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Premio Letterario "Federico Ghibaudo" Primo Classificato

“MUSICA”

di Giulia Pezzi - 4a G

E' successo. Il presentatore ha appena pronunciato il tuo nome e ormai non puoi

più tirarti indietro, dovrai salire sul palco, sederti sul tuo sgabello e iniziare a

suonare. Migliaia di pensieri si affollano nella tua mente e intanto,

macchinalmente, ti sei già seduto lì, nel mezzo del palco di fronte ad una

miriade di occhi desiderosi di sentire. Nella vita di ogni musicista arriva un momento in cui ti trovi davanti allo spartito, incapace di decidere se valga

davvero la pena di intraprendere un viaggio così doloroso e tormentato

attraverso il tuo spirito, navigando sulle dolci acque della musica qua e là

increspate da qualche nota più aspra... se valga davvero la pena di sentire la

musica impossessarsi a poco a poco del tuo silenzio, invadendoti per sempre

come un demone benigno. Ed è questione di un interminabile attimo, le tue

mani scivolano delicatamente sul pianoforte, i tuoi occhi lanciano rapidi sguardi

alle note che si rincorrono altalenanti per il pentagramma formando strane

figure simili a parole scritte dal cuore e non esiste nient'altro. Il tuo universo è

tutto lì, in quell'infinitesimo spazio racchiuso tra te e gli altri, e non puoi tornare

indietro una volta che hai conosciuto quell'emozione che solo la consapevolezza

di essere diventato parte di qualcosa di immenso può darti. Continui a suonare e senti le note scivolarti sull'anima come gocce d'acqua su un vetro bagnato, ad

ogni tasto che spingi la tensione aumenta e quasi non riesci ad aspettare, con la

mente sei già molto più avanti, pregusti il suono di ogni nota, ogni pausa, la

melodia, la perfezione delle proporzioni... è un crescere di emozioni, prima è

solo paura o forse soltanto incertezza e intanto non ti accorgi di quello che ti sta

accadendo, ogni suono lascia in te una traccia indelebile e appena visibile e non

ti puoi opporre, niente potrà fermare questa tua evoluzione inconsapevole verso

una nuova sensibilità, senza rendertene conto è per questo che hai vissuto ed è

per questo che continuerai a vivere. Il tuo brano è quasi giunto al termine, è il

momento del gran finale, dove quello che stai suonando non è più un susseguirsi

armonioso di suoni e silenzi, ma è un miscuglio di sensazioni, note, persone in

un impetuoso turbinio di momenti per quanto piccoli, infiniti. Non vi è più alcuna distinzione tra te e il tuo strumento, nessuno dei due può esistere senza

l'altro, lo sapete bene, ma presto il brano sarà finito e ogni cosa con lui.

Eppure... eppure ti accorgi che non è così, la vera musica è quella che

sopravviverà dentro di te anche una volta che avrai suonato la tua ultima nota, è

quella melodia scaturita da tutte le cicatrici che ogni suono ha lasciato dentro di

te sin dall'inizio. Mancano poche note, anzi, pochissime. Sta per finire tutto e tu

non vuoi, non puoi. Per un attimo hai la tentazione di tornare all'inizio dello

spartito e suonare tutto ancora una volta, ma poi ti fermi, sai che non sarà mai

più lo stesso anche se dovessi rifarlo un milione di volte. Ecco, l'ultima nota.

Oltre quella barriera così esile eppure così forte si nasconde il vuoto di un

silenzio impetuoso, imprevedibile e incoerente. Senti ancora quell'ultimo suono

riecheggiare nella sala, e smorzandosi a poco a poco, quasi volesse resistere contro il suo destino, viene finalmente sopraffatto. Ti alzi dal tuo sgabello e

irrompe il silenzio con la sua spavalderia insolente, fiero di potersi prendere una

rivincita, seppur piccola, sulla bravura con cui hai saputo dare amore ad ogni

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singola nota del tuo spartito, facendo in modo che crescesse e diventasse

qualcosa di incredibilmente forte e delicato. Il silenzio, come una strana

presenza inquietante, si prende gioco dei suoi ascoltatori, illudendoli che

anch'esso sia qualcosa di etereo e sublime come lo è il suono, ma in realtà è soltanto mancanza, è incostante, sgraziato, maleducato. Un attimo dopo esplode

un applauso dalla platea, mentre ti allontani verso le quinte ripensi a quanto ti è

appena accaduto cercando un perché che non troverai e con un'unica certezza:

quell'ultimo suono non è morto inghiottito da un silenzio vorace, ma resiste nel

cuore di ognuno di quelli che ti hanno ascoltato suonare stasera, come un seme

costretto a morire per continuare ad avere vita.

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo" Secondo Classificato

“MUSICA”

di Dacia Dalla Libera - 4a E

Si aprì il sipario.

In sottofondo scorrevano le note amare del Notturno[1]. - la musica esplora l'essere

anche nella sua dimensione tragica-.

Al centro di una stanza inondata di luce bianca stava un Uomo, accasciato accanto alla sua

nera valigia di disillusioni. Figura esile, evanescente, dagli occhi di pece cerchiati dalle

fatiche e dalle sofferenze del mondo. I capelli grigi ricadevano scomposti sulla fronte, solcata

da profonde rughe. Lo sguardo, pietrificato, pareva essere sul punto di spegnersi, nella lotta

contro l'ineluttabile appassire. Gli occhi trasparenti per piangere.

Dalla bocca scaturiva il lamento d'orfano :”Io è un altro!” [2]. Perplessità di chi non trovava una ragione

Era alla ricerca del proprio volto.

Davanti a lui non restava che il nulla. Anche lo spazio era divenuto liquido e disomogeneo,

tutto era avvolto da una densa nebbia.

Sussurro di morte celeste. Il suo corpo cozzava contro il basso soffitto che lo sovrastava, come fosse imprigionato in un

incubo. Chiuso nella scatola di se stesso.

In quel gelido 18 settembre 1946 a Varsavia, l'unico suo desiderio era quello di cancellare,

con un tuffo verso l'ignoto, le sagome scure che abitavano il suo cuore.

Sete di narcosi.

In quella ignominiosa guerra non c'erano stati né vincitori né vinti, solo superstiti.

"Non posso ricordare ogni cosa. Devo essere rimasto privo di conoscenza per la maggior parte del

tempo. Ricordo soltanto il grandioso momento, quando tutti cominciarono a cantare, come se si

fossero messi d'accordo." [3]

Cambio di scena: dissoluzione nel ricordo.

Coro di deportati, Dies Irae [4]. Spettri urlanti fuggivano, travolti dal vento, come rane prima

del temporale. Sullo sfondo vestigia di agitazioni storiche, popolari, nazionaliste, staliniste,

operaie, borghesi. La dissonanza e la consonanza sono metafora della vita, urto delle

contraddizioni. Si udiva il ritmo ossessivo dello scorrere ineffabile della storia, il martellante

perpetuo ripetersi dei medesimi frammenti melodici.

La musica racconta.

L'Uomo, come un funambolo, appeso al filo che separava sogno e realtà.

Attorno a lui era sparsa una manciata di riso, di persone, in cerca della propria identità, in un

mondo in cui era difficile mantenerla. Sembrava che si fossero dati tutti appuntamento.

Nostalgici pittori, mimi, ladruncoli usciti da chiassose osterie, avventurieri del sapere,

cabalisti e negromanti (forse non rimaneva che leggere le proprie mani sperando di scovarvi

tracce di vita..), eccentrici saltimbanchi, fantasisti di se stessi. Tutti spiriti nomadi.

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La musica scioglie l'incomunicabilità.

Frenetico pullulare di creature indisciplinate e deformi in “Notte sul Monte Calvo” [5] Da questa pletorica confusione si levò, subitanea, una melodia.

'E tutto il popolo vide i suoni e i lampi e il suono dello shofar". [6]

La musica sfidò il silenzio. Apollo concesse il suo eterno dono.

“Entrate, entrate, cominciano qui i territori su cui regna l’istantaneo”

Al figlio della frenesia e dell'ombra fu porta la vertigine dell'Assoluto.

“Davanti ai suoi occhi apparvero all'improvviso i segreti dell'Abisso antico - un tetro Oceano

senza limiti, senza confini, senza dimensioni”. [7] L'Infinito fu dunque pensabile.

La musica valicava la limitatezza della realtà.

In quell'angolo dell'universo, sul fondale blu opaco di un cielo dolente, l'Uomo, con un nuovo

sibillino sorriso, carezzava il suo violino. L'Anima vibrava con la sua tensione nervosa. In

quella sonata erano celati i più reconditi desideri ed angosce.

Gli occhi ascoltavano la melodia della Moonlight [8]. Il corpo dell'artista si stemperava nello sfondo, quasi le note avessero invaso la sua figura. Si

muoveva leggero tra l'essere e il non essere.

Ondeggiava come in un acquario, scopriva nuovi mondi

La musica ha un’intima relazione con la vera essenza delle cose.

Ammaliato da questo suono di altre realtà, l'Uomo aprì uno spiraglio della sua finestra verso il

mondo.

Seguì la vibrazione del diapason (tutti ne possiedono uno, benché spesso lo ignorino) che si

ribellava dentro di lui.

Il Giorno svegliò la Notte. Il Mattino [9] irruppe. Apparve al violento sfacelo dell'animo la luce siderale di un idillio.

Nausicaa portava ora conforto a Ulisse.

Accanto all'Uomo, quel corteo di esuli si era tramutato in un sinedrio di folli. Una

processione festosa di uomini che brindavano, in sottofondo i Carmina Burana.[10] Anima e

corpo conciliati armonicamente con la realtà esterna. Avevano tutti accordato il proprio respiro al soffio dell'universo. Erano ora una grande orchestra.

Musica: Prometeo, spirito creatore che, sfuggendo alle convenzioni, fattosi libero, libera il mondo.

I muri del Mistero lentamente si sfaldavano. La materia era smaterializzata, in quel quadro ai

confini della realtà.

L'Uomo saliva le scale della conoscenza.

La musica dipinge anche il non visibile, conserva la distinto pluralità delle cose pure nell'unità dello stato d'animo.

Sinopsie: il re, giallo e il do, rosso, infuocano l’atmosfera con un barbaglio. Polverio di suoni e

colori. Printemps [11]: primavera del cosmo, genesi degli esseri, con crescendi e diminuendi

rigoglioso il tema culmina nella radiosa gioia del rinascere ad una nuova vita. Risveglio

dell'uomo, perso nella sua immensità interiore,

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L'Uomo toccò la sua anima con la punta delle dita.

Riacquistò fiducia nell'esistenza.

Tremando prese in mano la penna d'oca e cominciò a riempire pagine col nero inchiostro.

Dal pianoforte e dalle percussioni si sprigionò intenso il suono. [12]

La nota rimase a mezz'aria, sospesa.

L'Uomo fece l'atto di cominciare a canticchiare - improvvisamente si fece buio e calò il sipario.

“Life’s but a walking shadow". [13]

Note al testo

[11 Ho voluto dare una "colonna sonora" al mio racconto, perché risultasse evidente la

consonanza tra musica e parola, indissolubili nel mio crescere, cercare. In corsivo vengono

talora scritti titoli di brani musicali. Il primo è il Notturno n.2 dell’op.9 n.2:andante di

Chopin.

[2] Frase di Rimbaud

[3] Parole pronunciate da una voce recitante nella composizione orchestrale scritta in stile dodecafonico, op.46 "Un sopravvissuto a Varsavia" di A.Schoenberg, in seguito all'ascolto

della quale ha tratto spunto il mio scritto.

[4] Dies Irae dal solenne Requiem di W.A.Mozart

[5] ”notte su monte calvo" di Mussorgsky

[6] Citazione dall'Esodo 20,18

[7] Da "Paradise Lost" di Milton

[8] op.27 n.2 nei suoi tre poetici movimenti: adagio - allegretto - presto agitato, di Beethoven

[9] "Il Mattino" di Grieg

[10] "Carmina Burana" di Carl Orff

[11] Brano musicale di Debussy

[12] Riferimento al Concerto per Pianoforte e Orchestra n.1 di Bela Bartok

[13] Dal “Macbeth” di Shakespeare atto V scena V

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo" Terzo Classificato

di Cristina Sanvito - 4a D

TEMA E VARIAZIONI

La musica è arte che armonizza i contrari

TEMA

«Il silenzio come Giobbe

con la lebbra della musica.

Silenzio, vengo a guarirti!

(Le mie parole

lasciano rosse macchioline

sul gran corpo scuro).

La musica come Giobbe

Col muschio del silenzio.

Musica, vengo a guarirti!

(Fra una parola

e l'altra

ci sono gocce di silenzio).»

- Garcìa Lorca -

PRIMA VARIAZIONE

Una lieve ebbrezza

percorre a spirale

gli strati più profondi

dell'animo

e il corpo vorrebbe

tuffarsi

fra gli spazi bianchi e

le macchie nere

che un pittore dai sensi

alterati

ha scagliato su un foglio candido.

Staffa incudine e martello

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riproducono atti

di fantasia

di menti dei più disparati

angoli del mondo. La mente percepisce

da infinite direzioni

luci colorate e

vibrazioni.

Il corpo può fluttuare

a braccia aperte

nel rilassato vortice musicale.

SECONDA VARIAZIONE

Il silenzio? Guardalo in una scatola di latta variopinta riempita di piccole lucide

palline nere scintillanti: puoi vederci le

nuvole far tuffi acrobatici e nuotare?

Osserva la notte che avanza, immagina il

giorno tornare; riesci a scorgere figure di

tempi andati che da sempre antiche rovine

narrano sonnolente ai passanti?

Il canto delle nubi piove fino a terra: lassù

le note sarebbero troppo pesanti; e il

respiro dei pesci risale in superficie: laggiù

i suoni sarebbero troppo leggeri.

E qui ogni istante ogni pausa ogni suono finito nello spazio fra le corde elevano un

inno all'ineffabile, visibile solo dal bianco

degli occhi.

"Se fai il mio nome

non ci sono più."

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo" Premio Speciale Giuria

“MUSICA”

di Roberta Casati - 4a B

Tutto è buio, buio e scuro,

quando un brillio insicuro

comincia a rischiarare

l'immenso universo spettrale.

Il sipario è ora aperto.

Attenzione: ha inizio il concerto.

Prima un lieve brusio,

poi un continuo tintinnio:

si scontrano alcune particelle,

formano una nube di polvere di stelle.

Ecco, un flautato vento solare

inizia improvvisamente a soffiare,

sfiora i primi ammassi rocciosi

producendo suoni melodiosi.

La brezza tace,

il canto si acquieta

e presto tutto il nuovo pianeta

brilla di una strana luce:

lampi, tuoni ed eruzioni

si mescolano in un coro di rimbombanti suoni.

E’ questo il momento delle percussioni:

dal cielo cadono grossi goccioloni

e presto il loro tamburellare

diviene un improvviso scrosciare.

Ed ora il silenzio assoluto,

ogni strumento si fa muto.

E’ il turno del miglior suonatore:

sulla scena appare il Creatore.

Con le Sue invisibili dita

pizzica la magica arpa della vita.

L'atmosfera si impregna di magia,

si diffonde la più dolce melodia:

delle zampette i tintinnii,

delle ali i battiti e i ronzii, nenie belanti di greggi,

lievi, amorosi gorgheggi,

zoccoli che picchiettano ritmicamente,

fruscii di un volo troppo radente.

E sopra tutte le voci di questo coro

troneggia un’ugola d’oro

Unici il suo timbro e la sua tonalità:

questa è la musica dell’umanità.

Un respiro ora calmo ora affannato,

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il riposo di una mano che molto ha lavorato,

il palpitare di un cuore emozionato,

il sussurrare incerto di un innamorato.

E dal momento della creazione

la vita non ha smesso di cantare la sua canzone.

Sono passate le ere, sono trascorsi gli anni,

si sono susseguiti le gioie e gli affanni

ed ogni ora, ogni secondo, ogni minuto

in ritmo e musica è stato vissuto.

Il mondo è cresciuto suonando armonie,

anch'io adesso ho suonato le mie:

il ritmico scorrere della matita,

la danza che sulla carta hanno ballato le mie dita.

La musica, è certo, non finisce qui:

il sipario è sempre aperto e sempre rimarrà così.

Finché la vita non si acquieta,

finché l'amore nessuno lo vieta

questo nostro piccolo grande pianeta

suonerà in musica piacevole e lieta.

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo” Premio Speciale Giuria

“SENTO UNA MUSICA SOTTILE”

di Chiara Penati - 4a B

Sento una musica sottile,

lontana,

Un uomo che canta. Un bimbo che piange.

Un soffio di vento,

il rumore di un tuono.

Un cane che abbaia,

il pio-pio di un pulcino...

Sento una musica dolce,

soave.

Da dove proviene

io non lo so,

quale il significato

questo si, però.

Accompagna il lavoro, l'amore,

il pensiero

per il lungo sentiero

che ognuno percorrerà:

la vita.

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo" Premio Speciale Giuria

“PERCHE’ DAGLI OCCHI SI CAPISCE”

di Elisabetta Valcamonica - 4a G

... perché dagli occhi si capisce

quando la vita ricomincia ...

Non la senti la musica

adesso che la poesia

si è trasformata in un TU?

Adesso che tutta la Terra si è trasformata in un TU?

(Penso sia grazie alla primavera.)

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo" Premio Speciale Giuria

“STELLE...”

di Simona Auricchio - 4a L

Mondo

Uomo

Silenzio

Ingegno

Coraggio

Amore

poche note su un pentagramma, troppe emozioni in una vita, nessuna stella nel cielo,

Tre cose che non hanno nulla in comune, forse un po’ di coraggio, sicuramente un

uomo, ma mai amore perché quella musica non esiste già più....

Era lì, triste nel suo impermeabile grigio e guardava nel lago, sembrava quasi volesse

coglierne i segreti più remoti; scrutava le sue screziate profondità alla ricerca di una

melodia dimenticata...

- No, non è neppure qui -

E così lo seguite nel suo viaggio. Ma non siete pronti a dare definizioni, “viaggio” presuppone un inizio ed una fine probabilmente, e questi due punti nella sua mente

non hanno lasciato traccia, forse perché non è mai partito, Forse perché non si fermerà

mai. Comunque potete incontralo immobile, con il suo triste impermeabile, senza espressione sul volto di fronte ad una pozzanghera (forse non lo possiede neanche, un

volto, ma non me lo sapreste dire) o in corsa folle lungo le rive di un oceano. Potete

vederlo per il mondo, ma non potrete mai afferrare nulla del suo essere; potete

immaginarlo, ma non potrete mai dargli un nome. I nomi segnano e lui non é toccato

nemmeno dalla pioggia, nemmeno da tutto il grigio che sembra colargli addosso, da

tutto il silenzio che lo circonda. Forse basterebbe solo un arcobaleno o forse una

semplice canzone (ma tutti lo vorreste essere eppure)...

- Forse non è nel mio destino -

E voi potete continuare a fissarlo, forse vi chiederà il prezzo di un biglietto, ma in

fondo tutti guardiamo nella vita delle persone e non diamo mai niente, se non

indifferenza. E l'indifferenza é solo per i più coraggiosi, per chi ha scavalcato i muri di

ciò che è consueto; perché chi non conosce che sé, non proverà indifferenza per persone che non esistono, chi non vede che sé, non potrà passare sopra ad ombre di

vite che non vede. State perciò attenti a non conoscerlo, a non guardarlo diritto negli

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occhi o scomparirà tra i volti che ignorate e le ombre che vi sfiorano, state attenti a non

ferirlo. State attenti (e questo punto fermo nella mia voce è già troppo forte perché

non lo senta anche lui, fate silenzio)...

- Forse non sa dove essere -

E già vi state domandando dove sarà domani, voi non lo sapete ma avete già deciso che

sarà triste perché nessuno mai è felice, o almeno non lo è chi guarda in una

pozzanghera e aspetta il tramonto per fuggire dalla malinconia che piano sale, come

una dolce melodia. Chi o cosa può portare un uomo tanto lontano dalla sua vita ?

(forse non lo sapete ancora ma anche voi siete sulla sua stessa strada, ve lo sussurro

perché la vostra paura non lo mandi in frantumi, magari aspetterò ancora qualche

momento e vi porgerò una rosa, ma senza spine).

- Forse è che sta cercando me -

Ormai siete stanchi e preoccupati di ciò che vi rimane, di quello che forse stringete

ancora tra le dita e nelle vostre vite, di ciò che potete ancora trovare nelle scatole della

vostra esistenza. Quelle non hanno istruzioni e nessuno vi ha detto che per viverci

avevate bisogno di vie d'uscita (ma nessuno dice mai niente), bastava anche solo un

piccolo foro ma si sa che chi ha fretta non lascia tracce, nemmeno per respirare. E per

favore non rinchiudete anche lui in una di queste scatole, non pensate di averlo

conosciuto o capito o alte mura di cartone sostituiranno i suoi oceani e le sue pozzanghere. Vi prego....

- Forse é che l'ho trovato -

Volevate una storia e avete trovato sguardi e laghi, volevate certezze e avete trovato

viaggi e pozzanghere, volevate giorni e avete trovato albe e tramonti, voi volevate mari

e lui vi ha offerto solo oceani...

E non vi siete mai accorti che ciò che cercava era sé stesso...

E non vi siete mai accorti che chi cercava eravate voi stessi...

Io me ne vado in un sussurro, ma tutto ciò che vi ho detto non passi e vada oltre o non sarà mai stata altro che questo,

che un alito nel vento, che una stella nel mondo...

...... che qualche nota su un pentagramma

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alito e stella: due cose meravigliose fino a quando non incontrano vite e ci inciampano

sopra...

...fino a quando non vi accorgete che voi, proprio voi, siete una nota su quel

pentagramma.

Ma se conoscete altre note al di fuori del vostro essere, piccoli segni che possono

regalarmi un momento di illusione in questo mondo che non vi lascia guardare fuori

dalla vostra scatola, dimenticateli e iniziate a chiedervi perché abbiamo bisogno di

musica per cercare noi stessi, per renderci conto che oltre quei muri non c'è solo

silenzio, ma coraggio e amore e persone ricamate nel grigio silenzio di tutti i giorni che

possono mostrarci pozzanghere da cui si vede l'oceano.... perché quella musica allora,

perché?

Perché io, piccola nota stonata, penso sia più facile vivere una vita intera con una dolce illusione tra le dita, che qualche minuto con la semplice consapevolezza di noi...

Ma anche questa è solo una piccola increspatura nell’oceano di quell'illusione che non

so, e forse non voglio, infrangere...

Questa la fine del racconto, ma dove l'inizio? Perché quell'uorno si é allontanato tanto

dalla sua vita, dalla sua scatola? Queste le domande, ma quali le risposte?

Non le conosco, e non sono in grado di raccontarvi questa storia, ma se avete sentito una strana melodia accompagnare queste poche righe, allora forse il vostro cammino

inizia qui, allora forse siete già partiti..

Ma la musica è fatta anche di pause, ma qualcuno si lascia essere anche solo silenzio, e

fermarsi é difficile, e non essere è rischioso...

poche note su un pentagramma, troppe emozioni in una vita, nessuna stella nel cielo.

Tre cose che non hanno nulla in comune, forse un po' di coraggio, sicuramente un

uomo, mai amore perché quella musica non esiste già più...

ma quell'uomo ha imparato a suonare la propria anima, ormai ci sono solo oceani e

albe e tramonti, e se quello che sentite è solo silenzio allora girate questo foglio,

abbiate coraggio, e guardatevi intorno...

...siete voi che avete smesso di suonare...

Poche note su un pentagramma,

il punto è che quelle note potreste essere voi.

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo" Premio Speciale Giuria

“SIGMA”

di Massimo DiStefano - 5a H

C’è un momento in cui il senso si fa lento

il pensiero naviga statico in un mare di ombre che bussano, volgono, ridono e piangono la mente si affanna e, semplicemente, va

verso una vana coscienza di una vita inutile colma di scopi, aspettative deluse e assopite

in un oceano in burrasca di miti e di dei.

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo"

“L’AMORE E’” di Giulia Dossi - 1a H

L'amore è il più bel dono che ogni uomo ha,

un sentimento profondo e sincero che,

come un attraente filo rosso,

unisce le persone.

L'amore è ciò che ogni uomo desidera,

un bellissimo regalo

che viene offerto con gioia

e poi restituito.

L'amore è il grande sorriso di un amico,

il "ti voglio bene" dei genitori, il caloroso abbraccio di un ragazzo,

l'affetto, la dolcezza e la tenerezza di una persona speciale.

L'amore è qualcosa di cui non si può fare a meno,

perché l'amore fa scoprire ed apprezzare

persone senza le quali non si può vivere.

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Premio Letterario “Federico Ghibaudo”

“L’AMORE”

di Michela Bonzi - 1a H

L’amore... che strano sentimento

Ti fa volare anche senza ali Quando ti perdi nella profondità del suo sguardo

Quando ti emozioni al contatto della sua mano

Quando ti commuovi davanti ad una sua rosa.

O ti annienta senza toccarti

Come la polvere nel vento

Quando ti disperi perché il telefono non suona

Quando le discordie annebbiano il suo sorriso

Quando la sua voce trema dal dolore...

Le sue dolci parole che ti toccano il cuore

Le sue candide labbra che sfiorano le tue

I suoi lunghi capelli che gli cadono sul viso

Il suo amabile sorriso...

Ma cosa c’è di più bello che sentirsi amati

E amare

E dare felicità

E riceverne

L’amore è nell'aria

Nel silenzio di un bacio

Nelle note melodiose di una dolce canzone

L’amore è in noi

Non ha limiti

Né confini di grandezza Cresce a dismisura

Se sincero

L’amore è neve in piena estate

E’ sole nella notte

Così raro

Così unico

Alimenta il fuoco che arde in noi

E scalda il nostro cuore

L’amore, è immenso Come l'aria che respiri

Come un oceano in una lacrima

Come una rosa in una spina

Come un universo in una stella

Come il cielo in una nuvola

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E’ una brezza fra i capelli

E’ il sapore di un buon dolce

E’ il colore della gioia

E’ la passione dei nostri animi Che si scatenano alla sola sua presenza.

E’ il rumore nella notte

E’ un filo che unisce due esistenze

E’ una finestra che si affaccia sul tuo cuore

E’ il calore di un abbraccio

E’ la freschezza di un tulipano...

Non esiste salvaguardia a questo profondo sentimento

Che ti porta lontano

Lontano

Come una barca sul fiume Trasportata dal vento

E scorre via

Lontano

Lontano

Dove nessuno ti può raggiungere

**Miky**

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo"

“1945-1981 BI EMME

di Andrea Ventura - 4a I

Un passo, poi un altro, i sandali infangati e ormai fradici sguazzano nelle

pozzanghere immergendosi per poi riemergere grondando acqua putrida; troppa

acqua ... troppo sporca. Sì, c'è sporco in questa via e anche dentro te: nella tua

testa, nella tua bocca.

Il tuo sorriso: te lo ricordi? Ti ricordi quando da piccolino tutti ti lodavano, si

complimentavano con te per il tuo viso sorridente? Adesso non è più così. Il tuo viso è rugoso e i denti sono ormai ingialliti dal troppo fumo, solo gli occhi ridono

ancora.

Piove, le gocce ti ticchettano sulla testa ma tu non le senti, troppi capelli le

separano dal tuo cranio; non possono farti del male! Scivolano giù lungo le

interminabili trecce rasta e alcune ti cadono sul viso ma non ti danno fastidio;

non ti asciughi mai il viso, nemmeno quando le lacrime del cielo ti colpiscono

negli occhi mischiandosi con le tue. Non riesci più a veder nulla ma gli occhi

ridono ancora. Hai lasciato la tua terra dove non pioveva mai: non ti manca. Te

la sei portata dietro: i colori, la gente, i profumi, il calore ma soprattutto i suoni.

Suoni malinconici, tamburi battenti, quasi ossessivi.

Non ti piace quello che ti hanno fatto diventare, non ti piace camminare sotto la

pioggia ma non ne soffri, non ti lamenti: sai che questa via tra poco finirà e sai anche che il sole è lì che ti aspetta.

Ora il cuore batte più forte del normale (troppo forte), hai una smorfia di dolore.

La bocca si contrae, le labbra si muovono spasmodiche. Le mordi per tenerle

ferme; i muscoli rigidi continuano il loro lavoro meccanicamente, continuando a

farti camminare mentre tu vorresti gettarti a terra ma non ci riesci, vuoi chiudere

gli occhi ma loro si oppongono: continuano a ridere.

...Non ti sento più, non sento i tamburi che battono, la tua voce roca ma

suadente che con fare vellutato mi avvolgeva e mi portava sulle coste della tua

amata Giamaica. Non sento più la tua lingua modulare suoni delicati e

coinvolgenti. Cantavi donna non piangere, dicevi di aver sparato allo sceriffo e

ricordavi la marcia dei soldati.

Sono nato finalmente. Ma quanta luce c'è?! Non pensavo fosse cosi il mondo.

Dov'è la pioggia? dove sono i tamburi? Perché non li sento?

Un senso di angoscia mi sta attanagliando, vago per anni senza meta precisa,

senza un perché.

Oggi mi sento un po' meglio, come se dovesse succedermi qualche cosa di

stupendo e meraviglioso. Entro in un pub e ordino una media chiara; mi siedo e

guardo il mondo attorno a me mentre la radio trasmette un pezzo che mai prima

avevo sentito. Ci rifletto per qualche istante... mi accorgo che quel ritmo non mi

è poi cosi estraneo!

... SONO TAMBURI!!!

Colori e luci mi assalgono, un profumo inebriante di erbe bruciate mi solletica il

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naso e tutto il mio corpo è attraversato da un fremito. Vedo un uomo con il

mondo in mano, silenzioso; i suoi occhi fiammeggianti sembrano esprimere

coraggio, intelligenza, amore. Non lo distinguo chiaramente ma sono sicuro di

una cosa: quello potrei essere io... lo so... ne sono certo... lo so! Il brano finisce, quasi senza pensare mi alzo e mi precipito al bancone in cerca

dello stereo che come al solito è posto vicino alla spina dimodo che lo raggiungo

senza troppo sforzo. Con le mani che tremano sfioro lentamente il tasto di

espulsione del CD ed eccolo il nome di quell'uomo, un nome che potrebbero

avere tutti gli esseri della terra e anche io.

Gli uomini, le donne, gli animali, le piante ed anche i sassi se ben interrogati vi

risponderanno di chiamarsi come LUI.

ECCOTI: SEI TORNATO!

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo"

“TRAPPOLA DI CRISTALLO”

di Giorgia di Tolle - 3a D

La stanza profuma ancora di festa o, per dirla in altre parole, nonostante le

finestre aperte e i litri di detersivo zanfa ancora di alcool e fumo da far schifo.

Io sono nel bel mezzo dei postero die. Accidenti, non vorrei essere viva. Ho

pulito tutto il giorno, ho le occhiaie fino alle ginocchia e l'immancabile mal di

testa post-sbornia che mi sta spezzando in due. Ma non è solo questo.

Le feste fatte a casa mia sono una tradizione ormai, io e il mio migliore amico Tommaso ne abbiamo organizzate per anni. Lui però ha traslocato un mese fa e

quando mi sono ritrovata da sola a dover mettere insieme una serata mi stava

venendo una crisi isterica, non sapevo nemmeno da che parte cominciare. Per

queste cose eravamo complementari: lui aveva le idee, io le rendevo realizzabili,

e viceversa.

Senza la mia metà mi sentivo persa. Poi all'improvviso è ricomparso Alex, l'ex

della Benny, che dopo che si erano mollati aveva ricominciato a uscire con la sua

vecchia compagnia e non ci aveva più cagati nemmeno di striscio.

Una settimana fa ero totalmente in crisi, giù in taverna, in mano il blocco delle

COSE DA FARE pieno e nemmeno una cancellata, quasi con le lacrime agli occhi

perché non c'era lo straccio di nessuno che si fosse degnato di darmi una mano.

Così ho cominciato a pensare, e quando mai pensare ha fatto bene a qualcuno? Pensavo e mi chiedevo che razza di amici avessi che fintanto che si tratta di

ballare, bere e fumare ci son tutti ma per sbattersi nell'organizzazione vengono

presi da mali fulminanti. E poi da cosa nasce cosa e mi sono ritrovata a guardare

il mondo e a vederlo solo pieno d'odio e di ingiustizie, con noi che non siamo

altro che scatole di cartone chiuse nel nostro egoismo, mentre pian piano ci

trasciniamo alla deriva nella nostra indifferenza.

Insomma ero lì modello suicidio quando è suonato il telefono.

“Salve sono Alessandro, c'è Caterina?”

“Sono io”

“Ciao Cathy, ascolta, ho sentito la Claudia e mi ha detto che la prossima

settimana fai la festa per il suo compleanno. Mi ha invitato. Mi chiedevo se vuoi

che dica a Manu e Max di venire a suonare.” "Si, sarebbe fantastico. Senti posso chiederti un favore? Mi puoi prestare il

mixer?”

“Certo anzi, se non hai niente da fare posso venire a montarlo anche adesso”

Così dopo mezz'ora era già lì che smontava l'impianto e io mi sono sfogata un po’

con lui.

“Ma dai, non devi prendertela per queste piccolezze, alla fine tutti ti vogliono

bene è solo che la nostra è la società del 'ci penserà qualcun altro' e così va a

finire che a fare tutto il lavoro sono sempre gli stessi”

“Si lo so. E' solo che quando succede ci si sente un po' abbandonati,

specialmente se sei una fatalista come me! Non ho un minimo di fiducia. Non

negli altri, ma in me stessa. Ogni volta penso: ma cosa può importare a loro che

sono così colorati di un affarino nero come me? Alla fine, sono solo un altro volto tra la folla, niente di speciale, perché dovrebbero interessarsi?”

“Perché magari per qualcuno sei una stella cadente”

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E qui ha abbassato gli occhi e mi è sembrato arrossisse. “Non sempre le cose

sono quello che sembrano. L'amore è bizzarro, non guarda il valore assoluto

delle persone, ma quanto riescono a entrarti dentro. Per toccare il cuore ci vuol

poco e tanto. Tutto è soggettivo. Per esempio, a qualcuno può piacere perfino quello sguardo buffo che hai stampato in faccia adesso!”

“Grazie tante. No per la verità mi chiedevo una cosa: ma come fai a capirci

qualcosa in quel bordello di fili, li hai staccati tutti! Va' che bastava collegare il

mixer, non c'era mica bisogno di rifarmi tutto l'impianto”

“Vedi, tu ancora torni sui valori assoluti. E' normale che per fare qualunque cosa

si disfi il meno possibile giusto? Bhe, per me non è così, per me l'unica cosa che

abbia un minimo di senso in questo mondo è il caos, solo dal caos puoi ritrovare

il tuo equilibrio, il tuo ordine. E' così per i fili come per i sentimenti.

Mia madre non entra nemmeno più nella mia stanza perché dice che è simile a

un campo di battaglia e in effetti c’è ‘in giro’ di tutto: vestiti, libri, fogli, matite,

giornali... Eppure io lì dentro sto bene. Se sono confuso, trovo la mia pace e credimi, so sempre dove sono le cose perché per me quel caos ha una logica, una

sua ragion d'essere. Il caos ti dà libertà, modo di esprimerti e così coi fili: non so

farti il sistema spostando ordinatamente ogni singolo pezzo, devo incasinare

tutto, per tornare nel mio ambiente. Quello che tu chiami incasinare, per me

riordinare, e viceversa. Vedi, tutto è relativo... persino l’interesse, o

l'importanza”

“Si, non importa se per il mondo non sei nessuno, perché per qualcuno potresti

essere il mondo...” Il bello è che io l'ho detto in senso ironico, mentre a lui si

sono illuminati gli occhi.

“Visto che sei già entrata nell'universo platoniano delle idee?”

“In che?”

“L'universo platoniano delle idee, tutto il tuo piccolo mondo fatto di assurdità che ti rende speciale, unico”

“Ma sai che sei sorprendente? La Benny dice sempre che sei un'insensibile e uno

stronzo, però a me sembri così... non lo so... dolce... unico”

“Io e la Benny non ci siamo lasciati molto bene e sono un po’ colpevole. Non mi

sono comportato in modo esemplare...”

“Cioè?”

“Ecco... l'ho come presa in giro, anche se non era mia intenzione, insomma...

sarà meglio che racconti tutto perché vedo che non stai capendo niente.”

“Vedi, prima che ci mettessimo insieme le avevo parlato sì e no tre volte e per

me era il massimo: bella, simpatica, divertente... Così a carnevale ci ho provato...

lei ci è stata e... insomma sai cos'è successo. Comunque dopo un po' che

stavamo assieme mi sono reso conto una cosa: la ragazza di cui mi ero innamorato non era lei, ma quella che io credevo fosse lei. Insomma la

Benedetta non era il mio ideale e così mi sono reso conto che non potevo più

continuare così, ma come potevo dirle 'non sei tu'? Così le ho detto che avevo

un'altra”

“In che senso ‘non sei tu’?”

“Nel senso che io sono innamorato, so perfettamente com'è la ragazza che amo,

solo che non l'ho ancora incontrata. A volte mi illudo che una delle mie storie

sia lei, ma rimango sempre deluso. Eppure io so che lei esiste, devo solo

continuare a cercare. Credo che sarà lei a riconoscermi, quando ci troveremo”

“Sei un tipo strano”

Poi ci siamo sorrisi e lui ha continuato a lavorare in silenzio finchè non se n'è

andato. Nei giorni seguenti mi ha aiutato tantissimo incoraggiandomi e calmandomi

quando schizzavo; e così ci siamo ritrovati ieri una mezzoretta prima della festa

da soli io e lui sul divano verde della stanza viola, mentre di là nella taverna

ormai trasformata a salone Manu e Max provavano “Alway?”.

Avevo la testa sulla sua spalla e lui mi teneva per mano, cercando di

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tranquillizzare il mio solito panico pre-festa. Era un momento magico.

“Mi spieghi perché sei così agitata? Alla fine ci sono gli stessi bimbi che vedi

tutti i giorni”

“Lo so è solo che se qualcosa va storto la responsabilità è mia. Ma anche a me fa incazzare la mia continua preoccupazione e sai una cosa? Ci sono momenti in

cui sono incazzata con tutto con tutti: con mia madre perché qualunque cosa

faccia non va mai bene, con mio padre perché dice sempre la cosa sbagliata al

momento sbagliato...” L'ho visto accendersi una sigaretta.

“...con le sigarette perché fanno venire il cancro, con il cancro perché non ha

niente di meglio da fare che andare in giro a uccidere la gente, con la gente

perché è così stupida da andare avanti nelle sue abitudini sbagliate così, per

forza d'inerzia e con me perché non so far altro che blaterare cazzate, più

m'interessa una persona più sparo minchiate. E' disarmante! Adesso poi sto

proprio toccando il fondo...”

"Allora vuol dire che... » DRIIINNNI! Stupido citofono che ci ha interrotti sul più bello. A quel punto

sono iniziati ad arrivare gli altri così non abbiamo più avuto modo di parlare sul

serio. L'inizio e la fine sono i momenti più indaffarati: metti i cappotti nella

stanza viola, sincerati che non ci entri più nessuno, eccetera.

Credo ci si possa immaginare la festa: bordello, la Susy che piangeva e rideva

insieme ubriaca fradicia, solito strip di rito, giochini vari, pogo con conseguente

imbrattatura perfino del muro...

Comunque, io avevo deciso che appena avessero attaccato “Always” l'avrei

invitato a ballare, ero troppo persa: lo guardavo da lontano in piedi sulla sedia e

sembrava che, le luci fossero solo per lui, che fosse lui la luce; quando saltavamo

in cerchio, io mi muovevo con lui, per lui. Nulla importava più, aveva ragione,

l'avevo riconosciuto. Non avevo mai provato nulla di simile: gli angeli suonavano le trombe celesti e lo ricoprivano di polvere di stella.

Quando Manu ha intonato “This Romeo is bleeding...” non vedevo che Alex, i

suoi occhi, le sue labbra. Poi la Susy mi ha trascinata fuori ridendo... ho dovuto

tenerle la manina mentre vomitava, poi per fortuna è arrivata la Benny e mi

sono precipitata dentro che c'era già il ponte: “If you told me to die for you - I

would”. E' stato allora che l'ho visto con la Claudia, che ballavano, così vicini,

così assorti e poi quando è iniziato l'assolo e loro hanno avvicinato le labbra e

tutti hanno applaudito ridendo come fanno sempre io... io mi sono solo

accasciata sul pavimento e volevo sparire.

La musica nel frattempo era cambiata, sempre Bonjovi, ma un'altra:

"This is real life

This is real love This is real pain...

These are real tears...

Inside I can't hide”

E allora ho cominciato a piangere come una bambina, come un gattino ferito.

Non mi sono mai sentita così sola. La festa continuava come se niente fosse

successo, tutti allegri, tutto bene e non c'era un cane che s'accorgesse di me.

Gattonando mi sono trascinata nella stanza viola, deserta, e mi sono accoccolata

sul divano verde, le lacrime che scorrevano piano ma inesorabili, espressione di

un dolore troppo profondo per poter gridare. Gocce silenziose scivolavano giù

peggiorando il groppo che si era formato in cima allo stomaco e al cuore. Faceva

così freddo, sembrava soffiasse la tramontana.

Il resto della festa è stato come un sogno: io che piano piano mi rialzavo e facevo buon viso cattivo gioco, che ballavo con lui e ridendo mi congratulavo, che mi

fingevo contenta quando diceva “E' lei” e poi tutti che mi salutavano e restavo

sola. Non sono andata a dormire, mi son accasciata sul pavimento fetido e mi

sono addormentata tra i singhiozzi.

Mi sono svegliata poco dopo l'alba, per un raggio di sole che indiscreto mi

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accarezzava le palpebre.

Ora sono ancora qui nella stanza viola seduta sul divano verde che tento di

rimettere insieme cocci, sia della stanza che del mio cuore. Mi sento uno

straccio, nonché maledettamente sola. Forse l'unico sentimento possibile in questo momento è la rassegnazione. Seduta sul divano, lascio che la TV mi

lobotomizzi il cervello.

Poi, in quella specie di film attacca una colonna sonora fantastica, così mi alzo e

avete presente quei momenti in cui balli per sempre, balli per la vita, come se

non ci fosse più un domani, come se tutto finisse proprio in quell'istante, con la

musica che innalza la tua anima fino al cielo, a quel Dio che ci guarda dall'alto

della sua torre d'avorio, silenzioso e impietoso di noi piccoli servi che strisciamo

infelici e soli in un bosco di ghiaccio, che invano schiviamo le trappole di

cristallo.

E quando sai che la trappola scatta, non c’è niente che tu possa fare, per la fine

delle speranze la gente che sparisce nella nebbia non puoi far altro che mettere a pala quel vecchio film e quando cresce quella vecchia canzone anni '60 che non

ascolteresti mai ma è proprio lì, in quel vecchio film, allora inizi a saltare su e

giù per il tappeto prendendo a cuscinate il mondo trattenendo a stento le

lacrime che scorrono giù nella scena madre, quando il nostro eroe tocca il fondo

e si alza un'altra canzone lenta, malinconica, di cui capisci solo due parole, ma

sono quelle giuste, che fanno sciogliere quel groppo che è lì da tanto, troppo

tempo e così chi ti vede nota una pozza negli occhi che sgorga pian piano giù per

le guance, in silenzio, ma alla grande, perché se anche tu con il nostro eroe

tocchi il fondo, Dio, il ruzzolone è grandioso.

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo"

“IL COMBATTIMENTO” di Alessio Migliorati - 2a I

Inesorabile avanza il silenzio;

mi assorda,

mi stordisce.

I suoi occhi sereni scrutano,

attraverso le oscure vesti del tenebrone.

Mi avvolge

senza fiatare,

senza esitare

mi stravolge.

Ascolto il respiro:

in vero quel mostro è in me.

Ascolto il sospiro:

il mio spirito è campo

di una titanica battaglia.

Di là l’ombrosa quiete,

che esibisce la vacuità dell’uomo,

di qua la musica,

che ne ostenta il sentimento.

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo"

“TRANQUILLA GIORNATA DI FUGA”

di Ugo Russo - 5a E

Finalmente sono tornato. E sì che mi ero proposto più volte di allontanarmi dal "mio" -ormai-

mondo; penso che capiti a tutti, quando ci si sente feriti nel naturale egocentrismo ed

emarginati dal proprio "microcosmo" - amici, università, società. Stavolta però ho preso

l'autobus e ho deciso di abbandonare la rumorosa città (è proprio vero che i giudizi sono

opinioni del momento) per trascorrere una giornata nella periferia in cui ho vissuto fino agli

anni del liceo. Obiettivamente non sarebbe poi così diversa del centro, non fosse per quel suo

aspetto un po’ degradato. Ma proprio questo la rende più vivace, musicale quasi, con gli omoni che tònano in dialetto e le donne che strillano con voce acutissima.

Mi sembra di non conoscere più nessuno. In pochi anni ho tagliato quasi tutti i legami con

questi posti che mi stavano stretti e che ho lasciato, nonostante qualche lacrima, con una

certa soddisfazione. E’ strano però che fra i tanti ricordi si sia intrufolata Gioia. Quale fosse il

suo vero nome, proprio non lo ricordo. «Vieni a casa, gioia!», le urlava la madre, e noi la

imitavamo in falsetto. E' stato il personaggio più inquietante della mia vita. Non che fosse poi

così brutta, ma aveva preso gli unici particolari -per così dire- nobili dal volto popolano dei

genitori e li aveva fusi e composti in una maschera quasi grottesca, con quell’eterno sorriso un

po' malinconico. Spuntava sempre alle spalle di qualcuno, quindi stava anche per un quarto

d'ora nella sua posizione d'attesa: collo proteso in avanti, solito sorriso a trentuno denti (un

incisivo era stato perso da piccolo e non era più stato sostituito) e le braccia macilente che

scendevano dietro la schiena da due spalle disegnate con buone squadre ma pochissima arte. Prima o poi qualcuno la vedeva ed esclama benevolmente «Cosa ci fai qui?», e tutti ridevano.

Rimaneva quasi sempre lì, a un metro dalla conversazione. Questo, quando ero solo, mi

faceva più pena di lei, anche perché mi sembrava di rivedervi me stesso, certe volte, con la

mia insicurezza; ma una sorta di ribrezzo, estetico e sociale cancellava tali pensieri e mi

illuminava nell'Olimpo degli integrati. «Su Gioia, a casa!».

Rapito dai ricordi mi ritrovo di fronte alla trattoria di Marco e suo padre. E così dopo qualche

abbraccio e una breve chiacchierata mi offrono il pranzo, una cosa alla buona, giusto il menù

del giorno. Accetto e mi siedo a un tavoletto libero.

Prima degli spaghetti arriva però una sorpresa.

Un immane giovane mi si siede di fronte. Ha degli occhi spiritati ed enormi, al cui interno due

pupille ineguali si muovono a scatti, quasi indipendenti fra di loro e da ogni comando. «Mi permette di gradire la sua compagnia?». Credo di aver annuito, stupefatto dallo stridente

contrasto fra domanda ridondantemente protocollare e il sorriso a denti sguainati e narici

dilatate. Nonostante questi particolari che a tratti mi ricordano un buffo mostro d’infanzia, è

un bel giovane, di venticinque anni forse, dotato di una loquacità straordinaria e terrificante:

dal tono uguale e pacato irrompono frequentemente parole quasi urlate, accompagnate da

gesti nevrotici o dal suo innaturale sorriso. E non c'è verso di farmi dare del tu: il suo

monologo formale e colloquiale al tempo stesso mi ha già trascinato, inerme in alcune tristi

pagine della sua vita.

Basta un ubriaco su una Porsche per toglierti, in un attimo, famiglia e vista. Non è poi tanto

difficile da spiegare: «il televisore subì un tale colpo da non poter più trasmettere immagini»;

gli rimase l'audio, per sentire il funerale dei suoi e le notizie dal mondo. «Lei avrà certamente visto qualche film del genere»; ma a me non ne viene in mente nessuno - ho sempre visto i

programmi sbagliati «ecco, non era nulla che non avessi già conosciuto; solo che stavolta ero

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io protagonista».

Cambiò tutto: lui perse metà delle sue capacità, gli amici raddoppiarono l'affetto. Ma

"l'affetto" gli sembrava tanto inutile e falso che finì per allontanarlo irrimediabilmente, da

loro. «Lasciai la ragazza!» irrompe, accompagnando l'urlo con un gesto incontrollato fa cadere la bottiglia di vino. «Non sopportavo il ricordo della sua bellezza e ancor meno il suo nuovo

tono di voce, dimesso, a volte spaurito».

In breve, gli pareva che il suo vecchio mondo non avesse più senso nel nuovo, dove

l'immaginazione aveva cessato di esistere - moda, televisione e affiliati erano stati spazzati

via. Anzi, non aveva senso in assoluto, se basta una piccola disfunzione per mostrarne la

vacuità. Concluse che rimanere con i vecchi amici avrebbe obbligato entrambe le parti

all'ipocrisia: non gli bastava l'animo di rivelare la sua scoperta e, l'unica volta in cui lo fece,

non fu quasi ascoltato; ma fu meglio così. D'altra parte anche lui per continuare a vivere (e

non aveva mai pensato a rinunciarvi) doveva ignorare l'urlo dei suoi genitori: "che senso ha la

vita, se basta un niente per troncarla?". «E’ stato il mio più grave periodo di irrazionalità, te

ne accorgerai!» e ringhiando così per poco non provoca un altro mezzo disastro. «Mi resi infatti conto dell'irrazionalità della vita stessa e la giudicavo un difetto».

Fu mandato in un centro d'assistenza parrocchiale qui vicino e continuò gli studi. Lì conobbe

Elena, la ragazza che lo avrebbe aiutato e accompagnato ogni giorno. Aveva una voce allegra

«soave» addirittura ed io ho qualche difficoltà ad unire le due immagini. Ben presto divennero

inseparabili, riuscivano a parlare ore ed ore senza sfiorare con una parola il mondo attorno a

loro «Già, non ho mai saputo niente di lei». Nel frattempo tornava in lui, subdolo, il vecchio

senso di bellezza che affascina tutti gli uomini; come quando, in primavera, trascorreva con

lei giornate intere sul colle fuori città: «Sentivo il calore del sole su braccia e volto, che,

mediato dai vestiti diffondeva a tutto il corpo; il canto della voce di Elena era accompagnato

dal coro dei passeri che il vento, con la sua frescura, univa a tutta la scena, trasmettendo ai

miei quattro sensi una bellezza e un'armonia inequiparabili». Non riesco a credere che queste

frasi escano dalla bocca di questo uomo. «Ricominciai a vivere allora la bellezza della vita e mi accorsi che la sua irrazionalità, se esiste, è solo un pregio».

Poi continua: «Amavo soprattutto il suo silenzio quando gli altri bisbigliavano della mia

presunta pazzia!». L'urlo delle ultime due parole passa attraverso un ghigno che stavolta

rimane indelebile sul suo volto. «Il medico assicurò che il televisore non era rotto, bastava

ricollegare l'antenna, e tutti: "hai visto, tornerai come prima!"». Solo con Elena continuava a

non parlarne, fra di loro nulla cambiava. «Un intervento da niente, avevo già subito che il filo

si rompesse, sarebbe stato assurdo rifiutare che venisse aggiustato». Beve un sorso, ha

bisogno di schiarirsi la voce. «L'elettricista fece il suo dovere alla perfezione e adesso ricevo

tutti i canali, anche se mi sembrano un po' irreali sembrano quasi cartoni animati». Il

discorso diventa affannoso, sconnesso, terrificante: «Mai vista una stanza d’ospedale più

squallida: le infermiere, i nuovi amici... erano molto peggio di come li avevo immaginato..

anzi non li avevo mai immaginati». «I primi colori li vidi in giro per il centro... e all'ospedale aspettavano ancora che uscissi dal

bagno, ma c'erano un sacco di macchine bellissime che non avevo mai visto... le ragazze, le

minigonne!... scappavano perché ho gli occhi stralunati... Mi trovarono alla vetrina dei

televisori commosso... non voglio andare in ospedale!». Dopo una settimana tornò al centro

assistenza e il giorno seguente vide Elena: "Sono stata dai parenti, ma mentre ti operavano

ero vicino a te, come continuavi a chiedere" - e pianse fra le sue braccia, felice. «Vidi il suo

volto e mi sentii tradito... non poteva avere quella ridicola maschera... altro che parenti,

aveva temuto la mia reazione» Sragiona, è costretto a fermarsi. estrae una foto dalla tasca, la

guarda e infine riprende con tono straordinariamente pacato: «I giudizi sono opinioni del

momento... con queste mani mi resi giustizia... la strangolai». Stropiccia la foto, imperturbato,

e la lascia sul tavolo; un'ultima frase «Lei, ora, mi capirebbe, mi darebbe ragione», poi l'addio:

«Il parroco si sarà accorto della fuga... la polizia sta per arrivare». Rimasto solo, voglio guardare la foto. Povera Gioia, ecco qual era il tuo vero nome. Povero

ragazzo.

Basta un giro in periferia per capire qualcosa del proprio mondo.

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo"

“SONO MORTA BAMBINA”

di Chiara Malerba - 5a G

Sono morta bambina

in un giardino fiorito,

su una distesa verde

che mi sporcò la veste.

L'amore mi passava tra i capelli

come un vento leggero, ma io sentivo freddo;

le vene raggelarono.

Una musica mi faceva battere il cuore,

senza rumore...

il vento divenne sole;

passarono le stagioni

allo sguardo lontano

di un uomo,

la sua ombra mi offuscava

la vista:

fu un attimo,

poi scomparve; ma il mio corpo era ancora lì,

due occhi sbarrati al cielo.

E il vento era diventato pioggia.

E poi tempesta.

E non cessò mai di tuonare

quel giorno.

Sono morta bambina

con l'amore al mio fianco

che è diventato odio

contro il mondo.

E quella musica

continuava a suonare e faceva battere il suo cuore:

questa volta un

gran rumore...

poi silenzio.

Per sempre.

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo"

“PIETRIFICAZIONE”

(Apocalisse in tre movimenti) di Stefania Giodini - 4a D

Perché sorridi Apollo, cuore del cielo, mentre canti e passeggi sui pensieri vaporosi della

montagna?

Forse ricordi le storie fantastiche scritte un giorno da un uomo di Patmos?

... sono forse avvertiti gli spettatori della fine del concerto?

Ogni orecchio dovrebbe ascoltare la musica del mondo....

Eccoti guardare Orfeo bifronte, che con dita flessuose come raggi di luce, indugia

sul finale, mentre ondeggia Tersicore tra lampi saturnini divampando nei passi che

chiudon le danze...

...e sfumano anche oggi i colori del mattino...

Crono langue

nel suo giaciglio di vetro,

sabbia ormai rara che sempre più veloce sfugge dalle dita...

Vento, non sperare!

Le danze son finite,

e roteano nell'aria ormai muti gli accordi.

Le stelle non odono i canti degli dei,

le stelle sono impassibili,

le stelle ormai non odono più nulla...

Ed io?

Io sono solo un filo d'erba

in un vortice di vento che fugge

e cadendo

ascolto

il silenzio gemente della terra...

Il vento non si ferma. Il vento è disperato.

Elias Alder è steso sul prato umido per il respiro dell'erba e ascolta ogni giorno

la musica del mondo... il corale delle querce, gli xilofoni dei cedri....

Elias non può udire le labbra di Apollo chiudersi,

Elias sente il silenzio improvviso dell'universo....

Elias è il primo a capire. Oltre al vento, ovviamente.

Questo guarda dall'alto il ragazzo, ma non porta al suo orecchio l'urlo muto della terra.

Il vento non vuole guardare il cielo.

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Elias guarda le querce, ma le querce tacciono atterrite.

Urla.

Eco non risponde.

L'aria gocciola un silenzio delirante.

Elias s'accascia accanto ai fili d'erba. E non guarda il cielo.

Le querce emettono un sospiro muto ed alzano lo sguardo alle stelle, che, fredde di silenzio,

si spengono.

Addio signore e signori di corte,

lo spettacolo si chiude, così vuole la sorte!

Applausi ai commedianti, ai musici, ai cori

il sipario si chiude, escono gli attori

appassiscono i fiori, si ripongono i vestiti

le maschere son tolte, gli applausi son finiti

si spengon le luci, si chiudon le porte

rimango io sola, l'attrice, la Morte....

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo"

“VENERE LUCENTE”

canzone: musica e testo di Vincenzo Calvaruso - 4a H

Mi trovo a spiare

Una venere lucente

Stranamente stupito

Invaso dal bagliore

Catturato dagli occhi

Ancora una volta

Assente e doloroso

Calore umano portatore

Invadente di ogni respiro

Spento nel vuoto

Unico raggio di luce

Maturato e poi morto nell'anima colpita.

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo"

“MUSICA”

di Mattia Muratore - 2a A

"La musica facilita il sogno. Io vado in giro e osservo un sacco di gente.... morta,

non sa più sognare. Non puoi perdere di vista i sogni. La musica è un mezzo

per far sembrare possibili i sogni.

Con questa frase di Bruce Springsteen, Luciano Ligabue ha aperto il suo libro

sulla musica.

In effetti mi rendo conto che non ci sarebbe stata frase più appropriata per iniziare a parlare di questo argomento e inoltre devo dire che sono pienamente

d’accordo con quello che afferma la rock star americana.

Infatti la musica è importantissima all'anima e al nostro corpo.

Nei momenti in cui noi ascoltiamo una canzone il nostro corpo si rilassa e il

nostro pensiero fugge insieme alle note musicali. Anche se noi non ce ne

accorgiamo il nostro battito cardiaco cambia al variare dei ritmo musicale.

Questo metodo viene impiegato come terapia nelle persone ipertese e sembra

che dia ottimi risultati.

Ma l'aspetto più importante di una canzone è il messaggio che si vuole lanciare

con essa, vedi le canzoni religiose o quelle per bambini.

I pezzi musicali che rimarranno nella storia sono quelli che esprimono un

importante pensiero e che hanno basi significative. La musica è nata per accompagnare le parole e per dare loro una spinta.

Se osserviamo, in ogni spot pubblicitario compare una musichetta che può essere

di vario genere a seconda dell'atmosfera che è stata creata e dei messaggio che si

vuole lanciare; come del resto non esiste un film privo di colonna sonora.

In questi casi penso che la musica abbia un'importanza superiore rispetto a

quella delle parole.

Ad ogni grande evento, scoperta, manifestazione si attribuisce una canzone che può essere l'inno nazionale piuttosto che una canzone rock. Insomma non si può

dire quali canzoni siano belle e quali brutte. Se mettessimo “Le quattro stagioni

di Vivaldi” in discoteca tutti avrebbero da dire a riguardo anche se però questo è

uno dei più grandi capolavori della musica classica italiana.

Il significato che voglio lanciare con questa osservazione è che ogni pezzo

musicale deve essere inserito in un contesto ad esso inerente, perché se così non

fosse, rischierebbe di essere disprezzato.

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo"

“L’AMICIZIA”

di Alessandro Raffaele - 2a G

Quando ti senti solo

chiama un'amico e ritrovi il sorriso.

Prova a immaginare

un mondo unito senza razzismo.

Tanti bambini di tutte le razze

che giocan felici e son tutti amici.

Giocano tutti in un bel campo d’erba,

pieno di fiori che danno i colori,

danno i colori della pace

della pace tra l'umanità,

della pace tra l'umanità.

L'amicizia non è formale,

non fa distinzioni, non esclude nessuno.

Non è razzista, non ha età, giovani e anziani amici saran....

e l'Ungherese insieme all’Inglese e

l'Italiano insieme al Francese,

un solo mondo dove son tutti amici

perché l’amicizia è un dono di Dio,

perché l'amicizia è un dono di Dio.

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo"

“A PAOLA”

di Gabriele Zaniboni - 3a D

Impura

Come un cristallo grezzo

E’ la bellezza che risiede

Nel tuo corpo Perché se fossi pura

Saresti irraggiungibile

Da chi ti guarda poiché

La purezza è qualcosa di

Intangibile.

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo"

“ESMERALDA E LA MUSICA”

canzone di Cristina Vitale - 4a H

Pensando a quella chitarra lasciata ammuffire,

a quei sogni smessi di nutrire,

pensando al suo vecchio sorriso,

che sta ora bruciando su quel viso.

E ritrovarsi qui da solo a lottare,

con una persona in meno per amare.

Avere voglia di mettersi a scappare,

chissà mai qualcuno ci venga a salvare.

Se abbandonassi la viltà,

e non vivessi nella meschinità.

Se tua migliore amica fosse la melodia

abbracceresti questa realtà non solo mia.

Se smettessi di respirare silicone scopriresti che dietro quel nebbione

possono esistere se vuoi

tutti i taciuti soli tuoi.

Hai lasciato soffocare il tuo canto

ignorando ornai così il suo pianto.

Il mio aiuto l'hai respinto

ma lui non si è mai dato per vinto.

E ritrovarti qui adesso, con la stessa grinta che avevi sempre addosso,

ritrovarti con chitarra, voce e coraggio,

la triade fondamentale dei nostro linguaggio.

Vedere tutte queste ipocrisie

e nonostante tutto credere nelle magie,

perché un'anima può vivere di verità

anche se il mondo non condivide la sua bontà.

Fermarsi su un asfalto imponente

e farlo sentire del tutto incoerente:

la libertà conosce l'arte del volo

cosa che ignora un corpo da solo.

Se facessimo a meno di tutte queste bugie,

noi clown di una falsa allegria,

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se sconfiggessimo tutte le nostre manie,

e vincessimo allora l'ipocrisia.

Gente insonnolita, figlia dell'omertà,

gente senza vita,

nemica dell'onestà.

Smettere di odiare

e cominciare un po' ad amare.

Regalarsi qualche ideale,

non fa certo male.

Chissà questo mondo dove andrà a finire,

se vorrà perire questo mondo dove tutti sono impazziti,

ma non il tuo sguardo e il tuo sorriso così puliti.

Esmeralda è una ragazza che dopo aver fatto della musica la sua migliore amica,

aveva deciso di abbandonarla per rifugiarsi nella formalità e nella falsità.

Esmeralda aveva un tempo il coraggio di interpretare la musica e mediante essa

interpretare se stessa per non cadere nell’abitudine e non rendere tale la musica.

Ma il mondo soffocava così il suo entusiasmo che si era lasciata catturare da quello

stesso mondo fatto di silenzi, il cui rumore non le faceva più distinguere il suo

canto.

E' incredibile come l’uomo sia attratto da un mondo che porta alla sua morte

interiore piuttosto che essere attratto dalla vita.

E così lei, che nella musica aveva riposto tutte le sue speranze e i suoi sogni, si

ritrovò a considerarla un'abitudine e ciò la portò ad assumere un atteggiamento

apatico verso tutto. Quello che prima era un mondo di verità era diventato tutto ad

un tratto un mondo di finzioni, falsità, fantasmi e ipocrisia, quella stessa ipocrisia

che poi capì essere il peggiore dei mali, peggiore persino del male stesso. Ma poi

comprese che il buon Dio l’aveva sottoposta a questa prova per farle capire come

bisogna vivere e che per annientare il male bastano l’onestà, la bontà, la verità e la

speranza.

Esmeralda ha sperimentato la morte ed è tornata alla vita.

E' tornata la ragazza di sempre, piena di entusiasmi ed interessi che spera ancora,

che sogna ancora e che vive la sua musica, musica che è diventata anche un modo

di affrontare la vita e di tenerla accesa. Esmeralda ha ritrovato se stessa e la sua

musica, e il suo nome e la sua anima risplendono ancora di quell’intensa e

affascinante luce verde che rimarrà sempre a brillare preziosa nei suoi occhi e nel

suo sorriso.

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Premio Letterario "Federico Ghibaudo"

“TEMIAMO DI NON ESSERE CAPITI”

Brevissimo saggio sulla musica di Giovanbattista Basile e Luca Bonetti - 3a G

A: «Riflettendo un momento, quali possono essere gli attributi principali della

musica, le colonne portanti di questo fenomeno che caratterizza la vita degli

esseri umani fin dai tempi dell'antica Grecia?»

N: «La musica è numero, poiché è un'arte meccanica che consiste nell'unire e

organizzare suoni allo scopo di creare armonia.» A: «Armonia... cosa intendi per armonia? Sappiamo che Pitagora intendeva per

essa il bilanciamento tra opposti... quali sono i tuoi opposti?»

N: «Sono velocità e lentezza, acutezza e gravità, che caratterizzano e distinguono

ogni composizione musicale; ti ricordo inoltre che per i filosofi della Tetraktis,

l'armonia era basata su corretti rapporti tra numeri, grazie ai quali garantiva

l'esistenza del cosmo. Perciò converrai che l’armonia è numero.»

A: «Il Cosmo, l'opposto del Kaos... ma i numeri possono essere anche irrazionali (e

in particolare questa scoperta fece crollare molte convinzioni pitagoriche)! La

musica può dunque essere Kaos?»

N: «Questa è una domanda che dovresti rivolgere anche a te stesso: l'anima può

essere Kaos?»

A :«Questo è un argomento molto soggettivo... » N: «Quindi non conosci la risposta?»

A: «Stai dialogando con una persona diversa da tutte le altre, ciò che io non

conosco, è di certo conosciuto da altri individui e viceversa... »

N: «Secondo te allora il fatto che tu non conosca una cosa, implica che questa non

esista? Non credo proprio. Dunque cerca di rispondere affidandoti al

buonsenso.»

A: «Allora ti rispondo che l'anima può essere sia Cosmo che Kaos, e ciò dipende

dalla variabilità degli elementi appartenenti alla realtà fisica e della cultura

dell'individuo.»

N: «Ovvero?»

A: «Pensa ai riti tribali, alle usanze delle varie popolazioni non civilizzate... »

N: «Rispetto a noi occidentali!» A: « ...questo era sottinteso! Comunque, come ben sai, molte tribù più o meno

selvagge -nell’accezione che sappiamo- possiedono un legame molto stretto tra la

musica, la danza ed il culto delle proprie divinità.»

N: «Mi vengono in mente i riti orgiastici... »

A: «Giusto. E in ogni caso questi erano presenti anche in epoche remote. Pensa

alla musica ossessiva e alle danze cruente che caratterizzavano il culto della dea

Cibele, nell'antica Roma!»

N: «Eppure, non puoi negare la presenza di forti elementi razionali all’interno

dell'esecuzione musicale,. come la ripetitività dei battiti sui tamburi, per fare un

esempio fin troppo banale.»

A: «Intendi il ritmo?»

N: «Esatto!» A: «Già, la ritmica rappresenta al meglio gli elementi iterativi e più concreti della

musica, però... »

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N: «Cosa?»

A: «Spesso anch'esso possiede caratteristiche sacre. Ti ricorda nulla il Carmen

Saliare?»

N: «Quello dei sacerdoti di Marte?» A: «Sì. Il loro ballo scandito in tre tempi era pur sempre una forma di culto»

N: «Invece di tirare acqua al tuo mulino, e basandoti solo sugli elementi costanti nel

tempo, abbi il coraggio di soffermarsi anche su quelli variabili! E tieni a mente il

fatto che già dal secolo scorso, la musicologia e l’etnomusicologia analizzano la

musica su basi scientifiche.»

A: «Ammetto che Pitagora riscontrò proporzionalità tra la lunghezza della corda, od

il suo spessore, e l'altezza del suono prodotto. Eppure, per capire che relazione

ci fosse tra il suo concetto di Armonia ed il nostro, abbiamo iniziato un discorso

interminabile... »

N: «Me ne rendo conto ... Platone, che ereditò la teoria dei numeri dai discepoli del

filosofo di Samo, vedeva nella musica uno degli elementi base per la formazione della paideia... »

A: « ...ed il raggiungimento della saggezza e della tensione al Bene... »

N: « ...e quest'ultimo è l'idea suprema, che in quanto tale, può essere vista e

compresa solo dall'anima razionale dei filosofi governanti... »

A: «Ma certo! Anima razionale! Non capisci?»

N: « ... »

A: «Le nostre tesi non sono opposte, ma complementari! Non ha senso tentare di

confutare l'altro, quando senza le sue verità parziali, non si può costituire la

somma verità del concetto di musica!»

N: «Tuttavia sorge un problema ancora più grande: sono i numeri, che con la loro

razionalità forniscono il mezzo per creare l'armonia, o è l'armonia interiore che

permette di organizzare razionalmente i numeri?» A: «Forse non è cosi difficile. La musica nasce da una volontà dell'anima, ma il

mezzo attraverso il quale il messaggio raggiunge un'altra anima, è costituito dai

numeri.»

N: «Questo però fino al momento in cui i numeri non causano il turbamento

dell'anima.»

A: «La stonatura... »

N: «Esatto!»

A: «Però il turbamento può essere dato anche da una disposizione premeditata dei

"numeri" musicali. Facciamo un esempio: un accordo maggiore trasmette

solarità imponenza, mentre un accordo minore, come una diminuita, è alle

orecchie di tutti più triste, talvolta deprimente.»

N: «Oltre a turbamento comunque, i numeri possono portare anche una grande allegria: hai mai ascoltato del Ragtime?»

A: «Certo! Chi non conosce "The Entertainer" dal mitico film "La Stangata"!!»

N: «Non abbiamo però ancora analizzato la musica dal punto di vista sociale.»

A: «Cioè?»

N: «Dovremmo esaminarla in un ambito meno astratto. Ad esempio: si può dire che

la musica è linguaggio?»

A: «"La musica è il linguaggio dell'anima", si dice in giro. Tu sei d'accordo?»

N: «Si e no. Mi spiego meglio: abbiamo chiarito che la musica è il metodo mediante

il quale è possibile mettere in comunicazione due anime, ma probabilmente può

essere anche il mezzo stesso. Il linguaggio, che in termini concreti e in ambito

umano, potremmo definire come sistema razionale di comunicazione, si basa

sull'uso della parola. Ma la parola, è un insieme di suoni, che corrispondono a numeri logicamente organizzati. Sì è detto che la forma oggettiva della musica,

è costituita anch'essa da numeri, ed è cosi che possiamo intrecciare i fili della

questione... »

A: «Capisco la necessità di trattare l'argomento con una certa razionalità, ma sarai

d'accordo che, poiché l'anima è intangibile, il linguaggio, che è uno dei suoi

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diversi canali conduttori, non può essere totalmente oggettivo. Il linguaggio si

basa su simboli che corrispondono a fonemi, i quali a loro volta danno origine a

parole. Ma queste ultime hanno un valore totalmente astratto, che non può

essere espresso mediante numeri, al contrario della musica... » N: «Amplia i tuoi orizzonti, e rifletti su ciò che hai detto! Era proprio di questo che

stavo per parlare: il valore astratto della parola, è riscontrabile all’interno della

cultura occidentale, ma il discorso cambia per i sistemi alfabetici orientali. C'è il

rischio di peccare di superficialità impostando un'unica biforcazione, ma ciò che

conta ora, è rendere l'idea: i giapponesi, oltre ad avere due alfabeti sillabici, ne

possiedono un terzo costituito da ideogrammi... che rimandano ad un concetto

concreto in maniera più immediata della ventina di simboli da noi usati! Cosa

potrà dunque essere la musica per un giapponese, dal momento che il suo

linguaggio possiede numerosi elementi oggettivi?»

A: «Non starai dicendo che i giapponesi non possiedono l'anima?!»

N: «Assolutamente no, ed è questo il problema!» A: «Anima - numero - musica - linguaggio, qual è il punto?»

N: «Non lo so. Ci sembrava di aver trovato un accordo, ed ecco che cerchiamo

invano di confutarci a vicenda. Che senso può avere porsi continuamente

domande, se poi non è possibile ottenere anche una sola risposta?»

A: «Una cosa è sicura. Abbiamo sempre analizzato il problema con la

consapevolezza di sapere cosa stessimo dicendo, e non ci siamo mai lasciati

cadere in squallide forme di falso moralismo del tipo: "La musica è importante

perché arriva al cuore"... »

N: «Di certo non hai peli sulla lingua!»

A: «Ma neanche ipocrisie.».