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Sommario

• La biografia di Giolitti e la sua ideologia politica

• Lo scandalo della Banca di Roma

• Il primo sciopero generale

• La conquista della Libia

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La biografia di Giolitti e la sua ideologia politica

Giovanni Giolitti (Mondovì, 1841 – Cavour, 1928)

Giovanni Giolitti si laureò giovanissimo in legge all’ università di Torino e divenne procuratore del re a venticinque anni.Percorse una rapida e fortunata carriera nell’ amministrazione statale, acquisendo una conoscenza profonda ed articolata della struttura amministrativa e dei problemi politici edeconomici dell’ancor giovane Stato Italiano.Fu Consigliere di Stato nel 1882, e ministro del Tesoro nel gabinetto Crispi nel 1889, contribuendo, fra l’ altro, ad un’ opera tributaria volta al pareggio del bilancio; in seguito diventò Ministro dell’Interno nel governo di Zanardelli e nel 1892 ricevette da Umberto I la nomina di Presidente del Consiglio, carica che ricoprì per ben cinque volte.Come neo-presidente al Consiglio si trovò a dover affrontare, prima di tutto, l’ondata di diffuso malcontento che la politica Crispina dell’aumento dei prezzi aveva provocato.Ed è questo primo confronto con le parti sociali che evidenzia la ventata di novità che Giolitti porta nel panorama politico dei cosiddetti “anni roventi”: non più repressione autoritaria bensì accettazione delle proteste e, quindi, degli scioperi purché non violenti né politici.Infatti, la base programmatica del suo governo contemplava, in politica interna, un più rigoroso rispetto delle regole del gioco liberale e, nelle relazioni internazionali, l’accettazione della Triplice, di cui però accentuava l’aspetto puramente difensivo.Ma contro l’ “uomo nuovo” si coalizzavano forze assai varie, che andavano da alcuni ambienti delle corti ai gruppi più conservatori e allo stesso Crispi.

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Di conseguenza, il suo rifiuto di reprimere con la forzale proteste che, nel frattempo, attraversavano lungamente il paese e che si riversavano nelle piazze a causa di una generale crisi economica; le voci che lo indicavano come propositore di unatassa progressiva sul reddito e, infine, lo scandalo della Banca Romana che gli valse accuse di aver “coperto” irregolarità fiscali, lo travolsero in pieno facendogli crollare lo strato di consenso su cui poggiava la sua ancora giovane politica e lo costrinsero a dimettersi poco più di un anno e mezzo dalla nomina, il 15 dicembre 1893.Dopo aver lasciato temporaneamente la vita politica ritirandosi a Charlottenburg, ritornò alla politica attiva nel 1897 e divenne presidente del Consiglio nel 1903, improntando della sua personalità la politica italiana sino allo scoppio del primo conflitto mondiale, e tenendo quasi ininterrottamente la presidenza fino al 1913.Tale periodo fu poi battezzato dagli storici come “ età giolittiana” ed ha un importanza centrale nella storia d’Italia perché quegli anni rappresenteranno una svolta con la quale si affermarono nuove linee di sviluppo economico, sociale e politico.Infatti, lo statista piemontese, deciso sostenitore del metodo liberale, perseguì un largo disegno politico fermamente convinto che, dall’integrazione del movimento operaio e socialista nel sistema istituzionale, sarebbe derivato l’ammodernamento e il rafforzamento dello stato liberaldemocratico.Da questa impostazione discese l’atteggiamento che Giolitti tenne nei confronti del mondo del lavoro, basato su una sostanziale neutralità delle forze dell’ordine, sul iconoscimento della libertà di organizzazione sindacale e del diritto dello sciopero e sulla protezione e lo sviluppo delle cooperative.Parallelamente fu avviata una vasta opera di legislazione sociale che regolò materie come l’invalidità e la vecchiaia, estese l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, limitò il lavoro femminile notturno ed elevò a 12 anni l’età minima per il lavoro infantile, e portò alla creazione del Consiglio Superiore del Lavoro.

L'innovazione politica più importante fu l'istituzione nel 1912 del suffragio universale maschile che, estendendo tra l'altro il diritto di voto anche agli analfabeti che avessero compiuto i trent'anni, permise per la prima volta l'ingresso delle masse contadine nel corpo elettorale, che risultò quasi triplicato fino a coinvolgere oltre il 24% della popolazione italiana.

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Sulla stessa linea di sviluppo dello stato moderno si collocarono la statalizzazione del servizio telefonico e delle ferrovie, mentre sulle municipalizzazioni aprì la strada all’esercizio diretto dei servizi pubblici cittadini da parte dei comuni. Anche la politica economica dei Governi Giolitti fu caratterizzata da brillanti successi, come l’intensificazione dell'industrializzazione, a un ritmo di crescita sino ad allora sconosciuto, grazie anche all’attuazione del protezionismo doganale e alle commesse pubbliche. La politica giolittiana favorì però l’industrializzazione soltanto là dove già l'industria moderna si e era sviluppata con le proprie forze, vale a dire nell'area nordoccidentale del paese (triangolo i industriale). Si aggravarono, invece, le condizioni del meridione, lasciato sotto la prepotente influenza dei ceti latifondisti e parassitari. Parallelamente allo sviluppo dell'industrializzazione, crebbero le organizzazioni sindacali operaie (nascita della Confederazione generale del lavoro, 1906) e anche quelle dei datori di lavoro (nascita della Confindustria, 1910). Tuttavia lo scontro sociale raggiunse vertici significativi negli scioperi del 1901 e del 1904 (primo sciopero generale).La contropartita negativa del sistema giolittiano fu però rappresentata dai suoi metodi di governo, che sembravano rinnovare a volte le pratiche del trasformismo: abile manovratore del parlamento, Giolitti tendeva a formarsi le maggioranze di volta in volta, puntando anche su transazioni e favoritismi e intervenendo apertamente nelle elezioni per appoggiare i candidati a lui favorevoli con metodi che gli procurarono dure critiche dai suoi oppositori. Per quanto riguarda la politica estera, Giolitti mirò a svincolare l’Italia dalla subordinazione alla Germania, realizzando un graduale ravvicinamento alla Francia, e poi alla Russia. La sua abilità diplomatica gli permise anche di portare felicemente a compimento la conquista della Libia, realizzata nel corso della guerra Italo-Turca del 1911-12.In seguito alle elezioni che si tennero nel 1913, venutogli meno l’apportodel gruppo radicale, Giolitti lasciò il potere passando la mano al ministroSalandra, credendo che si trattasse solo di una breve parentesi.

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Ma lo scoppio della Guerra Mondiale sconvolse i calcoli giolittiani: e nello scontro che oppose interventisti a neutralisti, Giolitti, sostenitore caloroso della neutralità, uscì alla fine soccombente.Lo statista tornò ancora al potere nel clima agitato del dopoguerra, nel 1920, dopo aver preparato il suo reincarico con il discorso di Dronero; ma, con la crisi dello stato liberale e l’affermarsi del fascismo, Giolitti manifestò dignitosa opposizione al nuovo regime fino alla morte avvenuta il 17 luglio 1928.

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Lo scandalo della Banca di Roma

Lo scandalo della Banca di Roma scoppiò in Parlamento e in tutto il Paese nel 1893 e coinvolse le forze della Sinistra Storica, accusate di collusioni negli affari illeciti della Banca di Roma, uno degli istituti qualificati ad emettere moneta circolante in Italia. Lo scandalo riguardò alcuni investimenti in campo edilizio che si rivelarono fallimentari per la Banca Romana.Questa, per coprire le perdite, iniziò ad emettere una nuova moneta senza autorizzazione. Il denaro fu altresì utilizzato per prestiti a politici come Giovanni Giolitti e Francesco Crispi. Sebbene scoppiato nel 1893, lo scandalo aveva avuto origine nel 1881, quando doveva essere varata la legge che vietava a ciascuno Istituto di poter emettere valuta.Tale legge avrebbe, in pratica, segnato la fine della Banca Romana che si reggeva soltanto in virtù delle proprie emissioni, sicché il Governatore della stessa, Bernardo Tanlongo, era corso ai ripari corrompendo personaggi influenti come economisti, parlamentari e giornalisti al fine di ritardare l’approvazione. Tuttavia la legge veniva approvata nel 1883, ma Tanlongo non si era arreso e continuava, in segreto, a fare stampare biglietti bancari presso una zecca londinese. Però la Banca Romana non era il solo istituto che violasse la legge per cui si profilò la necessità di un’inchiesta, disposta nel 1889, ed affidata ad una Commissione presieduta dal senatore Alvisi, il quale si avvalse di un esperto ed onesto funzionario del Tesoro, il Biagini.I risultati di tale inchiesta erano stati per lungo tempo tenuti segreti dal ministero dell’agricoltura, industria e commercio, il calabrese Luigi Miceli, perché temeva che la rivelazione delle numerose e gravi irregolarità riscontrate potesse pregiudicare il credito italiano.Ma l’onesto funzionario del Tesoro aveva già scoperto nelle casse della Banca Romana ben nove milioni di biglietti stampati illegalmente per coprire il grosso disavanzo.Il senatore Alvisi non riuscì tuttavia a leggere in Senato la relazione a causa delle interruzioni dei colleghi nel corso del dibattimento che lo accusarono di voler infangare con delle “stupidaggini” la buona reputazione dell’Italia.

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Quando, nel maggio del 1892, la presidenza del Consiglio fu affidata a Giolitti, tra i provvedimenti urgenti da questi proposti al Parlamento vi fu anche quello di rinnovare per sei anni la concessione alle banche di emettere valuta.La seduta nella quale la Camera avrebbe dovuto discutere di tale proposta fu fissata per il 20 dicembre 1892, e fu appunto in quella seduta che NapoleoneColajanni, deputato repubblicano, si alzò a leggere, senza che alcuno osasse interromperlo, la relazione Alvisi che questi, in punto di morte, aveva consegnato ad un amico fidato. La Camera ascoltò sbigottita, ed a nulla valse il discorso di Miceli che, salito alla tribuna subito dopo, esordì dicendo che tutto quanto aveva detto l’on. Colajanni era falso. Ma pochi giorni dopo, il governatore della Banca Romana veniva arrestato. Lo scandalo turbò per lungo tempo la vita pubblica italiana e travolse il primo gabinetto Giolitti tanto che molti parlamentari furono investiti dal sospetto e rimasero preda delle speculazioni politiche.Tra i deputati indiziati di aver percepito somme a titolo di favore dalla Banca Romana si fecero i nomi di Bernardino Grimaldi, di Giovanni Nicotera e di Rocco De Zerbi,. Grimaldi respinse sdegnosamente l’accusa dimostrando di aver ricevuto soltanto 5 mila lire per consulenze di avvocato; Nicotera, accusato di aver ritirato dalla Banca una cambiale di 44 mila lire senza versarne l’importo, reagì e si difese eccependo l’infondatezza delle accuse; Rocco De Zerbi, dopo che la Camera concesse l’autorizzazione a procedere contro di lui, morì il 20 novembre 1893 forse crepacuore o – come si disse – si suicidò. Giolitti, sebbene la sua posizione fosse al di sopra dei sospetti, dovette rassegnare le dimissioni nel novembre del 1893 e, nonostante l’abile difesa che fece del suo operato alla camera, presentando tra l’altro un plico di documenti da cui risultavano le responsabilità del Crispi, fu costretto a lasciare temporraneamente la vita politica . L'inchiesta del 1894 si concluse con unaassoluzione degli imputati ( assoluzione più che clamorosa ) : per evitare che l'inchiesta travolgesse uomini di spicco della politica italiana, i giudici, nella sentenza, denunciarono la sparizione di importanti documenti, necessari a provare la colpevolezza degli imputati. Il procedimento penale venne quindi archiviato senza emettere alcuna condanna.

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Il primo sciopero generale• Dopo lo sciopero generale di Genova del 1900 dei lavoratori di ogni

mestiere• e le cannonate di Bava Beccarsi, la parte più avveduta della classe dirigente

• comprese che era necessario cambiare strada.• Durante il suo secondo governo ( 1093 – 1905), Giolitti si propose di realizzare

• la svolta liberale riconoscendo il pieno diritto dei lavoratori ad autorganizzarsi e • ad attivare il conflitto sociale come momento fisiologico e democratico del • vivere civile: questo permetterà nei primi anni del secolo uno sviluppo • importante delle iniziative dei lavoratori, caratterizzate sia dalla fondazione di • tante Camere del lavoro e di federazioni nazionali di categoria, sia • dall’approvazione di importanti atti legislativi riguardanti il lavoro e la questione sociale.• Una fase tuttavia assai fragile, portatrice di novità soprattutto nel Centro-Nord, mentre nel Mezzogiorno lo Stato • continuava a presentarsi in troppe occasioni con la sua antica faccia reazionaria e repressiva. • Nel 1904 il compromesso democratico mostrò le sue crepe di fronte a conflitti sociali di carattere esclusivamente • sindacale che i prefetti seppero solo reprimere sanguinosamente. Il 16 maggio vi fu un eccidio a Cerignola, in • Puglia, e poi ancora a Torre Annunziata, a Candela, a Giarratana dove altro sangue dei lavoratori venne versato • sotto il fuoco della forza pubblica;a Buggerru, nel cagliaritano, la sera del 4 settembre, quattro minatori che • manifestavano durante uno sciopero, furono uccisi dai carabinieri. • Dopo le tante stragi, il coordinamento nazionale delle Camere del lavoro minacciò la possibile proclamazione • dello sciopero generale nazionale , ed inoltrò la richiesta di una legge sul disarmo delle forze dell’ordine in • occasione di conflitti del lavoro. Mentre venivano freneticamente organizzate riunioni tra dirigenti sindacali e di • partito per discussioni che si annunciavano difficili, giunse la notizia dei fatti di sangue di Castelluzzo, nel • trapanese. Ancora una volta i gendarmi, nella serata del 14, avevano aperto il fuoco ferendo e uccidendo dei • lavoratori.

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Avevano sparato contro delle persone riunite per discutere di normali problemi riguardante la costituzione di una cooperativa.Il 15 settembre l’Italia intera venne infiammata dalla notizia dell’ennesima strage e l’assenza di una reazione venne considerata insostenibile. La polemica tra le Camere del lavoro e il gruppo dirigente del partito socialista divenne esplicita. Lo sciopero intanto si estendeva dilagando nel Centro-Nord.Per la prima volta in Italia e in Europa un movimento così imponente esprimeva la propria ferma protesta contro la sanguinosa repressione delle forze del lavoro e della loro ansia di emancipazione. Poi, mentre l’adesione allo sciopero cominciava a dare i primi segni di logoramento nei luoghi dove era in corso già da qualche giorno, la mobilitazione si avviò impetuosamente in altre realtà, a Brescia, a Biella, a Venezia, a Perugia, ma soprattutto a Bari, a Napoli, a Palermo, a Catanzaro e in particolare cominciò a estendersi nelle campagne . L’agitazione, prolungata dalle Camere del lavoro sino al giorno 21, crebbe e si estese coinvolgendo molte aree importanti del Mezzogiorno; il 19 di settembre raggiunse il suo livello di massima estensione, con quella effettiva generalità che gli era invece mancata nelle prime giornate, concludendosi la sera del 21 settembre con l’impegno assunto da parte di un nutritissimo gruppo di parlamentari socialisti a presentare immediatamente in Parlamento una proposta di legge diretta a vietare l’uso delle armi da parte della forza pubblica durante i conflitti di lavoro. Giolitti, facendo leva sullo spavento che lo sciopero generale aveva provocato sui ceti moderati e sulle destre, chiese al re di sciogliere le Camere e di indire le elezioni anticipate. Nostante avesse visto notevolmente accresciuti i propri suffragi in ogni parte del paese, nel voto anticipato del 9-11 novembre del 1904 il partito socialista perse cinque deputati in Parlamento. La breve fase delle aperture del giolittismo si arenò rapidamente, segnata da incertezze, tatticismi, nuove repressioni e nuove stragi. La sinistra, dopo lo sciopero generale del 1904, si divise irreparabilmente e si avviò a quella crisi involutiva che avrebbe visto la sinistra italiana drammaticamente divisa e sconfitta nei decenni a venire.

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Era chiaramente mancata nel 1904 un’organizzazione centrale capace di coordinare e organizzare il movimento e le sue grandi potenzialità. Le Camere del lavoro e le federazioni nazionali di categoria decisero di creare una sola forte struttura nazionale di direzione e organizzazione. Nel corso dei successivi due anni diedero vita alla CGdL, quella Confederazione generale del lavoro che avrebbe segnato la storia d’Italia nel secolo che abbiamo alle spalle.Gli scioperi del 1904 furono le prime grandi mobilitazioni del lavoro che uscivano sia dalla dimensione solo territoriale come da quella limitata all’iniziativa delle federazioni di mestiere. In quegli scioperi nacque e prese a formarsi nei lavoratori una diffusa coscienza della propria funzione sociale, della centralità del lavoro, della sua dignità e della necessità di rivendicare i diritti per sé e per tutta la società.

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La guerra di Libia

La storia di questa conquista, realizzata nel corso della guerra italo-turca del 1911-1912, grazie all’abilità diplomatica di Giovanni Giolitti, non iniziò esattamente nel 1911, con la dichiarazione di guerra che l'Italia inviò all'Impero Ottomano, il quale aveva sulla Libia un protettorato secolare. Un primo inizio di questa guerra, o meglio una sua causa remota, è certamente la conquista della Tunisia da parte della Francia, che nel 1881 impose il suo protettorato sul paese nordafricano, da tempo nel mirino dell'Italia come possibile obbiettivo coloniale. Perduta questa possibilità, si manifestò per la prima volta un certo interesse per la Libia, che all'epoca era divisa in due province chiamate Tripolitania e Cirenaica, sottoposte al controllo dell'Impero Ottomano. Giolitti arrivò alla decisione di attuare questa conquista nel tentativo di guadagnare il

consenso per la propria politica da parte dell’opinione pubblica nazionalista e dei

maggiori gruppi industriali e finanziari, mentre, dal punto di vista politico, quella conquista rispondeva soprattutto al desiderio di portare l’Italia nel novero delle grandi potenze

europee e dirottare all’esterno le tensioni sociali esistenti nel paese. Inoltre, tra l’opinione pubblica era diffusa la convinzione che la conquista della Libia si sarebbe realizzata con grande facilità, sia per la debolezza dell'Impero Ottomano, che proprio in quegli anni stava attraversando una fase di Rivoluzione interna, sia per la presunta disponibilità delle popolazioni locali verso gli italiani.A tal fine il governo italiano iniziò a tessere una complessa tela di rapporti diplomatici tali da consentirgli di annettersi il paese senza resistenze da parte delle grandi potenze europee;

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ottenne infatti il via libera dalla Germania, dall'Inghilterra, in seguito dalla Francia e dall'Impero Austro-Ungarico, fino al via libera accordato nel 1909 dalla Russia.Il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, nel settembre del 1911, decise che era ormai giunto il momento di attaccare.Il 28 settembre l'ambasciatore italiano a Costantinopoli consegnò un ultimatum al primo ministro turco, in cui si lamentava lo stato d'abbandono in cui versavano la Tripolitania e la Cirenaica e il 29 settembre presentò la sua dichiarazione di guerra annunciando la decisione di procedere all'occupazione militare della Tripolitania e della Cirenaica; il 3 ottobre ebbero inizio le operazioni militari. I turchi avevano già abbandonato la città e l'occupazione si svolse perciò in un clima irreale, senza che i soldati italiani fossero costretti a sparare un solo colpo. Il 23 ottobre i turchi guidarono un attacco contro molte postazioni italiane e molti autoctoni che si trovavano nella zona italiana insorsero contro le nostre truppe. Tutti furono sorpresi dall'attacco e tutti ugualmente furono vittima del panico e dello sgomento, che si rivelò più grande dell'entità stessa della rivolta. La reazione italiana a questo tentativo fu spietata e cruenta oltremisura, avvallata dalle accuse di tradimento che erano lanciate contro la popolazione musulmana. Comunque, le resistenze della popolazione musulmana si dimostrarono in effetti superiori alle attese e resero difficile alle truppe italiane espandere il proprio dominio oltre una fetta molto ristretta di territorio. A queste difficoltà l'Italia rispose con un atto diplomatico che molte diplomazie internazionali giudicarono sbagliato e grave, proclamando il 5 novembre 1911 la propria sovranità sulle province turche. L'Italia cercò di rafforzare le proprie posizioni con un ulteriore dispiego di mezzi e di uomini, ma la vera svolta della guerra giunse però in primavera, quando le truppe italiane occuparono Rodi e quando alcuni siluranti entrarono nello stretto dei Dardanelli. A questo punto il governo turco, preoccupato più per l'incolumità del proprio territorio che per la situazione in Libia, avviò le trattative di pace. Con questa mossa e con la minaccia di intervenire nella guerra in atto nei Balcani l'Italia era riuscita a risolvere una situazione che sul campo di battaglia avrebbe potuto protrarsi per anni.