimento. Negli anni Sessanta, con la serie dei Giudici, si avverte un momento di transizione in cui il segno tende a essere più rappresentativo si sé, organizzato in scene dove il contenuto si chiarisce e rafforza di una componente narrativa. Nel contempo nascevano composizioni suddivise in spazi non più compenetranti,

ma nettamente definiti, come in Giardini veneziani del 1963 e Situazione del 1965. Sin dall’inizio del decennio successivo questa sorta di impasse verrà superata e Licata arriverà a un personalissimo linguaggio: una scrittura misteriosa, intima, non rapportabile a muti geroglifici o ideogrammi, bensì a lettere di un alfabeto sonoro, quelle di una lingua parlante, che nelle intenzioni della sua poetica — lui stesso l’ha ribadito — hanno il suono della sua memoria, del suo sentire, del suo vivere. Un linguaggio che nelle sue infinite variazioni è diventato una cifra inconfondibile. In esposizione ci sono alcuni esempi emblematici a partire dal 1973, dove la scrittura è soprattutto corsiva, racchiusa in ordinati riquadri. Nel tempo lo spazio interno al dipinto tenderà a scomporsi in più zone di diversa proporzione, come se in alcuni parti si aprissero delle zoomate, mentre la scrittura andrà acquisendo un’estetica più solenne con l’adozione delle lettere capitali. È del 1997 il Ritratto di Giovanni, di seducente sontuosità timbrica, che offre l’opportunità di condensare sinteticamente un certo punto di vista sull’opera di Licata. Il titolo, di per sé eloquente, rimanda d’istinto ai tratti fisiognomici di una persona;

S. Rampin, Senza titolo, 1955

Fra gli innumerevoli talenti che hanno abitato e arricchito la città della laguna dall’ultimo dopoguerra fino ad oggi, sia Luciano Gaspari che Riccardo Licata emergono come esempi di incontenibile e feconda preco-cità. Gaspari, dopo essersi già distinto nel 1931, studente diciottenne e seguace di Virgilio Guidi, con una prima partecipazione alla Collettiva dell’Opera Bevilacqua La Masa, nell’anno successivo viene premiato alla XVIII Biennale di Venezia come il più giovane espositore; partecipazione, la sua, proposta e sollecitata proprio dal Maestro Guidi. E da quel momento, fino agli anni dell’immediato dopo guerra, fu un continuo succedersi di partecipazioni alle Biennali veneziane ed alle Quadriennali romane. Nel 1943, poi, egli ave-va potuto inaugurare la prima personale alla prestigiosa galleria milanese del Milione, a cui farà seguito, l’anno successivo, una personale nella sua Venezia, presso il Cavallino di Cardazzo.Dal canto suo Riccardo Licata non fu certo da meno, poiché dopo la collettiva con Finzi, Blenner, Tancredi ed altri, alla galleria “Numero” di Firenze, nel 1949, nella prima frazione degli anni cinquanta, poco più che ventenne, fece man bassa di premi, di riconoscimenti e vittorie in concorsi. Dal 1951 al 1957 non si conta-no le sue presenze alla Bevilacqua La Masa, alla Biennale veneziana e ad altre Biennali, alla Quadriennale romana, ai Premi Michetti e San Fedele, ed a molti altri concorsi, dove solitamente, soprattutto nei premi per cartone da mosaico, sbaragliava la concorrenza. Ma quel successo così deflagrante e concordemente riconosciuto, raggiunto a poco più di vent’anni, finì per turbarlo, fino quasi a soffocarlo, ed a fargli per-cepire la dimensione fisica della laguna come troppo angusta e limitante per i suoi sogni. Venezia rimase comunque la sua città di adozione, ma egli partì — quasi uno strappo e una fuga — alla volta di Parigi.Dunque, il successo e la considerazione che i due giovanotti, pur nella considerevole differenza di età, si erano conquistati in quel dopoguerra, erano assolutamente giustificati dalla qualità alta delle loro opere; e soprattutto dalla loro originalità.Gaspari, nei primissimi anni, era rimasto in verità legato a stilemi abbastanza tradizionali, percorrendo la strada di un plasticismo fra l’intimistico e il sentimentale, dal timbro vagamente espressionista, che as-sumeva, però, una personale caratura emotiva, affidata alle corde della sensibilità e della partecipazione interiore. Dino Marangon ci spiega come “Gaspari sembra infatti impegnato nel difficile tentativo di dar corpo al proprio sguardo terrestre discostandosi gradualmente sia dall’assolutismo metafisico guidiano che

GA..............L..........................

Giovanni Granzotto

B. Gasparini, Ritmi, 1956

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da ogni mimetismo meramente naturalistico”.1 Lo stesso Virgilio Guidi conferme-rà questa disposizione e tensio-ne di Gaspari verso una sorta di umanesimo pittorico, in uno dei suoi scritti, disarmanti e chiarifi-catori, capaci di fotografare sen-za esitazioni i percorsi artistici dei colleghi: “Io riconosco in questo pittore appena trentenne già tre tempi della sua pittura. Questo non per dargli importanza este-riore secondo la leggerezza così comune oggi di attribuirsi un pe-

riodo ad ogni minima varietà della propria opera… Questi suoi tempi sono veramente una successione di fatti pittorici nati dalla evoluzione della sua coscienza di artista. Sono tre tempi giovanili sofferti e medi-tati. Nel primo, il pittore … trova immagini di donne sedute… come accentrate e sperdute ad un tempo, tra semplici architetture regolari… SAllora le sue colorazioni erano diverse, vive, autentiche, talvolta con accordi troppo prestabiliti restanti più colore che tono… Nel secondo periodo il pittore reagisce chiudendo la sua immagine nei limiti della natura morta… Ecco allora che nella sua mente nascerà la necessità di vo-lumi e di spazi; un desiderio di tonalità più intense, più gravi, e l’opera conquistare un punto focale, senza dispersioni… Nel terzo tempo il pittore… oltrepassa quella posizione per accompagnare e sottomettere spesso l’espressione formale e coloristica, ad un suo contenuto che è, come ho già detto, psicologicamente umano. Egli è ora, si può dire, espressionista, ma di un espressionismo pacato, di molta nobiltà…”.2

E Gaspari continuerà, anche nella seconda metà degli anni quaranta, a infondere nelle sue opere questa atmosfera fra il drammatico ed il crepuscolare, galleggiante fra pulsioni di sostanza ed intensità cosmi-ca, ed una visione più intimista e raccolta. Sicuramente non fu sordo alle sonorità ghiacciate e taglienti del fraseggio neo-cubista, e neppure si sottrasse ai molteplici stimoli che il vento europeo dell’“Informel“ cominciava finalmente a soffiare anche verso l’ Italia, ma Gaspari restò, fino all’inizio degli anni 50, ancora molto legato alla maniera “alla Gaspari”, a quella concezione di una forma solida e strutturata, che cercava nel virtuosismo della tavolozza la propria libertà espressiva.Nel frattempo a Venezia, era però accaduto il solito piccolo grande miracolo del coagularsi di molteplici talenti intorno ad una idea forte; o forse, meglio, intorno ad una emozione intellettuale, ad una intuizione catartica, intorno ad una nuova visione dell’attività e della produzione artistica: lo Spazialismo di Lucio

1 Dino Marangon, Luciano Gaspari. La natura della libertà, in catalogo della mostra Luciano Gaspari, tenutasi presso la galleria Comunale di Arte Contemporanea di Portogruaro, Ai Molini, marzo 20062 Virgilio Guidi, Discorso sul pittore Luciano Gaspari, dattiloscritto, Venezia, ottobre 1945

V. Vianello, Tramonto sulla pineta, 1948

Fontana. Ne abbiamo, nell’ occasione di queste mostre ai Musei di Santa Caterina, e non solo, parlato abbondantemente, e non mi pare necessario ritornarvi sopra in questa circostanza; quello che però va senz’altro rimarcato è il fatto che Gaspari, soprattutto nel pieno susseguirsi dei Manifesti Spaziali, dei con-fronti e delle provocazioni del Movimento, preferì prendere un po’ le distanze dai suoi colleghi e coetanei, e perfino dai Maestri come Guidi e Deluigi. Di fatto egli non partecipò mai alla stesura dei Manifesti, e nem-meno li firmò. Eppure rimane — a mio parere correttamente — nel sentire comune, e nell’analisi critica del periodo, come un testimone, un attore a pieno titolo dell’avventura spazialista. Forse la spiegazione, perlomeno una delle più convicenti, di questa sua appartenenza mai formalizzata, la troviamo nello spes-sore e nell’identità delle sue opere, di impianto e impronta decisamente spazialista, indipendentemente dalle sue intenzioni e dalle sue dichiarazioni ufficiali. Probabilmente Gaspari giunse con convinzione (e con indiscutibile maestria), a quegli approdi, un po’ più tardi degli altri, verso la metà degli anni cinquanta. Negli anni immediatamente precedenti, si era già sottratto a certe reminiscenze post-cubiste e a certe scorie cezanniane (se non è bestemmia accomunare il termine scorie al sommo Maestro), ma aveva con-tinuato a calcare i terreni di un plasticismo più volumetrico che luministico, allevando nuclei formali che sembravano provenire da altre presenze organiche. In quella prima parte degli anni cinquanta Gaspari mi ha sempre ricordato la terrigna visionarietà di Arcangeli, con la sua fede professata in un ultimo salvifico “Naturalismo”. Poi, appunto verso la metà del decennio, la svolta definitiva, la liberazione conclusiva dalle molte influenze, e l’apertura nei confronti di una dilatazione e leggerezza spaziale, che intendeva proporre una nuova concezione di forma davvero destrutturata, galleggiante in praterie siderali, assolutamente non identificabili. La specificità della pittura di Gaspari era proprio quella di utilizzare per un preciso progetto strutturale, ma anche in rapporto funzionale alla propria carica emotiva e sentimentale, il linguaggio dei Maestri che lo avevano più interessato ed educato. Come un grande allievo, cresciuto nella bottega, come i Manieristi del secondo Rinascimento: ecco che stravolge il neo-plasticismo guidiano, che affida alle terre ed a tinte fra il cupo e il corrusco, alla Beccafumi, i propri intrichi plastici; ecco che diventa spazialista quando vuole lui, e che inve-ce illumina e rischiara, proprio quando Guidi si tuffa nelle convulsioni e nelle spire e nei vortici delle “Angosce”, dei “Giudizi”, dei “Tumulti”.Strano destino quello di Gaspari, abitua-to a precedere o ad inseguire, ma sem-pre in perfetta autonomia, in orgogliosa indipendenza, in voluta solitudine.Naturalmente il rischiarare, l’illuminare di questa fase, non significava un allon-tanarsi da una tavolozza registrata sui V. Vianello, Rocket, 1953

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neri, sui grigi, sui bruni, sugli azzurri profondi: significava piuttosto l’avvento del bianco e di una luce, non tanto diffusiva e fondante, alla Guidi, quanto di una luce di contrasto, forse contrad-dittoria, come uno squarcio nelle tenebre, come un fascio luminoso emergente e risalente dalle viscere magmatiche della terra. Andava chia-ramente a rappresentarsi una sorta di tensione verso il cielo, verso la libertà, una aspirazione a liberarsi dagli impacci della fisicità per conquista-re lo spazio. Le opere di Gaspari avevano assun-to una piena spiritualità spaziale, che continuerà a confermarsi per tutti i quattro-cinque decen-ni successivi, nonostante le molte variazioni sul tema, e soprattutto le complesse, differenti de-clinazioni formali.Ma di questo vestito spazialista, che non lo ab-

bandonerà più in tutto il lungo travaglio della sua inesausta ricerca, parleremo alla conclusione del saggio; ora ritorniamo ai primi anni cinquanta per vedere come invece Riccardo Licata avesse sviluppato i propri rapporti con il Movimento Spaziale. Bene, contrariamente a quello che potrebbe magari suggerirci l’evol-versi, nei decenni successivi, del linguaggio licatiano – sostenuto da un alfabeto stenografico, che tende a sostituire all’immagine un racconto di segni e colori, tassello di un grande affresco delle emozioni, a me Licata appare in quegli anni come il più spazialista dei giovani artisti spaziali veneziani. Le “Nebulose”, i “Concerti”, gli “Intrecci”, e quella sorta di giardini abitati e fioriti che invadono le sue tele e la sua fantasia dal 1952 al 1955, rimangono come esempi maturi e conclusivi della più alta pittura spaziale. Già negli anni a cavallo fra il quaranta ed il cinquanta egli aveva affidato a brezze siderali, a turbinii e vortici le sue magistrali piccole carte, in cui “… iniziava a parlarci di misteriose affascinazioni spaziali, costruendo, spes-so con scrittura stenografica, spesso invece corsiva, piccole, misurate, ma intensissime cosmogonie, che ci trasmettevano vibrazioni spaziali, e annunciavano avventure in universi di luce e di immaginazione…”3; infatti sul “… finire degli anni Quaranta, egli affidava tutta la sua poetica, sia sul piano espressivo che su quello concettuale, quasi esclusivamente al dinamismo, all’incisività, alla forza comunicativa del segno. Con il quale Licata veniva costruendo agglomerati spaziali, vortici e spirali in bianco e nero, o vellutate e galleggianti matasse, in cui la presenza strutturale del segno veniva solo temperata, alleggerita dal so-pravvenire di filosi cromatismi tinta pastello… Ma quando, intorno al 1951/52, egli decide di affrontare lo spazio non più da un osservatorio incantato, privilegiato e fascinoso magari, ma forse troppo siderale, un po’ estraneo alla fisicità degli eventi, quando,

3 Giovanni Granzotto, Cinquant’anni di diari. Il perché di una mostra, in catalogo della mostra tenutasi presso l’Archivio di Stato di Fi-renze, dicembre 2001-gennaio2002, Verso l’Arte Editore

V. Vianello, Senza titolo, 1960

dunque, pretende di penetrarlo e di immergervisi in diretta, senza telescopio, ecco che il colore vie-ne ad acquisire una nuova ed autonoma rilevan-za. Licata dipinge brani musicali, con l’intenzione e la capacità di rappresentare, soprattutto sulla carta, le emozioni racchiuse nelle note, e negli accordi, attraverso le pulsazioni e le vibrazioni rit-miche di un intreccio sempre più organizzato di segni; ma affidando, con freschezza ed immedia-tezza, l’espressione, il timbro spaziale all’empito, allo sgorgare sorgivo del colore. È un continuo af-facciarsi di rossi, di gialli, di verdi, di bianchi son-tuosi, in una tavolozza che esprime il pathos ed il sentimento della musica, ma che riesce anche a trasmetterla, ad immergerla direttamente in uni-versi, in campi spaziali”.4 Era quello il periodo “… in cui la musica, i suoi movimenti, la sua libertà ed i suoi accordi, la sua formidabile possibilità di percorrere e dilatare i limiti spaziali e temporali, diventa il riferimento, se non l’oggetto dei suoi racconti… Che si tramutano in una sorta di spartiti spazio-musicali; un insieme… di esplosioni sonore e segniche, in cui tutto affiora o fluttua, e galleggia nei tanti piccoli firmamenti…”5 Dunque Licata ha assunto come momento fondante della propria pittura proprio lo spazio: certo non il concetto di spazio, o la sua materializzazione secondo i canoni del fontaniano automa-tismo del subconscio, bensì una concezione fantastica, trasfigurata emotivamente, dell’elemento spaziale; e non lo ha inteso nemmeno come contenitore, ma, in una visione partecipativa del supporto, lo ha imma-ginato come il luogo degli accadimenti della fantasia, come il luogo delle emozioni, e quindi come l’unico vero luogo della realtà.Sulla tela, sulla tavola, sul foglio, Licata, dipingendo, non rappresentava la realtà, ma ricostruiva, anzi costruiva l’unica realtà possibile. Ecco che, anche quando affioreranno, proprio verso la metà degli anni cinquanta, le prime componenti dell’alfabeto licatiano, dando vita a quel suo prodigioso linguaggio, questo contribuirà soprattutto al completamento e riconoscimento della personale cifra linguistica, attraverso una vera, comunque spontanea, organizzazione grammaticale, ma non porterà assolutamente al distacco dalla sua visione fantasiosa e immaginativa dello spazio. In opere come i “Senza titolo” del 1956 e 57, tutto è più strutturato e organizzato, ma la contaminazione e la fusione fra spazio reale, spazio mentale e spazio fantastico, rimane ancora evidente. E questo aspetto, questa immersione a caldo in una dimensione visio-

4 Giovanni Granzotto, Nel segno del colore, in catalogo della mostra Riccardo Licata. Le carte, tenutasi presso la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Arezzo, settembre-novembre 2002, Verso l’Arte Editore5 Ibidem

S. Rampin, Momento di natura, 1958

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naria dello spazio, sarà una caratteristica che accompagnerà Licata in tutto il suo viaggio, sia quando, dopo essersi trasfe-rito a Parigi, darà luogo ad un ciclo davvero unico, colmo di ri-ferimenti simbolici, di palpitazioni romantiche, aperto perfino al colloquio con vibrazioni e percezioni di ascendenza nordica: un periodo che la critica ha ritenuto potersi definire del “sur-realismo espressionista” di Licata, ma nel quale ha continuato a vivere, riuscendo anzi ad alimentare proprio la pregnante oniricità dell’immagine, la sua concezione di una spazialità fantastica. Ma anche con il Licata del grande affresco della re-altà, con il racconto per ideogrammi, sostenuto da un colore effusivo, lirico, evocativo, o drammatico a seconda degli stati d’animo che il Maestro intendeva trasmettere, anche con la magica narrazione pittorica che ha attraversato tutti questi decenni della sua arte, la tela o le infinite varietà di carte pre-ziose (che egli ha voluto privilegiare come supporto) si sono magicamente compenetrate con la sua visione, ancor più con il suo sentimento dello spazio: garantendo infine una tale im-medesimazione fantastica, una tale simbiosi affettiva, da farci

apparire quel fondale dipinto o quella pagina bianca, non la pagina di un libro, ma la materializzzione di un diario quotidiano, il luogo vivo, reale, degli accadimenti.

Se, dunque, questo è stato il viaggio di Licata lungo le costellazioni e le nebulose della pittura, ritornan-do per un attimo a quel finire degli anni cinquanta, in cui abbiamo lasciato momentaneamente Gaspari, verremo sorprendentemente a scoprire come l’altro Maestro, che, nonostante la convinzione comune, approdò ai lidi spazialisti più tardi dei suoi coetanei, poi, a quella poetica, a quella concezione e visione della pittura, rimase fondamentalmente legato per tutta la vita. Dalle prime “Germinazioni” e “Rinascenze” della seconda metà degli anni cinquanta, fino alle testimonian-ze conclusive, quelle degli anni novanta, Gaspari non dismetterà più il suo vestito spaziale: solamente negli anni sessanta e settanta sarà un vestito forgiato secondo coordinate formali ancora ben radicate, con chiari affidamenti ad una spartizione definita delle campiture, ed una emersione misurata di elementi, di forme plastiche dai rimandi geometrizzanti. Ma all’interno, ed oltre questa sorta di ogive, di grandi dischi, ecco tutto un brulicare di elementi minimi, di tracciati sottesi e vibranti, ed un intravedersi di lontane e celate stratificazioni, ferite e piagate da fessure e da squarci: probabilmente il cuore pulsante dei dipinti di Gaspari, il luogo da cui scaturisce l’energia inesauribile che sostiene ogni sua opera. Un partire il suo, dal nucleo, dalla particella essenziale, per risalire, attraverso mille eruzioni, fino alla luce limpida del giorno, quella che permette, illuminando, di riconoscere i colori. E sarà proprio l’immersione in questo colore inva-sivo, eruttivo, germinativo, ma anche capace di creare plasticamente la forma, a guidare l’ultima stagione di Gaspari: senza più ora gli obblighi dell’architettura formale, ma solo affidandosi al fiuto, all’occhio ed

B. Gasparini, Al chiarore di una, 1958

all’udito dell’esploratore, capace di riconoscere le più sottili vibrazioni e sonorità cromatiche. Come splen-didamente ci annuncia Giuseppe Mazzariol, “ Il colore per Gaspari è come la terra, l’acqua, il cielo. E’ la qualità effettiva, sola e vera dell’esistente. Tutto è colore, e solo colore: colore tempo, colore spazio, colore gioia, colore sofferenza,… colore suono, colore silenzio… Gaspari sente il colore in tutta la sua urgenza di natura naturans, germinante vita, nuova vita”.6

6 Giuseppe Mazzariol, in presentazione al catalogo della mostra Gouaches di Gaspari, tenutasi presso la Galleria Cinquetti di Verona,

febbraio-marzo 1986

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La triade Vinicio Vianello, Bruna Gasparini e Saverio Rampin, presentata al Museo di Santa Caterina in questa quinta mostra del ciclo Spazialismi a confronto, conclude il programma dedicato al nucleo venezia-no del vivace e complesso movimento spazialista, animato da Lucio Fontana. Il lavoro fin qui compiuto ha coinvolto i soli artisti spaziali gravitanti nell’ambito della veneziana Galleria del Cavallino, che nei confronti del Movimento in questione fungeva da succursale della sede operativa di Milano, “la Galleria del Naviglio, via Manzoni 45”, dichiarata nella Circolare del febbraio 1948 dai promotori Renato Birolli, Lucio Fontana, Beniamino Joppolo, Giorgio Kaisserlian, Bruno Munari, Mauro Reggiani, Aligi Sassu, Antonino Tullier e Carlo Cardazzo.Tutte le pagine di questa storia, dunque, sono state scritte sotto le insegne delle due gallereie, il Naviglio e il Cavallino, di cui Carlo Cardazzo, fu l’illuminato fondatore e titolare: un grande veneziano, intellettual-mente e fisicamente, collezionista, editore ed eccezionale organizzatore di incontri ed eventi. Questa rassegna si apre al pubblico a cent’anni esatti dalla sua nascita, avvenuta il 16 ottobre 1908, e nel dedicarla mentalmente a lui richiamo i nomi degli artisti qui presentati a due a due nel corso biennale delle mostre precedenti: Edmondo Bacci e Gino Morandis, Virgilio Guidi e Mario Deluigi, Tancredi Parmeggiani ed Ennio Finzi, Luciano Gaspari e Riccardo Licata.Figlio di un imprenditore edile di origini friulane, Carlo entra nell’azienda paterna appena conseguito il diploma tecnico-professionale, cominciando presto, però, a impiegare il suo tempo libero nel cercar di familiarizzarsi con l’ambiente culturale e del collezionismo d’arte; così, appena diciottenne, acquista i suoi primi De Pisis, e due soli anni dopo decide di iniziare una sua collezione di pittori italiani affermati, come Carrà, Cesetti, Guidi, Viani.Nel giro di un decennio, ossia quando tocca appena la trentina, è tra i primi collezionisti d’Italia. Cesetti gli è d’aiuto nelle scelte, che si rivolgono man mano a Campigli, de Chirico, Manzù, Marino Marini, Arturo Mar-tini, Modigliani, Morandi, Sironi, Scipione, Sironi, Soffici. “La fortuna — dirà poi — di vivere in questa mia cara Venezia, a contatto con la Biennale, mi ha dato la possibilità di seguire attentamente tutti i movimenti dell’arte italiana. […] Lentamente si è formata la mia raccolta con fede e amore…”. Tutti i sabati la sua casa attrae amatori d’arte, collezionisti, critici, artisti, architetti, scrittori, poeti e musicisti, e vi si crea un

CARLO CARDAZZO,VENEZIA E LO SPAZIALISMO

Ennio Pouchard

Carlo Cardazzo tra i dipinti della sua collezione(Archivi Galleria del Cavallino,Venezia)

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cenacolo culturale che prende il nome di “Movimento del Cavallino”, da un dise-gno di Cesetti fatto appositamente, che Cardazzo fa scolpire sullo stipite mar-moreo all’ingresso dell’abitazione, al numero 3478 del Sestiere di Dorsoduro, non lontano dall’Accademia.È l’inizio di un’attività tentacolare, che va dalla critica cinematografica, l’idea-zione — su consiglio di Cesare Zavat-tini — della “Cavallino Film s.a.”, per la produzione di materiale storico-didatti-co sull’arte (peraltro mai realizzata), la costituzione delle “Edizioni del Cavalli-no”, destinate a produrre volumetti in un primo tempo d’arte, di letteratura e specialmente di poesia, poi anche di musica.I fatti successivi si accavallano: nel 1941 la Collezione Carlo Cardazzo viene presentata pubblicamente a Roma (Gal-leria di Roma) e in altre sedi; lui riceve l’onorificenza di Ufficiale della Corona d’Italia e, su proposta di Giuseppe Bot-

tai — allora ministro dell’Educazione Nazionale — è fatto Commendatore e ottiene la medaglia d’argento per “benemeriti delle arti”; quindi, a Venezia, è nominato membro effettivo dell’Ateneo Veneto. Nel 1942, il Cavallino diventa galleria e Carlo Cardazzo decide di abbandonare ogni altra attività. La prima sede, che viene inaugurata il 25 aprile, è in Riva degli Schiavoni, ed è subito luogo di incontri e dibattiti culturali. Gli autori dei suoi cataloghi saranno non degli “storici che praticano una critica d’arte erudita sempre in ritardo, e difficilmente utile ad orientare il pubblico e gli amatori”, ma “dei critici letterati come Gatto, Carrieri, Sinisgalli”. Sarà loro il compito e il privilegio di parlare come piace a lui degli artisti di grido con i quali comincia a stipulare contratti esclusivi, grazie a nuovi intensi rapporti avviati con le maggiori gallerie internazionali e con i grandi collezionisti. Nel 1945, mentre cerca una nuova sede per la galleria, avendo dovuto lasciare Riva degli Schiavoni, la sua collezione — comprendente anche una preziosa raccol-ta di arte africana — viene ospitata a Palazzo Pisani, sede del Conservatorio Benedetto Marcello. A Vene-zia, però, il suo legame sentimentale, stretto a fine ’43, con la giovane scrittrice Milena Milani — essendo, lui, già sposato e padre — gli rende difficile la normale esistenza; insieme a lei decide che la soluzione necessaria sia quella di aprire una seconda galleria a Milano — dove il pittore Massimo Campigli, che tra gli amici fedeli gli è vicino da sempre, lo aiuta a trovare lo spazio adatto — con la convinzione che lì gli sia

Carlo Cardazzo con Tancredi (in primo piano) e Gianni Dova, Venezia 1952 (Archivi Galleria del Cavallino,Venezia)

possibile trovare l’indispensabile serenità, e che solo quella possa diventare per lui la vera base di lancio dell’arte italia-na. Nel gennaio del 1946 inaugura, quindi, il Naviglio in via Manzoni, mentre rimane attivo a Venezia il Cavallino.Le attività delle due gallerie si espanderanno con mostre in Europa, America, Unione Sovietica e Giappone; nel ’47 la Milani gli presenta Fontana, sbarcato a Genova l’anno precedente — dopo la fondazione dello Spazialismo a Bue-nos Aires e la pubblicazione del Manifiesto Blanco — e da lei incontrato nel corso delle calorose accoglienze che la cerchia di artisti richiamati dalla manifattura di ceramiche di Tullio d’Albisola (dove Fontana aveva già lavorato negli anni ’30) gli avevano riservato. Al Naviglio, sede operativa e centro propulsivo dello Spazialismo, avvengono gli incontri e i lanci dei programmi, a cominciare dal Primo Manifesto Spaziale (dicembre 1947), redatto — così ricorda oggi Mi-lena Milani — con i contributi, oltre a quello ovvio di Lucio Fontana, di Beniamino Joppolo, scrittore e drammaturgo, Giorgio Kaisserlian, critico-filosofo-saggista, lei stessa, Mi-lena Milani, scrittrice, e Antonino Tullier, critico-poeta: un insieme comunque singolare nel contesto artistico, per il peso preponderante dei letterati. Guido Ballo, però, tra le Bozze di lettere a Giampiero Giani riunite nel suo libro Lucio Fontana – Idea per un ritratto (1949), edito da Giani quale titolare delle edizioni La Conchiglia, riporta questa dichiarazio-ne dello stesso Fontana: “I miei collaboratori del primo manifesto sono stati alunni miei all’Accademia di Buenos Aires e giovani artisti argentini e specialmente Cazeneuve e Fridman – il secondo (il primo in Italia) è stato scritto da Joppolo e il terzo da Tullier”.Tali manifesti, però, non hanno una grande diffusione, e quindi l’avvenuta costituzione del gruppo spazia-le trova eco presso il gran pubblico solo quando, il 5 febbraio 1949, Fontana presenta al Naviglio, il suo Ambiente spaziale, con “forme spaziali” di cartapesta trattate con vernice fosforescente, in un ambiente illuminato — si fa per dire — con la sola “luce nera” delle lampade di Wood.Frattanto la passione per il libro, che non è mai seconda a quella per l’arte, induce Cardazzo ad acquistare, nel 1943, una piccola tipografia, facendola poi diventare una stamperia d’arte. Corre inoltre l’anno 1950 quando commissiona a Carlo Scarpa la costruzione del Padiglione del Libro lungo il viale d’ingresso ai Giar-dini della Biennale, divenuto subito famoso, ma finito distrutto in un incendio.Cinque anni dopo Carlo allarga la sua sfera d’azione entrando in società con Vittorio del Gaizo, che gestiva a Roma la galleria Selecta; lì sviluppa fino al 1960 un’attività nuova per la Capitale, che si aggiunge al già enorme lavoro in cui è coinvolto. Eppure, aiutato da un intellettuale del calibro di Aldo Camerino, che lo

Carlo Cardazzo con Peggy Guggenheim, Venezia 1960 c.(Archivi Galleria del Cavallino,Venezia)

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assiste nelle scelte degli autori e delle opere, non esiterà ad affermare che “l’aver pubblicato per primo in Italia opere di Apollinaire, Proust, Gide, Eluard e di tanti altri, è una cosa di cui sono orgoglioso quan-to delle mie migliori mostre; a posteriori, aggiungiamo qui James Joyce, di cui edita Finnegan’s Wake. È felice, quindi, quando nel 1961 nelle edizioni del Cavallino può pubblicare anche i primi album di musica “informale”, registrati da Asger Jorn e Jean Dubuffet.Ciò che egli porta di nuovo lo dicono i nomi degli artisti presentati per la prima volta in una galleria privata italiana (Miró, Schwitters, Dubuffet, Jorn) ed europea (Jackson Pollock in collaborazione con Peggy Gug-genheim): una lunga lista, cui contribuiscono da New York Leo Castelli e Ileana Sonnabend, in rapporto con i quali porta in America alcuni dei suoi autori, e da Parigi Gualtieri di San Lazzaro, critico d’arte e direttore dell’autorevolissimo periodico XXème Siècle (ma anche narratore affascinante: il suo libro Parigi era viva rimane un capolavoro da rileggere), presentatole dalla Milani. È lui che lo aiuta nei contatti con la Galerie Maegth, Nina Kandinsky, Calder, Mathieu e altri maestri. Seguono altri fruttuosi rapporti con Picasso, Kline e i giovani più promettenti d’allora, quali Hundertwasser, Canogar, Anthony Caro, Jasper Johns e i membri del Gruppo Co.Br.A. (Appel, Jorn); in Italia, come si diceva, i membri dello Spazialismo (Capogrossi, Crippa, Dova, Scanavino,… ) e “Nuove Tendenze”, nonché “Miriorama” con il gruppo “T”. Lui stesso, senza pretese, produce ceramiche e dipinti-collage che formalmente sembrano dare corpo a certe formulazioni del Movimento. Certamente il vivere giorno per giorno le atmosfere del gruppo lo coinvolge, pur nelle diversità e peculiarità delle posizioni in un luogo e nell’altro. Ciò che allo Spazialismo portano i “veneziani” (tra virgolette, perché, per esempio, il più influente del gruppo, Virgilio Guidi, è un romano che

si autodefinisce “etrusco”) è una varietà di interpretazioni tra le quali spicca l’estrema versatilità; quanto alle aperture alla tec-nologia e alla scienza, qui è fortissima la spinta di Vinicio Vianello, unico nella com-pagine ad applicare finoin fondo i precetti fontaniani. Ma è di grande peso anche l’in-sieme della grande esperienza e dell’alto livello degli studi e delle ricerche su luce-colore-spazio di Guidi, del contributo teo-rico di Berto Morucchio e della mentalità analitico-organizzativa di Anton Giulio Am-brosini, che definisce la “dimensione dello Spazialismo” come “lirica ma libera, cioè svincolata da presupposti geometrici e na-turalistici”, poiché “essa narra l’esperienza dell’uomo narrando solo se stessa”.L’accordo tra “milanesi” e “veneziani”, tut-tavia, non è facile, pur se con la sua ac-corta, instancabile azione Cardazzo porta

Carlo Cardazzo e Lucio Fontana a un evento spazialista (Archivi Galleria del Cavallino,Venezia)

a un innegabile equilibrio tra le parti e tra i partecipanti. Ecco come egli vede la figura del gallerista: “Un mercante d’arte non è né uno speculatore né un mecenate. Partecipa a un normale rapporto di lavoro tra persone che producono e persone che — seppure la parola sia troppo materialisti-ca — consumano, e quindi debbono comprare. La natura del prodotto o della merce, in questo caso, è importante: è infatti l’opera d’arte, o in senso più esteso l’arte stessa nei confronti del suo tempo. E mi sembra che sia proprio questo particolare valore delle cose di cui mi occupo ad appassionarmi al mio mestiere”.Potrà farlo per troppo poco tempo: assalito da un’ineso-rabile neoplasia, di cui la Milani — che gli è vicina — gli tiene nascosta la natura, ha solo cinquantacinque anni ed esattamente un mese il 16 novembre 1963, quando la sua vita si conclude, repentinamente e — grazie al Cielo per lui — serenamente.Le sue memorie vivono in concreto negli Archivi della Gal-leria del Cavallino a Venezia e, a Savona, nella Fondazione Museo di Arte Contemporanea Milena Milani in memoria di Carlo Cardazzo; se ne possono leggere notizie e dati nel catalogo di quest’ultima istituzione (ediz. Skira, 2005) e, per gli Archivi, nei volumi editi dal Cavallino: Il gioco del paradiso: la collezione Cardazzo e gli inizi della Galleria del Cavallino di Antonella Fantoni (1996), Videotapes del Ca-vallino di Dino Marangon (2004) e Un Cavallino come logo di Giovanni Bianchi (2007).

“Rimproverare alla sua attività un certo eclettismo — scrisse Umbro Apollonio — non ha senso, perché essa si proponeva anzitutto, e deliberatamente, di presentare e portare a discussione le forme più inte-ressanti dell’arte contemporanea, al di là di esclusivismi di tendenza e senza interventi volti a istituire il predominio dell’una sull’altra, attento a tutto quanto poteva rivelare un germe, sia pure intenzionale, di rinnovamento”.

Nina Kandinsky (al centro) con Milena Milani e Carlo

Cardazzo al Teatro La Fenice, Venezia, settembre 1952 (Archivio Milena Milani)

VINICIO VIANELLO

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Vinicio Vianello, nato a Venezia il 29 aprile del 1923, è cresciuto tra Verona, Milano e Padova, al se-guito della famiglia che si spostava per motivi di lavoro. Nella città natia ha finito il Liceo artistico, frequentato la Scuola Libera del Nudo e si è iscritto all’Accademia di Belle Arti, seguendo il corso di pittura di Giuseppe Cesetti. Diplomatosi nel 1945, già dal ’41 aveva iniziato a esporre nelle collettive dell’Opera Bevilacqua La Masa, che nel 1946 gli assegnò un atelier a Palazzo Carminati. Nel ’47 fu premiato a Padova nel concorso “Artisti di Padova, Treviso, Vicenza”, ad Auronzo per il paesaggio e alla Bevilacqua La Masa, dove ebbe il Premio Moggioli per un’opera che rivelava il supe-ramento delle esperienze figurative. Ormai orientato verso una progressiva astrazione dell’immagine, l’anno dopo veniva ammesso alla Biennale di Venezia: era l’edizione che scosse l’ambiente italiano dell’arte per le presenze eccezionali di artisti dell’avanguardia mondiale. Risalgono a quel periodo i suoi primi contatti con l’arte vetraria, che lo impegnarono in disegni e pro-getti nei quali rivelò da subito la sua straordinaria originalità. Dal 1950 fu invitato a tutte le rassegne internazionali del vetro, ottenendo la Medaglia d’oro alla IX Triennale di Milano (1951), il Gran Premio alla XI edizione (1957) e quasi contemporaneamente il Compasso d’Oro della Rinascente. Nel 1949, intanto, aveva sposato la pittrice Liliana Cossovel. La sua adesione al Movimento Spaziale data al 1951, quando si unì al primo nucleo dei firmatari ve-neziani — Ambrosini, Deluigi e Guidi — in occasione del lancio del Quarto Manifesto Spaziale (o Ma-nifesto dell’Arte Spaziale). Successivamente confermò il suo appoggio con la firma del Manifesto del movimento spaziale per la televisione (1952) e sottoscrivendo il proclama redatto dal critico Anton Giulio Ambrosini in occasione della mostra Lo spazialismo e la pittura italiana nel XX secolo (1953), allestita nella Sala degli Specchi di Ca’ Giustinian, in Calle del Ridotto. Nella vicenda spazialista ve-neziana si distinse per lo sbrigliato spirito di ricerca e l’interesse in campi diversi (pittura, vetro, ceramica, incisione) sperimentando materiali e tecniche capaci di generare nuove forme con risultati coerenti, più di ogni altro, con le esperienze di Lucio Fontana. Procedendo in parallelo sulle varie espressioni artistiche, ha partecipato su invito a varie manifestazioni di carattere internazionale, a cominciare, per importanza, dalle Biennali veneziane (per la pittura nel ’48, ’50, ’56, ’58; per il vetro nel ’50, ’52, ’54, ’60, ’68, ’72, per la ceramica nel ’62). Sul versante pittorico le opere propriamente spaziali iniziarono con la successione di geometriche composizioni evocative denominate Albe (1949-’50), seguite tramite passaggi repentini dalle Grafie spaziali, composte da linee liberamente tracciate su fondali bianchi, evolute nei successivi Rocket (1951-’54) in cui masse di colore, spruzzato da aerografi (anche di sua invenzione), si addensava-no e dilatavano come una materia gassosa. Incominciò in quel periodo a firmarsi con il solo nome di battesimo. In seguito su tali masse è intervenuto con grafie lineari, per proseguire poi con altre sperimentazioni. Nel frattempo il genio dell’artista del vetro si rivelava nei Vasi asimmetrici, in Esplosione a Las Vegas e nelle serie di sculture intitolate Esplosione nucleare, Reazione nucleare e Grafie tridimensionali. Nel 1962 abbandonava la pittura (ripresa trentaquattro anni dopo) per dedicarsi al vetro, in primo luogo, al design, ad altre attività poliedriche. Fino ad allora aveva esposto nelle maggiori gallerie d’ar-te: la Barbaroux di Milano, il Cavallino a Venezia e il Naviglio a Milano (entrambe di Carlo Cardazzo,

sedi operative del Movimento spazialista), la Vetrina Chiurazzi a Roma, per ricordarne alcune in Italia; e in Australia, Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Irlanda, Iugoslavia, Germania, Libano, Norvegia, Polonia, Svezia, Svizzera e negli USA. L’attività espositiva è continuata nel tempo, cadenzata dall’as-segnazione di premi e onorificenze. Straordinaria la sua versatilità quale ricercatore, tecnico-tecnologo, consulente, imprenditore e in-ventore capace di colloquiare con scienziati, architetti e industriali, di cui restano gli studi per lo sfrut-tamento delle fonti di energia alternativa che gli hanno procurato significativi riconoscimenti e inca-richi in ambito CEE. Da ricordare inoltre il suo ruolo di co-fondatore (assieme a Giulio Carlo Argan, Carlo Scarpa e Franco Albini) dell’avanguardistico Corso di progettazione per disegnatori industriali e per artigiani presso l’Istituto Veneto per il Lavoro. Nel 1984 la morte della moglie Liliana lo colpì duramente, ma si riprese con coraggio. Nove anni dopo subì un incidente automobilistico che lo lasciò a lungo immobilizzato. Appena ristabilito ricominciò a esporre partecipando con dipinti e vetri alla prestigiosa rassegna La sindrome di Leonardo (Stupinigi, 1995). Poco dopo tornò alla pittura, inventando un modo per interagire con la natura: nel suo giardino operava spruzzando macchie di colore su carte e tele che lasciava poi all’aperto perché intervenisse la natura a “completarle” — come lui stesso diceva — con foglie cadute, rugiada, polvere e pioggia. La metafora di vita e morte cui tali opere intendevano alludere si sarebbe presto sovrapposta al compiersi della sua esistenza, che s’interruppe repentinamente nel 1999, a pochi giorni dal suo settantaseiesi-mo compleanno.

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Senza titolo1950-51

olio su carta intelata

cm 154 x 107

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Senza titolo1951

olio su tela, cm 65 x 80

Ennesimo1952

olio su tela, cm 50 x 70

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Rocket1951

tecnica mista su tela, cm 112 x 159

Rocket1951-52

tecnica mista su tela, cm 0 x 9

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Senza titolo1952

tecnica mista su tavola, cm 80 x 80

Rocket1953

olio su tela, cm 60 x 98

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Tracce spaziali1952-53

tecnica mista su tela, cm 50 x 65

Propulsione1953

olio su tela, cm 65 x 80

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Tramonto a Torcello (Rocket) 1954

tecnica mista su tela, cm 85 x 105

Barena (Rocket) 1954

tecnica mista su tela, cm 105 x 85

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Orme orizontali1955

olio su tela, cm 71 x 100

Orme orizzontali 1955

olio su tela, cm 50 x 61

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Senza titolo1956

tecnica mista su tela, cm 69,5 x 100

Senza titolo1958

tecnica mista su tela, cm 70 x 100

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Manifesto 58 1958

tecnica mista su tela, cm 80 x 99

Tempera 1958

tecnica mista su tela, cm 70 x 149

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Rosso di sera1960

tecnica mista su tela, cm 140 x 140

Medusa1961

tecnica mista su tela, cm 140 x 101

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Ore 14.141962

tecnica mista su tela (collage), cm 100 x 100

Circus 19621962

tecnica mista su tela, collage, cm 0 x 0

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Senza titolo1997

tecnica mista su tela, cm 90 x 110

Senza titolo1997

tecnica mista su tela, cm 90 x 70

BRUNA GASPARINI

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Bruna Gasparini è nata a Mantova il 4 settembre del 1913. La sua formazione è avvenuta in un campo diverso da quello artistico: si è diplomata infatti all’Accademia di Educazione fisica a Orvieto, perché voleva essere autonoma e questa scelta le garantiva di potersi inserire subito nell’insegnamento. Dopo aver insegnato a Trento e a Pistoia, nel 1937 ha ottenuto il trasferimento a Venezia, destinata al conservatorio “Benedetto Marcello”. Alla pittura si era dedicata ancora adolescente da autodidatta, ma è qui, dove sarebbe rimasta per sempre, che grazie a incontri favorevoli e a frequentazioni scelte, cominciò a emergere un suo stile. I progressi derivavano dall’influenza di maestri come Virgilio Guidi — per il criterio di una costruzione del quadro basata sulla ricerca della luce attraverso una gamma cromatica bene individuata e ristret-ta — e di Arturo Martini, per una idea sostanziale di energia dell’opera. Nel contempo frequentava anche un suo coetaneo, Luciano Gaspari, avviato a esperienze professionalmente regolari, che sposò nel 1943. Il suo modo di procedere si caratterizzava intanto per cicli di ricerca metodica, accompagnati da mostre intervallate da intensi momenti di solitudine produttiva. La prima comparsa pubblica delle sue opere risale al 1938, nella Mostra Universitaria Triveneta d’Arte, organizzata a Padova, in Palaz-zo Pedrocchi, con tre dipinti figurativi (una natura morta, un paesaggio, un ritratto) che rivelavano interessi allargati sulle poetiche di Scipione e Mafai. Due anni dopo veniva accolta alla XII Biennale veneziana (dove fu invitata anche nel ’48 e ’50 e, con sala personale, nel ’64 presentando dodici gouache ispirate ai versi di Charles Baudelaire). Autonomamente, nella seconda metà degli anni Quaranta, andò interpretando la lezione di Georges Braque traendone idee proprie, elaborate in accurati appunti. Vinse nel 1947 il primo premio al Pre-mio Watteau a Milano, l’anno dopo alla XXVI collettiva dell’Opera Bevilacqua la Masa un altro primo premio per la pittura (qui, nel ’55, si è tenuta una sua personale). Ha partecipato poi alle Quadrien-nali di Roma del ’48, ’52 e ’55. Dall’inizio degli anni Cinquanta la sua pittura è evoluta verso l’astratto, con le forti espressività dei dipinti chiamati Ritmi, Sonorità, Armonia, volgendosi nella seconda metà del decennio con l’uso della tempera grassa in composizioni prossime all’informale. In quel periodo è stata assidua la fre-quentazione della cerchia degli artisti aderenti al Movimento spaziale, che faceva riferimento a Lucio Fontana. La sperimentazione tipicamente veneziana, basata sulla ricerca spazio-luce, si tradusse nel suo fare pittorico con un orientamento a composizioni dinamiche dalle cromie intense. Pur non par-tecipando alle attività del Movimento (come, d’altronde, il marito Luciano) è significativo che i suoi lavori siano stati esposti nel 1953 e nel 1956 con quelli dei firmatari dei manifesti dello Spazialismo nelle gallerie di Carlo Cardazzo, il Naviglio di Milano e il Cavallino di Venezia, punti di riferimento degli artisti spaziali. Dal 1956 nasceva un nuovo interesse per la natura atmosferica (confermato da titoli come Tramonto, Alba, ...), con forme che diventavano fluide, mentre la tavolozza acquisiva maggiori trasparenze; e nel 1958 le esponeva nella personale alla Galleria Montenapoleone di Milano, presen-tata da Virgilio Guidi.Da sempre appassionata di poesia, scrisse lei stessa liriche che grazie all’incitamento del critico e poeta Berto Morucchio pubblicò nel 1961, accompagnate da suoi disegni, col titolo Momenti (ed. “Il

Cerchio”), che oggi rimangono quali eloquenti esempi della sua raffinata sensibilità. Altri illustri poeti avevano ampiamente apprezzato il suo lavoro di artista, come Diego Valeri, che fu tra i suoi primi recensori, e Alfonso Gatto che la chiamava affettuosamente “la Gasparina”, definendola, a proposito della sua pittura, “l’incantatrice incantata”.Negli anni Settanta avanzati si fece strada in lei l’idea dell’acqua, con una ricca serie di oli e tem-pere di grandi dimensioni, denominati Fondali, formati da trasparenze capaci di generare spazialità pelagiche, che nell’ultima fase si sono arricchite ancora dell’amatissima poesia e di richiami ai cicli stagionali della natura. Infine, sul finire degli anni Ottanta, il suo bisogno di luce esplodeva con una vitalità coloristica solare, accesa di gialli e rossi aranciati. Mostre degli ultimi decenni hanno confermato l’originalità della sua pittura. Nel 1986 la Galleria Civica di Arte Contemporanea di Suzzara (Mantova) le ha dedicato un’antologica, nell’87 opere recenti sono state esposte alla Galleria Cinquetti di Verona e quelle “spaziali” nello stesso anno hanno partecipa-to alla rassegna sullo Spazialismo all’Opera Bevilacqua La Masa, a Venezia; nel ’93 si è tenuta una personale alla Galleria del Cavallino di Venezia e nel ’96 ha avuto il prestigioso riconoscimento della grande rassegna alla Casa del Mantegna a Mantova. Pochi mesi dopo era presente nella Basilica Pal-ladiana di Vicenza nella collettiva Spazialismo arte astratta, Venezia 1950-1960.Se ne è andata quasi all’improvviso a Venezia, nel 1998.

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Sonorità1955

olio su tela, cm 70 x 100

68 69

Ritmi1955

tempera su carta intelata, cm 68 x 97

Sonorità1955

tempera su carta intelata, cm 52,5 x 78,5

70 71

Ritmi nello spazio1955

tempera grassa su tela, cm 65 x 85

Ritmi1957

olio su tela, cm 100 x 100

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Forma e materia1957

tempera grassa su tela, cm 82 x 72

Corteccia vitale1957-58,

tecnica mista su tela, cm 64 x 95

74 75

Notte senza luna (Tananai)1959

tecnica mista su tela, cm 75 x 120

Venezia n. 3 di notte1959

tecnica mista su tela, cm 90 x 110

76 77

Notturno1960

olio su tela, cm 90 x 70

Piccola orbita1962

tempera su tela, cm 65 x 80

78 79

Humus n. 61962

tecnica mista su tela, cm 100 x 100

Humus n. 71963

olio su tela, cm 89 x 115

80 81

Vento solare1986

olio su tela, cm 140 x 110

Humus III1996

tempera grassa su tela, cm 95 x

95

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SAVERIO RAMPIN

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Saverio Rampin è nato a Paluello di Stra (Venezia) il 14 dicembre del 1930 e all’età di undici anni si è trasferito con la famiglia a Venezia. Qui il padre, che aveva aperto una falegnameria, decise di instradarlo verso l’attività artigianale. Diventato apprendista in una stimata bottega nei pressi di San Barnaba, ha dimostrato subito una particolare attitudine per l’intarsio, cominciando intanto a quindici anni a dipingere da autodidatta. Avuta l’occasione di far conoscere il suo lavoro ad Armando Pizzinato, che lo incoraggiò apertamente, si convinse a superare l’ostilità della famiglia e nel 1948 decise di frequentare la Scuola libera del Nudo.Nello stesso anno veniva ammesso alla collettiva dell’Opera Bevilacqua La Masa (nuovamente presen-te nel ’55, ’56, ’58 e ’59). Iniziava allora la sua carriera espositiva. Nel 1950 era accolto alla XXV Biennale veneziana, e l’anno successivo teneva la sua prima personale alla Galleria Sandri di Venezia, presentato da Pizzinato, che lo rivelò come uno dei giovani talenti emergenti a Venezia. Nel 1955 riceveva il Premio Venezia alla XLIII Collettiva della Bevilacqua La Masa, aggiudicandosi poi il “Campari” al Premio Burano (attribuitogli anche nel 1960); nel ‘56 primo premio ex aequo con Riccardo Licata alla Bevilacqua e nel ’58 Medaglia d’Oro alla III Mostra dei gio-vani pittori a Roma. Altri premi e riconoscimenti gli verranno assegnati nel tempo.Nei dipinti a ridosso del 1950 ha sperimentato, come molti artisti locali coevi, la scomposizione della forma in un’ottica post-cubista, rimanendo però ancora piuttosto legato al racconto figurativo. Poco dopo, nel 1954, si confermava invece come cifra riconoscibile la virata verso cromie accese, stese con pennellate impetuose, attestando un deciso astrattismo gestuale con l’ampia serie dei Momenti (1955-57). In tale fase la critica riconosceva nelle sue opere un avvicinamento significativo alle spe-rimentazioni degli artisti del Movimento spazialista, cui egli guardò senza aderire formalmente, dialo-gando soprattutto con Virgilio Guidi, dal quale andò assorbendo una visione lirica del fare pittura che si sarebbe in seguito tradotta, con notevoli risultati, in una ricerca autonoma su luce-colore-spazio.Nel 1955 giunse provvidenziale l’assegnazione da parte dell’Opera Bevilacqua La Masa di un studio a Palazzo Carminati, dov’era già ospitato, tra i vari giovani, Ennio Finzi, con il quale condivise un pe-riodo di speranze e delusioni, e la sorte straordinaria, per quei giorni, dell’incontro con l’imprenditore e amatore d’arte veneziano, Attilio Arduini, che si offrì quale mecenate garantendo (come anche a Tancredi e a Giovanni Pontini, loro compagni di strada) un assegno mensile, rinnovato fino al 1958. Continuava intanto a frequentare l’ambiente ricco di stimoli della Galleria del Cavallino di Carlo Cardazzo, luogo di riferimento degli artisti spaziali, e grazie a Guidi che lo presentò in una mostra personale alla Galleria dell’Ariete di Milano, entrò in contatto con il nucleo principale degli spazialisti milanesi (Fontana, Capogrossi, Crippa, Dova). Dal 1961 il trasferimento in uno studio alla Salute, adatto a un lavoro più organizzato, gli permise di intensificare l’attività espositiva, stringendo un rapporto fattivo e amichevole con il milanese Enzo Pagani, titolare di due gallerie, a Milano e a Legnano (che fino al 1989 gli organizzerà ben quattordici mostre personali).Sul finire degli anni Cinquanta Rampin maturò il cambiamento in cui echeggiava la lezione guidiana, sulle possibilità vibratili del colore, pacatamente steso in composizioni geometricamente astratte, per ampie campiture sfumate in lirici accostamenti.

Nel 1970 venne chiamato ad insegnare al liceo artistico di Padova, e nel 1973 in quello di Venezia. L’insegnamento rappresentava una garanzia economica che favorì, l’anno dopo, il matrimonio con Franca Calimani, sua compagna da oltre vent’anni, e il trasferimento in una casa-studio a San Basi-lio.Dall’inizio degli anni Settanta, a Venezia ci fu un altro gallerista, Gianni De Marco, a presentare ripetutamente il suo lavoro, mentre a Genova gli aprirono l’ambiente delle maggiori gallerie e dei collezionisti la poetessa Emma Angelica Mele e lo psicologo Franco Rossi. Da questo momento il suo cammino pittorico diventò una coerente e matura riflessione sulle variabili tematiche.Se ne è andato nel gennaio del 1992, dopo qualche mese dall’aver preso casa al Lido di Venezia, dove ora ha sede l’Archivio Saverio Rampin.Enzo Pagani gli ha dedicato una retrospettiva nel ’93, nella sua Fondazione di Castellanza; l’amico Franco Rossi un’antologica nel ’95 presso il Centro Ricerche Scienze Umane di Genova. Le opere del periodo che la critica definisce spazialista sono state esposte nel ‘96 a Vicenza, nella Basilica Palla-diana, per la mostra Spazialismo arte astratta, Venezia 1950-1960, curata da Luca Massimo Barbero; e nel 2004 a Villa Galvani di Pordenone, nella mostra Da Venezia alla Venezia Giulia. Gli anni dello spazialismo veneziano e della ricerca friulana e giuliana, curata da Giovanni Granzotto, Dino Maran-gon e Enzo Santese.

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Tragedia del delta1951

olio su tela, cm 126 x 109

88 89

Momento n. 1581954

olio su tela, cm 130 x 170

Senza titolo1955

olio su tela, cm 66 x 50

90 91

Senza titolo1955

olio su tela, cm 50 x 76

Momento n. 221955

olio su tela, cm 85 x 60

92 93

Momento di natura1955

olio su masonite, cm 128 x 95

Momento di natura1955

olio su tele, cm 148 x 100

94 95

Senza titolo1956

olio su tela, cm 78 x 100

Senza titolo1956

olio su tela, cm 70 x 50,5

96 97

Momento 1956

olio su carta intelata, cm 200 x 200

Senza titolo1956

olio su tela, cm 70 x 100

98 99

Momento n. 11957

olio su tela, cm 85 x 60

Monemto di natura1957

olio su tela, cm 50 x 70

100 101

Senza titolo1991

olio su tela, cm 0 x 0

Senza titolo1991

olio su tela, cm 0 x 0

APPENDICEa cura di

Ennio Pouchard

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PARTE COMUNE

ANTOLOGIA CRITICA

1987

Toni Toniato, Ricerche parallele, in Spazialismo a Venezia, catalogo mostra Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia, Nuove edizioni Gabriele Mazzotta, Milano

“…L’adesione spontanea da parte degli spaziali era di fatto alimentata dalla conoscenza diretta del movimento, attraverso i contatti che essi poterono intrattenere dapprima con la Galleria del Cavallino e, poi, con la Galleria del Naviglio, dove d’altronde tutti ebbero modo di esporre, talvolta in occasioni per alcuni di loro anche fondamentali. […] Nella prospettiva di una prima indicazione, limitata all’ambiente locale, di uno spazialismo parallelo, che peraltro potrebbe rivelarsi anche più ricco altrove, e dimostrare cioè più strette connessioni formali con quel movimento, rientrano comunque i casi di Bruna Gasparini, Luciano Gaspari, Ennio Finzi, Riccardo Licata e Saverio Rampin. Non si può dire che essi mirassero allora a identificarsi con lo spazialismo; d’altra parte neppure gli stessi aderenti, più tardi, avrebbero voluto riconoscerlo, confermando con ciò non tanto un’adesione poco convinta, quanto una personale concezione di interpretare quella poetica, e giustamente, del resto, per evidenti differenze di propositi e di soluzioni. Ciò nonostante essi hanno svolto nozioni affini, forse con scopi meno determinati, ma seguendo in ogni caso una problematica di ricerca del tutto tangenziale rispetto alle tendenze dello spazialismo, che rimase per quel periodo un fenomeno comunque catalizzatore e di rinnovamento della cultura artistica, non solo italiana… […] Quanto si andava dunque a definire e a maturare nell’ambiente artistico veneziano, in modi più propri alle singole proposte espressive, si collegava, direttamente o indirettamente, allo spirito dello spazialismo, nel senso perlomeno di quella ‘libertà inventiva’ che è stata un’istanza centrale di quella stagione storica.”

Dino Marangon, Spazialismo: protagonisti, idee, iniziative, tesi per il Dottorato di Ricerca in Storia dell’Arte, Università degli Studi di Venezia, (Università degli Studi di Padova-Trieste-Venezia), anno accademico 1986/87, Relatore Prof. Decio Gioseffi (e: Dino Marangon, Spazialismo: protagonisti, idee, iniziative, Pagus Edizioni, Quinto di Treviso, 1993)

(Introduzione) “Le molteplici vicende del mercato ed i più recenti sviluppi della ricerca artistica stanno facendo riemergere e riproponendo all’attenzione l’arte degli anni del secondo dopoguerra. […] …nell’ambito di una diffusa prassi citazionistica, pare esseri verificata, soprattutto in Italia, una sorta di risalita dell’attenzione dalle immagine

post-metafisiche e novecentesche, anche alle espressioni aniconiche della fine degli anni ’40 e degli anni ’50, in una sorta di ‘neo-informale’ che tuttavia è sembrato configurarsi, pressoché esclusivamente come un’occasione ulteriore dell’eclettismo linguistico di questi ultimi anni. È sembrato così particolarmente utile tentare di indagare, per quanto possibile senza alcun preconcetto evoluzionistico o pregiudiziale tentativo di sintesi tematica, proprio un movimento come quello spaziale che, per la sua sfuggente e liberissima fisionomia, ha da sempre dovuto registrare uno scarso e inadeguato riscontro critico, pur configurandosi come uno dei momenti di più vivace ed inventiva riproposizione, in Italia e non solo in Italia, nei nuovi termini richiesti dalla mutata situazione storica di quegli anni, di alcune delle principali e caratteristiche istanze dell’avanguardia”.

(p. 263) “…gli spaziali veneziani saranno […] in grado di conferire, senza per questo ricorrere a un qualche vincolo o ipostatizzazione modulare, un intimo e fluido respiro progettuale, una orientazione in qualche modo ideativa alle proprie immagini aeree e luminose in cui, oltre ogni scacco ed insuperabile impotenza dell’esserci, per l’uomo sem-bra pur sempre sussistere nel tempo, anche una seppur ardua potenzialità di espansione e di sviluppo verso nuovi equilibri, in una liricità tesa, tramite le possibilità dell’evento creativo, ad una più ampia armonia con le misteriose strutture dell’universo. Temi e motivi che nell’ambiente artistico veneziano […] troveranno altresì significativi e diversificati sviluppi nelle pressoché contemporanee opere di taluni artisti che, pur non entrando mai a far parte del movimento spazialista, verranno tuttavia svolgendo le proprie ricerche nell’ambito di problematiche per molti aspetti contigue e parallele rispetto a quelle esperite da molti dei componenti della compagine spaziale…”.

1997

Toni Toniato, Venezia e lo Spazialismo, catalogo mostra Basilica Palladiana, Vicenza, edizioni Il Cardo, Venezia“…Oggi si può parlare finalmente di uno spazialismo veneziano come movimento a se stante, e più precisamente di una tendenza del tutto distinta dell’avanguardia italiana di quegli anni, caratterizzata infatti da una formulazione linguistica e teorica assai particolari, tanto che la poetica dei nostri spazialisti risulta fondata su presupposti estetici che non appartengono, come abbiamo già rilevato, né all’astrattismo di derivazione storica né alle successive cor-renti dell’informale, sia nella sua versione «calda» che «fredda», pur non essendo a queste del tutto estranea. Quin-di, per tentare una definizione che meglio ne riassuma i propositi sarebbe forse il caso di servirci di terminologie oggi di moda, ma nondimeno indicative, come quelle di considerare intanto lo spazialismo veneziano quale movimento trans-astratto e post-informale. E questo non certo per rivendicare priorità storiche, in effetti assai improbabili, e tanto meno per affermare una superiorità di ideazione espressiva da parte di questi protagonisti nei confronti degli altri spazialisti, ma soltanto per segnalare una loro diversità di fondo o, meglio, una loro singolare peculiarità di concezione e di linguaggio. Aspetti questi che fanno sì che il gruppo veneziano e l’influenza da esso esercitata su altri fenomeni artistici, sorti in parallelo o apparsi qualche anno dopo a Venezia, per merito di giovani emergenti, co-stituiscano un episodio tutt’altro che marginale nella cultura artistica italiana di quel tempo, rappresentino cioè una vicenda magari non del tutto ancora riconosciuta nel suo effettivo ruolo storico, avvalorando perciò la mostra attuale come occasione ulteriore ma necessaria per riproporne gli aspetti più significativi e duraturi e per favorire inoltre la conoscenza più completa di quel clima culturale di respiro davvero internazionale come si può del resto accertare dalla fortuna dei suoi maggiori esponenti. Se poi lo spazialismo veneziano mostrerà di rinnovare una poetica ancora della forma o, meglio, di una forma sia pure trascritta nel processo di un divenire attuativo insieme del vissuto e dell’agito, […] sarà però da chiarire che per tale tendenza il concetto di forma — l’orizzonte intenzionato in cui essa si inaugura — risulterà manifestarsi alla fine come il prodotto del farsi proprio della stessa materia espressiva, in un senso […] radicalmente basato sul valore formante di un pensiero essenzialmente immaginativo. Con propositi diversi lo scrivono gli stessi artisti: per loro la forma è evento, e l’evento, in tal caso, non è soltanto esperienza del proprio vissuto, soggettività circoscritta o espansa, ma identità insieme dell’essere e del divenire, di quell’essere e divenire che è l’orizzonte stesso del costituirsi proprio dell’immagine…”.

2004

Giovanni Granzotto, Spazio veneziano, atmosfere friulane e luci giuliane, in catalogo mostra Da Venezia alla Venezia Giulia. Gli anni dello spazialismo e della ricerca friulana e giuliana, Pordenone, Villa Galvani

“…E se ancora ci rivolgiamo alle esperienze dei Vianello, dei Toffoli, dei Gaspari e Gasparini, e dei giovanissimi Finzi, Rampin e Licata […] diverrà allora ancora più evidente che, al di là delle diverse sottolineature personali, in quella irripetibile stagione veneziana, sulla scia delle rivoluzionarie conquiste di Lucio Fontana, ma in un contesto di for-midabile radicamento con l’unicità dell’ambiente lagunare, nasceva per davvero una nuova concezione dello spazio: una sintesi ancora mai raggiunta di spazialità naturale e mentale, storica e ideale, che ha contribuito a conformare, o perlomeno delimitare i percorsi di molta arte italiana successiva. A dir il vero, anche a Venezia molti artisti pur esterni al movimento spaziale, non rimasero estranei a questa nuova sintassi visionaria, ed io, infatti, non credo se ne possa ritenere immune il Santomaso della metà degli anni cinquanta, dal segno così incisivo e leggero al tempo stesso, dalla architettura così dilatata, espansa, e dai cromatismi soffici e aerei”.

107

VINICIO VIANELLO

1950

Franco Passoni, catalogo mostra personale alla Galleria Barbaroux, Milano“…Vinicio Vianello è sulla strada dell’astratto da molti anni… [e] non insiste sul problema dell’espressione, del sociale, della moda, del polemico, della forma vincolata a canoni decaduti. Vinicio non s’abbandona all’Università dei conosciuti principi Accademici poiché il legarsi ad essi significa legarsi tragicamente e drammaticamente ad un Universo morto e superstizioso che ancor oggi si dibatte angosciosamente e inutilmente nel vano tentativo di so-pravvivere…”.

Virgilio Guidi, ibid.“…Un giudice un po’ superficiale che ascolti il Vinicio può rimanere perplesso che gli può apparire un po’ lontano dai problemi stretti e insistenti dell’arte. Ciò sarà, forse, perché prima della loro conoscenza, il Vinicio aspira a conoscere le ragioni che portano a quella, dalla sua posizione di uomo. Pertanto la sua prima spinta a operare è morale. Il suo tempo non è quello delle divisioni sociali, le sue immagini non obbediscono ad alcuna ideologia, ma queste nascono liberamente dalle sue emozioni… […] Nelle prime opere il Vinicio era devotissimo alla «tonalità» raccolta nel rigore della linea e distesa sulla tela sull’esempi di tavole primitive, con disposizione oggettiva. Era l’oggetto come «cosa in sé» dipinto con amore di scuola. Poi il sentimento prevalse fino a costringere il mondo dei colori a poche tonalità semplificate, attente dal velo dell’anima. L’oggetto sparì. Il segno della sua maturazione, della maturazione del suo pensiero è in queste sue ultime opere che non è possibile dirle o soggettive o oggettive…”.

Ugo Fasolo, ibid.“…al di qua ed oltre la grammatica astrattista oggi diffusa e da Vinicio ben conosciuta, si può rilevare nella sua pittu-ra quasi una ricchezza insolita d’elementi nuovi, un senso vivo di luce e di spazialità architettonica non narrata dalle disposizioni lineari, ma intimamente effusa dalle intensità cromatiche del quadro. È proprio questa ricchezza intima che tende a rompere e rompe la frigida e deserta stesura delle campiture astrattiste, le rende vive di maggior senso e tende a conquistare la sintesi di un mondo non rarefatto ma compiuto nelle sue complessità d’accordi…”.

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1957

Umbro Apollonio, dattiloscritto siglato a mano “1957” e, sotto, “per America”, dall’Archivio Vianello (Treviso: Toni Fol-lina)

“Oggi ha acquistato molta importanza l’atto del ‘fare’ in se stesso, poiché si è diventati intolleranti verso tutti gli schemi. Si preferisce perciò il rischio di interpretare nuove situazioni, di usare un linguaggio artistico che non abbia niente a che fare con le norme usuali, piuttosto che adagiarsi in un comodo atteggiamento di imitazione, come avveniva nelle antiche ‘botteghe’ e ‘scuole’. In tal modo l’opera d’arte può anche essere guardata come un ‘ogget-to’, e l’artista come un ‘grande artigiano’. Si tratta cioè di una nuova condizione morale dell’uomo moderno, che sa valutare anche oltre l’opera d’arte in sé, anche l’idea che l’ha creata. Il lavoro di Vinicio rientra in questa nuova concezione dell’artista. Egli svolge degli appunti formali anche molto semplici ma pieni di un fremito represso, come se fossero delle note battute con leggerezza sui tasti neri di un pianoforte. Tali appunti formali, sviluppati nel campo di una spazialità ridotta ad accenni elementari, […] rispondono sempre ad una ragione espressiva, e sono la rap-presentazione di un’idea. La creazione artistica di Vinicio, sia nelle opere in vetro sia nei dipinti, risponde a quelle esigenze stilistiche che sono legate all’esistenza moderna, e che si stanno costituendo al di fuori di ogni sistema e di ogni teoria estetica attraverso il nostro travaglio espressivo”.

1958

Fathwinter, in “Der Malkasten n. 2/58”, Düsseldorf (tradotto dal tedesco)“…Al Malkasten, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura, sono esposte in questi giorni le opere di tre pit-tori italiani [Liliana Cossovel, Guido Strazza, Vinicio Vianello]. Questi italiani hanno, nella loro maniera di dipingere, qualcosa in comune e, d’altra parte, si incontra in ciascuno di loro un mondo che non ha niente in comune con quello degli altri. […] Vianello [è] un pittore al quale la materia del vetro non può essere estranea. Forse non tanto attra-verso la familiarità di una applicazione quanto più come un’eredità che si fa sempre più presente nella sostanza in-trinseca della sua natura. I suoi quadri sono chiari come cristallo, aperti nella struttura intera e trasparenti nel moto delle singole fasi cronologiche del dipingere malgrado tutta la densità della materia. Le stesse fasi cronologiche del processo del dipingere sono visibili fin dal principio; tale metodo di richiamare il fondo del quadro sulla superficie del secondo o del terzo strato di colore dimostra nuovamente questa chiarezza cristallina […cui si aggiunge] l’inclusione del tempo e delle singole fasi del dipingere il quadro come oggetto […]. Vianello costringe la materia ad una luce intrinseca simile (simile!!) a quella che tanto ci entusiasma nei quadri dei vecchi maestri. Però egli raggiunge questo risultato attraverso un trattamento coerente della materia; non con velature, ma con il rivelare — lo scoprire tutti gli strati del dipinto fino al fondo. […] Dipinge un primo strato di colore con parecchi toni leggeri e liberi che poi copre di nero. La spatola riapre questa monotonia e rivela i toni più bassi in una luce propria… [e] sopra di ciò […] spesse volte trae un bianco trasparente, che malgrado tutta la sua ‘egocentricità’ è aperto agli altri elementi coloristici per mezzo della sua sicura pressione nel tratto. Uno splendore cristallino, — un brillare che è paragonabile a quello delle pietre preziose — una prospettiva che cresce verso l’osservatore (invece di spingersi illusionisticamente dentro il piano del quadro!) nella intuitiva associazione con la materia che s’innalza in alcuni quadri fino allo spirituale…”.

Giuseppe Marchiori, presentazione mostra personale alla Galleria del Libro la Saletta, Brescia“…Vinicio non pretende di aver concluso nelle opere presentate un periodo della sua vita di artista: al di là delle intenzioni, c’è un tempo indistinto aperto alla volontà e alla necessità di esistere nell’unico modo possibile per un artista. Ora se il giovane pittore merita un atto di fiducia (e non c’è dubbio che lo meriti), tale fiducia si estende a un futuro probabile, a giudicare dall’impulso vitale che anima le sue opere…”

Astone Gasparetto, catalogo mostra Vetri di Murano 1860-1960, Venezia, p. 23“…il pittore Vinicio Vianello […] nell’immediato dopoguerra si è segnalato dapprima per le sue profonde coppe ovoi-dali asimmetriche montate su piede conico, e poi per certi vetri curiosissimi, a una o due sfere, lattiginosi e a grossi spuntoni, suggeritigli dalle sinistre cupole che si levano dopo un’esplosione nucleare, i quali erano indubbiamente dotati di una loro aggressiva espressività… [Va segnalato] …il «designer» Vinicio Vianello, detentore di un Compasso d’Oro assegnatogli alla Triennale del 1957, la cui produzione ha caratteristiche tali da permettere per ogni schema strutturale numerose giustificate variazioni di linea e di colore. I vetri eseguiti su disegni suoi, in colori puri e in una materia tersa e leggera, sono saggi esemplari di forme utili per la fabbricazione di serie…”

1963

Sotirios Messinis, catalogo mostra personale Vinicio Collagees, Galerie Wilm Falazik, Bochum“…Vinicio Vianello in queste sue opere recenti […] non esita a richiamarsi al gusto dell’impaginazione del glorioso periodo cubista, per la scansione aerea che imprime ai fogli di giornale ed alle lettere stampate, ironizzando tuttavia sottilmente il partito di precisione e di calibratura estrema di quella avanguardia: infatti le strutture degli elementi eterocliti vengono sconvolte da un gioioso ed esaltante estro cromatico, che tutto trascina in un ritmo festoso ed ironico…”

(da sinistra) Bruno De Toffoli, Liliana Cossovel, Vinicio Vianello e Tony P. Spiteris, 1950 c.(Archivio Vinicio Vianello-Toni Follina, Treviso)

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Toni Toniato, dattiloscritto dall’Archivio Vianello (Treviso: Toni Follina)“…Vinicio ha collaborato col Movimento Spaziale, ha trovato in questa corrente molte affinità, portando un suo non irrilevante contributo, soprattutto nella prima e più significativa fase di quel movimento, con alcune testimonianze anche teoriche. […] Il senso del colore, […] un senso ‘veneto’, cioè arioso e spaziale, caratterizza il suo mondo, ma anche una ardita concezione formale, corretta, in lui, da un giusto equilibrio di ritmi strutturali, da una sintetica o meglio funzionale misura costruttiva. […] Dopo la parentesi dello ‘Spazialismo’ Vinicio si è trovato a elaborare certe sue esperienze in una area forse necessaria per la sua maturazione. È questo il periodo dei suoi lavori più ‘materici’, cioè dove egli sperimenta comunque con rigoroso controllo dei mezzi inusitati […]su cui accosta con felice equilibrio […] colle, gessi, polvere di ferro, ecc. a grafismi di sottile variazione ritmica […]. Successivamente utilizza le colature riprendendole in percorsi, [mentre] nella sua ricerca attuale […] ripropone, parallelamente alle sue esperienze di ‘designer’, una pittura articolata in preziose strutturalità visuali…”.

1975

Giulio Carlo Argan (1970), in catalogo Vinicio Vianello presenta i vetri di Murano dei “Grandi Designers del passato” - COLLEZIONE, Venezia

“…Non nasconde, Vianello, che talune delle sue più felici trovate formali sono trovate, appunto, nel museo: fedel-mente, metodologicamente dedotte da antichi testi pittorici, di Paolo Veneziano come del Tintoretto. Si tratta per lo più di forme semplici, familiari, utili, plasmate e standardizzate dall’uso come gli scalmi delle gondole dall’attrito del remo. E tuttavia, malgrado l’alta fedeltà della trascrizione disegnativa e tecnica, non sono calchi né presuntuose citazioni dell’antico: attestano una continuità di vita in una dimensione urbana dove la civiltà è consuetudine.”

1987

Dino Marangon, Spazialismo: protagonisti, idee, iniziative, tesi per il Dottorato di Ricerca in Storia dell’Arte, Università degli Studi di Venezia, (Università degli Studi di Padova-Trieste-Venezia), anno accademico 1986/87, Relatore Prof. Decio Gioseffi (e: Dino Marangon, Spazialismo: protagonisti, idee, iniziative, Pagus Edizioni, Quinto di Treviso, 1993)

(p. 251) “…nei primi anni ’50 Vianello verrà […] creando una significativa serie di opere, estremamente libere e prive ormai di ogni rimando figurale, tutte giocate sulla contrapposizione tra gli effetti ‘flou’ delle cromie indefinite create con un procedimento meccanico, anche se controllato, per mezzo di uno spruzzatore a mano, e l’impronta umaniz-zante di linee disegnative liberamente trascorrenti sul campo del quadro. […] In un certo senso, l’attività di pittore e quella di designer, che verrà acquistando sempre maggior peso, finiranno col rivelarsi pressoché equivalenti da un punto di vista concettuale, mentre la sua pittura andrà evolvendosi verso un maggior controllo dei ritmi e delle cadenze, verso una più ordinata organizzazione delle componenti lineari in ritmiche sequenze ortogonali. Sul finire degli anni ’50, Vianello andrà arricchendo la propria pittura di sobri spessori materici, volti tuttavia alla ricerca della definizione di un nucleo formale la cui cellula iniziale, per lo più il quadrato, tenderà a comporsi in progressione modulare nello spazio, per rivisitare in seguito anche la tecnica del collage, alla cui severa impaginazione, di lontana matrice cubista, verrà sovrapponendo un ritrovato estro cromatico…”.

2004

Dino Marangon, Da Venezia alla Venezia Giulia, gli anni dello Spazialismo veneziano e della ricerca friulana e giuliana, catalogo mostra tematica, Galleria Civica di Pordenone

“…Vinicio Vianello, dopo gli studi all’Accademia di Venezia, sotto la guida di Giuseppe Cesetti, sarà uno tra i primi artisti veneziani a entrare in contatto con l’ambiente degli spazialisti milanesi. Già nella seconda metà degli anni Quaranta egli era giunto a una accentuata sintesi formale “…sollecitata”, come osserverà Ugo Fasolo, ‘da una vi-gorosa esigenza cromatica e da una chiara consapevolezza di strutture plastiche’ che collocherà, fin d’ora, la sua opera ‘…oltre la grammatica astrattista oggi diffusa…’ per ‘…una ricchezza insolita di elementi nuovi, un senso vivo di luce e spazialità architettonica non narrata dalle disposizioni lineari, ma intimamente effusa dalle intensità cro-matiche del quadro…’. Ma forse ciò che meglio ancora ha caratterizzato da sempre la personalità di Vinicio è il fatto che, come osserverà Guidi, ‘Egli non teme che lo spirito dell’arte soffra se portato nel mezzo delle cose utili, le quali sono infine le fondamenta della vita intesa socialmente … Pertanto’, affermerà ancora Guidi, ‘la sua prima spinta a operare è morale’…”.

Luca Massimo Barbero, Idee spaziali. Alla ricerca di Vinicio Vianello, in L.M. Barbero (a cura di …), Vinicio Vianello. Pit-tura, vetro e design, Skira Editore, Milano Venezia

“Non ho mai tracciato una ‘bella linea’ né ho mai voluto fare una ‘bella pittura’: questa la sentenza che Vinicio Vianello opponeva — perentoriamente e senza soluzione di continuità — ogni qualvolta si iniziasse a guardare e analizzare una sua pittura, un suo disegno, una sua incisione o anche un suo vetro. Nessun’altra dichiarazione di poetica se non quella di essere alla ricerca costante di una libertà di tema e di tecnica che fosse ‘idea di spazio e di forma nello spazio’, paradossalmente sempre ‘contro’ le modalità tradizionali, avendo presente l’enunciazione di

Lucio Fontana e Vinicio Vianello alla Biennale di Venezia, 1954(Archivio Vinicio Vianello-Toni Follina, Treviso. Foto Cameraphoto Epoche Venezia)

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avanguardia, ove l’arte di ricerca in trasformazione deve nascere all’insegna de ‘L’Antigrazioso’. […] Scrivere oggi di Vinicio non corrisponde alla solita trita formula dell’ ‘artista schivo e appartato’ di cui si promuove la riscoperta dopo anni trascorsi in una ‘dimenticanza’. Si tratta di portare alla luce odierna un’opera che, collocata a pieno titolo nel ‘suo tempo’ e conosciuta in ambito internazionale, è stata letteralmente manipolata e persino nascosta dall’au-tore stesso che si è volutamente allontanato per circa vent’anni dal mondo dell’arte, quasi negando ogni contatto e rifiutando la rivalutazione del suo lavoro, come se appartenesse a un altro. […] Era conscio dei risultati raggiunti negli anni e rammentava — collocandoli in precisa cronologia — eventi, circostanze e aneddoti legati alle specificità delle sue ricerche. Parlava dell’energia solare come delle ricerche muranesi o industriali, perché viveva una visione dell’arte, appunto, a ‘tutto tondo’. Ed era questa coscienza, infatti, ad allontanarlo dalla vita dell’arte, dall’effimero del suo scenario mondano. […] La sua biografia in questa prima pubblicazione darà i dati oggettivi del suo singo-lare percorso artistico e, direi, scientifico insieme, dei viaggi, degli impegni nella sua idea di indagatore sempre in continuo fermento…”.

Toni Follina, Introduzione, in L.M. Barbero (a cura di …), Vinicio Vianello. Pittura, vetro e design, Skira Editore, Milano Venezia“Io sono contemporaneo a me stesso, così zio Vinicio, in età già avanzata, mi disse parlando di se stesso, non so se per autoironia o per sua vera convinzione…”.

Manlio Brusatin, Il libro mio, il libro di colori, ibid.“C’è sempre un libro nella vita dei pittori, non molto considerato dalla storia e dagli storici, è il libro dei colori e dei segreti della pittura e della loro pittura. […] Questo quaderno [la cui copertina, nel testo di Brusatin, è stampata a colori vis-à-vis, n.d.r.], intitolato Materie e coloranti. Fissativi, tempere, affreschi, ritocchi, sgrassatori, vernici, olii, ecc., è appartenuto a Vinicio Vianello e appartiene non solo alla sua pittura ma alla cucina dell’ultima pittura veneta, accanto ai nuovi colori dei colori acrilici, alle nuove emulsioni dell’era della plastica, di rapida e accelerata essiccazione, che hanno decretato per sempre il destino della distruttibilità dell’arte contemporanea. Vinicio Vianello senza drammi riesce a mettere a confronto tecniche passate e moderne, sperimentando gli effetti con un’assoluta conoscenza pratica, come è riuscito a mettere accanto l’arte del vetro e la linea del design…”.

Alberto Bassi, Vinicio Vianello, “artigiano spaziale” e industrial designer, ibid.“…Oltre alla doverosa ricostruzione di un percorso esemplare in parte dimenticato, la rilettura dell’opera di Vianello nel vetro soffiato e poi nell’illuminazione, fra le altre cose, può di sicuro fornire un’opportunità di riflessione per un settore e una tradizione esecutiva che nel complesso ha faticato ad aggiornarsi e dialogare con il progetto con-temporaneo, ma anche stimolare un diverso confronto, più accorto e sensibile, fra il mondo del design e i maestri vetrai…”.

Sabina Tutone, Tracce di una biografia complessa, ibid.“…La libera consultazione della biblioteca e dell’archivio progetti [di Vinicio] — una sorta di ginepraio onnicom-prensivo — dove ai testi scientifici più introvabili si mischiavano quelli di filosofia, arte, teatro, architettura, musica (soprattutto jazz) e riviste specializzate sui materiali di costruzione e sull’illuminotecnica, [mi] ha permesso, assie-me alla pazienza dell’artista, di cogliere in modo più consapevole la chiave del suo percorso. Senza la sua ironica veicolazione e disponibilità a farsi sondare, […] la ricerca sarebbe stata asettica e meno entusiasmante, didascalica e priva di quelle puntuali indicazioni che solo la presenza dell’autore possono fornire, illuminando zone d’ombra altrimenti invisibili…”.

n

Vinicio Vianello al lavoro, 1962(Archivio Vinicio Vianello-Toni Follina, Treviso)

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BRUNA GASPARINI

1960

Tony P. Spiteris, catalogo mostra personale Galleria Il Canale, Venezia“…La genesi del processo pittorico della Gasparini ci accentra sul rivivere la sensazione della luce come elemento pri-mario, fecondata da un’alternanza di colori scaturiti in macchie vascolari che strutturano e dimensionano lo spazio. Spazio fenomenologico, reso evidente e desunto dalla distribuzione plastica di continui passaggi di strati cromatici, incorporei e diluiti, che vanno dal nero deciso che inquadra zone periferiche, al marrone evanescente, per svelare in ultimo l’intensità significativa di trasparenze biancastre nucleari…”.

1961

Toni Toniato, catalogo mostra personale Galleria Il Traghetto, Venezia“…È, la sua, una pittura […] che possiede una implicita e autonoma tematica formale, pur risentendo di una com-plessità di motivazioni espressive, le quali tendono a mediare, nella loro più sostanziale direzione, le istanze più urgenti e positive della nostra cultura figurativa, soprattutto nell’ambito delle attuali problematiche sulla natura e sullo spazio…”.

1963

Silvio Branzi, catalogo mostra personale Galleria d’Arte l’Argentario, Trento“…se è evidente che tutto lo sviluppo della Gasparini dovesse condurre la sua fatica ad una posizione astrattista, è altrettanto evidente che l’affermazione più risoluta della sua personalità si fissa al di sopra di quel gruppo cosiddetto spaziale, cui la pittrice ha aderito a suo tempo. La qual cosa, per altro, non significa che essa rinneghi una precipua posizione di cultura: vuol dire soltanto che se ne è giovata al meglio per definirsi nei confronti propri e d’altrui…”.

Berto Morucchio, catalogo mostra personale Galleria Il Canale, Venezia“…cosa ella chiede alla pittura: ritrovarsi nell’intimità. Che il processo psicologico presupposto non sia quello

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dell’esperienza diretta, ma, semmai, si avvalga dell’oggettività del comportamento, lo si deduca anche dal piano non oggettivo e semmai indiretto del suo metodo di ricerca plastica. Alla felicità emotiva personale, provata durante questo lavoro, corrisponde la felicità espressiva che è ricca soprattutto per una tensione positiva tra la prova che lei chiede all’efficacia di una particolare struttura linguistica e la ragione esistenziale che la suggerisce e la contie-ne, da ciò deriva il particolare dinamismo plastico-sentimentale, mai così schietto, libero e difficile nell’opera della Gasparini”.

1984

Enzo Di Martino, catalogo mostra personale Galleria del Naviglio, Milano“I campi azzurri entro i quali Bruna Gasparini manifesta la sua immaginazione visiva configurano, in effetti spaziali mentali nei quali si verificano, apparizioni che sembrano intraviste in una condizione di estasi e di abbandono, di sogno. Le eccentriche intromissioni di piccole forme colorate, che sovente si incontrano su tali campi, acquisiscono a ben vedere […] la funzione di rimarcare l’intensità e la profondità assolute degli spazi, connotandoli come luoghi di eventi magici e misteriosi. Anche i piccoli segni graffiati che talora si riscontrano su tali superfici diventano al-lora tracce di ritrovamenti sorprendenti che, sebbene non leggibili, testimoniano tuttavia il riconoscimento di una calligrafia, vale a dire di una scrittura e perciò di una storia. Diverso è il discorso per le trentatre ‘carte’ dedicate alla ‘chamber music’ di James Joyce, […] perché qui i segni ed i segnali diventano più chiaramente leggibili, a volte allusivi di improbabili descrizioni alle quali provvede invece la parola scritta, la parola di Joyce. I fondi screziati, anch’essi azzurri, […] non hanno più, qui, la funzione di campi emozionali autonomi, come accade per i dipinti, ma diventano supporti della coscienza sui quali depositare la trascrizione visiva della poesia. In entrambi i casi è evidente una visone di sapore cosmico che discende dalla grande lezione dello spazialismo che Bruna Gasparini ha vissuto non passivamente…”.

1986

Giuseppe Mazzariol, Bruna Gasparini, catalogo mostra personale Galleria Il Traghetto, Venezia“…il silenzio si fa alto e il colore è il canto monodico e intenzionalmente monotono, come l’idea del mezzogiorno ferma e perpendicolare sulla superficie del lago di Mantova. Sul colore Bruna ha sempre incentrato il suo discorso poetico e quindi la sua ricerca, ritenendo che in questo sia sempre implicita la definizione della forma e che qui si depositi la memoria del vissuto come nel fondo dell’acqua l’immagine riflessa…”.

1987

Toni Toniato, Ricerche parallele, in Spazialismo a Venezia, catalogo mostra Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia, Nuove edizioni Gabriele Mazzotta, Milano

“…Del gruppo veneziano che frequentava l’ambiente di Guidi e degli altri artisti spaziali si deve segnalare innan-zitutto Bruna Gasparini, una pittrice di raffinata sensibilità, la cui attività fin dal ’52 si era orientata a configurare una singolare ricerca sul segno e sul colore, tanto che proprio in quegli anni un critico avvertito come Silvio Branzi l’aveva idealmente annoverata tra i rappresentanti del nascente versante veneziano dello spazialismo. In effetti essa poteva invece distinguersi per un processo diverso di affrontamento del reale, per una percezione, meno allarmante, che la spingerà a declinare una formulazione della spazialità della luce, come filtrata risonanza di una naturalità più terrestre che cosmica. La Gasparini, infatti, all’interno dell’immaginario favolistico nel quale andava a tracciare una morfologia emozionale delle figure della vita organica, puntava nello stesso tempo a scorporare ogni combusta fisicità delle sue trasmutanti esplorazioni nella dimensione di luoghi evocati sullo specchio dell’in-teriorità. Essa si affidava dunque a un’operazione di distillazione della materia-colore, portata a espandersi e a raggrumare in punti di densa stratificazione, per riuscire poi a proseguire in zone meno accidentate, fino a svapo-rare in evanescenti trasparenze, in liquide luminosità, quasi appena percettibili. Sortilegi grafici di sottile trama-tura venivano quindi a iscrivere, allusivamente, alcuni simboli magici, desunti da arcane memorie, dispiegando in un mondo di favolistica tessitura che per certe assonanze di pura liricità sembrava dover echeggiare l’astrazione dei ritmi immaginativi di un Klee, a cui la pittrice aveva del resto guardato durante la fase del suo passaggio dal figurativo a una fenomenologia di motivi quasi musicali, affidandosi alle risonanze sentimentali di una captante interiorità. L’artista ha continuato poi a smaterializzare le sue tessere di colore per sfiorare un’estrema dizione della poetica informale […]. Esclusa, forse indebitamente, da uno spazialismo a cui giungeva in ogni caso per strade diverse, la Gasparini ha proseguito con lucida coerenza a esemplare le sue leggiadre elaborazioni formali in pitture di una soffusa luminosità, dimostrando anche in seguito sorprendenti rispondenze con il clima di quel movimento…”.

Dino Marangon, Spazialismo: protagonisti, idee, iniziative, tesi per il Dottorato di Ricerca in Storia dell’Arte, Università degli Studi di Venezia, (Università degli Studi di Padova-Trieste-Venezia), anno accademico 1986/87, Relatore Prof. Decio Gioseffi (e: Dino Marangon, Spazialismo: protagonisti, idee, iniziative, Pagus Edizioni, Quinto di Treviso, 1993)

(p. 264) “…Basti pensare all’approfondita esplorazione delle avventure spaziali della luce e del colore compiuta con Bruna Gasparini con Zaira Pizzinato (alla sua destra) e Liliana Cossovel (di fronte) (Archivio Vinicio Vianello-Toni Follina, Treviso)

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raffinata sensibilità da Bruna Gasparini, i cui significativi esiti, allusivi ad una lirica e ‘terrestre’ cosmicità, potranno già all’epoca essere avvicinati, dalla critica più avvertita, al clima del versante veneziano dello spazialismo…”.

1996

Luca Massimo Barbero, Bruna Gasparini. Opere 1955-1995, catalogo mostra personale Casa del Mantegna, Mantova“…Alla familiarità con Gaspari e all’amicizia fraterna di Bacci e Morandis si aggiungono le improvvise visite allo studio dell’amico Tancredi. Gasparini partecipa agli avvenimenti ed esperienze spazialiste, ma il suo ruolo defilato, riser-vato, discreto e laterale, non le consentono né la vedono entusiasta al firmare alcuno dei manifesti spaziali redatti dalla meravigliosa e attiva compagine che si muove tra Milano e Venezia. […] Gasparini sente la forza degli intenti spazialisti ma cela ai suoi stessi amici le prove pittoriche, per timore forse, certamente per riservatezza estrema. […] Il rapporto con gli esponenti ‘ufficiali’ dello Spazialismo è continuo, per quanto riguarda le frequentazioni quo-tidiane, ma il percorso espositivo prosegue isolatamente, parallelo a quello dei colleghi-amici, in una lateralità che la toglie dalla troppo impegnativa luce della mondanità artistica…”.

Bruna Gasparini, ibidem(p. 17) “La luce, l’aria, il mare della laguna e la forza del Po, immenso e forte. Sono i miei luoghi, e a questi luoghi ho dedicato un ‘Diario della Memoria’ composto negli ultimi mesi del 1995. Sono sessanta fogli dipinti ad olio, sono i miei ‘Appunti sul colore’. In queste opere, come in tutte, ho cercato di formulare un evento, senza pretendere di concludere un problema. Ad ogni problema in arte io ho tentato di rispondere con l’opera, in cui essa potesse essere la sufficiente soluzione”.

2004

Dino Marangon, Da Venezia alla Venezia Giulia, gli anni dello Spazialismo veneziano e della ricerca friulana e giuliana, catalogo mostra tematica, Galleria Civica di Pordenone

“…Bruna Gasparini verrà compiendo con raffinata sensibilità un’approfondita esplorazione dell’avventura della luce e del colore i cui significativi esiti, allusivi talora a una lirica e terrestre cosmicità, potranno già all’epoca essere avvicinati dalla critica più avvertita al clima del versante veneziano dello Spazialismo…”.

2008

Renzo Margonari, Bruna Gasparini. La palude e la marina, in Bruna Gasparini, catalogo mostra personale Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, Gazoldo degli Ippoliti (MN)

“…Bruna è l’artista che attua la radicale applicazione dell’idea spazialista, restandone però a lato perché applica mezzi esclusivamente pittorici, superando la forma con l’automatismo più libero e stabilendo un personale rapporto con una dimensionalità disintegrata e priva di coordinate metriche, mentre per i Milanesi, capeggiati d Lucio Fonta-na, lo sviluppo dell’idea avrebbe dovuto essere d’ordine tecnologico e materialista. Una scelta in nome della pittura: avventurandosi in un percorso autonomo, incognito e rischioso, l’artista raggiunge il proprio definitivo approdo poetico…”.

Vinicio Vianello (in basso) e alle sue spalle (da sinistra) Luciano Gaspari, la moglie Liliana Cossovel, Tony P. Spiteris e Bruna Gasparini(Archivio Vinicio Vianello-Toni Follina, Treviso)

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SAVERIO RAMPIN

1951

Armando Pizzinato, Saverio, catalogo prima mostra personale, Galleria Sandri, Venezia“…Pur avendo il Rampin accettati i modi del ‘non-figurativo’ come punto di partenza, tuttavia non è possibile definirlo pittore astratto. C’è in lui, più urgente di qualsiasi altra questione, il bisogno di rappresentare; egli vuole ridare, cioè, a mezzo di segni espressivi e attraverso una sintesi formale ‘dinamico-cubista’, l’azione che in un ben determinato soggetto lo colpisce…”.

1954

Saverio Rampin, lettera a Franca Calimani (sua futura moglie), conservata nell’Archivio Saverio Rampin, Venezia “…Pensai al colore perché di colore è la mia anima, e perché nel colore sta il mio segreto. Nel colore mi riconosco. La mia tavolozza composta di determinati colori a volte osa sfidare l’immagine emotiva e la ricerca plastica e lirica dei sentimenti in tutta la loro formazione derivata da esigenze filosofiche che esprimono quanto necessario e urgente è il cammino da percorrere senza lasciare fuori di sé niente di ciò che è umanamente Natura…”.

1956

Virgilio Guidi, Saverio Rampin, catalogo mostra personale Galleria dell’Ariete, Milano “Verso il 20 aprile di quest’anno scrissi per Rampin le seguenti parole: ‘…a dispetto di tanti sconsolati che insistono nel credere che l’uomo non conta, ma solo la sua opera, io vi dirò che per me conta moltissimo anche la faccia o, più distintamente, anche solo il viso […] …ha il Rampin un volto interessante e nascostamente umano, senza «smorfie da gruppo», disegnate più dall’aspirazione che dalla pretesa. Ma come dipinge? Ascoltatemi! […] Diresti che è uno «spaziale» non volontario e programmatico: però uno spaziale furioso per necessità, per una spinta interiore che impone la presenza dell’uomo là dove l’uomo non c’è e non potrebbe essere. Diresti che il suo è lo spazio dell’esi-stenza, dove le forme e i colori quasi inattesi e impreveduti risuonano come voci dell’anima […]; ora, a proposito di questa sua mostra mi sia lecito aggiungere qualche proposizione. […] La tendenza più affine a quella che il Rampin

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fa è quella spaziale. Di questa egli è un elemento vitalissimo. Se parlassi con l’intelligente Teorico-Editore della tendenza spaziale saremmo, forse, d’accordo sulle «ragioni dello spazio» qualunque ne siano i principi, al disopra d’ogni modo d’improvvisata cultura. Il discorso sarebbe certo difficile, ma l’accordo potrebbe essere sulla necessità di possedere «l’intensità di natura» che al lume della più semplice filosofia è contraria al naturalismo, ma anche alla facile immaginazione, e che può permettere di vivere fuori d’ogni gruppo o d’ogni tendenza troppo determinata e pertanto limitata…”.

1958

Virgilio Guidi, catalogo mostra personale Galleria Opera Bevilacqua La Masa, Venezia“…pochi colori sostengono in tele molto vaste l’immagine. […] Colore che si muta in tonalità perdendo la veste sensi-bile che impedisce l’espressione intensa. Colore, espressione chiara di una forza interiore, della volontà di costruire un mondo della pittura che non sia epidermide colorata…”.

1964

J. Kermoal, catalogo mostra personale Momenti di natura, Galleria Il Canale, Venezia“…Dubito che Rampin possa piacere. La sua luce troppo bella disturba, come un artificio che segna l’artificialità delle cose. Questo pittore e la sua città hanno un solo identico volto, quello di un viaggiatore costretto all’immobilità in un viaggio. Dal quale né l’un né l’altro faranno ritorno. So bene che il pittore della luce veneziana è Guidi. Questo romano deve tutto a Venezia… Rampin è un ragazzo della ‘Salute’, Guidi è del ‘Trastevere’. La Venezia di Guidi è calma, tranquilla, sicura. È l’immagine che Venezia vuole avere di sé. Rampin, veneziano, non l’intende con lo stesso pennello. Venezia è per lui una luce prigioniera della propria inquietudine. In Guidi le verticali si poggiano dolce-mente su una linea dell’orizzonte tranquillo, in Rampin le verticali tagliano la tela in maniera netta e pertanto la sua pittura è una Venezia reale, ancora una volta impaurita, bella nella sua cattiva fede…”.

1980

Enzo Pagani, lettera a Saverio Rampin del 16 gennaio, da Legnano [tratta da: Clara Strobino Pagani, Enzo Pagani e Saverio Rampin: frammenti di ricordi sotto il segno di una fede comune nell’arte, in Luca Massimo Barbero, Saverio Rampin. Catalogo generale delle opere 1945-1991 (2006)].

“Caro Rampin, la tua opera non sollecita il gusto anzi, al contrario, lo provoca, lo sfida e richiede una sottile par-tecipazione intellettuale per essere interpretata nei suoi genuini valori. Venezia è un’intima luce di poesia nella tua fiera solitudine. Ogni tuo intervento su un foglio bianco vive di un nuovo incanto e di albe incerte sulla laguna, ma il risultato è che la perlacea felicità della tua Venezia ce la doni come un moto perpetuo. Tuo Pagani”.

Saverio Rampin risponde da Venezia il 30 gennaio.“Caro Pagani, grazie per quell’intima luce di poesia che è Venezia per me. Da questa provenienza l’ansia di vivere si esalta di presenze ed intuizioni ideali dove una possibile armonia può nascere e rinnovarsi. Tuo Saverio Rampin”.

1987

Toni Toniato, Ricerche parallele, in Spazialismo a Venezia, catalogo mostra Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia, Nuove edizioni Gabriele Mazzotta, Milano

“…Saverio Rampin […], come lo stesso Finzi, era allora considerato pittore astratto, tanto che ambedue par-teciparono con Tancredi, Licata e lo scultore Giorgio Zennaro alla mostra curata nel ’53 da Bruno Alfieri alla Galleria Bevilacqua La Masa, e che intendeva segnalare, con tale circostanza, i giovani emergenti nell’area per l’appunto delle tendenze dell’astrazione. Rampin, in quel tempo, praticava una pittura, invece, di impetuosa gestualità spaziale, intensa e pulsionale, quasi di impronta espressionistica, che doveva rivolgersi ben presto verso una rimeditata decantazione lirica del colore-luce, mutuata evidentemente attraverso la lezione di Guidi […]. In precedenza, all’incirca, negli stessi anni dello spazialismo, Rampin si era accostato a un gestualismo di natura organica che veniva a sostanziare gli impulsi della propria necessità esistenziale nell’affermarsi di-retta da uno slancio vitale, di una immedesimazione con la propria materia espressiva che ne determinava i meccanismi d’immagine. Vicino dunque alla pittura d’azione, tra Kline e Vedova, l’artista ne offriva comunque versioni molto personali…”.

2004

Dino Marangon, Modernità, tradizione, libertà oltre l’astrattismo e l’informale: lo Spazialismo a Venezia, in catalogo mostra Da Venezia alla Venezia Giulia. Gli anni dello spazialismo e della ricerca friulana e giuliana, Pordenone, Villa Galvani

“…Così, sia il linguaggio prevalentemente segnico e aperto anche a raffinate analogie musicali di Riccardo

(

Saverio Rampin con la moglie Franca Calimani (foto Archivio Saverio Rampin, Venezia)

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Licata, […] sia le propensioni astratto-espressioniste, improntate a una notevole immediatezza esistenziale nel rapporto con il diverso fluire della natura manifestate, nello stesso periodo, da Saverio Rampin in una impetuosa pittura di materia, inquieta e densa, anche se non priva di trasparenze e di segrete conformazio-ni, pur nella diversità degli indirizzi, non troverebbero forse una compiuta giustificazione senza tener conto dei rapporti tra materia e colore, tra spazio e segno, allora affrontati, pur con intenti differenti, dagli artisti del gruppo Spaziale veneziano, come per altro verso, soprattutto nel caso di Rampin, dei dinamismi segnico-espressivi di Vedova…”.

2006

Luca Massimo Barbero, Saverio Rampin. La pittura agisce nel tempo, in Saverio Rampin. Catalogo generale delle opere 1945-1991, edizioni Grafiche Aurora, Verona

“…«Nasce un senso progressivo» 1948-1953 [Nota comune a tutti i successivi brani del testo: ‘I titoletti dei capitoli sono presi da una nota poetica inedita di Saverio Rampin: Siamo nati per crescere, depositata presso l’Archivio Saverio Rampin di Venezia…’]. …Se i paesaggi più tradizionali, già verso il 1950, avevano lasciato ampio spazio a composizioni acute e dinamiche post-cubiste […], nell’anno successivo Rampin tenta di coniugare le scomposizioni liriche e appena metafisicamente sospese […]con composizioni più accorte dove esiste una sintesi tra la ‘scena’ del reale ed una sua essenza, una sua riduzione schematica e cromatica…”.

Id., ibid.“…«Scavare nella complessa realtà con la vena poetica» 1953-55. […] Nei primissimi anni Cinquanta, mentre an-cora infuria la lotta tra la nuova astrazione […] ed il Realismo socialista […], il campo di battaglia ferve ed è aperto scontro creativo. In città, in modo del tutto isolato, inizia a procedere l’avanzata spazialista, liberale, eterogenea […]. Anche Rampin risente pienamente di questo clima di contraddizioni. Ma il suo spirito è indipendente, meditato, al limite dell’isolamento. Condivide con gli amici più prossimi, Finzi fra tutti, ma anche Tancredi e Licata, le proprie perplessità, senza vivere schieramenti…”.

Id., ibid.“…«In un giorno di festa ho riconosciuto di quale natura sensibile sia capace il mio cuore» 1955-1957. …È forse la matrice del dinamismo neo-futurista che Fontana esprime prima ancora che stilisticamente, concettualmente, ad affascinare Rampin ed è sicuramente quell’intensa volontà dinamica della pittura che gli fa unire alcuni dettami pittorici prettamente informali all’anelito di rappresentare un Momento di natura da racchiudere sempre ‘in modo emozionale’ più tipico degli Spaziali…”.

Id., ibid.“…«Sogna una realtà» 1958-1967. …In questi anni la materia rasenta spesso il colore monocromo. Il colore steso in campiture mai trasparenti si immerge in fasce distinte di oscurità; talvolta il pittore lascia presagire un’alba di luce sotterranea, lontana, come in emersione…”.

Id., ibid.“…«Pensai il colore, guardai il sole, il mare, guardai alla Vita» 1970-1986. …Toni Toniato scrive nella metà degli anni Settanta di un ‘colore in quanto luce, intesa cioè come energia lirica del colore’. […] Verso gli inizi degli anni Ottanta, questa ricerca incomincia a variare. Come per i musicisti, Rampin indaga incessantemente intorno a un tema: la capacità di un colore d’esprimere luce, quindi emozione. […] Questa ricerca lo porta, nuovamente, a concepire alcune opere che presentano una sorta di astro assoluto, un cerchio simbolico che si carica di piena luce, ed ancora della luce diventa emblema e ricettacolo colmo di significati. […] Rampin è però lontano dalla concisione razionale di autori che in quegli anni o nel decennio precedente hanno indagato la realtà minimale, la suddivisione dello spazio. La sua geometria è una composizione lirica e prima ancora pittorica dello spazio della tela, un luogo simbolico che ospita porzioni di spazio-luce infinito e di Silenzio, un luogo in cui perdersi ed immer-gersi nella luminosità più pura ed alta…”.

Id., ibid.“…«Manca forse la possibilità di vivere nel tempo?» 1986-1991. …Rampin consegna negli ultimi momenti di vita nuovi dipinti articolati, sofferti eppure altissimi, come un canto estremo di consegna al Tempo del suo lavoro. Quell’anelito di sempre che gli fa dire: «Confuse e chiare sono le prospettive di un domani nel Tempo… Tante emo-zioni corrono intorno a me e tutte nascono dalla passione di amore» [dagli scritti di Rampin conservati presso il l’archivio dell’artista a Venezia; fine anni 50]”.

Clara Strobino Pagani, Enzo Pagani e Saverio Rampin: frammenti di ricordi sotto il segno di una fede comune nell’arte, ibid.

“…Sono anni in cui in Italia diverse forze si muovono e numerosi sono gli artisti la cui ricerca era ‘la vera, attuale ri-cerca storica italiana’, come Pagani sostiene. Tra questi figura anche il pittore Saverio Rampin che egli incontra verso

(

Saverio Rampin (a destra), Toni Toniato (a sinistra), Virgilio Guidi in mezzo con alla sua destra Alfonso Gatto in Campo Santo Stefano a Venezia (foto Archivio Saverio Rampin, Venezia)

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la fine degli anni Cinquanta probabilmente grazie alle segnalazioni del maestro Virgilio Guidi e le sue frequenti tappe veneziane durante le occasioni espositive […]. Da quel periodo Enzo Pagani e Saverio Rampin iniziano un rapporto di lavoro e di stima che li porta ad avvicinarsi sempre di più, in una vera complicità d’intenti operativi e nella comune visione del ‘fare arte’. Pagani crede fermamente nel talento dell’artista veneziano, tanto da sostenerlo con ben quattordici prestigiose esposizioni personali a partire dal 1960 fino al 1989, tra la Galleria di Legnano e la Galleria di via Brera a Milano, e dal 1965 anche al Museo Pagani all’aperto, a Castellanza, dove Rampin realizza un grande mosaico. […] L’amicizia sincera che ne deriva li porta ad una frequentazione assi-dua, tantoché Saverio trascorre dei lunghi periodi nella casa di Enzo a Carrara, chiamata ‘Casa degli Ulivi’ e residenza ‘storica’ in Versilia nel campo dell’arte, conosciuta a tutti gli iniziati…”.

Sabina Tutone, Saverio Rampin e la sua “ragione di essere”: appunti biografici, ibid.“…una delle più interessanti figure artistiche della contemporaneità veneziana, trascurata per certi versi dall’ambiente lagunare, soprattutto negli ultimi decenni. Forse di questa sorte lo stesso Rampin era pienamen-te consapevole, tanto da non curarsene troppo, fermo piuttosto in quei principi di verità ‘alta e altra’ che il suo instancabile ricercare doveva perseguire senza distrazioni e al di là ‘degli interessi spiccioli della cronaca’ o dei ‘vuoti’ di certa critica superficiale. Atteggiamento che non ebbero — autore in vita — firme come Valsecchi, Gatto, Kaisserlian, Perocco, Guidi e Toniato, per citare i più attenti recensori della sua indagine pittorica; dove cogliere nel profondo la personalità dell’artista vuol dire anche trasmettere il lato umano, l’istinto più sincero, giustificando, quasi, in quel carattere schietto e in quei tratti fisiognomici così marcati e decisi un’indiscussa epifania di qualità…”.

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Saverio Rampin con Virgilio Guidi alla Galleria Il Traghetto 2, di Gianni De Marco, in Campo Santa Maria del Giglio a Venezia (foto Archivio Saverio Rampin, Venezia)

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“-Nosotros continuamos la evolución del arte. El arte se encuentra en un período de latencia. Hay una fuerza que el hombre no puede manifestar. Nosotros la expresamos en forma literal en este manifiesto.

-Por eso pedimos a todos los hombres de ciencia de la especie, que orienten una parte de sus investigaciones hacia el descubri-miento de esa sustancia luminosa y maleable y de los instrumen-tos que producirán sonidos, que permitan el desarrollo del arte tetradimensional. Entregaremos a los experimentadores la documentación nece-saria.

-Las ideas no se refutan. Se encuentran en germen en la socie-dad, luego los pensadores y los artistas las expresan. Todas las cosas surgen por necesidad y son de valor en su época. Las transformaciones en los medios materiales de vida determi-nan los estados psíquicos del hombre a través de su historia. Se transforma el sistema que dirige la civilización desde sus oríge-nes. Su lugar lo ocupa progresivamente el sistema opuesto en su esencia y en todas las formas. Se transformarán todas las condiciones de la vida de la sociedad y de cada individuo. Cada hombre vivirá in base a una organización integral del trabajo. Los

“-Noi portiamo avanti l’evoluzione dell’arte.L’arte si trova in un periodo di latenza. C’è una forza che l’uomo non riesce a manifestare. Noi la esprimiamo a parole in questo manifesto.

-Perciò chiediamo a tutti gli uomini di scienza del mondo capaci di capire che l’arte è un bisogno vitale della specie, che indirizzino una parte delle loro ricerche verso la scoperta di quella sostanza luminosa e malleabile e verso gli strumenti atti a produrre suoni, che permettano la realizzazione dell’arte quadridimensionale. Consegneremo agli sperimentatori la documentazione necessa-ria.

-Le idee non si rifiutano. S’incontrano in germe nella società, poi i pensatori e gli artisti le esprimono. Ogni cosa nasce per necessità e vale nella sua epoca. Le trasformazioni nel campo dei mezzi materiali di vita deter-minano gli stati psichici dell’uomo attraverso la sua storia. Si trasforma il sistema che indirizza la civiltà fin dalle sue origi-ni. Il suo posto viene occupato progressivamente dal sistema opposto, nella sua essenza e in ogni forma. Tutte le condi-zioni di vita della società e dei singoli individui si trasforme-ranno. Ciascun uomo vivrà in base a un’organizzazione inte-grale del lavoro. Le incommensurabili conquiste della scienza

LO SPAZIALISMO, I MANIFESTI

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IL MANIFIESTO BLANCO.

Lo Spazialismo nasce a Buenos Aires, nell’autunno del 1946, con il lancio di questo manifesto, ispirato alle idee di Lucio Fontana, ma non a suo nome. Non compare infatti tra i firmatari, che sono 9: Bernardo Arias, Pablo Arias, Enrique Benito, César Bernal, Rodolfo Burgos, Horacio Cazeneuve, Marcos Fridman, Alfredo Hansen, Jorge Rocamonte.

hallazgos desmesurados de la ciencia gravitan sobre esa nueva organización de la vida. El descubrimiento de nuevas fuerzas fí-sicas, el dominio sobre la materia y el espacio impone gradual-mente al hombre condiciones que no han existidos en toda la historia. La aplicación de esos hallazgos en todas las formas de la vida produce una modificación en la naturaleza del hombre. El hombre toma una estructura psíquica diferente. Vivimos la edad de la mecánica. El cartón pintado y el yeso erecto ya no tienen sentido.

-Desde que fueran descubiertas las formas conocidas de arte en distintos momentos de la historia se cumple un proceso analí-tico dentro de cada arte. Cada una de ellas tuvo sus sistemas de ordenamiento, independiente de los demás. Se conocieron y desarrollaron todas las posibilidades, se expresó todo lo que se pudo expresar. Condiciones idénticas del espíritu se expresaban en la música, en la arquitectura, en la poesía. El hombre dividía sus energías in distintas manifestaciones respondiendo a esa ne-cesidad de conocimiento. El idealismo se practicó cuando la existencia non pudo ser ex-plicada de un modo concreto. Los mecanismos de la naturaleza eran ignorados. Se conocían los procesos de la inteligencia. Todo residía en las posibilidades propias de la inteligencia. El conoci-miento consistió en enredadas especulaciones que muy pocas veces alcanzaban una verdad. La plástica consistió en represen-taciones ideales de las formas conocidas, en imágenes a las que idealmente se les atribuía realidad. El espectador imaginaba un objeto detrás de otro, imaginaba la diferencia entre los músculos y las ropas representadas. Hoy, el conocimiento experimental re-emplaza al conocimiento imaginativo. Tenemos conciencia de un mundo que existe e se explica por sí mismo, y que no puede ser modificado por nuestras ideas. Necesitamos un arte válido por él mismo. En el que no intervenga la idea que de él tengamos. El materialismo establecido en todas las conciencias exige un arte en posesión de valores propios, alejado de la representación que hoy constituye una farsa. Los hombres de este siglo, forjados en ese materialismo nos hemos tornados insensibles ante la repre-sentación de las formas conocidas y la narración de experiencias constantemente repetidas. Se concibió la abstracción a la que se llegó progresivamente a través de la deformación. Pero este nue-vo estado no responde a las exigencias del hombre actual.

-Se requiere un cambio en la esencia y en la forma. Se requiere la superación de la pintura, de la escultura, de la poesía, de la música. Se necesita un arte mayor en acorde con las exigencias del espíritu nuevo. Las condiciones fundamentales del arte moderno se notan clara-mente desde el siglo XIII, en que comienza la representación del espacio. Los grandes maestros que aparecen sucesivamente dan nuevo impulso a esa tendencia. El espacio es representado con una amplitud cada vez mayor durante varios siglos. Los barrocos dan un salto en ese sentido: lo representan con una grandiosidad aún no superada y agregan a la plástica la noción de tiempo. Las figuran parecen abandonar el piano y continuar en el espacio los movimientos representados. Esta concepción fue la consecuencia del concepto de la existencia que se formaba en el hombre. La física de esa época, por primera vez explica la naturaleza por la dinámica. Se determina que el movimiento es una condición inmanente a la materia come principio de la comprensión del universo. Llegado a ese punto de la evolución la necesidad de movimiento es tan grande que no puede ser correspondida por la plástica. Entonces la evolución es continuada por la música.

gravano su tale organizzazione nuova della vita. La scoperta di nuove forze fisiche, il dominio sulla materia e sullo spazio impongono via via all’uomo condizioni inedite nella storia. L’impiego di queste conquiste in tutte le forme di vita genera un cambiamento nella natura dell’uomo. L’uomo assume una struttura psichica differente. Viviamo l’età della meccanica. Il cartone dipinto e il vaso eretto non hanno più senso.

-Da quando furono scoperte le forme note dell’arte nei diversi momenti della storia, si compie un processo analitico all’interno di ciascuna forma di arte. Ognuna di esse ha avuto i propri siste-mi di ordinamento, indipendente dalle altre. Tutte le possibilità furono conosciute e sviluppate, tutto ciò che si poteva esprime-re fu espresso. Identiche condizioni di spirito si esprimevano in musica, architettura e poesia. L’uomo divideva le sue energie in manifestazioni separate rispondendo a questo bisogno di cono-scenza. L’idealismo venne praticato quando l’esistenza non poté essere spiegata concretamente. I meccanismi della natura erano igno-rati. Si conoscevano i processi dell’intelligenza. Tutto risiedeva nelle possibilità proprie dell’intelligenza. La conoscenza consiste-va in intricate speculazioni che ben poche volte raggiungevano una verità. L’arte plastica equivaleva a rappresentare ideali di forme note in immagini cui idealmente si attribuiva il senso della realtà. Lo spettatore immaginava un oggetto dopo l’altro, imma-ginava la differenza tra i muscoli e le stoffe rappresentate. Oggi la conoscenza sperimentale rimpiazza la conoscenza dell’imma-ginazione. Siamo consapevoli dell’esistenza di un mondo, che si spiega da se stesso, e che non può essere cambiato in rapporto alle nostre idee. Abbiamo bisogno di un’arte valida per se stessa. In cui non intervenga l’idea che abbiamo di essa. Il materialismo radicato in tutte le coscienze esige un’arte dotata di valori propri, lontana da quel rappresentare che oggi è diventato una farsa. Gli uomini di questo secolo, sprofondati in questo materialismo, sono diventati insensibili di fronte al rappresentare le forme note e al raccontare esperienze ripetute senza fine. Si è concepita l’astrazione, raggiunta passo passo attraverso la deformazione. Ma tale situazione nuova non risponde alle esigenze dell’uomo di oggi.

-Si richiede un cambiamento nell’essenza e nella forma. Si ri-chiede il superamento della pittura, della scultura, della poesia e della musica. Si sente il bisogno di un’arte in maggiore accor-do con le esigenze dello spirito nuovo.Le condizioni fondamentali dell’arte moderna si notano chiara-mente dopo il secolo XIII, quando comincia la rappresentazione dello spazio. I grandi maestri apparsi in seguito danno nuovo impulso a questa tendenza. Lo spazio viene rappresentato con sempre maggiore ampiezza nel corso di vari secoli. I barocchi compiono un balzo in questo senso: lo rappresentano con una grandiosità insuperata e annettono all’arte plastica la nozione del tempo. Le figure sembrano abbandonare il piano e conti-nuare nello spazio i movimenti raffigurati. Tale concezione fu conseguenza del concetto di esistenza che si andava formando nell’uomo. La fisica dell’epoca spiega per la prima volta la natu-ra attraverso la dinamica. Si prova che il moto è una condizio-ne immanente alla materia come principio della comprensione dell’universo. A questo punto dell’evoluzione la necessità di moto è talmente grande che non può essere corrisposta dall’ar-te plastica. Allora l’evoluzione viene continuata dalla musica.

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La pintura e la escultura entran en el neo-clasicismo, verdadero pantano en la historia del arte, y quedan anuladas por el arte del tiempo. Conquistado el tiempo la necesidad de movimiento se manifestó plenamente. La liberación progresiva de los cánones dio a la música un dinamismo cada vez mayor (Bach, Mozart, Beethoven). El arte continúa desarrollándose en el sentido del movimiento. La música mantuvo su dominio durante dos siglos y desde el impresionismo se desarrolla paralelamente a la plás-tica.

-Desde entonces la evolución del hombre es una marcha hacia el movimiento desarrollado en el tiempo y en el espacio. En la pintura se suprimen progresivamente los elementos que no per-miten la impresión de dinamismo. Los impresionistas sacrificaban el dibujo y la composición. En el futurismo son eliminados algunos elementos y otros perdieron su importancia quedando subordinados a la sensación. El futu-rismo adopta el movimiento como único principio y único fin. Los cubistas negaban que su pintura fuera dinámica; la esencia del cubismo es la visión de la naturaleza en movimiento.

-Cuando la música y la plástica unen su desarrollo en el impre-sionismo, la música se basa en sensaciones plásticas, la pintura parece estar disuelta en una atmósfera de sonido. En la mayoría de las obras de Rodin notamos que los volúmenes parecen girar en ese mismo ambiente de sonido. Su concepción es esencialmente dinámica y muchas veces llega a la exacerba-ción del movimiento. Últimamente no se ha intuido la forma del sonido (Schönberg) o la superposición o correlación de planos sonoros (Scriabin)? Es evidente la semejanza entre las formas de Strawinsky y la planimetría cubista. El arte moderno se en-cuentra en un momento de transición en que se exige la ruptura con el arte anterior para dar lugar a nuevas concepciones. Este estado visto a través de una síntesis, es el paso de estatismo a dinamismo. Ubicado en esa transición no pudo desprenderse totalmente de la herencia renacentista. Empleó los mismos ma-teriales y las mismas disciplinas para expresar una sensibilidad completamente transformada. Los elementos antiguos se em-plearon en sentido contrario. Fueron fuerzas opuestas que estu-vieron en pugna. Lo conocido y lo desconocido, el porvenir y el pasado. Por eso se multiplicaron las tendencias, apoyadas en va-lores opuestos y persiguiendo objetivos distintos aparentemente. Nosotros recogemos esa experiencia y la proyectamos hacia un porvenir claramente visible. Concientes o inconscientes de esa búsqueda, los artistas modernos no lo podían alcanzar. No dispo-nían de los medios técnicos necesarios para dar movimiento a los cuerpos, sólo lo daban de un modo ilusorio representándolo por medios convencionales. Se determina así la necesitad de nuevos materiales técnicos que permitan llegar al objetivo buscado. Esta circunstancia unida al desarrollo de la mecánica ha producido el cine, y su triunfo es un testimonio más sobre la orientación tomada por el espíritu hacia lo dinámico.

-El hombre esta exhausto de las formas pictóricas y escultóricas. Sus propias experiencias, sus agobiadoras repeticiones atesti-guan que estas artes permanecen estancadas en valores ajenos a nuestra civilización, sin posibilidad de desarrollarse en el fu-turo. La vida apacible ha desparecido. La noción de lo rápido es cons-tante en la vida del hombre. La era artística de los colores y las formas paralíticas toca a su fin. El hombre se torna de más en más insensible a las imágenes clavadas sin indicios de vitalidad.

Pittura e scultura entrano nel neoclassicismo, autentico pantano nella storia dell’arte, e vengono annullate dall’arte del tempo. Conquistato il tempo, la necessità di moto si manifestò piena-mente. La liberazione progressiva dei canoni diede alla musica un dinamismo sempre maggiore (Bach, Mozart, Beethoven). L’arte continua a svilupparsi nel senso del moto. La musica mantiene il suo dominio per due secoli e dopo l’impressionismo si sviluppa parallelamente all’arte plastica.

-Da allora l’evoluzione dell’uomo è una marcia verso il moto svi-luppato nel tempo e nello spazio. In pittura si sopprimono via via gli elementi che non permettono l’impressione di dinamismo.Gli impressionisti hanno sacrificato il disegno e la composizione. Nel futurismo sono stati eliminati certi elementi e altri hanno perso la loro importanza diventando subordini alla sensazione. Il futurismo ha adottato il moto come principio unico e fine unico. I cubisti negavano che la loro pittura fosse dinamica; l’essenza del cubismo è la visione della natura in moto.

-Quando la musica e l’arte plastica uniscono il loro sviluppo nell’impressionismo, la musica si basa su sensazioni plastiche, la pittura sembra dissolversi in un’atmosfera di suono.Nella più parte delle opere di Rodin notiamo che i volumi sembra-no girare in questo stesso ambiente di suono. La sua concezione è essenzialmente dinamica e molte volte porta ad esacerbare il moto. Ultimamente, non si è intuita la forma del suono (Schön-berg) o la sovrapposizione o correlazione dei piani sonori (Scria-bin)? La somiglianza tra le forme di Strawinsky e la planimetria cubista è evidente. L’arte moderna si trova in un momento di transizione nel quale è necessario arrivare alla rottura con l’arte del passato per dare spazio ad esigenze nuove. Questa situazio-ne vista attraverso una sintesi è il passaggio dalla staticità al di-namismo. Posta in tale stato di transizione non ha potuto liberar-si dell’eredità rinascimentale. Ha impiegato gli stessi materiali e le stesse discipline per esprimere una sensibilità completamente trasformata. Gli elementi antichi vennero impiegati in un modo di sentire opposto. E forze opposte finirono per scontrarsi. Il noto e l’ignoto, l’avvenire e il passato. Per tutto ciò si moltiplicarono le tendenze, appoggiate a valori contrari e perseguendo obiettivi evidentemente distinti. Noi raccogliamo questa esperienza e la proiettiamo verso un avvenire chiaramente visibile. Consapevoli o no di questa ricerca, gli artisti moderni non sono riusciti a rag-giungerla. Non disponevano dei mezzi tecnici indispensabili per imprimere il movimento ai corpi, lo facevano soltanto in un modo illusorio rappresentandolo con mezzi convenzionali. Si determi-na così la necessità di materiali tecnici nuovi che consentano di arrivare all’obiettivo cercato. Tale circostanza unita allo svilup-po della meccanica ha prodotto il cinematografo, il cui trionfo è un’altra testimonianza della direzione presa dallo spirito verso il dinamico.

-L’uomo è stanco di forme pittoriche e scultoree. Le loro espe-rienze, le loro fiacche ripetizioni attestano che queste arti con-tinuano a rimanere in valori alieni alla nostra civiltà, senza possibilità di svilupparsi in un futuro.La vita pacifica è sparita. La nozione della velocità è una co-stante nella vita dell’uomo. In arte, l’epoca dei colori e delle forme paralitiche è arrivata alla fine. L’uomo si fa sempre più insensibile alle immagini inchiodate senza orma di vitalità. Le antiche figure immobili non saziano gli appetiti dell’uomo nuovo, formato nel bisogno di azione, nella convivenza con la

Las antiguas imágenes inmóviles no satisfacen las apetencias del hombre nuevo formado en la necesidad de acción, en la convi-vencia con la mecánica, que le impone un dinamismo constante. La estética del movimiento orgánico reemplaza a la agotada es-tética de las formas fijas. Invocando esta mutación operada en la naturaleza del hombre en los cambios psíquicos y morales, y de todas las relaciones y actividades humanas, abandonamos la práctica de las formas de arte conocidas y abordamos el desa-rrollo de un arte basado en la unidad del tiempo e del espacio. El arte nuevo toma sus elementos de la naturaleza. La existencia, la naturaleza y la materia son una perfecta unidad. Se desarrollan en el tiempo y en el espacio. El cambio es la condición esencial de la existencia. El movimiento, la propiedad de evolucionar y desarrollarse es la condición básica de la materia. Esta existe en movimiento y no de otra manera. Su desarrollo es eterno. El color y el sonido se encuentran en la naturaleza ligados a la materia.

-La materia, el color y el sonido en movimiento son los fenómenos cuio desarrollo simultáneo integra el nuevo arte. El color en volumen desarrollándose en el espacio adoptando for-mas sucesivas. El sonido producido par aparatos aún descono-cidos. Los instrumentos de música no responden a la necesitad de grandes sonoridades ni producen sensaciones de la amplitud requerida. La construcción de formas voluminosas en mutación mediante una sustancia plástica y movible. Dispuestos en el es-pacio actúan en forma sincrónica, integran imágenes dinámicas. Exaltamos así la naturaleza en todo su sentido. La materia en mo-vimiento manifiesta su existencia total y eterna, desarrollándose en el tiempo y en el espacio, adoptando en su mutación distintos estados de la existencia. Concebimos al hombre en su rencuentro con la naturaleza, en su necesitad de vincularse a ella para tomar nuevamente el ejercicio de sus valores originales. Postulamos una comprensión cabal de los valores primarios de la existencia, por eso instauramos en el arte los valores sustanciales de la natura-leza. Presentamos la sustancia, no los accidentes. No representa-mos al hombre, ni a los demás animales ni a las otras formas. Es-tas son manifestación es de la naturaleza, mutables en el tiempo, que cambian y desparecen según la sucesión de los fenómenos. Sus condiciones físicas y psíquicas están sujetas a la materia y a su evolución, fuentes generatrices de la existencia. Tomamos la energía propia de la materia su necesitad de ser y desarrollarse. Postulamos un arte libre de todo artificio estético. Practicamos lo que el hombre tiene de natural, de verdadero. Rechazamos las falsedades estéticas inventadas por el arte especulativo. Nos ubi-camos cerca de la naturaleza, como nunca lo ha estado el arte en su historia. El amor a la naturaleza no nos impulsa a copiarla. El sentimiento de la belleza que nos trae la forma de una planta o de un pájaro o el sentimiento sexual que nos trae el cuerpo de una mujer, se desarrolla y obra en el hombre según su sensibilidad. Re-chazamos las emociones que nos producen formas determinadas. Nuestra intención es abordar en una síntesis todas las vivencias naturales, que unida a la función de sus condiciones naturales, constituya una manifestación propia del ser. Tomamos como prin-cipio las primeras experiencias artísticas. Los hombres de la pre-historia que percibieron por primera vez un sonido producido por golpes dados sobre un cuerpo hueco, se sintieron subyugados por sus combinaciones rítmicas. Impulsados por la fuerza de suges-tión del compás, debieron danzar hasta la embriaguez. Todo fue sensación en los hombres primitivos. Sensación ante la naturaleza desconocida, sensaciones musicales, sensación de ritmo. Nuestra intención es desarrollar esa condición original del hombre.

meccanica, che gli impongono un dinamismo costante. L’este-tica del movimento organico rimpiazza l’esaurita estetica delle forme fisse. Invocando questa mutazione operatasi nella na-tura dell’uomo nel rinnovarsi della psiche e della morale, e di tutte le relazioni e attività umane, abbandoniamo la pratica delle forme d’arte note e affrontiamo lo sviluppo di un’arte basata sull’unità di tempo e spazio. L’arte nuova prende i suoi elementi dalla natura. L’esistenza, la natura e la materia co-stituiscono un’unità perfetta. Si sviluppano nel tempo e nello spazio. Il cambiamento è la condizione essenziale dell’esisten-za. Il movimento, la proprietà di evolversi e di svilupparsi è la condizione basilare della materia. La quale esiste nel movi-mento e in nessuna altra maniera. Il suo sviluppo è eterno. Il colore e il suono s’incontrano in natura legati alla materia.

-La materia, il colore e il suono in moto sono i fenomeni il cui sviluppo simultaneo connota l’arte nuova. Il colore diventa volume, sviluppandosi nello spazio e adot-tando forme in successione. Il suono viene prodotto da appa-recchi prima sconosciuti. Gli strumenti musicali non rispon-dono al bisogno di grandi sonorità né producono sensazioni dell’ampiezza voluta. La costruzione di forme voluminose in trasformazione mediante una sostanza plastica e mobile. Disposti nello spazio attuano in forma sincronica, integrano immagini dinamiche. Esaltiamo così la natura in tutto il suo significato. La materia in moto manifesta la sua esisten-za totale ed eterna, sviluppandosi nel tempo nello spazio, adottando nel suo mutarsi stati distinti dell’esistenza. Con-cepiamo l’uomo nel suo rincontrarsi con la natura, nel suo bisogno di vincolarsi a essa per riprendere a esercitare i suoi valori originali. Postuliamo una comprensione completa dei valori primari dell’esistenza e perciò instauriamo nell’arte i valori sostanziali della natura. Presentiamo la sostanza, non i fatti accidentali. Non rappresentiamo l’uomo, né tutti gli animali, né le altre forme. Sono manifestazioni della natura, mutevoli nel tempo, che cambiano e scompaiono con la suc-cessione dei fenomeni. Le loro condizioni fisiche e psichiche sono soggette alla materia e alla sua evoluzione, fonti gene-ratrici dell’esistenza. Prendiamo l’energia propria della ma-teria, la sua necessità di essere e di svilupparsi. Postuliamo un’arte libera da ogni artificio estetico. Pratichiamo quanto l’uomo ha di naturale, di vero. Ripudiamo le falsità esteti-che inventate dall’arte speculativa. Ci collochiamo vicini alla natura, come mai l’arte lo è stata nella sua storia. L’amore per la natura non ci induce a copiarla. Il sentimento della bellezza che ci offre la forma di una pianta o di un passero, o l’impulso sessuale che ci procura il corpo di una donna, si sviluppano e operano nell’uomo secondo la sua sensi-bilità. Rifiutiamo le emozioni che ci vengono prodotte da forme definite. Intendiamo raggruppare in una sintesi ogni forma di vissuto naturale, che unita alla funzione delle sue condizioni naturali costituisca una manifestazione propria dell’essere. Cominciamo dalle prime esperienze artistiche. Gli uomini della preistoria che si accorsero per la prima volta del suono prodotto dai colpi battuti sopra un corpo cavo, si sentirono soggiogati dalle loro combinazioni ritmiche. Spinti dalla forza della suggestione del canone, dovettero danzare fino all’ebbrezza. Negli uomini primitivi tutto fu sensazio-ne. Sensazione di fronte alla natura sconosciuta, sensazioni musicali, sensazioni di ritmo. La nostra intenzione è di svi-luppare questa condizione originaria dall’uomo.

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-El subconsciente, magnífico receptáculo donde se alojan todas las imágenes que percibe el entendimiento, adopta la esencia y las formas de esas imágenes, aloja las nociones que informan la naturaleza del hombre. Así, al transformarse el mundo objetivo se transforma lo que el subconsciente asimila lo cual produce modificaciones en la for-ma de concebir del hombre. La herencia histórica recibida de los estados anteriores de la civilización y la adaptación a las nuevas condiciones de la vida, se opera mediante esa función del sub-consciente. El subconsciente moldea al individuo, lo integra, lo transforma. Le da la ordenación que recibe del mundo y que el individuo adopta. Todas las concepciones artísticas se han debido a la función del subconsciente. La plástica se desarrolló en base a las formas de la naturaleza. Las manifestaciones del subcons-ciente se adaptaban plenamente a ellas debido a la concepción idealista de la existencia. La conciencia materialista, es decir, la necesidad de cosas claramente comprobables, exige que las formas de arte surjan directamente del individuo, suprimida la adaptación a las formas naturales. Un arte basado en formas creadas por el subconsciente, equilibradas por la razón, cons-tituye una expresión verdadera del ser y una síntesis del mo-mento histórico. La posición de los artistas racionalistas es falsa. En su esfuerzo por sobreponer la razón y negar la función del subconsciente, logran únicamente que su presencia sea menos visible. En cada una de sus obras notamos que esta facultad ha funcionado. La razón no crea. En la creación de formas, su función esta subordinada a la del subconsciente. En todas las ac-tividades el hombre funciona con la totalidad de sus facultades. El libre desarrollo de todas ellas es una condición fundamental en la creación y la interpretación del arte nuevo. El análisis y la síntesis, la meditación y la espontaneidad, la construcción y la sensación son valores que concurren a su integración en una unidad funcional. Y su desarrollo en la experiencia es el único camino que conduce a un a manifestación completa del ser. La sociedad suprime la separación entre sus fuerzas y las integra en una sola fuerza mayor. La ciencia moderna se basa en la unifica-ción progresiva entre sus elementos. La humanidad integra sus valores y sus conocimientos. Es un movimiento arraigado en la historia por varios siglos de desarrollo. De este nuevo estado de la conciencia surge un arte integral, en el cual el ser funciona y se manifiesta en su totalidad. Pasados varios milenios de desa-rrollo artístico analítico, llega el momento de la síntesis. Ante la separación fue necesaria. Hoy constituye una desintegración de la unidad concebida.

-Concebimos la síntesis como una suma de elementos físicos: color, sonido, movimiento, tiempo, espacio, integrando una uni-dad físico psíquica. Color, el elemento del espacio, sonido el elemento del tiempo y del movimiento que se desarrolla en el tiempo y en el espacio, son las formas fundamentales del arte nuevo, que contiene las cuatro dimensiones de la existencia. Tiempo y espacio. El arte nuevo requiere la función de todas energías del hombre, en la creación y en la interpretación. El ser se manifiesta integralmen-te, con la plenitud de su vitalidad”.

-Il subconscio, magnifico ricettacolo dove trovano posto tutte le immagini percepite dall’intelligenza, adotta l’essenza e le forme di tali immagini, ospita le nozioni che informano la na-tura dell’uomo.Così, al trasformarsi del mondo oggettivo, si trasforma quanto il subconscio assimila, il che produce modifiche nella forma di pensare dell’uomo. L’eredità storica ricevuta dagli stati ante-riori della civiltà e l’adattamento alle nuove condizioni della vita, si adeguano a questa funzione del subconscio. Il subcon-scio modella l’individuo, lo integra, lo trasforma. Gli dà l’ordi-namento che riceve dal mondo e che l’individuo adotta. Tutte le concezioni artistiche sono dovute alla funzione del subcon-scio. L’arte plastica si è sviluppata in base a forme della na-tura. Le manifestazioni del subconscio si sono adattate total-mente a esse, data la concezione idealistica dell’esistenza. La coscienza materialistica, vale a dire la necessità di cose chia-ramente paragonabili, vuole che le forme d’arte sorgano diret-tamente dall’individuo, eliminando qualsiasi adattamento alle forme naturali. Un’arte basata su forme create dal subconscio, equilibrate dalla ragione, costituisce un’espressione veritiera dell’essere e una sintesi del momento storico. La posizione degli artisti razionalisti è falsa. Nel loro sforzo di anteporre la ragione e negare la funzione del subconscio, ottengono soltan-to che la sua presenza sia meno visibile. In ognuna delle loro opere notiamo che tale processo è reale. La ragione non crea. Nel creare le forme, la sua funzione resta subordinata a quella del subconscio. In tutte le sue attività l’uomo opera con tutto l’insieme delle sue facoltà. Il loro libero sviluppo è condizione fondamentale nell’atto creativo e nell’interpretazione dell’arte nuova. L’analisi e la sintesi, la meditazione e la spontaneità, la costruzione e la sensazione sono valori che concorrono nel-la sua integrazione in unità funzionale unica. Il suo sviluppo nell’esperienza è l’unica strada che conduce al manifestarsi completo dell’essere. La società abolisce la separazione tra le sue forze e le integra in una sola forza maggiore. La scienza moderna si basa sull’unificazione progressiva dei suoi elemen-ti. L’umanità integra i propri valori e le sue conoscenze. È un movimento storicamente affermato da vari secoli di sviluppo. Da tale nuovo stato di coscienza nasce un’arte integrale, nella quale l’essere funziona e si manifesta nella sua totalità. Dopo millenni di sviluppo artistico analitico, arriva il momento della sintesi. Prima la separazione era necessaria. Oggi costituisce una disintegrazione dell’unità concepita.

-Concepiamo la sintesi come una somma di elementi fisici: colo-re, suono, movimento, tempo, spazio, integrati in un’unità psico-fisica. Colore, l’elemento dello spazio, suono, l’elemento del tempo e del moto che si sviluppa nel tempo e nello spazio, sono le forme fondamentali dell’arte nuova, che contiene le quattro dimensione dell’esistenza. Tempo e spazio. L’arte nuova richiede l’applica-zione di tutte le energie dell’uomo, nella creazione e nell’inter-pretazione. L’essere si manifesta integralmente, con la pienezza della sua vitalità”.

2PRIMO MANIFESTO SPAZIALE, Milano, dicembre 1947. I firmatari sono 4: Lucio Fontana, Beniamino Joppolo, Giorgio Kaisserlian, Milena Milani. “L’arte è eterna, ma non può essere immortale. È eterna in quanto un suo gesto, come qualunque altro gesto compiuto, non può non con-tinuare a permanere nello spirito dell’uomo come razza perpetuata Così paganesimo, cristianesimo, e tutto quanto è stato dello spirito, sono gesti compiuti ed eterni che permangono e permarranno sempre nello spirito dell’uomo. Ma l’essere eterna non significa per nulla che sia immortale. Anzi essa non è mai immortale. Potrà vivere un anno o millenni, ma l’ora verrà sempre, della sua distruzione mate-riale. Rimarrà eterna come gesto, ma morrà come materia. Ora, noi siamo arrivati alla conclusione che sino ad oggi gli artisti, coscienti o incoscienti, hanno sempre confusi i termini di eternità e di immortalità, cercando di conseguenza per ogni arte la materia più adatta a farla più lungamente perdurare, sono cioè rimasti vittime coscienti o incoscienti della materia, hanno fatto decadere il gesto puro eterno in quello duraturo nella speranza impossibile della immortalità. Noi pensiamo di svincolare l’arte dalla materia, di svincolare il senso dell’eterno dalla preoccupazione dell’immortale. E non ci interessa che un gesto, compiuto, viva un attimo o un millennio, perché siamo veramente convinti che, compiutolo, esso è eterno. Oggi lo spirito umano tende, in una realtà trascendente, a trascendere il particolare per arrivare all’Unito, all’Universale attraverso un atto dello spirito svincolato da ogni materia. Ci rifiutiamo di pensare che scienza ed arte siano due fatti distinti, che cioè i gesti compiuti da una delle due attività possano non appartenere anche all’altra. Gli artisti anti-cipano gesti scientifici, i gesti scientifici provocano sempre gesti artistici. Né radio né televisione possono essere scaturite dallo spirito dell’uomo senza un’urgenza che dalla scienza va all’arte. È impossibile che l’uomo dalla tela, dal bronzo, dal gesso, dalla plastilina non passi alla pura immagine aerea, universale, sospesa, come fu impossibile che dalla grafite non passasse alla tela, al bronzo, al gesso, alla plastilina, senza per nulla negare la validità eterna delle immagini create attraverso grafite, bronzo, tela, gesso, plastilina. Non sarà possibile adattare a queste nuove esigenze immagini già ferme nelle esigenze del passato. Siamo convinti che, dopo questo fatto, nulla verrà distrutto del passato, né mezzi né fini, siamo convinti che si continuerà a dipingere e a scolpire anche attraverso le materie del passato, ma siamo altrettanto convinti che queste materie, dopo questo fatto, saranno affrontate e guardate con altre mani e altri occhi e saranno pervase di sensibilità più affinata”.

3SECONDO MANIFESTO SPAZIALE, Milano, 18 marzo 1948. I firmatari sono 6: Gianni Dova, Lucio Fontana, Beniamino Joppolo, Giorgio Kaisserlian, Milena Milani, Antonino Tullier.(In precedenza, nel mese di febbraio, era stata emanata una Circolare con la quale Renato Birolli, Lucio Fontana, Beniamino Joppolo, Giorgio Kaisserlian, Bruno Munari, Mauro Reggiani, Aligi Sassu, Antonino Tullier e Carlo Cardazzo dichiaravano, quali promotori del Mo-vimento Spazialista, che “Il Movimento ha eletto come sede la Galleria del Naviglio, via Manzoni 45”)

“L’opera d’arte è distrutta dal tempo. Quando, poi, nel rogo finale dell’universo, anche il tempo e lo spazio non esisteranno più, non resterà memoria dei monumenti innalzati dall’uomo, sebbene non un solo capello della sua fronte si sarà perduto. Ma non intendiamo abolire l’arte del passato o fermare la vita: vogliamo che il quadro esca dalla sua cornice e la scultura dalla sua campana di vetro. Un’espressione d’arte aerea di un minuto è come se durasse un millennio, nell’eternità. A tal fine, con le risorse della tecnica moderna, faremo apparire nel cielo:forme artificiali,arcobaleni di meraviglia, scritte luminose.Trasmetteremo, per radiotelevisione, espressioni artistiche di nuovo modello. Se, dapprima, chiuso nelle sue torri, l’artista rappresentò se stesso e il suo stupore e il paesaggio lo vide attraverso i vetri, e, poi, disceso dai castelli nelle città, abbattendo le mura e mescolandosi agli altri uomini vide da vicino gli alberi e gli oggetti, oggi, noi, artisti spaziali, siamo evasi dalle nostre città, abbiamo spezzato il nostro involucro, la nostra corteccia fisica e ci siamo guardati dall’alto, fotografando la Terra dai razzi in volo. Con ciò non esaltiamo il primato della nostra mente su questo mondo, ma vogliamo ricuperare il nostro vero volto, la nostra vera immagine; un mutamento atteso da tutta la creazione, ansiosamente. Lo spirito diffonde la sua luce, nella libertà che ci è stata data”.

4PROPOSTA DI UN REGOLAMENTO MOVIMENTO SPAZIALE, Milano, 2 aprile 1950. I firmatari sono 6: Carlo Cardazzo, Roberto Crippa, Lucio Fontana, Giampiero Giani, Beniamino Joppolo, Milena Milani.

“PremessaNel 1946 Lucio Fontana, residente a Buenos Aires, fonda il MOVIMENTO SPAZIALE, firmando con un gruppo di suoi allievi il primo mani-festo detto MANIFIESTO BLANCO, in lingua spagnola. Rientrando in Italia, nell’aprile del 1947 Fontana invita artisti, letterati ed architetti ad iniziare uno scambio di idee, in riunioni tenute a Milano nello studio degli arch. Rogers, Peressuti e Belgiojoso, alla Galleria del Navi-glio e nello studio di Giampiero Giani. Nel maggio di quello stesso anno viene compilato il 1° Manifesto italiano e nel marzo del 1948 il secondo Manifesto italiano. Il 5 febbraio 1949 Lucio Fontana allestisce per la prima volta in Italia e nel mondo un AMBIENTE SPAZIALE CON FORME SPAZIALI ED ILLUMINAZIONE A LUCE NERA, alla Galleria del Naviglio.La seguente proposta di Regolamento precisa quanto segue:1) Si riconosce Lucio Fontana iniziatore e fondatore del Movimento Spaziale nel mondo.

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2) Il Movimento Spaziale si propone di raggiungere una forma d’arte con mezzi nuovi che la tecnica mette a disposizione degli artisti.3) Aderiscono al Movimento Spaziale artisti e letterati che sentono l’evoluzione del mezzo nell’arte, per il bisogno di esprimersi in un modo diverso da quello usato sino ad oggi.4) La grande rivoluzione degli Spaziali sta nell’evoluzione del mezzo nell’arte.5) Pittori, scultori, letterati aderenti al Movimento Spaziale si chiamano “Artisti Spaziali”.6) Gli Artisti Spaziali hanno a disposizione i mezzi nuovi, come la radio, la televisione, la luce nera, il radar e tutti quei mezzi che l’intel-ligenza umana potrà ancora scoprire.7) L’invenzione concepita dall’Artista Spaziale viene proiettata nello SPAZIO.8) L’Artista Spaziale non impone più allo spettatore un tema figurativo, ma lo pone nella condizione di crearselo da sé, attraverso la sua fantasia e le emozioni che riceve.9) Nell’umanità è in formazione una nuova coscienza, tanto che non occorre più rappresentare un uomo, una casa, o la natura, ma creare con la propria fantasia le sensazioni spaziali”.

Il documento, dopo le firme, si concludeva con questa nota: “La presente proposta sarà distribuita a tutti gli Artisti Spaziali che attual-mente fanno parte del Movimento.”

5MANIFESTO TECNICO DELLO SPAZIALISMO, Milano, 27-29 settembre 1951.Letto da Lucio Fontana al I Congresso Internazionale sulla Proporzione delle Arti “De Divina et humana Proportione”, IX Triennale di Milano.

“Tutte le cose sorgono per necessità e valorizzano le esigenze del proprio tempo. Le trasformazioni dei mezzi materiali della vita determi-nano gli stati d’animo dell’uomo attraverso la storia. Si trasforma il sistema che dirige le civilizzazioni dalle sue origini. Progressivamente quel sistema che si oppone ad altro sistema già accettato, si sostituisce ad esso nella sua essenza ed in tutte le sue forme. Si trasformano le condizioni della vita e della società e di ogni individuo. In tale progressione l’uomo tende a vivere sulla base di una organizzazione integrale del lavoro. Le scoperte della scienza gravitano su ogni organizzazione della vita. La scoperta di nuove forze fisiche, il dominio della materia e dello spazio impongono gradualmente all’uomo condizioni che non sono mai esistite nella sua precedente storia. L’ap-plicazione di queste scoperte in tutte le forme della vita crea una trasformazione sostanziale del pensiero. Il cartone dipinto, la pietra eretta non hanno più senso; le plastiche consistevano in rappresentazioni ideali di forme conosciute ed immagini alle quali idealmente si attribuivano realtà. Il materialismo stabilito in tutte le coscienze esige un’arte lontana dalla rappresentazione che oggi costituirebbe una farsa. Gli uomini di questo secolo, forgiati a questo materialismo, sono rimasti insensibili alla rappresentazione delle forme conosciute ed alle narrazioni di esperienze costantemente ripetute. Si concepì l’astrazione alla quale siamo arrivati progressivamente attraverso le deformazioni. Però questo nuovo periodo non risponde alle esigenze dell’uomo attuale. È necessario quindi un cambio nell’essenza e nella forma. È necessaria la superazione della pittura, della scultura, della poesia. Si esige ora un’arte basata sulla necessità di questa nuova visione. Il barocco ci ha diretti in questo senso, lo rappresenta come grandiosità ancora non superata ove si unisce alla plastica la nozione del tempo, le figure pare abbandonino il piano e continuino nello spazio i movimenti rappresentati. Questa concezione fu la conseguenza dell’idea dell’esistenza che si formava nell’uomo, la fisica di quell’epoca rivela per la prima volta la natura della dinamica, si determina che il movimento è una condizione immanente alla materia come principio della comprensione dell’universo. Arrivati a questo punto dell’evoluzione la necessità del movimento è tanto importante da non essere più raggiungibile dalle arti plastiche ed allora quella evoluzione è continuata dalla musica e le arti entrano nel neo-classicismo, pericoloso pantano della storia dell’arte. Conquistato il tempo, la necessità del movimento si manifesta pienamente. Gli impressionisti sacrificano il disegno della composizione al colore-luce. Nel futuri-smo sono eliminati alcuni elementi, altri perdono la loro importanza restando subordinati alla sensazione. Il futurismo adotta il movimen-to come principio ed unico fine. Lo sviluppo di una bottiglia nello spazio, forme uniche della continuità dello spazio iniziano la sola e vera grande evoluzione dell’arte contemporanea (dinamismo plastico): gli spaziali vanno al di là di questa idea: né pittura né scultura “forme, colore, suono attraverso gli spazi”. Coscienti od incoscienti in questa ricerca, gli artisti non avrebbero potuto raggiungere la finalità senza poter disporre di nuovi mezzi tecnici necessari e di nuove materie. Ciò giustifica l’evoluzione del mezzo nell’arte. Il trionfo del fotogram-ma, ad esempio, è una testimonianza definitiva per l’indirizzo preso dallo spirito verso il dinamico. Plaudendo a questa trasformazione nella natura dell’uomo, abbandoniamo la pratica delle forme di arte conosciuta ed affrontiamo lo sviluppo di un’arte basata nell’unità di tempo e dello spazio. L’esistenza, la natura, la materia sono una perfetta unità e si sviluppano nel tempo e nello spazio. Il movimento, la proprietà di evoluzione e di sviluppo, è la condizione base della materia; questa esiste ormai in movimento e non in altra forma, il suo sviluppo è eterno, il colore ed il suono sono i fenomeni attraverso il cui sviluppo simultaneo s’integra la nuova arte. Il subcosciente, dove si annidano tutte le immagini, che percepisce l’intendimento, adotta l’essenza e le forme di queste immagini, accetta le nozioni che informano la natura dell’uomo. Il subcosciente plasma l’individuo, lo completa e lo trasforma, gli dà l’indirizzo che riceve dal mondo e che l’individuo di volta in volta adotta. La società tende a sopprimere la separazione fra le due forze per riunirle in una sola forma maggiore, la scienza moderna si base sull’unificazione progressiva fra i suoi elementi. Da questo nuovo stato della coscienza sorge un’arte integrale nella quale l’essere funziona e si manifesta nella sua totalità. Passati vari millenni del suo sviluppo artistico analitico, arriva il momento della sintesi. Prima la separazione fu necessaria, oggi costituisce una disintegrazione dell’unità concepita. Concepiamo la sintesi come una somma di elementi fisici: colore, suono, movimento, spazio, integrati in una unità ideale e materiale. Colore, l’elemento dello spazio, suono, l’elemento del tempo; ed il movimento che si sviluppa nel tempo e nello spazio, sono le forme fondamentali dell’arte nuova che contiene le quattro dimensioni dell’esistenza. Questi sarebbero i concetti teorici dell’arte spaziale; brevemente esporrò la parte tecnica e la sua possibilità di sviluppo, che contiene le quattro dimensioni dell’esistenza.

L’architettura è volume, base, altezza, profondità, contenute nello spazio, la 4a dimensione ideale dell’architettura è l’arte.La scultura è volume, base, altezza, profondità.La pittura è descrizione.Il cemento armato (il mezzo) rivoluziona gli stili e la statica dell’architettura moderna. Allo stile decorativo subentrano ritmi e volumi. Alla statica, la libertà di costruire indipendentemente dalle leggi di gravità (ho visto un progetto di casa in forma d’uovo, di un’altra buttata su un prato infischiandosene della divina proporzione). A questa nuova architettura un’arte basata su tecniche e mezzi nuovi; Arte Spaziale, per ora, neon, luce di Wood, televisione, la 4a dimensione ideale dell’architettura. Permettetemi di fare delle fantasie sulle città del futuro, come sono rimaste fantasie le città sole, luce: la conquista degli spazi o l’atomica, suggeriscono all’uomo di protegger-si. Già si costruiscono fabbriche sotterranee; nasceranno centri che potrebbero essere un insieme di cellule, l’uomo finalmente finirà l’intromissione alle bellezze della natura. Si parla in arte di 4a dimensione, di spazio, di arte spaziale; di tutto questo si hanno concetti vaghi o errati. Un sasso bucato, un elemento verso il cielo, una spirale, sono la conquista illusoria dello spazio, sono forme contenute nello spazio nelle loro dimensioni, meno una. La Torre di Babele è un esempio antichissimo della pretesa dell’uomo per il dominio dello spazio. La vera conquista dello spazio fatta dall’uomo, è il distacco dalla terra, dalla linea dell’orizzonte che per millenni fu la base della sua estetica e proporzione. Nasce così la 4a dimensione, il volume è ora veramente contenuto nello spazio in tutte le sue dimensioni. La prima forma spaziale costruita dall’uomo è l’aerostato. Col dominio dello spazio, l’uomo costruisce la prima architettura dell’Era Spaziale, l’aeroplano. A queste architetture spaziali in movimento trasmetteranno le nuove fantasie dell’arte. Si va formando una nuova estetica, forme luminose attraverso gli spazi. Movimento, colore, tempo e spazio i concetti della nuova arte. Nel subcosciente dell’uomo della strada una nuova concezione della vita; i creatori iniziano lentamente ma inesorabilmente la conquista dell’uomo della strada. L’opera d’arte non è eterna, nel tempo esiste l’uomo e la sua creazione, finito l’uomo continua l’infinito”.

6MANIFESTO DELL’ARTE SPAZIALE (Quarto Manifesto Spaziale), Milano, 26 novembre 1951.I firmatari sono 12: Anton Giulio Ambrosini, Giancarlo Carozzi, Roberto Crippa, Mario Deluigi, Gianni Dova, Lucio Fontana, Virgilio Guidi, Beniamino Joppolo, Milena Milani, Berto Morucchio, Cesare Peverelli, Vinicio Vianello.

“Dopo cinque anni da quando è stato steso il primo manifesto sull’arte spaziale molti ‘fatti’ sono avvenuti nel campo delle arti. Non staremo a esaminarli uno per uno ma un ‘fatto’ preciso possiamo registrare: il crollo di quelle correnti che volevano continuare o a ri-manere chiuse entro la morsa della ‘realtà contingente e terrestre in tutti i sensi’ o a rinnegare ogni realtà evadendo in un fantasticare astratto ormai divenuto sterile, vuota e disperata astruseria. Questi cinque anni hanno orientato gli artisti esattamente nel nostro senso: considerare realtà quegli spazi, quella visione della materia universale, di cui scienza, filosofia, arte in sede di conoscenza e di intuizione hanno nutrito lo spirito dell’uomo. Ed abbiamo assistito a serie di manifestazioni che si sono impegnate ad aggredire la nuova visione del creato nel micros immerso negli spazi, cercando di rappresentare figurativamente quell’energia, oggi dimostrata ‘stretta materia’ e quegli spazi visti come ‘materia plastica’. Riaffermiamo ora la priorità dell’arte come forza di intuizione del creato e procediamo sulla stessa strada per intuire con le opere i punti dello spirito a cui la conoscenza giungerà”.

7MANIFESTO DEL MOVIMENTO SPAZIALE PER LA TELEVISIONE, Milano, 17 maggio 1952 (VI Manifesto spaziale). I firmatari, questa volta, sono 17: Anton Giulio Ambrosini, Alberto Burri, Roberto Crippa, Mario Deluigi, Bruno De Toffoli, E. Donati, Gian-ni Dova, Lucio Fontana, Giancarozzi (Giancarlo Carozzi), Virgilio Guidi, Beniamino Joppolo, G. La Regina, Milena Milani, Berto Morucchio, Cesare Peverelli, Tancredi, Vinicio Vianello.

“Noi spaziali trasmettiamo, per la prima volta nel mondo, attraverso la televisione, le nostre nuove forme d’arte, basate sui concetti dello spazio, visto sotto un duplice aspetto:il primo, quello degli spazi, una volta considerati misteriosi ed ormai noti e sondati, e quindi da noi usati come materia plastica;il secondo, quello degli spazi ancora ignoti nel cosmo, che vogliamo affrontare come dati di intuizione e di mistero, dati tipici dell’arte come divinazione.La televisione è per noi un mezzo che attendevamo come integrativo dei nostri concetti. Siamo lieti che dall’Italia venga trasmessa que-sta nostra manifestazione spaziale, destinata a rinnovare i campi dell’arte. È vero che l’arte è eterna, ma fu sempre legata alla materia, mentre noi vogliamo che essa ne sia svincolata, e che attraverso lo spazio possa durare un millennio, anche nella trasmissione di un minuto.Le nostre espressioni artistiche moltiplicano all’infinito, in infinite dimensioni, le linee d’orizzonte; esse ricercano una estetica per cui il quadro non è più quadro, la scultura non è più scultura, la pagina scritta esce dalla sua forma tipografica. Noi spaziali ci sentiamo gli artisti di oggi, poiché le conquiste dalla tecnica sono ormai a servizio dell’arte che noi professiamo”.

8 LO SPAZIALISMO E LA PITTURA ITALIANA NEL XX SECOLO, pubblicato su volantino a Venezia nel settembre 1953 dal critico-filosofo-pittore Anton Giulio Ambrosini, in occasione della Mostra Spaziale al Ridotto di Ca’ Giustinian. Le adesioni arrivano dai 15 artisti che partecipano all’esposizione: Edmondo Bacci, Giuseppe Capogrossi, Roberto Crippa, Mario Deluigi, Bruno De Toffoli, Gianni Dova, E. Donati, Lucio Fontana, Virgilio Guidi, Sebastian Matta, Gino Morandis, Cesare Peverelli, Serpan, Tan-credi e Vinicio Vinello (7 sono i veneziani)

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“Chi pensi, seppur sommariamente, alla storia della pittura italiana di questa prima metà di secolo, non potrà non trovare, fin dagli annunci del ’900, la duplice istanza: e d’un aggiornamento culturale internazionale, e di ritrovare i ‘fondamenti espressivi’ d’un discorso figurativo. Vedrà, così, nel clima acceso dalle riforme francesi, l’iconoclastia futurista, che non dà requie a niente e a nessuno, accom-pagnarsi con un linguaggio che, più che un’Arte, vuol essere anche e sopratutto (sic) una filosofia ed una totale rivoluzione. Ma nono-stante la forza di Boccioni, il futurismo non produce sufficienti opere quanto provoca un risveglio nei più preparati, gettando un ponte al cubismo francese e quindi alla cultura internazionale. Qui ritorna, con una violenza forse mai nota la funzione sociale di codesta pittura d’avanguardia, per il contrasto vivo ch’essa stabilisce tra l’Arte e il pubblico: il dialogo è litigioso ma benefico.Sennonché la parabola della nazione italiana aveva iniziato un moto equivoco, in molti spiriti una ambizione di falsa storia fermentava, e, tipico moto di restaurazione, al chiudersi della Grande Guerra, ecco il Novecento: restaurator temporis acti. Qui batte la seconda istanza fondamentale predetta, ma negandosi la vitalità dei futuristi, si chiede aiuto al museo e tornano gli archetipi dei prerinascimentali a garantire la nascita dei nuovi capolavori.Il moto, tuttavia, per la serietà dei partecipanti, è impegnativo, ed in questa nuova accademia molte possibilità spirituali e tecniche vengono saggiate, finché avviene lo scioglimento dai vincoli e la ricerca dei migliori di rinverginarsi nell’esperienza.Parigi, però, ‘lavora’ anche l’Italia: non solo gli isolati pellegrini riportano moduli ed insegnamenti, ma i gruppi e le piccole sette tentano con infinite speranze modeste rivoluzioni casalinghe e si ricanta, ahimè!, il refrain internazionale ‘oh, van-Gogh, oh, Picasso!’.‘CORRENTE’ si presenta appunto in tal senso, come tentata sutura tra cultura e forma, ma il suo effetto in sostanza è paesano e diviene una strana reliquia della nostra storia, quest’accademia giacobina sorta a rivoluzione finita!Più accorti gli ASTRATTISTI, primo l’indimenticabile Attanasio Soldati, circoscrivendo il campo delle indagini, costringono la fantasia alla disciplina d’una ritmica elementare ed in ciò forse è il loro pregio maggiore: pregio educativo più che estetico, direi. Così passano grigi i giorni dell’anonimo aggiornamento internazionale e sempre qualcuno grida alla scoperta della nuova ‘pietra filosofale’ che sanerà magicamente l’Are italiana.Gruppi e sottogruppi, programmi e maledizioni fioriscono come funghi. Ma in sostanza il cerchio è chiuso: il quadro rimaneva quadro, l’ottocento sotto sotto non era affatto morto. Non era più una questione d’aggiornamento tutti ormai erano aggiornati, né d’un ripensa-mento degli antichi, perché tutti più o meno li avevano ripensati, era da rompere una mentalità con le armi che tutti avevano forgiato.In questo senso hanno iniziato a lavorare gli SPAZIALI, dopo e oltre le suggestive parole dei vari Manifesti del Movimento.Occorreva superare l’Astrattismo, per i limiti in esso impliciti di decorativismo ormai inutile e stanco; i vari modi di Naturalismo, eter-namente vincolante all’imitazione ed alla sfiatata passionalità romantica e bisognava ancora vincere le poetiche, le regole come tali, si chiamassero cubismo o futurismo, astrattismo o neoplasticismo: la libera fantasia doveva sposare la contemporaneità, senza mortifica-zioni e pregiudizi.Lo SPAZIALISMO, ciò ha fatto perché porta nel suo stesso nome un’enorme garanzia di libertà, pieno com’è di molteplici significati e questi stessi si moltiplico e rinnovano di giorno in giorno nell’opera e nel pensiero dei molti SPAZIALI.Per lo Spazialismo ogni contenuto è possibile, purché lo si riviva nella lirica consapevolezza del nuovo Pensiero che ch’è la vita nostra contemporanea.In questo pensiero i frutti innumerevoli e variopinti della scienza sono cibo comune, nel poetico ripensamento dello Spaziale che trova la via sentendosi nella verità perché immerso nel Tempo ed impegnato a dire i nuovi viventi significati dello SPAZIO.Lo SPAZIALISMO pertanto accetta, anzi studia l’uso di nuovi mezzi che più aderiscono alla tecnica contemporanea, e crede nella materia-lità del ‘mezzo’ solo perché è un modo esplicito a tutti, sicché in tal maniera l’Arte si fa altamente educativa e socialmente progressiva.Il quadro, vinte le ottocentesche mortificanti chiusure, si ricompone per magistero di fantasia, come un’organica e funzionalissima ar-chitettura ed è infatti o tenta almeno di essere, dopo un’attesa di secoli, pittura che può dialogare senza equivoco con le architetture che rifanno la nostra città e la nostra vita. Antonio Giulo Ambrosini

Stampato in occasione della mostra tenuta a Venezia nelle sale del Ridotto, nel Settembre del 1953.Espongono: Bacci, Capograossi, Crippa, Deluigi, De Toffoli, Dova, Donati, Fontana, Guidi, Matta, Morandi, Peverellli, Serpan, Tancredi, Vinicio.

Il ‘Movimento Spaziale’ ha sede presso la GALLERIA DEL NAVIGLIO di MILANO, via Manzoni, 5”.

9 SPAZIALI alla XXIX BIENNALE di VENEZIA – VIII Manifesto dello SPAZIALISMO, pubblicato in occasione della partecipazione alla Biennale di Venezia del 1958 di Edmondo Bacci, Roberto Crippa, Bruno De Toffoli, Lucio Fontana, Gino Morandi (sic), Emilio Scana-vino e della mostra di Giuseppe Capogrossi alla Galleria del Cavallino di Venezia. Firmatari Giampiero Giani, Beniamino Joppolo, Milena Milani, Toni Toniato, Antonino Tullier.

1. È crollato il muro che circondava l’uomo. Prima dipingevano l’involucro, i contorni dell’uomo, la via, la città e il mondo. Per millenni, dall’età della pietra, dipinsero e scolpirono le prossimità dell’uomo, l’uomo come pretesto di esteriorità.2. L’orizzonte si è spostato all’infinito. La rivoluzione artistica operata dai pittori spaziali, in questi ultimi dieci anni, ha fornito un lascia-passare agli uomini per penetrare dalla settima città nella prima.3. Sono stati aperti i cancelli sul panorama dell’universo, è stato offerto lo splendore della luce iniziale. Prima l’artista si comportava come creatore del colore, mentre ne era posseduto. Il linguaggio degli spaziali ci consegna l’essere trasparente delle cose, in modo diretto, definitivo.

4. Le immagini trovate non sono più immaginazioni e l’artista, per la prima volta, non si delega più in una cosa straniera.5. Una “generazione di mezzo” ha fallito al suo scopo e ha dovuto aggiornarsi sui nostri testi. La critica ha dovuto fare lo stesso.6. I giovani invece guardano allo SPAZIALISMO come all’unico movimento che li confermi nelle loro aspirazioni.7. La seconda metà del XX secolo porta l’impronta dello SPAZIALISMO.

GIAMPIERO GIANI – BENIAMINO JOPPOLO – MILENA MILANITONI TONIATO – ANTONINO TULLIER

(Galleria del Naviglio – Milano, 5 giugno 1958)

Degli “ARTISTI SPAZIALI VENEZIANI”, quindi (e conservo questa dicitura, al posto di quella usata più correntemente, di “Artisti Spazia-listi”, in quanto espressamente specificata al punto 5 del documento 4, qui sopra trascritto):

Edmondo BACCI (Venezia, 1913-1978)..........................................................aderisce all’iniziativa di cui al doc. 8 (1953) Mario DELUIGI (Treviso 1901-Venezia 1978.........firma i doc. 6 (1951), 7 (1952) e aderisce all’iniziativa di cui al doc. 8 (1953)Bruno De TOFFOLI (Treviso 1913-Venezia 1978)...........firma il doc. 7 (1952) e aderisce all’iniziativa di cui al doc. 8 (1953) Ennio FINZI (Venezia 1931)...........................................frequenta Deluigi, Guidi, Ambrosini, Fontana ma non è firmatarioLuciano GASPARI (Venezia 1913-2007).............................frequenta l’ambiente, espone da Spazialista ma non è firmatarioBruna GASPARINI (Mantova 1913-Venezia 1998)........................................................moglie di Gaspari, non è firmatariaVirgilio GUIDI (Roma 1891-Venezia 1984)........firma i doc. 6 (1951), 7 (1952) e aderisce all’iniziativa di cui al doc. 8 (1953)Riccardo LICATA (Torino 1929).........................................presente nell’ambiente veneziano dell’epoca ma non è firmatarioGino MORANDIS (Venezia 1915-1994).............espone con gli spazialisti dal ’52, aderisce all’iniziativa di cui al doc. 8 (1953) Saverio RAMPIN (Stra 1930-Venezia 1992)......................................attivo nell’ambito spaziale veneziano, non è firmatario TANCREDI (Parmeggiani) (Feltre 1927-Roma 1964).........firma i doc. 7 (1952) e aderisce all’iniziativa di cui al doc. 8 (1953)Vinicio VIANELLO (Venezia 1923-1999)...........firma i doc. 6 (1951), 7 (1952) e aderisce all’iniziativa di cui al doc. 8 (1953)

A essi si aggiungono i seguenti critici:Antonio Giulio AMBROSINI................................................................................................................firma i doc. 6 e 7Berto MORUCCHIO..........................................................................................................................firma i doc. 6 e 7Toni TONIATO......................................................................................................................................firma il doc. 9

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

(Sono indicati i principali cataloghi di mostre e saggi. Non sono segnalati invece, salvo eccezioni, gli articoli di riviste e quotidiani, pur se

costituiscono la documentazione maggiore.)

PARTE COMUNE

1952

-V. Guidi, Artisti spaziali veneziani, catalogo mostra Galleria del Cavallino, Venezia (lì fa l’unica comparsa nella compagine degli spaziali

lo scultore palermitano-venezianizzato Salvatore Messina, detto Salvatore)

- M. Milani, C. Cardazzo, V. Guidi, B. Joppolo, B. Morucchio, Artisti Spaziali, catalogo mostra — definita “Nazionale” — Galleria Casanova,

Trieste

- C. Cardazzo, premessa catalogo “Premio Gianni”, offerto dall’omonima Società chimica milanese

1953

-C. Cardazzo, Artisti Spaziali, catalogo mostra Galleria del Cavallino, Venezia

-A.G. Ambrosini, ibid.

-C. Cardazzo, Artisti Spaziali, catalogo mostra Galleria Calibano, Vicenza (organizzata dal NaviglioMilano)

1956

-C. Cardazzo, Spazialismo, catalogo mostra Galleria del Naviglio, Milano

-G. Giani, Spazialismo. Origini e sviluppi di una tendenza artistica. Edizioni della Conchiglia, Milano

1957

AA.VV., Between Space and Earth, Trends in Contemporary Italian Art, catalogo mostra Marlborough Gallery, Londra

1962

-M. Calvesi, L’Informale in Italia, in Palatina, VI, n. 23/24, p.85

1972

-M. Milani, Luce e Spazio, catalogo mostra spazialista Studio d’Arte Moderna, Roma

1975

-E. Crispolti, Lucio Fontana, Catalogo Generale, Ed. Electa, Milano

1981

-G. Dorfles, Ultime tendenze dell’arte d’oggi, Milano

1983

-F. Alinovi, in Informale in Italia, catalogo esposizione Galleria Civica d’Arte Moderna, Milano

1984

-R. Barilli, L’arte contemporanea, Milano

1986

-G. Di Genova, Storia dell’arte italiana del ’900, Bologna

1987

-M. Milani, Carlo Cardazzo, Fontana et le spatialisme, in Lucio Fontana, catalogo mostra Centre Georges Pompidou, Parigi

-AA.VV., Fontana e lo Spazialismo, catalogo esposizione Villa Malpensata, Lugano

-T. Toniato (introduzione e Ricerche parallele), in Spazialismo a Venezia, catalogo mostra Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia,

Nuove edizioni Gabriele Mazzotta, Milano (testi di L. Perissinotto, G. Alessandri, D. Marangon, F. Bazzotto, B. Rosada)

1988

-G. Cortenova, F. Menna (a cura di…), catalogo mostra Astratta, Palazzo Forti, Verona

1992

-E. Crispolti, La pittura del primo Novecento a Roma (1900-1945), in La pittura in Italia. Il Novecento, tomo I, Milano, pp. 457-566

-G. Dal Canton, ibid.

1994

-D. Marangon, Spazialismo: Protagonisti, Idee, Iniziative, (prefazione di Decio Gioseffi), Quinto di Treviso

-G. Di Genova, Storia dell’arte italiana del ’900. Generazione Maestri storici, tomo II, Bologna

1995

-G. Di Genova, Storia dell’arte italiana del ’900. Generazione Maestri storici, tomo III, Bologna

1996

-L.M. Barbero (a cura di…), catalogo mostra Spazialismo Arte Astratta, Venezia 1950-1960, Basilica Palladiana, Vicenza, edizioni Il

Cardo, Venezia

-T. Toniato, catalogo mostra Spazialismo a Venezia, Galleria Opera Bevilacqua La Masa, Venezia

1996-1997

-R. Barovier Mentasti, Fermenti spaziali a Murano, catalogo mostra Spazialismo. Arte astratta. Venezia, 1950-1960, Basilica Palladiana,

Vicenza, Il Cardo editore, Venezia

1999

-L.M. Barbero (a cura di…), catalogo mostra Emblemi d’Arte da Boccioni a Tancredi. Cent’anni della Fondazione Bevilacqua La Masa,

1899-1999, Galleria Opera Bevilacqua La Masa, Electa Editrice, Milano

-M.G. Messina, D. Marangon (a cura di…), catalogo mostra Venezia 1950-’59. Il rinnovamento della pittura in Italia, Ferrara, edizioni

Ferrara Arte

2004

-G. Granzotto, D. Marangon, E. Santese (a cura di…), catalogo mostra Da Venezia alla Venezia Giulia. Gli anni dello spazialismo e della

ricerca friulana e giuliana, Pordenone, Villa Galvani (con testi di G. Bianchi, S. Bolzonello, L. Conti, G. Ganzer, E. Pouchard), Matteo

Editore, Dosson di Casier (TV)

2006

-Enrico Crispolti, Lucio Fontana - Catalogo ragionato di sculture, dipinti, ambientazioni (2 vol.). ed. Skira, Milano

VINICIO VIANELLO

1950

-F. Passoni, V. Guidi, U. Fasolo, Vinicio Vianello, catalogo personale Galleria Barbaroux, Milano

1951

-I vetri soffiato bianco parlano di Vinicio Vianello, in “Le vie d’Italia”, ed. Touring Club Italiano, Milano

1952

-B. Joppolo, catalogo mostra Arte spaziale, galleria del Naviglio, Milano

1953

-The atom age even in vases, in “The Australian Magazine” n. 19, Sydney

-A.G. Ambrosini, manifesto mostra Artisti Spaziali, Sala degli Specchi, Palazzo Giustinian, Venezia

1954

-Glass revival, Venice regains bygone glory, in “Life” agosto, New York

1955

-Designer’s choice, contemporary European glass, in “Craft Horizons, vol. XV n.2, New York

140 141

-L., Vetri e dipinti di Vianello, in “Domus” n. 309, Milano

1956

-El trasparente Vianello, in “R. de R.”, Mexico D.F.

-U. Apollonio, G. Marchiori, catalogo personale Galleria Il Cavallino, Venezia

1957

-Catalogo personale Istituto Italiano di Cultura, Köln

1958

-Fathwinter, personale galleria Der Malkasten, Düsseldorf, in “Der Malkasten” n.2

-G. Marchiori,catalogo personale galleria Montenapoleone, Milano

-G. Marchiori, catalogo personale alla Saletta, Galleria del libro, Brescia

-Les firmes des Prix Compasso d’Oro, in Catalogue officiel de la section italienne de l’Exposition universelle et internationale de Bruxelles,

Bruxelles

1959

-Catalogo personale galleria Stadtisches Museum, Möuchengladbach

-Catalogo personale Ben Gallery, New York

1963

-S. Messinis, catalogo personale Vinicio– Collagees, Galerie Wilm Falazik, Bochum

1964

-Catalogo personale Moderna Galerija, Rijeka

1970

-G.C. Argan (a cura di …), Vinicio Vianello – Creazioni e produzioni esclusive, Stampa Fantonigrafica, Venezia

1982

-R.B. Mentasti, A. Dorigato, A. Gasparetto, T. Toniato (a cura di…), Mille anni di arte del Veneto a Venezia, Venezia

1986

-G.C. Argan, L’idea di vetro, catalogo personale Galleria d’Arte Mestre

1989

-D. Marangon e T. Toniato, catalogo mostra Spazialismo, Civica Galleria d’Arte Moderna, Palazzo Todeschini, Desenzano del Garda

(Brescia)

1993

-L. Pagnucco Salvemini, Intervista a Vinicio Vianello, in “Arte In” n. 24, Milano

1996

-AA.VV., catalogo collettiva Spazialismo. Arte astratta 1950-1960, Basilica palladiana, Vicenza (in copertina, Rocket 1951 di Vianello)

2004

-L.M. Barbero (a cura di …), Vinicio Vianello. Pittura, vetro e design, testi di L.M. Barbero e Alberto Bassi, Manlio Brusatin, Toni Follina,

Sabina Tutone, Skira editore, M ilano

Testi di Vinicio Vianello

1962

-V. Vianello, opuscolo informativo L’aiuto che può dare la fotografia al critico nell’indagine del mondo delle forme, per la conferenza

Rapporti tra la Grafica, l’Arte e la Fotografia, Congresso Internazionale “Il libro, il settimanale e le fotografie”, Porto San Giorgio

1977

-V. Vianello, Vinicio Vianello. Creations and exclusive works, Mestre

1978

-V. Vianello, Intervento al Convegno di studi Sep/Pollution ’78, Fiere di Padova

-V. Vianello, Presentazione Atti del Convegno Internazionale dei Servizi Pubblici, delle tecnologie urbane e dell’inquinamento, Padova,

Quartiere Fiera

1982

-V. Vianello, Presentazione Atti della conferenza internazionale su energia e biomasse, Fondazione G. Cini, Venezia

1983

-V. Vianello, Presentazione Atti della conferenza Architectural problema connected with installing a solar energy heating in a villa in the

Veneto Region, Venezia

-V. Vianello, Presentazione della pubblicazione Microbiologia delle biomasse, vol. 2, Venezia

-V. Vianello, Presentazione della pubblicazione Fanghi di risulta, vol. 3, Venezia

-V. Vianello, Presentazione della pubblicazione Microbiologia delle biomasse, vol. 2, Venezia

BRUNA GASPARINI

1946

-U. Fasolo, Mostra collettiva di pittrici, catalogo mostra Botteghe d’arte, Venezia, a cura dell’UDI (Unione Donne Italiane)

1947

-Mostra dell’arte femminile, catalogo collettiva Casa della Cultura, Milano

1955

-Pitture e disegni di Bruna Gasparini, catalogo personale Galleria della Fondazione Bevilacqua la Masa, Venezia

1956

-Bruna Gasparini, catalogo personale Galleria Il Camino, Roma

-G. Giani, Spazialismo, origini e sviluppi di una tendenza artistica, Milano

1958

-V. Guidi, catalogo personale Galleria Montenapoleone, Milano

-Pitture e disegni di Bruna Gasparini, catalogo personale Galleria della Fondazione Bevilacqua la Masa, Venezia

1958

-V. Guidi, Bruna Gasparini, catalogo personale Galleria Montenapoleone, Milano

1959

-S. Branzi, Adele Piazza e Bruna Gasparini, catalogo mostra Galleria 3950, Venezia

1960

-Ocho pintores venecianos, catalogo mostra Gran Sala Museo del Prado, Madrid

-G. Marchiori, Campesan, Cossovel, Gasparini, Roma, Spiteris, catalogo mostra Galleria Cassiopea, Torino

-T. Spiteris, Gasparini, catalogo personale Galleria Il Canale, Venezia

1961

-T. Toniato, Gasparini, catalogo personale Galleria Il Traghetto, Venezia

-D. Valeri, G. Kaisserlian, G. Longo, B. Morucchio, M. Tapié, catalogo Primo Premio di Pittura “Giorgio-Poussin”, Villa Revedin Bolasco,

Castelfranco Veneto

1962

-H. Galy-Charles, Gasparini, catalogo personale Galleria Il Cancello, Bologna

-B. Morucchio, Gasparini, catalogo personale Galerie L’Entracte, Losanna

-T. Spiteris, Peinture venitienne d’aujourd’hui, catalogo collettiva Galerie Pierre Domec, Parigi

1963

-S. Branzi, Gasparini, catalogo personale Galleria L’Argentario, Trento

-B. Morucchio, Gasparini, catalogo personale Galleria Il Canale, Venezia

1964

-Catalogo XXXII Biennale Internazionale d’Arte, Venezia (sala personale)

1965

-Bruna Gasparini, catalogo personale Galerie Stagehus, Basilea

1966

-S. Branzi, Gasparini, catalogo personale Sala Culturale, Mantova

1968

-P. Fraccalini, Bruna Gasparini, catalogo personale Galleria Puntoquadrato, Bassano del Grappa

1969

-A. Gatto, L’incantatrice incantata, catalogo personale di Bruna Gasparini, Galleria Il Traghetto 2, Venezia

1971

-E. Crispolti, L’informale, Assisi-Roma

1972

-T. Toniato, Le terre di Bruna Gasparini, catalogo personale Galleria Il Traghetto, Venezia

1973

-F. Smeraldi, Bruna Gasparini, catalogo personale Galleria Bon à Tirer, Milano

1975

-A. Gatto, Tre inediti - Bruna Gasparini, Frammenti, catalogo personale Galleria Rizzardi, Milano

1980

-Gli artisti per la scuola - Gasparini, catalogo personale Centro Civico, Mestre

1981

-V. Vivian, Creatività femminile nell’arte, oggi, catalogo mostra Villa Contarini dei Leoni, Mira (VE)

1982

-G. Dal Canton, Arte a Venezia: 1946-1956, in Interpretazioni veneziane. Studi di storia dell’arte in onore di Michelangelo Muraro, a

142 143

cura di D. Rosand, Venezia

1983

-L. Fraccalini, Bruna Gasparini, catalogo personale Casa del Rigoletto, Mantova

-R. Barilli, F. Solmi, L’informale in Italia, catalogo mostra tematica Galleria d’Arte Moderna, Bologna

1984

-G.M. Erbesato, catalogo mostra Disegno mantovano del ’900, palazzo Tè, Mantova

-E. Di Martino, Bruna Gasparini, catalogo personale Galleria del Naviglio, Milano

1986

-G. Mazzariol, Bruna Gasparini, catalogo personale Galleria Il Traghetto, Venezia

-T. Toniato, Bruna Gasparini, catalogo antologica Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Suzzara (MN)

1987

-D. Marangon, Bruna Gasparini, catalogo personale Galleria Cinquetti, Verona

-D. Marangon, Spazialismo: protagonisti, idee, iniziative, Venezia

-T. Toniato, Ricerche parallele, in catalogo mostra Spazialismo a Venezia, Galleria Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (ripetuta a

Ferrara, Palazzo dei Diamanti)

-E. Crispolti, Fontana e lo spazialismo, catalogo mostra Villa Malpensata, Lugano

1989

-T. Pignatti, M. Gemin, F. Pedrocco, L’arte nel mondo, vol. 3, Bergamo

1993

-D. Marangon, Le Venezie, in Pittura italiana contemporanea, parte 2, ed. Electa, Milano

-C. Bertola, Bruna Gasparini, catalogo personale Galleria del Cavallino, Venezia

-L.M. Barbero, Bruna Gasparini, catalogo personale Galleria Sintesi, Treviso

1995

-T. Toniato (a cura di), Modernità allo specchio. Arte a Venezia, 1860-1960, Venezia

1996

-L.M. Barbero, Traccia per una biografia pittorica, catalogo mostra Bruna Gasparini, opere 1955-1995, Casa del Mantegna, Mantova

-S. Carraro, Il percorso poetico di Bruna Gasparini, tesi di laurea, Università Ca’ Foscari, Venezia - Facoltà di Lettere e filosofia, relatore

Assunta Cuozzo

1997

-M. Vallora, Fontana, Einstein e i veneziani. Vicenza, le sorprese della mostra sullo Spazialismo degli anni Cinquanta, La Stampa, 6

gennaio

2008

-R. Margonari, Bruna Gasparini, catalogo personale Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, Gazoldo degli Ippoliti (MN)

SAVERIO RAMPIN

1951

-A. Pizzinato, Saverio Rampin, presentazione prima personale, Galleria Sandri, Venezia

-L. Ferrante, catalogo mostra Opera Bevilacqua La Masa

1956

-V. Guidi, Rampin, catalogo personale Opera Bevilacqua La Masa

-V. Guidi, Rampin, catalogo personale galleria dell’Ariete, Milano

-Catalogo mostra Premio Burano (pubblicata l’opera di Rampin vincitrice del Premio)

1957

-V. Guidi, Saverio Rampin, presentazione mostra Ennio Finzi - Saverio Rampin, Circolo di Cultura, Bologna

-T. Toniato, catalogo personale Galleria Numero, Firenze

-AA.VV, Artistes Vénitiens Contemporains, Musée de la Majorie, Sion (pubblicazione l’opera di Rampin Scontro di natura, 1957)

1960

-V. Guidi, Rampin, catalogo personale Opera Bevilacqua La Masa

-V. Guidi, Saverio Rampin, catalogo personale galleria Pagani del Grattacielo, Milano

-G. Kaisserlian, 11° Bollettino Galleria Pagani del Grattacielo, Milano

1961

-V. Guidi e G. Kaisserlian, Saverio Rampin, catalogo personale galleria il Canale, Venezia

-G.F. Dasì (a cura di…), catalogo Biennale Premio Repubblica di San Marino, Palazzo del Turismo, San Marino

-AA.VV, Peintures et sculptures italiennes Contemporaines, Galerie Alecco Saab, Beyrouth

1963

-V. Guidi e G. Kaisserlian, Rampin, presentazione personale Società di Belle Arti, Genova

-G. Kaisserlian, Rampin, presentazione personale galleria Pagani del Grattacielo, Milano

1964

-V. Guidi e J. Kermoal, catalogo personale galleria Il Canale, Venezia

-L. Budigna (a cura di…), Arte italiana contemporanea, La Ginestra Editrice, Firenze (testi di E. Contini, G. Gigli, L. Vinca Masini, T.

Toniato, Vayatalvárez)

-J. Kermoal, catalogo personale Momenti di natura, galleria Il canale, Venezia

1965

-G. Beringheli, Saverio Rampin, catalogo personale galleria Carlevaro, Genova

1966

-AA.VV., catalogo LIII collettiva Opera Bevilacqua La Masa, Venezia

1967

-AA.VV., catalogo X Premio di Pittura “Mestre”, Mestre

1968

-V. Guidi, Saverio Rampin, catalogo personale galleria Pagani del Grattacielo, Milano

1970

-A. Gatto, Saverio Rampin, catalogo personale galleria Il Traghetto, Venezia

-A. Gatto, Saverio Rampin, catalogo personale galleria Pagani del Grattacielo, Milano

-A. Gatto, Saverio Rampin, catalogo personale galleria Unimedia, Genova

1979

-T. Toniato, Purezza espressiva, catalogo personale galleria Il Traghetto, Venezia

1985

-S. Bagnarol, catalogo personale Circolo Culturale “G. Bozza”, Palazzo Cecchini, Cordovado

-T. Trini, Rampin ascolta Gatto, intervista a Saverio Rampin in Storie e studi, catalogo collettiva Nascita di chimera, Venezia

1995

-F. Rossi, Rampin, antologia critica e testo, Centro Ricerche Scienze Umane, Genova

1999

-G. Tomasutti, Saverio Rampin: il pittore della luce, tesi di laurea, Università Ca’ Foscari, Venezia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di

laurea in Lettere e Filosofia, relatore Prof.ssa Assunta Cozzo, AA 1999-2000

2006

-L.M. Barbero (a cua di…), Saverio Rampin. Catalogo generale delle opere 1945-1991, edizioni Grafiche Aurora, Verona (con testi di

Clara Strobino Pagani, Sabina Tutone)

finito di stampare nel mese di settembre 2008 presso

Grafiche Marini VillorbaGMV Libri

Via Nobel, 4 - 31050 Villorba (Treviso)tel. 0422 918133 - fax 0422 910854

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