Sottobanco innevato

8
Sottobanco innevato BOLLETTINO DI INFORMAZIONE PER STUDENTI INTELLIGENTI DICEMBRE 2010 Torino ha dato il massimo, e non solo durante la lunghissima giornata di lotta del 30 novembre, ma lungo il corso di due lunghi anni di mobilitazione contro l’oscurantismo della Gelmini. Dopo un lungo periodo di lavoro e di informazione nelle facoltà, una nuova ondata di dissenso ha scatenato gli studenti portandoli ad occupare Palazzo Campana, storico luogo d’inizio del ‘68 italiano, e proseguire la mobilitazione a Palazzo Nuovo, occupato dopo una partecipatissima e calorosa assemblea. Martedì 30 novembre gli studenti hanno riempito le strade per tutta la giornata, dando vita a blocchi del traffico, dei treni, della tangenziale. Scrivo da Torino ma potrei benissimo parlare di Roma, Pisa, Bologna, Firenze, Palermo, Napoli, Catania, Aosta... Ogni città si è sollevata per ribadire la sua indisponibilità, costruita durante questi anni di mobilitazioni, a subire un disegno di legge distruttivo, iniquo, autoritario, tutto mirato a fare dell’università un luogo di privilegio di classe, di conferma dello status quo, di laboratorio di precariato, di eliminazione degli spazi collettivi e democratici. Pensiamoci: perché in questi anni i due massimi luoghi di conflitto sono stati quelli delle fabbriche (Pomiglia- no ad esempio) e delle università? La risposta sta nel loro essere i pochi spazi collettivi rimasti, i pochi luoghi dove gli interessi del singolo possono allacciarsi con quelli di un insieme di simili, dove le rivendicazioni possono passare dal particolare al generale, dove i problemi -come le loro soluzioni- sono comuni. Luoghi non atomizzati, non ancora almeno. Quello che vogliamo è difendere questi beni collettivi garantendone la natura pubblica, lottando perché diventino i luoghi cardine della democrazia, del libero sviluppo di ciascuno, del fulcro di relazioni sociali fondate sulla dignità, sul rispetto, sul bene comune. Non spenderò ulteriori parole sulle ragioni di una protesta che per due anni ininterrotti si è raccontata e legit- timata nelle facoltà, nelle piazze, nei luoghi di lavoro. Oggi come mai si tratta di far convergere parole, lotte, esperienze, ragioni e fatiche in un unico slancio, non solo per buttare nel cestino uno dei più vergognosi pro- cessi di smantellamento del sapere mai proposti, ma anche per contribuire a mandare a casa uno dei governi più scandalosi della storia repubblicana. Dopo aver sentito il sapore di una sconfitta bruciante con l’approvazione del ddl alla Camera dei deputati, la notizia dello slittamento della sua discussione in Senato a dopo la votazione della fiducia al Governo (14 di- cembre) è stata una boccata d’aria fresca, una conquista che ha dimostrato come la determinazione di studenti e ricercatori abbia raggiunto un livello tale da non poter essere ignorata. Credo che in questi anni noi studenti abbiamo raggiunto la maturità per riconoscersi come soggetto sociale capace di sviluppare un’elevata con- flittualità e una serissima critica del modello di sviluppo sociale, economico e culturale che stanno provando a far entrare anche nelle nostre scuole. Abbiamo fatto emergere una vera e propria questione generazionale, quella della nostra impossibilità a costruirci un futuro dignitoso tra precarietà e privatizzazione dei luoghi di vita, di lavoro e del sapere. Dobbiamo allora rivendicare con ancora più forza la volontà di scrivere NOI una riforma dell’università, noi che l’abbiamo vissuta nel vero senso della parola, noi che l’abbiamo difesa, noi che l’abbiamo sostenuta, noi che le abbiamo dato vita riempiendola di contenuti nonostante docenti rassegnati e baroni immanicati. Dobbiamo poi connetterci con le altre categorie sociali per ribadire che “non vogliamo un’università d’oro in un mondo di merda”: vogliono imporci un modello sociale basato sulla sopraffazio- ne, sulla competizione, sulla privatizzazione delle risorse comuni, sulla demolizione degli spazi democrati- ci e sulla precarizzazione delle nostre esistenze. Lottando per un’altra università non possiamo non tener presente che il pas- so immediatamente successivo è quello di proiettare i nostri valori al di fuori di essa. Se la scuola forma il cittadino, ecco che il cittadino dà forma ad una società: che questa sia libera, ugualitaria, giusta, democratica dipende dal nostro sforzo di seguire il filo rosso che lega ogni lotta, da quelle del mondo del lavoro precario a quelle del mondo della conoscenza. Dobbiamo quindi fa convergere tutti i nostri sforzi perché il 14 dicembre tutto il paese dimostri la propria sfiducia e la propria avversità ad un Governo indegno e classista, rappresentante di una casta arrogante nemica dei beni comuni, del lavoro, della conoscenza. Dal diritto allo studio al contratto nazionale, diventiamo un’u- nica voce, costruiamo un unico movimento! Matteo Castello

description

dicembre 2010

Transcript of Sottobanco innevato

Page 1: Sottobanco innevato

S o t t o b a n c oinn e v a t o

BOLLETTINO DI INFORMAZIONE PER STUDENTI INTELLIGENTI – DICEMBRE 2010

Torino ha dato il massimo, e non solo durante la lunghissima giornata di lotta del 30 novembre, ma lungo il corso di due lunghi anni di mobilitazione contro l’oscurantismo della Gelmini. Dopo un lungo periodo di lavoro e di informazione nelle facoltà, una nuova ondata di dissenso ha scatenato gli studenti portandoli ad occupare Palazzo Campana, storico luogo d’inizio del ‘68 italiano, e proseguire la mobilitazione a Palazzo Nuovo, occupato dopo una partecipatissima e calorosa assemblea. Martedì 30 novembre gli studenti hanno riempito le strade per tutta la giornata, dando vita a blocchi del traffico, dei treni, della tangenziale. Scrivo da Torino ma potrei benissimo parlare di Roma, Pisa, Bologna, Firenze, Palermo, Napoli, Catania, Aosta... Ogni città si è sollevata per ribadire la sua indisponibilità, costruita durante questi anni di mobilitazioni, a subire un disegno di legge distruttivo, iniquo, autoritario, tutto mirato a fare dell’università un luogo di privilegio di classe, di conferma dello status quo, di laboratorio di precariato, di eliminazione degli spazi collettivi e democratici.Pensiamoci: perché in questi anni i due massimi luoghi di conflitto sono stati quelli delle fabbriche (Pomiglia-no ad esempio) e delle università? La risposta sta nel loro essere i pochi spazi collettivi rimasti, i pochi luoghi dove gli interessi del singolo possono allacciarsi con quelli di un insieme di simili, dove le rivendicazioni possono passare dal particolare al generale, dove i problemi -come le loro soluzioni- sono comuni. Luoghi non atomizzati, non ancora almeno. Quello che vogliamo è difendere questi beni collettivi garantendone la natura pubblica, lottando perché diventino i luoghi cardine della democrazia, del libero sviluppo di ciascuno, del fulcro di relazioni sociali fondate sulla dignità, sul rispetto, sul bene comune.Non spenderò ulteriori parole sulle ragioni di una protesta che per due anni ininterrotti si è raccontata e legit-timata nelle facoltà, nelle piazze, nei luoghi di lavoro. Oggi come mai si tratta di far convergere parole, lotte, esperienze, ragioni e fatiche in un unico slancio, non solo per buttare nel cestino uno dei più vergognosi pro-cessi di smantellamento del sapere mai proposti, ma anche per contribuire a mandare a casa uno dei governi più scandalosi della storia repubblicana. Dopo aver sentito il sapore di una sconfitta bruciante con l’approvazione del ddl alla Camera dei deputati, la notizia dello slittamento della sua discussione in Senato a dopo la votazione della fiducia al Governo (14 di-cembre) è stata una boccata d’aria fresca, una conquista che ha dimostrato come la determinazione di studenti e ricercatori abbia raggiunto un livello tale da non poter essere ignorata. Credo che in questi anni noi studenti abbiamo raggiunto la maturità per riconoscersi come soggetto sociale capace di sviluppare un’elevata con-flittualità e una serissima critica del modello di sviluppo sociale, economico e culturale che stanno provando a far entrare anche nelle nostre scuole. Abbiamo fatto emergere una vera e propria questione generazionale, quella della nostra impossibilità a costruirci un futuro dignitoso tra precarietà e privatizzazione dei luoghi di vita, di lavoro e del sapere. Dobbiamo allora rivendicare con ancora più forza la volontà di scrivere NOI una riforma dell’università, noi che l’abbiamo vissuta nel vero senso della parola, noi che l’abbiamo difesa, noi che l’abbiamo sostenuta, noi che le abbiamo dato vita riempiendola di contenuti nonostante docenti rassegnati e baroni immanicati. Dobbiamo poi connetterci con le altre categorie sociali per ribadire che “non vogliamo un’università d’oro in un mondo di merda”: vogliono imporci un modello sociale basato sulla sopraffazio-ne, sulla competizione, sulla privatizzazione delle risorse comuni, sulla demolizione degli spazi democrati-

ci e sulla precarizzazione delle nostre esistenze. Lottando per un’altra università non possiamo non tener presente che il pas-so immediatamente successivo è quello di proiettare i nostri valori al di fuori di essa. Se la scuola forma il cittadino, ecco che il cittadino dà forma ad una società: che questa sia libera, ugualitaria, giusta, democratica dipende dal nostro sforzo di seguire il filo rosso che lega ogni lotta, da quelle del mondo del lavoro precario a quelle del mondo della conoscenza. Dobbiamo quindi fa convergere tutti i nostri sforzi perché il 14 dicembre tutto il paese dimostri la propria sfiducia e la propria avversità ad un Governo indegno e classista, rappresentante di una casta arrogante nemica dei beni comuni, del lavoro, della conoscenza.Dal diritto allo studio al contratto nazionale, diventiamo un’u-nica voce, costruiamo un unico movimento!

Matteo Castello

Page 2: Sottobanco innevato

2 S o t t o b a n c o S o t t o b a n c o

U n c a m p u s p e r q u a l e u n i ve r s i t à ? H o r i n u n c i a t o a l l a m i a o r a d i l i b e r t àIl cammino dell’Università valdostana ha avuto inizio nel 1997 quando ha preso il via il lungo iter burocratico che ha portato, nell’estate del 2000, all’approvazione del progetto da parte della Commissione Nazionale del Sistema Universitario. In questi dieci anni l’ateneo è cresciuto ed ha iniziato ad attirare studenti anche da fuori valle, facendo sperare in un’ ulteriore crescita dell’offerta didattica. Queste prospettive sono sembrate diventare reali negli ultimi anni quando si è fatto strada il progetto di conversione della Caserma Testafochi in polo universitario in grado di dare una svolta anche alla vita sociale della cittadina aostana. Invece, come spesso accade in questa regione, i sogni si sono dileguati in fretta al contatto con la fredda realtà. Cerchiamo di ripercorrere alcune delle tappe del percorso verso il futuro campus.Il 12 novembre 2009 la Regione ufficializzava la creazione di una società a responsabilità limitata -La Nuova Università Valdostana srl-, con mandato di procedere all’adeguamento della caserma Testafochi alle necessità di un polo e di un campus universitario. Lo scorso 26 febbraio il Consiglio comunale d’Aosta ha approvato il piano urbanistico di dettaglio della zona interessata alla costituzione della nuova sede dell’Università e il 13 maggio, dieci giorni prima cioè del voto per il rinnovo del Consiglio stesso, il Sindaco Grimod, in un Consiglio comunale straordinario faceva approvare l’accordo di programma con la Regione. Milanesio, amministratore della Nuova Università valdostana srl, nel frattempo aveva assegnato la pianificazione della nuova sede universitaria all’architetto Mario Cucinella, collaboratore di Renzo Piano. Un progetto di massi-ma, certo, ma per una sede universitaria “disegnata” prima ancora di conoscerne le vocazioni funzionali: con 50 aule, 11 laboratori, 46 uffici per il corpo docente, 36 uffici amministrativi, una casa per lo studente con 100 posti e così via. Non c’è stato nessun tavolo di confronto tra l’imprenditore e il mondo accademico valdostano tanto che in un convegno di presentazione tenutosi a St. Vincent il 10 settembre erano assenti sia il Magnifico Rettore sia l’Assessore Regionale alla cultura. Le idee dell’amministrazione regionale sul futuro dell’università appaiono confuse anche per quanto riguarda l’offerta didattica. Nello scorso inverno infatti l’unico corso di Laurea Magistrale dell’Ateneo, quello in Psi-cologia, è stata cancellato dal Presidente della Regione (e dell’università) Rollandin. Solo dopo una protesta portata avanti da noi studenti, coadiuvati dal Collettivo Studentesco Valdostano, si è ottenuto un rinvio di due anni alla decisione di chiusura che continua, per volontà politica (e non accademica né motivata da un basso numero di iscrizioni!), ad essere irrevocabile.Ci si trova dunque di fronte ad una situazione a nostro avviso inquietante: la volontà politica ed imprendi-toriale di cominciare i lavori di costruzione del nuovo campus sembra ottenebrare le menti di chi dovrebbe guardare al futuro, rendendogli impossibile vedere oltre il muro del proprio ufficio. Lo stanziamento di fondi per la costruzione di un campus è un’ottima prospettiva, ma ci chiediamo a chi sarà destinato, giacché dal 2012 l’Ateneo valdostano offrirà solo CdL triennali che, malgrado i loro ottimi livelli della didattica, non potranno attirare molti studenti da fuori valle.

Il rischio ci appare dunque quello di costruire unicamente un conte-nitore senza preoccuparsi della vita accademica che dovrà sviluppar-si al suo interno. Sarebbe triste e desolante constatare che, nell’ansia di appaltare i lavori, ci si fosse dimenticati di fissare una meta altra dal guadagno e dall’occasione imprenditoriale. Ci piacerebbe poter assistere all’apertura di un tavolo pubblico di confronto tra mondo imprenditoriale, politico e accademico, per comprendere quali in-tenzioni ci sono per il futuro dell’università in Valle d’Aosta invece che subire atti unilaterali che ci usurpano di questa possibilità. Per concludere uniamo il nostro urlo di protesta alle grida che si levano da ogni università e scuola italiana contro la riforma Gelmini e i tagli di Tremonti, senza dimenticare però la situazione del nostro Ateneo e la determinazione nel non rassegnarci a veder privati della possibilità di terminare il percorso di studi (3+2) a chi ha iniziato la triennale in Scienze e Tecniche Psicologiche e, al momento, è senza specialistica.

Un gruppo di studenti dell’Università di Aosta

Page 3: Sottobanco innevato

Di respirare la stessa aria di un secondino non mi va perciò ho deciso di rinunciare alla mia ora di libertà

se c’è qualcosa da spartire tra un prigioniero e il suo piantone che non sia l’aria di quel cortile voglio soltanto che sia prigione che non sia l’aria di quel cortile voglio soltanto che sia prigione.

È cominciata un’ora prima e un’ora dopo era già finita ho visto gente venire sola e poi insieme verso l’uscita

non mi aspettavo un vostro errore uomini e donne di tribunale se fossi stato al vostro posto... ma al vostro posto non ci so stare.

Fuori dell’aula sulla strada ma in mezzo al fuori anche fuori di là ho chiesto al meglio della mia faccia una polemica di dignità

tante le grinte, le ghigne, i musi, vagli a spiegare che è primavera e poi lo sanno ma preferiscono vederla togliere a chi va in galera e poi lo scanno ma preferiscono vederla togliere a chi va in galera.

Tante le grinte, le ghigne, i musi, poche le facce, tra loro lei, si sta chiedendo tutto in un giorno si suggerisce, ci giurerei quel che dirà di me alla gente quel che dirà ve lo dico io da un po’ di tempo era un po’ cambiato ma non nel dirmi amore mio

Certo bisogna farne di strada da una ginnastica d’obbedienza fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni.

E adesso imparo un sacco di cose in mezzo agli altri vestiti uguali tranne qual’è il crimine giusto per non passare da criminali.

C’hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame

Di respirare la stessa aria dei secondini non ci va e abbiamo deciso di imprigionarli durante l’ora di libertà venite adesso alla prigione state a sentire sulla porta la nostra ultima canzone che vi ripete un’altra volta per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti. Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti. Fabrizio De André

S o t t o b a n c o 3S o t t o b a n c o

H o r i n u n c i a t o a l l a m i a o r a d i l i b e r t àOggi, 9 novembre, noi falsi liberi festeggiamo l’inizio della nostra libertà il-lusoria. Entriamo in quell’era durante la quale condivideremo felicemente e senza accorgercene la nostra ora di libertà con i nostri secondini. Oggi abbrac-ciamo la libertà americana per dimenticare il nostro stato di oppressi. Proprio in questo giorno tutte quelle vittime consapevoli del fatto che non esistono poteri buoni vengono liberate per essere rinchiuse assieme a tutti gli altri illu-si. Il muro di Berlino è finalmente crollato e in questo modo tutti gli oppressi di quella Berlino comunista possono finalmente sentirsi liberi di cadere nella trappola della libertà americana, quella libertà che ci permette di cercare la nostra felicità attraverso un consumismo fine a se stesso, cadendo vittime di quella realtà in cui l’uomo si trova suddito della realtà che lui stesso a prodotto e continua a produrre, dove la socialità viene feticizzata in cosalità. Proprio mentre il muro cade l’uomo dimentica la sua situazione di oppresso e smette di sognare una libertà diversa. Così decidiamo di fingerci liberi credendo di aver trovato la vera libertà, la libertà di acquistare senza ritegno. Oggi il nostro oppio non è più la religione ma l’illusione di essere liberi. Prima della caduta del muro si era almeno consapevoli della situazione di oppressione in cui si era costretti, si conoscevano i propri carcerieri e si percepiva il confine della nostra prigione. Ora invece confondiamo i nostri carcerieri con i nostri liberatori e confondiamo il muri del nostro carcere con i confini della nostra libertà. Chi prima viveva dall’altra parte del muro era consapevole di essere una pedina nelle mani del potere e proprio per questo motivo non smetteva di sognare un mondo migliore, ora invece non sentiamo più il bisogno di sognare perché il potere di chi ci comanda sta proprio nell’illuderci di essere liberi, liberi di comprare ogni cosa in modo da comprarci anche la felicità. Non dico di rimpiangere l’Unione Sovietica, ma di non abituarvi a “condivi-dere la vostra ora di libertà con i vostri secondini”. Piuttosto rinuncio alla mia ora di libertà ma così non rinuncio alla consapevolezza di essere schiavo e che chi si presenta come mio liberatore in realtà è semplicemente il mio carceriere.Non c’è carcere peggiore di quello che non vediamo, quelle mura che ognuno di noi si costruisce attorno credendo di esserne protetto, l’illusione di essere liberi.

Un gruppo di studenti dell’Università di Aosta

Gianluca Favre

Page 4: Sottobanco innevato

4 S o t t o b a n c o

U n a g i o r n a t a m o n d i a l eIl 25 novembre, appena trascorso, è stato il giorno prescelto per la “giornata mondiale con-tro la violenza sulle donne”.Com’è possibile che nel nostro mondo colto e civilizzato esistano ancora donne malmenate, bambine picchiate e molestate, donne di ogni età che si umiliano e si vendono per la fama e il denaro?Qual è il procedimento che fa si che le donne siano in una condizione di inferiorità rispetto agli uomini, soggiogate dalla prestanza fisica e dall’idea del potere? Qual è la linea sottile che divide la normalità dalla violenza nella vita quotidiana?Ad oggi la figura femminile è enormemente utilizzata come strumento pubblicitario; quasi sempre seminuda, la donna diventa la graziosa cornice ai più disparati prodotti, che spesso e volentieri non hanno nulla a che vedere con il corpo femminile.Così abbiamo le posizioni del kamasutra per rispondere al telefonino, abbiamo la pubblici-

tà della ragazza appesa accanto ai prosciutti, e come quest’ultimi marchiata sui glutei, senza un minimo di umanità.Dobbiamo però renderci conto che questa non è l’immagine specchio della donna: questo corpo orrendamente ritoccato dai miracoli del bisturi, del trucco e delle scollature non è la genuina natura delle donne. Negli anni ’60 del novecento la pubblicità, la moda, sono stati strumenti per scoprire il corpo femminile dai veli che lo soffocavano; purtroppo col trascinarsi dei decenni la situazione è degenerata nell’eccesso opposto, trascinando nel fango e nell’ignoranza, celando dietro una sorta di eccitamento comune la reale identità di tutte le donne!In particolare in Italia, dove le donne in televisione sono rinchiuse sotto un tavolo di plexiglas, considerate alla stregua di gambe del tavolo, dove le giovani fanno il karaoke a casa delle più alte cariche dello stato, si è fatta strada la subdola idea che il fisico, la prestazione sessuale, siano le magiche chiavi delle porte del potere: che sia esso economico, politico, di prestigio sociale.Pretendere che vengano rispettati i canoni minimi di dignità non è, come potrebbe sembrare, un’utopistica speranza. In alcuni degli altri Paesi occidentali questi diritti esistono e sono rispettati e protetti con impegno e con amore, partendo dalla quotidianità,passando per il marketing per arrivare infine alla politica: la nostra vicina mediterranea, la cattolicissima Spagna, difende i diritti delle donne con reale costanza. Ai bambini, per esempio, vengono assegnati i cognomi di entrambi i genitori. Esistono inoltre delle leggi che regolano l’utilizzo del corpo femminile nella pubblicità, e persino all’interno del governo le donne rivestono ruoli di importanza fondamentale: la carica di ministro degli esteri e quella di ministro della difesa, per citarne un paio, sono rivestite da donne.Questa situazione dovrebbe insegnarci che è possibile, legittimo rivendicare il nostro diritto ad essere delle persone con una dignità, degli ideali e delle capacità celebrali e di conseguenza delle possibilità di successo pari a quelle maschili.Rivendichiamo il sacrosanto diritto sancito dalla nostra beneamata costituzione: siamo tutti uguali davanti alla legge, SENZA DISTINZIONI DI SESSO, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e condizioni sociale e personali.Ragazze, donne di oggi e di domani, alziamo la testa, troviamo il coraggio di dire basta!

Matilde Beuchod

Page 5: Sottobanco innevato

S o t t o b a n c o 5S o t t o b a n c o

U n a g i o r n a t a m o n d i a l e Una l ez ione d i p recar i e tà da CEPU-Grand i Scuo leDa gennaio a settembre sono stato sot-to contratto con CESD SRL, società che raduna i gruppi CEPU e Grandi Scuole, svolgendo l’attività di tutor presso la sede di Aosta. E’ stata una bella esperienza di lavoro, che mi ha permesso per mesi di ter-minare l’università e contemporaneamen-te lavorare per mettere da parte qualche soldo. Ovviamente il tutto con contratto a progetto, in una classica collaborazione precaria a tempo determinato. Nonostan-te la scadenza del contratto fissata al 15 settembre per mesi mi sento ripetere dal coordinatore della sede (sia quello vecchio che quello nuovo subentrato ad agosto-settembre) che mi verranno confermati il contratto e le ore di lezione avute prece-dentemente. Anzi, dovrebbe esserci pure la possibilità che queste aumentino, viste le mutate condizioni (che non starò qui a elencare nel dettaglio) rispetto all’anno precedente. Frequentemente mi reco in sede per chiedere sull’inizio dei nuovi corsi e sui tempi per firmare nuovamente il contratto. Mi si ripete che questo non è pronto ma che non ci saranno problemi nei miei confronti, e che l’inizio lezione è previsto per il 18 ottobre. La settimana precedente il 18 posso assistere personalmente alla stesura provvisoria degli orari con all’interno il mio nominativo, anche se mi viene annunciato che ci saranno dei ritardi ulteriori per l’inizio delle lezioni, ma che verrò avvisato al momento opportuno. Nel frattempo si svolge anche un incontro voluto dalla dirigenza con i tutor della sede. Essendo convocato mi presento per l’incontro, che serve più che altro alle nuove reclute. Non mi sfuggono però un paio di provocazioni arrivate dalla dirigenza, che mi identifica come quello che “si intende di vertenze sindacali” e che alla mia domanda sulla possibilità di firmare i con-tratti mi risponde vagamente che è già possibile farlo ma che non è detto che ciò avvenga, in quanto occorre vedere se “c’è la classe” relativa al tutor. Per uno che insegna una materia “universale” nelle superiori come italiano (oltre a storia e filosofia) una classe si dovrebbe trovare, mi dico, ma sento crescere un po’ di preoc-cupazione. Questa affonda soprattutto al primo riferimento sul sindacato: è ormai risaputo in sede della mia appartenenza alla CGIL (membro del direttivo regionale), e forse ci si ricorda quando pochi mesi addietro minacciai di fare una vertenza sindacale al gruppo. Il motivo? Forse una pericolosa rivoluzione bolscevica o la richiesta di avere migliori condizioni di lavoro? No, semplicemente la richiesta che venissero pagate rego-larmente le ore di lavoro svolte dai tutor, cosa che un’azienda in notevole utile (contrariamente a quanto viene costantemente detto ai dipendenti, che cioè la sede sia in perdita) può permettersi di fare. Risultato? Lunedì 25 mi reco alla sede per avere aggiornamenti, preoccupato per il ritardo dell’inizio lezioni. Ma quando arrivo le lezioni erano già in corso. Il mio nome era stato cancellato dagli orari e non mi era stato comunicato (neanche telefonicamente) nulla. Formalmente nulla di illegale è stato fatto. Ognuno può farsi un’idea propria degli eventi, per quanto mi riguarda spiacevoli soprattutto sotto l’aspetto umano. Al mio posto è stata assunta una ragazza nuova, probabilmente più brava del sottoscritto, anche se c’è da chiedersi se sia questo il motivo per cui non è stato richiamato un fresco laureato in Lettere e Filosofia con 110 e lode. Uno che comunque in sei mesi aveva fatto esperienza d’insegnamento, crescendo personalmente e trovando apprezzamento in ragazzi che spesso chiedevano di poter lavorare appositamente con il sottoscritto. Non lo dico per vantarmi, ma per far notare che forse non sempre il servizio privato funziona meglio del pubblico, perché non sempre le logiche sono quelle della qualità, della meritocrazia e dei diritti. D’altronde una voce girava minacciosa fin dai primi giorni di lavoro: “questa è un’azienda, non una scuola”...

Matilde Beuchod Alessandro Pascale

Page 6: Sottobanco innevato

S o t t o b a n c o6 S o t t o b a n c o

R a z z i s m o , c h e s i p o t r e b b e f a r e ? Te s t a m e n t o d i u n ve n t e n n e c h ed a g r a n d e v u o l e f a r e i l f i l o s o f o .Dopo un’attenta inchiesta svolta dall’istituto Swg di Trieste e promossa dalla Conferenza dei Presidenti delle

Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome si è giusti a una conclusione: il 45% dei gio-vani fra i 18 e i 26 anni è razzista. Dato scandaloso se si tiene conto delle dichiarazioni che quotidianamente sono rilasciate dai politici italiani, secondo i quali non resta nemmeno l’ombra di tale ideologia. Ma, ahimè, non sempre le parole dai modi affabili degli uomini di politica sono veritiere.E allora questa è l’ennesima conferma del fatto che questa piaga continua a sopravvivere tra la gente, dap-pertutto...Ma che cosa porta a un così grande radicamento del razzismo nel popolo italiano? Esso è ovunque, ma in paesi come Francia, Inghilterra e Stati Uniti è infinitamente minore.Sarà forse perché l’Italia è un paese da poco abituato agli stranieri? Questa è una possibile causa.Ma soprattutto la società fa poco, se non niente, per debellare questo germe che ostacola i rapporti fra i cit-tadini.Lo stato, tramite i mass media, tanto attenti al gossip dei vip, potrebbe iniziare una campagna di sensibiliz-zazione contro qualunque forma di razzismo, avvalendosi di special guest per l’occasione. In Italia, paese di grandi telespettatori, dove la parola dei vip vale più di quella degli scienziati, quest’idea potrebbe riscuotere un gran successo.Potrebbe dar vita a una serie di progetti per i giovani volti a insegnar loro i valori del rispetto e della tolleranza.Potrebbe, anziché criminalizzare gli irregolari e premiare coloro che li “scovano”, istituire tutta una serie sanzioni per chi commette atti di razzismo.Potrebbe favorire l’integrazione degli stranieri mediante corsi di italiano intensivi e gratuiti, con un impiego di fondi maggiore di quello attuale (che è quasi nullo), per tutti coloro che arrivano in Italia.Potrebbe istituire delle percentuali minime di stranieri alla politica, delle specie di quote rosa applicate però

agli immigrati.Ma questi purtroppo sono tutti dei “potrebbe”…Lo Stato, senza la richiesta del popolo, non agi-sce mai negli interessi di quest’ultimo. Allora la gente dovrebbe mobilitarsi, dovrebbe agire, af-finché un giorno l’Italia sia veramente un paese accogliente per coloro che vi migrano alla ricer-ca di un lavoro, dovrebbe finalmente cercare di superare quella barriera che è il pregiudizio ed essere accogliente nei confronti di chi non chie-de che un po’ di dignità.

Gran brutta malattia il razzismo. Più che altro strana: colpisce i bianchi, ma fa fuori i neri.

Albert Einstein

I terroni non so, ma noi italiani non siamo raz-zisti.

Ellekappa

Io non domando a che razza appartenga un uomo, basta che sia un essere umano; nessuno può essere qualcosa di peggio.

Mark Twain

Vivere nel mondo di oggi ed essere contro l’u-guaglianza per motivi di razza o colore è come vivere in Alaska ed essere contro la neve.

William Faulkner

Samir Bastajib

Page 7: Sottobanco innevato

7S o t t o b a n c oS o t t o b a n c o

Te s t a m e n t o d i u n ve n t e n n e c h ed a g r a n d e v u o l e f a r e i l f i l o s o f o .

Con quale pretesa, qualcuno di voi dirà, Altai vuole darci consigli?La risposta è semplice. Nessuna pretesa. Vo-glio rendervi partecipi delle scelte che avrei voluto fare, che ho fatto e che farò di qui a breve. Non perché siano le migliori, ma per-ché io le ritengo tali.Numero Uno: Vivete. Vivere equivale a met-tersi in gioco, a lottare, a correre, a respirare intensamente, a piangere, a ridere... Vivere è compiere azioni, non subirle. Dire: “come va va”oppure “tanto non cambia nulla” non è vivere, è subire il vivere altrui, è essere com-plementi di termine invece che soggetti. Non crediate di essere inutili, forse è vero, siamo abitanti di un sassolino in un immenso abisso, ma ogni cosa ha la sua dimensione, e la nostra sono le relazioni, con gli altri col mondo e con noi stessi. Non dimenticatevi mai di voi stessi perché il soggetto vivente ha il vostro nome e ha la vostra faccia, prima che il nome e il volto di tutto il resto.Numero Due: Riconoscete il merito. Così come riconoscete il torto. Si può sbagliare, così come si può fare di tutto per rimediare. Riconosciate lo sforzo di chi si impegna per cancellare il proprio errore. Non siate defini-tivi, la vita, la natura, la scienza non lo sono. Perché dovreste esserlo voi?Numero Tre: Siate critici. Non cestinate nulla che crediate falso, né assumete ogni credenza per giusta. Ragionate, valutate, informatevi e ascoltate il vostro stomaco. Solo quando una credenza sarà conosciuta in tutto e per tutto potrete farla vostra e a quel punto lottare per essa. Ascoltate sempre chi ha un parere diverso dal vostro, se non altro per il piacere di smontarglielo. Non crediate mai di avere la verità in tasca, siate pronti ad ammettere di poter aver cambiato idea, o di non poter dare tutte le spiegazioni, non esiste una teoria sempre vera e sempre efficace e se davvero esiste dubitatene, quasi sicuramente è inconsistente.Numero Quattro: Ricordate di essere liberi. Non permettete a nessuno di limitarvi, soprattutto da coloro che sono amici. Ricordatevi che chi vi impone una scelta usando come ricatto l’amicizia è nel torto sempre e comunque. Chi vi nega la felicità per egoismo, non può considerarsi un vero amico. E se nonostante tutto cercherete di raggiungere quel senso di completezza emotiva che chiamiamo felicità rompendo il ricatto, ricordatevi che avete espresso ciò che di più proprio e più bello esiste, la libertà.Numero Cinque: Non Odiate. Non Odiate nessuno, per il semplice fatto che odiare è dare importanza a chi forse non la merita, un’importanza malata ed esagerata che danneggia più chi odia che chi viene odiato. Ri-cordate che non è l’Odio il contrario dell’Amore, infatti non esiste nulla di più vicino all’amore come l’odio, il sentimento ha la stessa intensità, sono i risvolti che cambiano. Se non volete amare siate indifferenti, è forse questa l’unica arma che danneggia solamente colui verso cui rivolgiamo il nostro sentimento.Numero Sei: Divertitevi. Perché divertirsi è rendere a sé qualcosa. Divertirsi è fare qualcosa non perché si deve, ma perché si vuole, e non esiste espressione di gratitudine maggiore di quella verso noi stessi. Ridete, scherzate, esagerate... Perché è nel divertirsi che ci ricordiamo che il mondo in cui viviamo, non sarà il mi-gliore, ma è pur sempre bellissimo.Spero che questa mio testamento diventi il vostro spunto di riflessione. Senza nessuna pretesa.

Samir Bastajib

Altai Garin

Page 8: Sottobanco innevato

5 0 F i l m c h e b i s o g n a v e d e r e a 1 6 a n n i !Una lista secca con titolo, regista e anno. Senza ulteriori spiegazioni, trame e motivazioni. Solo sulla base di un giudizio collettivo (grazie all’aiuto della redazione di storiadeifilm.it) basato sul godimento, il successo artistico e popolare di pellicole che per la loro capacità di far pensare, divertire ed esaltare possono e devono essere visti durante l’adolescenza senza impegno o noia. Perché vi divertiranno e alcuni potrebbero davvero cambiarvi la vita...

Memento – Cristopher Nolan (2000)Il grande Lebowski – Joel & Ethan Coen (1998)Amici miei – Mario Monicelli (1975)Lavorare con lentezza – Guido Chiesa (2004)Videodrome – David Cronenberg (1983)1997 Fuga da New York – John Carpenter (1981)Paz! – Renato Di Maria (2002)Le iene – Quentin Tarantino (1992)Brian di Nazareth – Terry Jones (1979)Religiolus, vedere per credere – Larry Charles (2008)E morì con un felafel in mano – Richard Lowenstein (2001)Giù la testa – Sergio Leone (1971)Crank – Mark Neveldine & Brian Taylor (2005)Il padrino (I & II) – Francis Ford Coppola (1972 e 1974)Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto – Elio Petri (1970)Taxi Driver – Martin Scorsese (1976)Santa Maradona – Marco Ponti (2001)Non per soldi, ma per denaro – Billy Wilder (1966)Che l’Argentino – Steven Soderbergh (2008)Wall Street – Oliver Stone (1987)Sbatti il mostro in prima pagina – Marco Bellocchio (1972)Underground – Emir Kusturica (1995)Brazil – Terry Gilliam (1985)

Easy Rider – Dennis Hopper (1969)Fa’ la cosa giusta – Spike Lee (1989)Il grande dittatore – Charlie Chaplin (1940)Capitalism, a love story – Michael Moore (2009)Rosemary’s baby – Roman Polanski (1968)L’onda – Dennis Gansel (2008)Il buono, il brutto, il cattivo – Sergio Leone (1966)Le Invasioni Barbariche – Denys Arcand (2003)Full metal jacket – Stanley Kubrick (1987)Fantozzi – Luciano Salce (1975)Donnie Darko – Richard Kelly (2001)Pulp Fiction – Quentin Tarantino (1994)I cento passi – Marco Tullio Giordana (2000)Il favoloso mondo di Amélie – Jean – Pierre Jeunet (2001)Prendi i soldi e scappa – Woody Allen (1969)Lock & stock, pazzi scatenati – Guy Ritchie (1968)Terra e libertà – Ken Loach (1995)Natural Born Killers – Oliver Stone (1994)Toro scatenato – Martin Scorsese (1980)Quinto potere – Sidney Lumet (1976)La meglio gioventù – Marco Tullio Giordana (2003)L’alba dei morti dementi – Edgar Wright (2004)La classe operaia va in paradiso – Elio Petri (1971)Apocalypse Now – Francis Ford Coppola (1979)Clerks – Kevin Smith (1994)I diari della motocicletta – Walter Salles (2004)Goodbye Lenin – Wolfgang Becker (2003)

Leggi tutti i numeri di sottobanco

Chiedici informazioni, mandaci articoli e idee

Segui il gruppo di Sottobanco su facebook

IstruzIonI per dIventare uno studente Informato e IntellIgente

http://sottobanco.retecontesta.org

[email protected]

Sottobanco - Bollettino di infor-mazione per studenti intelligenti

a cura di Alessandro Pascale e storiadeifilm.it

CICL.IN.PROP.VIA MOCHET, 7 PRC