SOMMARIO - alpesagia.com · Diego Zoia In copertina: Tenerezze equine (Foto Luciano Rabbiosi) Ed.ce...

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SOMMARIOALPES N. 7 - LUGLIO 2005

PERCHÉ NON SIAUNA MORTE INUTILE 6LA PAGINA DELLA SATIRA 7aldo bortolotti

OPERE BUONEPER EVITARE IL DECLINO 8claudio de albertis

COLPA DI BERLUSCONI? MAGARIFOSSE COSÌ SEMPLICE 10maurizio blondet

MAL DI SCUOLA...EFFETTO “BURN OUT” 12pierangela bianco

AMARE LA VITA 14alessandro canton

LA MORTE E IL SENSODELLA VITA 14gabriella la rovere

LIBERO DELLA BRIOTTA20 ANNI DOPO 16diego zoia

LE PROPOSTE DELLA MONTAGNALOMBARDA: UNO SGUARDONELLE ALTRE PROVINCE 18lorenzo croce

NUOVO SERVIZIO DI VISITEGUIDATE A VILLA MANZONI 19tito lupi

“SANTUARIO DEL PRODIGIOSOSANGUE” SANTA MARIA IN VADO 38giancarlo ugatti

“LE SPECTACLE DANS LA RUE” 40donatella micault

ANTONIO CORRADO:IO E PLASTILINA 43pier luigi tremonti

TRASFORMAZIONI EVOLUTIVENELLA SCULTURA DI RUDI WACH 46ermanno sagliani

I SEGNI DELL’UOMO ALLA SCOPERTADELL’ARCHITETTURA RURALENELLE VALLI CAMUNE 48giuseppe brivio

LA MIA PRIMA VOLTA A EBBS,IN TIROLO 52gabriele abbiati

LETTERE SCRITTE DAL FRONTE1915-1918, DAI SOLDATIIMPEGNATI NEL CONFLITTO 54giovanni lugaresi

LA CARTOLINA D’EPOCA:COSTUME E CULTURA 56giorgio gianoncelli

BORGHI ANTICHINELLA CARTOLINA D’EPOCA:FINE ’800-1940 57RECENSIONI 58giuseppe brivio

IL PROGETTO CATCHRISK:MITIGAZIONE DEL RISCHIOIDROGEOLOGICODEI BACINI ALPINI 20benedikte del felice

LA DECADENZA CULTURALEDEGLI USA E DELL’ITALIA 22raimondo polinelli

A COLPI DI HAPPENING 24luigi oldani

DIOSSINA... CHE FRITTATA! 25fabio bordoni

BIRRE DAL MONDO: LE NOVITÀ,LE TENDENZE, GLI STILI 27

L’OLOCAUSTO DIMENTICATO 31nemo canetta

POPOLI DI MONTAGNABADAKSCIAN DEI “SENZA ALLAH”36ermanno sagliani

Il referendum abrogativo:vera democrazia o presa per i fondelli?

Si continua a parlare di referendum come della massima espressione della vera democrazia,ovvero della vera e genuina volontà popolare, ma basta mezzo minuto di riflessione perdissentire.

Innanzi tutto, mai che si pensi al referendum per problemi concreti e reali sentiti dalla gente.In passato siamo andati alle urne per la abolizione del finanziamento pubblico dei partiti e per laresponsabilità dei magistrati.Cosa è successo? Cosa è stato abrogato? Nulla.Ai partiti infatti arrivano ancora, in forme diverse e più ‘sofisticate’, valanghe di quattrini, alla facciadegli elettori e dei contribuenti.L’altro referendum, quello della responsabilità dei giudici, è rimasto lettera morta.All’estero si vota per problemi molto seri ed incisivi, come è successo in Francia ed in Olanda sullaCostituzione Europea, non so se ci siamo capiti!Con cadenza regolare nella vicina Svizzera sono sentiti i cittadini su tantissimi problemi, con relativecampagne di corretta informazione, ma l’esito dei referendum è sacro ed inviolabile.Da noi sappiamo tutti che in quattro e quattr’otto alla faccia del risultato del referendum si fa unalegge ad hoc che aggira le istanze referendarie e tutti vivono felici e contenti.Per quanto riguarda gli ultimi referendum il diritto di voto doveva essere limitato a laureati in materiescientifiche per evitare di mettere in imbarazzo tutti quei poveretti che non sapevano neppure di cosasi stesse parlando e che con buon senso se ne sono stati a casa.Ci piacerebbe fare una domandina ai cittadini in merito per sapere cosa hanno capito.Tutti i leader hanno sparato la loro sentenza, io voto sì, io no, io mi astengo ... talvolta in palesedisaccordo con le mogli e con le proprie famiglie.Che bello spettacolo.Votare sì o no, oppure astenersi sta dando adito a commenti che poco o nulla interessanol’argomento, ma che alimenteranno, come si suol fare, la forza delle correnti, dei partiti e sarà perfinomessa a prova la leadership e l’influenza del Vaticano.Per l’occasione è stata inventata “l’astensione attiva”, legittima quanto sospetta, che, sommata alcrescente assenteismo referendario (e anche elettorale), ha preteso di essere la vera vincitrice dellabattaglia.I veri sconfitti questa volta sono stati i partiti che hanno promosso il referendum e soprattutto si sonoimpegnati nella raccolta delle firme: radicali e diessini.A uova oramai rotte si sprecano le proposte per invertire la tendenza fallimentare delle iniziativereferendarie dell’ultimo decennio e fare altre frittate. C’è chi propone l’innalzamento del numerodelle firme necessarie per presentare un quesito referendario (si parla del 5% dei cittadini elettori),c’è chi propone l’abolizione del quorum o il suo abbassamento al 33% dei cittadini elettori, c’è chiritiene che si debba abrogare il referendum … abrogativo e si debba parlare piuttosto di referendumpropositivo e/o di indirizzo.Circola poi una istanza molto netta: i parlamentari nazionali facciano le leggi in Parlamento,possibilmente poche e ben fatte; lascino ai cittadini il compito di farsi promotori di proposte di leggedi iniziativa popolare, alle quali in termini ben definiti il Parlamento debba una risposta, lascino aicomitati di cittadini il compito di iniziative referendarie propositive. I partiti facciano in questo campoun passo indietro!

AAllppeessRIVISTA MENSILE DELL’ARCO ALPINO

Anno XXVI - N. 7 - Luglio 2005

Direttore responsabilePier Luigi Tremonti - cell. 3492190950

Redattore CapoGiuseppe Brivio - cell. 3492118486

Segretaria di redazioneManuela Del Togno

Direttore editorialeAldo Genoni

A questo numero hanno collaborato:Gabriele Abbiati - Pierangela Bianco - Maurizio Blondet

Fabio Bordoni - Aldo Bortolotti - Giuseppe BrivioNemo Canetta - Alessandro Canton - Lorenzo Croce

Claudio De Albertis - Antonio Del Felice - Benedikte Del FeliceGiorgio Gianoncelli - Gabriella La Rovere - Giovanni Lugaresi

Donatella Micault - Luigi Oldani - Raimondo PolinelliErmanno Sagliani - Pier Luigi Tremonti - Giancarlo Ugatti

Diego Zoia

In copertina: Tenerezze equine

(Foto Luciano Rabbiosi)

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Tutti i manoscritti pervenuti a questa rivista sono al vaglio deldirettore responsabile e della redazione.Gli articoli firmati rispecchiano solo il pensiero degli autori enon coinvolgono necessariamente la linea della rivista.Testi e foto, pubblicati o meno, non si restituiscono, salvo spe-cifici accordi, e la redazione non si assume la responsabilità perl’eventuale smarrimento.La riproduzione anche parziale, è subordinata alla autorizza-zione della direzione ed alla citazione dell’autore e della rivista.

Il nostro nuovo sito è pronto ed è in lineaLa Web Agency - nereal.com dell’amico Claudio Frizziero ha concluso il suo lavoro.La rivista è in pdf, con interessanti link e poi “...chi siamo” e altro ancora.Qualcosa ancora manca,ma ora siamo noi della redazione a dovercompletare l’opera.Visitate il nostro sito:http:www.alpesagia.comAttendiamo vostri consigli e suggerimenti.*Alpesagia è il nome della nostra cooperativa ed è il nome con il quale tanti anni fa ènata la nostra rivista.

MODULO DA PRESENTARE ALLO SPORTELLO DELLA VOSTRA BANCA

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Non è retorica, mala morte della gio-vane infermiera di

Rogolo deve farci riflet-tere tutti insieme. Devefarci riflettere. Sanitari,manager, giornalisti, sin-daci, sindacati e partiti.Dobbiamo riflettere concalma e pacatezza come siconviene davanti allaterra di una tomba smossadi fresco.Non voglio qui entrarenel merito delle colpe pre-sunte o meno dei singoli,del resto basta la decisionedella famiglia di non pro-cedere legalmente permettere fine ad eventualiritorsioni di ordine giudi-ziario.Non voglio nemmeno en-trare nel merito della vi-cenda sulla quale a mioavviso già troppo si è spe-culato.Ma la nostra riflessionemai come in questo casonon può né deve mancare.Una riflessione pacata madecisa. Il problema, il noc-ciolo della questione ap-pare chiaro ed evidente. Ilnocciolo è il sistema sanitario di valle eil sistema sanitario nel suo insieme. E’possibile che nel 2005 esistano ospe-dali con reparti di chirurgia generaledove come si è visto anche semplici in-terventi chirurgici, o meglio interventiin apparenza semplici possono portare,se in presenza di complicazioni, a si-tuazioni gravissime? Che senso hannoospedali dove alle chirurgie non sianoaffiancati dei veri reparti di rianima-zione? Ha senso mantenere le chirurgieaperte con costi enormi per limitare gliinterventi chirurgici a pochi e sempliciinterventi proprio per evitare quelloche poi è accaduto?La risposta la chiediamo all’ormai exdirettore sanitario dottor Giuliano Pra-della, medico esimio, persona di cuitutti conosciamo e stimiamo non solo

la grande professionalità, ma anche lasua storia maturata nel settore dell’ur-genza ed emergenza. Chiediamo al sin-daco di Morbegno che è pure lui me-dico di dirci se davvero vale la penalottare per avere sul territorio un ospe-dale incompleto ed incompiuto.Lo chiediamo al personale sanitario, lochiediamo ai medici che lavorano inquesti ospedali se veramente non sisentono un po’ frustrati, un po’ di serieB, a dover lavorare in strutture secon-darie dove i casi veramente importantipassano sotto gli occhi e vanno al-trove?Chiediamo ai partiti politici tutti indi-stamente, a chi governa e a chi staall’opposizione, se le battaglie per sal-vare i piccoli ospedali, che gli espertisanno essere incompleti, siano dav-

vero battaglie che devonoessere fatte.Chiediamo a quelle per-sone che negli annihanno operato nella ge-stione della sanità pub-blica, si spera con un mi-nimo di conoscenza dellamateria, se davvero persalvare i piccoli ospedalisi è fatto tutto quello che“era giusto” fare, nonquello che si “doveva”fare per oscuri motivi,perché qui in gioco cisono vite umane non bru-scolini. Davvero vale lapena puntare tutto sullarazionalizzazione? Dav-vero in Lombardia siamoal massimo dell’eccel-lenza? Davvero non cisono situazioni che vannoaffrontate con fermezza,dove si deve decidere sespendere soldi anche afondo perduto per garan-tire una parvenza di effi-cienza a strutture obso-lete, oppure se questestrutture non debbano es-sere chiuse o riconvertite?Lasciamo tutti un attimoda parte le nostre posi-

zioni singole, di gruppo, di casta o dilobbyes e mettiamoci a ragionare.Apriamo ancora una volta il dibattito,sentiamo le posizioni. Poi chi deve de-cidere decida, ma si assuma le proprieresponsabilità e soprattutto ci spieghichiaramente il perché delle decisioniprese e delle direzioni operative as-sunte.La regione, la provincia e le comunitàlocali ... tutti devono avere il coraggiooggi di guardarsi allo specchio, di to-gliere i fronzoli del trucco o dei trucchie devono trovare l’onestà di rispon-dere se davvero vi è una sola ragioneper cui valga la pena tenere in piediqueste assurde, elefantiache, costose epurtroppo gravemente dannose strut-ture che servono solo a garantire lauteprebende.

Perché non sia una morte inutiledi Lorenzo Croce

7L A PA G I N A D E L L A S AT I R A

di Aldo Bortolotti

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L’innovazione, la ricerca, ilgrande sistema del terziarioavanzato, insomma tutte le

nuove funzioni produttive che via viasostituiranno quelle industriali tradi-zionali, stanno migrando verso le cittàeuropee più attrezzate e più efficienti.Sono, quindi, gli investimenti diretti arendere più efficienti reti e città ita-liane che devono essere, ora più chemai, al centro delle misure per il rilan-cio della competitività, anche se sa-rebbe riduttivo e parziale ricondurrealla sola inadeguatezza delle infrastrut-ture la ragione della perdita di compe-titività del sistema Italia.

Il ritardo italiano

Secondo il primo Rapporto sulle infra-strutture in Italia, che l’Ance ha re-centemente pubblicato, all’inizio deglianni Settanta l’Italia disponeva di unarete autostradale assolutamenteall’avanguardia in Europa. La stessaanalisi mostra oggi un consistente ar-retramento relativo. Maggiore è l’arre-tratezza della rete ferroviaria italianarispetto ai principali paesi dell’UnioneEuropea, con un indicatore di dota-zione infrastrutturale pari, secondo Eu-rostat, alla metà di quello tedesco, al70 per cento di quello francese e infe-riore anche al Regno Unito. Pure dalpunto di vista qualitativo, le ferrovieitaliane presentano differenze sensibilicol resto dell’Europa, con una percen-tuale di linee a doppio binario moltoinferiore rispetto a Francia, Germania,Danimarca, Olanda e Belgio. L’analisipotrebbe continuare, con risultati ana-loghi, confrontando i gasdotti, le lineedi trasporto di energia elettrica e larete idrica. Per tornare alle nostrecittà, poi, si può considerare la bassadotazione di parcheggi per automobili,oppure l’insufficienza di metropoli-tane. In quest’ultimo caso, la distanzacon le altre città europee è ormai unleit–motiv che non stupisce più nes-suno. Purtroppo di fronte a queste evi-denze continuiamo a osservare comele risposte degli amministratori pub-blici siano del tutto incompatibili conle richieste provenienti dai cittadini edal mercato.

Tempi lunghi e inefficienze

Il Rapporto sulle infrastrutture in Italiarealizzato dell’Ance ci aiuta a misurarel’enorme distanza tra l’annuncio dinuove infrastrutture e la loro realizza-zione. Solo per la progettazione occor-rono quattro anni per le opere di im-porto inferiore ai 50 milioni di euro eoltre sei anni per le opere più grandi. Intale incredibile periodo, i tempi per leprocedure autorizzative costituisconola parte maggiore. Questo significa cheil cantiere, al momento della sua aper-tura, ha già alle spalle una “lunga sto-ria” di ritardi e inefficienze, che, inevi-tabilmente, andranno a danneggiareanche la fase della realizzazione, dila-tandone i tempi. Né la legislazione spe-ciale introdotta con la Legge obiettivoè servita a superare le inefficienze e igravi ritardi di sempre. In questo am-bito, poi, il Cipe - cui la legge 443/01ha affidato un particolare ruolo accele-ratorio - ha contribuito, invece, a ritar-dare ulteriormente l’iter di approva-zione delle opere. Tutto questo dimo-stra una preoccupante mancanza di ca-pacità di amministrare i bisogni delpaese, e il ricorso ai commissari straor-dinari, proposto a vario titolo da questocome da altri precedenti governi, nonè che la presa d’atto ufficiale di tale si-tuazione.

Carenza di risorse

Sul piano più direttamente economico,l’indagine Ance ha posto in evidenzacome uno dei fattori più gravi di ritardosia la carenza di risorse. Gli investi-menti in infrastrutture in Italia sonotali da far crescere il divario con l’Eu-ropa. Basti pensare che per raggiungerel’incidenza media che questi investi-menti hanno sul Pil nei paesi più avan-zati, il tasso di crescita dei nostri inve-stimenti in opere pubbliche dovrebbeaggirarsi intorno all’80 per centol’anno. Eppure, l’analisi delle risorsestanziate per il 2005 mostra una ridu-zione del 14 per cento rispetto al 2004.Questa diminuzione si somma a quelladello scorso anno, che a sua volta haregistrato un calo di ben il 17 per centorispetto al precedente.

In questo scenario, l’annunciato ri-corso al project financing per sopperirealle risorse mancanti non riesce in al-cun modo a tranquillizzare chi abbiauna conoscenza, anche superficiale,dei meccanismi alla base della finanzadi progetto.

È evidente che occorre dell’altro

Innanzitutto, occorre dare maggiorecredibilità alla volontà politica di ri-durre la spesa corrente, che invececontinua a crescere. In secondo luogoè necessario adottare programmi diopere pubbliche coerenti con le effet-tive disponibilità di bilancio, rifug-gendo dalla abusata pratica di promet-tere troppo pur sapendo di non avererisorse sufficienti. Occorre, cioè pas-sare dai proclami, dai Libri bianchi edai Piani generali, che contengonotutto l’immaginabile, a una politica delpossibile, che faccia riferimento alle ri-sorse necessarie e, soprattutto, a quelledisponibili. Infine, occorre stimolareuna cultura del risultato, che ponga ilfattore tempo in cima alla scala dellepriorità amministrative. Impiegareanni e anni per progettare e approvareun’opera infrastrutturale appare inac-cettabile, soprattutto se, come emergedal monitoraggio contenuto nel Rap-porto sulle infrastrutture in Italia, altempo trascorso non corrispondeun’adeguata qualità progettuale.C’è assoluto bisogno di uno scatto diefficienza da parte dei soggetti incari-cati della gestione del nostro territorioe di tutto il sistema amministrativoitaliano nelle sue diverse articola-zioni, dove il profilo della responsabi-lità deve riguardare le competenze e irisultati della gestione amministra-tiva. Troppe volte si rivendicano com-petenze senza assumersi la responsa-bilità dei risultati. Le norme possonosempre essere migliorate, ma deve es-sere chiaro a tutti che anche la mi-gliore legislazione possibile è desti-nata al fallimento se la gestione am-ministrativa che ne consegue non èorientata all’efficienza e alla respon-sabilità del risultato.

Tratto da www.lavoce.info

Opere buone per evitare il declinodi Claudio De Albertis

Il nostro paese ha un disperato biso-gno di tornare a crescere: la diagnosiè riconosciuta da tutti gli osservatori.Altrettanto diffusa è la convinzioneche per innescare questo processo ènecessario offrire agli investitori, na-zionali e internazionali, un sistemamoderno, nel quale sia convenienteimpiegare i propri denari.

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La recessione italiana è il risultatodi vecchi vizi, vecchie ineffi-cienze e parassitismi, che si scon-

trano con una dura realtà: la globaliz-zazione. Al fondo del problema c’è lanota realtà: la paga media cinese è di80 euro al mese (anche meno), e quellaoccidentale da 10 a 20 volte di più. Laspeciale debolezza italiana consiste inquesto: che l’Italia è “forte” in settorimanifatturieri maturi, esposti alla com-petizione cinese. Le scarpe, i tessuti, gliabiti li stanno facendo anche i cinesi,con costi enormemente minori. L’Italiaavrebbe dovuto per tempo passare adattività a più alto contenuto tecnolo-gico-culturale; ossia avrebbe dovutodarsi una cultura. Perché, ecco ildramma, l’operaio italiano non è mi-gliore di quello cinese, costa solo 10-20 volte in più. Per guadagnarsi il suosalario maggiorato, avrebbe dovutoistruirsi, aggiornarsi continuamente.Non l’ha fatto. Nessuno l’ha avvertitoche bisognava farlo. E questa tragedianon riguarda solo l’operaio.I figli dei padroncini del Nord-Estavrebbero dovuto essere mandati a stu-diare all’estero, nelle migliori univer-sità. I mezzi, i loro padri li avevano. In-vece accade il contrario: proprio nelNord Est ricco e laborioso l’abbandonoscolastico è pari a quello del Meridionearretrato. Perché i figli dei padroncininon vogliono studiare, vogliono an-dare subito in fabbrica. Restano igno-ranti: come i cinesi, ma con salaridieci-venti volte più alti. In Italia, igiovani si laureano meno che in tuttigli altri paesi. E in che cosa si laureano,se poi lo fanno? Diritto, Lettere. Anzi,ora va di moda laurearsi in “Scienzedelle comunicazioni”, che è una ma-teria non solo inesistente, ma priva dimercato. In Cina e in India, 3 milionidi giovani ogni anno si laureano in in-gegneria e altre scienze “dure”. Per poiimpiegarsi nelle imprese di hardware e

software, nei servizi avanzati, nella fi-nanza. Nessun primato, nessun be-nessere si costruisce sull’ignoranza,su una scuola di manica larga, suuniversità scadenti come le nostre,affollate di baroni e dei loro porta-borse e leccapiedi. Ora si grida: inve-stire di più nella ricerca, subito. Ma an-zitutto, bisogna capire che nessun “in-vestimento in ricerca” darà risultatifra 15 giorni, che si tratta del più alea-torio degli investimenti, e di quello apiù lungo termine. Anzitutto, ci vuoleuna diffusa curiosità, un diffuso inte-resse per la scienza: in Italia manca, ilvero interesse nazionale sono il calcioe la cucina. Ci vuole un ambiente so-ciale che abbia rispetto per i ricercatorie gli scienziati: quelli veri, non le LeviMontalcini o i Veronesi, mercanti di sestessi e beneficiari di lobbies. E poi in“quale” ricerca investire? Come iden-tificare i campi in cui abbiamo ancoraqualche possibilità? Nell’elettronicanon riusciremo più a recuperare ter-reno; in biotecnologia nemmeno. Ilgrido: “più fondi alla ricerca”, senza al-cuna analisi e indagine dettagliata suipunti forti residuali che valga la penadi promuovere, in Italia, porta a unsolo risultato già visto: che si darannopiù soldi alla Fiat. La Fiat la cui verasalvezza, la sola e unica ormai, è l’im-mediata chiusura. Perché ad ottobrecominceranno ad arrivare sui mercatile auto Made in China: a parità diqualità e cilindrata, costeranno il30% in meno.La dura verità da dire agli italiani è:se volete restare competitivi, doveteaccettare la riduzione di salari e sti-pendi a livelli cinesi, perché non sieteaffatto più bravi, più istruiti, piùsgobboni dei cinesi. Ma naturalmentenon si può. Perché il costo della vitanon è quello cinese, e se in Cina con80 euro al mese si campa, in Italia con800 si muore. Bisognerebbe che i prezzi

Colpa di Berlusconi?Magari fosse così semplice.Buttiamolo giù e l’economia riparte: un sogno.di Maurizio Blondet

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calassero almeno quanto i salari, se possi-bile di più. Credete che accadrà? Chiun-que abbia il potere di “imporre ilprezzo”, dal ristoratore al barista, iprezzi li aumenta. Ecco perché la vitanella globalizzazione, se si è occiden-tali, è triste. E lo sarà per i prossimivent’anni, fino a quando i salari ci-nesi non saliranno tanto da incon-trare i nostri, calanti. Non è solol’Italia, sia chiaro. L’economia ita-liana si degrada più rapidamente dellealtre in Europa - 0,5 per cento in menodi prodotto interno lordo ogni quadri-mestre - ma non è la sola. Anchel’Olanda è entrata in recessione, meno0,1 per cento. Anche il Portogallo. LaGermania cresce dell’1% (magrissimo)perché, nonostante tutto, esporta ro-bustamente, la sua struttura industrialeè più solida. I giornali servili vi raccon-tano che in Inghilterra l’economia vabene. Ma è un trucco: le statistichesono state ritoccate a fingere un rialzoeconomico per far rieleggere TonyBlair, il fiduciario delle grandi lobbiesneocon-israeliane. Ora che Blair èstato rieletto, cominciano a dire la ve-rità: l’economia inglese “rallenta”. Ca-lano le vendite al dettaglio. Cala laproduzione industriale. Calano perfinoi prezzi delle case. La Banca Centraledovrà tagliare i tassi d’interesse per “sti-molare l’economia”. Ma va bene, be-nissimo, l’economia Usa - vi dicono iservi della nota lobby. Va bene perchéla sua forza lavoro è “flessibile” e i costisociali sono bassi. Mentre in Europacrescono i disoccupati, in Usa, solo adaprile, sono stati creati 256 mila postidi lavoro in più. Analizziamo questimiracolosi posti di lavoro americani.La metà dei “nuovi posti di lavoro” èstata creata nel “settore alberghiero ed’accoglienza” (camerieri di bar e risto-ranti: 58 mila), nel “commercio al det-taglio e all’ingrosso” (commessi di ne-gozi e supermercati: 30 mila), nella“sanità e assistenza sociale” (badanti einfermiere: 18 mila), in “servizi ammi-nistrativi e di supporto” (impiegati atempo determinato: 12 mila). In-somma, i posti di lavoro crescono solonei “servizi non vendibili”: lavori diservizio, da domestiche. E’ una crescitada economia del terzo mondo. In-somma, nemmeno l’economia Usa creapiù lavori ad alta tecnologia e nei set-tori competitivi e d’alto valore ag-giunto. E il bello è che i “nuovi lavori”(domestici) non vanno a cittadiniamericani; ma, nel 60% dei casi, ad im-

migrati. La stessa cosa avviene in Italia:cresce la domanda di badanti, infer-miere, donne delle pulizie, raccoglitoridi fragole e pomodori, benzinai. Sonolavori persino ben pagati. Ma i nostrigiovani italiani si aspettano dalla vitamolto di meglio, benchè non abbianostudiato abbastanza da meritarselo. Equei lavori li schifano. I lavori, perciò,vanno ad ucraine (spesso laureate), fi-lippine, cingalesi. Questi lavori sono“esborsi netti”, che dissanguano l’eco-nomia italiana: i guadagni dei filippinie delle badanti ucraine fuggono inUcraina e nelle Filippine, non restanoin Italia. Esportazione legittima di ca-pitali. L’America non sarebbe in reces-sione? Guardate meglio. I salari ameri-cani sono calati in termini reali ai li-velli di 13 anni fa: si stanno avvici-nando competitivamente a quelli ci-nesi, molto prima dei nostri europei.La General Motors e la Ford sonoconsiderati giganti morti (come laFiat), le loro obbligazioni hanno ilrango di “spazzatura”, come i titoliargentini. La grande compagnia aereaUnited Airlines ha dichiarato falli-mento sugli obblighi previdenziali con-tratti verso i suoi dipendenti: non pa-gherà 6,6 miliardi di dollari in pen-sioni. I pensionati della Unitedavranno la pensione - se l’avranno esolo in piccola parte - dal fondo stataleche interviene in questi casi, il PensionBenefit Guaranty. La Delta Airlines,che deve ai suoi dipendenti 3,15 mi-liardi di dollari nei prossimi tre anni,sta anch’essa per dichiarare bancarotta.Questa sarebbe un’economia trion-fante e competitiva: una catena di ban-carotte. E sì che gli Usa, al contrariodell’Europa che si tiene l’euro fortecon stupidità senza pari, hanno sva-lutato il dollaro (più “competitività”),e il mondo intero sta prestando agliamericani i soldi per i loro smodaticonsumi. L’economia mondiale siregge, in bilico, sui consumi americani:basta che loro mangino meno, e fi-niamo tutti in recessione. Magari laBanca Centrale americana taglierà itassi d’interesse per far costare meno ildenaro e “stimolare” l’economia e iconsumi. Ciò indurrà i consumatoriUsa a consumare ancora un po’ di più.Ma a beneficiarne sarà, alla lunga, nonl’America, ma la Cina, ossia il grandeproduttore mondiale. Ogni “stimolo”americano cessa di avvantaggiarel’America, e di andare a vantaggio dialtri. Ma vale anche per noi italiani,

insaziabili consumatori di telefonini, tva schermo piatto, dvd...tutte cose chenon produciamo in casa, ma com-priamo dall’estero, dall’Asia. Ciò signi-fica: più li compriamo, più diventiamopoveri come paese e più le fabbrichedell’Asia riducono i loro costi per unitàdi prodotto e accrescono la loro quotadi mercato. L’Italia va peggio.Dove sta la differenza con Germania,Francia e Usa, che vanno solo male?Facile indovinarlo: nell’inefficienzapubblica. I loro sistemi pubblici sonodi aiuto alla produzione e all’im-presa; da noi sono di ostacolo, un ele-mento di costo aggiuntivo. Da noi sipaga di più l’elettricità, il telefono,internet; ogni attività richiede fati-che burocratiche enormi; la magi-stratura non funziona, e non funzio-nano le scuole e le università. AllaBanca d’Italia abbiamo un ragio-niere, e lo paghiamo tre volte di piùdel banchiere centrale americano. Ilnostro presidente della repubblica cicosta 10 volte più di quanto costi laregina agli inglesi. Non sono solo glistatali a fare ostacolo; noi abbiamo li-velli burocratici pubblici stratificatiin modo incredibile: comunali, pro-vinciali, regionali, comunitari ... cin-que o sei strati di parassiti. Strapa-gati. E con il posto sicuro, garantito,inamovibile, mentre il nostro di pri-vati diventa sempre più precario,temporaneo, a rischio. Loro voglionogli aumenti, e li otterranno, per illoro potere di ricatto. Per contro, frapoco, decine di migliaia di lavoratoriprivati, tessili, manifatturieri, sa-ranno disoccupati. Perché il processodi degrado, oltretutto, ha questo dimaligno: che è rapidissimo, com’è ra-pida l’avanzata sui mercati - senzaprotezione di dazi - del superconcor-rente cinese o indiano. Magari ba-stasse cacciare Berlusconi. Sarebbeforse meglio dare il suo posto a Prodi,portavoce e simbolo del parassitismopubblico, espressione di un elettoratoche vuol essere protetto e continuarea parassitare un sistema che non puòpiù permettersi parassiti? Atten-zione, il lettore non ci attribuisca unpenchant per Berlusconi. Il punto èun altro: la fatua superficialità diBerlusconi è l’immagine stessadell’Italia, fatua, poco istruita, pocointelligente. Che pretende di “andareavanti” senza esercitare mai il pen-siero, senza scegliere classi dirigenticapaci di pensare.

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Alzi la mano chialmeno unavolta non ha

definito qualche suo in-segnante scoppiato, fuo-ri di testa, arterio … evai con la fantasia! Be-ne oggi abbiamo la con-ferma, e anche autore-vole: un numero consi-derevole di insegnantiha problemi di equili-brio, è affetto da quelloche, con un termine in-glese, si chiama burnout. Parola strana, chela maggior parte dellepersone non conosce,ma che vuole propriodire quello che tantistudenti a volte hannointuito ed espresso inmodo colorito.Almeno questo è quan-to emerge dal libro“Scuola di follia” di Vit-torio Lodolo D’Oria (inlibreria da maggio), cheparte da un recente stu-dio pubblicato su unaprestigiosa rivista scien-tifica, La Medicina delLavoro (N. 5/2004), esi avvale dell’autorevo-le appoggio di due psi-chiatri milanesi G.Campione e A. IossaFasano.L’autore stesso è studio-so altamente attendibi-le in quanto medico, ex consulente delMIUR per la stesura del rapporto sullasalute degli insegnanti italiani nell’am-bito del progetto OCSE 2002-2004,membro del collegio medico della ASLCittà di Milano per il riconoscimentodell’inabilità al lavoro per causa di sa-lute, nonché autore di pubblicazioni inmateria. Se è questa la fonte che de-nuncia che in cattedra sale anche lafollia e che c’ è un numero considere-vole di docenti di scarso equilibrio pos-siamo crederci: non è lo sfogo di stu-

denti sull’orlo di una crisi di nervi perun risultato negativo, o di genitori iper-protettivi, è la denuncia responsabiledi un fenomeno di disagio mentale scot-tante, preoccupante, che ci deve far ri-flettere al di là delle battute e della fa-cile ironia.E’ una realtà che è stata per troppo tem-po ignorata se già dal 1979 una inchie-sta del sindacato CISL con l’Univer-sità di Pavia metteva in luce che circail 29% degli insegnanti dell’area mila-nese faceva uso di psicofarmaci.

Il fenomeno non èisolato, ma riguardatutti i livelli di scuo-la, colpisce in egualnumero uomini edonne e, a detta distudiosi del fenome-no dal punto di vistamedico-psichiatrico,è in aumento in que-sta categoria mentresi sta livellando nellealtre professioni comeemerge dai dati dellostudio “Golgota”(2004) della fonda-zione “IARD”, che hamesso a confrontocirca mille professoricon altre tre categorieprofessionali.Risultato: rispetto adaltri dipendenti il ri-schio di patologie psi-chiatriche fra gli in-segnanti è doppio eanche triplo.In conclusione il la-voro dell’insegnantecomporta un notevo-le logoramento psico-fisico che si manife-sta con patologie ditipo ansioso depressi-vo che si evidenzianodopo circa 20-22 an-ni di insegnamento.Ma uno dei più fre-quenti fattori scate-nanti è la situazione

di disagio in cui si trova chi lavora ascuola. Cerchiamo di entrare nel meri-to e capire di che cosa si tratta. Standoa questi studi il burn out si manifestacon affaticamento fisico ed emotivo, unatteggiamento distaccato nei confron-ti degli studenti, dei colleghi e in gene-rale nei rapporti interpersonali, un sen-timento di frustrazione e di insoddisfa-zione e soprattutto la perdita di capacitàdi controllo degli impulsi. E’ un argo-mento su cui ogni tanto viene lanciatoun grido d’allarme, ma sul quale con-

Mal di scuola… effetto “burn out”Pierangela Bianco

temporaneamente, soprattutto in Ita-lia, cala uno strano silenzio, una sortadi omertà, mentre in altre realtà, so-prattutto nel mondo anglosassone, lacondizione di burn out è stata attenta-mente analizzata e studiata. Eppure nessuno se ne può chiamarefuori, utenti, docenti, dirigenti, forzepolitiche e società civile in generale.Il motivo è semplice: è un bene di tut-ti, coinvolge per un sempre crescentenumero di anni tutti noi direttamenteo indirettamente. Se la scuola è mala-ta, ne soffre, e ancor più ne soffrirà infuturo, tutta la comunità. E’ un pro-blema che va studiato e affrontato dachi ha competenze e responsabilità di-rigenziali e politiche per capirne primadi tutto le cause e trovare poi i rimedi.Per ora mi pare che la denuncia del fe-nomeno indichi in modo molto gene-rico le cause e non si pronunci né sul-le terapie, né su chi sia titolato a pro-porre soluzioni. Insomma si brancolanel buio o forse si è consapevoli che sitratta di una parte di un problema cheriguarda non solo la scuola, ma parte dauna società che è in crisi di identità, divalori, di cultura. Ovvio che tutto que-sto si manifesti nei luoghi deputati a in-segnare a ragionare, a conoscere e a di-stinguere il bene e il male, la vita e lamorte, l’amore e l’odio, la civiltà e labarbarie, i valori e i disvalori.Belle parole, ma secondo quali para-metri? La famiglia è in crisi, spesso ine-sistente, ancor più spesso luogo in cuitutto si impara meno che a diventareadulti responsabili. Genitori adulti so-lo all’anagrafe trasmettono le loro an-sie, le loro insicurezze, le loro frustra-zioni e le mascherano con l’iperprotet-tività o il lassismo. Alla scuola è de-mandata l’intera crescita dei ragazzi,dalla prima infanzia alla maggiore età,con un rapporto educativo che spessovede i genitori accanto ai figli contro idocenti. Le famiglie delegano molto evogliono risposte in linea con le loroaspettative, i loro bisogni, le loro fan-tasie, altrimenti mettono la scuola e gliinsegnanti sotto processo.L’ istituzione scuola deve risolvere tut-ti i problemi, meglio ancora non ne de-ve creare.A questo si aggiunge una situazione diincertezza strutturale: da anni vengonocalati dall’alto pezzi di riforme che il piùdelle volte hanno solo svilito il ruolodocente e da due legislature si procla-mano riforme globali, epocali che cam-bieranno totalmente il volto della scuo-

la, la adegueranno alle richieste delmondo del lavoro e dell’Europa.Detta così è roba da far accapponare lapelle. Ma la realtà qual è? I risultati qua-li sono? La riforma Berlinguer è stato unaborto. La riforma Moratti procede(for-se) fra mille ripensamenti, passi avan-ti, indietro, giri di valzer, veti incrocia-ti, paralleli, obliqui, posti per lo più daquelle forze di maggioranza che do-vrebbero sostenerla per cui non si sache fine farà.Il dato certo è che dalla crisi del ’68 lascuola non si è più ripresa. Si è messa edè stata messa in discussione, è stata intanta parte smantellata e oggi paghiamoil risultato di scelte culturali ed educa-

tive, nella scuola e nel-la famiglia che hannodestrutturato e delegit-timato ogni idea di au-torità, di disciplina, di-vieto, punizione, sforzo,fatica, come ha recente-mente sottolineato Ma-rio Pirani editorialista diRepubblica. Dagli anniottanta poi sono entratenella scuola figure spe-cialistiche di consulenzacome gli psicologi che,per lo più, o non sonoserviti a nulla (nel mi-gliore dei casi) o hannocontribuito a creare ul-teriori problemi. Unaserie poi di riforme de-magogiche ha fatto sali-re in cattedra docenti

sempre meno preparati culturalmente ein compenso fortemente ideologizzati.Mi piacerebbe che si facesse uno studiosul livello di preparazione culturale e di-dattica dei docenti affetti da burn out.Forse si potrebbe partire da lì per trova-re la terapia. Non voglio fare sterili po-lemiche, ma bisogna ripartire dai do-centi che devono essere selezionati peraffrontare un compito difficile, gravoso,complesso che non può essere affidato alprimo che capita senza mai fare una ve-rifica, un controllo. Bisogna recuperareil concetto di professionalità, ridiscute-re il ruolo docente e poi sono convintache si ridimensionerà molto fortemen-te il burn out.

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Il Comandamento “tu non ucciderai”(Dt. 5, 17), è l’imperativo morale, cuifa riferimento l’etica della vita e sca-turisce dall’alleanza tra Dio e il popo-lo d’Israele.Esso però è prevalente anche in mol-tissime culture geograficamente moltolontane tra loro.La sua interpretazione si è modificatanel corso dei millenni. In principio silimitò a proibire l’assassinio; poi proibìl’eliminazione degli indifesi, fino adincludere gli animali (Gen. 8,21).Così si passò da una valenza sociale adun invito al rispetto della vita deglischiavi e degli stranieri.

Fu il Nuovo Testamento che diedeimpulso al rispetto della vita.Il Discorso della Montagna (Mt. 5,

21) portò alle estreme conseguenze ilComandamento, con la frase: “...ma Iovi dico…” in cui Gesù di Nazaret esten-de il concetto e invita ad abbandonareogni tipo di violenza e d’ingiustizia e in-troduce (come scrive su Rocca, Gianni-no Piana) “comportamenti che favorisconoil mutuo riconoscimento e la solidarietà so-ciale”.Questa è una rivoluzione, nel senso di unsovvertimento dell’istinto naturale per-verso che si annida nell’intimo piùprofondo di ognuno di noi (Freud).In questa nuova interpretazione si passarazionalmente da una dimensione bio-logica (difesa della vita fisica) ad unaproposta di sviluppo di rapporti inter-personali, per arrivare ad una relazione disolidarietà e d’amicizia (ama il tuo ne-mico).I conflitti nell’ambito familiare, tra fra-telli e tra padri e figli, sono la dimostra-zione della mancanza di una cultura intal senso. La promozione della comuni-cazione interpersonale diventa in tal mo-do un mezzo efficace di difesa della vita.“Tu non ucciderai - scrive Giannino Pia-na su Rocca - in questa ottica, svolgeuna funzione decisiva nella strutturazio-ne dell’IO”.

Noi siamo chiamati, secondo il NuovoTestamento, a costantemente impe-gnarci per intercettare le ingiustiziedell’uomo sul proprio simile, le evidentisperequazioni economiche tra le perso-ne e tra le categorie sociali, la violenza,il disconoscimento dei diritti e della di-gnità delle persone.“Tu non ucciderai” dopo queste rifles-sioni estende il suo significato letterale.Costringe a valutare i nostri comporta-menti in un’ottica culturale più ampia.La difesa della vita, non si deve limitarea ribadire il concetto che non è lecitosopprimere senza giustificazione (legitti-ma difesa) la vita umana, ma deve crea-re condizioni culturali che facilitino lamutua comprensione delle ragionidell’altro.

AMARE LA VITANon limitarsi a “non uccidere”

di Alessandro Canton

La morte cercata volontariamen-te da un suicida mette a nudo ilproblema stesso del senso della

vita, che per alcuni è un dono e per al-tri un compito, un bene di consumo,che si usa e si può gettare a piacimen-to. Ogni giorno sono circa otto i cit-tadini italiani che si uccidono, con unrapporto uomo-donna di 3:1. La cittàitaliana con il più elevato tasso di sui-cidi è Trieste, mentre la Campania è la

regione con la più bassa percentuale.I metodi utilizzati sono l’impiccagio-ne e la precipitazione. Le donne pre-feriscono l’avvelenamento, che con-sente spesso il salvataggio in extremis.Di solito al primo tentativo fa seguitoil secondo con una percentuale di suc-cesso che è del 100% se eseguito en-tro il primo anno.Il suicidio è la terza causa di morte trai giovani: ogni anno si suicidano 12ogni 100.000, di età media fra i 15 e i24 anni.Le cause vanno ricercate in un even-to particolarmente traumatico che hadestabilizzato un equilibrio psichicogià precario, in problematiche all’in-terno del nucleo familiare, in un com-portamento impulsivo e aggressivo, in

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LA MORTE E IL SENSO DELLA VITAIn Italia ogni giorno ci sono otto persone che decidono di togliersila vita. Perché?Depressione, alcool,droga, ma anchesolitudine e problemieconomici.

di Gabriella La Rovere

uso di alcool e droghe.Diverse statistiche internazionali met-tono in luce che leggi che consentonol’uso di alcool in età relativamente gio-vane sono associate ad alto tasso di sui-cidi. Nell’adulto invece con l’abuso dialcool è spesso presente un quadro didepressione. Per quanto riguarda le dro-ghe, ci si trova di fronte a persone chehanno altri fattori di rischio per il sui-cidio: disagio sociale e problemi eco-nomici.Da tempo si assiste a un aumento dei ca-si di suicidio tra le persone anziane, co-me capolinea di un percorso di malattia:depressione, epilessia, scompenso car-diaco, patologia polmonare cronica.Molti sono andati dal proprio medicoun mese prima di compiere l’ultimo ge-sto, senza lasciar trapelare niente chepotesse consentire un’azione di pre-venzione.Ma si può parlare di prevenzione? Inol-tre, esiste un’ereditarietà dell’atto?Secondo alcuni studi i figli di coloroche hanno cercato di suicidarsi presen-terebbero un rischio più elevato dicommettere lo stesso gesto.Il legame sembra essere di natura gene-tica. Il 13% dei gemelli omozigoti di per-sone morte suicide lo ha poi fatto, men-tre solo lo 0.7% dei gemelli eterozigotiha seguito il cammino dei fratelli.Alla ricerca di alterazioni anatomichee funzionali del cervello delle personesuicide, alcuni neurologi ne hanno ri-

scontrate diverse a carico del nucleodorsale del rafe e della corteccia orbi-tale prefrontale.Quest’ultima è la sede delle cosiddettefunzioni esecutive del cervello, com-preso il meccanismo di inibizione in-terna che impedisce ad una persona dilasciarsi andare. I neuroni del nucleodorsale del rafe producono, invece, se-rotonina che viene inviata alla cortec-cia orbitale prefrontale. Le persone arischio di suicidio presenterebbero unaridotta sintesi di serotonina e allo stes-so tempo un minor numero di moleco-le ricaptanti. Bassi livelli di serotoninasono presenti in caso di depressione,impulsività, aggressività.Da notare che l’impulsività è propriouna delle caratteristiche del suicida,nonostante molte persone pianifichinola propria morte lasciando scritto, inmaniera chiara e precisa, ciò che deveessere fatto, dal testamento alle esequie.A conferma del rapporto tra attivitàdella corteccia prefrontale e suicidio,l’analisi post-mortem di soggetti dece-duti per loro volontà, ha dimostratoun’attività serotoninergica più bassanella corteccia prefrontale.I farmaci antidepressivi, come il Pro-zac, agiscono legandosi alle molecolericaptanti la serotonina, impedendo aineuroni presinaptici di riassorbire trop-po rapidamente il neurotrasmettitore,che può rimanere più a lungo nella si-napsi esercitando il proprio effetto cal-mante.Uno studio condotto su 2800 adulti in-glesi ha però evidenziato un maggiorerischio di suicidio nella prima settima-na di terapia con antidepressivi, senzaalcun differenza tra farmaci vecchi enuovi.Molte le ipotesi formulate. I pazientiche iniziano la terapia sono di solito inuno stato di grave depressione, che è diper sè causa di comportamento suicida.Oppure l’azione iniziale del farmaco ètale da dare al paziente la forza suffi-ciente a mettere in atto il proposito. LaFDA ha perciò chiesto alle aziende pro-duttrici di alcuni farmaci antidepressi-vi di portare all’attenzione dei mediciquesto iniziale rafforzamento della vo-lontà suicida come uno dei possibili ef-fetti collaterali nelle prime fasi del trat-

tamento.Il suicidio è anche strettamente corre-lato al disturbo bipolare o malattia ma-niaco-depressiva, caratterizzata da di-sturbi dell’umore sino alle forme psico-tiche gravi. Il malato passa da periodi incui l’umore è generalmente elevato,l’attività e i livelli di energia sono au-mentati, il bisogno di sonno diminui-sce, l’eloquio è spesso rapido e si spostavelocemente da un argomento a un al-tro, a periodi di apatia, letargia, distur-bi del sonno, movimenti fisici rallenta-ti, lentezza di pensiero, incapacità diprovare piacere in situazioni che do-vrebbero procurarne. La malattia ma-niaco-depressiva è stagionale e ricor-rente e per le continue oscillazionidell’umore, della personalità, del pen-siero e del comportamento, inevitabil-mente va a influenzare i rapporti uma-ni. È difficile vivere accanto a chi sof-fre di disturbo bipolare.Traiamo alcune frasi da “Brilla unastella” di Danielle Steel: “...è innega-bile che voler bene a qualcuno che sof-fre di una malattia bipolare sia unastrada dura e difficile. Ci sono mo-menti in cui si avrebbe voglia di urla-re, giorni nei quali si pensa di non po-ter più andare avanti, settimane nel-le quali ci si rende conto di non averfatto nessun progresso e si rimpiangedi non esserci riusciti, momenti in cuisi vorrebbe voltare le spalle alla situa-zione ... Sei in trappola come lo è ilmalato. E a volte ti accorgi di odiarequella trappola, il modo in cui incidesulla tua vita, sui tuoi giorni, sul tuoequilibrio mentale. Anche il malatovive la situazione come insopportabile,da terminare”.Un’ultima riflessione: quando l’idea delsuicidio comincia ad affacciarsi allamente, ecco che in alcuni uomini lacreatività artistica sembra raggiungerelivelli di inspiegabile bellezza.Ne sono un esempio l’ultima produzio-ne di Van Gogh o di Majakovsky, tan-to che viene da chiedersi se l’umanitàabbia dovuto pagare un prezzo così al-to per poter godere di momenti distraordinario lirismo, che solo la soffe-renza dell’anima riesce a creare.

Da “La pelle” mensile N.°2 - 2005

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Libero, il tuo paese non ti di-menticherà.Queste parole, le uniche accan-

to alla sua immagine ed al garofanosimbolo dei Socialisti, erano riporta-te sul manifesto funebre col quale siannunciò la sua prematura scompar-sa.L’incontro in suo ricordo, che si è te-nuto sabato 11 giugno 2005, nel 20°anniversario della sua morte, è anda-to ben oltre la promessa di quell’im-pegno ormai lontano: ha reso eviden-te quanto egli ancora sia ricordato congrandissimo affetto e persino amato -cosa abbastanza rara per un politicodalle posizioni non esasperate -non

solo nella “sua” Ponte, ma anche inValtellina e persino a livello naziona-le e di quanto la sua figura, con il suoequilibrio nei giudizi e nell’ azione edil profondo rispetto delle posizioni al-trui siano mancati e manchino in que-sto momento di gravissima crisi di va-lori e di contrapposizioni politichepersonalizzate e strillate.Nell’occasione è stata presentata inol-tre la ristampa (che era necessaria eche sarà utilissima quale essenzialestrumento sia di studio sia di riflessio-ne) della prima opera da lui pubbli-cata e da molto tempo introvabile:“Mezzo secolo di vita politica in Val-tellina e Valchiavenna”.

La sala del teatro comunale di Ponteera gremita di persone: del paese, maanche di tutta la valle, venute a testi-moniare il loro profondo affetto perloro Sindaco, il parlamentare, il com-pagno d’ideali, il collega su posizionipolitiche diverse.La prima parte della manifestazione èstata dedicata alla presentazione delvolume.Pierluigi Zenoni, con un appassiona-to intervento in apertura, ne ha mes-so in particolare evidenza la parte, es-senziale, nella quale si ricorda il lun-go stato di soggezione e di povertàdelle classi contadina ed operaia, coni primi tentativi d’organizzazione e

Libero Della Briotta 20 anni dopodi Diego Zoia

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d’emancipazione e con l’obbligato ri-corso all’emigrazione, che l’autore giu-stamente considera elemento di ri-scatto, economico e sociale, contro letesi dei benpensanti, che ne enfatiz-zavano invece i rischi, pur presenti,sul piano morale.Bruno Ciapponi-Landi, già allievo diLibero Della Briotta quando questiinsegnava a Sondrio quale maestroelementare, ne ha ricordato l’impe-gno ideale, la preparazione culturale ela novità di metodo nell’insegnamen-to, non sempre ben vista nel periododagli ambienti scolastici ufficiali, in-sieme all’attività nei primi anni deldopoguerra, oltre che l’amicizia fra-terna con diversi esponenti cattolici,che la ricambiarono senza riserve,com’è apparso da alcuni brani, letti, diGiulio Spini.L’opera, per la sua carica innovativa,non fu accolta molto favorevolmente,alla sua pubblicazione, dai locali cul-tori della materia.Diego Zoia ha poi rammentato alcu-ni episodi del suo sodalizio con il suovecchio compagno e Sindaco e rile-vato l’importanza di alcuni punti delvolume.Per prima, l’analisi delle condizionieconomiche e sociali della Valtellinanei periodi Grigione e Napoleonico,che hanno contribuito profondamen-te a determinare le caratteristiche deiValtellinesi; nonostante la necessità diaggiornamento, dopo quasi un qua-rantennio, si tratta della miglior in-dagine finora tentata in materia.Passando poi dalla parte più specifica,ha esaminato brevemente le diversefasi della vita politica valtellinese do-po l’unità d’Italia: prima la prevalen-za dei liberali moderati dopo l’unifi-cazione, soprattutto con Emilio Vi-sconti Venosta e Luigi Torelli, segui-ta dal periodo di prevalenza di LuigiCredaro e di Giuseppe Marcora e del-la loro evoluzione politica da posizio-ni democratiche e radicali ad altre piùmoderate, infine il tentativo dei Cat-tolici, che si erano organizzati in mo-vimento a forte contenuto sociale, dipartecipare alle elezioni, fino ai limi-ti dello scontro con le gerarchie ec-clesiastiche.Importanti anche, a suo avviso, l’esa-me approfondito delle posizioni dei

Cattolici e dei Socialisti all’inizio delsecolo XX, del loro complesso rap-porto di competizione elettorale daun lato e comune sentire, e persino ac-cordo sulle cose da fare (ad esempioper quanto riguarda lo sfruttamentodelle acque), dall’alto: dati che DellaBriotta riteneva fossero alla radicedella situazione politica in cui si vi-veva al momento della pubblicazione(e che, almeno in parte, lo sono ancheai nostri giorni).La manifestazione è poi proseguitacon la parte ufficiale, riservata al ri-cordo dell’estinto.Per primo è intervenuto l’attuale Sin-daco Franco Biscotti, che ne ha ri-cordato le qualità di amministratore,la rettitudine morale e politica e il to-tale impegno personale, la disponibi-lità assoluta nei confronti della suagente, per chiunque e in qualunquemomento; poi Luigi Tempra, che permolti anni ne raccolse la non facileeredità di primo cittadino, che ha re-so efficacemente la continuazione peril miglioramento del comune: senzastravolgerne però le caratteristiche,culturali ed economiche ma prepa-randolo a nuove forme di sviluppo,nel rispetto delle risorse territoriali eumane, oltre che delle sue radici pas-sate.Con un occhio di particolare riguar-do per il versante orobico, dal qualeproveniva la sua famiglia ed al qualeera profondamente legato, e per la vi-ta associativa, alla quale partecipòsempre nei limiti del possibile.Tra le altre personalità provinciali in-tervenute, oltre a Bianca Bianchini,Sindaco di Sondrio, città della qualeLibero Della Briotta fu consigliere, edi Patrizio Del Nero in rappresentan-za della Provincia, va ricordato quel-la del Senatore Eugenio Tarabini, chesi trovò per lungo tempo alleato a Ro-ma e su opposta posizione a livello lo-cale, con contrapposizioni memora-bili. Questi ha rimarcato in particola-re il comune impegno, anche se informazioni politiche diverse, nella di-fesa degli interessi della Provincia,con la costante azione in parlamentoe nel governo.Ermanno Simonini ha invece porta-to il ricordo commosso dei Socialistivaltellinesi, nei quali Libero ha mili-

tato per quasi un quarantennio e cheancora oggi vivono un momento diincontro nel ricordo della sua azionepolitica ed amministrativa, con lo sti-molo forte a ritrovare l’unità e gli stru-menti per proseguire tale azione.Sulla stessa linea vari suoi vecchi col-leghi di partito, che hanno avuto im-portanti incarichi a livello nazionaletra cui: Carlo Tognoli, già Sindaco diMilano e Ministro della Repubblica,il quale ha presieduto e regolato lamanifestazione ed ha citato diversibrani tratti dagli interventi di LiberoDella Briotta in Parlamento, ancoraattualissimi; Ugo Intini, che ne ha ri-cordato le posizioni di socialista au-tonomista convinto e la statura cul-turale elevata ed aperta all’Europa.Le loro relazioni sono state infram-mezzate da due interventi di personeche non sono potute intervenire:quello, puntualissimo, di Fabio Fabbri,già presidente dei Senatori Socialisti,dalla quale traspaiono un’amiciziaprofonda e la validità persistente dinumerose posizioni assunte molti an-ni or sono, e di Roberto Di Leo fun-zionario del Ministero degli Esteri,che ne mostra l’importanza del lavo-ro a livello internazionale, in difesadell’Italia e soprattutto degli emi-granti.Le relazioni sono state lette da duenipoti dello scomparso, i quali nonavevano potuto conoscere il nonnoin vita: con una marcata somiglianzaa lui nel tratto e con una sobrietà og-gi rara.In chiusura, una visita degli amici al-la tomba di Libero Della Briotta, lon-tano dopo la morte (per quel che lacosa può contare) dal frenetico impe-gno terreno, in mezzo alla natura nelpiccolo cimitero Sazzo, sulla monta-gna che tanto amò.Sulla lapide, una strofa di GiovanniBertacchi, il verso finale della quale èun vero e proprio impegno, laico, divita e di comportamento di chi chie-de la miglior parte di sé agli altri, e inparticolare al suo paese e alla Valtel-lina: “tessere buone memorie, animamia”.Ogni uomo onesto non può che au-gurarsi di essere in grado di rispettarecon altrettanta fermezza e serenità uncosì essenziale impegno.

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La “delegazione dei gestori dei rifu-gi lariani” ha presentato l’iniziati-va turistica del 2005 che sono pro-

mosse con lo slogan “Vivere il Lario inalta quota”. Un insieme di iniziativedestinate al grande pubblico che nonvuole essere in contrapposizione con leproposte che si vivono e si progettano inValtellina, ma contrapponendo semmaiuna nuova gamma di offerte rivolte agliamanti della montagna.Il destinatario delle proposte di svago eriscoperta della montagna non è soltan-to l’abituale frequentatore ma tutti co-loro che, in Lombardia, desiderano vi-vere un’esperienza in alta quota. Il ric-co programma prevede infatti propostedi natura sportiva, culturale e gastrono-mica. La varietà di paesaggi e di posi-zione dei rifugi ha permesso di definireun’offerta complessiva che spazia dal ri-fugio accessibile in auto, fino al rifugioraggiungibile solo a piedi. In tutti i rifu-gi coinvolti sono offerte specialità ga-stronomiche di montagna che è possibi-le gustare solo in alta quota: i piatti con-diti con le erbe di montagna, i formag-gi d’alpeggio, le ricette della tradizione.Le attività proposte sono fra le più varie:percorsi di trekking per tutti i gusti, se-rate musicali “sotto le stelle”, percorsiculturali legati alla storia, avvistamento

di animali selvatici, percorsi in bici. Leiniziative sono state presentate lo scor-so 19 maggio in Villa Locatelli dalla Pro-vincia di Lecco: l’assessore al turismoGiancarlo Valsecchi, il presidentedell’Assorifugi Giacomo Baccanelli e ilcoordinatore dei rifugi lariani ElenaSangalli hanno presentato le iniziativerealizzate nell’ultimo anno: i contributiper il rinnovamento strutturale e perl’installazione dei pannelli solari, il cor-so di formazione “la gestione turisticadei rifugi” rivolto ai gestori e l’assisten-za tecnica per la definizione dei prodot-ti turistici. Queste iniziative hanno permesso nonsolo di arricchire la qualità delle strut-ture e le competenze dei singoli, ma difar maturare la consapevolezza che lamontagna può offrire innumerevoli op-portunità di svago e cultura. Il pro-gramma 2005, che ha visto l’adesioneanche di alcuni gestori della provincia diComo, è la prima esperienza di offertamoderna rivolta ad un mercato turisticoin continua evoluzione. Il programmasarà promosso nel sito dell’Assorifugi(www.rifugi.lombardia.it), presso lo IATdi Lecco (0341.362360) e con una cam-pagna promozionale via radio in tutta laLombardia.

Sentire la montagnaAll’iniziativa lariana si affianca un’altraimportante iniziativa della MontagnaLombarda che dice tutto nel suo titolo“Sentire la montagna”. Questa idea na-sce partendo dal presupposto che nel re-cente passato la Storia, le storie, i rac-conti e la musica che li accompagnavanelle Osterie delle valli alpine, si muo-vevano molto più velocemente rispettoal fondovalle: avevano una missione eduna importanza che andava ben oltre ilsemplice “ascoltare”, erano condivisio-ne, conoscenza e cultura. Oggi i canta-storie sono scomparsi, sostituiti da mez-zi di comunicazione che, pur fondamen-tali nella nostra società, non hanno la ca-pacità di essere parte del sentimento ve-ro delle storie che, senza la magia di untempo, vengono raccontate. Il progetto“Sentire la montagna” si sviluppa su piùcanali: vecchie tradizioni e nuovi modi diraccontare si intersecano tra loro neicontenuti e nei modi (eventi-concertiproposti in luoghi significativi per lamontagna e la sua gente; incontri concantastorie di ieri e di oggi per i bambi-ni delle scuole primarie; produzione di uncd musicale e di tracce multimediali perfar conoscere musica e storie; animazio-ni ed interattività per avvicinare i piccoli

LE PROPOSTEDELLA MONTAGNA LOMBARDA:uno sguardo nelle altre provincedi Lorenzo Croce

LE PROPOSTEDELLA MONTAGNA LOMBARDA:uno sguardo nelle altre provincedi Lorenzo Croce

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Parte un nuovo servizio per gliamanti del turismo artistico estorico in provincia di Lecco.

Da alcuni mesi è possibile visitare lavilla Manzoni grazie ad una inizia-tiva delle guide turistiche abilitateper la provincia di Lecco, che si so-no accordate per garantire nei finesettimana le visite guidate pressoVilla Manzoni. Il servizio, attivatodal 2 gennaio scorso, è disponibilein due momenti della giornata: al-le 10.30 e alle 15.00. Il costo perpersona è di 3 euro. L’iniziativa èmaturata all’interno delle attivitàdi realizzazione del Piano del Turi-smo della Provincia di Lecco. Du-rante il modulo formativo, dedica-to alla gestione dei servizi turisticie analisi del mercato, è emersa lacentralità del ruolo delle guide tu-ristiche nella fruizione delle ric-chezze artistiche e culturali. La gui-da, infatti, offre una chiave di let-tura del territorio visitato che per-mette di comprendere nel profondolo spirito del luogo. Proprio questaconsapevolezza ha fatto emergerel’insufficienza delle modalità di pre-notazione del servizio che era arti-colato in due momenti: contattocon lo IAT locale da cui si riceve l’in-tero elenco delle guide abilitate esorteggio della guida da parte delturista, nella speranza che non ab-bia la giornata impegnata. E’ stato,

pertanto, deciso di avviare la speri-mentazione di nuove modalità diofferta. Partendo dall’osservazioneche la scelta di usufruire del servi-zio viene spesso compiuta al mo-mento della visita, soprattutto peri turisti con viaggio organizzato inproprio, si è ritenuto che offrire ilservizio in presenza ad orari prede-terminati potesse incontrare il gra-dimento dei visitatori. Natural-mente, le guide abilitate hanno ri-tenuto di iniziare dal prodotto tu-ristico culturale più conosciuto:Alessandro Manzoni. Tuttavia, allafine dell’anno sarà fatto un bilan-cio dell’esperienza che, se dovesseessere positivo, potrà incoraggiarel’ampliamento del servizio ad altrelocalità della provincia. Attual-mente, il progetto vede impegnatoun gruppo di dieci pioniere, ma lapartecipazione è aperta a tutte leguide abilitate. A tal proposito leguide della città lacuale hanno di-chiarato: “lo scopo principale del-la nostra iniziativa è mettere a di-sposizione del turista un serviziodi qualità. Il nostro territorio è ric-co di tante risorse artistiche e cul-turali ancora sconosciute ai più. Ilservizio presso villa Manzoni è unprimo esperimento che potrà esse-re esteso ad altre strutture di pre-gio se riusciremo a costituire ungruppo più ampio”.

Nuovo serviziodi visite guidate

a villa Manzoni

all’arte di ascoltare). Sono diversi i luo-ghi e le date in cui “Sentire la montagna”si avvicinerà alla gente. Siti significatividi comuni di montagna delle province diBergamo, Brescia, Sondrio, Varese e Lec-co faranno da sfondo ad incontri in cuimusica e storie raccontate diventeranno,magari solo per una volta, di nuovo unmomento magico dell’ascoltare assieme.Tra i Gruppi musicali coinvolti troviamola Bandalpina, i Ciolinisti della valle Caf-faro, l’Alphorn Group, la Piccola Orche-stra Sinfonica Montana e Davide van DeSfroos. Il prologo di Sentire la montagnasi è tenuto il sabato 4 giugno 2005 a Pon-tida (BG) dove è stato presentato il Cdrom interattivo per bambini “Salvo e il ca-vallino”, prodotto per il progetto e, con ilgruppo musicale di Bandalpina accompa-gnati dai burattini della storica Compa-gnia di Fiorino Losa, si aprirà la lunga se-rie di appuntamenti che si concluderan-no a Dicembre 2005. E’ un progetto at-tuato dalla Associazione Gente di Mon-tagna con il CAI Bergamo, con il e pa-trocinio ed il contributo della RegioneLombardia, Assessorato alle Culture,Identità, Autonomie, con il patrociniodella provincia di Bergamo, assessoratoalla Cultura e, per l’evento di apertura,della Comunità Montana Valle Sanmar-tino, del Comune di Pontida.

Nuovo serviziodi visite guidate

a villa Manzonidi Tito Lupi

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IL PROGETTOCATCHRISK:

mitigazione del rischio idrogeologicodei bacini alpini

di Benedikte Del Felice

Che non ci siano più lemezze stagioni, che iltempo non sia più

quello di una volta è ormai atutti ben noto. Periodi dipiogge, brevi ma insistenti,sono diventati fattori ordina-ri nel panorama meteorolo-gico italiano ed europeo e al-trettanto comuni sono i con-seguenti disastri ambientalicome alluvioni e smotta-menti. Negli ultimi decennii bacini idrografici delle zonealpine sono stati teatro digravi dissesti di carattereidrogeologico a causa dell’in-solito incremento e concen-trazione delle precipitazioni;situazioni d’emergenza comefrane, alluvioni e valangheda drammatico imprevisto,da evento eccezionale e si-tuazione limite, sono pianpiano diventate una delleconseguenze più frequentiche - ahinoi - il cattivo tem-po porta con sé.Spronate da un tale conte-sto, diverse regioni dell’arcoalpino si sono impegnate inun importante progetto diportata europea per renderepossibile l’elaborazione distrategie atte al monitorag-gio dei dissesti idrogeologici edel conseguente rischio difrane ed inondazioni. Lo stu-dio, che prende il nome diProgetto Catchrisk: mitiga-zione del rischio idrogeolo-gico nei bacini alpini (Inter-reg III B - Spazio Alpino) sot-to la guida di Regione Lom-bardia e con la collaborazio-ne preziosa di Regione FriuliVenezia Giulia, Regione Ve-neto, Canton Ticino e Isti-tuto Johanneum ResearchForshungsgesellschaft dellaStiria, in Austria - giusto pernominare alcuni dei partnernel progetto - ha potuto con-tare su sussidi promossi dallaComunità Europea da sem-pre attenta a quel punto ne-vralgico per comunicazioni escambi commerciali quale èl’arco alpino.Ma come nasce l’idea di que-sto lavoro a più mani? Smot-tamenti, frane, alluvioni so-no problemi che, lungi

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dall’essere circoscritti in unadeterminata regione ammini-strativa, tutte le zone alpinepresto o tardi si trovano ad af-frontare. Da qui l’esigenza dicreare un approccio comuneper la definizione di scenaridi rischio idrogeologico per ibacini alpini grazie ad un fer-tile scambio di conoscenzeteoriche ed operative. Nellavalutazione del rischio e del-la pericolosità presenti all’in-terno dei bacini e al loro sboc-co, un importante valore ag-giunto al progetto - che hamosso i primi passi nel lonta-no maggio 2002 - è stato si-curamente dato dalla possibi-lità di confronto su temi eproblemi comuni che ammi-nistrazioni anche molto di-verse tra loro si trovano afronteggiare ogni anno.Il piano di studio è stato sud-diviso in quattro “pacchetti-lavoro” (workpackages) chevanno dalla realizzazione diun sistema informativo geo-grafico per la valutazione delrischio idrogeologico - ogget-to di studio della RegioneLombardia - alla valutazionedella pericolosità di frane, diesondazioni su conoide ed in-fine di esondazioni fluviali sufondovalle.Il progetto è particolarmenteinteressante non solo per leconquiste tecnico-operativecui approda ma anche per ildisegno educativo ad esso sot-teso: porre le basi culturali perun’oculata programmazione epianificazione territoriale at-tuabile non solo dal punto divista economico ma anche esoprattutto dal punto di vistadella sostenibilità e compati-bilità territoriale.È emersa infatti la necessità diintervenire non solo là dove ildisastro sia già avvenuto madi agire prima del disastrostesso attraverso un processodi educazione e formazioneche sostanzi e sostenga una

politica di mitigazione e pre-venzione del rischio. Para-dossalmente, infatti, la mag-gior resistenza ad un progettodi salvaguardia e gestione delterritorio si ha proprio tra co-loro che su quel terreno basa-no la propria attività produt-tiva. Spesso lo sfruttamentoambientale diventa l’unicafonte di sostegno per le am-ministrazioni periferiche doveuna scarsa conoscenza - senon assenza di informazione,sommata a piccoli interessiprivati - finisce per ostacola-re opere di salvaguardia e ma-nutenzione da parte delle am-ministrazioni centrali cuipuntualmente ci si rivolge,però, per aiuti e sovvenzionieconomiche in caso di disastrinaturali.“Aggiornamento ed informa-zione sono fondamentali; lamitigazione e la prevenzionedel rischio attraverso una cor-retta pianificazione ambien-tale non possono fare a menodi chi in quel territorio vive eagisce quotidianamente. Nonsi può, in altre parole, fare ameno dei cittadini” - sottoli-nea Giovanni Crosta, docen-te all’università Bicocca diMilano.Dalla relazione finale (il pro-getto è giunto a compimentoalla fine del mese di giugno2005) emerge allora l’impor-tanza del coinvolgimento ditutti gli attori, non solo entiistituzionali centrali come leRegioni o categorie professio-nali quali geologi e professio-nisti che operano nelle zoneinteressate, ma anche e so-prattutto comuni, commit-tenti pubblici e gli abitantistessi. Da questo punto di vi-sta Regione Lombardia èall’avanguardia grazie all’im-plementazione di una Infra-struttura Regionale delleInformazioni Territoriale, in-tesa come l’insieme delle po-litiche, degli accordi istitu-

zionali, delle tecnologie e deidati che possa rendere possi-bile la condivisione e l’uso ef-ficiente dell’informazione ter-ritoriale stessa a tutti i livelli.Tale sistema informativo, ol-tre che strumento di gestionee diffusione di dati necessariai diversi livelli della pubbli-ca amministrazione, diventaprivilegiato mezzo di comuni-cazione di caratteristiche,vincoli e fragilità del proprioambiente per un’utenza sem-pre più vasta. Un esempioconcreto è il SIBCA (Siste-ma Informativo Bacini eCorsi d’Acqua), un program-ma in grado di determinare ipossibili scenari di rischio, distimare l’efficacia di eventua-li opere di difesa e di preve-dere eventi. Poiché il sistemapermette di creare un databa-se contenente tutte le infor-mazioni calcolate dal sistemainformativo relative ai baciniconsiderati, è facile capirel’importanza da questo assun-to come supporto alle attivitàdi programmazione e preven-zione non più possesso di po-chi addetti ai lavori ma ac-cessibile ai più.È questo l’obiettivo verso cuiorientare i propri sforzi: ogginon si chiede più - o non so-lo - la creazione di nuove me-todiche pratiche e strumen-tali ma soprattutto che tecni-ci locali e attori del luogovengano guidati e orientativerso una politica di preven-zione che vada dagli ufficicentrali dell’amministrazioneagli uffici periferici, dal tec-nico e dal geologo all’abitan-te del paese alpino. “Bisognasuperare inoltre - e già lo sista facendo fruttuosamente- quella sterile frattura tra ilmondo della scienza e il mon-do dell’amministrazione pub-blica per tradurre una ricer-ca tecnologica - sempre piùavanzata e specializzata - instrumenti giuridici e norma-

tivi spendibile nel mondopratico-amministrativo”spiega Dario Fossati di Re-gione Lombardia. Il progettoCatchrisk apre oggi le portead una nuova e necessariafrontiera: quella della ricercaapplicata prima, e dell’appli-cazione della ricerca da partedelle amministrazioni perife-riche, poi.Traspare allora chiaramentecome l’obiettivo finale di stu-diosi, tecnici e collaboratoridel progetto Catchrisk siagiungere ad una maggior re-sponsabilizzazione trasfor-mando le competenze da ver-ticali ad orizzontali e dele-gando al mondo amministra-tivo periferico e al singolo cit-tadino concrete responsabi-lità nel quadro di un progettodi mitigazione del rischio am-bientaleEccoci allora tornati al nodocentrale: “per gestire il terri-torio ci vuole cultura del ter-ritorio. È vero, la comunitàeuropea sta investendo mol-to nella prevenzione del ri-schio e nella protezione civi-le, ma andremmo poco lon-tano se quelle sovvenzioniservissero per coordinare per-sone che non conoscono ilproprio territorio” aggiungeDaniele Ravagnani, presi-dente dell’ordine dei geologidella Lombardia.Questa allora la speranza el’augurio che il progetto por-ta con sé: approdare ad unasempre maggior consapevo-lezza del proprio ambiente edel rischio ad esso connesso,là dove tale consapevolezzanasce da un atteggiamento diamore e cura verso l’ambien-te stesso. Se è vero che si amasolo quando si conosce, allo-ra ben venga questo trasferi-mento di conoscenze che sifa motore di un rapporto nuo-vo con il mondo che ci cir-conda. Un rapporto fatto diattenzione e impegno.

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Nel giornale “Avvenire” di gio-vedì 2 giugno, è presente unarticolo assai interessante di

Paolo Cerasetti nella sezione “Agorà”.In questo articolo che rappresenta l’in-tervista ben mirata dell’autore con Sal-vatore Settis, archeologo e storicodell’arte, fra i molti spunti interes-santi di riflessione, si dichiara da par-te di Settis che la decadenza ed il de-clino sia degli USA che dell’Italia ri-spondono alla loro intrinseca incapa-cità di gestire la complessità del pro-prio intero sistema. Infatti, tale inca-pacità genera nuova complessità, “fi-no all’implosione”.Tenendo conto che “implosione” è for-se non abbastanza calzante, quale ter-mine, per mostrare la dissoluzione strut-turale di un sistema che è un insieme disottosistemi, possiamo certo concorda-re con tale affermazione poichè è mol-to lucida e illumina la realtà della si-tuazione “decadente” degli stati qualigli USA, l’Italia e tanti altri.Stati antichissimi, quali l’imperoMaya o quello romano o quello per-siano e altri, sono da vedersi nell’otti-ca di “società” o sistemi organizzativicon le proprie strutture interne ed ipropri orizzonti o ambienti di sviluppo.La loro specifica e necessaria espansio-ne nel proprio “ambiente” sviluppavaper forza di cose ampliamenti del siste-ma loro caratteristico, e tali amplia-menti generavano sempre nuove com-plessità. Da qui la necessità di ridurre almassimo tali complessità, in modo cheil sistema potesse sopravvivere non tan-to assumendo ed uccidendo tali com-plessità, bensì integrandole natural-mente secondo la logica della strutturainterna del sistema fondamentale chereggeva i vari sottosistemi. Vi era dun-que un sovrasistema, quando tutto an-dava bene, che essendo “sopra” agli al-tri, valeva quale punto di riferimento o“modello” di “significato” per la crea-zione di nuove strutture ad hoc. Ciòvinceva l’anarchia causata dalle dispa-rità e dall’autarchica creatività dei pos-

sibili sistemi minori che pur facevanocapo al sistema principale. Quando in-vece la complessità delle funzioni diuna società, ove gli organi interni sipongono in disarmonia gli uni con glialtri accavallandosi e perdendo semprepiù la loro efficacia strutturale al siste-ma complessivo, diviene tale da crearesistemi alternativi e autosufficienti ri-spetto a quello di base, addirittura inconflitto con esso senza mai sostituirlo,ecco una frantumazione e un’anarchiadi fatto che disarticola il sistema com-plessivo creando quell’“implosione” del-la quale parla Settis.E’ giusto anche sottolineare, concor-dando con Settis, che la “decadenza”e corruzione globale delle società at-tuali non dipendono tanto dall’impe-rialismo militare economico e cultu-rale, bensì dalla loro sempre più gran-de complessità quali sistemi che nonriescono più ad essere organizzabili giàal proprio interno.E’ chiaro, poi, secondo noi, che un si-stema sociale deve assolutamente ri-durre le complessità che nascano voltaper volta e ciò comunque nella suastruttura stessa, armonizzando i signifi-cati ed i simboli che fanno parte dellasua stessa cultura con gli eventuali nuo-vi sistemi che vengano in essere persvariati motivi. Non si tratterà, allora,di un qualcosa di pericoloso in sè e persè per il sistema, ma di qualcosa chepuò o venir rifiutato o venir sottilmen-te integrato. Perché ciò? Perchè ogniorganizzazione umana ha una sua lo-gica sistemica che può accettare o re-spingere ciò che non appaia coerentecon essa stessa. Forniamo qualcheesempio.Un caso lontano fu quello di Galilei,che proponeva una visione che parevain aperta contraddizione col vedersi delsistema concettuale e simbolico di al-lora, ragion per cui quel mondo di nuo-ve opportunità che pareva schiudersicon la sua visione scientifica, se accet-tata dalla società di quel tempo, avreb-be potuto rappresentare un pericolo a

causa del nascere di nuovi valori men-tali che avrebbero potuto a loro voltacreare un movimento diverso di idee edi azioni umane e quindi sociali. Taliazioni avrebbero poi potuto creare deisistemi organizzativi che si sarebberoretti su basi differenti da quello che pa-reva la logica o la plausibilità del siste-ma allora imperante. Paradossalmente,l’antidoto all’incipiente visione mec-canicistica del mondo e del sistema so-ciale, era ad esempio presente nel pen-siero di Giordano Bruno, il quale peròfu ritenuto pericoloso per la segreta vo-lontà di fondare la sua misteriosa settadei “Giordanisti” volta ad una riformareligiosa e politica al tempo stesso. Eglimirava ad una riforma culturale che co-munque intendeva porre il Sole al cen-tro dell’universo e non la Terra, ma inun’ottica completamente diversa daquella di Galilei o di un Marsenne. Perlui il Sole era simbolo o “geroglifico”,per usare il suo linguaggio, del Divino,a dimostrazione che anche in chiavefisica era rinvenibile ed utilizzabile un“sistema” di ricerca comunque coeren-te con la visione della presenza di Dioanche nel mondo fisico. Il Sole era ma-nifestazione palpabile con i sensi vol-gari di una visione ottenibile coi sensi“sottili” e più misteriosamente evoluti,della capacità di comprensione dellacoscienza umana. In tutto ciò il sistemasociale di allora non perdeva la sua in-trinseca visione teocentrica, poichè lamateria stessa ed il nuovo sistema di ri-cerca scientifica restavano perfetta-mente e coerentemente vincolati allaspeculazione tipica del sistema stesso. Ilsucco della visione di Giordano Brunoe di altri come lui non era quindi un di-mostrare che il meccanismo della vitamateriale era da studiarsi svincolando-lo dalle simbologie religiose, bensì cheil meccanismo della vita materiale erauna dimostrazione di un’armonia supe-riore che trovava proprio nei simboli se-greti delle religioni un linguaggio dacapire e descrivere in modi multiformima assolutamente armonici. Pensiero

La decadenza culturale degli USA e dell’ItaliaUn’analisi sistemica e di rivalutazione del “classico”

(prima parte)

di Raimondo Polinelli

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tipicamente coerente con la possibilitàdi ristrutturare un sistema socialenell’ottica di una speculazione religio-sa e scientifica al tempo stesso. L’ideache la scienza divenisse uno strumentoilluminato per il bene di tutta la societàriposava in definitiva su due punti diforza: la scienza avrebbe aperto nuoviorizzonti di indagine perfettamente coe-renti col sistema di valori che da mil-lenni rimanevano pur sempre sotttesi almondo ove sarebbero nati, e contem-poraneamente l’uomo non si sarebbemai estraniato da detti valori perden-dosi in un contrapponibile ed ostilemeccanicismo. Questo secondo puntoavrebbe dunque costituito un “ripro-dursi” del sistema di allora senza crearecomplessità a livello della conoscenza epoi una ricaduta a livello di nuove strut-ture di pensiero che avrebbero poi crea-to nuove strutture organizzative in con-trapposizione al sistema di allora. Lalotta attuale fra il sistema scienza e lesue esigenze di agire solo nella propriaottica culturale e il sistema di valori“etici” che vi si oppone in nome ap-punto della propria plausibilità, è unretaggio derivato da quella diversifica-zione o dicotomia strutturale che è sem-pre in agguato e accompagna da secolile difficoltà del sistema del mondo mo-derno e contemporaneo onde ridurre ledifformità a livello della creazione delproprio orizzonte di significati e di azio-ne. Tornando alla creazione di complessitàsempre meno gestibili, possiamo direche non è che vi siano complessità as-solutamente non gestibili, bensì che isistemi delle società divengono inca-paci, ad un certo punto, di saper “ge-stire” tali complessità. In poche paro-le non sono più in grado di mantenereuna coerenza interna ai plurimi livellistrutturali, tale da permettere uno svi-luppo espansivo che contemporanea-mente riduca le complessità a ragione-voli semplicità. Un altro esempio lo possiamo scoprirein Italia (e non solo) circa il sistemagiuridico rispetto ad altri sistemi strut-turali interni al paese. L’aumento ab-norme di regolamenti, leggi, prassi sta-tuite, modifiche codicistiche, e perestensione la nascita di nuove funzioniapparentemente logiche ed estensiveper gestire questa complessità, porta adun aumento abnorme di ruoli, profes-sioni, strutture e sottostrutture organiz-zative di gestione che paradossalmentenascono per gestire la complessità che

esse stesse contribuiscono ad accresce-re col loro stesso apparire ed operare. Ladifficoltà sempre più marcata, avverti-ta a livello di ogni cittadino onde otte-nere quella soddisfazione funzionale nelgestire il suo ruolo di utente del sistemagiuridico che si aspetterebbe implicita-mente dall’enorme aumento di com-plessità, causato sia dal proliferare del-le leggi e dei regolamenti, sia dal proli-ferare delle richieste di ulteriori ridu-zioni di complessità degli stessi, agisco-no come un circolo vizioso che aumen-ta appunto una molteplicità non gesti-bile da parte non solo del sistema spe-cifico, ma dal sistema in generale. An-zi: dai livelli del sistema sociale. Il mo-tivo, poi, è assai semplice: ogni “siste-ma”, con la sua produzione di valori edi cultura interna, tende a continua-mente autoriprodursi (autopoiesi dei si-stemi) e sta proprio ai livelli interni delsistema più grande nel quale dovrebbeessere inglobato, il compito di parame-trare e regolare le strutture prodotte datali sottosistemi con le loro produzionispecifiche affinchè siano funzionali in-trinsecamente alla globalità dell’insie-me. Poichè ogni organizzazione umanao sistema ha un suo modo peculiare ditradurre l’ambiente ove essa è immersa,onde rendere familiare a se stessa l’igno-to dell’orizzonte di detto “ambiente”,va da sè che l’estraneità o meno del sot-tosistema al sistema ove dovrebbe esse-re inglobata ne determina la più o me-no riuscita sua integrazione funzionale.La complessità è una continua lotta on-de ridurre le disparità molteplici fra si-stemi a pari livello e quelle fra essi ed ipropri sovrasistemi. Ma questa riduzio-ne ha un suo segreto implicito sia nel si-stema inglobante il proprio sottosistemache nel sottosistema stesso: si trattadell’interiorizzazione o accettazione daparte del secondo della plausibilità delvalore di riferimento al primo, che è ri-conosciuto plausibile e come tale entranella sua produzione di senso, significatie strutture.Il sistema si mantiene inglobato in quel-lo ch’egli riconosce suo superiore e loutilizza quale parametro di autoripro-duzione dei propri valori interni. Ciò sottende la medicina dell’oggi peril domani: ridurre la complessità signi-fica non semplicismo tattico o strategi-co, bensì rinvenimento di un minimocomune parametro che renda l’organiz-zazione umana di quel dato ambito ef-ficiente col minimo dispendio di inuti-li risorse ed energie.

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Quel sorriso impostosulle labbra di chisembra aver capito

tutto a volte parla da solo.E’ triste dirlo, ma peggio os-servarlo: che altro c’è al di làdella naturalezza?Questi sono quelli famosiche dicono che, tutto som-mato, due più due non fasempre quattro. Strano a sa-persi questo, ma il pensaredell’uomo è logico-dedutti-vo: si fonda su assunti e prin-cipi che possono essere sor-ti dalla sua educazione, dal-la sua formazione o dalla suaesperienza.Qui non si sta parlando diintuito, che se infallibile èun talento, ma di logica.Ebbene, suona strano che aisostenitori del 2 + 2 che nonfa 4 sfugga forse qualcosa.Euclide scrisse gli Elementi(che sono studiati tutt’ogginei primi anni delle scuolemedie superiori) circa nel300 a.C..Ognuno è libero di credere edi ritenere ciò che vuole. Pertaluni la fede è una grazia,un dono, per altri un offu-scamento, una limitatezza.In ogni caso, anche da unalettura semplicemente storica degliscritti biblici non mi sembra né irri-guardoso né strumentale dire che degliElementi e più in generale della mate-matica Gesù (sì, proprio Lui, che perogni credente è l’unigenito figlio di Dio,l’Amore sapiente e misericordioso),non ne sapesse niente, quando in ri-sposta a Pietro su quante volte uno do-vesse perdonare così disse: “Non ti di-co fino a sette, ma fino a settanta vol-te sette.”(Mt.18,22).Da ciò se ne può dedurre che se la ma-tematica fosse stata un’eresia, Gesù si-curamente l’avrebbe detto, invece diessa se ne servì per esprimere un suoconcetto, un concetto che fosse com-prensibile all’uomo.

Che poi la matematica sia una sempli-ce convenzione e nulla più, è difficiledirlo, ma per capirci: un teorema lo siscopre o lo si inventa?E pensare che oggi la matematica si fasempre più fuzzy (più sfumata) per esserpiù precisa. Essa è e resta uno strumen-to, nulla più. Uno strumento di indagi-ne della realtà e di approfondimento.Ritorniamo allora ai fini, a coloro cioèche, con tono di sufficienza, professanoche in un ragionamento, a volte, dellalogica se ne può anche far a meno, o piùprecisamente asseriscono l’assunto che2 + 2 non fa sempre 4, quando ai loropiccoli viene invece insegnato il con-trario.Qual è il surrogato che in prospettiva,volenti o nolenti, viene indicato, di

A colpi di happeningdi Luigi Oldani

fronte ad un pensiero avul-so che orgogliosamente simanifesta “maturo”, quan-do in realtà non è nient’al-tro che adulterato?L’assurdo è che poi questodisagio logico lo si pongaquasi a fondamento e quasice se ne compiaccia di an-dar via liberi per uno steri-le esistenzialismo, che hamolto di relativo, e di cui èdifficile cogliere l’essenzia-le.Questa cognizione empiricache tanto vanitosamente èpromulgata che è?Saggezza, riottosità, indi-sponibilità a mettersi indubbio o che altro?Eppure il sum ergo cogitotanto caro a Karol Wojtylanon è roba da altri.Qui non occorre certo scal-trezza, agilità o che altro,ma semmai un po’ d’umiltà.Sapendo magari di staretutti più o meno a un metroe settanta.Se il ventre molle della so-cietà oggi viene messo ad-dirittura in mostra, che èquesta? La parata di quantisi trastullano gaudenti distarsene magari un giorno

paghi e compiaciuti davanti a un bic-chier di whisky e delle noccioline?Chiusi così i perché, è chiaro che poiper il tempo libero necessitano gli hap-pening (avvenimenti): tutto questotempo vuoto chi lo contiene più?Una volta, e non lo si dice con malin-conia o rammarico, ma lo si sente sem-pre più ripetere da più parti, ci si senti-va partecipi di una trasformazione inatto. Ora, quand’anche conservatori, lasi subisce.La moderazione, se è lecito usare que-sto termine, visto l’abuso che se ne fa,è sinonimo di proporzione.E questa, la proporzione, non la si mi-sura dall’alto in basso, ma c’è in quan-to proprio perché è di per sé bella.

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La diossina comunemente intesa è la2,3,7,8-tetracloro dibenzo-p-diossina(2,3,7,8-TCDD), che come le altre

diossine ha una forma planare e una strut-tura rigida, con al centro due atomi di Os-sigeno unenti a ponte due anelli benzeni-ci.Se ne distingue per l’avere quattro atomi diCloro, nelle posizioni 2,3,7,8, che le con-feriscono una straordinaria simmetria.E’ questa una delle chiavi del forte legame,che crea con il Recettore degli idrocarburiaromatici (Ah Receptor): una proteina pre-sente nel citoplasma delle cellule.Il legame e la conseguente attivazione ge-nerano una cascata di eventi, culminanticon la sintesi di un’altra proteina, il Cito-cromo P450.Esso è un forte ossidante di grande impor-tanza nella cellula, ma che a concentrazio-ni elevate diventa pericoloso. Ed è ciò cheaccade, per l’incapacità dell’organismo di li-berarsi della diossina, che continua a sti-molare la sintesi di citocromo!.Una chiara idea della permanenza delladiossina nell’uomo è il suo tempo di di-mezzamento, pari a 2120 giorni: circa 6 an-ni e mezzo.Significa che il nostro organismo impiegaun tempo enorme per eliminarla!Con l’aumento del citocromo aumentanoi processi ossidativi, sia quelli positivi, siaquelli negativi, che arricchiscono dram-maticamente la cellula di aldeidi, di che-toni, ma soprattutto di epossidi e radicali:vere mine vaganti. Dotate di estrema reat-tività, sono in grado di reagire rapidamen-te e senza controllo con l’intera cellula, che

può essere fisicamente distrutta.E’ bene rimarcare che la diossina non è tos-sica in sè, come può esserlo il cianuro, malo sono i prodotti finali di una lunga e com-plessa serie di eventi indotta dal legame trala diossina e il Recettore Ah.Esposizioni acute, come quella di Yush-chenko, sono frequentemente accompa-gnate dalla cloracne: una forte acne convistose cisti e un diffuso ispessimento dellapelle. Può durare anche per diversi mesi, manon è mortale.In molti altri casi è invece il fegato, riccodel Recettore Ah, ad ammalarsi e a tinger-si di uno scuro rossore. E’ la porfiria epati-ca, una malattia, che indebolisce molto lapelle, rendendola fragile al contatto e sen-sibile alla luce solare.A volte nelle donne sono possibili forti,ma temporanee alterazioni del ciclo me-struale. Come osservato nella comunitàmessicana di San Fransisco, la cui dieta erabasata su pesce inquinato.Problemi al timo o alla tiroide sono altredelle numerose conseguenze che si possonoavere.E sebbene la diossina sia dalla gente e damolti ricercatori ritenuta cancerogena, nonesistono prove scientifiche di tale capacitànell’uomo.Tuttavia, non essendosi dimostrata nean-che l’incapacità, la diossina è classificatacome sospetta cancerogena.In altri animali, come il ratto, sono stati os-servati tumori al fegato e all’utero, ma ciònon significa che se ne possano avere di si-mili nell’uomo, viste le evidenti differenzetra le due specie.

Diossina... che frittata!di Fabio Bordoni

La spiacevole vicendaaccaduta a VictorYushchenko, candidato aPremier ucraino, intossicatoin una cena politica e ilritrovamento dello stessotossico nelle uova di gallinadi un’azienda locale, hannorispolverato vecchie e forseeccessive paure sullediossine.E’ questa una famosafamiglia di molecole, notedagli anni ‘70, e prodottedalle industrie di composticlorati, dagli inceneritori edagli incendi naturali. Unavolta formate, sono libere dimuoversi coi venti,raggiungendo anche grandidistanze, per poi depositarsisu erbe e piante.Contaminando la catenaalimentare.E infatti, è l’ingestione dicibi avvelenati la principalefonte di diossina per l’uomo.Il pesce, i tessuti grassi e illatte, oltre alle uova, nesono i più ricchi.Proprio le uova sonorecentemente assurte allecronache in Valtellina dovehanno sollevatopreoccupazioni sullasalubrità dell’ambiente esulla affidabilità degliallevatori.In seguito, le indagini hannorivelato che la diossina erapresente nel trucciolatodell’aia, ricavato da tronchiimportanti dal Camerun e giàavvelenati.Le ignare galline assorbivanola diossina per il contattocon le zampe e soprattuttoper l’ingestione di trucciolatocol cibo.

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TANTI TIPILagerbirrafermentata e maturata a basse tempe-rature, di colore oro pallido e grado alcoli-co variabile. È il tipo di birra più diffuso alivello mondiale. Il termine “lager”di origi-ne tedesca indica i magazzini/cantine in cuila birra veniva messa a maturare.

Strong Lagerbirra tipicamente chiara ad alto tenore al-colico ottenuta a bassa fermentazione.

Bockil termine tedesco indica una birra extra-strong (6°-7,5°), di solito chiara, prodottacon il metodo della bassa fermentazione.Quando è ancora più forte diventa Dop-pelbock ambrata e scura.

Pils/Pilsner/Pilsenerdescrive una birra di solo malto prodotta abassa fermentazione, con un deciso aromae secchezza di luppolo fiorito, solitamentedelle varietà Saaz.

Weizentermine tedesco che indica una birra di fru-mento, spesso servita con spuma alta.Asprigna e dorata, dissetante e rinfrescan-te si produce ad alta fermentazione.

Bière Blanchebirra di frumento prodotta in Belgio. Leg-germente acidula, rinfrescante e digestiva,raggiunge mediamente una gradazione al-colica di 5°.

Stoutè la famosa birra nazionale irlandese di co-lore scuro intenso dal marrone al nero, pro-dotta con orzo torrefatto a fermentazionealta con l’aggiunta di caramello.

Aleil termine di origine inglese indica la birratradizionale prodotta con il metodo dellafermentazione alta.Ha moderato contenuto alcolico e pocaschiuma, da bere a temperatura di cantina.Numerose le sottotipologie.

BIRRE DAL MONDOLe novità, le tendenze, gli stili

Agli italiani la birrapiace sempre di più!Dati diffusi da Assobirraevidenziano come piùdel 70% dellapopolazione con oltre15 anni beveabitualmente birra eche il consumo nel2004 ha sfiorato i 30litri pro capite. Crescela voglia di birra ecrescono i clientiesigenti.Ecco perché per igestori di bar, pub eristoranti diventasempre più importanteconoscere il pianetabirra in tutte le suegratificanti sfumature.Anche se nel nostropaese il consumo dibirra aumenta, lacultura della birrastenta a farsi strada traabitudini e stereotipiquali l’associazione trapizza e birra. Molto c’ èancora da conoscere.Questo servizioattraverso descrizioni,rubriche, curiosità eannotazioni vuoleessere d’aiuto perapprezzare al meglioqualità e virtù dellabirra nei suoi differentitipi. La birra non è unasemplice bevanda. Hacaratteristiche di aromae gusto degne di unbuon vino, ma perapprezzarle occorreservirla allatemperatura giusta enel bicchiere giusto.

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Strong Aleè diffusa in Belgio e in Gran Bretagna.Ambrata e aromatica, supera facilmen-te i 6° di alcool.

Trappistaè tuttora prodotta dai monaci trappistiin 6 abbazie (5 in Belgio e una nei Pae-si Bassi). Forte carattere, gradazione ro-busta, colore che va dall’oro caricoall’ambrato scuro, schiuma ricca.Alcune sono adatte all’invecchiamen-to.

Abbaziaale belga forte e fruttata. Prodotta conil metodo dell’alta fermentazione, haforte contenuto alcolico che varia da 6°a 9° e si ispira alle birre anticamenteprodotte nelle abbazie belghe.

BIRRA E CIBOAntipastiIn molti paesi la birra accompagna stuz-zichini e piatti freddi spesso a base diformaggio e salumi. Dunque non sor-prende la possibilità di abbinarla con gliantipasti.Tipo consigliato: ale dorata dal saporedelicato e leggermente fruttato, servitaa 8/9°.

Primi piattiPasta con sughi al pomodoro: lager chia-ra o ambrata.Pasta con sughi più saporiti: birre piùcorpose.Minestrone: lager aromatizzata e rossairlandese.

PescePilsner e lager secche, di gusto fresco e pu-lito fanno risaltare il gusto del pescesenza sovrastarlo.

Molluschi e CrostaceiCozze, vongole, capesante e crostaceiben si sposano con birre stout.In Inghilterra e in Irlanda da sempreaccompagnano le ostriche servite neipub.

CarniMaiale: una rossa irlandese morbida ecremosa, capace di esaltare il maiale ar-rosto.Carni bianche: weizen servita fresca a 5-7°.Agnello: ideale l’abbinamento con lebirre della Francia settentrionale.Manzo: pale aie dal gusto complesso esecco o una pale aie amelimna.Carni brasate o stufate: è perfetta unaPilsner.Salumi e salsicce: l’abbinamento con la

birra è un grande classico che ha origi-ni tedesche.Lager leggera per i piatti più delicati e la-ger scura per quelli più impegnativi e de-cisi.

PizzaLe “lager normali” mal si abbinano conl’acidulo del pomodoro e delle farcitu-re, molto meglio una chiara doppiomalto o una rossa.

Formaggile “trappiste” più fruttate si abbinanobenissimo con il roquefort, i pecorini ei formaggi stagionati.Weizen e Iager con i formaggi freschi.

Dessert alla frutta, Cioccolato e caffèNon sempre è facile trovare un vino dadessert da accompagnare a mousse epralineria al cioccolato.Alcune stout, invece, sono sorprenden-temente all’altezza della situazione, ba-sta che siano di gusto intenso, ricco enon troppo secco.Con i dessert alla frutta nessuna birra èpiù indicata di una weizen.

CON COSA È FATTA?Gli ingredienti base sono: cereali mal-tati, acqua, luppolo e lievito.

I cerealiIl malto derivato dalla lavorazione deicereali costituisce l’ingrediente fonda-mentale della birra perché apporta glienzimi naturali necessari alla fermen-tazione.L’orzo conferisce alla bevanda un gustomorbido e pulito.Il frumento dà una nota fruttata e rin-frescante, l’avena aggiunge una notaspeziata, il riso alleggerisce la birra, co-sì come il mais.

Il luppoloÈ un rampicante simile alla canapa, del-la stessa famiglia dell’ortica, del gelso edell’olmo. La parte utilizzata per aro-matizzare la birra è il fiore, detto anchecono. Le prime testimonianze storichedel suo utilizzo si fanno risalire al 1.100,quando Ildegarda di Bingen, badessadel monastero benedettino di Rupert-sberg in Germania lo utilizzò per la pri-ma volta. Da allora divenne l’aroma-tizzante più diffuso anche per le sue qua-lità di conservante naturale.

L’acquaA differenza del vino fatto con uva ric-ca di succo, nel caso della birra è l’uo-mo a dover aggiungere acqua durante lefasi di maltazione e di macinazione per

permettere la fermentazione degli zuc-cheri.Ecco perchè l’acqua è decisiva per ilcarattere della birra.

Il lievitoSi tratta di microrganismi vegetali del-la famiglia dei funghi, presenti nell’ariae invisibili a occhio nudo. Sono gliagenti della fermentazione, il processotramite il quale gli zuccheri sono tra-sformati in alcool e acidi.La fermentazione spontanea viene tut-tora impiegata in Belgio per le Lambic.La fermentazione controllata può esse-re “Alta” (avviene a temperatura com-presa tra i 15° e i 30°) o “Basso” (at-torno ai 5°/9°): la prima è tipica dellaproduzione di Ale, Stout, Weizen, laseconda di Lager e Pils.

COME È FATTALa fabbricazione della birra prevede 5fasi fondamentali comuni alla produ-zione artigianale e industriale: prepara-zione del malto e del mosto, aromatiz-zazione, fermentazione e maturazione.

MaltaggioIn questa fase il cereale viene immersoin acqua per 36/48 ore, poi sgocciolatoe distribuito in uno strato uniforme di12 cm circa di spessore che viene co-stantemente mosso e ventilato. Appe-na inizia la germogliazione, si procedecon l’essicazione che può avvenire se-condo metodi diversi.

AmmostaturaAvviene in appositi tini, quando almalto macinato viene aggiunta l’acquae la miscela portata alla corretta tem-peratura. Due i metodi usati: l’infusio-ne e la decozione.Con l’infusione la miscela contenutanel tino viene fatta defluire dal fondoattraverso un fìltro, permettendo di ot-tenere un infuso di malto in acqua, no-to anche come “mosto di malto”.

AromatizzazioneDurante la fase della bollitura che in ge-nere dura 90 minuti, avviene la “corre-zione” con l’aroma.L’aggiunta di luppolo può avvenire inmomenti diversi e soprattutto più diuna volta.

FermentazioneLa fermentazione dura in genere 3/4giorni, al più una settimana, come nelcaso delle birre al frumento, ale e stouta fermentazione “alta”.

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MaturazioneLa maturazione dellabirra, che può essere piùo meno lunga, avvienein moderni serbatoi diacciaio che hanno sop-piantato i vecchi fustied i barili di legno.

DEGUSTARE LA BIRRAPer cogliere ricchezza evarietà di suggestioniche la birra sa donare,occorre tener conto ditre fattori: temperatura,bicchiere e versamento.

TemperaturaLe basse temperatureesaltano il sapore amaromentre deprimono quel-lo dolce, il contrario ac-cade per temperature

più alte. Il freddo rende le birre menofrizzanti e contiene lo sviluppo degliaromi e dei profumi.Le temperature migliori per gustare lebirre: chiare e leggere - tra i 5 e gli 8 gra-di; bitter ale e stout - fino a 10 gradi;trappiste e abbazia - fino a 13 gradi.

BicchiereSpesso le forme dei bicchieri sono legatesolo ad antiche tradizioni birrarie.Il calice a tulipano da 25 o 40 dl ben siadatta a quasi tutti i tipi di birra a co-minciare dalle lager e pils, quello piùgrande è ideale per alcune ales partico-larmente fruttate.

Il calice tondo e panciuto da 50 dl èconsigliato per le birre ad alta fermen-tazione come doppio malto e stout.La coppa a bocca larga è indicata per lestout, mentre per le ales inglesi e irlan-desi è di rigore il bicchiere da pinta da56 dl circa.

VersamentoIl modo di versare dipende dal tipo dischiuma che si vuole ottenere e diquanta anidride carbonica si vuole li-berare nella birra. Versando la birra inun bicchiere inclinato a 45° si limita laformazione di schiuma, mentre unaschiuma abbondante si forma con il bic-chiere verticale.La scuola tedesca prevede per pils e la-

ger un versamento abicchiere inclinato darialzare lentamente re-golando la quantità dischiuma finale. Lascuola belga inveceprevede il famoso ta-glio della schiuma conla spatola.Per le birre inglesi nonesiste problema dischiuma essendo pocogasate, al contrario perle weizen bisogna ver-sare lentamente a bic-chiere inclinato, inter-rompere il versamento,raddrizzare la bottigliae dare il colpo di polsoper far tornare in so-spensione i lievitidepositati sul fondo.

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Penetrai in Anatolia orientalenell’agosto 1977, in un avventu-roso viaggio di nozze. Sino ad

Ankara la Turchia ci sembrò relativa-mente europea; poi il quadro cambiòed il nostro continente ci apparve sem-pre più lontano. Finalmente, a Dogu-bayarzit, ecco l’Ararat, il mitico vulca-no, ammantato di nevi eterne, ove ap-prodò l’Arca di Noè. Attorno pochi tur-chi, molti curdi e rovine di infinite ci-viltà. Ma ben poco ricordava che quel-le terre furono armene, sino ai primiscorci del XX secolo. Un’Armenia chefu tra i più antichi Stati della civiltàoccidentale, un ponte tra il mondo gre-co-romano e quello persiano. Il MonteArarat ne fu uno dei simboli.Da Dogubayarzit ci dirigemmo versoVan ed il suo lago ove sostai a lungo.Anche qui turchi e curdi; i primi seve-ri ma cordiali, con una vena di sprez-zante superiorità verso i secondi, ceri-moniosi e talora problematici. Ma de-gli armeni nulla. E sì che anche que-st’area ne era fittamente popolata, finoalla Grande Guerra. Solo su un’aridaisoletta si ergeva una splendida chiesaabbandonata, con le pareti fitte dei ca-

L’Olocausto dimenticatodi Nemo Canetta

Il genocidio del popoloarmeno, perpetrato dai turchi tra la fine del XIXsecolo ed il 1923, è poco presente allacoscienzaeuropea. Oggi che laTurchia bussaalle portedell’EU la suaammissionedeve esserecondizionata,al minimo, da unriconoscimentodi tale colpa.

Nel lago di Van, in Anatolia orientale,giace l’isolotto di Althamar, ove sorgeuna chiesa armena eretta all’inizio delX secolo, quando queste terre eranoparte del regno armeno.Particolarmente interessanti gliornamenti esterni, tipicidell’architettura del periodo.

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ratteristici ornamenti. Qui, tra i ruderi,incontrai un curdo che declamava poe-sie indipendentiste. Quando gli feci no-tare che la chiesa era armena mi rispo-se, assolutamente sicuro, che curdi edarmeni erano un popolo solo: i primisulle montagne, gli altri agricoltori enelle città! Difficile immaginare una si-mile alterazione storica! Perché i curdi,popolo nomade in gran parte musul-mano, penetrato ben più tardi degli ar-meni in quelle terre, furono spesso uti-lizzati dai turchi proprio per eliminaregli armeni, che più evoluti, cristiani esovente agiati, erano oggetto di sprezzoed invidia.

Prima di addentrarci nell’argomento delprimo olocausto perpetrato nel sangui-noso XX secolo, è giusto ricordare chela Turchia è pur sempre l’unico paese difede e cultura musulmana che abbia se-riamente tentato di darsi una politica,un governo, un modo di vivere di stileoccidentale. Fu Kemal Ataturk ad im-porre, con le buone o le cattive, talemutamento. L’impero ottomano era re-duce da una rovinosa sconfitta nel pri-mo conflitto mondiale e solo la rivolu-

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zione kemalista lo salvò dal totale an-nientamento e dalla spartizione tra gre-ci e francesi, italiani e britannici.Ma tale rivoluzione ancor oggi è lungidall’essere giunta al termine, propriomentre quelle forze fondamentalisteislamiche, spietatamente represse daKemal, rialzano il capo.Ataturk fu un personaggio di primagrandezza anche per noi europei, ma fa-ceva comunque capo, sul piano ideolo-gico, al movimento che si macchiò diuno dei crimini più efferati del XX se-colo: il genocidio del popolo armeno.Genocidio che, ancor oggi, la Turchianega con giustificazioni tra le più di-verse.

Ma torniamo a ricordare come in quel-la che oggi è la Turchia orientale vi-vessero, possiamo dire da sempre, gliarmeni. Nulla di strano poiché l’impe-ro ottomano, nel XIX secolo, era unostato multinazionale, ove conviveva-no, pur con gravi tensioni, greci e bul-gari, albanesi ed armeni, arabi e turchi,serbi, macedoni, zingari, bosniaci e al-tri ancora. Nel XIX secolo ogni Statomultietnico fu sottoposto alle spinte delnazionalismo di stampo romantico, che

imperversava in Europa e nel bacinodel Mediterraneo: ogni popolo voleva lasua terra, la sua indipendenza. Anchel’Austria e la Russia imperiale furonotravolte dalla stessa spinta. Ma nel ca-so degli ottomani vi era un ulterioremotivo di tensione: i turchi erano isla-mici mentre molti dei loro sudditi cri-stiani. Per un islamico i cristiani (e gliebrei) andavano tollerati e - di massima- non perseguitati in quanto “popoli dellibro”. Ma erano pur sempre dei non-islamici e come tali privi della più par-te dei diritti civili, non sottoposti al ser-vizio militare (e quindi senza il dirittodi portare le armi) e senza la possibilitàdi accedere a cariche pubbliche o ad al-ti incarichi. Tutto ciò spiega come mai,negli ancor oggi inquieti Balcani, par-te della popolazione si sia convertita al-la fede musulmana per poter godere de-gli stessi diritti degli ottomani conqui-statori.Ma gli armeni, fieri d’essere uno dei po-poli autoctoni dell’Anatolia e di esserestati i primi della storia a dirsi cristiani(anticipando di qualche decennio Co-stantino e Roma) non cedettero, re-stando fedeli alla Croce. Tutto ciò nonli poteva certo rendere ben visti ai tur-

chi, tanto più che gli armeni vivevanoin un’area sulla quale si erano appunta-ti gli appetiti della Russia zarista. Que-st’ultima, in quanto potenza cristiana,veniva avvertita ad Istambul come l’al-leata dell’autonomismo e dell’indipen-dentismo armeno. Non senza qualcheragione ma, sono gli stessi storici turchiad ammetterlo, la stragrande maggio-ranza degli armeni fece il suo dovere si-no all’ultimo: ovvero sino a quando iturchi decisero di iniziare lo sterminio.

Nella seconda metà del XIX secolo l’im-pero ottomano cercò di scuotersi e di re-sistere alle spinte distruttive che ne mi-navano la struttura. Si approvarono leg-gi che avrebbero previsto (condiziona-le d’obbligo) l’assoluta uguaglianza deicittadini, indipendentemente da etniae religione. Leggi che purtroppo resta-rono lettera morta, anche perché per-cepite dai turchi come imposte daglieuropei.I primi sintomi di quello che sarà l’Olo-causto armeno si ebbero per mano delSultano Abdul Hamid II che, dopo averannullato la costituzione liberaleggian-te, iniziò una sanguinosa serie di pogromantiarmeni che, tra il 1894 ed il 1896,

Il Monte Ararat, simbolo dell’Armenia anche se, oggi, si innalza in territorio turco,in un punto ove i confini di Armenia, Turchiae Iran sono assai prossimi.

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portarono all’eliminazione di ben300.000 persone, spesso di elevata con-dizione culturale e sociale, od in qual-che caso di intere comunità. Benché lecifre siano spaventose, siamo ancora as-sai lontani da ciò che doveva accaderepoco dopo!Nel luglio 1908 il partito Unione e Pro-gresso, noto ancor oggi come GiovaniTurchi, effettuò un colpo di stato mili-tare, chiedendo uguaglianza per tutti,democrazia e liberalismo; entusiastica-mente appoggiato da politici e maggio-renti armeni che speravano di risaliredal baratro ove li aveva gettati il Sul-tano.Fu vana speranza. I Giovani Turchi era-no soprattutto dei nazionalisti e, benchélaici, faticavano ad accettare che chinon fosse musulmano potesse essere unleale cittadino ottomano. Cosìnell’aprile 1909, in Cilicia, abbiamonuovi pogrom, che provocarono ben30.000 vittime: un segnale di ciò chestava per accadere.

Con la Grande Guerra la Turchia sischierò al fianco di Germania e di Au-stria-Ungheria. Parallelamente i Gio-vani Turchi pianificarono l’eliminazio-ne del popolo armeno, al fine di risol-vere radicalmente la “questione arme-na”. Il processo fu graduale. Inizial-mente fu deportata (ed in gran parteeliminata) l’intellighenzia armena, com-presi deputati e senatori che rappresen-tavano il loro popolo ad Istambul. Fupoi la volta dei 350.000 armeni che, fe-deli al loro dovere, si erano presentatiper la mobilitazione generale di guerra.Disarmati ed isolati furono eliminati

completamente. La terza fase, avviatanel 1915, previde la deportazione dellarestante popolazione verso i deserti del-la Siria e dell’Iraq. Gli stessi storici e mi-litari turchi ammettono che nelle areedi destinazione nulla era stato prepara-to per le centinaia di migliaia di depor-tati, indeboliti dalle lunghe marce apiedi. In molti si persero per strada: uc-cisi al momento dei rastrellamenti, eli-minati nei campi di sosta, intere co-lonne attaccate e distrutte dalle bandecurde. Sta di fatto che i sopravvissuti,lasciati senza quasi nulla nei deserti al-le soglie dell’Arabia, non fecero altroche aumentare il numero degli scom-parsi.In tal modo i politici turchi poteronoconsiderare chiusa la “questione arme-na” nell’estate del 1916.

Nessuno conosce esattamente il nume-ro degli eliminati: esso oscillò, secondole stime più accreditate, tra 1.200.000e 1.500.000. Se vi aggiungiamo i po-grom prebellici si giunge vicino a2.000.000 di eliminati. Anche perché,durante la “riscossa” kemalista, tra il1920 e il ’23, le forze di Ankara pene-trarono in ciò che restava dell’Armenia,proclamatasi indipendente, uccidendoe deportando altre decina di migliaiadi persone. Fu solo grazie al valore de-gli armeni e ad un ultimatum di Moscache i turchi furono costretti a ritirarsidal territorio ove nacque, poco dopo, laRepubblica Sovietica d’Armenia e cheoggi è uno Stato fieramente indipen-dente.Per l’Olocausto armeno non vi fu nes-suna Norimberga; specialmente gli in-

glesi ci provarono ma le differenti po-sizioni degli Alleati vincitori verso lanuova Turchia impedirono ogni proce-dimento giudiziario.L’Europa sapeva ma tacque. Sapeva tal-mente bene che quando a Berlino i te-deschi processarono un giovane arme-no che aveva ucciso per vendetta unodei capi dei Giovani Turchi, la giuria lomandò assolto!Il silenzio e l’indifferenza ebbero il lo-ro peso negli anni a venire. Si dice cheHitler nel ’39, a chi mostrava incertez-ze verso l’eliminazione degli ebrei, ri-battesse “…chi oggi ricorda il genoci-dio armeno ... ?”.La Turchia rifiuta ancor oggi di rico-noscere le proprie responsabilità. Cosasi sarebbe detto in Europa e nel Mon-do se la Germania avesse chiesto l’in-gresso nell’EU negando ogni responsa-bilità nell’Olocausto ebraico?!Oggi dobbiamo avere il coraggio, indi-pendentemente da ogni interesse poli-tico od economico, di richiedere conforza alla Turchia la medesima presa diresponsabilità che abbiamo preteso del-la Germania: solo allora la Turchia avràtitolo per chiedere di entrare in un’Eu-ropa libera e democratica.

Volete visitare l’Armenia? Noi ci siamorivolti ad un’agenzia del posto, rappre-sentata, in Italia, dall’arch. Paolo AràZarian, grande conoscitore della suaterra e residente a Mirano (Venezia).Per contattarlo: [email protected]

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Nelle inaccessibili zone tribali diconfine, in un’area semiscono-sciuta dell’Asia Centrale, tra

alte e remote montagne del Badakscianvive il popolo dei Dardi.Pochi mercanti e avventurieri vi si ad-dentravano, dovendo camminare a pie-di per settimane portando a dorsod’animale e a spalla i carichi.I Dardi ancor oggi sono detti “i senzaAllah” perché, inglobati in una vastaarea islamica che li assedia. Loro con-tinuano ad esser pagani, infedeli ado-ratori di idoli e produttori di vino. Leloro donne hanno carnagione chiara,viso scoperto senza velo, il Khom agliocchi, vivono in pubblico, non reclu-se come le islamiche, danzano nellevendemmie e quando il maschio non èpiù efficiente chiedono il divorzio. E’un popolo scampato alle conversionidi massa e forzate dell’Islam e gli an-tropologi asseriscono che discendonoda soldati macedoni di Alessandro ilGrande giunto fin qui. Il ceppo in-doeuropeo è lo stesso delle nostre po-polazioni alpine, come affermava Pao-

POPOLI DI MONTAGNA

Badakscian dei “senza Allah”Testo e foto di Ermanno Sagliani

Villaggio Badakscian

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lo Graziosi, studioso di Firenze al se-guito del quale mi recai nel Badaksciannegli anni settanta.Gli infedeli vivono in piccola entità,forse diecimila in tutto, protetti dalleinaccessibili montagne, avvicinabiliora da piste impervie e sterrate odagli elicotteri militari. Una fra-na bloccò, alcuni anni fa, la pi-sta percorribile in 10 ore di fuo-ristrada i Dardi rimasero isolatiper ben tre anni.Questa gente di montagna si de-dica da secoli al più pagano deiriti, la vendemmia che dura va-ri giorni. Il vino acidulo si bevecome un novello che ubriaca do-po due bicchieri. Il “Prun” è lafesta della pigiatura, effettuataesclusivamente da bambini puri,“onjestha”.Si dice che l’ebbrezza alcolica av-vicini al Dio Kodai e alla divi-nità Dezao, il supremo creatore,come raccomanda la oro anticareligione prevedica. Un consi-glio di anziani custodisce le mi-gliori bottiglie e l’uva è raccoltain ampie madie di legno. Chiun-que può servirsi, la disponibilitàè collettiva. Tra queste alte vet-te, tra Himalaya e Hindu Kush,

bottoni colorati. Più raro lo “shushut”ornato di conchiglie provenientidall’Oceano Indiano, usate in passatocome moneta. Ora tramandati di ma-dre in figlia. I villaggi a quote oltre i2000 metri sono in pietre, legname e

argilla, tra viti e alberi di no-ce.Le spose qui sono spesso bam-bine, come è tradizione, mahanno l’incredibile diritto dicambiare uomo e di sceglierecon chi fare l’amore se il ma-trimonio non funziona.I Dardi hanno occhi azzurri eparlano una lingua indoeuro-pea quando pregano si rivol-gono agli spiriti sacri “Dewa-lok” perché intercedano pres-so gli dei in loro favore, comenoi facciamo con i nostri san-ti cristiani. Loro dicono di di-scendere direttamente dal 16°figlio di Adamo. I Dardi invo-cano anche la benedizione deiloro avi defunti, non seppelli-ti, ma esposti in casse agliagenti atmosferici. Sono tor-nati polvere, terra, sassi, erbadelle proprie valli, geni paga-ni di questo aspro e sperdutomondo di montagne.

Costumi Dardi.

tra acque selvagge e cieli disegnati dalvento, i Dardi vivono coltivando inmodo autarchico terrazzamenti irrigui,estraggono lapislazzuli dalle miniere.Uomini e donne portano copri capi or-nati con armonia: fiori, campanelli,

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‘‘Ardua, non può dubitarsi, ecosa malagevole è stata dachiunque reputata la storia

di quelle cose che per lunghezza ditempo, per varietà di circostanze se-polte sono in lacrimevole oblio”.Così inizia un antichissimo manoscrit-to che ci narra della Basilica di SantaMaria in Vado, sorta sulla riva destradell’antico corso del fiume Po.Dalla notte dei tempi un’antica leg-genda, tramandata di generazione ingenerazione, ci ricorda che sulle spon-de del fiume “Ferraruolo” esisteva uncapitello in pietra rossa contenentel’immagine di una veneratissima Ma-donna, alla quale accorrevano in mas-sa gli abitanti di quelle plaghe abban-donate, per chiedere grazie e per prega-

re, risparmiata anche dalle “torme” fe-roci e vandaliche degli uomini di Atti-la.Con l’andar del tempo l’aumentato nu-mero dei fedeli fece sì che nel 457 o467 si edificasse una chiesetta circon-data da capanne costruite con fascinefissate a pali infissi nel limo delle rive,coi tetti di frasche e mota seccata, daipavimenti di terra battuta sulle qualiera stesa della paglia, che offriva unamiserabile protezione contro il freddo,le intemperie e il sole, ai suoi sfortuna-ti abitanti. Una moltitudine rassegnata,avvilita, senza occupazione, emargina-ta, ineluttabilmente “oppressa dalla fa-me”.Era una popolazione misera in gravicondizioni fisiche e morali, che viveva

nell’umido e nel freddo, vittima delleacque stagnanti che causavano perio-diche febbri che con l’andar del tempodegeneravano in malattie croniche eincurabili. Le capanne erano accostate l’una all’al-tra attorno alla chiesetta, quasi a cer-care una reciproca protezione controgli animali e i malintenzionati che al-lora vagavano nella desolazione dellecampagne. I fedeli che si rivolgevano alla SacraImmagine erano in maggioranza: servidella gleba, boscaioli, guardiani di be-stiame, contadini, mendicanti e mala-ti.Costruita con l’ apporto di ricchi e po-veri, sul passaggio del fiume che allorascorreva nei pressi di Ferrara, prese il

“Santuario del prodigioso sangue”Santa Maria in Vado

di Giancarlo Ugatti

nome di “Santa Maria del Vado”(gua-do).La Sacra Immagine, detta di San Lucao di Costantinopoli, giunta dall’Orien-te Cristiano, è una delle più ammirateeffigi della SS. Vergine ritratta in attodi sostenere col braccio sinistro il Bam-bino Gesù, un’antica tradizione diceche si trovava sull’altare dove avvenneil Miracolo del Sangue sprizzatodall’Ostia Consacrata.Scorrendo i polverosi testi custoditi ne-gli incunaboli delle biblioteche, si restaattoniti nel costatare che i miracoli eu-caristici si verificarono sempre nei pe-riodi più difficili della Chiesa, segnotangibile che il Signore li inviava agliuomini per fortificarli proprio quandopiù intensamente poteva essere minac-ciata la loro fede.In quel lontano periodo per opera deiNuovi Manichei (Albigesi, Petrobru-siani, Eutichiani, Catari, Paranini ...)dilagarono nel nostro Paese tentativi dispargere errori intorno all’Eucarestia,che furono condannati nei Concili La-teranensi del 1139-1179-1184. Pur-troppo la mala erba dell’eresia riuscì adinfiltrarsi anche tra quei fedeli devoti,umili abitanti del Borgo Vado.L’eresia consistette nel negare che ilCorpo e il Sangue di Cristo siano pre-senti realmente nell’Eucarestia, affer-mando che Cristo è presente solo sim-bolicamente.Intervenne il prodigio a sfatare l’erro-re. Quello che è sicuro, è che il Mira-colo, prova prodigiosa contro l’eresia, siverificò e il suo avvenimento in un ba-leno si sparse per il mondo.Era il 28 marzo del 1171, giorno di Pa-squa, nella piccola chiesetta dedicataalla Vergine di Borgo Vado, nel mo-mento della “Fractio Panis”mentre Pa-dre Pietro da Verona, assistito da trepadri (Bono, Leonardo ed Aimone)spezzava, secondo i canoni della SacraLiturgia, l’Ostia Consacrata, con sacroterrore del celebrante, e con immensameraviglia dei fedeli che stipavano lachiesetta, fu visto da tutti i presenti“sprizzare dall’ostia santa un fiotto disangue così violento ed abbondante dacospargere la volta di tante stelle san-guigne”.La notizia corse per le strade strette edanimate della città e dallo stupore da-vanti ai banchi vendita gli uomini e ledonne smisero di comperare, contrat-tare, di parlare, anche quelli che eranoalle finestre, un silenzio calò sulla città,tutti pregavano e molti visi erano ba-

gnati da lacrime ... uniche cose chesembravano avere vita erano i colombiche volteggiavano nell’azzurro del cie-lo e la biancheria attaccata alle stanghedei carri che dolcemente ondeggiavaaccarezzata da un venticello marzolino.I testimoni erano tanti, alcuni afferma-vano di aver visto l’Ostia color carne,altri di aver visto la figura di un Bam-bino.Accorsero anche il Vescovo di FerraraAmato e l’Arcivescovo di RavennaGherardo e attoniti costatarono e am-mirarono il segno del miracolo: “il san-gue che vivissimo rosseggia sulla voltadell’ altare”.In un documento del sei marzo del 1404il Cardinale Migliorati accenna all’esi-stenza di antichi scritti che parlano delprodigio, della ricognizione fatta del mi-racolo stesso e infine si concedono in-dulgenze a “chi visiterà la chiesa e ren-derà omaggio al Sangue Prodigioso”.In una pastorale per il VII centenario(1871) scrissero: “è per Voi Ferraresi ar-gomento di onesto orgoglio il conside-rare che solo due altre città italiane pos-sono vantare prodigi di questo genere esono: Orvieto nel corporale intriso disangue e Torino nel miracolo dell’Ostiache si levò in alto”.Per lunghissimi anni gli abitanti di Bor-go Vado attesero con trepidazione chesi onorasse degnamente con un grandetempio il Sangue Prodigioso.Nel 1473 il duca Ercole I d’Este, con ilconsenso di Papa Sisto IV, nominò cu-stodi della Chiesa i Canonici RegolariLateranensi; si deve a loro, al mecena-tismo del Duca la realizzazione dell’at-tuale Basilica che oggi possiamo ammi-

rare e che racchiude alsuo interno la reliquiadella Santa Volticinamacchiata del SangueProdigioso.E finalmente il 18 apri-le del 1518 DesiderioVescovo Vimbriatecen-se la consacrò dedican-dola all’Annunciazione.Il Santuario è stato ed ècontinua meta di pelle-grini, di gente umile edi illustri personaggi so-vrani, principi, porpora-ti, arcivescovi e Ponte-fici tra i quali Alessan-dro III, Urbano III, Eu-

genio IV, Clemente VIII, Pio IX ed ul-timo Giovanni Paolo II ne1 1990.Da secoli il lento e pericoloso fluire del-le acque del Po si è allontanato dallaBasilica, sono scomparsi i campi, le ca-panne, gli alberi, il fruscio del vento eil gracidare delle rane, i fumi delle pic-cole botteghe, lo scalpiccio dei cavallisull’acciottolato. Ora tutt’intorno ve-tusti palazzi, strette vie, il sagrato ri-dotto ad una stretta striscia di terra conqualche albero e quello che è rimasto aricordo dello spazio e del verde di tan-ti secoli fa, ma quello che è giunto sinoa noi è la prova tangibile di quel mira-colo, che ancor oggi come da oltre ot-tocento anni possiamo ammirare, ren-derci conto dell’onnipotenza e dellagrandezza di Dio, nell’edicoletta eretta-nel 1590 dall’architetto Alessandro Bal-bi, in cui è alloggiata la volticina del“Preziosissimo Sangue” provenientedalla primitiva chiesa del Vado.Il Santuario è immeritatamente pococonosciuto, mentre per la grandiositàdel prodigio e per la sua evidenza sem-pre presente, non ha minore importan-za dei più celebri del mondo.Purtroppo tantissimi ferraresi e moltis-simi turisti, passando davanti alla mae-stosa Basilica, tirano innanzi...ignoran-do quanto di prezioso sia custodito fraquelle antiche mura di pietra rossa, sim-bolo della terra ferrarese, sulle quali ni-dificano e tubano famiglie di colombi enel rosseggiare di tramonti primaverilie estivi che infuocano il Santuario cen-tinaia di rondoni si inseguono, volteg-giano, felici di poter tributare il loroomaggio all’ Autore Celeste del prodi-gioso evento.

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La sacra immagine di San Luca o di Costantinopoli.

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Curata da Anna Bogge-ri e Bruno Monguzziin un allestimento raf-

finato che la mette in valore,“Le spectacle dans la rue” è lamanifestazione che AntonioBoggeri (1900-1989), il pri-mo e il maggiore ‘art-director’italiano, chiedeva con pas-sione e tenacia ai suoi grafi-ci. Lo faceva in lingua fran-cese, citando Cassandre, ilpiù grande autore di manife-sti della prima metà del XXsecolo. Nella seconda metàdegli anni sessanta, AntonioBoggeri raccoglierà manifestiprovenienti dal mondo inte-ro, e 150 di questi, soprattut-to culturali, costituiranno lastorica mostra voluta da Ren-zo Zorzi e Giorgio Soavi, cheavrà luogo per Olivetti a Mi-lano nel 1968. Di questi 100figurano in questa mostra lu-ganese, e ci ricordano cheBoggeri aveva messo a con-fronto lavori di provenienzediverse, che rispondevano aun preciso bisogno di tra-smettere un messaggio im-mediato. Questi manifesti,dopo la loro esposizione a Mi-lano nel 1968 ed attualmen-te a Lugano, sono diventatipezzi storici, fondamentalinella comunicazione visiva.Citiamo dal testo che Anto-

nio Boggeri pubblicò nel dé-pliant della mostra milanese,e ripreso nel catalogo attua-le: “Accanto alle preziositàorientali dei giapponesi, si ve-dano le variazioni sui notimotivi astratti del gruppoAmericano di Chicago, e lecaratteristiche soluzioni dise-gnate di Milton Glaser, lagrande varietà d’invenzionenei celebri disegni polacchi ecechi, da anni strenui conti-nuatori della classica tradi-zione”, ma non per questoesenti dalla modernità. Nonva dimenticato l’apporto nu-meroso del gruppo svizzero, eneanche l’espressivo linguag-gio dei tedeschi Edelmann,Kieser e Hillmann. Attraver-so questa selezione, si confer-ma la statura di AntonioBoggeri, e di questi 100 pez-zi, quasi tutti colpiscono peril grafismo superlativo e l’in-venzione cromatica e forma-le. Non potendo certo segna-larli tutti, ricorderemo alcu-ni lavori di pura bellezza, ta-li la composizione giappone-se per il teatro Noh, dove lascrittura stessa, con le sue for-me delicate diventa arte, maanche la composizione sviz-zera di Herbert Leupin sul te-ma delle sigarette, od ancoraquella dell’inglese Bob Gill,col suo personaggio seicente-sco dallo sguardo intenso,senza dimenticare il profiloscuro e acuto dalla chiomamulticolore del mitico BobDylan, creato da Milton Gla-ser (Stati Uniti). Impressio-nante anche il viso dai bei li-

ALLA GALLERIA GOTTARDO DI LUGANO FINO AL 3 SETTEMBRE 2005

“Le spectacle dans la rue”di Donatella Micault

Una selezionesplendida di 100manifesti da 10paesi realizzati trail 1958 e il 1968,dalla storicamostra curata daAntonio Boggeriper Olivetti allafine degli annisessanta.

Günter Kieser, Germania. Agenzia Briggs&McLaren, Inghilterra.

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Ikko Tanaka, Giappone.

Milton Glaser, Stati Uniti d’America.

John R. Rieben, Stati Uniti d’America.

Günter Kieser, Germania.

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neamenti severi della donna del cecoslovac-co Zdenec Kaplan. Altre immagini attiranoil nostro sguardo, tali il profilo del musicistaLuigi Dallapiccola, opera del polacco RomanCieslewicz, o la meravigliosa chitarra del te-desco Günter Kieser, dove la profusione del-le immagini va di pari passo con una poli-cromia scintillante. Molti manifesti sono an-che di tendenza puramente astratta, ma la va-rietà e la qualità delle immagini proposte, tal-volta anche in una semplicità apparente chenasconde una maestria notevole, fanno diquesta mostra un esempio da seguire anchedalle nostre avanguardie.

“Le spectacle dans la rue”. Galleria Gottar-do, Viale Stefano Franscini 12, Lugano.Fino al 3 settembre 2005.Orari: martedì 14-17, da mercoledì a sabato11-17, chiuso domenica e lunedì, entrata li-bera.Il bel catalogo in versione bilingue italiana einglese è edito dalla Galleria Gottardo e saràdistribuito da Gabriele Capelli Editore, Men-drisio.

Herbert Leupin, Svizzera.

Josef Feisar, Cecoslovacchia.

Bob Gill, Inghilterra.

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Nel ’57 avevo quattordici anni.Antonio Corrado era amico difamiglia, i suoi figli Ida e Ugo

erano della generazione di mio padre esuoi compagni di scuola.La Casa della Pietra Ollare, che Corra-do aveva impiantato per rifugiarsi dopouna quarantina di anni di servizio cometelegrafista alle poste, in un vecchiostabile che ora non esiste più, in viaCesare Battisti, proprio di fronte al Par-co della Rimembranza, rappresentava

ANTONIO CORRADO:io e

Plastilina

“Le mie nozze con Plastilina furono

ufficialmente celebrate il giorno stesso in cui

feci divorzio da madonnaBurocrazia…”

di Pier Luigi Tremonti

Leone

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per me ragazzino una sorta di santuario.Allora la lavorazione della pietra olla-re non era diffusa come oggi e poternon solo ammirare quelle opere, piatti,anfore, coppe e soprammobili ….. maavere anche il privilegio di vederle na-scere non era cosa da poco per un ra-gazzino.Mi divertivo poi a provare i vari stru-menti sui ritagli di sasso e sugli scarti: miaffascinava il trapanino flessibile conle sue frese ... era il progenitore del“Dremmel”.In questo periodo Giuseppe Martora-no, pittore, lucano pure lui e un amicogiornalista, Salvatore Orlando, incita-vano Corrado a fare delle caricature“per far ridere un po’ i valtellinesi, ilche, diciamolo pure, non è tanto faci-le” dalle pagine di un “giornaletto” cheè uscito durante le stagioni dal ’23 al‘28.

“Fammi la barbetta e la pelatinadell’avvocato Facetti, fammi i baffonidi Torti, i nasi (mamma mia quantinasi) di Verdi, di Schena, poi quellorincagnato di Parravicini, del nostrogiudice Pau, del presidente Fiaccari-ni; fai il buon Vigoni, l’alpinista Pel-licciari; non dimenticare Tremonti colsuo sigaro virginia, il prefetto, l’on.Merizzi (senior) ed il nipote avvocatoGuido, Italo Mitta e poi un’infinità dialtri tipi e figure ….”.Applausi? Fischi?Da lì alla scultura il passo è stato brevee lo stesso Orlando scrisse: “… ritmo

misurato e plastica condotta con bel-la aderenza al reale e insieme avviva-ta di quella elaborazione fantasticache organizza la materia e crea l’ope-ra d’arte. Valori pittorici e valori piùpropriamente scultorei concorrevano aformare un equilibrio un po’ ecletti-co se si vuole ma piacente ed efficace.L’accentuazione di alcuni tratti fisio-nomici immetteva una vena di cari-catura, dote che confermava il ritrat-tista. Era solito lavorare a tu per tu colblocco di plastilina senza la presenzadel modello”.

Melazzini

Gianoli

Bolognini

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Le statuette di plastilina erano poi tra-sformate in gesso che veniva dipintonel colore del bronzo... solo alcune han-no avuto l’onore di essere trasformate inbronzo vero e proprio. Un connubio trascultura e ritratto?Resta ancora oggi l’immagine di unmondo tutto particolare, popolato dapersonaggi che non ci sono più, ma chemolti di noi hanno avuto modo di co-noscere nel passato e che rappresenta-no frammenti della storia della nostracomunità.Lo stesso Corrado scrisse “… i sospiri di-vennero respiri ampi per il cuore, perl’anima e per la mente”.La statuetta di mio nonno - gesso di-pinto di color bronzo - nelle varie vi-cissitudini ha perso il sigaro Virginia.Un pezzettino di stuzzicadenti tinto delcolore del bronzo ne fa bene le funzio-ni ancora oggi!

Con stupore all’inizio e poi con cre-scente curiosità ho assistito alla “im-provvisa” nascita, sotto il lucernario dellaboratorio, di una serie di statuette diplastilina alte una trentina di centime-tri che raffiguravano noti e pittoreschipersonaggi della Sondrio di cinquantaanni fa.Oggi sembra di rivivere in un’epoca re-motissima.Erano caricature benevole e molto ca-ratteristiche che permettevano di risa-lire senza la minima esitazione agli in-teressati, fossero essi umili o veri boss.

Luigi Tremonti

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Il Forum Austriaco dicultura a Milano, PiazzaLiberty 8, con un ricco

ciclo di iniziative d’arte,cultura, economia, organiz-zato in collaborazione conil Comune di Milano e altreistituzioni, celebra la tradi-zione austriaca e viennese,dedicando particolare at-tenzione alle grandi com-memorazioni storiche diquest’anno: 100 anni dallaconsegna del Premio Nobelper la Pace all’austriaca Ber-ta Von Sutther, 60 anni dal-la fine della Seconda Guer-ra Mondiale e dalla procla-mazione della Seconda Re-pubblica Austriaca, 50 annidalla firma del Trattato diStato e dal varo della Leggesulla Neutralità Austriaca.In questo contesto, esordiodelle iniziative è stata “Ma-terialuce”, mostra di eleva-to interesse con le sculturedel tirolese Rudi Wach(1934), in occasione del suosettantesimo compleanno,esposte nella sede milanesedel Forum Austriaco.“Nobile semplicità e quietegrandezza” di Rudi Wach, milaneseadottivo da mezzo secolo, già studentein adolescenza all’Accademia di BelleArti di Brera. Ha approfondito la suapassione per l’arte sumera, egizia, grecaal Luovre di Parigi.Presto si afferma in numerosi Concorsiinternazionali. Tra il 1953 e il 1963, aParigi frequenta lo scultore AlbertoGiacometti di Val Bregaglia. Dal 1978inizia a realizzare opere in marmo diCarrara crea importanti monumenti co-me l’Altarefiore in pietra nera di Nes-so per la Chiesa di Morterone e la cap-pella Bianca - premio Pilgram o la Cap-pella della Luce Bianca a Pitzal. Nel2000 è invitato a Lecco ArteFestival

per tenere una personale di disegni aiMusei Civici di Villa Manzoni e nel2002 presenta a Palazzo Isimbardi diMilano una mostra di grandi sculture.Infine Palazzo Imperiale di Innsbruckdedica a Rudi Wach una importanterassegna delle sue opere.Il messaggio scultoreo di Wach è rap-presentato in forma diretta e si eviden-zia attraverso le sue originali soluzioniformali di piena compiutezza artistica,da vedere, da leggere, da interpretare.La sua creatività cavalca la prospettivadi penetrazione psicologica delle sueopere, emerge sempre trasparente ed èal tempo stesso inattesa sopravvivenzanel mondo dell’arte, scampata all’indu-

stria culturale della scultura,fuori da convenzioni ed este-tiche imperanti. Ammini-stratori culturali distratti nonhanno favorito che l’arte diWach entrasse nella vita deimilanesi. Le sculture di RudiWach sono articolate e mo-dulate fino a raggiungere unequilibrio sottile tra soggettoe atmosfera - spazio. La com-ponente intellettuale si rive-la nelle scelte espressive e te-matiche concettuali. L’operadi Rudi Wach continua ad af-fascinare il pubblico nella suaproposta serena e positiva delmondo e dell’umanità co-sciente della nullità dell’es-sere, di fronte al fluire dell’in-finito. E’ scultura eclettica disensazioni e di sentimenti, incui l’artista ricrea una ge-stualità infusa di umana vo-lontà, come se l’emozioneanimasse la scultura stessa. Lesculture di Wach offrono unavisione ispirata, lirica, abilitàtecnica, nobiltà di tratto nel-le deformazioni e dismisure.La sua volontà d’artista è diesprimere l’essenziale, l’evo-luzione della forma, la crea-

zione nell’universo e nel tempo, figurain continua mutazione, in originale ico-nografia della vita. Il Forum austriaco ha inaugurato a ini-zio estate la recente mostra della pit-trice Maria Sommerauer, originariadella Regione Salisburghese, intitola-ta “I (DI) Segnati”, serie di disegni acarboncino. Artista liricamente figu-rativa, pone al centro delle sue operel’essere umano in tutti i suoi aspetticompositivi portati in rassegna negliStati Uniti, in Italia, Grecia, Indone-sia. In questo ambiente cosmopolita èmaturata la sua formazione artisticacon Josef Zenzmaier e Naomi Okamo-to.

Trasformazioni evolutivenella scultura di Rudi Wach

di Ermanno Sagliani

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PIANI

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I segni dell’uomoAlla scoperta dell’architettura rurale nelle valli camunedel Parco Nazionale dello Stelviodi Giuseppe Brivio

‘‘Isegni dell’uomo: alla scopertadell’architettura rurale nelle val-li camune del Parco Nazionale

dello Stelvio” è il nuovo quaderno te-matico pubblicato per iniziativa del Co-mitato di Gestione per la Regione Lom-bardia del Parco Nazionale dello Stel-vio per far conoscere ed apprezzare ilterritorio del parco stesso e per far ca-pire la necessità di una nuova culturadel vivere la montagna che fondi i suoiprincipi nella sua storia e nei suoi “se-gni”.Ne è autore Walter Belotti che in que-sta nuova pubblicazione ha racchiuso eraccolto il frutto di tanti anni di ricer-ca e di indagine sul territorio della ValCamonica compreso nel Parco Nazio-nale dello Stelvio.L’opera nella sua prima parte è suddivi-sa in quattro capitoli: il territorio, l’ar-chitettura rurale, i materiali di costru-zione e gli elementi architettonici.

Il territorioNel primo capitolo Belotti ricorda, tral’altro, che con decreto del Presidentedella Repubblica, del 23 Aprile 1977, ilParco Nazionale dello Stelvio ha am-pliato la sua estensione territoriale in-serendo anche l’area camuna, pari a101,98 Kmq, così suddivisa: 7,81 Kmqnel Comune di Temù, 30,36 Kmq nelComune di Vezza d’Oglio, 51,66 Kmqnel Comune di Ponte di Legno e 12,15Kmq nel Comune di Vione. Ricordaanche che l’area camuna del Parco Na-zionale dello Stelvio comprende, inbuona parte, alcune valli di incompa-rabile bellezza: la Val Grande, la Val diCané, la Valle delle Messi e la Val diViso; il tutto in un’area che spazia dalMonte Serottini, a ovest, fino al Cor-

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no dei Tre Signori, a est, lungo la dor-sale montuosa che divide l’Alta Valtel-lina dall’Alta Valle Camonica, che vasotto il nome di sottogruppo del Gavia- Serottini e che ha la vetta più eleva-ta nella Punta di Pietra Rossa con isuoi 3.275 metri di quota.Walter Belotti afferma tra l’altro: “Que-sta estensione, così variegata consentedi trovare, disseminati sul territorio,una molteplicità di fabbricati rurali, condiverse tipologie edificatorie. Le carat-teristiche morfologiche delle montagnesovrastanti hanno determinato in mo-do evidente l’uso dei materiali di co-struzione. La presenza di rocce scistose,i famosi ‘micascisti di Cima Rovaia’, fa-cilmente riconducibili a lastre, ha ca-ratterizzato oltre che le murature di ele-vazione dei fabbricati, anche la coper-tura degli stessi. Anche graniti di variotipo e colore evidenziano stupendi por-tali e architravi, lavorati con maestriadagli esperti scalpellini del tempo. Lecave di marmo della Val di Cané e delBòrom di Vezza d’Oglio hanno, a lorovolta, favorito il sorgere di baite con lecaratteristiche murature di elevazionedal colore biancastro, dovute all’inseri-mento dei calcari cristallini. Le variefornaci per la produzione della calce,attive fino a pochi anni fa in gran par-te del territorio, le cui strutture sonoben evidenti in località Cortebòna,quasi al termine della Val di Cané, han-no altresì consentito l’edificazione difabbricati con murature di elevazionegrossolanamente intonacate o del tiporasapietra. Le vallate camune del parcodiventano, pertanto, significative pergli aspetti peculiari dell’architettura tra-dizionale di tipo alpino; architetturache si è in parte conservata fino ad og-gi quale testimonianza del grande amo-re alla natura e alla terra dei nostri an-tenati”.

L’architettura ruraleNel secondo capitolo Walter Belottitratta ampiamente dell’architettura ru-rale più diffusa nella zona camuna delParco Nazionale dello Stelvio: le baite,i baitelli, le malghe, le recinzioni, i “bà-rech” e i “segni” religiosi; inoltre ci pre-senta un paese dell’Alta Valle Camo-nica, Pezzo, l’antico che resiste.Per quanto riguarda la baita, egli ne ri-corda le caratteristiche generali: svi-luppata su due piani con stalla al pianoterra, quasi sempre seminterrata a cau-

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sa della pendenza del terreno e il fieni-le al primo piano. Solo una piccola par-te del fienile è riservata a dormitorio ecucina. La planimetria è per lo più ret-tangolare e i lati tra loro hanno pocadifferenza; talvolta è addirittura qua-drata. Passa poi a descrivere le caratte-ristiche delle baite all’interno del set-tore camuno del Parco Nazionale delloStelvio. Successivamente si sofferma suun gioiello di importanza fondamenta-le nell’architettura rurale, che comple-ta l’organizzazione logistica sia degli al-peggi che delle malghe: i baitelli, mi-nuscoli fabbricati che si possono am-mirare ancora intatti, nelle condizionie forme in cui sono stati edificati e coni materiali di costruzione originali; essiinfatti non sono stati oggetto di ristrut-turazioni, data la loro scarsa fruibilità aifini abitativi…Belotti ci ricorda che deve essere fattadistinzione tra baitelli per ricovero del-le pecore, dei maiali o per la conserva-zione del latte; questi ultimi ovvia-mente devono essere obbligatoriamen-te costruiti sopra o nelle immediate vi-cinanze di una sorgente, per poter con-vogliare, attraverso un canaletto, l’ac-qua nel vano adibito a deposito.Una terza parte di questo secondo ca-pitolo del libro è dedicata alle malghe;si tratta di strutture di proprietà comu-nale, poste in genere al limite della ve-getazione arborea, a quote che supera-no i duemila metri di altitudine. Le mal-ghe, ci dice Belotti, presentano edificisempre più semplificati, con netto pri-vilegio per il ricovero del bestiame edel fieno, a discapito degli spazi abita-tivi, e con tipologie abbastanza costan-ti. Il complesso della malga è in generecostituito da tre – quattro edifici:una grande stalla bassa e lunga con dop-pia rastrelliera e a volte porticati late-rali semiaperti per il ricovero del be-stiame nelle giornate di emergenza at-mosferica; una dimora ad un solo pianodestinata al fieno, al ricovero dei pa-stori e alla lavorazione del latte; duepiccoli baitelli utilizzati uno per la con-servazione del latte, l’altro per il rico-vero dei maiali. Le murature sono qua-si esclusivamente in pietre disposte asecco e la copertura è in lastre di pietra,sostenuta da possenti capriate in legnoche devono sopportare il consistentecarico della neve, in considerazione del-la quota elevata, e del notevole svilup-po in lunghezza degli edifici adibiti astalle per il ricovero dei bovini. Alla fi-

ne di questa descrizione delle malghel’autore del volume ci fornisce la docu-mentazione di interventi sui fabbricatidelle malghe costruiti o ristrutturati nel-la prima metà del secolo scorso, graziealla concessione di contributi da partedello Stato; in particolare viene ripor-tato il progetto per il miglioramentodella malga dell’Alpe Val Grande e del-la malga Plazzo dell’Asino. Vi è poi unriferimento ad un elemento architetto-nico di notevole importanza nell’archi-tettura rurale: le recinzioni, realizzate inpietra, in legno e in misto pietra - legno,per delimitare le proprietà private traloro e la proprietà dalle strade comunalidi libero passaggio. Compito precipuodelle recinzioni, ricorda Bellotti, era an-che quello di impedire agli animali diinvadere i terreni altrui, quando ogni fi-lo d’erba costituiva un bene preziosissi-mo da difendere ad ogni costo. Vi è in-fine un cenno al “bàrech”, quella par-te di terreno, posta nelle vicinanze deifabbricati che costituiscono la malga,contornata da sassi ammonticchiati ir-regolarmente, con larghezza di 100/150cm e altezza 100/120 cm, atta ad impe-dire l’allontanamento del bestiame, unavera e propria stalla all’aperto dove av-vengono le operazioni di mungitura edove il bestiame rimane anche per ilpernottamento. Vi si accede attraversouna apertura di larghezza inferiore almetro, chiusa con stanghe di legno. Il“bàrech” dsiventa luogo di accumulo dideiezioni, che forniscono una conci-mazione letamica molto efficace permolti anni.A conclusione di questo importante ca-pitolo Walter Belotti fa un breve cen-no ai segni religiosi presenti quasi ovun-que sulle baite, a testimonianza dellaprofonda semplice religiosità del mon-tanaro: gli affreschi sulle pareti e le cro-ci sugli architravi delle porte di baite ebaitelli.

I materiali di costruzioneIl terzo capitolo del libro tratta per unadecina di pagine dei materiali di co-struzione. Belotti cita la cava del mar-mo del Bòrom di Vezza d’Oglio, la cavadel marmo di Cortebòna in Val diCané, le cave di pietra -“predère” - e lefornaci - “calchère” per evidenziare co-me nella edificazione delle baite i co-struttori abbiano sempre utilizzato ilmateriale che si poteva reperire diret-tamente sul posto dove dovevano sor-gere i fabbricati o comunque nelle im-

mediate vicinanze per l’oggettiva diffi-coltà del trasporto del materiale mede-simo, reso faticoso dalle strade scon-nesse e dalla scarsità di animali da trai-no e per contenere i costi di costruzio-ne.

Gli elementi architettoniciIn questo quarto capitolo l’autore pre-senta gli elementi architettonici checaratterizzano l’architettura rurale ca-muna partendo dai muri di elevazione,costruiti “a secco”, caratteristica pecu-liare di baite e malghe, sviluppate almassimo su due piani. Viene poi de-scritta minuziosamente la tecnica di co-struzione dei tetti, a due spioventi nel-le baite e ad unica falda nei baitelli,dei timpani, lo spazio triangolare com-preso tra la cornice e i due spioventi delfrontone, delle porte in tavole di lari-ce, delle finestre, delle inferriate costi-tuite da tondini in ferro, dei collarini incalce a lato delle finestre, sui davanza-li o sugli architravi.Nella seconda parte Walter Belotti cipresenta invece le proposte per le ri-strutturazioni delle cascine montive,tutte basate su una perfetta conoscen-za del territorio e sul rispetto del me-desimo, tenendo presente che l’edifi-cazione delle cascine montive ha sem-pre rappresentato nel tempo un perfet-to connubio con il paesaggio circo-stante. L’autore a questo proposito nonmanca di sottolineare che “il recuperodel patrimonio esistente e la ricostru-zione dei ruderi devono tener contodelle tipologie già presenti sul territo-rio, pena il vanificarsi e il venir menodi importanti singole peculiarità”.Il volume si chiude con due proposteper turisti ed escursionisti: il Trekkingdelle Malghe, un itinerario che per-mette di visitare in quattro tappe, daVezza d’Oglio al Tonale, quasi tutte lemalghe del settore bresciano del ParcoNazionale dello Stelvio sfruttando gliantichi percorsi dei pastori, lungo untracciato a quote oscillanti tra i 2.000e i 2.500 metri, al di fuori dei percorsitradizionali e in ambienti ancora natu-rali, e il Trekking degli Alpeggi, untracciato a mezza costa, tra i 1200 e i1800 metri, che ha il pregio di metterein comunicazione gran parte degli ag-glomerati rurali distribuiti nel versantecamuno del Parco Nazionale dello Stel-vio, con partenza da Grano, frazio,,,,,,nedi Vezza d’Oglio ed arrivo a Case Pre-dazzo in Valle delle Messi.

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Mi sono trovato nelle condizio-ni di poter partecipare allamostra mondiale di Ebbs in

Tirolo - Austria - dal 25 al 29 maggio2005 con un cavallo avelignese del mioallevamento.Avevo letto delle ultime due edizioni(1995-2000), sulla stampa specializza-ta e non avevo creduto, se non in par-te, alle affermazioni del cronista. Misbagliavo.Vedere concentrati settecento cavalliavelignesi, con più di duecento pule-dri al seguito, all’interno di enormi ten-sostrutture e in scuderie fisse, con fie-nili, ring, maneggi, arene, con risto-ranti, saloni, parcheggi, il tutto orga-nizzato e ordinato quasi alla perfezio-ne, mi ha lasciato a bocca aperta.Arrivando da Innsbruck, colpisce la va-stità della piana di Ebbs, solcatadall’Inn, circondata da colline e pun-teggiata da case coloniche tutte moltoordinate e pulite.

Effettivamente c’è molto più spazio chein Valtellina, ed è uno dei motivi del-la grande diffusione del cavallo aveli-gnese (Haflinger, in tedesco) in quel-la zona, nonostante la razza sia nata adAvelengo, in Italia, dove si tiene at-tualmente il libro genealogico.Naturalmente, visto il numero di ca-valli, la parte del leone alla mostra lafa l’Austria nonostante ci siano le de-legazioni americana - inglese - belga -slovena - lussemburghese - olandese -tedesca - svedese - polacca - svizzera -spagnola - francese - danese - norvegese- ceka - ungherese e ovviamente ita-liana, tutte con ottimi soggetti, perchéper poter partecipare alla mostra biso-gna avere cavalli che discendono dastalloni e fattrici qualificati da almenocinque generazioni ed avere dei requi-siti molto particolari.Con grande emozione ho potuto am-mirare Afghan II 1980, Amadeus e An-sgard, rispettivamente bisnonno - non-

no e padre di una mia fattrice (Brina)che è la madre dello stalloncino (Wolf-gang) che ho portato a Ebbs.Durante la mostra, le quattro commis-sioni internazionali, ognuna formata datre esperti di razza, hanno visionatotutti i cavalli, uno alla volta, da fermial passo e al trotto per poterli inserirein una classe di merito. Poi ogni cate-goria ha sfilato al passo per la classifi-ca dei primi tre.Alla fine fra i primi e i secondi di ognicategoria è stato scelto il campione del-la mostra e la sua riserva.L’Austria ha vinto in tutte le catego-rie anche perché ha i cavalli migliori.Noi italiani siamo usciti a testa altaavendo qualificato praticamente tut-ti i nostri 47 cavalli nella classe I A,che è il massimo punteggio ottenibi-le.Anche la parte spettacolo, con le tri-bune dell’arena gremite all’inverosi-mile è stata emozionante. Le evolu-

La miaprima voltaa Ebbs,in Tirolo

La miaprima voltaa Ebbs,in Tirolodi Gabriele Abbiati

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zioni degli attacchi A2 e A4, le variescuole di equitazione di Ebbs e dintor-ni che si esibivano nei loro numeri mi-gliori, volteggio, gimcane.....Ma il clou è stato la ripresa di dressa-ge dello stallone Amadeus che tra l’al-tro è stato proclamato campione dellamostra 2005, con suo padre Afghan IIcome riserva.L’esibizione di Amadeus mi ha ram-mentato il comportamento di alcunipseudo cavalieri nostrani che blatera-no tanto di dressage, che comprano ca-valli stranieri che poi non sono in gra-do di montare perchè mancano dellanecessaria umiltà per imparare.Per il rilancio dell’allevamento italia-no occorre che gli esterofili cavalieriitaliani comincino ad acquistare cavalliitaliani, nati in Italia (ad esempio: ma-remmani, murgesi, sella italiani ecc...).In conclusione, nonostante la totalemancanza di contributi finanziari e ildisinteresse del ministero, la passionedegli allevatori italiani ha contribuitoalla conoscenza e alla diffusione di quelbellissimo animale che è il cavallo ave-lignese.Ho avuto il piacere di vedere fra i vi-sitatori, diversi allevatori valtelline-si. Spero vivamente, se sarò presentenel 2010 alla prossima mostra diEbbs, di poter vedere più di un cavallonato in Valtellina. Ne abbiamo la pos-sibilità!

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Sull’Italiano in guerra, cioè sullelettere scritte dal fronte 1915-1918 dai soldati impegnati nel

conflitto, esistono due testi antologicimolto interessanti ma pressoché intro-vabili, opera di due personaggi dellacultura del Novecento fra i più rappre-sentativi: Giuseppe Prezzolini e LeoLonganesi. Lettere di soldati semplici,o di graduati, di tutte le parti della pe-nisola, che scrivevano a casa, alla fa-miglia, ai genitori, alle spose, alle fi-danzate, ai figli. Un “campionario” divaria umanità che contribuisce a daretestimonianza di stati d’animo, perso-nalità, caratteri, sentimenti di quei mi-litari che convivevano quotidiana-mente col sacrificio, la sofferenza, il san-gue, la morte.E’ un “filone”, questo delle lettere a ca-sa dei soldati, che si affianca a quello deitesti letterari dell’epoca recanti firmedi personaggi illustri: da Soffici a Lussu,da Stuparich a Malaparte, da Jahier aMonelli, e via elencando.Nella “Grande Guerra” un ruolo diprimissimo piano lo interpretarono isacerdoti. Era stata di Cadorna l’idea diavere, nei reparti, dei cappellani, unodei pochi meriti che gli vengono fral’altro riconosciuti da storici e pubbli-cisti! E del resto Cadorna aveva voluto

accanto a séun prete di no-tevole spesso-re quale padreSemeria. L’Or-dinariato Mili-tare, insom-ma, prese av-vio allora, e seci furono pretio seminaristiarruolati nellaSanità, altrisacerdoti eser-citarono il mi-nistero che eraloro proprionella veste dicappellani. Lofu un perso-naggio come ilr o m a g n o l odon GiovanniMinzoni, fini-to poi vittimadella violenza fascista, lo fu un altroprete “importante” come Giulio Bevi-lacqua, maestro del futuro Papa PaoloVI, ed altri famosi o malnoti ministri diDio.Fra questi, un sacerdote dell’Altopianodi Asiago (diocesi di Padova), che nel

dopoguerra sarebbe stato a lungo par-roco in quel di Roncajette di Ponte SanNicolò (Padova), paese tranquillo dianime buone che a quel loro parrocovollero bene.E proprio al successore nella cura del-le anime di quel paesino, don Gio-vanni Rossi (questo il nome del nostropersonaggio) aveva lasciato una vec-chia valigetta in cartone. Che cosapoteva mai contenere quel vecchio ri-cordo di quel parroco passato nel mon-do dei più?Ce lo rivela adesso un libro realizzato apiù mani da studiosi della Grande

Guerra: Giro-lama Borella,Daniela Bor-gato e Rober-to Marcato,libro dal titoloemblematico:“Chiedo noti-zie o di vita odi morte”(con Prefazio-ne di MarioI s n e n g h i ) ,pubblicato acura del Mu-seo StoricoItaliano dellaGuerra di Ro-vereto, checonserva ilcontenuto diquella citatavaligetta, ecioè oltre otto-cento lettereindirizzate dafamiliari oparroci dei

combattenti del 1° Reggimento Gra-natieri di Sardegna.Di questo amplissimo e articolato ma-teriale è stata fatta una selezione, percui il libro ce ne propone 184. Un elo-quente “campionario”, testimonianzadegli stati d’animo di congiunti dei

Lettere scritte dal fronte 1915-1918,dai soldati impegnati nel conflitto

di Giovanni Lugaresi

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combattenti di quel reparto impegnatoin sanguinosi combattimenti in “Zonadi guerra” dal 1916 al 1917. Perché sol-tanto fino al 1917 viene da chiedersi.La risposta è pronta: perché il 31 otto-bre di quell’anno: in seguito alla rotta diCaporetto, e alla conseguente ritiratalungo la linea Piave - Grappa, a Flam-bro vicino a Codroipo (Udine) donGiovanni Rossi era stato preso prigio-niero e trasferito in un campo di con-centramento in Ungheria, dove sareb-be rimasto sino alla fine della guerra(luogo nel quale le condizioni durissimeerano pari a quelle vissute in prima li-nea durante le operazioni belliche).E torniamo alle lettere raccolte e sele-zionate dagli studiosi Borella, Borgato eMarcato. Rappresentano una “inver-sione di tendenza” nella pubblicisticacorrente, innanzitutto. Infatti si trattadi lettere non “a casa” da parte dei sol-dati, bensì di lettere “da casa” ai solda-ti.Per avere notizie, dal momento che i fa-miliari da tempo non sapevano nulladel loro caro in guerra. E dunque, di-rettamente, o per il tramite del parrocodel paese, ecco le lettere a quel cappel-lano militare così disponibile, così ani-mato da forte sentimento di carità, cheprima di appuntare le stellette sulla ve-ste talare aveva ricoperto la carica di vi-cerettore del Seminario di Thiene, go-dendo della stima del vescovo di Pado-va monsignor Luigi Pellizzo.Ma prima di quei testi, il libro ci offredue “parti” per inquadrare personaggioe situazione generale dei cappellani mi-litari. E dunque ecco: “Giovanni Rossicappellano militare del 1° ReggimentoGranatieri - Le tappe della vita, Preticon le stellette, con i granatieri al fron-te” e poi: “Corrispondenza verso la zo-na di guerra - La carità di una notizia,la casa, il paese gli affetti”. E, dopo lelettere, una documentazione iconogra-fica riguardante lo stesso sacerdote.Un’altra caratteristica di questo volu-me, insita cioè nella “materia” trattataè costituita, come si sottolinea, dal ruo-lo del cappellano: figura che non sol-tanto si prende cura dei soldati duran-te il tempo libero e in azione, pensan-do all’anima e al corpo, ma ancheall’anima e al corpo del soldato rimastoucciso. E’ l’elemento di riferimento, percosì dire, il prete in guerra, per le fami-glie che appunto chiedono notizie delcongiunto: se è vivo, se è prigioniero, seè ferito o se è stato ucciso in combatti-mento. E quel punto di riferimento cheè il cappellano, in questo caso don Gio-

vanni Rossi, non dà soltanto notizie divita o di morte, ma aggiunge qualcosad’altro. Che si evince da tante missive.In una lettera, a don Rossi indirizzata,si legge, per esempio: “... Oh se sapessereverendo don Giovanni il conforto e laconsolazione che abbiamo provato nelleggere la sua carissima lettera! Il nostroconforto è di parlare di lui. Ed infattiparlare di lui, pregare per lui, non è for-se il miglior omaggio che si possa ren-dere alla sua memoria? E’ così buono ilnostro Severino, così amante della fa-miglia, così scrupoloso nell’adempi-mento dei suoi doveri, che tanto io chei suoi superiori, non avemmo mai oc-casione d rimproverarlo.Oh la perdita è grande! Il lutto, il do-lore sono immensi, tanto che a voltepaiono superiori alle nostre forze...Qual-che volta Don Giovanni preghi, pre-ghi anche per noi affinché possiamomorire con una santa rassegnazione”(lettera di Giovanni Zani scritta da Ca-salmaggiore - Cremona, il 13 ottobre1916).E sulla falsarigadi questa, quan-te altre missiveal buono e sti-mato cappella-no perché pre-ghi, preghi af-finché il buonDio consoli pa-dri, madri e fra-telli così prova-ti dal dolore.Insomma, unaserie di lettere(184 - si è det-to) rappresenta-tive di quellesvariate centi-naia contenutenella valigettadel parroco diRoncajette co-me gioielli, co-me cose prezio-se, e che il vec-chio prete mor-to ottantunenne nel 1967 aveva la-sciato al suo successore. Una raccolta dilettere testimonianti piccole (ma nonper questo non eloquenti) storie indi-viduali e di famiglia, ricche di senti-mento, di fede e in tanti casi di deside-rio di pace. Ancora: questo libro ci fatoccare con mano, e ancora una voltacaso mai ce ne fosse bisogno, quantosia stato importante il ruolo dei cap-pellani nella Grande Guerra.

Furono 2070 i preti con le stelletteimpegnati nella cura d’anime in quelperiodo; 93 morirono in combatti-mento; 110 furono fatti prigionieri;546 furono decorati al valore. Fra que-sti anche il nostro don Giovanni Ros-si: medaglia d’argento. Con fede e conunanimità era stato in prima linea acondividere la sorte dei suoi soldati.Molti di loro erano caduti prigionieri;un giorno capitò anche a lui .... E lacondivisione con loro continuò sino aguerra finita.

Mittente: Carlo Conte Filo della TorreSONDRIO 28/09/1917

Molto reverendoNel ringraziarla del riscontro la pre-gherei nuovamente di un favore: miofratello il granatiere Diego Filo dellaTorre, lei mi dice che è stato ferito il 21

agosto alle gambe.Al deposito in Ro-ma a cui mi sonorivolto, non ho avu-to riscontro. La pre-gherei quindi a vo-ler essere gentile afarci sapere sequando mio fratel-lo è stato ferito fuportato in ospeda-letto oppure fu so-lamente visto feritocadere in terra, eciò glielo domandoperché abbiamoquasi la ferma con-vinzione che egli,ferito, sia stato fat-to prigioniero. Nonle pare? Capirà cheè strano che di unmilitare ferito il 21agosto, (ed ora sia-mo al 28 settem-bre) non si sappiaancora il luogo di

ricovero e di cura: non le pare che la fe-rita alle gambe non gli avrebbe impe-dito di arrivare? Sono sicuro che leiperdonerà il mio stato di animo e vorràrispondermi in proposito. La ringrazioper quanto darà e di cui pregherò ilbuon Dio. Mi creda di lei devotissimo.

Carlo Conte Filo della Torre

Nota sulla busta: R 2-10-17

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Per realizzare una cartolina sono in-dispensabili: il soggetto, un buonartista delle arti visive, oggi un

buon fotografo; poi entrano in campografici e tipografi. Un insieme di ele-menti naturali e operatori per un pro-dotto che prende il semplice nome dicartolina, perché realizzata con carton-cino rigido di dimensioni dettate daprecise norme postali.La cartolina illustrata nasce nel corsodell’ultimo trentennio del XVIII° seco-lo, sulla scia della cartolina postale, uf-ficializzata per decreto governativo, edè subito espressione artistica nel mes-saggio visivo al verso del cartoncino,dove maestridel disegno edella pitturaesprimono illoro talentonel gusto li-berty domi-nante in quelperiodo.Per un secolola cartolinafu parte in-s c i n d i b i l edelle neces-sità sociali edentrò di di-ritto nel costume e nella cultura dellasocietà contemporanea quale mezzo dicomunicazione con messaggio sinteticoprivo di segretezza; fu portatrice di feli-cità, di amore, di annunci di nascite, diapprensione quando i giovani soldatiscrivevano dal fronte di combattimen-to, di dolore quando era listata a luttocon l’annuncio della scomparsa di unapersona. La cartolina fu un po’ tutto: te-lefono, quando ancora la sua diffusioneera limitata, l’e-mail un secolo primadell’avvento del computer, testimo-nianza incomparabile di avvenimentidi ogni genere; anche nel dolore fu sem-pre portatrice di stima, simpatia, dol-cezza e calore umano: non fu mai og-getto banale.

E’ proprio la simpatia che la cartolinaha suscitato nel tempo che si avvia og-gi ad entrare di diritto nella scienzadell’archeologia della comunicazionequale testimone prezioso di una evolu-zione epocale; è per questo motivo cheessa è diventata oggetto di attenzioneda parte di collezionisti, cultori del co-

LA CARTOLINA D’EPOCA:costume e cultura

di Giorgio Gianoncelli

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stume dei popoli e ricercatori scientifi-ci della comunicazione, con tutte le suecaratteristiche evolutive nell’arco ditempo che si sta allontanando.Una raccolta razionale di cartolined’epoca non sfigurerebbe in un museoed anche in una biblioteca dei rispetti-vi comuni; continuerebbe in tal modola sua funzione di comunicazione, map-pa reale del tempo passatoe della tra-sformazione urbanistica della città.Per chi la osserva, la cartolina d’epocaè sinonimo di emozioni: di fronte all’im-magine un po’ sbiadita dal tempo, l’os-servatore si sente investito da senti-menti che vanno dalla meraviglia perl’opera grafica alla serenità dell’imma-gine che, comparata alla visione attua-le delle cose, percorre l’ideale strada deltempo.Fin dalla sua comparsa la cartolinatrovò posto nei cassetti dei “raccoglito-ri”, più o meno come accadde per i fran-cobolli che si raccoglievano in modomolto irrazionale; apparvero poi alcunepubblicazioni che fecero da guida ai col-lezionisti più attenti.Oggi la tendenza è quella di collezionarecartoline d’epoca per temi; in partico-lare la ricerca è diretta alla propria cittàe al proprio territorio ed è indubbio chequesto modo di collezionare porta aduna facile e felice lettura del per-corso storico di una collettività rac-colta attorno al proprio campanile.Rendere partecipe il pubblico di unarassegna di cartoline d’epoca e por-tarlo a scoprirne l’importanza, co-me avviene in questo periodo neimandamenti storici della provinciadi Sondrio, è dunque un atto di sen-sibilità di quei collezionisti che han-no a cuore il lavoro e l’inventiva del-le generazioni passate e la cultura nonfinalizzata ad un mero interesse mer-cantile.La rassegna di cartoline d’epoca alle-stita a Sondrio nella sala “Ligari” pres-so il Palazzo della Provincia e itine-rante nei prossimi mesi di luglio, set-tembre e novembre rispettivamente aMorbegno, Chiavenna e Tirano, è dun-que un dono prezioso che i collezioni-sti di Valtellina e Valchiavenna offronoalla cittadinanza intera, un dono parti-colarmente caro alle persone che sonostate testimoni della trasformazione delterritorio e particolarmente utile allegiovani generazioni che si possono ren-dere conto della evoluzione (a volte in-voluzione…) della propria città e delsuo territorio.

BORGHI ANTICHInella cartolina d’epoca: fine ’800-1940

Iquattro circoli filatelici delle vallidell’Adda e della Mera sono i pro-

motori di una iniziativa culturale digrande significato: la realizzazione diuna mostra itinerante di cartolined’epoca che coprono un periodo stori-co che va dalla fine ‘800 fino al 1940,accompagnata da una pubblicazioneche ha un duplice scopo, come sotto-linea opportunamente nella presenta-zione dell’opera il prof. Gianluigi Gar-bellini: “rendere omaggio alle città diresidenza dei quattro circoli filatelicipromotori dell’iniziativa (Chiavenna,Morbegno, Sondrio e Tirano) e mette-re a disposizione di un vasto pubblicoil patrimonio di antiche cartoline pos-sedute dai soci, consapevoli dell’altovalore documentario delle stesse”.La mostra, allestita presso la Sala Mo-stre “Ligari” nel Palazzo della Provin-cia, ricca di ben 580 ‘pezzi’, ha ri-chiamato un numeroso e attento pub-blico che ha potuto fare confronti fracome erano qualche

decennio fa Chiavenna, Morbegno,Sondrio e Tirano e come sono ora. Sitratta di un tuffo nostalgico in un pas-sato recente, occasione per rifletteresulle profonde trasformazioni degli ag-glomerati urbani dei vecchi borghi,tali da rendere spesso difficile il rico-noscimento dei luoghi e dello stessopaesaggio.Le cartoline d’epoca documentano unarealtà che, come tale, non esiste piùe sono taciti testimoni di manomis-sioni e distruzioni di fabbricati di si-curo interesse storico-artistico e diuno sviluppo urbano che spesso nonha tenuto nella dovuta considerazionei beni culturali disseminati negli an-tichi borghi, segni di una realtà chenon esiste più, ma che non può esse-re cancellata, pena un futuro senzaradici, senza identità.

La pubblicazione del volumetto, inten-samente voluto dai Circoli Filatelici di

Chiavenna, Morbegno,Sondrio e Tirano, è stataresa possibile dalla messaa disposizione delle car-toline d’epoca da partedei collezionisti Cittari-ni-Moraschinelli, Emilioed Elisa Rovedatti, EdoMezzera, Michele Falcia-ni, Carlo Del Dot, Giu-seppe Garbellini, Gian-carlo Nigotti ed EnzoBrè e dal contributoeconomico di B.I.M.,Provincia di Sondrio,Comunità MontanaValtellina di Sondrio,Fondazione Pro Valtel-lina e Comune di Son-drio.Per i testi hanno col-laborato: Gian LuigiGarbellini, per la pre-sentazione, GiorgioGianoncelli e Anto-nietta Volontè per lacittà di Sondrio,Giulio Perotti e LucaVilla per Morbegno,Guido Scaramellinie Mario Pighettiper Chiavenna, En-zo Brè per Tirano.

G.B.

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Club Alpino ItalianoSezione Valtellinese - SondrioANNUARIO 2004Stampa: Tipografia Ignizio - Sondrio

E’ in distribuzione l’Annuario 2004 delClub Alpino Italiano- Sezione Valtellinese- Sondrio, fondato nellontano 1985 da Gui-do Combi che ne èl’attuale direttore re-sponsabile.L’Annuario è lo spec-chio fedele della mul-tiforme attività dellaSezione Valtellinesedel C.A.I. e delle Sot-tosezioni di Tirano,Ponte e Valdidentro,documentata nellaprima settantina di pa-gine rispettivamenteda Lucia Foppoli, daGiancarlo Del Dot, daRiccardo Canova e daRenata Vivianied inoltre da rapporti- relazioni dei re-sponsabili di ogni settore di attività so-

ciale di una Associazione forte di circa1500 soci.Di estremo interesse la rubrica “Storied’altri tempi”, curata da Guido Combi;egli ci da uno ‘spaccato’ della realtà del-la Sezione Valtellinese del CAI nel

1904, ripresa dalla“Rivista Mensile delClub Alpino Italia-no”, con servizi diTeodoro Dietz, Avv.Rinaldo Piazzi e Gae-tano Scotti, rispetti-vamente delle Sezionidi Milano, di Sondrioe di Monza.Non mancano “l’an-golo della poesia” e“Fiabe e Leggende”,rubriche a cura di En-rico Pelucchi e di Gui-do Combi. Di rilievole interviste a MarcoConfortola, primovaltellinese sull’Eve-rest, e a Enrico Lazze-

ri, uno degli alpinisti valtellinesi cheha partecipato alla spedizione “K2 2004,dalla conquista alla conoscenza”.

Sempre di grande interesse la Sezione“Cultura Alpina”, aperta da uno scrit-to di grande spessore di Ivan Fassin su“Il paesaggio locale e i caratteri delletradizioni orali valtellinesi: primi ap-punti”. Le finalità dell’articolo sonochiarite dallo stesso Fassin: “Questoscritto vuol essere solamente un primotentativo di rapportare alcune fiabe –leggende, abbastanza note, della nostrarealtà, alla morfologia del territorio, al-la fisionomia storica del paesaggio. Scel-go un certo numero di leggende, ov-viamente tali da adattarsi al compito,nel non vastissimo insieme di docu-menti di questo settore della culturapopolare. Già altre volte ho annotatoche probabilmente molti elementi del-la cultura orale tradizionale della nostrarealtà sono andati perduti per non es-sere stati tempestivamente raccolti, maquanto è conservato è più che suffi-ciente per questo esperimento”.La parte finale dell’Annuario ospita larubrica “Avventure”, essa riporta espe-rienze dei soci e notizie di iniziative edi-toriali in campo alpinistico.Seguono le quote per il tesseramento2005 e l’elenco dei soci.

S L M Sopra il Livello del MareLa Rivista dell’Istituto Nazionale del-la Montagna (IMONT)Numero 19 - Anno 2005E’ apparso con qualche ritardo il primonumero di SLM del 2005 che presentaalcune modifiche grafiche e si apre conun Editoriale a firma Edoardo Mensi,nuovo Presidente dell’Istituto Nazio-nale della Montagna e del nuovo Con-siglio di amministrazione insediatosi loscorso 23 marzo.

Edoardo Mensi, uomo di Val Camoni-ca, nell’editoriale intitolato “Al via ilnuovo corso dell’IMONT” espone gliobiettivi che si propone l’Istituto da luipresieduto, riassumibili in uno slogan:far crescere la montagna italiana. Ri-porto dall’editoriale poche frasi che rac-chiudono il pensiero di Edoardo Men-si: “La montagna, tutta la montagnaitaliana, ha bisogno di comprensione, disostegno, di aiuto. Ha bisogno di servi-zi, che aiutino i cittadini a restare sen-

za costringerli a trasferirsi a fondovalle,ha bisogno di essere guardata diversa-mente dalla pianura, ha bisogno di so-luzioni ad hoc che la facciano crescererimanendo sana, rima-nendo montagna contutti i suoi significati. Perraggiungere questi obiet-tivi è necessario investi-re prima di tutto nella ri-cerca. L’IMONT vuole,infatti, innanzitutto,mettere i risultati dellaricerca scientifica a di-sposizione, oltre che del-le amministrazioni cen-trali, di quelle locali perindicare loro le soluzionipiù adeguate alle diverseesigenze”.Questo numero di SLM,che si apre con un ricordo di GiovanniPaolo II, il Papa che amava la monta-gna, a cura di Edoardo Mensi, è parti-colarmente interessante: ospita, tra l’al-

tro, un interessante servizio sui Kulun-ge Rai, un popolo leggendario, mino-ranza etnica himalayana di lingua tibe-to-birmana, stanziata nella valle del fiu-

me Hongu, nel Nepalorientale; un serviziosull’ecomuseo del Vajonte un ampio servizio suuna grande mostra pressoil Museo Nazionale dellaMontagna di Torino: “Montagne in copertina”,una mostra per docu-mentare l’usanza di for-nire notizie attraverso idisegni di noti illustrato-ri pubblicati sulle coper-tine delle riviste di gran-de diffusione: “La Dome-nica del Corriere”, “LaTribuna Illustrata della

Domenica”, “Illustrazione del Popolo”,“Grand Hotel”. Di notevole interessesono poi le rubriche “Imont News” e“Libri e Dintorni”.

pagina a cura di Giuseppe Brivio

R E C E N S I O N I