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Dr. Archeologo Raffaella Bortolin Via Roma, 35 33080 Porcia (PN) [email protected] - P.IVA 01711060937 1 Soprintendenza Archeologia del Friuli Venezia Giulia FVG Strade S.p.A. REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA PROVINCIA DI UDINE Comune di Ovaro OV16SR355 S.R. 355 della Val Degano Realizzazione di una rotatoria in comune di Ovaro (UD) in corrispondenza dell’accesso alla cartiera alla progr. 8+740 e rettifica del profilo longitudinale nel tratto dalla progr. 7+530 alla progr. 7+890. Valutazione di Impatto Archeologico (art. 95 del D.Lgs 163/2006) Relazione tecnica Dr. Raffaella Bortolin

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Dr. Archeologo Raffaella Bortolin

Via Roma, 35 – 33080 Porcia (PN) [email protected] - P.IVA 01711060937

1

Soprintendenza Archeologia del Friuli Venezia Giulia

FVG Strade S.p.A.

REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA PROVINCIA DI UDINE

Comune di Ovaro

OV16SR355 S.R. 355 della Val Degano – Realizzazione di una rotatoria in comune di

Ovaro (UD) in corrispondenza dell’accesso alla cartiera alla progr. 8+740

e rettifica del profilo longitudinale nel tratto

dalla progr. 7+530 alla progr. 7+890.

Valutazione di Impatto Archeologico (art. 95 del D.Lgs 163/2006)

Relazione tecnica

Dr. Raffaella Bortolin

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Dr. Archeologo Raffaella Bortolin

Via Roma, 35 – 33080 Porcia (PN) [email protected] - P.IVA 01711060937

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INDICE

1. Introduzione .................................................................................................................. 3

2. Aspetti normativi e obiettivo della relazione .................................................................. 3

3. Aspetti metodologici ...................................................................................................... 4

3.1 Metodologia applicata all’analisi storica ..................................................................................5 3.2 Metodologia applicata alla localizzazione delle evidenze archeologiche ...............................5 3.3 Metodologia applicata all’analisi geomorfologica ....................................................................6

4. Inquadramento generale e storia del popolamento del territorio.................................... 6

4.1 La cartografia storica………………………….......................................................................18 4.2 Evidenze archeologiche nell'area .........................................................................................20

5. Dati telerilevati e ricognizione di superficie ................................................................. 23

6. Valutazione del rischio archeologico ........................................................................... 24

7. Aspetti geomorfologici e idrografici ............................................................................. 25

8. Conclusioni ................................................................................................................. 25

9. Elenco delle Tavole .................................................................................................... 26

Abbreviazioni bibliografiche .............................................................................................. 27

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Ovaro –Valdegano, Verifica preventiva dell’interesse archeologico.

dr. Raffaella Bortolin 3

1. Introduzione

La presente relazione è redatta con la finalità di integrare la documentazione relativa al progetto di S.R. n.

355 DELLA VAL DEGANO. REALIZZAZIONE DI UNA ROTATORIA IN COMUNE DI OVARO (UD) IN

CORRISPONDENZA DELL’ACCESSO ALLA CARTIERA ALLA PROGR. 8+740 E RETTIFICA DEL

PROFILO LONGITUDINALE NEL TRATTO DALLA PROGR. 7+530 ALLA PROGR. 7+890, commissionato

da Friuli Venezia Giulia Strade S.p.A., Responsabile Unico del Procedimento dott. ing. Luca Vittori,

Referente della pratica dott. ing. Andrea Babolin. Il lotto di progetto si trova nel Comune di Ovaro, in

provincia di Udine.

Il progetto prevede due interventi principali:

- Intervento n° 1: conversione in rotatoria dell’attuale intersezione esistente al km 8+740 della S.R. n. 355

“della Val Degano) (incrocio di accesso alla Cartiera di Ovaro).

- Intervento n° 2: modifica altimetrica del tratto di S.R. compresa tra la progressiva Km 7+530 e la

progressiva Km 7+890 circa; in tale tratta è previsto l’abbassamento del piano stradale per la riduzione del

dosso.

2. Aspetti normativi e obiettivo della relazione

Si elencano di seguito i riferimenti normativi relativi alla procedura di Verifica preventiva dell’interesse

archeologico, riportati in successione cronologica:

- DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 21 DICEMBRE 1999, N. 554 “Regolamento d’attuazione della

Legge Quadro in materia di Lavori Pubblici 11 Febbraio 1994 n.109 e successive modificazioni”, art. 18, comma 1,

lettera d): sono indicate tra i documenti componenti il progetto preliminare “indagini geologiche, idrogeologiche e

archeologiche preliminari”.

- CODICE DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO (D.LGS. 22 GENNAIO 2004, N. 42, ART.12, COMMA 2): la

verifica preventiva dell’interesse archeologico viene prevista come verifica dell’interesse culturale di un’area.

- D.LGS. 26 APRILE 2005, N. 63, ART. 2-TER: verifica preventiva dell’interesse archeologico in sede di progetto

preliminare.

- LEGGE DALLA LEGGE 25 GIUGNO 2005, N. 109, ART. 2-TER (verifica preventiva dell’interesse archeologico) e

art. 2-quater (procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico) e l’art. 2-quinquies (disposizioni finali in

materia di verifica preventiva dell’interesse archeologico).

- CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI RELATIVI A LAVORI, SERVIZI E FORNITURE IN ATTUAZIONE DELLE DIRETTIVE

2004/17/CE E 2004/18/CE, CON D.LGS. 12 APRILE 2006, N. 163 (ARTT. 95-96): la verifica preventiva dell’interesse

archeologico “...si articola in due fasi costituenti livelli progressivi di approfondimento dell'indagine archeologica.

L'esecuzione della fase successiva dell'indagine è subordinata all'emersione di elementi archeologicamente significativi

all'esito della fase precedente.” (Legge 25 giugno 2005, n. 109, art. 2-quater, comma 1). Nella prima fase si deve

prestare “...particolare attenzione ai dati di archivio e bibliografici reperibili, all'esito delle ricognizioni volte

all'osservazione dei terreni, alla lettura della geomorfologia del territorio...” (Legge 25 giugno 2005, n. 109, art. 2-ter,

comma 1), mentre nella seconda fase, subordinata all’emersione di elementi archeologicamente significativi nella fase

precedente, la Soprintendenza territorialmente competente può richiedere l’esecuzione di sondaggi e scavi anche in

estensione.

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- D.M. N. 60 DEL 20 MARZO 2009: regolamento attuativo.

- CIRCOLARE 2012 (E ALLEGATI 1-2-3): indicazioni operative in merito alle attività di progettazione ed

esecuzione delle indagini archeologiche.

- CIRCOLARE DEL DIRETTORE GENERALE ARCHEOLOGIA DEL MIBACT IN DATA 20 GENNAIO 2016.

- NUOVO CODICE DEGLI APPALTI (attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE

sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei

settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di

contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), il cui art. 25 è interamente

dedicato alla “Verifica preventiva dell'interesse archeologico”.

Secondo la normativa vigente “...la procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico si articola in due fasi

costituenti livelli progressivi di approfondimento dell'indagine archeologica. L'esecuzione della fase successiva

dell'indagine è subordinata all'emersione di elementi archeologicamente significativi all'esito della fase precedente”

(D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 25, comma 8). Nella prima fase si deve prestare “...particolare attenzione ai dati di

archivio e bibliografici reperibili, all'esito delle ricognizioni volte all'osservazione dei terreni, alla lettura della

geomorfologia del territorio, nonché, per le opere a rete, alle fotointerpretazioni....” (D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 25,

comma 1), mentre nella seconda fase, subordinata all’emersione di elementi archeologicamente significativi

nella fase precedente, la Soprintendenza territorialmente competente può richiedere “a) esecuzione di

carotaggi; b) prospezioni geofisiche e geochimiche; c) saggi archeologici e, ove necessario, esecuzione di

sondaggi e di scavi, anche in estensione tali da assicurare una sufficiente campionatura dell'area interessata

dai lavori.” (D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 25, comma 8).

Alla luce di quanto indicato, la presente relazione produce un’analisi integrata corredata di apparato

cartografico, atta alla verifica dell’interesse archeologico dell’area oggetto dell’intervento sopra indicato (v.

par. 1).

In particolare, vengono valutate l’eventuale presenza di siti e/o evidenze archeologiche, l’esistenza di

valenze storiche e storico-architettoniche dell’area, nonché le caratteristiche geomorfologiche, rispetto alle

quali le azioni previste dall’intervento sopra citato potrebbero essere potenzialmente impattanti. A questo

scopo, fondamentali strumenti d’analisi sono:

Inquadramento e analisi storica

Analisi dei dati telerilevati

Ricognizioni di superficie volte all’osservazione del terreno

Inquadramento geomorfologico.

3. Aspetti metodologici

Il presente lavoro è frutto di un sistema d’analisi integrato basato su differenti metodologie d’indagine, volto a

raccogliere, sistematizzare e integrare i dati disponibili relativi all’area in oggetto, con lo scopo di inquadrarne

il contesto territoriale e paesaggistico e di evidenziarne le caratteristiche storico-culturali, architettoniche e

topografiche. Nel corso della ricerca, ci si è avvalsi di fonti e strumenti di diversa natura volti a registrare sia i

dati esistenti, che quelli di nuova acquisizione, ai fini di ottenere una lettura complessiva di tutte le evidenze.

Fondamentale è stato il supporto con le Istituzioni culturali del territorio, preposte alla raccolta delle

informazioni bibliografiche, archivistiche e cartografiche.

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3.1 . Metodologia applicata all’analisi storica

L’inquadramento storico dell’area, finalizzato alla valutazione delle evidenze storico-archeologiche note, è

basato sulla raccolta dei dati conservati negli archivi, dei dati toponomastici, di quelli recuperabili dallo

spoglio sistematico della bibliografia esistente relativa alla storia e allo sviluppo urbano del Comune di

Brugnera e, in particolare, dell’area oggetto di intervento, oltre che di pubblicazioni specialistiche riferibili

all’area territoriale in cui è ubicato il lotto interessato dalla verifica.

All’analisi delle fonti bibliografiche e dei dati d’archivio, è seguito il recupero di fonti iconografiche e di

cartografia storica, quindi sono state raccolte sia riproduzioni di fotografie storiche, che documenti

cartografici moderni e telerilevati (aerofotografie verticali recenti e immagini satellitari).

Un altro importante contributo che ha aggiunto nuovi dati informativi, è stato offerto da alcune testimonianze

orali desunte da colloqui informali con archeologi, funzionari pubblici, storici dell’arte e cultori della materia,

che negli anni hanno condotto a vario titolo studi e approfondimenti sull’area di Brugnera.

Le sedi istituzionali e gli enti presso i quali sono stati condotti la ricerca delle fonti, l’analisi storica e il

recupero dei dati cartografici sono:

Archivio della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia

Archivio di Stato – Udine

Bliblioteca di Archeologia – BAUM – Venezia Ca’ Foscari

Biblioteca Civica di Pordenone – sezione Storia locale

Patrimonio culturale Friuli Venezia Giulia (IPAC; www.ipac.regione.fvg.it)

Google Earth

Infrastruttura Regionale di Dati Ambientali e Territoriali per il Friuli Venezia Giulia

(http://irdat.regione.fvg.it e sede regionale)

Geoportale Nazionale (www.pcn.minambiente-it)

Archivio Friuli Venezia Giulia Strade

3.2 . Metodologia applicata alla localizzazione delle evidenze archeologiche

Obiettivo principale di una ricognizione di superficie (survey) è il controllo diretto sul terreno delle eventuali

evidenze già note da fonti bibliografiche o da interventi di scavo, ma mai cartografate, l’analisi e il

posizionamento di quelle di nuova identificazione, con il riscontro sul terreno della natura di eventuali tracce

riconosciute sulle fotografie aeree (o sulle immagini satellitari).

I lavori agricoli, come arature, scassi per vigne e frutteti o tagli di canali di scolo, incidendo il terreno per una

profondità non inferiore ai 50 cm, riportano in superficie elementi dei contesti archeologici sepolti

eventualmente intercettati: i materiali o altri tipi di tracce archeologiche così identificati possono fornire dati

utili sulla datazione e sulla tipologia di un sito archeologico sepolto e in base alla loro densità e qualità, alla

morfologia del terreno, è possibile ipotizzarne con buona probabilità estensione, datazione e funzione. La

ricognizione sistematica si propone pertanto di percorrere l’area di indagine (fieldwalking), che viene

suddivisa in Unità Topografiche (UT), corrispondenti ai singoli campi, ma più in generale ad unità spaziali

omogenee per caratteristiche geomorfologiche, uso del suolo e visibilità. La copertura uniforme del territorio

viene assicurata da una squadra di ricognitori che, posti generalmente ad una decina di metri l’uno dall’altro,

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percorrono la superficie di ogni UT secondo linee parallele ad intervalli regolari (maglia di ricognizione), pari

circa a dieci metri1. La ricognizione di superficie viene condotta con l’ausilio di una cartografia di base a

scala di dettaglio (generalmente 1:1.000) su cui posizionare ritrovamenti puntuali ed areali ed annotare le

informazioni sull’uso del suolo e il grado di visibilità di ogni UT indagata; l’assenza di ritrovamenti in una

determinata area può infatti dipendere anche dal tipo di colture presenti al momento della ricognizione o

dalle condizioni di visibilità della superficie.

Oltre al posizionamento topografico delle evidenze, per cui si utilizzano generalmente un GPS o una

stazione totale, altrettanto fondamentali sono l'acquisizione della documentazione fotografica e la raccolta

dei reperti superficiali diagnostici, specialmente se si tratta di manufatti isolati. Se consideriamo il sito come

“...un’area che presenta una densità di manufatti nettamente superiore alla media osservata nella regione

indagata”2, altri tipi di informazioni sono invece quelle offerte dai manufatti isolati, che pertanto vengono

raccolti, posizionati e schedati come reperti sporadici.

Nel caso specifico, la ricognizione ha avuto come scopo l’osservazione diretta delle aree oggetto

dell’intervento entro un buffer di 200 m, per individuare nuove evidenze che potessero attestare l’esistenza

di antiche attività antropiche, supportata anche dall’utilizzo di aerofotografie verticali recenti (1975, 1988-89,

1994-98, 2000, 2003, 2007, 2008, 2011, 2012, 2014), recuperate dall’Ente Regionale IRDAT e fornite

dall’ente committente. Per questo scopo è stata percorsa in modo sistematico tutta l'area interessata dai

lavori in oggetto (v. capitolo 5), ma date le caratteristiche dell’area indagata non sono state assegnate UT.

3.3 . Metodologia applicata all’analisi geomorfologica

L’analisi geomorfologica dell'area d'indagine costituisce un altro approccio analitico fondamentale per la

geomorfologia e idrologia che connota il paesaggio in cui è inserito il lotto di progetto. Per questi aspetti si

rinvia al capitolo 7 e alla “Relazione geologica preliminare per il progetto di realizzazione di una rotatoria in

comune di Ovaro (UD) in corrispondenza dell’accesso alla cartiera alla progr. 8+740 e rettifica del profilo

longitudinale nel tratto dalla progr. 7+530 alla progr. 7+890” (STEFANEL 2016), cui si è fatto principalmente

riferimento per evidenziare eventuali problematiche geomorfologiche e/o idrogeologiche ai fini di una

presenza insediativa nell’area.

4 . Inquadramento generale e storia del popolamento del territorio

La Carnia è la porzione occidentale della regione alpina del Friuli, delimitata da due solchi vallivi dell’alto

Tagliamento e del Fella; il sistema idrografico è caratterizzato dall’alto Tagliamento che costituisce il

principale torrente del Friuli, ricevendo sul lato di sinistra, durante il suo percorso, le acque di 6 affluenti:

Lumiei, Degano, Pesarina, But, Chiarsò e Monai, i quali danno origine ad altrettanti valli, definite “Canali” per

la conformazione stretta ed allungata. Le due principali sono la valle del But, che conduce in Carinzia

(Austria) attraverso il passo di Monte Croce Carnico (1360 m) e la valle del Degano, che attraverso il passo

di Cima Sappada (1282 m) giunge nel bellunese. Entrambe le valli sono lunghe circa 30 km e sono collegate

tra loro dalla valle Calda.

1 Nel caso di rinvenimenti di emergenze, la maglia di ricognizione viene ridotta per meglio definire il perimetro di concentrazione e dispersione dei materiali. 2 CAMBI, TERRENATO 1994, p. 19.

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Il Comune di Ovaro si situa nella Valle del Degano, attraversata dal torrente omonimo, altrimenti nota anche

come “Canale di Gorto”, dal nome della piccola altura che si eleva poco a sud di Ovaro, dove si trova la

pieve di Santa Maria di Gorto.

Ovaro è il più grande comune della valle di Gorto, ove è situato sulla riva sinistra del torrente ed è

attraversato dalla Strada Provinciale che da Villa Santina – Invillino conduce a Ravascletto e a Forni Avoltri

(figg. 1-3). Oltre al centro, comprende cinque frazioni ubicate sia sulla riva sinistra (Chialina, Liaris), sia sulla

riva destra (Gorto, Cella, Luint) e nove località (Agrons, Clavais, Cludinicco, Entrampo, Lenzone, Luincis,

Mione, Muina, Ovasta). Entrambe le sponde dovevano essere frequentate almeno dalla tarda antichità,

come attestano anche le più recenti scoperte archeologiche (v. infra).

Fig. 1. Ingresso ad Ovaro, in corrispondenza dell’intervento 1.

Fig. 2. Veduta generale del torrente Degano, dalla S.R: 355.

Fig. 3. Veduta generale verso sud, dalla S.R. 355; a destra il Torrente Degano.

Età preistorica e protostorica Data la scarsità di ritrovamenti che provengono dal territorio in esame, si fornirà un quadro delle vicende pre

e protostoriche di tutta la Carnia, per poi affrontare nello specifico i periodi storici che hanno maggiormente

interessato la val Degano.

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La presenza dell'uomo in Carnia può essere rintracciata a partire dal Paleolitico Medio (tra i 120.000 e i

40.000 anni fa) con alcuni ritrovamenti di materiali musteriani dal monte Varmost in comune di Forni di

Sopra3, dall'area tra Cason di Lanza e Valdolce nel territorio di Paularo4 e dalla Val Pesarina5. Mentre le

prime due segnalazioni si riferiscono a siti d'alta quota, probabilmente legati alla attività venatoria, l'ultimo dei

tre siti citati è identificato da uno strumento in selce rinvenuto sul letto del torrente Pesarina e non si può

quindi escludere faccia anch'esso riferimento ad un sito posto in una posizione più elevata.

Sebbene ben documentata nell'area montana del Bellunese e nel vicino massiccio del Cansiglio-Cavallo,

fino ad ora non è comparsa in Carnia alcuna testimonianza riconducibile al Paleolitico Superiore.

Una nuova frequentazione del territorio è quindi riconoscibile nelle industrie mesolitiche dalla zona di Pian di

Lanza6, di Paularo-Casera Valbertad7, di Pramollo-Lago e Pramollo-Monte Mandrizza8, di Dogna-Sella

Bieliga9 e della dalla grotta Crist di Val sul Monte Verzegnis10: come per le industrie litiche precedentemente

citate, l'interpretazione è quella di appostamenti legati ad attività di caccia. Un paio di nuclei sporadici

rinvenuti fortuitamente nei pressi dei Laghetti di Timau11, trovano confronti abbastanza stringenti nel

materiale mesolitico castelnoviano di Col de Varda, nel Bellunese.

Successivamente, dopo un vuoto documentario riguardante il Neolitico antico, alcuni materiali ceramici e

litici (scheggiati e levigati) rinvenuti nel corso delle indagini svolte nell'area dell'insediamento tardoantico di

Invillino-Col Santino12, sono riferibili al Neolitico recente, più precisamente alla terza fase del Vaso a Bocca

Quadrata, datazione confermata da un successivo survey condotto nel 199713. Al Neolitico, non meglio

precisabile, appartengono alcuni materiali rinvenuti in contesti tombali a Lauco agli inizi del secolo scorso14,

in particolare asce in giadeite e punte di lancia e freccia, così come due asce in pietra levigata da

Enemonzo-Colle San Rocco15 e da Resiutta-Borgo Cros16. Ad un orizzonte cronologico compreso tra la fine

del Neolitico e l'età del Rame si riferiscono poi due complessi litici rinvenuti casualmente presso i Laghi di

Fusine17 e vicino a Cave del Predil18. La frequentazione neolitica, diversamente dalle due fasi di Paleolitico

medio e di Mesolitico strettamente legate allo sfruttamento delle potenzialità venatorie del territorio e quindi

attestate a quote elevate, diventa finalmente più stabile e va a scegliere alture naturalmente difese a quote

generalmente comprese tra i 400 ed i 700 m slm per impiantarvi dei veri villaggi. Una simile situazione

insediativa per il Neolitico tardo si ha anche più ad ovest in Val Piave, in Val Belluna e Val Fiorentina. Un

aspetto che si riscontra sia ad Invillino-Col Santino sia nei coevi siti veneti, è la continuità insediativa con la

successiva età del Rame. Da mettere probabilmente in relazione con una sepoltura eneolitica sconvolta già

in antico sono 4 strumenti in selce scheggiata rinvenuti sul Col Mazeit di Verzegnis19; S. Vitri ipotizza che

3 VANNACCI LUNAZZI 2001a, 88, tav. 1.1 4 VANNACCI LUNAZZI 2001a, 88. 5 LUNAZZI 2004, 6. 6 Celti 2002, 591-592. 7 BRESSAN 1983, 174. 8 BRESSAN 1983, 170. 9 PESSINA 1996, 104. 10 Celti 2002, 660-664. 11 VANNACCI LUNAZZI 2001a, 90. 12 FINGERLIN et alii 1968, 122, 126-130. 13 VANNACCI LUNAZZI 2001a, 88. 14 CONCINA 2001, 58, n. 11. 15 CONCINA 2001, 68, n. 55. 16 CONCINA 2001, 66, n. 49. 17 CONCINA 2001, 64, n. 40. 18 CONCINA 2001, 65, n. 42. 19 Celti 2003, 722.

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anche i reperti da contesti tombali di Lauco, sopra citati come neolitici, possano riferirsi all'età eneolitica20. La

frequentazione eneolitica è testimoniata anche da una serie di asce piatte in rame ed altri reperti da varie

località della Carnia di cui si conosce l'esistenza da documenti d'archivio ma che purtroppo risultano

irreperibili21. Ad un Eneolitico tardo sono databili un’ascia a martello da Tarvisio-Riofreddo e un'ascia piatta

in rame da Muina di Ovaro22.

La frequentazione di età del Bronzo è riconoscibile da due insediamenti d'altura, un ripostiglio e da vari

ritrovamenti sporadici perlopiù legati ad asce. Ritrovamenti ceramici di superficie successivi agli scavi

tedeschi degli anni '60 hanno permesso di individuare sul versante nord-occidentale del Col Santino23, di cui

si sono già citati i materiali tardo-neolitici, un insediamento che inizia alla fine della media età del Bronzo e

giungerà fino all'evoluta età del ferro (XIV/XIII-VI sec. a.C.). Sorgendo presso il punto di raccordo della Valle

del Tagliamento con quelle del Degano e del But, il villaggio di Col Santino si pone in posizione strategica di

controllo su una più che probabile via di transito tra la pianura Friulana (e da lì poi verso la pianura Padana)

e l'area nord-alpina: resti di tratti stradali utilizzati dai romani ma probabilmente risalenti ad un'età

precedente (secondo alcuni anche neolitica) sono stati riconosciuti tra Timau e Mauthen (Austria) attraverso

il Passo Monte Croce24 e tra Timau e Gurina (Austria) attraverso il Passo Pramosio25. L'altro abitato noto per

l'età del bronzo è il sito di Col Mazeit, per il quale si riesce a riconoscere una prima fase insediativa che

inizia nel Bronzo recente e prosegue fino alla fine del Bronzo finale/inizi età del Ferro26 testimoniata anche

dall'importante rinvenimento di un ripostiglio di pani di rame e vari oggetti in bronzo27. Dalla sommità di un

altura (simile a quelle di Col Santino e di Col Mazeit) dal suggestivo nome di Chiastilirs a Lovea (Arta Terme)

proviene un coltello in bronzo di Bronzo recente, ma, al momento, non è possibile supportare la suggestione

del toponimo (che evoca un insediamento protostorico) con ulteriori materiali o strutture. Completano il

quadro del popolamento dell'età del Bronzo le numerose attestazioni di oggetti sporadici in bronzo

(soprattutto asce, indizio di una diffusa attività di disboscamento) rinvenuti in aree dove attualmente sorgono

stavoli e malghe: secondo S. Vitri sono la testimonianza di genti dedite all'attività agro-pastorale e forse a

quella mineraria che si spostano con le greggi tra pianura e montagna dove praticavano l'alpeggio. Tra le

località da cui provengono asce databili tra l'età del bronzo recente e l'età del bronzo finale/primo ferro si

citano: Monte Quas di Raveo28, Colle di Ognissanti a Sutrio29, Sezza a Zuglio30, Monte San Floriano di

Imponzo31, Santa Maria Oltrebut32, a Dogna-Saletto33, a Esemon di Sotto34, sul Monte Faeit di Cavazzo

Carnico35 ed una da una non precisata località dell'alta Carnia36. Altri reperti (per lo più armi) dello stesso

arco temporale provengono dalla Grotta di Attila presso i Piani di Lanza37, da Paularo nei pressi dell'abitato38

20 VITRI 2001a, 21. 21 VITRI 2001a, 21. 22 TASCA VISENTINI 2010, 168, Fig. 2.3. 23 VANNACCI LUNAZZI 2001a, 91. 24 CONCINA 2001, 58, n. 14. 25 CONCINA 2001, 59, n. 16. 26 Celti 2003, 722-735. 27 CONCINA 2001, 70, n. 59c. 28 CONCINA 2001, 57, n. 8. 29 CONCINA 2001, 61, n. 26. 30 CONCINA 2001, 63, n. 34. 31 CONCINA 2001, 63, n. 35. 32 CONCINA 2001, 64, n. 37. 33 CONCINA 2001, 65, n. 45. 34 CONCINA 2001, 68, n. 56. 35 CONCINA 2001, 70-71, n. 61. 36 CONCINA 2001, 72, a. 37 CONCINA 2001, 60, n. 21.

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e da loc. Battaia39, da Ponte Muro di Dogna40 da Bosco Schialotta di Ampezzo41 e da una non precisata

località dell'alta Carnia42.

Assieme ai già citati materiali inquadrabili tra la fine dell'età del bronzo finale e gli inizi dell'età del ferro, si

segnalano contesti sicuramente dell'inizio della prima età del ferro (IX-VIII sec a.C.) nei due già citati abitati

di Col Santino e di Col Mazeit, ma è a partire dal tardo VIII sec a.C. che si cominciano a cogliere le tracce di

una presenza più diffusa. Ai due siti sopra citati si aggiungono un abitato sul versante meridionale del Colle

di San Pietro a Zuglio-loc. Chianas43 e due necropoli a Socchieve-loc. Cavariona44 e a Misincinis di

Paularo45; troppo labili sono al momento le tracce databili all'VIII sec dal Monte Sorantri di Raveo (sede

successivamente di un santuario Lateniano e di un vasto abitato di epoca romana) per ipotizzare una

frequentazione stabile dagli inizi dell'età del ferro. L'abitato di Chianas sorge su un ripido versante terrazzato

del Colle di San Pietro e se ne sono messi in luce due allineamenti di strutture costruite in ciottoli fluviali a

secco poggianti direttamente sulla roccia. Delle due necropoli, quella di Cavariona è purtroppo nota

solamente da 5 tombe rinvenute casualmente nel 1877 e purtroppo poco si può dire oltre al fatto che era una

necropoli ad incinerazione e che risulta in uso in due momenti tra l'VIII ed il VII sec a.C. e tra il pieno VI ed il

V sec a.C. Interessanti dati provengono invece dalla necropoli di Misincinis, scavata tra il 1995 ed il 2001,

dove sono state messe in luce 105 tombe ad incinerazione databili tra l'VIII ed il IV sec a.C. disposte su tre

terrazzi in gruppi di consistenza numerica variabile. Va sottolineato che la necropoli si trova lungo un

percorso, verosimilmente attivo già dall'età del bronzo, che porta oltralpe attraverso il Passo di Lanza ed il

Passo Lodin. Le tombe sono di varia tipologia (tombe in semplice fossa chiusa da lastre litiche con

commistione di ossa, corredo e terra di rogo, o coperta da un tumuletto di pietre con urne in materiale

deperibile ed ossilegio, tombe in fossa rivestita da cassetta lignea o a cassetta lignea fuori terra in entrambi i

casi con ossuario fittile o in materiale deperibile. Nel caso delle cassette fuori terra la tomba era poi coperta

con la terra di rogo. Sicuramente le tombe erano poi provviste di segnacolo litico. I reperti di corredo

risultano in gran parte defunzionalizzati per frattura con l'esclusione di coltelli e punteruoli (aspetto che

Corazza ipotizza possa avere un significato rituale). La situazione messa in luce a Misincinis porterebbe ad

ipotizzare che lo iato tra i due momenti attestati dalla necropoli di Cavariona sia puramente imputabile ad un

vuoto documentale. I materiali delle due necropoli mostrano forti affinità con il Veneto orientale e una certa

consonanza con le necropoli dell'alto Isonzo. Ad una fase iniziale della prima età del ferro si datano l'ascia

da Pesariis-loc. Tesis46 e quella di Passo Pramosio47 mentre un coltello con lama in ferro e immanicatura in

bronzo da Raveo-loc. Saustris48 va datato verso la fine della prima età del ferro. I dati dalla necropoli di

Misincinis e dagli abitati sopra citati mostrano un aumento demografico a partire dall'avanzato VI sec a.C. e

per tutto il V sec a.C., periodo nel quale si rinforzano i legami culturali con la Slovenia ed il Bellunese. Il sito

di Gurina (nella valle del Gail in Austria) mostra in questo periodo una grande diffusione delle fibule “tipo

Paularo” di probabile produzione carnica.

38 CONCINA 2001, 60, n. 24a. 39 CONCINA 2001, 60, n. 23. 40 CONCINA 2001, 65, n. 43. 41 CONCINA 2001, 67, n. 51. 42 CONCINA 2001, 72, b. 43 VITRI 2001b, 52-54. 44 PETTARIN 2013. 45 CORAZZA 2001. 46 CONCINA 2001, 56, n. 1. 47 CONCINA 2001, 58, n. 15. 48 CONCINA 2001, 57, n. 9.

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Prima di passare all'esame delle vicende della seconda età del ferro, è utile ricordare uno studio di una

decina d'anni fa sui toponimi Çhiastelirs (e varianti) e a quelli riferentisi alla radice grad nel territorio della

Carnia49: in Carnia sono presenti 12 siti chiamati Çhiastelir e 4 con un nome che contiene la radice -grad

(tutti in comune di Resia). I 16 siti in questione si distribuiscono abbastanza uniformemente in tutta la Carnia

a quote che vanno dai quasi 400 m di Chiastelirs di Moggio Udinese ai 1235 m dei Chiastelliis di Col

Premanz di Forni di Sotto. In alcuni casi si tratta di rilievi isolati, in altri di colli nelle vicinanze dei paesi. Di

questi, ben nove non hanno dato alcuna traccia di interesse archeologico ma non si può escludere che ciò

sia in parte imputabile all'estrema difficoltà dell'archeologia di superficie in area montana. I cosiddetti

castellieri erano insediamenti abitativi muniti di una cinta che garantiva una difesa dagli incendi e dagli

eventuali attacchi di predatori animali. Si trattava di veri e propri accampamenti distribuiti per lo più in

prossimità dei corsi fluviali e anche nella pianura; vi si accedeva da guadi o da palancole pedonabili, erano

cinti da palizzate e talora presentavano arginature artificiali con terrapieni (o aggere) che potevano

raggiungere anche notevoli metri d’altezza, avevano le abitazioni in strutture lignee con coperture in canne

palustri e, all’occorrenza, potevano servire da recinto per animali.

Con l'avanzato IV sec a.C. si può cogliere una rarefazione delle attestazioni di siti attivi durante la prima

metà del I millennio a.C. cui fa da contraltare l'infittirsi di elementi di tipo lateniano dalla fine del IV/inizi III sec

a.C. Il succedersi di questi due momenti segna il passaggio dalla prima alla seconda età del ferro. La

seconda età del ferro è legata in Carnia ad una serie di vecchi ritrovamenti di tesoretti monetali celtici a

Moggio Udinese50, Zuglio-Formeaso51, Resiutta52 ed Enemonzo-Casolare Fierba53 o di monete sporadiche

da Cella di Ovaro54, Paularo55, Zuglio-Plan de Vincule56, Zuglio-Foro57, Pontebba58 e Ampezzo59. Armi ed

altri manufatti metallici sono stati poi trovati in grande quantità sulla cima del Monte Sorantri di Raveo:

assieme a scarsi materiali databili alla prima e agli inizi della seconda età del ferro sono stati raccolti,

all'esterno del vasto insediamento cintato di epoca romana, i resti di un centinaio di armi Lateniane con segni

di defunzionalizzazione rituale. I reperti di Monte Sorantri mostrano di essere stati frammentati dopo lunga

esposizione all'aperto, probabilmente dopo essere stati esposti in un'area sacra sotto forma di trofei

(costume che si risconta anche nei santuari Lateniani di Francia e Svizzera). Un santuario Lateniano viene

ipotizzato sulla base del ritrovamento di un paraguance trilobato (tipico elemento dell'elmo a calotta conica o

tondeggiante e paranuca molto spesso defunzionalizzato ed esposto nei santuari Lateniani d'oltralpe) anche

sul Colle Mazeit di Verzegnis60, mentre semplici armi Lateniane provengono da Lauco61, Amaro62 e dalla

fase La Thene della necropoli di Paularo Misincinis. Sebbene frutto di recuperi fuori contesto, i reperti di

Amaro e Lauco sembrano doversi riferire a contesti funerari63. Da sottolineare il rinvenimento di un incudine

49 CONCINA 2005. 50 CONCINA 2001, 66, n. 48a. 51 CONCINA 2001, 63, n. 33. 52 CONCINA 2001, 66, n. 50a. 53 Gorini 2001. 54 CONCINA 2001, 56, n. 2. 55 CONCINA 2001, 60, n. 24b. 56 CONCINA 2001, 61, n. 29b. 57 CONCINA 2001, 62, n. 31. 58 CONCINA 2001, 64, n. 39. 59 CONCINA 2001, 67, n. 52. 60 VANNACCI LUNAZZI 2001b. 61 RIGHI 2001a. 62 RIGHI 2001b. 63 Presso Ovaro, nel 1878, un cranio trovato dal prof. A. Wolf presentava condizioni analoghe a quelli preromani rinvenuti a Cuel dal Fari a sud di Lauco (MORO 1956, p. 146).

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da Raveo-Cuel di Cur64 che, assieme al rinvenimento in altri contesti di scorie ferrose da conto della

lavorazione del metallo in Carnia già in epoca pre-romana. Allo stato attuale della ricerca si ritiene che la

Carnia fosse insediata, almeno a partire dal III sec a.C., da gruppi di origine celtica affini a quelli del Norico

con sempre più evidenti tratti mediodanubiani col passare del tempo: queste genti avrebbero poi costituito

l'ethnos dei Carni. La regione era però nello stesso tempo anche abitata da genti venete, di cui restano

tracce epigrafiche anche successive alla romanizzazione. La documentazione in lingua venetica è costituita

da un iscrizione lapidea da Ovaro65, da una laminetta in bronzo e da un coltello di ferro da Verzegnis66, da

una patera bronzea, da un frammento ceramico e da uno stilo osseo da Zuglio67. Da sottolineare

l'importanza della stele (anche se di difficile interpretazione) e della laminetta bronzea votiva (solitamente

questo tipo di oggetti era dedicato ad una divinità in un santuario).

Romanizzazione In Carnia, il cui toponimo sembra derivare dal nome etnico dei Carni appartenenti a un gruppo celtico già

presente nel Nord-Est italiano dal VI-V sec. a.C, la romanizzazione si presenta, in linea generale, come una

fase caratterizzata da una particolare continuità insediativa contraddistinta secondo S. Vitri da un “processo

lento e non traumatico”: dove si nota la compresenza di materiali tardo-lateniani e strutture si può rilevare

che i primi sono da contesto funerario o cultuale, le seconde di tipo abitativo, così da suggerire che i primi

possano provenire da corredi distrutti al momento della sistemazione dell'area per usi insediativi nell'età

della romanizzazione. L'assorbimento della cultura romana può essere datato al II sec a.C., soprattutto in

quei centri posti lungo le direttrici di traffico transalpino, sicuramente i più interessati ad aprirsi ai mercati in

pianura di cui il mondo romano era ormai in controllo. Materiali di questa fase provengono da Chiasal68, Cuel

di Cur69, Dogna-Saletto70. Presso il Colle San Spirito a Moggio Udinese71 sono state individuate delle

strutture murarie e pavimentali in ciottoli, un muro a sacco i cui paramenti sono ancora ben conservati, e

potenti muri di terrazzamento72: i resti sono stati interpretati come un sito fortificato dell'età della

romanizzazione, con una successiva rioccupazione di età tardo-imperiale.

La romanizzazione risulta molto precoce nella valle del But e del Fella, e procede speditamente in tutta la

Carnia, soprattutto lungo le direttrici del Norico, a partire dall’età cesariana; ciò nonostante alcuni siti

arroccati come quelli di Raveo e Lauco, resisteranno maggiormente alla romanizzazione, così come l’alta

valle del Tagliamento e la bassa val Degano entreranno a far parte del territorio romano solo a partire

dall’età augustea73.

Età romana

In età cesariana viene fondata l’unica città romana della Carnia, Iulium Carnicum (Zuglio). Questo centro,

divenuto in seguito municipium comprensivo di un territorio molto vasto che travalicava lo spartiacque alpino

64 CONCINA 2001, 57, n. 6. 65 CREVATIN 2001, 115, n. 1. 66 CREVATIN 2001, 116-117, nn. 3 e 4. 67 CREVATIN 2001, 117, 118 e 120, nn. 5, 8 e 12. 68 CONCINA 2001, 57, n. 5. 69 CONCINA 2001, 57, n. 6. 70 CONCINA 2001, 65, n. 44. 71 CONCINA 2001, 65, n. 47. 72 CELTI 2002, 595-596. 73 VITRI 2001, 44, 56-57.

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e che verso sud si estendeva forse fino a Gemona, fece parte della X Regio Augustea, quella della Venetia

et Histria. Non si conosce la suddivisione interna per pagi, ma i dati archeologici consentono di ricostruire,

almeno in parte, l’ubicazione, i caratteri e la durata dei luoghi di culto, elementi fondamentali anche per

ricostruire la viabilità antica lungo i principali percorsi vallivi. Tra i culti attestati nel territorio di Iulium

Carnicum durante l’epoca romana, i principali sono quelli di Beleno e di Ercole, quest’ultimo adorato come

divinità delle acque salutari (e termali) e protettore delle attività commerciali e finanziarie; tra le divinità

invece che hanno una componente epicoria vi sono le Matronae e il Timavus. Al dio Timavus in particolare

era dedicata un’area cultuale identificata presso una risorgiva che sgorga ai piedi del Passo di Monte Croce

Carnico, poco lontano da Timau, identificabile con la statio Temaviensis lungo l’itinerario tra Aquileia ed

Aguntum (Lienz), la via per compendium citata anche dall’Itinerarium Antoninum. Sono poi attestati anche

Marte, Fortuna, Minerva, Diana, Giove Ottimo Massimo, quest’ultimo invocato insieme alle Trivie e alle

Quadrivie, divinità locali protettrici dei transiti. Particolare significato assume il culto di Saturno attestato sul

Colle Santino di Invillino, ove è probabilmente da riconoscere l’esistenza di un’area sacra a funzione

prevalentemente cultuale, forse già in età preromana74, il cui uso è continuato in età storica, fino all’impianto

tardoantico di un abitato e, e con l’affermarsi del cristianesimo, di una chiesa. Non è certamente casuale che

il Colle Santino sia collocato al crocevia delle strade che da un lato portavano al Cadore venetico ed all’area

alpina occidentale di cultura retica, dall’altro al Norico e dall’altro ancora, attraverso Verzegnis, Cavazzo-

Osoppo e la Val d’Arzino, verso le strade che conducevano alla pianura friulana75.

Molti luoghi sacri, del resto, dove si veneravano, almeno dal VI sec. a.C., divinità curatrice retiche o

venetiche, continuarono a essere frequentati almeno fino al IV sec. d.C. Lo stesso sito di Monte Soranti di

Raveo, il cui santuario a forte connotazione militare fu abbandonato alla metà del I sec. d.C., di fatto

controllava un vasto territorio caratterizzato da un’alta concentrazione di testimonianze prima celtiche, poi

romane ed infine medioevali. Si tratta dello stesso comprensorio in cui nasceranno ben quattro pievi:

Socchieve, Enemonzo, Gorto e Invillino76.

Per quel che riguarda il territorio di Ovaro, per l’epoca romana si dispone di rade e frammentarie

testimonianze, per la maggior parte non riferibili a puntuali contesti di riferimento: in un’epoca non più

precisabile, lungo la statale Ovaro-Comeglians è stato rinvenuto un sesterzio di Vespasiano emesso nel 61

d.C., mentre in un bosco presso l’abitato di Mione nel 1995 sono state rinvenute monete di Aureliano (270-

275 d.C.) e di Costanzo II (3232-361 d.C.), tutte conservate presso l’antiquarium della pieve di S. Maria di

Gorto. Altre monete romane non identificabili sono state rinvenute durante la prima guerra mondiale in

località Chiastilir, a nord-ovest di Luint di Ovaro: sulla base di questi rinvenimenti e dell’indicazione

toponomastica che rinvierebbbe addirittura alla presenza di un castelliere, è stato ipotizzato che in questa

località sorgesse una sorta di avamposto o vedetta7778. Tra i paesi di Agrons e di Cella di Ovaro, lungo la

sponda destra del torrente, alla base settentrionale del rilievo della costa Valinina, sarebbero stati individuati

frammenti fittili, e sempre da Cella proverrebbero alcune lamelle in bronzo, ora non più rintracciabili,

attribuite da A. Wolf a un contesto tombale.

L’esistenza di insediamenti e necropoli romane viene del resto indirettamente suggerita da altri sporadici

rinvenimenti, in parte reimpiegati, in parte dispersi: all’interno della chiesa di S. Giorgio di Comeglians è

74 MAINARDIS 2004. 75 VANNACCI LUNAZZI 2012, 21-22. 76 CAGNANA 2012, 48. 77 MAINARDIS 2001. 78 MORO 1956, 146; DESINAN 1990, 104; CALLIGARO 1996, 85.

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conservata un’ara, mentre alcuni frammenti epigrafici, non più conservati ma trascritti da A. Wolf., sono stati

individuati tra le pietre del selciato della strada di accesso che immetteva alla pieve di Gorto, a circa 40 metri

dalla porta del sagrato79. A Luint, sempre sulla sponda destra del torrente, alla fine del XIX secolo, è stato

rinvenuto un frammento di iscrizione funeraria con dedica da parte della moglie al marito e a se stessa,

“marito viva sibi….”, priva però di qualsiasi indicazione onomastica della dedicante80. Scolpita sopra una

tabula ansata, essa faceva probabilmente parte del fianco di un sarcofago81.

Da quando indicato appare che il territorio di Ovaro ha restituito testimonianze sparse e frammentarie per

quest’epoca, ma è molto probabile che nuclei insediativi si trovassero già in corrispondenza dei luoghi situati

lungo il torrente, tanto che è stata ipotizzata l’esistenza già per questo periodo di una strada vicinale che

attraversava il Canale di Gorto per raggiungere il Cadore in corrispondenza dell’attuale Strada regionale 355

(fig. 4).

Fig. 4. Il Canale di Gorto o Val Degano: ipotesi del percorso della strada romana, in parte coincidente con l’attuale percorso

della S:R. 55 (da CALLIGARO 1996, fig. 1).

La presenza di un tracciato viario ben si concilierebbe con la posizione in un punto chiave del territorio, ove

andrebbe snodandosi lungo il percorso vallivo, in vicinanza a un corso d’acqua che in corrispondenza di

79 MORO 1956, 146. 80 MORO 1956, 146. 81 CALLIGARO 1996, 86.

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Ovaro presenta una minore pendenza, si restringe e diventa più facilmente attraversabile, facilitando anche

l’attraversamento e il collegamento tra le due rive, servite forse entrambe da tracciati viari. E’ molto

probabile, inoltre, che tale percorso possa avere interessato anche le epoche successive, quando le

testimonianze insediative e di frequentazione dell’area divengono anche più numerose in ragione dei nuovi

luoghi di culto.

Età tardo-antica e altomedievale Fra la fine del IV sec. d.C. e l’inizio del V sec. d.C. la Carnia appare come una regione fortemente

militarizzata, soprattutto in corrispondenza dei valichi e dei maggiori assi viari, presidiati da veri e propri

fortilizi. Per tutto il IV fino all’inizio del V sec. d.C. si registra l‘impegno dell’Impero romano di tenere in

funzione i percorsi stradali e i passi, come attesta il ripristino nel 373 d.C. della via del Norico, che da Iulium

Carnicum portava ad Aguntum lungo la valle del But. In questo clima generale di insicurezza, la

penetrazione del Cristianesimo è limitata a isolati modesti tentativi.

Ad Ovaro, gli scavi che hanno riportato alla luce la basilica paleocristiana presso la chiesa di San Martino (v.

infra), hanno altresì verificato l’esistenza di un edificio precedente costruito ex novo intorno alla metà del IV

sec. d.C. e poco modificato prima di essere trasformato completamente nel corso del V secolo. Si tratta di un

edificio di eccellente qualità architettonica, probabilmente di tipo residenziale essendo costituito da vani

giustapposti, anche riscaldati. In considerazione della posizione e delle risorse del territorio, è stato

correttamente ipotizzato che esso non solo assolvesse a funzioni residenziali, ma anche di controllo stradale

e che una particolare importanza rivestisse lo sfruttamento delle risorse boschive, principale risorsa della

Carnia sin dai tempi più antichi: potrebbe trattarsi di una mansio o di una mutatio quale potenziale punto di

collegamento fra vie di terra tra le due sponde del Degano e via d’acqua in direzione del Tagliamento e

dell’Adriatico82.

Fig. 5. Ovaro, Chiesa di San Martino. Fig. 6. Ovaro, area archeologica della basilica paleocristiana, accanto alla chiesa di San Martino.

Nel corso del V sec. d.C. si assiste a una Cristianizzazione del territorio programmata secondo un disegno

preciso, favorito dall’’ascesa delle gerarchie ecclesiastiche che, a fronte del progressivo tracollo del sistema

82 CAGNANA 2007; 2011, 92-93.

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difensivo romano e del crescente arretramento dell’esercito, subentrarono negli apparati dello Stato.

Aquileia, divenuta sede di una Provincia metropolitica, proiettò la sua influenza nel territorio promuovendo la

costruzione di una serie di chiese che raggiunse anche le vallate più lontane. Non lontano dalla sede

episcopale di Zuglio, attestata almeno dal 490 a.C., furono edificate due basiliche, una sul colle Santino di

Invillino e una proprio ad Ovaro, in corrispondenza della sopra citata chiesa di San Martino (Tav. 1, sito

OV07), oggetto di recenti scavi archeologici che hanno messo in luce l’impianto basilicale (figg. 5-6). Di

grandi dimensioni, l’edificio presenta, dal punto di vista architettonico, le caratteristiche delle basiliche del

“gruppo aquileiese”, a conferma di una committenza di ambito episcopale dipendente forse più dalla stessa

chiesa-madre di Aquileia, che non dal vescovo di Iulium Carnicum. Si tratta infatti di una basilica ad aula

(Hallenkirchen) con presbiterio, dotata anche di un annesso a nord con vasca quadrata al centro,

probabilmente un reliquario, e da altri piccoli vani; su influenza del modello aquileiese, viene anche eretto

davanti alla basilica un edificio battesimale indipendente, coassiale rispetto all’aula e con il fonte posto al

centro della costruzione. Gli spazi liturgici di Ovaro continuano ad essere in uso fino alla fine del VI-inizi del

VII secolo; successivamente si assiste a una parziale occupazione profana della chiesa, in linea con quanto

accade anche altrove (Illegio, Invillino) dove si assiste a un progressivo abbandono degli edifici di culto: due

terzi della chiesa vengono infatti utilizzati come spazi domestici, mentre lo spazio antistante il presbiterio

viene delimitato da nuovi muri e destinato ad accogliere alcune sepolture. Il fonte viene ancora utilizzato fino

almeno al X secolo quando anche il vano del battistero verrà occupato da una frequentazione profana.

Nell’XI secolo si assiste all’edificazione di un nuovo edificio di culto, finalizzato a recuperare la funzione del

battistero–chiesa; nel XII secolo, tuttavia, anche questo edificio fu interessato da un’occupazione di tipo

profano. Nei primi decenni del XII secolo la funzione battesimale è oramai svolta dalla chiesa di Santa Maria

di Gorto, posta su un’altura poco lontano ed edificata forse già nel X secolo (fig. 7), mentre sempre all’inizio

del XII secolo si deve riferire la messa in opera del lastricato della chiesa di San Martino, menzionata per la

prima volta in un testamento redatto l’11 novembre 131683. Dal XII-XIII secolo ad oggi, inoltre, il luogo ospita

una fiera che si svolge in occasione della festa di San Martino84.

Fig. 7. Veduta generale della pieve di Santa Maria di Gordo, con torre campanaria.

83 CAGNANA 2011, 55. 84 CAGNANA 2007.

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Negli anni Novanta del secolo scorso è stata scavata anche una necropoli a Liariis, in località Namontet, sul

declivio di una collina, in prossimità della strada che conduce al Monte Zoncola. Sono state rinvenute 50

tombe databili tra il VI e il VII secolo, ricche di corredi tombali (anelli, fibule, crocette, coltelli, orecchini, ecc) e

relative a popolazioni autoctone85.

Alla cultura longobarda potrebbero invece riferirsi alcuni materiali rinvenuti durante la prima guerra mondiale

sempre a Luint, in località Collina, a nord della chiesa di Santa Caterin: sarebbero state rinvenute spade, tra

cui uno scramasax, armille e fibule, forse appartenenti al corredo di una o più sepolture86.

Tra la fine dell’VIII e l’inizio dell’IX sec. d.C. si datano sette frammenti scultorei rinvenuti negli anni ’80 del

secolo scorso all’esterno dell’abside di S. Rocco (fig. 7)87, nella frazione di Cella dove peraltro esiste un’altra

chiesa, dedicata a S. Fosca (fig. 8); in prossimità di questa chiesa è stato rinvenuto anche un sarcofago con

lastra di copertura iscritta (orate pro [-]leoni ed hum[.]l’servo), con croce ad estremità patenti, riferibile al

periodo altomedievale; all’interno del sarcofago sarebbero state rinvenute alcune ossa e un coltello.

Fig. 7. Cella (frazione di Ovaro). Chiesa di San Rocco. Fig. 8. Cella (frazione di Ovaro). Chiesa di S. Fosca.

Al periodo altomedievale si riferiscono anche numerosi sepolcreti individuati in diverse località del canale di

Gorto fino a Comeglians: a Luincis è stata messa in luce nel 1880 una tomba orientata da ovest verso est,

con due orecchini in bronzo; tombe con lo stesso orientamento sono state rinvenute nel 1897 anche a

Clavais; in questo caso i defunti avevano la testa appoggiata su grosse pietre e da una sepoltura sono stati

recuperati due orecchini a lunula in bronzo, ora dispersi. Alcune tombe con corredo funebre costituito da

85 CALLIGARO 1996, CAGNANA 2011, 406-419. 86 CALLIGARO 1996, 90; la notizia è riportata anche in MORO 1956, 146, ma i materiali sono attribuiti all’età romana. 87 Si tratta di un capitello in dolomia cariata, un frammento epigrafico di architrave o di pergola in calcare grigio; un frammento di pluteo o di pergola, con nastri viminei intrecciati, un frammento di pergola in calcare grigio con cane corrente, un frammento di pluteo o colonnina in calcare grigio, un frammento con due nastri triviminei e un frammento a tre nastri viminei. Cfr. BERTONE 2015, 30-47, in particolare 42-45.

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armi, orecchini, fibbie, sono state rinvenute nel 1917 presso la chiesa parrocchiale di Luint88.

Infine, il sepolcreto della pieve di Gorto, limitato a poche sepolture entro l’edificio ecclesiastico: esso appare

connesso a una chiesa, probabilmente esistente sin dal periodo longobardo o più probabilmente dal primo

periodo carolingio-ottoniano.

Dopo la soppressione dell’episcopato nel 737, il territorio della diocesi fu annesso ad Aquileia e il vescovo si

trasferì a Cividale. Suddivisa in 11 pievi, la Carnia fu parte dello stato patriarcale di Aquileia, un principato

ecclesiastico abolito nel 1420, in seguito all’annessione alla Repubblica di Venezia. Compresa

successivamente nel territorio austriaco, fu annessa all’Italia nel 1866.

4.1 . La cartografia storica

L’area in cui ricade il lotto di progetto si inserisce in un contesto territoriale ben connotato dal punto di vista

geomorfologico e idrogeologico (v. capitolo 7), per la presenza in particolare del fiume Degano.

L’area è ubicata in un fondovalle, in cui il fiume Degano presenta una moderata pendenza, rendendo

possibile anche la navigazione con zattere. La forma del bacino idrografico del Degano è piuttosto irregolare:

nei pressi di Ovaro si restringe in modo da rendere possibile l’attraversamento.

I primi documenti cartografici dell’area risalgono alla dominazione veneziana: una carta del 1744 illustra la

posizione di Ovaro in rapporto alle vie d’acqua e l’attenzione con cui è rappresentato il corso del Degano

(larghezze differenti, direzione della corrente, presenza di isolotti) ne conferma l’importanza come via di

comunicazione89. Pochi chilometri più a sud, presso Villa Santina, viene indicata una località dove “si fan le

zattere”. Questo documento era allegato a una relazione sui boschi della Carnia e proprio a Ovaro si

evidenzia la più alta concentrazione di segherie (due sulla riva destra e quattro su quella sinistra). Date le

caratteristiche del territorio, anche prima della dominazione veneziana, la risorsa boschiva costituiva infatti il

prodotto agricolo per eccellenza della Carnia: l’elevata piovosità e la mancanza di vaste terre coltivabili ha

costretto l’agricoltura a svilupparsi entro spazi molto limitati, mentre l’ambiente montano ha favorito

un’economia basata sullo sfruttamento di prati, pascoli e boschi estesi, attestati fin dal Medioevo come beni

fiscali o collettivi90. La presenza di corsi d’acqua a grande portata ha invece reso possibile la navigazione

fluviale e il trasporto per fluitazione di piante da alto fusto, che lungo il Tagliamento potevano raggiungere la

costa adriatica, come attestano ancora molti documenti cartografici di età moderna.

Ai fini della ricostruzione storica dell’area in oggetto appare significativo osservare l'area in esame nei catasti

ottocenteschi attraverso l'analisi:

1. del foglio IV di Ovaro compreso tra le 7.798 mappe in fogli rettangoli per tutti i comuni censuari

delle attuali province di Pordenone ed Udine pubblicate nel 1831 (comunemente denominate

“catasto napoleonico” o “catasto lombardo-veneto”);

2. dei fogli 1 e 2 di Ovaro compresi tra le 6.958 mappe in fogli rettangoli pubblicate nel 1851

(comunemente denominate “catasto austro-italiano”) con 4.592 registri di descrizione

aggiornati sino all'introduzione del nuovo catasto.

88 CALLIGARO 1996, 93. 89 Archivio storico di Venezia, “Percorso del fiume con indicate le località del territorio”, tavole annesse 5 al dispaccio del 12 giugno 1744 dell’inquisitore Zanne Quercini. Cfr. CAGNANA 2011, 92-93. 90 CAGNANA 2011, 52.

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Fig. 9. “Catasto napoleonico” (1831), foglio IV. In blu, l'area dell'intervento 1.

Fig. 10. “Catasto austro-italiano”.(1843), fogli 1 e 2. In blu, l'area dell'intervento 1.

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Si nota che la viabilità nella zona a cavallo del Rio Barbaretta, sulla quale si imposterà l'intervento 1 era

leggermente diversa da quella attuale.

4.2. Evidenze archeologiche e architettoniche nel territorio in cui è inserita l’area di progetto

L'indagine bibliografica ha permesso di individuare due volumi dedicati ad atti di convegni tenutisi negli anni

’90 del secolo scorso sul territorio della Carnia nell'antichità, pubblicati entrambi nel 2001.

Il primo, Iulium Carnicum. Centro alpino tra Italia e Norico dalla protostoria all’età imperiale Atti del

Convegno, Arta Terme – Cividale, 29 – 30 settembre 1995 (a cura di G. Bandelli e F. Fontana), sebbene

incentrato sull'importante sito di età romana di Iulium Carnicum (l'attuale Zuglio) allargava lo sguardo (sia dal

punto di vista cronologico che territoriale) alle vicende pre-protostoriche di un territorio più ampio

comprendente l'intera Carnia; il secondo, I Celti in carnia e nell'arco alpino centro orientale, Atti della

giornata di studio – Tolmezzo 30 aprile 1999 (a cura di Vitri e Oriolo), si occupava di un ambito cronologico

più specifico (quello della tarda età del ferro) ma conteneva, assieme ad alcuni lavori di sintesi anche su

periodi più antichi, un lavoro, ad opera di Concina, che si proponeva di “fornire un quadro completo per il

periodo che va dal neolitico alla romanizzazione” (Concina 2001, p. 51).

Un quadro completo sulle indagini dell'importante complesso di San Martino di Ovaro è fornito dalla

monografia Lo scavo di San Martino di Ovaro (sec. V-XII). Archeologia della cristianizzazione rurale nel

territorio di Aquileia scritta da Cagnana, mentre sulla presenza di pievi ed edifici di culto fondamentale è

ancora Pievi e parrocchie della Carnia nel tardo Medioevo di De Vitt e il recente convegno CAGNANA A. (a

cura di A. Cagnana), Le pievi in Carnia: novità e riletture da da recenti scoperte archeologiche, Atti del

Convegno di Studi – Ovaro, Casa della Pieve, 10 novembre 2011.

La consultazione degli archivi della Soprintendenza non ha infine permesso di rintracciare alcun sito inedito:

sono state infatti consultate sia una relazione relativa all’assistenza archeologica eseguita nel 2011 presso la

Chiesa di S. Martino (MANDRUZZATO 2011) e la relazione di Viarch di G. Valle sulla Carnia, quest’ultima

particolarmente utile per la lettura geomorfologica dell’area.

Si presentano di seguito i siti che la ricerca bibliografico archivistica ha evidenziato come più prossimi

all'area interessata dai lavori in progetto: i siti saranno presentati in ordine di distanza crescente dalle opere

in progetto e rinominati con un codice alfanumerico dove i primi due caratteri utilizzati sono le iniziali del

comune e gli ultimi due sono un identificativo numerico progressivo. Il sistema di riferimento utilizzato è il

Monte Mario 2 – EPSG 3004.

Elenco dei siti

Nome: Ov01 (447 metri dall'intervento n. 1) Comune: Ovaro Località: Cella Coordinate: N 5149326, E 2355969 Definizione: Edificio di culto Fase cronologica: età alto-medievale; Breve descrizione: Nel borgo di Cella sorge una chiesetta gotica ad aula unica di piccole dimensioni, dedicata a San Rocco. Dotata di presbiterio poligonale con soffitto centinato di epoca posteriore, presenta una bifora campanaria di tipo cinquecentesco sul colmo della facciata. Da segnalare all’interno un altare di

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legno intagliato del XVII secolo (bottega di Gerolamo Comuzzo) con due statuette (Ss Rocco e Sebastiano) alquanto anteriori. Costruzione della fine del Quattrocento o primi anni del Cinquecento. Bibliografia di riferimento: MARCHETTI 1082, 36; CALLIGARO 1996, 91; BERTONE 2015, 30-47. Nome: Ov02 (524 metri dall'intervento n. 1) Comune: Ovaro Località: Cella Coordinate: N 5149380, E 2355944 Definizione: Reperto sporadico Fase cronologica: età della romanizzazione Breve descrizione: Moneta celtica d'argento (tetradramma norico) di tipo non determinato. Ignote data e modalità del rinvenimento. Bibliografia di riferimento: CONCINA 2001, n. 2, p. 56. Nome: Ov03 (551 metri dall'intervento n. 1)91 Comune: Ovaro Località: Agrons Coordinate: N 5149026, E 2355910 Definizione: Edificio di culto Fase cronologica: età tardoantica/età medievale Breve descrizione: su un altura che domina la sottostante valle del fiume Degano, sorge la Pieve di S. Maria di Gorto. La chiesa viene citata in documenti scritti nel 1136 (tra i beni assegnati all’abbazia di Moggio) e nel 1299 ma l’origine sembra essere più antica, come dimostra il ritrovamento, sul posto, di elementi scultorei attribuibili a un luogo di culto risalente all’VIII secolo. Bibliografia di riferimento: CALLIGARO 1996; LUNAZZI 2011. Nome: Ov04 (731 metri dall'intervento n. 2) Comune: Ovaro Località: Muina Coordinate: N 5147455, E 2356374 Definizione: Edificio di culto Fase cronologica: età moderna Breve descrizione: Appena fuori dall'abitato di Muina, in posizione sommitale del Cuel di Cjars, un colle a controllo della val Degano, sorge la Chiesetta della Madonna di Loreto, fondata nel 1687. L'edificio è ad aula unica di piccole dimensioni, con presbiterio poligonale. In cima alla facciata si trova un campanile a vela. Davanti all'edificio vi è un porticato. All'esterno della chiesetta è stata rinvenuta l'accetta eneolitica Ov05 (v. infra). Bibliografia di riferimento: LUNAZZI 2011. Nome: Ov05 (747 metri dall'intervento n. 2) Comune: Ovaro Località: Muina Coordinate: N 5147458, E 2356359 Definizione: Reperto sporadico Fase cronologica: età eneolitica Breve descrizione: Ascia piatta in rame con margini lievemente rialzati riferibile alla fase terminale dell'eneolitico, trovata davanti alla chiesetta della Madonna di Loreto (v. supra). Bibliografia di riferimento: CONCINA 2001, n. 4, p. 57; TASCA VISENTINI 2010, p. 168, Fig. 2.3. Nome: Ov06 (1088 metri dall'intervento n. 1) Comune: Ovaro Località: Mione Coordinate: N 5149395, E 2355370 Definizione: Edificio di culto Fase cronologica: età medievale

91 Oltre alla Chiesa di San Rocco, ad Agrons è presente anche una chiesa di età rinascimentale dedicata a San Fosca, costituita da un’aula rettangolare e coro poligonale con soffitto in calce, a crociera, e bifora campanaria di tipo cinquecentesco con tettuccio a capanna aggiunto posteriormente (MARCHETTI 1982, 35; LUNAZZI 2011).

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Breve descrizione: Nella frazione di Mione, su un pendio digradante verso la val Degano, sorge la chiesa di Sant'Antonio Abate, menzionata per la prima volta in un documento del 1382 che concedeva dei benefici alla chiesa stessa. Notevole il coro trecentesco affrescato nel Cinquecento del pittore Pietro Fuluto. Bibliografia di riferimento: LUNAZZI 2011. Nome: Ov07 (1390 metri dall'intervento n. 1) Comune: Ovaro Località: San Martino Coordinate: N 5150511, E 2355915 Definizione: Edificio di culto Fase cronologica: età tardoantica/età medievale Breve descrizione: basilica ad aula (Hallenkirchen) con presbiterio, dotata anche di un annesso a nord con vasca quadrata al centro, probabilmente un reliquario, e da altri piccoli vani; su influenza del modello aquileiese, viene anche eretto davanti alla basilica un edificio battesimale indipendente, coassiale rispetto all’aula e con il fonte posto al centro della costruzione. Bibliografia di riferimento: CAGNANA 2007; 2011; 2012; per la chiesa successiva, MARCHETTI 1082, 42. Nome: Ov08 (1500 metri dall'intervento n. 1) Comune: Ovaro Località: Chianaia Coordinate: N 5148544, E 2355105 Definizione: Reperto sporadico Fase cronologica: tarda età del ferro/età della romanizzazione Breve descrizione: Lastra di arenaria con iscrizione venetica rinvenuta su un pendio boscoso digradante verso la valle del Degano. Bibliografia di riferimento: CONCINA 2001, n. 3, p. 56; CREVATIN 2001, p. 115, n. 1. Nome: Ra01 (2256 metri dall'intervento n. 2) Comune: Raveo Località: Chiasal Coordinate: N 5146022, E 2355813 Definizione: Reperto sporadico Fase cronologica: età della romanizzazione Breve descrizione: Assieme ad altri oggetti non specificati, proviene da Chiasal una falce in ferro databile al II-I sec. a.C. Bibliografia di riferimento: CONCINA 2001, n. 5, p. 57. Nome: Ra02 (2703 metri dall'intervento n. 2) Comune: Raveo Località: Cuel di Cur Coordinate: N 5145871, E 2355229 Definizione: Reperto sporadico Fase cronologica: tarda età del ferro/età della romanizzazione Breve descrizione: Ai piedi del Cuel di Cur, sono stati casualmente rinvenuti nel 1997 un'incudine ed una falce in ferro databili al II-I sec. a.C. Bibliografia di riferimento: CONCINA 2001, n. 6, p. 57. Nome: Ra03 (2950 metri dall'intervento n. 2) Comune: Raveo Località: Monte Sorantri Coordinate: N 5145268, E 2355851 Definizione: Sito pluristratificato Fase cronologica: Sito plurifase frequentato nella tarda età del ferro, nell'età della romanizzazione ed in età romana. Breve descrizione: Sulla cima del Monte Sorantri di Raveo, assieme a scarsi materiali databili alla prima e agli inizi della seconda età del ferro sono state raccolte armi ed altri manufatti metallici in grande quantità all'esterno di un vasto insediamento cintato di epoca romana. Le armi, oltre un centinaio di chiara petinenza culturale Lateniana, presentano segni di defunzionalizzazione rituale. I reperti di Monte Sorantri mostrano di essere stati frammentati dopo lunga esposizione all'aperto, probabilmente dopo essere stati esposti in un'area sacra sotto forma di trofei (costume che si risconta anche nei santuari Lateniani di Francia e Svizzera). Bibliografia di riferimento: CONCINA 2001, n. 6, p. 57.

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Nome: Ra04 (3532 metri dall'intervento n. 2) Comune: Raveo Località: Monte Quas Coordinate: N 5145077, E 2354912 Definizione: Reperto sporadico Fase cronologica: età del bronzo Breve descrizione: Sul versante settentrionale del Monte Quas è stata casualmente rinvenuta nel 2001 parte della lama di un'ascia in bronzo presumibilmente databile all'età del bronzo. Bibliografia di riferimento: CONCINA 2001, n. 8, p. 57. Nome: Ra05 (3585 metri dall'intervento n. 2) Comune: Raveo Località: Saustris Coordinate: N 5144942, E 2355062 Definizione: Reperto sporadico Fase cronologica: età del ferro Breve descrizione: Ai piedi del Monte Quas, in loc. Saustris, sono stati casualmente rinvenuti nel 1997 un coltello con lama in ferro e immanicatura in bronzo e i resti del suo probabile fodero in lamina bronzea, databile alla fine del VI sec. a.C. Bibliografia di riferimento: CONCINA 2001, n. 9, p. 57.

5. Dati telerilevati e ricognizione di superficie

L'analisi del territorio interessato dai lavori in progetto è stata anche condotta su immagini aeree e satellitari.

I voli analizzati sono stati:

• Foto aeree a colori del 1975, volo Enel, ST. 1/Ftg. 2, ST 2/Ftg. 16, ST 3/ftg. 33.

• Ortofoto in bianco e nero del territorio nazionale anni 1988-1989

• Ortofoto in bianco e nero del territorio nazionale anni 1994-1998

• Ortofoto IT2000 a colori con risoluzione 1 m

• Ortofoto IT2003 a colori con risoluzione 50 cm

• Ortofoto IT2007 a colori con risoluzione 50 cm

• Ortofoto AgEA 2011 a colori con risoluzione 50 cm

• Ortofoto 2012 PCFVG a colori con risoluzione 10 cm

• Ortofoto AgEA 2014 a colori con risoluzione 20 cm

• Ortofoto Regione FVG 2008 con risoluzione 20 cm.

Delle diverse voci dell'elenco la prima è stata recuperata dal Committente92; le due successive sono

disponibili per la consultazione anche come servizio WMS dal sito del Geoportale Nazionale

(http://www.pcn.minambiente.it/GN/), l'ultima è scaricabile dal sito della regione Friuli Venezia Giulia

(http://irdat.regione.fvg.it/CTRN/ricerca-cartografia/) e tutte le altre serie di immagini sono consultabili presso

il WebGIS della Regione Friuli Venezia Giulia (http://irdat.regione.fvg.it/WebGIS/GISViewer.jsp).

I dati desumibili dalla lettura delle fotografie aeree verticali recuperate da più fonti e riferibili ad anni diversi

non hanno fornito alcun dato aggiuntivo a quelli desunti dalla ricognizione.

92 Non riportata nella relazione perché priva di evidenze significative; si allega alla documentazione.

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Come anticipato nel paragrafo 3.2, la ricognizione ha interessato un buffer di 200 m di raggio attorno alle

opere in progetto ed è stata eseguita in modo sistematico, estendendosi anche alle aree perimetrali esterne,

compatibilmente con le possibilità di accesso (v. Tav. 2).

Occorre sottolineare che l’intera area di ricognizione coincide per lo più con l’attuale Strada Regionale.

La ricognizione è stata condotta nella giornata di martedi 24 maggio 2016, alla presenza di buone e discrete

condizioni meteorologiche; come si evince dalla Tav. 2, l’unico punto di interesse si identifica nell’area di

intervento 1, ove è stato identificato un ponte in pietra, la cui costruzione è sicuramente successiva al 1877,

poiché fino a questa data l'unico ponte in muratura di tutta la vallata si trovava in corrispondenza della Chiesa di

San Martino (dove ve ne era uno precedente in legno)93. La notizia è anche confermata indirettamente dai catasti

del 1831 e del 1843 che non riportano l'esistenza di questo ponte.

Immediatamente prossimo al ponte, a una quota inferiore, è stato identificato un muro di contenimento,

funzionale a un piano di camminamento viario (Tav. 2, fig.): la tecnica costruttiva e la tipologia di materiale

non consente tuttavia di proporre una cronologia.

6. VALUTAZIONE DEL RISCHIO ARCHEOLOGICO

La valutazione dell’impatto archeologico di un’opera è stata recentemente oggetto di alcuni articoli (CAMPEOL

G., PIZZINATO C., Metodologia per la valutazione dell’impatto archeologico, Archeologia e Calcolatori, 18,

2007, pp. 273-292; CALAON D., PIZZINATO C., L’analisi archeologica nei processi di valutazione ambientale.

Proposta metodologica in ambiente GIS, Archeologia e Calcolatori, 22, 2011, pp. 413-439) che hanno

puntato l’attenzione degli archeologi sulla necessità di utilizzare criteri oggettivi per la sua determinazione:

assegnando ai diversi siti i coefficienti di valore, potenziale e rischio/probabilità (di essere intercettati), gli

autori propongono di calcolare un valore di rischio totale cumulativo che l’opera ha nell’interferire sulla

componente ambientale archeologica ed in base a questo pianificare gli interventi di tutela.

Sebbene molto interessante come proposta metodologica, si ritiene che nel caso specifico del presente

studio, le particolari caratteristiche dei siti individuati nel territorio di Ovaro mal si adattino a questo tipo di

analisi.

Nell’impossibilità di calcolare correttamente, per i siti oggetto di questa ricerca, il rischio totale cumulativo, si

è preferito, in questa sede, optare per una classificazione del rischio relativo ai siti che possono essere

intercettati dall’opera in progetto che tenga conto principalmente della loro distanza dalle aree di cantiere e

delle loro caratteristiche tipologiche.

Sono state individuate tre fasce concentriche attorno alle aree interessate dai lavori rispettivamente di 100

m, 200 m e 500 m e si sono divisi i siti a seconda della fascia di prossimità: considerando solamente il

criterio della distanza, i siti a meno di 100 m si ritengono a rischio alto di essere intercettati, quelli tra i 100 e i

200 m sono valutati a rischio medio, quelli tra i 200 e i 500 m a rischio basso e quelli a distanza superiore ai

500 m a rischio nullo.

A) SITI A MENO DI 100 M

E’ stato individuato un ponte in pietra successivo al 1877 e un muro di contenimento di cronologia

imprecisabile (Tav. 2, sito 1).

93 MICELLI 1994, 19; CAGNANA 2011, 53.

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B) SITI TRA 100 E 200 M

Non sono emersi siti che ricadano in questa fascia.

C) SITI TRA 200 E 500 M

Non sono emersi siti che ricadano in questa fascia.

D) SITI OLTRE I 500 M

Non sono presenti siti che ricadano in questa fascia.

Ricapitolando quanto sopra indicato, si propone di considerare:

7. Aspetti geomorfologici e idrografici

Per l’inquadramento generale sugli aspetti geomorfologici e idrografici dell’area in oggetto, si rinvia alla

“Relazione geologica preliminare” (STEFANEL 2016) e alla Relazione Viarch, Intervento Carnia, Committente

Insiel di G. Valle (VALLE) rispetto alle quali è opportuno richiamare alcuni punti: anzitutto, il fatto che l’area in

oggetto appartenga a un contesto ben connotato dal punto di vista geomorfologico, trovandosi in un’area

topograficamente idonea a possibili stanziamenti, ora come in passato.

La morfologia di questa vallata è stata caratterizzata dagli eventi delle glaciazioni, cui si è aggiunta e

sovrapposta la dinamica erosiva fluviale impostasi dopo la fase würmiana. L’abitato di Ovaro, in particolare,

è posto su un’area appartenente all’ampia copertura morenica e alluvionale (conoide del Rio Barbaretta e

Canonica) che presenta un evidente terrazzamento al fronte provocato da torrente. In quest’area si snoda

anche l’attuale S.R. 35594. Il terreno risulta degradante, con una pendenza media di 5°-6° circa, da est verso

il corso del Torrente Degano.

8. Conclusioni

Da quanto è emerso nel corso della ricerca, le due aree oggetto d’intervento si inseriscono in un contesto

territoriale ben connotato dal punto di vista geomorfologico e idrografico: la presenza in particolare del

Torrente Degano (e dei suoi affluenti) ha senz’altro svolto un ruolo importante nelle dinamiche insediative e

produttive, non solo come risorsa primaria, ma soprattutto per le caratteristiche geomorfologiche impresse

nel territorio.

Accanto ai siti già noti dall’edito (v. cap. 4.2), la ricognizione ha messo in evidenza la presenza di un sito

ubicato entro un buffer di 100 m rispetto all’area del primo intervento (v. Tav. 2, Sito 1) e perciò

potenzialmente considerabile ad alto rischio di intercettazione: si tratterebbe di un muro di contenimento, di

cronologia tuttavia imprecisabile, posto a una quota inferiore rispetto al ponte in pietra costruito dopo il 1877

94 VALLE, 20.

GRADO DI RISCHIO INTERVENTO 1 ID. SITI

INTERVENTO 2 ID. SITI

Alto Sito 1 /

Medio / /

Basso OV01, OV02

Nullo OV03, OV06 Ov04, Ov05, Ra01, Ra03

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sopra cui scorre l’attuale S.R. 355. Il muro, in particolare, potrebbe rivestire una funzione specifica in ragione

di quanto specificato sui transiti e gli aspetti viari che caratterizzano la zona sia in epoca romana che in

quella tardoantica e medievale (v. cap. 4), in relazione specialmente alle frequentazioni dei luoghi di culto.

Per quel che riguarda invece la seconda area di intervento, non è stata identificata alcuna evidenza

significativa; si considera pertanto l’intervento 2 non impattante.

9. Elenco delle Tavole

Il presente elaborato è corredato dalle seguenti tavole:

Tavola 1. Valutazione di impatto archeologico: risultanze della ricerca bibliografico archivistica

Tavola 2. Valutazione di impatto archeologico: risultanze della ricognizione di superficie.

Tavola 3. Cartografia cumulativa delle risultanze della ricerca bibliografica-archivistica e della ricognizione di

superficie.

Dr. Raffaella Bortolin Porcia, 7 giugno 2016

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Abbreviazioni bibliografiche

BERTONE M.B. 2015, Il Museo della Pieve di Gorto. Guida all’esposizione, Udine. BIANCO F. 1997 (sec. ed.), I paesaggi del Friuli. Economia e società rurale nella cartografia storica, Verona (I

ed. 1994). BIANCO F 2008. L’immagine del territorio, Udine. BLASON SCAREL S. (a cura di) 2000, Cammina, cammina… Dalla via dell'ambra alla via della fede, Aquileia. BOSIO L. 1991, Le strade romane della Venetia e dell’Histria, Padova. BRESSAN 1983 - BRESSAN F., 1983 -Le Mesolithique au Friuli: les sites se referant au Mésolithique sur la base

des decouvertes de surface, Preistoria Alpina, 19, 1983, 169-174. BUORA M. 1990, Viabilità e insediamenti nell'antico Friuli. Un problema di continuità, in La Venetia nell'area

padano-danubiana. Le vie di comunicazione, Atti del convegno internazionale (Venezia 6-10 aprile 1988), 1990, 41-57.

CAGNANA A. 2007, L’area archeologica di Ovaro. Dalla basilica paleocristiana alla fiera di San Martino,

Tolmezzo.

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