SOLUZIONE COMPLETA DELL’AVVENTURA - FX...

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SOLUZIONE COMPLETA DELL’AVVENTURA

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SOLUZIONE COMPLETA DELL’AVVENTURA

IndiceINTRODUZIONE ...........................................................................3

Capitolo 1 INTRAPPOLATO NELLA GIUNGLA ..................................4Benvenuto nella giungla 4La leva difettosa 5Esplorando la selva 6Gli occhialoni di Otto 6La scalata del mio “Everest”� 7La borsa di Otto 7Il lemure giocherellone 8Capote, il miglior amico dell’uomo 9Il ponte sospeso 9

Capitolo 2 SURFiN’ MALA ...........................................................11L’accampamento militare 11Lokelani 12Esplorando l’Isola Mala 12Visita a Cala Alalua 14Piano d’infiltrazione� 15Un vecchio amico ritrovato 16Il piccolo Koala 17Little Demon, il piccolo birbante 18Salvataggio de�ll’ucce�llo pazzo 19In cerca della capanna perduta 20Segreti dell’oltretomba 21Rituali ancestrali 21

Capitolo 3 PIÙ SEMPLICE DI UN’AMEBA ......................................23Amicizie� pe�ricolose� 23Il Grande Fratello ti osserva 24II regalo di Lokelani 25Esplorando il tempio 26L’enigmatica A.M.E.B.A. 27Il mio primo viaggio spazio-te�mporale� 28Scalata sul tiki incavolato 29Tarantola e compagnia 30Torna a casa Adelina 31La grande evasione 32

Capitolo 4 L’UOMO CHE NON SA NON PARLA .............................34Uno scie�nziato tra gli orsi 34Il grande� Wazowski 35Cucina giapponese 36C’è un cuoco in sala?� 37La lista della spesa 38Orsi e salmoni 38L’ennesimo disastro di Joshua 40

Capitolo 5 ROTTA VERSO IL PASSATO ........................................42In cerca dell’Orión 42Rincontri ravvicinati di te�rzo tipo 43Il rilevatore di neutrini 44Un buffone chiamato Deeeeean Grassick 45Troppi ciak e un articolo del cavolo 46L’ispirazione� di Saturno 47Discesa agli abissi 48Non aprite quei portelli 49

Capitolo 6 L’ASTRO OCCULTO DELL’AVERNO ...............................51Prigionie�ro di Malantúne�z 51Cane Russo 52Cane Demone e il tesoro del capitano 53Laureato in pirateria e rapina 54L’enigma di Cane Impiumato 55Conclusione 57

INTRODUZIONE

Il freddo schermo di un computer connesso a Internet. Kryptochat e il meraviglioso mondo della messaggeria istantanea. Speri con tutte le tue forze di trovare Sushi Douglas; una cosa è certa: se ci fosse una sola persona al mondo collegata a Internet in questo preciso momento, sarebbe indubbiamente lei. Ancora una volta, una successione di eventi imprevisti ti obbligano a richiedere l’aiuto della tua enigmatica amica. Ma come spiegarle in che guaio ti sei ficcato? La cosa migliore è iniziare dal principio...

Un’insolita (e appropriata) sveglia annunciò, alle sette in punto, l’inizio della giornata. Senza dubbio le forti esperienze condivise durante la prima avventura mi avevano unito a Gina, con cui si può dire che avessi un rapporto di “intensa” amicizia. Purtroppo per me, Gina aveva organizzato una visita guidata all’Isola Mala, conosciuta per le sue spettacolari cascate e per un’antica meraviglia architettonica chiamata “Tempio del Tiki”.

Mentre mi chiedevo come diavolo fossi arrivato al punto da farmi organizzare la vita da una fanciulla propensa a sciagure di ogni tipo, Gina mi condusse all’“agenzia di viaggi” (tanto per chiamarla in qualche modo) che organizzava l’escursione. Tanto per cominciare, il nome - “Platypus tours” - (sì, avete letto bene... e sì, significa “ornitorinco”) non ispirava molta fiducia. Per non parlare del decrepito Barone Rosso che avrebbe guidato la spedizione a bordo del suo vetusto “micromodellino”... ehm, idrovolante.

Malvolentieri, (ma per quali poderose ragioni mi faccio sempre convincere da Gina?) salii sull’aereo disposto a lasciarmi trasportare (una delle mie specialità, indubbiamente). Ma, oh, che sorpresa! Dopo pochi minuti di volo, l’anziano ebbe la pessima idea di perdere i sensi! Ovviamente, in quello stesso istante, l’aereo iniziò a precipitare senza controllo verso la maledetta isola dei miei stivali. Senza perdere tempo (e dopo aver verificato che la Legge di Murphy aveva previsto che ci fosse solo un paracadute a bordo), fui costretto a obbligare Gina a saltare dall’aeroplano per salvale la vita. In fin dei conti, sono io l’esperto nell’improvvisazione...

I nervi e la confusione aumentarono man mano che l’aereo si avvicinava a una fitta giungla... Non si sa quanto tempo dopo, mi svegliai un po’ dolorante all’interno dell’attrezzo volante dello scomparso Barone Rosso. Non c’era traccia di lui (e preferii non immaginare che fine avesse fatto), né di Gina. Cosa ne sarà stato? Sarà riuscita ad atterrare sana e salva? Una cosa era certa: senza di lei non potevo tornare a casa... e così, ancora una volta, il mio inevitabile destino mi spinse ad intraprendere una nuova avventura.

Capitolo 1 INTRAPPOLATO NELLA GIUNGLA

Benvenuto nella giungla

Dopo l’incidente, mi svegliai un po’ ammaccato e confuso all’interno dell’idrovolante. Mentre maledivo il momento in cui avevo accettato di realizzare quella maledetta escursione, mi chiesi che ne fosse stato di Otto – l’anziano pilota – e, soprattutto, come stesse Gina. Mi era sembrato di averla vista cadere in un lago al centro dell’isola, ed era chiarissimo che la mia priorità in quel momento era trovarla. E quindi, ancora una volta, mi trovavo invischiato in un problema di donne, come si suol dire…

Insomma, intrappolato in un’immensa giungla nel bel mezzo del nulla, pensai che forse non sarebbe stata una cattiva idea trovare i nostri zaini prima di iniziare la ricerca della mia sventurata amica. Tuttavia, come potete immaginare, non c’era traccia dei nostri bagagli, quindi mi misi ad esplorare a fondo i resti dell’aereo in cerca di qualche aggeggio utile. Inaugurai il magico inventario della mia enorme tasca con un oggetto che per poco non mi fa una brutta sorpresa: un pezzo di vetro convenientemente lasciato vicino alla porta dell’aereo. (Ma insomma, nessuno pensa agli altri? E se ci fossero dei bambini in circolazione?).

Nella coda dell’aereo non trovai granché; tuttavia c’erano abbastanza cagnolini Capote da assicurare un ricco Natale ai bambini di tutto il mio quartiere. Ma io, da persona elegante e generosa quale sono, ne presi solo uno. (Sì, che c’è di strano se mi piace decorare il mio letto con i peluche?). Mentre mi dirigevo verso la cabina, e dopo aver cercato di aprire uno scomparto chiuso a chiave, trovai un fermaglio per capelli di Gina per terra. Conoscendola, sapevo con certezza che sarebbe stata più felice di ritrovare il suo accessorio che di rivedere me, quindi conservai il fermaglio in vista di un futuro rincontro.

Una volta in cabina, promisi a me stesso di iscrivermi prossimamente a un corso accelerato di volo. Mi sentivo così a mio agio seduto nel comodo sedile dello scomparso Otto che iniziai a toccare leve e comandi a destra e a manca, convinto del mio talento innato per l’aviazione. L’aereo, purtroppo, non decollò, ma trovai alcune cose interessanti. Prima di tutto, mi resi conto che un tempo Otto non volava da solo, ma quegli intrugli disgustosi che offriva al suo copilota in un sudicio thermos, furono sicuramente la causa della rottura di quella società aerea.

Comunque, torniamo a noi... Nel vano portaoggetti centrale della cabina (che nel mio minuto di fortuna era aperto) trovai un maneggevole binocolo e una convincente bottiglia di whisky, oggetti che non esitai a prendere in caso di futuri imprevisti. In ogni caso ho promesso di onorare la memoria del vecchio Barone Rosso mantenendo in segreto il suo vizietto, ragion per cui non rivelerò mai di aver trovato dell’alcool nel vano portaoggetti principale. Parola di “boy scout”.

La leva difettosa

Tra tanti meccanismi e comandi, misi in azione una leva situata a sinistra del sedile di Otto. Dato che sono un portento, la leva aprì automaticamente il portello esterno dell’aereo. “Eureka!”, pensai. “Il vecchio conserverà sicuramente una bella bottiglia di whisky scozzese lì fuori.. ehm, voglio dire... qualche oggetto di grande utilità per la mia incipiente avventura”. E quindi mi diressi a controllare, curioso di sapere che possibili tesori stavo per scoprire. Quando uscii per la prima volta dall’aereo, devo ammettere che mi sentii un po’ intimidito dalla fitta giungla che mi circondava. Ma da uomo astuto (e riconoscente), feci in fretta a dedurre che era stata proprio la densità della vegetazione a preservare l’integrità del mio corpo da sballo. Lasciando da parte simili pensieri, mi avvicinai con curiosità al portello esterno, situato sul muso dell’idrovolante. E scommetto che non sapete cosa accadde… Certo! Il mio minuto fortunato si era consumato già da tempo, e il portello mi si chiuse in faccia proprio quando stavo per esaminare il contenuto dello scomparto.

La provvidenza volle che quel portello non mi facesse perdere la testa (in un senso tutt’altro che figurato), quindi tornai in cabina deciso a risolvere il mio primo “rompicapo”. Nuovamente seduto nella cabina, mi chiesi cosa avrebbe fatto un meccanico di aerei in una situazione come questa. Accipicchia! Ma certo! Mettere di nuovo in funzione la leva, per vedere cosa non andava. E quando lo feci mi resi conto che c’era qualche vite in meno in quel meccanismo. Se solo avessi avuto qualcosa con cui sostenere la leva in posizione di apertura...

A tal fine, mi misi ad analizzare i molteplici oggetti che popolavano la mia magica tasca. Il binocolo mi sarebbe potuto servire per vedere il contenuto del misterioso scomparto, ma certamente non mi avrebbe aiutato a tenerlo aperto. La bottiglia di whisky avrebbe potuto alleviare la mia frustrazione... ma non era il caso di vagare per la giungla in stato di ubriachezza. Pensai addirittura di addestrare il cagnolino Capote perché andasse a prendere gli oggetti mentre io sostenevo la leva, ma mi ricordai dei miei ripetuti fallimenti col mio piccolo bassotto (non sono mai riuscito a farmi portare in camera gli appunti di fisica) e pensai che sarebbe stata una missione alquanto complicata.

All’improvviso, la mia astuzia mi sorprese con un’idea degna di Thomas Edison (o di Jean Louis David in persona): il fermaglio di Gina! Aveva le dimensioni perfette per sostenere la leva in posizione di apertura, cosa che mi avrebbe concesso tutto il tempo di cui avevo bisogno per ispezionare il contenuto dello scomparto esterno. E quindi feci le veci di MacGyver e fui a rovistare tra gli effetti personali di Otto. E cosa trovai? Nientepopodimenoché una favolosa tanica d’acqua e (rullo di tamburi, per favore) un meraviglioso ed enigmatico attrezzo!

Esplorando la selva

Ma questo non è tutto... Mentre mi dirigevo verso il portello, mi venne in mente Otto e… zac! Come per magia cadde dal cielo la sua licenza di pilota. Tutto ciò mi fece avere un sospetto, quindi alzai la vista verso le fitte chiome degli alberi selvatici e feci in fretta a ricordare perché a New York usavo gli occhiali. Per fortuna, ricordai che disponevo di un “leggero” binocolo che mi servì per avvistare qualcosa di interessante tra la vegetazione: la borsa di Otto. Indubbiamente una grande scoperta, se fossi riuscito a trovare il modo di tirarla giù...

Nonostante i miei progressi, devo ammettere che iniziai a sospettare che fosse giunto il momento di allontanarmi dall’idrovolante. Era evidente che non avrei trovato altri indizi o oggetti tra i resti di quel rottame. Quindi, vincendo la mia comprensibile paura (e spinto dal mio indiscutibile istinto di sopravvivenza) mi avventurai verso zone sconosciute. Prima di tutto cercai di esplorare l’area situata a sinistra dell’aereo, ma avrei avuto bisogno di un machete e un buon tosaerba per attraversare quell’intrico di vegetazione. Dato che mi restava solo una zona da esplorare, feci un giretto nel lato opposto della selva...

La prima sorpresina che mi aspettava era una curiosa creatura, apparentemente allegra e giocherellona, che si interpose nel mio cammino per darmi il benvenuto. Come si chiamano… sì, dai, quelle specie di scimmie con la coda a righe... lemure! Era un divertentissimo lemure! Ma nel nostro primo approccio non facemmo in tempo a conoscerci meglio, perché quel tipetto sgattaiolò tra gli alberi dopo avermi accolto nella sua giungla. E infatti non tardai a scoprire che la selva, effettivamente, era SUA...

Gli occhialoni di Otto

Ma lasciamo perdere e torniamo a noi. Nella zona inesplorata della giungla trovai un enorme pantano che, come temevo, non conteneva del semplice fango. Avvicinandomi con cautela a quelle inquietanti sabbie mobili, scoprii un oggetto interessante: gli occhialoni di Otto!

Data la mia abituale predisposizione ad appropriarmi di ogni aggeggio possibile immaginabile, in un batter d’occhio presi un ramo adeguato per la pesca di occhiali. E fu così che riuscii a salvare quei vecchi occhialoni da aviatore da una fine sicura in quel sinistro pantano. Naturalmente non solo conservai con affetto quegli occhiali, ma decisi di tenermi anche il rametto che mi era servito da canna da pesca improvvisata. (Sono fatto così, un tipo incantevole e amante della natura). Saggia decisione che più avanti sarebbe risultata provvidenziale...

La scalata del mio “Everest”�

Con i miei nuovi oggetti in tasca, decisi di studiare il modo di raggiungere quello che sembrava essere uno spiazzo nella giungla situato in un terreno elevato sopra le sabbie mobili (ma che fortuna!). Mi vidi obbligato a dare mostra della mia forma fisica scalando un’enorme roccia allo scopo di raggiungere gli alberi che mi avrebbero portato fuori dalla selva. Fu così che, come un gatto selvaggio, mi preparai ad imitare Tom Cruise su quel sassolino a sinistra del pantano. Ma era evidente che la mia missione non poteva essere meno impossibile di quella del noto attore, e presto seppi che quella roccia era troppo scivolosa per le mie povere, sebbene abili, estremità.

Dopo un lieve sospiro di fastidio e rassegnazione, mi ricordai di un oggetto che avevo ignorato nelle mie precedenti esplorazioni... Se non ricordavo male, avevo visto uno spray antiscivolo all’interno dello scomparto esterno dell’idrovolante. Prima mi ero chiesto che razza di idiota (oltre che imbranato) avrebbe avuto bisogno di una prodotto come quello per risolvere i suoi problemi. Ancora una volta, mi vedevo costretto a rimangiarmi le parole e a ricorrere a quel pratico spray. Ragion per cui non esitai a tornare all’aereo in cerca di quel magnifico prodotto.

La borsa di Otto

Quando tornai a prendere lo spray antiscivolo, mi venne in mente un’ idea per tirare giù la borsa di Otto. Col pezzo di vetro tagliai prima l’elastico degli occhialoni da aviatore; quindi tagliai e “potai” il ramo che avevo conservato; infine, unii l’elastico al ramo tagliato per fabbricare una fionda. Con questa riuscii a far cadere la borsa dall’albero e, in seguito, ne esaminai il contenuto in cerca di oggetti interessanti. L’unica cosa che trovai fu una chiave spezzata in due.

Sospettando che si trattasse proprio della chiave dello scomparto chiuso situato all’interno dell’aereo, mi impegnai a trovare il modo di ripararla. I raggi di sole che filtravano tra le fronde degli alberi mi fecero pensare che forse avrei potuto saldare la chiave col calore della radiazione solare. Ci provai, ma non funzionò. Senza scartare del tutto l’idea, tornai all’idrovolante in cerca di strumenti utili per questo compito. E fu così che trovai una lente d’ingrandimento nel vano portaoggetti sinistro della cabina, situato vicino al sedile del pilota.

Uscii di nuovo dall’idrovolante e collocai la lente sotto lo stesso raggio di sole con cui prima avevo provato a saldare la chiave (vicino a un enorme albero situato a destra dell’aereo). Era evidente che avevo bisogno di qualcosa che sostenesse la lente a una certa altezza dal suolo, e mi venne in mente un’idea brillante: unire la lente d’ingrandimento con lo strano e lungo attrezzo che avevo trovato nello scomparto esterno dell’aereo. Fatto ciò, piantai la mia invenzione a terra e sfruttai il fascio di luce proiettato attraverso la lente per fondere la chiave.

Mi diressi subito verso l’aereo per provare la chiave in quell’antipatico scomparto che faceva tanti capricci, solo per scoprire che i resti della recente saldatura impedivano che introducessi la chiave nella serratura. Sempre grazie al mio ingegno, tolsi quella “sbavatura” col pezzo di vetro che avevo ancora in tasca. Con la chiave ben limata, riuscii finalmente ad aprire lo scomparto dentro il quale trovai delle antichissime racchette da neve che, naturalmente, portai con me.

Il lemure giocherellone

Dopo aver esplorato a fondo ogni angolo dell’idrovolante, tornai (con lo spray antiscivolo in mano) alla roccia scivolosa. Dopo aver spruzzato bene il prodotto sulla pietra, diedi nuovamente mostra della mia abilità nell’arte della scalata. Ma quando giunsi sull’albero più vicino, proprio all’apice della mia performance, mi vidi costretto ad affrontare una guest star: il giovane lemure nei panni di Jackie Chan!

Ma che razza di st…, st…, stupido questo maledetto lemure! Proprio quando stavo per mettere in pratica la mia imitazione di Tarzan, quell’animalaccio mi si lanciò addosso col suo ridicolo gridolino di guerra. E, naturalmente, qualcuno di mia conoscenza fece un bel capitombolo senza sapere esattamente cosa fosse successo. Era evidente che quel mostro era un animale territoriale disposto a qualsiasi atrocità pur di interporsi nel cammino di un rivale delle mie dimensioni.

Consapevole del fatto che l’unica via d’uscita dalla giungla si trovava proprio oltre gli alberi custoditi da quella bestia, mi misi a studiare il modo di distrarre il lemure per poter proseguire la mia missione. Dopo averci riflettuto a lungo, giunsi alla conclusione che il modo più facile di richiamare l’attenzione di un animale è usandone un altro. Ed è così che mi venne in mente che forse il mio amico Capote avrebbe potuto darmi una mano.

Capote, il miglior amico dell’uomo

Affinché il cagnolino potesse dimostrare tutte le sue doti, lo riempii con l’acqua della tanica che portavo con me. Fatto ciò, depositai Capote nel punto in cui il lemure di solito mi salutava “con affetto” e mi nascosi per osservare la scena. Il lemure, spinto dalla sua natura curiosa, non esitò ad avvicinarsi al cagnolino e, con mia grande sorpresa, cercò di bere l’acqua che Capote aveva appena espulso. A quanto pare non gli piacque eccessivamente il sapore perché il povero cagnolino finì per affondare nelle sabbie mobili dopo un raptus d’ira del lemure.

Nonostante il mio insuccesso iniziale, quella scena mi diede un’idea. Se al lemure piaceva tanto bere le minzioni altrui, la cosa migliore sarebbe stata riempire un altro cagnolino Capote con qualcosa di più potente. E dato che, per caso, avevo con me una bottiglia di whisky... a mali estremi, estremi rimedi. Tornai all’idrovolante, presi un altro cagnolino, e lo riempii di whisky con la speranza di mettere il lemure fuori combattimento. Ancora una volta, lasciai Capote sul campo di battaglia e rimasi ad osservare lo sviluppo del mio machiavellico piano.

Incredibile ma vero. Quel lemure adorava il whisky e in quattro e quattr’otto si era scolato tutto quello che Capote gli aveva gentilmente servito. E dato che la scimmietta aveva mangiato solo qualche erbaccia, crollò immediatamente come una pera cotta. Per evitare altre sorprese, raccolsi il lemure e lo infilai nella mia tasca magica insieme al mio fedele Capote (come avrei potuto abbandonarlo dopo il valore dimostrato in battaglia?). Finalmente avevo via libera per uscire da quell’asfissiante selva...

Il ponte sospeso

Dopo aver scalato per l’ennesima volta la famosa roccia ed essermi arrampicato con incredibile agilità sugli alberi vicini, raggiunsi finalmente il mio obiettivo. Tuttavia, invece di trovare un’uscita facile dalla giungla, trovai un nuovo ostacolo: uno spaventoso ponte su un precipizio, come quelli dei film. Dopo aver dato uno sguardo nei dintorni e aver usato il binocolo per esaminare la zona dall’altra parte del ponte, giunsi a una terribile conclusione: quelle vecchie assi unite da corde marce erano la mia unica alternativa.

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All’inizio considerai la possibilità di tornare all’idrovolante, ubriacarmi col whisky ed aspettare seduto che mi salvassero. Ma, come succede di solito, nel mio momento di maggior disperazione mi venne un’idea geniale. Forse utilizzando le racchette da neve avrei potuto distribuire il peso del mio corpo sulle assi per aumentare le mie possibilità di attraversare quel ponte sano e salvo. “Forza e coraggio!”, mi dissi... e dopo aver indossato le arcaiche racchette, mi avventurai ad attraversare il ponte senza indugiare oltre.

Dopo aver superato la prova d’accesso all’Indiana Jones Academy, mi fermai di fronte al singolare paesaggio di fronte a me. Finalmente riuscii a dare uno sguardo al lago in cui era caduta Gina... lago che, per mia sorpresa, veniva incomprensibilmente custodito da militari. Proprio così. A quanto pareva, c’erano armi di distruzione di massa nell’Isola Mala, dato che un accampamento militare occupava la spiaggia verso la quale dovevo scendere in cerca di Gina. Ancora incredulo di fronte a un simile dispiegamento marziale, iniziai la mia discesa...

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Capitolo 2 SURFiN’ MALA

L’accampamento militare

Con la caratteristica gentilezza dei militari di guardia, fui gentilmente ricevuto da un tizio che mi puntava contro la sua M1�. Grazie al suo inestimabile aiuto, ebbi la possibilità di accedere all’accampamento per conoscere il simpaticissimo ufficiale al comando: l’illustre colonnello Kordsmeier. Ma prima del colloquio, dovetti dare i miei dati a un certo Leslie che non esitò a lasciare incustoditi i suoi effetti personali mentre annunciava il mio arrivo. Non c’è bisogno di dire che ne approfittai per frugare tra le sue varie cosette...

...finché non fui di nuovo interrotto dal disciplinatissimo soldato “Flowerpot” (affettuoso pseudonimo con il quale era conosciuto il nostro Leslie), che mi invitò a entrare nell’ufficio del Colonnello. Cosa posso raccontarvi della conversazione mantenuta con l’affabile ufficiale? Dopo la sorprendente varietà di argomenti toccati, tra i quali ovviamente non tralasciai la mia crescente preoccupazione per lo stato di Gina, giunsi a due conclusioni:

a) la mia mancanza di chimica col Colonnello sembrava essere un chiaro ostacolo, ragion per cui dovevo trovare un modo per muovermi liberamente all’interno dell’accampamento militare per cercare Gina (che senz’ombra di dubbio veniva trattenuta contro la sua volontà) e

b) di fronte al più che sospettoso modo di fare del mio interlocutore, tutto faceva pensare che, una volta compiuta la mia missione di salvataggio, avrei avuto bisogno di un mezzo di trasporto adeguato per abbandonare di corsa quell’isola assediata.

Nonostante il difficile compito che mi aspettava, non mi demoralizzai. Se c’è qualcuno al mondo con capacità di superazione e sacrificio, quello è Brian Basco. Se poi aggiungiamo che, dopo essermi disfatto dei vari e pesanti oggetti che avevo in tasca prima di attraversare quel maledetto ponte, potevo contare solo sull’aiuto del mio caro amico lemure (che decisi di battezzare Little Demon), posso affermare che la situazione stava diventando davvero interessante...

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Lokelani

Con i miei nuovi obiettivi ben presenti, decisi di allontanarmi momentaneamente dal tumulto militare e presi il cammino verso il sud dell’isola. Trovai subito il nucleo turistico di Mala, che disponeva di una grande varietà di zone dedicate all’intrattenimento del visitatore di turno. Il ristorante e il centro di informazioni turistiche erano custoditi da un altro militare, quindi decisi di avvicinarmi al bar per farmi una birretta e ottenere informazioni interessanti dalla cameriera.

E che gran bel pezzo di cameriera! Invece del sudato e scontroso classico energumeno che troviamo in ogni bar di pessima categoria che si rispetti, il chioschetto locale disponeva di un fenomeno della natura chiamato “Lokelani”: una di quelle donne che ti fanno passare il singhiozzo in un batter d’occhio indipendentemente dal tuo stato di ubriachezza. Ovviamente, grazie alle mie incantevoli doti personali, ci misi poco a fare amicizia con quella brunetta dagli occhi azzurri che mi fornì alcune importanti informazioni che riassumo qui di seguito:- Nell’isola, oltre ai militari, la formosa cameriera e il sottoscritto, restavano solo tre persone: un misterioso monaco muto che passa il tempo seduto dentro una capanna, e due amici di Lokelani, chiamati Kai e Knife, che vivevano in una spiaggetta vicina.- Il Colonnello, che durante la nostra interessante conversazione aveva già dimostrato di avere un debole per la cameriera, aveva visitato il bar in più di un’occasione, lasciando dietro di sé l’inconfondibile scia del fumo di un sigaro cubano.- Lokelani, prima di tornare alle sue Hawaii natali, fu truccatrice ad Hollywood, lavoro che indubbiamente ha qualcosa a che vedere con la sua lunga collezione di ex fidanzati: Charlie, Brian, Rene, Mikhail, Runako, Milo, Tiroo, Lopati, Kojisan, Peter...

Dopo aver ricevuto tante informazioni tutte insieme, sentii l’impellente necessità di appropriarmi di nuovo di oggetti altrui (stavo forse sviluppando una specie di patologia cleptomane?). Perciò, non esitai a chiedere a Lokelani di regalarmi una magnifica lavagna (completa di gessetto!) che si aggiunse a una non meno interessante custodia per sigari che trovai in un posacenere a terra. Allora, avido di conoscenza, decisi di allontanarmi dal chiosco in cerca di nuovi articoli da mettermi in tasca. Esplorando l’Isola Mala

E fu così che mi recai al “Visitors center”, un centro di informazione turistica che era chiuso, così come lo era il ristorante locale dal nome esotico situato nello stesso edificio. Fiutando come un segugio trovai le porte di accesso a un promettente scantinato. Purtroppo erano bloccate da un asse di legno e due lucchetti. Ma mi conoscete, non mi sarei mica arreso di fronte a una cosa così... e di certo non mi feci prendere dal ribrezzo quando aprii un pestilente cassonetto lì accanto e presi un succulento pezzo di burro (anche se mi sarebbe piaciuto trovare anche un po’ di marmellata e qualche fetta biscottata).

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Con l’acquolina in bocca por i miei inopportuni pensieri, mi diressi verso il “Surf Shack”, la capanna in cui il misterioso monaco di poche parole meditava incessantemente. Dopo un tentativo poco fortunato di intraprendere un qualsiasi tipo di comunicazione, decisi di verificare se quel tizio sapeva scrivere. (E che diamine, avevo voglia di usare la lavagna!). E, effettivamente, quell’ometto era un po’ più comunicativo per iscritto. E non è tutto, le sue risposte mi sembravano familiari... ma proprio sul più bello San Murphy intervenne di nuovo e, naturalmente, ci finì il gessetto.

Abituato a questo tipo di situazioni, decisi di ispezionare la capanna per non andare via a mani vuote. Fu allora che vidi un cavo appoggiato a destra degli scalini di accesso alla capanna. Esaminandone l’estremità feci in fretta a rendermi conto che era incastrato alle radici di un albero... ma diedi mostra di grande perspicacia ungendo la stessa estremità del cavo di burro e sciogliendolo in quattro e quattr’otto.

Un po’ pensieroso per la familiarità di quel curioso monaco, mi avvicinai a una struttura in legno ancora sconosciuta situata sulla riva. Fu una sorpresa scoprire che quell’aggeggio era una macchina per foto per turisti! Mmh. Non è che avessi la necessità immediata di rinnovare la mia carta d’identità, ma non si sa mai quando può esserti utile una bella foto, quindi ispezionai l’attrezzo da tutti i lati e i miei sospetti ebbero conferma: non solo non funzionava, ma richiedeva un gettone speciale per attivarsi.

Quel sofisticato imbroglio per turisti accrebbe la mia curiosità nei confronti di altri strumenti simili, e così mi diressi al toro meccanico situato nell’altro estremo della spiaggia. In tutto ciò, cosa c’entrava un bufalo come quello in mezzo a un’isola del Pacifico? Sarebbe forse uscita una Lokelani cow-girl dalla botola che trovai nella piattaforma di legno? Purtroppo no. Oltretutto non avevo neanche la possibilità di mettere alla prova il mio senso dell’equilibrio perché la bestiolina non funzionava (in quell’isola avrei sicuramente fatto fortuna come elettricista). Per qualche strano motivo, in quel preciso istante decisi di mettere alla prova (ancora una volta) la mia eccezionale relazione con i militari. Proprio dietro il “Seafood Kahuna” conobbi il peculiare Zachariah O’Connor, un ex taglialegna trasformato in un servizievole soldato (un tizio poco sveglio ma molto simpatico). Il mio portamento dovette impressionarlo perché mi prese immediatamente per un poliziotto militare in incognito, situazione che non potevo non sfruttare a mio favore. Purtroppo il mio nuovo amico poteva permettere l’accesso all’accampamento militare solo a un certo Professor Pignon...

1�

...Insomma, conoscete già il mio talento nell’ottenere informazioni. Subito dopo aver conosciuto il povero O’Connor, questi mi stava già mostrando una foto di Pignon. La mia intelligenza superiore giunse subito a una conclusione: vediamo un po’, la cameriera bonazza è una professionista del trucco e questo simpatico soldatino sta aspettando l’arrivo di un tizio che non conosce personalmente. Sarei stato capace di convincere Lokelani a usare il suo meraviglioso programma informatico per farmi somigliare al professore francese? Beh, non avrei perso niente facendo un tentativo...

Visita a Cala Alalua

Ma prima di rivolgere la mia richiesta a Lokelani, decisi che era giunto il momento di fare nuove amicizie. A tal fine, presi la strada dell’isola (direzione sud) fino ad arrivare a Cala Alalua. Una volta lì, incontrai un surfer che praticava Tai-chi su una tavola. Non poteva che essere Knife, quindi mi avvicinai con la mia abituale disinvoltura e diventammo subito amici. Mi parlò delle doti necessarie per praticare il surf (“equilibrio e anticipo”, roba da niente, insomma), della sua poca stima nei confronti dei militari, di suo figlio (l’artista ladruncolo, ti ruba un attrezzo con la stessa facilità con cui scolpisce una tartaruga di sabbia)... e, la cosa più importante, del suo motoscafo!

Dopo il rifiuto di Knife di prestarmi il suo motoscafo (ci sarà un modo di convincerlo?), mi chiesi se il suo amico e maestro Kai sarebbe stato altrettanto stravagante. E mentre mi dirigevo verso l’amaca su cui risposava il saggio guru del surf, trovai due oggetti che poco dopo apparvero come per magia nella mia tasca (un ladro, io? Ehi, come vi permettete?): un’utilissima corda (che, chissà perché, mi fece pensare a O’Connor) e un barattolo di polvere di talco (forse un certo “Koala” aveva il sederino irritato?), entrambi dimenticati sotto la capanna da qualche imprudente. Kai dimostrò di essere una persona tranquilla e posata, tant’è che feci fatica a immaginarlo cavalcando le onde. Forse il suo carattere era frutto di un peculiare lignaggio; non per niente era nipote di un famoso sciamano in grado di resuscitare polli “mosci”, ed è molto probabile che una sapienza simile si tramandi con i geni. Il fatto è che la sua personalità serena sembrava averlo aiutato a superare la perdita di una gamba (a causa dell’attacco di un feroce squalo) e il recente furto della gamba ortopedica che la sostituiva (da parte del carissimo Koala).

Dopo la conversazione con Kai, decisi di esplorare ancora un po’ la cala. Prima di tutto diedi uno sguardo all’opera d’arte di Koala, una curiosa tartaruga scolpita nella sabbia. (Devo ammettere che dovetti reprimere un intenso desiderio di calpestarla). Quindi, decisi di dare uno sguardo al molo situato a sinistra di Knife. Lì si trovava il motoscafo, aspettandomi... A proposito, mentre sospiravo ammirando l’oggetto del mio desiderio trovai un nuovo tesoro: una cassetta degli attrezzi completa. E dove andò a finire la cassetta? Esatto! Nella mia già voluminosa tasca...

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Piano d’infiltrazione�

Con qualche amico e qualche oggetto in più, tornai al bar della mia cara “Rosa celestiale” per proporle il nuovo progetto di trucco ideato dopo la mia conversazione con O’Connor. Inutile dire che non seppe dir di no (chi potrebbe resistere di fronte alle mie eccellenti maniere?), ma per farmi quel favore aveva bisogno di un paio di cosette. Beh, in realtà aveva bisogno di due fotografie: una della persona a cui volevo somigliare e una del mio privilegiato viso. Così il suo moderno programmino avrebbe potuto comparare le nostre rispettive fisionomie ed elaborare una stupenda “ricetta” di maquillage affinché Lokelani e il suo talento si occupassero del resto.

Come al solito, la mia conversazione con Lokelani si dimostrò molto interessante (che donna meravigliosa!). Non si limitò a offrirmi il suo aiuto con la storia di Pignon, ma mi parlò anche della strana “malattia” che isolava le macchine dell’isola. Secondo lei, la macchina delle foto era staccata (e per i gettoni mi consigliò di guardare sotto la piattaforma). Per quanto riguarda il toro meccanico, quello sì che era guasto, ed era un peccato perché il suo ex (un certo Giorgios) adorava montarlo, dicendo che si trattava di una semplice questione di “equilibrio e anticipo”. Ehi! Dove avevo già sentito quelle parole?

Insomma, il mio incredibile intelletto stava già facendo scintille, facendo collegamenti a destra e a manca... Da una parte avevo bisogno di aggiustare la macchina delle foto per ottenere un’istantanea della mia bella fisionomia. Dall’altra mi era venuta un’idea assurda per fare in modo che Knife mi prestasse il motoscafo... E, a tal fine, avevo bisogno di accedere alla cantina del centro di informazioni (dove sicuramente ci sarebbe stato il pannello delle luci dei locali di Mala). E quindi è lì che mi diressi. E allora, tutto convinto, attaccai il cavo (quello che avevo preso nella capanna) all’asse di legno e... mi misi a tirare con tutte le mie forze.

Nonostante la mia forte costituzione, fui incapace di rompere la maledetta tavola. Se avessi avuto più forza bruta, forse... E così, all’improvviso, mi ricordai di O’Connor... Mi avrebbe prestato il suo bell’Hummer? Conoscendo il suo hobby di arrampicarsi sugli alberi, mi venne in mente un modo per distrarlo. E quindi mi diressi da lui e gli regalai la bellissima corda trovata a Cala Alalua chiedendogli in cambio di dimostrarmi le sue doti di scalata. Il caro Zachariah soddisfò il mio desiderio senza esitare, e ne approfittai per prendere due piccioni con una fava: da una parte mi appropriai velocemente della foto di Pignon.... ...e dall’altro mi presi la libertà di prendere l’Hummer (sapevo che O’Connor mi avrebbe detto di si, quindi, perché chiedere?) e usarlo per aprire le maledette porte della cantina. Bastò unire il cavo al veicolo, accelerare un po’ e… fatto! Un’asse meno a cui pensare. Per non far preoccupare il povero O’Connor, tornai immediatamente alla sua zona di vigilanza, lasciando l’Hummer dove si trovava prima della mia breve escursione. Quando il volenteroso soldato scese dall’albero, notai la strage provocata dai suoi stivali mentre si arrampicava (ho i miei momenti di ecologia estrema)... Mi avvicinai ed, effettivamente, vidi una traccia di resina sul tronco.

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In quell’istante (chissà poi perché), mi ricordai del monaco silenzioso e chiesi a O’Connor se, per caso, non avesse un gessetto da prestarmi. Logicamente non ce l’aveva, ma il mio amico mi sorprese ancora. A quanto pare sapeva come fabbricarne uno! (Per essere un “tontolone”, il tizio era abbastanza competente). Dovevo solo tritare un po’ di gesso, mischiarlo con gomma arabica e agitare bene in una provetta. Quindi, come facevo sempre con le ricette di Suor Germana, sostituì gli ingredienti. Un po’ di talco, un po’ di resina, mischiamo tutto in una preziosa custodia per sigari e...taratatan! Un fantastico gessetto casalingo!

Un vecchio amico ritrovato

Col mio nuovo strumento di scrittura, corsi in fretta e furia verso la capanna del monaco misterioso. (Finalmente potevo riprendere quell’interessante conversazione). Non appena iniziammo a chiacchierare seppi che io e quel tizio ci eravamo già visti da qualche parte... Incredibile! Era Joshua, il tizio che non molto tempo prima avevo aiutato a stabilire il contatto con gli extraterrestri! A quanto pareva doveva compiere una missione speciale affidatagli dai suoi amichetti, i trantoriani. Non appena ricordai quanto era abile con gli attrezzi, gli proposi un patto: se lui avesse aggiustato il toro meccanico, io l’avrei aiutato a lasciare l’isola per compiere la sua missione.

Non c’è bisogno che vi dica che riuscii a convincerlo, vero? E quindi ci preparammo a prendere il toro per le corna... Joshua, un vero e proprio genio, fece in fretta a scoprire perché non funzionava la bestia meccanica, ma ci volevano alcune cosette per metterlo in marcia: olio per ingrassare e una chiave del dieci. Io, sveglio come sempre, gli diedi le cose più simili che avessi: il pezzo di burro (e c’è mancato poco che se lo mangiasse, quel ghiottone) e la cassetta degli attrezzi (sicuramente ci sarebbe stata una chiave adatta). E lì lasciai Joshua, canticchiando e giocherellando col macchinario.

Intanto... io mi diressi alla cantina che ero riuscito ad aprire con l’aiuto dell’inestimabile O’Connor e il suo veicolo. Una volta dentro, mi dedicai (come sempre) a ispezionare, per cui mi fu di grande aiuto accendere una lampadina situata in fondo alla stanza. Dentro un inquietante stanzino situato proprio sotto le scale, scoprii un pratico metal detector che mi sarebbe stato sicuramente molto utile per trovare altri gioiellini. Infine, mi intrattenei alzando e abbassando le leve del pannello delle luci con l’intenzione di accendere la macchina delle foto e il toro meccanico... compito per niente semplice, tenendo conto del fatto che ogni volta che ne sollevavo una… clac, ne cadeva un’altra....

Quando finalmente trovai la combinazione perfetta nel pannello delle luci (e dopo vari rimproveri di Lokelani), tornai al toro meccanico per vedere se Joshua fosse riuscito a risolvere il problema. E credete forse che un genio come lui mi avrebbe deluso? Certo che no. Montai subito su quella mucca pazza per verificare che funzionasse davvero... Subito dopo mi diressi a cercare Knife. Ora che il toro era stato riparato, potevo finalmente portare a termine il mio machiavellico piano per ottenere il motoscafo. E qual era?

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Semplicissimo. Bastava invitare il surfer più vivace del mondo a praticare il suo amato sport in sella alla bestiaccia che Joshua aveva appena riparato. In questo modo, non solo avrei guadagnato punti con il mio amico (che, ovviamente, mi avrebbe prestato il motoscafo) ma avrei anche avuto via libera per fare le dovute indagini nella capanna di quel ragazzo. Quindi feci la mia proposta e… bingo! Il mio piano riuscì alla perfezione. Non appena vidi Knife su quel toro meccanico, seppi che niente l’avrebbe più fatto scendere, circostanza che avevo intenzione di sfruttare al più presto. E quindi, di corsa a Cala Alalua!

Il piccolo Koala

Prima di avere l’immenso piacere di conoscere il famoso figlio di Knife, decisi di usare il mio ultimo acquisto per cercare di localizzare la protesi di Kai. Se non ricordavo male, Koala l’aveva usata come pala per creare il suo capolavoro, la tartaruga di sabbia. Usando il metal detector trovai facilmente la protesi (che, naturalmente, andò a finire nella mia tasca, una vera e propria cabina dei Fratelli Marx in miniatura). Quindi, finalmente, ebbi il mio tanto desiderato incontro con un bambino che, come dirlo, ringhiava in un modo delizioso...

Dato che non fui in grado di ottenere qualcosa di concreto da quella “conversazione” (e che non ebbi neanche il coraggio di rubare l’interessante console al ragazzino), decisi di concludere una volta per tutte la storia delle foto. Immaginavo che la macchina per le foto avrebbe funzionato ora che le arrivava la corrente, quindi dovevo solo trovare un gettone per attivarla. Considerato il fatto che la mia costituzione muscolosa non mi permetteva di infilarmi sotto la piattaforma della macchina, decisi di utilizzare il mio buon amico Little Demon. Quel birbantello trovò la monetina in un batter d’occhio, ma voleva qualcosa in cambio... L’unica cosa che avrebbe convinto quella bestiaccia era una bella birra fresca (non era mica scemo, eh?).Sapevo bene che il mio amico Little Demon non scherzava mai con l’alcool, quindi mi diressi subito al bar di Lokelani. Povero me, non avevo idea del giochetto che mi aveva preparato... Sarebbe stata disposta a darmi una birra solo se fossi stato in grado di rispondere correttamente a una serie di domande sui suoi ex fidanzati... ed io, che ho cervello da vendere, trovai subito la logica in quella sequenza di indovinelli: mi resi conto che il nome del seguente fidanzato che avrei dovuto indovinare, iniziava con l’ultima sillaba del nome che avevo appena pronunciato. E così la lista completa di risposte era la seguente: Milo, Lopati, Tiroo e Russell.

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Little Demon, il piccolo birbante

Non appena ottenni la maledetta birra, mi diressi alla macchina delle foto disposto a concedere a Little Demon quello che voleva. Quel diavoletto prese la birra come se non avesse bevuto per anni e per un istante pensai che mi avesse fregato (sapete, è una scimmietta molto spiritosa). E invece no, mi diede subito il benedetto gettone e riuscii finalmente a farmi la fotografia. E chi scelsi per fare da donna oggetto nella foto? Tu chi avresti scelto? (Che razza di domande mi vengono in mente ogni tanto....). Non appena quella macchina sputò fuori la foto ricordo, mi diressi immediatamente al chiosco di Lokelani.

Una volta nel bar, consegnai alla mia cara amica entrambe le foto perché iniziasse a preparare la sessione di trucco. Prima che Lokelani andasse alla sua casa dolce casa, dovetti correre fino al pannello delle luci per restituirle la corrente (non si sa mai che, per la mancanza di elettricità, la nostra favolosa amica pagasse di nuovo per sbaglio l’ultima bolletta della luce). Insomma, la ragazza, fiduciosa del mio indubbio senso del dovere e della responsabilità, mi lasciò in affidamento la sua mascotte, l’impertinente cacatua. E io felice e contento… finché non ebbi la pessima idea di pronunciare la parola “birra”. Grosso errore! Little Demon, in una nuova dimostrazione del suo amore per l’alcool, saltò sul bancone spaventando il povero Aolani.

Non ci potevo credere. Per una volta che la ragazza mi chiedeva una cosa, rovinavo tutto in quattro e quattr’otto. Perché certo, vedendo un lemure saltare in quel modo, il povero cacatua si levò in volo e scomparve in un batter d’occhio. Niente, non ce n’era traccia. Cosa diavolo pensavo di fare quando fosse apparsa Lokelani? Insomma, mi armai di coraggio e cercai di uscire indenne da quella complicata situazione. Ma certo, non funzionò. Se c’era qualcosa di intoccabile nella vita di Lokelani, questa era proprio il suo amato cacatua. E quindi, sebbene fosse già stato tutto preparato, la mia sessione di trucco fu inaspettatamente rimandata quando, dopo essere venuta a conoscenza dell’accaduto, la furiosa cameriera mi mandò a quel paese...

Insomma, se volevo avanzare col mio piano di infiltrazione nell’accampamento con un meraviglioso costume da professor Pignon, dovevo trovare il maledetto Aolani e fare in modo che Lokelani mi perdonasse. Mi era sembrato di averlo visto volare impaurito verso l’albero di O’Connor... ed ebbi subito un’idea. Con un talento nello scalare alberi più che riconosciuto, non c’era niente di strano a pensare a un possibile salvataggio compiuto da un soldato ansioso di compiacere un “superiore”. Quindi, dopo aver verificato che il cacatua era effettivamente andato a nascondersi tra le fronde di quell’albero, chiesi a O’Connor di scendere da lì... come avrei potuto immaginare quello che sarebbe successo dopo?

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Salvataggio de�ll’ucce�llo pazzo

A quel maledetto marine non venne certo in mente di arrampicarsi di nuovo sull’albero... la fece breve: pistola in mano, uno sparo e poi passeremo alle domande. Non ci potevo credere. Lì, a terra davanti a me, giaceva il povero e innocente cacatua privo di vita... Anche se, osservandolo bene, notai che il proiettile non l’aveva ferito (in effetti O’Connor aveva sparato in aria solo per spaventarlo) quindi c’era ancora un filo di speranza (a meno che il povero uccellino fosse morto d’infarto). Ma ecco, quando pensai alle parole “uccellino” e “infarto” mi ricordai subito di un’insolita conversazione con Kai...

E fu così che decisi di chiedere aiuto al pacifico maestro di surf (non era infatti proprio suo nonno un riconosciuto sciamano in grado di resuscitare polli?). Quando giunsi a Cala Alalua, il nostro amico Kai era ancora lì, sonnecchiando placidamente sulla sua comoda amaca. Non appena gli mostrai il povero cacatua, tutta la sapienza dei suoi antenati ricomparve e mi informò dello stato del cacatua. In realtà non era morto, ma “moscio”. Proprio così. A quanto pareva si trattava di uno stato intermedio tra la vita e la morte, e il maestro sapeva come restituirgli la vita...

C’era tuttavia un piccolo inconveniente (non ce n’era forse sempre uno?). La cerimonia necessaria per resuscitare Aolani si poteva celebrare solo nella capanna del rituale di suo nonno. E certo, l’unica cosa che ricordava il caro Kai su quell’insigne capanna di stregoni era che si trovava in un’isola verso nordest... e non era molto sicuro neanche di quello. In quel momento, come in tanti altri momento di sconforto, mi venne un’idea. Per realizzarla, purtroppo, era imprescindibile che mi presentassi di nuovo all’accampamento militare. Solo che questa volta, mentre aspettavo di entrare dal colonnello, dovetti approfittare di un momento di distrazione dell’eccellente Flowerpot...

...Durante la tesa attesa che precedeva sempre un incontro con Kordsmeier, mi venne in mente di prendere il quaderno di Flowerpot e di scrivere la seguente (e innocente) frase: “Localizzare capanna nel nordest dell’isola”. Ebbi appena il tempo di falsificare la grafia di Leslie e incrociare le dita perché il piano funzionasse. Dopo una breve chiacchierata col colonnello, venni gentilmente scortato all’entrata dell’accampamento dove osai richiedere un nuovo colloquio con Kordsmeier. (Come avrete notato, avevo già superato la mia timidezza.) Questa volta, prestai molta attenzione quando Flowerpot annunciò il mio arrivo al colonnello: effettivamente, la mia strategia era stata un successo. Il caro Leslie informò il suo superiore delle coordinate “richieste”, e io approfittai nuovamente del suo quaderno per prendere appunti.

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In cerca della capanna perduta

Bene, conoscevo già la posizione esatta della capanna che stavo cercando. Purtroppo, però, non disponevo di connessione a Internet per consultare Google Maps. Se avessi avuto un GPS, sarebbe stata un’altra cosa. In quell’isola di pazzi, chi avrebbe potuto averne uno? Mmh. Un zuccavuota incaricato di scortare uno scienziato fino all’accampamento, magari? Beh, non perdevo niente provandoci. E quindi, ancora una volta, mi diressi fino alla spiaggia per parlare con O’Connor che, effettivamente, aveva avuto un GPS fino a poco tempo prima. Quel poveraccio riconobbe di aver perso quell’aggeggio a causa di un piccolo e feroce ladruncolo (dove avevo già sentito qualcosa del genere?), quindi mi diressi di corsa alla capanna di Knife...

Bene, come avrei potuto togliere il giocattolino al piccolo Koala? Era chiaro che, in questa occasione, la mia dialettica non sarebbe servita a molto. Innanzitutto guardai la console e verificai che, effettivamente, si trattava del GPS di cui avevo bisogno. Quindi esplorai la peculiare “cameretta” nel tentativo di trovare un’idea brillante che mi consentisse di persuadere il piccoletto. Sembrava evidente che per distrarlo dal GPS sarebbe stato necessario offrirgli un nuovo giocattolo con cui intrattenersi... e, non so, forse fu il poster enorme di un Koala a farmi pensare al mio caro Little Demon. Se c’era qualcuno in grado di affrontare il feroce ladruncolo, era proprio il mio piccolo e coraggioso lemure. E quindi, senza preamboli né presentazioni, liberai Little Demon con la speranza che facesse amicizia col bambino.

Bingo! Little Demon si diede subito da fare, momento in cui Koala (dimostrando un repentino disinteresse nei confronti della sua “console”) lanciò il GPS dalla finestra dalla sua umile dimora. Non c’è bisogno di dire che la prima cosa che feci fu correre a prenderlo, ed è così che ottenni finalmente l’apparecchio di O’Connor. Appena lo presi inserii le coordinate tanto gentilmente fornitemi da Flowerpot. Non appena il GPS mi indicò la strada da seguire, mi armai di pazienza e via, un’altra bella camminata! E, dopo un breve ma intenso tour per la giungla, arrivai finalmente al luogo scelto come laboratorio dai più prestigiosi “smosciapolli” vissuti nell’Isola Mala.Con questa buona nuova, tornai fino a Cala Alalua per parlare con Kai. Dopo avergli consegnato la sua protesi e avergli raccontato come il mio eccezionale senso dell’orientamento mi avesse aiutato a trovare la capanna del rituale di suo nonno, ci incamminammo entrambi verso il luogo in cui, salvo imprevisti, Kai avrebbe fatto resuscitare il povero Aolani. Una volta lì, Kai mi sorprese con un nuovo modello primavera-estate (sicuramente un costume ereditato da suo nonno) e mi espose un nuovo problemino che avremmo dovuto risolvere prima di dare inizio al rituale. A quanto pareva la memoria di Kai non era buona come la mia, e aveva bisogno di un maledetto libro di incantesimi del suo “kupuna” per portare a termine la tanto attesa risurrezione.

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Segreti dell’oltretomba

Insomma, non avevo opzioni: dovevo mettermi a cercare il benedetto libro (a cui Kai si riferiva come “grimorio”). Prima di rischire di perdere tempo, decisi di interrompere le usuali “meditazioni” del giovane apprendista “smosciapolli” per chiedergli maggiori informazioni sul caro libretto. Sembrava che il grimorio di uno stregone fosse un vero e proprio simbolo della suo sapienza e, più pesava, più il suo proprietario veniva considerato saggio. Non per niente, quello del nonno di Kai aveva la copertina di metallo (un bel modo di dissimulare la mancanza di contenuto, un po’ come la costituzione muscolosa di O’Connor). Dato che era uno degli oggetti di maggior valore che potesse possedere uno stregone, Kai credeva che fosse stato sepolto insieme al corpo senza vita del suo “kupuna”.

Sì, non soddisfatto del mio continuo andirivieni in questa maledetta isola, stavo anche per mettermi a profanare tombe in cerca di quella bibbia della stregoneria aviaria. Ma insomma, cercando il lato positivo della storia, al meno disponevo di un modernissimo metal detector che mi avrebbe sicuramente facilitato le cose. Quando finalmente localizzai il punto in cui erano stati sepolti il nonnino di Kai e il suo grimorio, mi venne in mente che avrei avuto bisogno di qualcosa per scavare. (Beh, è vero che dopo qualche giorno di vacanza le mie unghie erano un po’ lunghette, ma non esageriamo).

E quindi, allo scopo di trovare una pala casalinga, tornai dentro la capanna del rituale. Dopo una veloce ispezione degli strani oggetti che si trovavano lì, decisi di prendere un bel carapace di tartaruga che, se non mi fosse servito per il compito che avevo in mente, almeno ci sarebbe stato benissimo sul muro del mio salone (cosa ci volete fare, mi piace lo stile etnico). Con questo nuovo strumento in mio potere, mi immersi nell’appassionante missione di profanare la tomba del nonno di Kai e, dopo una buona dose di sangue, sudore e lacrime, trovai finalmente il famoso grimorio. Senza perdere tempo, rientrai nella capanna e svegliai il maestro di surf, consegnandoli immediatamente il libro degli incantesimi.

Rituali ancestrali

Quello che avvenne dopo fu veramente… indescrivibile. Vedere per credere. Kai dimostrò di essere una persona dalla sorprendente intuizione che, tuttavia, compensava con l’innocenza di un candido e ingenuo bambino. Insomma, riuscii a fregarlo raccontandogli che io, il grande Brian Basco, avevo dovuto intercettare uno spietato militare che aveva oltraggiato la memoria del grande Kimi Papa Moa e che, oltre ad aver profanato la sua tomba, aveva cercato di rubare il grimorio. “Per fortuna”, dissi a Kai, “io passavo di lì e riuscii a strappargli il tesoro di tuo nonno”... Con profonda e sentita gratitudine per la mia eroica impresa, Kai diede inizio al grande rituale...

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Pochi istanti dopo, una geniale ricetta (probabilmente di ispirazione francese) fece il miracolo. Bastarono poche frasi ben pronunciate perché Aolani abbandonasse il suo stato “moscio” per tornare a essere quello di sempre. Timoroso che qualcosa andasse di nuovo male, me ne andai di corsa tenendo ben stretto il cacatua. Peccato che non avessi una scatolina e un fiocco, se no mi sarebbe piaciuto aumentare l’emozione della sorpresa quando consegnai il cacatua resuscitato alla sua triste padrona. Era evidente che Lokelani aveva perso ogni speranza di rivedere il suo migliore amico, e l’allegria del rincontro fu tale che la ragazza divenne molto, ma molto affettuosa...

... insomma, non ho intenzione di raccontarvi cosa avvenne poco dopo nell’accogliente capanna di Lokelani; vi dirò solo che la ragazza sa come fare in modo che un uomo stressato di rilassi e che, ovviamente, nessuno trucca come lei. Quando ebbe finito con me, infatti, non mi avrebbe riconosciuto neanche mia madre. Trasformato in un vero clone del professor Pignon, mi avviai in cerca di O’Connor. Il ragazzo mi diede il benvenuto (il travestimento era perfetto!) e mi portò fino all’accampamento. Una volta dentro, dovetti affrontare la mia prima prova come impostore: un colloquio, faccia a faccia, con un teso Kordsmeier. Era giunto il momento della verità...

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Amicizie� pe�ricolose�

In quella situazione era fondamentale mantenere la calma. Chissà cosa mi sarebbe potuto succedere se il Colonnello avesse scoperto la mia vera identità... Fortunatamente, feci finta di niente mentre Kordsmeier mi faceva un discorso di cui l’unica cosa che capii era che dovevo occuparmi di “aprire l’ameba”. L’A.M.E.B.A.? Cosa diavolo era? A quanto pareva, un certo professor Simon era stato l’unico a riuscirci, ma il vecchio si era ritirato. In questo modo lasciava me (cioè, Pignon) in una situazione delicata. Apparentemente, oltre al vecchio professore, Pignon era l’unico in grado di aprire quella cosa... e sembrava che a Kordsmeier non avrebbe fatto affatto piacere se non fossi riuscito a portare a termine il mio compito.

Quando il Colonnello concluse il suo discorsetto, si presentò il secondo ufficiale al comando, un certo Chapman. Sembrava una brava persona, ma si vedeva da un chilometro che era un povero infelice: quel modo di camminare, quella faccia... per me quell’uomo aveva bisogno di una bella vacanza lontano da Kordsmeier. Insomma, torniamo a noi. Il caro Chapman mi scortò fino al mio nuovo posto di lavoro: l’interno di un antico tempio la cui ricerca archeologica era stata interrotta per la storia di quell’A.M.E.B.A. Il tenente colonnello mi consegnò una valigetta con la sigla CIA2 e mi raccomandò di fare attenzione con un preziosissimo guanto… catalizzatore!?. Infine mi mostrò il computer in cui si trovava tutta l’informazione che il vecchio Simon aveva raccolto sull’A.M.E.B.A..

Quando Chapman finalmente mi lasciò da solo (si capiva che quel poveraccio aveva bisogno di qualcuno con cui sfogarsi), pensai di essere finalmente libero di ispezionare la zona a mio piacimento. Logicamente, l’essere superiore che sembrava reggere il mio destino mi voleva dare del filo da torcere. Non appena provai a uscire dalla stessa porta da cui eravamo entrati, sentì la voce di un infuriato Colonnello. Sembrava che mi vigilasse con una telecamera senza audio (approfittai di quest’ultimo dettaglio per dirigere una frase affettuosa a Kordsmeier), quindi non potevo lasciare la sala finché non avessi compiuto la mia missione. Accidenti, la mia ricerca di Gina subiva un altro notevole ritardo, ma non avevo altra opzione che decifrare il grande mistero della maledetta A.M.E.B.A. (o quello, o trovare un modo per ingannare il Colonnello...).

Capitolo 3 PIÙ SEMPLICE DI UN’AMEBA

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Fu allora che decisi di fare un giro di ricognizione per la sala; chissà, magari avrei incontrato qualcosa che potesse saziare la mia crescente cleptomania. In primo luogo analizzai le cose che avevano lasciato per me (ehm, per Pignon). La valigetta datami da Chapman era opportunamente chiusa a chiave (accidenti, la famosa A.M.E.B.A. non sarà mica stata la stessa valigetta, no? Perché insomma, per aprire una valigetta non c’era mica bisogno di fare tutto quel casino). Quindi pensai alla possibilità di studiare gli appunti che Simon aveva lasciato nel computer, ma solo a pensare a pagine piene di formule indecifrabili mi veniva da sbadigliare, quindi decisi che lasciare questa interessante attività a un altro ex studente di fisica annoiato.

Il Grande Fratello ti osserva

Feci un giro e trovai finalmente un paio di cose interessanti. In un tavolo che apparteneva sicuramente ai poveri archeologi sfrattati, trovai un bella busta di plastica di quelle che piacciono tanto a noi americani. (Non si può mai sapere quando dovremo portarci dietro un sandwich di burro di arachidi). Ma questo non era tutto. Nell’estremo opposto della sala, vicino a una porta di accesso a una sala per me ancora sconosciuta, decisi di ficcare il naso in una cassa di legno e… bingo! Primo premio! Trovai niente meno che una bellissima telecamera Socket! E ovviamente mi venne una nuova idea. Se avessi avuto qualcosa per fissare il mio nuovo strumento alla telecamera di sorveglianza, ingannare il Colonnello sarebbe stato più facile che passare una notte con Lokelani...

Con in mente il mio machiavellico piano, mi disposi a cercare qualcosa che mi permettesse di fissare la telecamera Socket a quella di sorveglianza. Qualcosa avrebbero pure lasciato gli archeologi, non so... una corda, della colla, del nastro adesivo, una frusta… Avrei senz’altro trovato l’oggetto adeguato, si trattava di una mera questione di pazienza (qualità che in me basta e avanza). E quindi pensai che magari avrei trovato qualcosa di interessante sull’impalcatura. Cercando di fare il più velocemente possibile (non volevo certo che quel pesante di Kordsmeier mi riprendesse ancora), salii sulla struttura di ferro in cerca di un colpo di fortuna.

E alla fine il mio complesso ragionamento diede i suoi frutti. Sull’impalcatura, più precisamente nell’estremità sinistra della piattaforma più lontana da quell’incavolatissimo tiki di pietra, trovai un rotolo di nastro telato adeguatamente depositato su uno zerbino. Cosa ci posso fare, quando mi ci metto non mi ferma nessuno. Insomma: dopo aver preso il nastro telato, fissai la telecamera Socket a quella di sorveglianza. Quindi attivai la funzione di registrazione della telecamera digitale, scesi di corsa al computer di Simon e, ricordando i miei giorni da diligente universitario, feci finta di studiare un po’. Quando terminai la mia performance (da Oscar, bisogna dirlo) risalii sull’impalcatura, attivai il modo di riproduzione ripetitiva del mio nuovo marchingegno, scambiai i cavetti delle telecamere e…voilà! Emissione ininterrotta di Monsieur Pignon attaccato al computer...

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Ero finalmente libero di gironzolare a mio piacimento. Ma, da dove iniziare? Bene, decisi che il modo migliore di mettere alla prova la mia invenzione era provare a uscire dal tempio. Chissà. Magari si trovava proprio accanto al lago e avrei potuto salvare Gina, fare un bagnetto e tornare tranquillamente a casa. (Spesso sognare mi aiuta a recuperare la forza d’animo). E fu così che, seguendo il percorso fatto con Chapman al mio arrivo al tempio, uscii in cerca del mio destino. Mentre mi dirigevo verso la porta non potei evitare di ascoltare una strana conversazione a cui partecipavano vari uomini (o era una squadra di calcio che discuteva per il numero della maglietta o un gruppo di scienziati pazzi, non lo sapevo con sicurezza).

II regalo di Lokelani

Quando finalmente riuscii a uscire dal tempio, mi incontrai col mio vecchio amico O’Connor. A dire al verità, tra tutti i militari che potevano essere stati incaricati di sorvegliarmi, Zachariah era sicuramente la miglior opzione, quindi mi avvicinai a lui per avviare una delle nostre intelligenti conversazioni su metafisica, letteratura e algebra avanzata. Nonostante la nostra interessante chiacchierata (il cui contenuto giustificava abbondantemente il tempo sprecato), il principale frutto di tale incontro fu una busta che mi venne consegnata dal mio eloquente interlocutore. Sembrava che Lokelani fosse riuscita a “persuadere” le guardie di accesso all’accampamento perché facessero arrivare a Pignon quel pacchettino sorpresa. Mmh, morivo dalla voglia di sapere cosa c’era al suo interno...

Dato che preferivo ispezionare la busta nell’adeguata intimità (chissà che razza di oggetti era capace di inviarmi l’allegra Lokelani), rientrai nel tempio. Inoltre, da quello che mi aveva raccontato O’Connor, Kordsmeier aveva dato ordini ai suoi soldatini di sorvegliarmi da vicino, soprattutto se avessi lasciato il tempio. Non potevo fare altro che organizzare un nuovo piano dall’interno di quelle rovine. Ma una cosa alla volta: dovevo assolutamente saziare la mia curiosità, quindi aprii la busta. Al suo interno trovai uno strano anello (non avrà mica voluto dire qualcosa Lokelani, vero?) accompagnato, fortunatamente, da un messaggio chiarificatore. Secondo la mia amica, il vero professor Pignon aveva dimostrato un interesse speciale nel non perdere di vista quel gioiello, ragion per cui la astuta Lokelani aveva deciso di farmelo pervenire al più presto. (Mmh, mi chiedo come avrà fatto a toglierglielo...).

Tornando all’anello: mentre lo esaminavo, mi chiesi a cosa potesse servire quell’oggetto apparentemente superficiale. Non mi sembrava che fosse una questione di valore sentimentale (sicuramente il vero Pignon non era sensibile e romantico come me), quindi mi disposi a trovarne la vera utilità. Di ritorno alla gran sala in cui la mia telecamera truccata continuava ad emettere “in diretta”, pensai che forse l’anello avesse qualche relazione con l’A.M.E.B.A. Ben pensato, forse si trattava di una specie di chiave. Logicamente, se per aprire l’A.M.E.B.A. ci fosse stato bisogno solo di introdurre quell’anello, non ci sarebbe stato bisogno di montare quello spettacolo – e ancora meno di richiedere l’aiuto di un professore con informazioni confidenziali. Aspetta un attimo! Certo! Ma a cosa stavo pensando? Non forse mancava la serratura alla valigetta che mi aveva consegnato Chapman?

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Incrociai le dita e provai ad aprire la valigetta con quel sofisticato pezzo di bigiotteria. E, ancora una volta, la mia stupefacente intelligenza mi sorprese positivamente. Eccola lì, la bella valigetta, aperta e pronta per la mia principale specialità: il furto indiscriminato. Con questo colpo di fortuna (cortesia della cara Lokelani) mi appropriai di un completissimo lotto costituito da: dei moderni occhiali da sole (che mi avrebbero sicuramente protetto da quello che stavo per vedere), uno strano guanto (forse era quello a cui si riferiva Chapman?), una carta appena attivata (peccato che non fosse una VISA Oro) e, accidenti! Un neuralizzatore vero! Funzionava come nei film? Avrei fatto in fretta a scoprirlo...

Esplorando il tempio

Ma non perdiamo il filo della storia. Con i miei nuovi acquisti, ero sicuro di poter far funzionare qualcos’altro o, nel peggiore dei casi, di cancellare la memoria a qualcuno. E quindi, ancora una volta, mi misi a frugare in tutti gli angoli possibili immaginabili. La prima cosa che feci fu salire di nuovo sull’impalcatura. Durante la mia prima ispezione (sì, esatto, quando truccai le telecamere) avevo individuato da lontano quello che sembrava essere un pannello di controllo. Era probabile che la piattaforma più vicina al tiki di pietra arrabbiato avesse un meccanismo per salire e scendere, quindi mi avvicinai ai comandi (situati nell’estremità destra della piattaforma) per curiosare. In effetti il pannello disponeva di una leva, ma aveva anche una piccola serratura per la quale, purtroppo, non avevo nessuna chiave.

Deciso a continuare con le mie indagini, scesi dall’impalcatura ed entrai da una porta situata nel lato sinistro della sala. Non indovinerete mai cosa trovai in quel piccolo ambiente: un enorme cubo di vetro (o di un materiale simile, ma molto, molto strano) con una sfera all’interno e una strana fessura che, come tante altre cose, mi fece riflettere. Mmh, se non ricordavo male, avrei giurato che quella fessura fosse perfetta per la mia carta appena attivata. Sì, perché no... Introdussi la carta nella fessura e… zac! Come per magia il cubo era scomparso! La sfera era ancora lì, appoggiata a terra (ovviamente provai a prenderla, ma si vede che gli dei Tiki non usavano fare regali così, senza motivo, ai loro visitatori).

Dato il successo del mio primo tentativo con quello strano incrocio tra bancomat e sala da bowling senza birilli, decisi di rimandare la mia indagine sull’identità della misteriosa A.M.E.B.A. Riconosco che mi sentivo un po’ stanco, avevo bisogno prendere un respiro... e quindi, dimenticando per qualche istante qual era la mia missione, decisi di fare un’altra visita a O’Connor (che c’è di male, quel tizio mi stava simpatico). Alla fine della nostra nuova (sebbene sospettosamente familiare) conversazione, il maledetto soldatino mi dimostrò, ancora una volta, che non bisogna mai lasciarsi ingannare dalle apparenze. Quel benedetto ragazzo mi aveva riconosciuto! Quello sì che era un bel guaio... Per fortuna per me, però, disponevo ancora di un asso nella manica: un bellissimo neuralizzatore che morivo dalla voglia di provare.

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Disposto a cancellare ogni ricordo del mio vero io dalla testa del caro O’Connor, presi il neuralizzatore e gli dissi di guardare fisso quell’oggetto. E allora, con la mano tremante per l’emozione (e gli occhi adeguatamente protetti dai miei Rayban d’imitazione), attivai l’aggeggio e... incredibile! Non funzionò. Non solo quello, ma feci anche una bella figuraccia lasciando cadere delle biglie o qualcosa del genere che, naturalmente, raccolsi e misi nella mia adorata tasca. Se il neuralizzatore non funzionava, cosa avrei potuto fare con O’Connor? Fortunatamente, quel brav’uomo continuava a credere di essere sottoposto a una prova per un possibile accesso ai servizi segreti, circostanza che sfruttai ancora una volta per fargli un innocente ricatto (niente di grave, eh?).

L’enigmatica A.M.E.B.A.

Sta di fatto che, osservando le biglie, mi ricordai improvvisamente che la sfera dell’A.M.E.B.A. aveva tre buchi. (Meriterei un premio Nobel, lo so). E quindi mi avviai alla sala disposto a ripetere la scenetta del bancomat. Carta nella fessura e… zac! Via il cubo! “Questa volta non l’avrai vinta”, pensai mentre mi accingevo a introdurre le biglie nei tre buchi di quella pesante sfera. Accidenti! Che spavento mi presi quando, all’improvviso, la pallina (che io ero stato incapace di sollevare da terra) si alzò come per magia, restando sospesa in aria di fronte a me. Ma non è tutto. La sfera (che aveva “inghiottito” le biglie) aveva all’improvviso una specie di impronta, come di una mano. Dato che non avevo niente da perdere, posai la mano sulla sfera per vedere cosa accadeva. Niente. Allora mi ricordai del guanto. Certo! Come avevo fatto a non pensarci?

Dopo aver indossato il guanto catalizzatore, collocai di nuovo la mano sull’impronta della sfera magica. All’improvviso la sfera divenne hippy (lo dico per le strani spirali allucinogene che presentava). Ma il meglio doveva ancora arrivare: pochi secondi dopo, due (come definirli?) “buchi neri” si aprirono nella parete situata di fronte a me. Io iniziavo a sospettare che qualcuno mi avesse messo qualche sostanza illecita nel bicchiere, ma tenendo in conto il tempo trascorso dal mio ultimo spuntino, era poco probabile che fossi ancora sotto l’effetto di qualche stupefacente. E quindi le cose stavano così: o stavo impazzendo, o avevo appena aperto la maledetta A.M.E.B.A. Solo per curiosità, decisi di introdurre la mano in uno di quei buchi... e vi giuro che quella stessa mano uscì dall’altro buco! Per la paura, poi, per poco non perdo il guanto più caro della Storia.

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Insomma, ero riuscito ad aprire l’aggeggio tanto desiderato da Kordsmeier. E, ad essere sincero, mi spaventava abbastanza l’idea dell’uso che avrebbe potuto fare il Colonnello di quell’”invenzione” che io non sapevo bene come usare. E fu così che decisi di armarmi di pazienza e dare uno sguardo agli appunti di Simon. Forse, se fossi riuscito a capire il funzionamento dell’A.M.E.B.A., avrei potuto usarla a mio favore. E quindi mi sedetti di fronte al computer della sala principale e mi misi a studiare come ai vecchi tempi... Dopo interminabili ore di attenta lettura e riflessione, riuscii a trarre le seguenti conclusioni: a quanto pareva, tutta la cerimonia della carta, il guanto e la comparsa dei buchi (“vortici”, secondo Simon) era imprescindibile. Fatto ciò, dovevo concentrarmi in un luogo in particolare affinché il punto B (uno dei vortici) viaggiasse fin lì. E se lo avessi fatto nel modo giusto, situandomi nel punto A sarei andato a finire direttamente nel posto in cui qualche attimo prima avevo inviato il punto B. Insomma, avrei potuto teletrasportarmi in qualsiasi posto.

Il mio primo viaggio spazio-te�mporale�

Con un bello schema che riassumeva alla perfezione le mie recenti scoperte, mi avviai verso la sala dell’A.M.E.B.A. pronto a realizzare il mio primo viaggio spazio-temporale. Feci il numeretto di sempre (che mi aveva anche un po’ stufato) e, quando mi trovai davanti ai due vertici, ebbi un dubbio: dove avrei dovuto dirigermi? Beh, anche se l’idea di finire direttamente sul sofà di casa dei miei genitori a New York mi tentava, decisi di concentrarmi sulla cala di Knife e Kai, per il fatto della vicinanza geografica (non era neanche il caso di abusare della povera A.M.E.B.A.). In più, era una magnifica occasione per dare uno sguardo a Joshua e accertarmi che mi stesse aspettando nel posto giusto. Beh, anche se sembra una pazzia, tutto ciò funzionò alla perfezione, e così, come per magia, la mia testa era stata teletrasportata a Cala Alaula. Meno male che lì si trovava il povero Joshua, un po’ seccato perché i suoi nuovi amici (Koala e Little Demon) avevano deciso di giocare a ping pong senza di lui.

Approfittando del fatto che la mia testa si trovava a pochi centimetri dal privilegiato cervello di Joshua, gli feci qualche domandina sull’A.M.E.B.A. e altri temi trascendentali. Ma, come suo solito, lo scienziato pazzo si mise a farmi un discorso insopportabile, quindi decisi di tornare alla sala del tempio per non rischiare di addormentarmi col corpo tagliato in due tra punti e vertici. Insomma, anche se sembra incredibile, avevo trovato il modo ideale di fuggire dall’isola senza bisogno di prendere il motoscafo di Kai (perché dico io che se ci si può teletrasportare da soli ci si potrà teletrasportare anche in due, no?). Con questa idea in mente e felice come una pasqua, andai a fare un giro per il tempio.

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Dopo un po’ (dato che mi stavo annoiando abbastanza) decisi di fare un’altra visita a Joshua. Almeno mi avrebbe intrattenuto con le sue storielle. Ma non potete immaginare che spettacolo mi trovai davanti quando mi teletrasportai con la solita tecnica a Cala Alaula... C’era quel pazzo di Joshua che stava per realizzare una delicata operazione per salvare la vita al povero Little Demon. A quel selvaggio di Koala era scappata la racchetta con tanta precisione da andare a ficcarsi nella bocca del piccolo lemure. Ovviamente, in una situazione simile, Joshua non voleva saperne di chiacchiere, quindi decisi di tornare al tempio e di lasciargli finire l’operazione. In ogni caso, non potei non notare gli attrezzi che stava utilizzando. (Mi conoscete, se brilla e non è mio, lo sarà!).

Di ritorno alla sala dell’A.M.E.B.A. (un poco disperato, a dir la verità) decisi di dare un’altra maledetta passeggiata. Dovevo far passare un po’ di tempo perché Joshua finisse la sua operazione. Una cosa era certa, io volevo appropriarmi dei suoi strumenti da dentista... non mi chiedete perché, ma ne avevo bisogno (io stesso iniziavo ad inquietarmi). Insomma, uscii dalla sala dell’A.M.E.B.A., feci un giro per il tempio, adorai il Dio Pollo dell’ingresso e, quando non riuscivo proprio più a resistere, tornai correndo all’A.M.E.B.A. per fare una nuova visita al mio caro amico Joshua. Questa volta, quando “arrivai” alla cala, chiesi al mio amico come fosse andata l’operazione. Per fortuna era stata un successo e Little Demon era uscito sano e salvo da quell’imbroglio. Sfruttando il momento di euforia che Joshua provava per il suo successo, gli chiesi “in prestito” le sue sonde da dentista. Lui, naturalmente, accettò e me le lanciò in aria; ed io, con la mia solita abilità, le presi al volo e, dato che c’ero, mi lasciai sfuggire il guanto catalizzatore.

Scalata sul tiki incavolato

Era ovvio che non sarebbe stato tutto così facile come avevo immaginato; senza il guanto, dovevo di nuovo fare affidamento sul motoscafo di Knife (o quello o inventarmi un’altra idea brillante per scappare col minimo sforzo). Beh, almeno avevo finalmente quelle tanto bramate sonde tra le mie mani. Ed esaminandole mi resi conto che mi sarebbero state utilissime per aprire qualche piccola serratura... Cosa stavo aspettando? Senza soffermarmi oltre, salii sull’impalcatura della sala principale del tempio e mi diressi verso i comandi della piattaforma. Quindi, non senza aver incrociato le dita e invocato tutta l’energia e la forza del gran dio Pollo, introdussi le sonde in quella minuscola serratura e iniziai a fare il ladruncolo da strapazzo. In pochi secondi e con una brillante dimostrazione di abilità, riuscii a mettere in moto la piattaforma. Ovviamente non avevo intenzione di aspettare ad usare quella piattaforma (la curiosità era troppa). Quindi tirai la leva dei comandi e… sempre più in alto!

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Quando la piattaforma raggiunse il punto più elevato, scoprii perché gli dei Tiki erano, in generale, sempre arrabbiati: che razza di carie! Le mie piccole sonde potevano fare ben poco per quell’immensa bocca di pietra che si apriva sopra di me. Quando mi avvicinai (so che un giorno o l’altro la curiosità mi farà fare una brutta fine), scoprii che la bocca, in realtà, era un’enorme apertura. Dato che non avevo niente di meglio da fare mi dissi: “E che diamine! Entriamo nella bocca del lupo!”. Ed è così che presi una delle decisioni più stupide di tutta la mia vita. Comunque, una volta dentro, seppi che gli archeologi non avevano fatto in tempo a scoprire la parte migliore del tempio. (O almeno era quello che sembrava, tenendo conto della mancanza di illuminazione di quello strano ambiente). Quello che trovai invece, furono i resti di un povero diavolo che era arrivato alla fine dei suoi giorni in quell’enorme bocca, schiacciato da una palla di pietra gigante. (Dove avevo già visto quell’immagine?).

Molto dispiaciuto per l’anima di quell’intrepido avventuriero venuto a mancare nel luogo esatto in cui io mi trovavo, iniziai a guardare con sguardo goloso alcuni degli oggetti lasciati da quel pover’uomo. Sopra la pietra c’era un bel cappello di quelli che fanno tanto effetto sulle donne, mi accinsi a prenderlo quando… che schifo! Sotto il cappello c’era un ragno peloso più grande del guanto catalizzatore che avevo perso... Beh, ovviamente sarebbe stato meglio lasciare il cappello al suo posto: sicuramente alla cara bestiolina da otto zampe piaceva dormire al calduccio. Ma quell’individuo doveva avere qualcos’altro. E in effetti, frugando nella sua vecchia bisaccia, trovai un barattolo di repellente per serpenti della marca Stenchazol. (Non osavo immaginare l’odore di quella sostanza, soprattutto dopo averne letto l’etichetta). Presi anche la frusta (in perfetto stato) di cui quella povera anima non avrebbe più avuto bisogno...

Tarantola e compagnia

Con i miei nuovi giocattolini, decisi di esplorare quell’oscura grotta che si apriva alla mia destra. Affrontando l’oscurità più assoluta e dimostrando ancora una volta grande valore e coraggio, mi lanciai senza esitare verso lo sconosciuto. Finalmente arrivai a una nuova apertura dalla quale, naturalmente, non tardai ad affacciarmi. Quando lo feci riuscii a vedere il Colonnello entrare in scena, avvicinandosi con il suo atteggiamento da gran macho a una donna avvolta in una vistosa tutina di pelle rossa. (Perché il suo viso non mi era nuovo?). Dato che c’ero, mi misi ad ascoltare l’interessante conversazione che sostennero. E non mi sorpresi molto quando scoprii che Kordsmeier stava cercando di ottenere qualcosa di trantoriani (ehi, gli amici di Joshua), ma rimasi di sasso quando sentii che faceva affidamento sulla collaborazione di un traditore alieno. E la peggior notizia di quella conversazione ascoltata di nascosto doveva ancora venire...

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Quando il Colonnello venne informato via radio della presenza nel tempio di una certa “spia” (che Kordsmeier chiamava con affetto “quello straccione di un civile”), iniziò a sentirsi un po’ nervoso. Fu in quel momento che parlò per la prima volta di Gina (cosa che mi fece sospettare che la “spia” fossi proprio). Ma... che terribili parole pronunciò la donna in rosso? Non poteva essere vero! Avevano sparato a Gina? Una telecamera sottomarina aveva captato l’immagine del suo corpo che affondava nel lago? Non potevo credere alle mie orecchie. Era tutto vero? Gina... Gina... morta? No, era assolutamente impossibile. Gina aveva una predisposizione più che evidente per ficcarsi in un’infinità di guai, ma sembrava anche che avesse un angelo custode che la salvava sempre all’ultimo momento. Io sapevo che non poteva essere vero, sapevo che Gina era ancora viva... e poi, da quello che mi aveva detto Joshua, la nave dei trantoriani si trovava sul fondo del lago. Forse se l’avessi aiutato a trovare il professor Simon, questi ci avrebbe potuto condurre fino a Gina...

I miei pensieri vennero interrotti quando, all’improvviso, ascoltai che quella donna pronunciava a voce alta i nomi dei suoi “animali da compagnia”: Angelina, Agostina, Andreina, Agrippina, Alessandrina, Alfonsina e… questa è bella! Quella donnaccia aveva perso una certa Adelina, motivo sufficiente per fare fuori uno dei suoi soldatini mercenari. Che razza di psicopatica! Insomma, mentre osservavo attonito la scena, mi resi conto del fatto che davanti al terrario delle care tarantole c’era una scatola con degli indumenti (sembravano uniformi) e… guanti! Si! Erano molto simili a quello che io avevo perso: erano forse la mia unica opportunità per uscire da quel tempio sano e salvo? Bene, quel che era certo era che se volevo avvicinarmi a dare uno sguardo, avrei dovuto distrarre la Tarantola madre. E tenendo conto del fatto che pensavo di sapere dove si trovava la sua piccola Adelina, la mia privilegiata testolina mise in marcia un nuovo piano...

Torna a casa Adelina

Prima di tutto mi diressi verso lo sfortunato avventuriero. Lì usai la mia meravigliosa busta di plastica per prendere Adelina (che continuava a dormire placidamente sotto quel cappello sudicio) senza rischiare di ricevere un affettuoso morsetto. Quindi mi riavvicinai al “balconcino” che dava sul terrario. La mia idea era lanciare Adelina in modo che Tarantola si distraesse per qualche istante... e quindi ci provai. Beh, devo dire che nel preciso momento in cui mi disponevo a lanciare la busta di plastica (col ragnetto al suo interno) mi resi conto di un piccolo dettaglio. E se Adelina si fosse messa a correre direttamente verso le sue sorelle o verso la sua mammina? No, prima di tutto dovevo fare in modo che quella bestia pelosa si mettesse a correre come una pazza costringendo Tarantola ad andarle dietro.

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E allora ricordai quello che avevo avuto il piacere di ascoltare pochi istanti prima (cioè, che alle “bimbe” piaceva da morire la carne in decomposizione... gnam, gnam). Pensai di aprire un attimo quel barattolo di Stenchazol per accertarmi io stesso che puzzasse veramente (di carne marcia, insomma): per farlo usai una di quelle sempre praticissime sonde. Mio Dio, che puzza! Quella fragranza sarebbe sicuramente stata l’esca perfetta per un tenero e affamato ragnetto... Per accertarmi che il piano funzionasse, scesi fino alla sala di’ingresso al tempio, quella in cui io, ogni tanto, mi dedicavo ad adorare il Dio Pollo. Volevo collocare quel fetido barattolo in un posto lontano da Tarantola e il suo terrario, quindi lo lasciai vicino alla porta dalla quale provenivano sempre quelle ridicole conversazioni tra, che ne so, calciatori o scienziati. Allora salii nuovamente sulla bocca del Tiki arrabbiato, mi avvicinai all’apertura dietro la quale Tarantola passeggiava nervosa e, con molta attenzione, rimisi la povera Adelina in libertà.

Come avevo previsto, Tarantola se ne andò di corsa in cerca della sua piccola, e io sfruttai l’occasione per saltare dall’apertura e appropriarmi di uno di quei guanti catalizzatori. Con l’agilità che mi caratterizza, mi infilai nuovamente nell’apertura per evitare che Tarantola mi trovasse vicino al suo terrario. In quel momento arrivò Kordsmeier con una cattiva notizia: ero stato scoperto! Sapevano che mi ero travestito da Pignon, che avevo truccato le telecamere e che ero ancora all’interno di quelle rovine... avevo bisogno urgentemente di un piano B! Dovevo uscire di lì al più presto, soprattutto perché quei due psicopatici si dirigevano verso la sala della piattaforma per acchiapparmi. Eccitata per la situazione, Tarantola lasciò cadere il suo walkie-talkie mentre afferrava due mitragliette a cui sembrava essere abbastanza affezionata. E, che diamine, sapete che a me non piace fare complimenti, quindi mi presi quell’aggeggio e tornai di corsa verso la piattaforma dell’impalcatura.

La grande evasione

Proprio quando stavo per saltare dalla bocca del Tiki sulla piattaforma, mi resi conto che il Colonnello e Tarantola avevano raggiunto la sala. Accidenti, le cose si stavano complicando, e di molto. Ma insomma, io disponevo di una condizione fisica invidiabile e di una frusta eccellente... quindi pensai che magari avrei potuto farmi passare per un moderno (e bello) Indiana Jones e attaccarmi a una specie di orecchino che il Tiki gigante aveva nell’orecchio sinistro. Ma prima avrei dovuto fare uscire Kordsmeier e tutta la sua truppa da quella sala; altrimenti era chiaro che mi avrebbero scoperto in pieno volo. Facendo uso della mia eccellente memoria, ricordai che O’Connor usava fare amicizia sul canale � della sua radio, quindi usai lo “walkie-talkie” rubato per mettermi in contatto con lui e chiedergli un ultimo favore. Il caro Zachariah accettò la mia proposta: avrebbe dovuto avvisare il Colonnello della mia recente fuga verso il lago e, non appena lo fece, ebbi via libera per fare Tarzan.

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Con una stupefacente dimostrazione di destrezza ed agilità, agganciai la frusta all’orecchio del Tiki gigante e scesi (con eleganza felina, bisogna dirlo) fino al pavimento della sala. Da lì corsi senza perdere un attimo verso l’A.M.E.B.A. per teletrasportarmi fino alla cala dove mi aspettava Joshua. Nonostante l’avvertimento di O’Connor, Tarantola si accorse della mia frenetica corsa e tornò di corsa alla sala. Avevo una pazza alle spalle, quindi mi concentrai con tutte le mie forze e, appena si aprì il vortice, saltai senza pensarci due volte. Una volta a Cala Alaula, salii sul motoscafo di Knife e mi assicurai che l’attonito Joshua mi seguisse. Quindi misi il motoscafo in marcia e uscii di lì in tutta fretta... Nonostante la mia velocità indiavolata, anche Tarantola riuscì a infilarsi nell’A.M.E.B.A. e per un pelo non ci fece un nuovo taglio di capelli con le sue adorate mitragliette. Per fortuna eravamo già troppo lontani perché ci raggiungesse.

Già in salvo sul motoscafo, chiesi a Joshua che rotta avremmo dovuto seguire per trovare la casa del professor Simon. E, come no, considerata la mia fortuna, dove poteva trovarsi l’umile dimora dello scienziato, se non in Alaska? Cosa volete che sia, a 4.000 chilometri circa... per me non erano niente, li facevo in un attimo in barca o a nuoto. Insomma, dopo un complicato viaggio fino al mio bungalow (dove passai a prendere qualche vestito e dei soldi), prendemmo un aereo fino ad Anchorage, quindi un treno fino a Fairbanks e, da lì, un autobus verso Cicely. Per fortuna lì incontrammo un brav’uomo disposto a portarci alla nostra destinazione a bordo di un fiammante spazzaneve. Beh, con tanti giri e rigiri, quello stecchino di Joshua stava morendo di fame... e per quello per poco non mandò a monte tutti i nostri piani. A chi diavolo sarebbe venuto in mente di mangiare delle enormi bacche rosse prese da un cespuglio qualsiasi in mezzo al nulla? Bingo. Al mio caro amico, il quattrocchi. E lo fece proprio quando eravamo praticamente davanti alla porta del professor Simon. Chiaro, quando suonai al citofono e mi chiesero la parola d’ordine, io ero sicuro che Joshua la conoscesse. E la conosceva, ma quelle bacche dovevano avergli fatto un po’ male, perché quell’ometto si manteneva in piedi a malapena: in quelle condizioni era già tanto se si ricordava il suo nome!

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Capitolo 4 L’UOMO CHE NON SA NON PARLA

Uno scie�nziato tra gli orsi

Insomma, non avevo altra scelta che portare Simon in un posticino caldo ad aspettare che gli passasse lo stordimento… Se non ricordavo male, mentre ci dirigevamo alla casa del professore eravamo passati vicino a un rifugio situato nei pressi di un laghetto: mi avviai da quella parte con Joshua sulle spalle. Una volta nel rifugio, feci sedere il quattrocchi vicino al fuoco e analizzai la situazione. Non c’era tempo da perdere, dovevo trovare il modo di fare tornare la memoria a Joshua il prima possibile. Passeggiando per quei paesaggi innevati, avevamo visto anche un tizio stravagante: sembrava indossare un enorme cappotto di pelliccia e non smetteva di scattare foto con un impressionate (e carissimo) equipaggiamento audiovisivo. Pensai che quell’individuo fosse del luogo, e che quindi non avrei perso niente chiedendogli una mano.

Ma prima di affrontare il gelido temporale, meglio dare uno sguardo al rifugio in cerca di cosette utili, no? E quindi, dopo aver curiosato un po’ dappertutto, trovai una meravigliosa oliera (con dentro un po’ d’olio) sopra il camino, un meraviglioso coltello di quelli da tutti i giorni (che spuntava pericolosamente da un cassetto della credenza) e un bel pezzo di legno che decisi di portarmi dietro per sicurezza. (E non presi tutti quelli che c’erano perché non ci stavano in tasca, perché se no...). Una volta uscito dal rifugio, ispezionai anche i dintorni nella casa. Su una mensola vicino alla porta trovai una stupenda tanica di benzina che, purtroppo, era vuota. Mi venne la brillante idea di riempirla con la benzina di un vecchio furgoncino abbandonato che si trovava vicino al rifugio, ma dato che non disponevo di una forza sovrumana per capovolgere il furgone, mi diedi subito per vinto.

Tuttavia non mi lasciai sfuggire l’occasione di fare quattro chiacchiere con uno strano alce che coronava il furgoncino. (Uno di poche parole, ma simpatico). Insomma, dato che da quelle parti non c’era poi molto da fare, decisi di cercare l’individuo della pelliccia che avevamo visto arrivando in quel luogo. Seguendo il sentiero che partiva dalla stessa porta del rifugio, lo trovai subito. Risultò essere un curioso scienziato chiamato Ben Wazowski, specializzato in (e ossessionato con) gli orsi. Quando gli dissi cosa era successo a Joshua quando mangiò le bacche, mi spiegò che, in effetti, erano velenose. Diceva di averle provate anche lui, e dopo un’ardua investigazione con sé stesso come cavia, Wazowski aveva scoperto un rimedio efficace per bloccare gli effetti di quei frutti selvatici: il salmone crudo.

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Il grande� Wazowski

Stupendo. Con le mie nuove conoscenze sulla fauna e la flora dell’Alaska (non potete immaginare che discorsone mi fece quel Wazowski), dovevo solo approfittare del fatto che proprio in quell’epoca i salmoni risalivano la corrente e imitare quegli orsetti pescando con le mie stesse mani. Bah, non sembrava così complicato... la cosa peggiore sarebbe stata convincere Joshua a mangiare pesce crudo. Quello sì che sembrava essere una vera e propria sfida. Beh, approfittando del fatto che c’era una bella pianta vicino allo zaino di Wazowski, presi una foglia che mi sarebbe venuta venissimo per dare un tocco di colore al salmone sul piatto. Dato che mi aveva gentilmente invitato a passare a casa sua (un’antica capanna di taglialegna) in qualunque momento, decisi di cercarla per vedere che razza di curiosi oggetti avrei potuto prendere in prestito.

E quindi mi avviai verso il luogo a cui puntavano gli strumenti di Wazowski, in cerca di quel singolare covo. Non tardai a trovare un fiumiciattolo completamente ghiacciato che risvegliò i miei istinti più infantili. Anche se non osai camminare sul ghiaccio (non perché potesse succedermi qualcosa, ma per quello che poteva succedere a Gina se io mi fossi fatto male), ebbi il coraggio di salire su un tronco caduto e notare che, effettivamente, il fiume era pieno di pesciolini. Quando smisi di ricordare in tempi in cui da bambino giocavo a Central Park, mi avviai verso ciò che sembrava essere, da lontano, la capanna di Wazowski. Quando giunsi a quella specie di torre-casetta sull’albero, vidi un’ascia a sinistra della capanna. Stavo per prenderla, ma mi sembrò un po’ troppo pericoloso per la mia salute mentale andare in giro con un’arma da taglio di quel genere, e decisi di lasciarla al suo posto. Senza perdere un attimo di tempo, salii la scala di quella carinissima casetta e verificai in prima persona quanto era maledettamente strano quel Wazowski.

In quel rifugio c’erano oggetti di ogni tipo, ma a quel punto io dovevo per forza stabilire delle priorità (le mie tasche, ovviamente, avevano un limite). Insomma, feci una selezione di utensili a caso e mi appropriai dei seguenti oggetti: un’interessante stuoia di bambù (appesa a una porta), un allusivo flacone di essenza di orsa in calore (ma che bello!) e una mazza da hockey (a dire la verità avevo sempre desiderato averne una). Non contento dei miei nuovi tesori, uscii da una porta e trovai un utilissimo tubo di gomma che mi veniva benissimo per svuotare il deposito di benzina al primo sconsiderato che avessi trovato sulla mia strada. Con quel bottino appena accumulato, decisi di fare una visita al povero Joshua per vedere come stava. E quindi, tornai verso il rifugio...

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Cucina giapponese

Una volta lì, mi resi conto che il mio caro amico stava ancora dando i numeri. Ciononostante, quel tizio non stava zitto un attimo, mischiando in modo incoerente ricordi della sua infanzia con dati su Trantor (accidenti, sapevate che furono proprio i trantoriani a disegnare i vestiti di Boney M?). Insomma, parlando col caro Joshua scoprii che le sue stranezze si dovevano sicuramente alla sua cultura multiple: era infatti nippo-tranto-americano (bel miscuglio). Sapendo che aveva origini giapponesi, supposi che non avrebbe avuto problemi a mangiare salmone crudo se si fosse trattato di uno squisito piatto di sushi. E, sebbene il mio amico dubitò per un attimo (avrebbe sicuramente preferito il tonno), alla fine accettò di mangiare il sushi che io gli avessi portato, a condizione che lo elaborasse un altro, quello sì. Beh, eravamo proprio messi bene... dove diavolo avrei potuto trovare, in una zona sperduta dell’Alaska, qualcuno che sapesse preparare il piatto giapponese per eccellenza?

Beh, con questa idea in mente, uscii dal rifugio per respirare profondamente e cercare soluzioni. Appena vidi il furgoncino ricordai che avevo un conto in sospeso con lei. Con il mio nuovo tubo di gomma prelevato dalla capanna di Wazowski, prendere un po’ di benzina in prestito fu abbastanza facile (per qualche motivo mi portavo dietro un bidone vuoto, no?). E, non so perché, quando sentii l’odore della benzina mi venne voglia di dare uno sguardo alla bella motosega di cui disponevo... (la mia frustrazione aveva scatenato in me un inquietante impulso di tagliare qualcosa). A quanto pareva quel sofisticato strumento da taglialegna (ah, se l’avesse vista O’Connor) funzionava con una miscela di olio e benzina. Mmh, a me erano sempre piaciuti gli esperimenti che facevamo all’ora di chimica... perché non provare a creare un combustibile tutto mio? Insomma, presi l’oliera, versai qualche goccia d’olio nella tanica di benzina, agitai il tutto con grazia e garbo e via, nel serbatoio della motosega.

Dopo aver messo alla prova la mia abilità nella preparazione di cocktail, continuavo a sentire quello strano desiderio di tagliare qualcosa, quindi decisi di decapitare il mio povero amico alce. In più, con la testa già nelle mie mani, pensai che quello avrebbe potuto essere un regalo stupendo per una persona con un travestimento d’orso a cui mancava proprio la testa. C’è da dire che senza le corna sarebbe stata molto più convincente, quindi usai la mia usuale abilità per lasciare l’alce senza corna. Più ammiravo la mia grande opera, più mi piaceva, ma aveva un piccolo difetto. Se non ricordavo male, il costume di Wazowski era bianco... Insomma, era un piccolo dettaglio senza importanza a cui avrei prestato la dovuta attenzione in un altro momento. La cosa veramente urgente in quel momento, era trovare qualcuno che sapesse preparare il sushi. Beh, forse Wazowski aveva abilità culinarie nascoste...

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C’è un cuoco in sala?�

Mi diressi in cerca dello strambo etologo orsino per vedere se avrebbe potuto darmi una mano, ed era ancora lì, dagli e ridagli con la sua indagine. Purtroppo il mio nuovo amico non sapeva preparare il sushi (eppure era stato più di una volta in Giappone), conosceva però qualcuno in grado di farlo. Peccato che dopo le affettuose parole riferite a tale individuo, cercarlo era l’ultima cosa di cui avessi voglia. Da una parte, la descrizione di quel tale Archibald (questo era il nome del misterioso personaggio) corrispondeva alla perfezione con un conosciuto personaggio del terrore con la testa piena di viti. Dall’altra, nessuno sapeva dove vivesse o a cosa si dedicasse in realtà. E, come se non bastasse, secondo Wazowski era impossibile trovarlo: era lui che doveva trovare te. Accidenti, che tipo complicato. Beh, non avevo intenzione di arrendermi dopo aver affrontato un lemure spiritoso e ubriacone, un esercito comandato da un pazzo guerrafondaio, una spietata psicopatica avvolta in una tutina di pelle rossa e un lungo eccetera di individui e situazioni. Seguendo il mio usuale ragionamento logico, cercai di analizzare la storia raccontata da Wazowski sul suo primo incontro con Archibald allo scopo di scoprire qualche indizio su come trovarlo.

In primo luogo, dovevo presentarmi sulla scena del “crimine”. Sì, la capanna di Wazowski. Fu così che mi avviai lì col proposito di investigare come un vero segugio. Una volta dentro la casetta, mi guardai intorno. Che oggetti usò Wazowski il giorno in cui Archibald lo “trovò”? Sì! Proprio così. La chitarra; perché, se non ricordo male, venne interrotto dallo stravagante cuoco mentre cantava un canto natalizio sul balcone. Beh, il modo migliore di mettersi nella mente del sospetto era ripetere quella scena ed aspettare che riapparisse... E quindi, con la chitarra tra le mani, uscii sul balcone e iniziai a strimpellare il “Jingle bells” di sempre. Alla fine della mia ispirata serenata, per poco non vengo decapitato da una bottiglia di candeggina. Era ovvio che quel caldo benvenuto avrebbe potuto darlo solo uno come Archibald, quindi scesi dalla capanna per conoscerlo personalmente.

Cosa posso dirvi di Archie? Beh, niente, è il classico tipo brutto, puzzolente, con un aspetto più che trascurato e un ego grande quanto l’Alaska. Per non parlare della sua naturale inclinazione verso il sarcasmo, l’ ironia e l’umorismo acido verso chiunque osi rivolgersi a lui. Beh, nonostante tutte quelle meravigliose qualità, riuscii a convincerlo a prepararmi quel maledetto sushi in cambio di una piccola quantità di denaro (tutto quello che avevo dietro, insomma). Prima, però, avrei dovuto fornirgli tutti gli ingredienti necessari, cioè: una stuoia per avvolgere il sushi, alghe nori, bacchette e, ovviamente, salmone fresco. Dopo aver trovato tutti gli ingredienti, avrei dovuto chiamare quell’individuo con un piccolo fischietto che mi diede lui stesso. Beh, le cose non andavano poi così male. La stuoia orientale presa da casa di Wazowski poteva servire per avvolgere il sushi e la foglia verde che avevo preso vicino all’etologo era sicuramente uguale alle alghe nori. Insomma, dovevo solo trovare delle bacchette e un buon salmone...

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La lista della spesa

Siccome sono un tipo sveglio, le bacchette le fabbricai da solo. Così, su due piedi. Ci vollero pochi secondi per usare l’ascia che c’era vicino alla capanna di Wazowski per tagliare il pezzo di legno che mi portavo dietro praticamente da quando ero arrivato in quel... paesello. E fu così che, in un batter d’occhio, ottenni un paio di stupende e autentiche bacchette. Prima di andare a cercare il salmone, decisi di salire a prendere la bottiglia di candeggina lanciatami da quella bestia di Archibald. Il fatto è che mi stava venendo in mente una delle mie pazze idee, ma non anticipiamoci agli eventi... Con la candeggina in tasca, mi avviai verso il fiume intenzionato a pescare con le mie stesse mani (se ero riuscito a fabbricarmi delle bacchette, prendere un salmone sarebbe stato un gioco da ragazzi). Una volta sulla riva di quel fiume ghiacciato, pensai di usare ancora una volta la motosega. E fu così che, seduto sul tronco caduto, feci un buco perfetto nel ghiaccio con la motosega. E stavo lì, ad ammirare la mia opera d’arte quando, all’improvviso, apparve un enorme orso bianco e affamato...

Fortunatamente, non sembrava apprezzare il sapore della carne umana (molto meglio quella del salmone, ma stiamo scherzando). Quel ghiottone voleva solo sfruttare il buco che avevo appena fatto per metterci la zampa e pescare il suo pranzo. Beh, un ostacolo in più, un ostacolo in meno.... Insomma, quel piccolo contrattempo mi fece ricordare quell’assurda idea che avevo avuto prendendo la bottiglia di candeggina. Avevo pensato che magari, con un tocco di bianco, la testa d’alce che mi portavo dietro sarebbe stata perfetta per completare il travestimento di Wazowski. E dato che avevo bisogno di un modo per distrarre il mio nuovo amico orso affamato, perché non convincere Ben a infiltrarsi finalmente tra i suoi animali preferiti? Quindi usai la candeggina per schiarire la testa dell’alce pizzaiolo e…voilà! Mancava solo un piccolo dettaglio perché fosse una maschera perfetta: realizzare dei piccoli buchi perché Wazowski vedesse dove andava durante la sua indagine. E perché mai mi portavo dietro un vecchio coltello? Beh, proprio per questa eventualità...

Orsi e salmoni

Quando la falsa testa d’orso fu finalmente pronta, mi avviai direttamente da Ben. Volevo fargli una sorpresa, perciò depositai la testa sul suo zaino e gli dissi: “Ben, ho qualcosa per te”. Beh, non potete immaginare che faccia fece quando la vide. Era estasiato, anche se un po’ sconcertato perché non conosceva la specie di orso polare a cui apparteneva quella testa. Ebbene, spronato dalle mie parole, Wazowski decise di realizzare una volta per tutte la sua infiltrazione tra la popolazione orsina. Indossò la testa, si profumò adeguatamente con essenza d’orso feroce e si avviò a intavolare una nuova amicizia. Beh, mi conoscete: se mi lasciano solo non posso fare a meno di farne una delle mie. Quella volta pensai bene di scambiare il flacone di essenza che Ben aveva nel suo zaino con quello di orsa in calore che io avevo in tasca. Ridevo ancora fra i denti per il mio scherzetto quando comparve di nuovo Ben, deluso per l’insuccesso del suo primo tentativo di comunione tra razze.

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Quel pover’uomo mi fece pena, a dir la verità. E poi io dovevo fare qualcosa per togliermi di mezzo quell’orso che mi voleva rubare il salmone. Insomma, con un po’ di dialettica e la giusta motivazione, riuscii a convincere Wazowski a provarci ancora. E fu così che, con una nuova luce negli occhi e ripetendo il rituale del primo tentativo, Ben si avvicinò di nuovo al giovane orso. Quello che avvenne in seguito è un po’ scabroso e… insomma… vietato ai minori. Diciamo solamente che quella volta l’amore trionfò e che, dovunque si trovi, Ben è sicuramente felice nella sua nuova comunità. L’importante è che finalmente avevo via libera per pescare il mio bel salmone. Quando mi avvicinai al fiume, vidi che Ben aveva lasciato una delle sue zampe d’orso finte sul ghiaccio. Sempre senza fare complimenti, usai la mazza da hockey per raggiungere quell’artiglio d’orso. Fu in quel momento che ebbi la brillante idea di usare la stessa mazza per cercare di pescare qualcosa.

Sebbene l’idea fosse eccellente, una volta messa in pratica il salmone scivolava a contatto con quel attrezzo liscio. E allora feci di nuovo mostra di grande genialità: combinando l’artiglio d’orso con la mazza da hockey, avrei creato un meraviglioso strumento che mi avrebbe permesso di pescare come Yoghi o qualunque altro suo simile. E fu così che, usando la mia nuova zampa allungata, pescai il mio primo salmone dell’Alaska. Con tutti gli ingredienti necessari per elaborare il sushi, andai di corsa fino alla capanna di Wazowski. Una volta lì, usai il fischietto datomi dall’arrogante e antipatico Archibald per chiamarlo (cosa che feci nel posto esatto in cui era comparso per la prima volta; era evidente che quello era un tipo dalle abitudini fisse). Non appena arrivò gli diedi il materiale e, dato che c’ero, gli chiesi un piccolo favore. Quel tipo voleva lasciarmi il sushi proprio lì, alle intemperie, ma io sapevo che sarebbe stato più sicuro portarlo al rifugio dove riposava Joshua.

Bene, dopo dure negoziazioni, riuscii a convincere quel maledetto psicopatico scalzo a portare il sushi fino al rifugio. Una cosa sì, dovetti consegnare persino il mio cellulare d’ultima generazione, e solo perché a quel tizio non andava giù che lo chiamassero “Archie”. Insomma... dopo un po’ arrivò il nostro caro Archie con uno stupendo sushi sotto il braccio. Non appena quel mascalzone se ne fu andato, Joshua si mise a divorare quel manicaretto. E, come aveva detto il caro Wazowski, il mio amico quattrocchi recuperò la memoria in quattro e quattr’otto. Quando gli chiesi la parola d’ordine, Joshua si mise a correre e a saltare come un bambino. Era così felice di essersene ricordato che uscì all’esterno per festeggiare... ed era chiaro che un tipo come il nostro caro scienziato non poteva facilitarmi le cose. Era più forte di lui: si ficcò in un altro guaio.

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L’ennesimo disastro di Joshua

Gli venne la brillante idea di mettersi a ballare come un pazzo sopra il lago ghiacciato e, certo, anche se era deboluccio non poteva che finire male. Infatti, con ogni saltello di Joshua il ghiaccio iniziò a rompersi finché non si staccò un’isoletta con sopra il mio caro quattrocchi. Non ci potevo credere. Di nuovo a tirarlo fuori dal guaio in cui si era ficcato con le sue stesse mani. Beh, non potevo lasciarmi prendere dal panico. Ormai eravamo troppo vicini al professor Simon per poterci arrendere, quindi feci buon viso a cattivo gioco e mi misi a cercare un modo si salvare Joshua. Ci pensai un po’ su e mi ricordai del verricello del furgoncino. Era proprio quello di cui avevo bisogno! Purtroppo, quando cercai di metterlo in marcia non funzionava. Beh, se magari avessi acceso il motore del furgoncino...

Insomma, entrai nel furgoncino e, approfittando del fatto che avevano lasciato la chiave infilata, provai a metterlo in moto. E dato che non si può certo dire che la fortuna mi perseguiti, il vecchio furgoncino non sembrava avere alcuna intenzione di accendersi. Magari se un intelligente laureato in fisica come me avesse dato uno sguardo al motore, le cose sarebbero cambiate. E quindi aprii il cofano disposto a fare qualche altro pasticcio: scoprii che mancava l’asticella che l’avrebbe dovuto tenere sollevato per poter trafficare tranquillamente col motore. Chiunque altro avrebbe gettato la spugna in quello stesso istante, ma non io! Io ero una persona piena di risorse, e decisi di usare la mia amata mazza da hockey ancora una volta: forse era un po’ lunga per sostenere il cofano aperto, ma io avevo l’impressione che avrebbe funzionato. Ovviamente quella mazza funzionò perfettamente e riuscii finalmente a dare uno sguardo a quel vecchio motore. Quel poco che so di meccanica mi permise di giungere a una terribile conclusione: a quel motore mancava qualcosa…sì, gli mancava una candela. Ah, ah, ah, ah, ah, ah! (In quel momento scoppiai in una risata isterica). No, non mi arrenderò... Brian Basco ha sempre un asso nella manica. In quella occasione, l’asso (sottoforma di candela) si trovava all’interno della pesante motosega...

E quindi, in mancanza di un cacciavite, usai il coltello per aprire la motosega ed estrarre una bellissima candela che, in seguito, introdussi nel motore del furgoncino. (A volte mi spaventa essere così intelligente). Quindi cercai di nuovo di mettere in marcia il veicolo e… incredibile! Ancora una volta la mia genialità avrebbe salvato Joshua. Col motore in marcia, attivai il verricello e legai le corna d’alce al cavo affinché il mio caro quattrocchi sapesse dove attaccarsi. Dimostrando un’eccellente tecnica nel windsurf, il mio amico si lasciò trascinare fino a riva, dove lo aspettavo con la sua tunica. Non appena vidi Joshua vestito per l’occasione, ci dirigemmo finalmente a casa del professore. Una volta lì, scoprii qual era la maledetta parola d’ordine. Alla frase: “L’uomo che sa non parla” bisognava rispondere con un enigmatico: “L’uomo che parla non sa!”. Tipico degli scienziati pazzi. Bene, una volta in salvo nell’accogliente abitazione di Simon, questi ci raccontò una storia che ci lasciò di sasso...

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Poiché non voglio che vi succeda la stessa cosa, rimanderò a un’altra volta il contenuto di quell’amena conversazione (e poi, cosa ve ne importa di quello di cui parliamo Joshua, il professor Simon ed io?). Vi dirò solamente che si era creato un bel caos interplanetario tra Alpha, i suoi colleghi trantoriani e il nostro caro amico Kordsmeier. C’è da dire che questa volta i cattivi non erano gli extraterrestri, quindi bisognava armarsi di coraggio e unirsi alla causa di Joshua e dei suoi amichetti verdi. Con in mente tale obiettivo, decisi di collegarmi a Internet dal computer portatile del professor Simon per cercare di mettermi in contatto con la mia amica Sushi. Ma nel bel mezzo della conversazione cibernetica successe qualcosa... so solo che sentii alcuni spari e, all’improvviso, senza sapere quanto tempo fosse passato da allora, mi svegliai in un lussuoso yacht...

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Capitolo 5 ROTTA VERSO IL PASSATO

In cerca dell’Orión

Sì, proprio così. Senza ricordare niente di quello che mi era successo dal nostro incontro col professor Simon, mi ritrovai improvvisamente, scombussolato e disorientato, nella cabina di una nave sconosciuta. Non appena riuscii a riprendermi da quello che sembrava uno spaventoso post-sbornia, cercai di calmarmi. Dovevo scoprire dove mi trovassi e cosa diavolo mi fosse successo, quindi non avevo tempo da perdere. Utilizzando le mie abituali tecniche di perlustrazione, iniziai a investigare ogni oggetto che si trovasse nel suo campo visuale. La prima cosa che notai fu una porta di vetro con un pannello numerico il cui codice d’accesso, logicamente, non conoscevo. All’estremità opposta della cabina trovai una specie di ascensore che mi servì per salir al piano superiore. E scommetto che non sapete chi c’era lì… Non ci potevo credere! Sushi Douglas in persona! Dopo un saluto effusivo, la mia amica mi mise al corrente dell’accaduto...

Sembrava che, durante la nostra lunghissima chat dalla casa del professor Simon, fossimo rimasti d’accordo di incontrarci al porto di San Diego per imbarcarci da lì verso Palenque, tra i cui templi, Alpha, il leader trantoriano, sperava che trovassimo la trantonite persa da secoli. Insomma, mentre noi scappavamo dall’Alaska, Sushi (da brava donna intraprendente) visitò Palenque per localizzare la tomba in cui sarebbe dovuta essere la trantonite, per poi scoprire che era stata saccheggiata nel XVI secolo da un pirata chiamato Íñigo de Malantúnez. Si diceva che la prua del suo galeone, l’Orión, brillasse come per magia, e si diceva addirittura che la nave fosse invincibile grazie a un oggetto che il pirata aveva ottenuto in gioventù, oggetto che Sushi identificò come la trantonite. Con questa nuova informazione, Sushi si diresse all’Archivio delle Indie di Siviglia allo scopo di seguire le tracce di Malantúnez. Incredibilmente, la mia amica riuscì a scoprire la data e il luogo in cui affondò l’Orión, cosa che le permise di stabilire le coordinate approssimative del galeone. E quindi eravamo lì, in pieno Oceano Pacifico, cercando una vecchia nave pirata affondata.

Secondo Sushi, la ricerca della trantonite era una mera questione di pazienza. Una volta raggiunte le coordinate indicate, il potentissimo sonar di cui disponeva lo yacht avrebbe iniziato a trasmettere informazioni su possibili posizioni dell’Orione. Noi non avremmo neanche dovuto immergerci in mare per verificarle, dato che a tal fine aveva assunto il maggior avventuriero di tutti i tempi, un certo Dean Grassick. Questa ricerca, tuttavia, poteva tardare varie settimane, ed era evidente che non avevamo tanto tempo a disposizione. Beh, almeno sapevo come fossi arrivato fin lì e quale fosse il mio obiettivo immediato: localizzare il galeone e trovare la trantonite il prima possibile. Consapevole della mia nuova missione e disposto a realizzarla, decisi di scendere al piano inferiore per dare uno sguardo a tutti gli ambienti e, dato che c’ero, di provare il codice che, secondo Sushi, apriva tutte le porte dello yacht.

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Rincontri ravvicinati di te�rzo tipo

Di ritorno al punto in cui mi ero ripreso dalla sbornia, decisi di esplorare una sala chiamata “Neptune suite”. Mmh, prometteva bene. Entrando vidi subito l’unico oggetto interessante: una statua del dio Nettuno (era sicuramente un pezzo d’antiquariato falso, di quelli che si vendono nei mercatini). Dato che quell’affare era di bronzo, non mi sembrava molto fattibile portarmi in giro quel peso morto... ma dai, dato che il tridente era staccato, me lo misi in tasca. Non c’era nient’altro che mi interessasse in quell’insulsa suite, quindi decisi di fare un altro viaggetto nell’ascensore futurista (peccato che non avessi con me un’A.M.E.B.A. portatile). Una volta su, invece di parlare con la mia cara Sushi (chi la regge quella lì quando si mette a parlare dei suoi marchingegni tecnologici o delle sue documentate indagini), mi diressi alla coperta esterna che non avevo ancora esplorato. Ancora una volta, mi aspettava un vecchio amico...

Quello “sballato” di Rutger! Ma cosa ci faceva? Lui, come sempre, tranquillo e rilassato, so che era contento di vedermi perché lo conosco, ma altrimenti si potrebbe dire che per lui non ci sarebbe stata differenza tra vedere me o un calamaro col cappello ballando la polca. (È quello che succede quando si fuma, alla fine la realtà e la finzione si fondono e non ti sorprende niente). Beh, l’importante è che il caro Rutger seppe spiegarmi il motivo del mio mal di testa: quel furbetto mi aveva messo “ronfidina” (preferisco non sapere cosa sia quella roba) nel succo mentre aspettavamo Sushi a San Diego. Oltre a questa confessione, mi mise al corrente delle sue relazioni sociali: sembrava che la situazione fosse un po’ tesa col suo fedele amico Saturno. Insistette anche per regalarmi un sacco di sabbia (di nuovo in giro carico come un cammello) che, secondo lui, era il meglio che potessi trovare.

Insomma, prima di congedarmi da lui, mi fu impossibile non notare un oggetto che teneva vicino all’amaca... sì! Era il casco telepatico! Lo stesso casco che Joshua aveva usato la prima volta che visitò Trantor! Ma non l’avevo regalato a Saturno? Beh, pensando che magari mi sarebbe stato utile, provai a prenderlo... ma Rutger non aveva intenzione di permettermelo. (Tanta disponibilità, tanto “prendi questa sabbia, fratello” e poi mi rifiuta il primo favore che gli chiedo). Dato che non avevo potuto soddisfare il mio desiderio di recuperare il casco, presi uno spazzolone che trovai appoggiato a un congelatore vuoto (con la voglia che avevo di un bel gelato!). Fu degno di nota anche il capitombolo che feci quando mi venne in mente di dare uno sguardo alla coperta di prua (e invano, perché lì non trovai neanche una paletta che ci stesse bene con lo spazzolone). Visto il successo della mia prima visita in coperta, decisi di tornare alla Neptune Suite... almeno lì c’erano dei divani!

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Il rilevatore di neutrini

Quello era indubbiamente lo yacht delle sorprese: quando arrivai alla sala trovai niente meno che Saturno, l’uomo del rinascimento. Come sempre, era impegnato con una delle sue invenzioni e mi fece venir mal di testa con frasi che solo lui può pronunciare senza sembrare presuntuoso. Oltre a confermare la tensione esistente tra lui e Rutger, la conversazione con Saturno mi consentì di scoprire una possibile soluzione per la ricerca della trantonite. Secondo il mio amichetto, lui poteva fabbricare un moderno rilevatore di neutrini che ci avrebbe permesso di localizzare istantaneamente la trantonite. Proprio quello di cui avevamo bisogno! Però, prima di metterci all’opera, avrei dovuto svolgere tre compiti: prima di tutto, recuperare l’articolo che spiegava come fabbricare l’invenzione (secondo Saturno, doveva averlo Camille, e io non avevo la più pallida idea di chi fosse). In secondo luogo, dovevo recuperare il casco telepatico, compito complicato se Saturno e Rutger avessero continuato a essere come cane e gatto. E, infine, avrei dovuto svuotare un serbatoio situato nelle stive per poterlo riempire d’acqua dolce.

Bene, “una cosa alla volta” pensai. La prima cosa che avrei dovuto fare era mettere fine all’assurdo litigio tra due amici d’infanzia. Sapevo che Rutger, in fondo, era un sentimentalone (come suo “fratello” Saturno). E quindi, con un po’ di fortuna e molta comunicazione, sarei sicuramente riuscito a recuperare quell’amicizia e, dato che c’ero, anche il casco. A tal fine mi diressi di nuovo in coperta per parlare con Rutger. Il mio amico era abbastanza arrabbiato, bisogna ammetterlo. Di fronte a una situazione simile, avevo due alternative: essere un mero intermediario tra due persone in litigio, o trasformarmi in un interprete soggettivo in grado di creare poesia con le opinioni che ognuno aveva sul conto dell’altro. Naturalmente optai per la seconda opzione. E fu così che il “hai una tale faccia tosta che nel casco non ci starebbe neanche” di Saturno nei confronti di Rutger si trasformò in un “si toglie il cappello davanti a te, e non tenergli il muso”.Beh, una frase simile non fece tornare il sorriso a Rutger, ma almeno lo calmò un po’. Ciò mi incitò a continuare col mio gioco del telefono senza fili... Dopo andirivieni (dalla coperta alla suite Nettuno e viceversa) trasmettendo ogni messaggio col mio tocco personale, alla fine riuscii a ristabilire la pace tra “fratelli”. Era tale l’allegria di Rutger per aver recuperato il suo miglior amico che non gli diede alcun fastidio che io mi impossessassi del casco telepatico. Bene, una cosa in meno da fare. Chissà se ora avrei scoperto chi era quella Camille, per poter provare a recuperare quel benedetto articolo. Con quell’intenzione mi diressi verso la porta situata accanto al corridoio delle cabine. Ora che disponevo del codice d’accesso, sarei potuto scendere senza problemi a investigare nelle stive...

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Un buffone chiamato Deeeeean Grassick

Non appena attraversai la porta in questione, trovai una giovane ragazza un po’ triste seduta sulle scale. Si trattava proprio di Camille (che avevo già conosciuto la notte precedente, ma il cui ricordo era stato cancellato dalla famosa ronfidina di Rutger). Dopo esserci presentati per la seconda volta, un tizio con voce da strafottente la chiamò e dovemmo interrompere la nostra gradevole conversazione. Quella ragazza mi incuriosiva (e poi avevo una missione da compiere) quindi decisi di seguirla giù dalle scale. Grosso errore! Perché in quella sala d’immersione ebbi il “piacere” di conoscere l’individuo più insopportabile che abbia mai incontrato. Esatto! L’ineguagliabile Deeeeeaaaaan Grassick... Quel tizio era così imbecille che non mi permise neanche di avvicinarmi a Camille per continuare la nostra conversazione. E in più, non credei in nessun momento che quello fosse un vero avventuriero. Si vedeva da lontano un miglio che era un impostore, tuttavia Camille sembrava ammirarlo nonostante i suoi modi da dittatore.

Considerato il fatto che erano impegnati con la registrazione del programma di Dean, decisi di fare un giretto per la sala. In fondo alla stanza, oltre alle capsule d’immersione, trovai un piccolo ripostiglio con qualche strano oggetto. Come ricordo di quella piccola escursione, decisi di prendere in prestito due tubi da snorkeling che trovai in uno scatolone. Quindi mi proposi di localizzare la cisterna d’acqua salata di cui mi aveva parlato Saturno. Secondo lui si trovava in una delle stive della barca, quindi non doveva essere molto lontana. Mi avviai verso il corridoio dove avevo incontrato Camille e, invece di tornare alla zona delle cabine, decisi di attraversare l’altra porta di sicurezza situata di fronte a me. Con lo stesso codice d’accesso entrai senza problemi in quella che sembrava essere la prima stiva. Ed effettivamente, lì si trovava la cisterna in tutto il suo splendore...

Svuotarla fu facilissimo: bisognava solo aprire il rubinetto a sinistra della cisterna. Era ovvio che stavo diventando una persona risolutiva in grado di compiere un obiettivo dietro l’altro senza spargere una goccia di sudore. Se non ricordavo male, nel corridoio d’accesso alle stive avevo visto una manichetta che mi sarebbe venuta benissimo per riempire la cisterna, ma prima volevo fare un giro in quelle stive (qualche tesoro ci sarà pure stato, no?). A destra della cisterna c’era una porta enorme che sicuramente portava alla stiva successiva. Per aprirla, spinsi un enorme pulsante rosso e... voilà! Aspetta un attimo... Quella situazione non mi era nuova. La porta si apriva, ma si richiudeva automaticamente! (E stavolta non avevo un fermaglio per capelli). Ma sì, avevo un bellissimo spazzolone che poteva funzionare alla perfezione... E, in effetti, funzionò. Bloccando la porta con quell’elegantissimo spazzolone riuscii a entrare nella seconda stiva dove, purtroppo, trovai solo una bustina di fascette bianche. Bella ricompensa dopo tanto sforzo...

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Troppi ciak e un articolo del cavolo

Beh, quelle fascette mi fecero pensare a Saturno. In fin dei conti, oltre ed essere un artista, era bravo nei lavori manuali. Questa associazioni di idee mi spinse a fargli un’altra visita. Sicuramente avrebbe avuto qualcosa di interessante da raccontarmi o, nel peggiore dei casi, da “lasciarmi in prestito”. Quando arrivai alla sua sala di lavoro notai che quel poveraccio era ancora impegnato col suo sottomarino giallo quindi decisi di non interromperne l’ispirazione. Osservando una tazza con delle penne che c’era sul suo tavolo però, mi innamorai di un bellissimo pennarello. Il buon Saturno esitò a regalarmelo e così… un altro oggetto nelle mie tasche! Con un rinnovato entusiasmo (ogni volta che prendo un nuovo oggetto recupero vitalità), scesi di nuovo alla sala d’immersione disposto ad affrontare quel buffone cubano. Per strada incontrai di nuovo Camille, sempre seduta sulle scale che davano accesso al suo ambiente di lavoro. Sembrava affranta, quindi cercai di rallegrarla col mio umorismo e la mia disinvoltura.

Durante quella breve conversazione venni a sapere come fosse arrivata quella ragazza a collaborare con Dean (certo che oggigiorno i concorsi possono essere davvero squallidi), un individuo che lei, inspiegabilmente, ammirava con un certo entusiasmo. Gli aveva addirittura portato due bottiglie di un vino squisito. Tra una confidenza e l’altra, Camille ammise che l’articolo scomparso (lo stesso di cui aveva bisogno Saturno per fabbricare il rilevatore di neutrini) era stato usato per avvolgere il pranzo di Dean. (Uffa, non mi andava proprio di avere a che fare con quel pagliaccio per recuperarlo). Tanto per cambiare, la nostra conversazione venne interrotta quando il falso avventuriero chiamò la sua giovane schiava per riprendere la registrazione del suo programma di telespazzatura. Disposto a recuperare l’articolo perso, scesi a parlare con Dean e mi resi conto che il suo forte non era certo l’improvvisazione. Quel tizio stava cercando di registrare una sequenza del suo programma, ma la sua memoria diciamo non proprio da elefante non gli permetteva di lavorare senza un buon “gobbo”. Riconobbe almeno di avere l’articolo e mi promesse che me l’avrebbe dato... subito dopo aver mangiato il suo “lunch”. E naturalmente non aveva intenzione di fare una pausa pranzo finché non avesse finito di registrare quella noiosa sequenza. Dovevo fare qualcosa se non volevo che quella registrazione diventasse il film più lungo della Storia.

Pensando a quanto gli sarebbe stato utile un bel “gobbo”, andai di nuovo a trovare il mio amico Saturno. Lui avrebbe sicuramente potuto prestarmi un quaderno su cui scrivere un enorme cartello a quell’incapace di Dean. E, infatti, il mio amico aveva un bloc-notes... ma non poteva darmelo. Era il suo quaderno delle idee, in cui plasmava i bozzetti di ogni sua invenzione e, ovviamente, era sacro. Aveva anche dei quaderni nuovi in cabina, ma non ne avrebbe mai preso uno senza prima aver finito quello che stava usando. Mi spiegò che in quel bloc-notes restava solo un foglio in bianco, quindi bisognava trovare un’idea che lo ispirasse per riempire quel buco. Disperato per quella situazione, decisi di andare a cercare Camille. Per qualche strano motivo, lei mi ispirava fiducia e le nostre brevi conversazioni erano davvero confortanti. La trovai nel solito posto (le scale d’accesso alla sala d’immersione), e affianco a lei c’erano sue strane anfore di vetro. Erano forse le bottiglie di vino francese? Esatto: Camille aveva pensato di regalarle a me dato che, a detta di lei, le era sembrato che io le avrei gradite. Restai senza parole, che pensiero carino.

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L’ispirazione� di Saturno

La povera ragazza fu richiamata dal suo padrone per l’ennesima volta, e io andai a cercare un posto sicuro per quelle bottiglie. In mancanza di una buona cassaforte, decisi si lasciarle in cabina. Il fatto è che, quando stavo per metterle nell’armadio, mi prese la curiosità e non potei fare a meno di provare quel nettare francese. Mmm. Solo a pensarci mi viene l’acquolina in bocca. Per farvi un’idea di quanto era buono (o di quanto sono debole), vi dirò che ho un enorme laguna nella memoria. L’unica cosa che ricordo è che continuai a bere e, chissà quanto tempo dopo, mi svegliai in mezzo al corridoio delle cabine con le due anfore vuote appresso. Bene, nel mio stomaco sarebbero sicuramente state in salvo da mani altrui... Il fatto è che, mentre guardavo attonito il risultato della mia marachella in cabina, mi venne in mente un’idea degna di DaVinci in persona. Se la mia invenzione avesse dato il risultato che immaginavo, Saturno sarebbe stato sicuramente felice di darle il suo tocco personale, e in quel modo avrebbe usato l’ultimo foglio del suo bloc-notes di idee stravaganti.

Con questa speranza, mi misi all’opera. Prima di tutto, riempii le anfore vuote con la sabbia che mi aveva regalato Rutger. Quindi unii le anfore con le mie stupende fascette per creare una bellissima clessidra in scala Big Foot. Dato che conoscevo la preoccupazione di Saturno per l’obesità infantile, decisi di attaccare la forchetta di Nettuno all’invenzione. Col mio nuovo orologio-forchetta sotto il braccio, mi avviai verso l’“officina” del mio amico. Una volta lì, feci una completa spiegazione didattica dei benefici dell’uso della mia invenzione sulla possibilità di mangiare lentamente (indubbiamente uno dei segreti per non ingrassare). Beh, Saturno rimase a bocca aperta. La sua ispirazione fu tale che si precipitò a realizzare i suoi primi bozzetti... E cosa portò al ritorno? Certo! Un quaderno nuovo di zecca. Tutto per me, ovviamente. Con il mio nuovo regalo in tasca, scesi in fretta e furia alla sala di immersione. Forse con un po’ di aiuto quei due avrebbero potuto finire la sequenza e io avrei recuperato l’articolo di BricoScience Illustrated.

Ovviamente andò tutto come previsto. Col mio gobbo improvvisato, quell’imbranato di Dean riuscii finalmente a registrare tutta la scena. In seguito mangiò il suo pranzo “new-age” e finalmente mi restituì l’articolo. Dovevo solo trovare il modo di riempire la cisterna di acqua dolce. Se solo avessi avuto una manichetta... Certo! Com’è possibile che non mi sia venuto in mente prima, quando giocavo con le fascette? A cosa mi servivano i due tubi da snorkeling che avevo preso? Unendoli mi resi conto del potenziale di quei pezzi di plastica. Ma ne avrei dovuto avere molti di più per fabbricare una manichetta intera, quindi mi diressi al ripostiglio in cui li avevo trovati e presi tutti quelli di cui avevo bisogno. E voilà! In un batter d’occhio la mia manichetta era pronta e, con la buona nuova, mi avviai in cerca di Saturno.

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Discesa agli abissi

Il seguente passo fu un gioco da ragazzi, più che altro perché ci pensò Saturno a dirigere l’operazione. In un batter d’occhio quel tizio fabbricò un fantastico rilevatore di neutrini, e fu così che riuscimmo a localizzare velocemente e con precisione la posizione esatta del galeone affondato. Alla fine quell’idiota di Deeeeaaaaan Grassick dimostrò di essere quello che avevo predetto: un bel pezzo di imbroglione! E chi dovette rischiare la vita in una spedizione sottomarina fino alla vecchia nave di Malantúnez? Il sottoscritto, ovviamente. Figuratevi, dopo aver aperto un’A.M.E.B.A., cosa volete che sia immergersi nelle profondità dell’oceano? Insomma, Sushi organizzò tutto perché durante l’immersione avessi almeno qualche comodità. Perché potesse orientarmi nella mia esplorazione del galeone, prima di tutto dovetti scendere a collocare un piccolo scanner tridimensionale le cui immagini sarebbero state ricevute da Sushi. E così sarebbe stata lei, dallo yacht, a guidare i miei passi nella seconda immersione.

Una volta collocato quell’affare risalii per riprendere le forze e parlare con Sushi di una possibile situazione della trantonite. Lei mi parlò di una specie di scorpione che avrei dovuto cercare, quindi mi misi all’opera. Con la luce proiettata dal mini-sub inventato da Saturno, riuscii a raggiungere la polena di prua più famosa dell’Archivio delle Indie... solo per scoprire che era troppo sporca per poterci fare qualcosa di utile. Di nuovo su... Con un grave complesso da yo-yò, dovetti fare del mio meglio per trovare un modo di pulire la polena. Fu allora che mi ricordai dello spazzolone che avevo usato ore prima per bloccare la porta della seconda stiva. Andai a prenderlo e, quando arrivai alla stiva, scoprii una cassetta degli attrezzi sotto la scala. Mmh, apparteneva sicuramente a Saturno e probabilmente non gli sarebbe dispiaciuto se avessi preso un bel seghetto che c’era all’interno.Questa scoperta mi fu molto utile quando mi avvicinai alla porta bloccata. Dato che non sapevo se avrei voluto entrare ancora nella seconda stiva, non volevo togliere lo spazzolone bloccaporte. Ma con l’aiuto del mio nuovo seghetto, riuscii a tagliarne un pezzetto e prendermi una bella baby spazzola perfetta sia per fare le pulizie che per le immersioni. Con la soluzione per la sporcizia dell’Orión in mio potere, mi disposi a tornare nell’ufficio improvvisato di Sushi. Ma non sarebbe stato così semplice. Quando introdussi la password di sempre nel pannello della porta, non accadde niente. Non funzionava! Era giunto il momento di inaugurare l’interfono situato a sinistra della porta d’accesso alla seconda stiva. Lo usai per chiamare Sushi per sapere cosa diamine stesse succedendo... e risultò essere opera del mio caro amico Joshua che aveva disattivato le password dello yacht. Lo dicevo io che l’avevo visto in giro di qua e di là, che avrebbe combinato qualche guaio… Bene, era chiaro che dovevo trovare un modo alternativo per uscire dalle stive.

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Non aprite quei portelli

Senza perdere tempo, rimasi calmo ad analizzare la situazione. Se non sbagliavo, attraverso i portelli del soffitto di quella stiva si accedeva alla coperta della barca. Magari, se avessi usato la scala della cisterna d’acqua li avrei potuti raggiungere... prima, però, li dovevo aprire (e riuscii a portare a termine questo compito appassionante premendo il corrispondente pulsante, situato proprio accanto all’interfono). Dopo aver realizzato una delle mie più famose performance (stavolta da Spiderman senza filo interdentale da lanciare dai polsi) riuscii a uscire in coperta come programmato. Una volta su, sentii che Sushi si lamentava di qualcosa. Quando mi avvicinai, quella poveretta si sfogò e ne disse di tutti i colori su Joshua. Quell’incosciente aveva aperto i portelli delle stive e non li aveva chiusi. Bisogna essere davvero infantile e immaturo per fare una cosa del genere... Beh, almeno la mia amica si rallegrò quando le raccontai che ero disposto a immergermi nuovamente per fare un bello scrub a quella benedetta polena.

Insomma, realizzai la mia terza immersione, nuotai come un salmone controcorrente, lasciai la polena lucente come un diamante… per niente. Perché lì non c’era traccia della trantonite. Che frustrazione! Di nuovo su... Dopo un intenso dibattito sulla possibile localizzazione della trantonite, stabilimmo che, sempre che si trovasse ancora nella nave, doveva essere stata nascosta nella cabina di Malantúnez. Beh, mi toccava fare un altro bagnetto. Nella mia ennesima immersione all’Orión, riuscii a trovare l’ingresso alla citata cabina, ma... abbondano forse nella mia vita le porte aperte? Nooooo. Insomma, mi toccò salire un’altra volta e fare quattro chiacchiere con la mia amica in occhiali da sole. Tutto ciò per arrivare alla solita conclusione: che a me, Brian Basco, toccava sempre togliere le castagne dal fuoco. Che, come sempre, IO dovevo trovare la soluzione al problema. (Che sia chiaro che lo dico con affetto, senza rancore).

Il fatto è che in quello scambio di idee, Sushi mi raccontò che Joshua aveva combinato un altro guaio nelle stive. Questa volta si era messo ad aprire le casse della seconda stiva con una leva... mmh, era una cosa che dava da pensare. Insomma, corsi più veloce della luce alla ricerca di quella levetta perché, in mancanza di una chiave, non mi veniva in mente niente di meglio per aprire la porta della cabina di Malantúnez. Quando arrivai alle stive i miei timori ebbero conferma: Joshua aveva tolto lo spazzolone che bloccava la porta. Beh, magari in uno dei suoi raptus di ingegno era riuscito ad aggiustare il meccanismo. Premetti il pulsante rosso che apriva la porta e incrociai le dita. Niente. Sì, la leva che volevo era lì dentro, nella seconda stiva. Ma ora non avevo più niente per sorreggere la porta... Allora pensai che forse Saturno mi avrebbe potuto aiutare con una delle sue invenzioni, quindi mi recai alla suite Nettuno. Una volta lì mi resi conto che il mio amico, come previsto, aveva appena finito di fabbricare due stupendi elettromagneti troppo belli... E il caro Saturno me li regalò! Così, senza motivo.

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Con quei due affari non avrei avuto problemi a ripetere la mia performance di Spiderman, quindi tornai alla stiva principale, aprì i portelli di accesso alla coperta, mi arrampicai grazie all’aiuto degli elettromagneti e mi introdussi nella seconda stiva per prendere la leva (ormai mi ero abituato alle missioni impossibili, quindi quella fu una passeggiata). Ora che avevo la leva, mi immersi di nuovo nelle profondità dell’oceano, sperando che fosse ormai l’ultima volta. Guidato come sempre dalla luce del mini-sub e le indicazioni di Sushi, raggiunsi la porta della cabina di Malantúnez. Con una dimostrazione di grande forza e abilità, riuscii ad aprirla usando la leva, e fu così che ebbi accesso alla stanza privata di uno dei pirati più temuti del XVI secolo. Stavo esplorando il luogo quando un colpo secco mi lasciò fuori combattimento...

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Capitolo 6 L’ASTRO OCCULTO DELL’AVERNO

Prigionie�ro di Malantúne�z

...quello che mi accadde in seguito vi sembrerà incredibile, quasi surreale, ma io ve lo racconto come l’ho vissuto. Mi svegliai improvvisamente in una cella oscura... ma non ero più me stesso. Beh, come ve lo spiego... Sì, somigliavo a Brian Basco, ma come succede a volte nei sogni, in realtà io ero un’altra persona che rispondeva al nome di Brushian Bharscough. E non è tutto, non mi trovavo più nel nostro secolo. La data, per l’esattezza, era il 6 marzo del 1���. Era strano, sì, ma mi sembrava del tutto naturale, e non mi chiesi in nessun momento cosa fosse successo. Era come se una parte di me avesse viaggiato nel tempo per assumere la personalità altrui... ma torniamo al nostro obiettivo: la trantonite. Se c’era qualcosa che “ricordavo” del mio altro io, era proprio che dovevo trovare la pietra magica che si trovava sicuramente in potere del machiavellico Malantúnez. E se c’era qualcuno in questo emisfero in grado di sconfiggere uno schifoso pirata come lui, quello ero io, Brushian Bharscough, comandante della Marina inglese e capitano dell’Interfector.

Ma le cose iniziavano male, poiché come vi ho detto, mi trovavo in una buia cella del galeone di Malantúnez. Tuttavia, apparve presto un maleodorante seguace del pirata spagnolo, chiamato Cane Botte, la cui anatomia dava un chiaro indizio del motivo di quello pseudonimo. Quella meravigliosa persona fu incaricata di condurmi fino alla cabina del suo signore, dove in seguito venni gentilmente incatenato. Pochi istanti dopo, ebbi finalmente l’opportunità di conoscere il famigerato Íñigo de Malantúnez, a cui offrii gentilmente le informazioni sulla mia persona che lui esigeva. Sembrava che quelle brutte maniere con cui io ero stato ricevuto dipendessero dal sospetto di Malantúnez di un tentativo da parte mia di prendere d’assalto il suo amato galeone. “Niente di più lontano dalla realtà”, gli dissi, “era mia intenzione di arruolarmi come pirata nella sua illecita nave”. Proprio quando la mia dialettica stava già sortendo degli effetti, fu chiamato dai suoi subordinati in coperta, e così il nobile hidalgo spagnolo mi lasciò senza che potessi finire il mio discorso.

Notai subito la presenza di una giovane damigella il cui viso mi era familiare. Mi accinsi ad avviare un’amena conversazione con lei, fu così che scoprii alcuni dettagli interessanti. Dato che era la scrivana di Malantúnez, potevo credere alle sue parole quando osò supporre che l’amuleto che io desideravo trovare si trovasse o in quella stessa cabina del pirata, o nella sua opulenta stiva del tesoro. Ma iniziamo dal principio: prima di iniziare la ricerca dell’Astro Occulto io avrei dovuto liberarmi dei ferri che mi tenevano prigioniero. Decisi quindi di guardarmi intorno in cerca di utensili da infilarmi nella calza, e la mia esplorazione non fu vana, poiché trovai un pesante fermacarte e un curioso tagliacarte a forma di daga. Dopo tale bottino, decisi di studiare attentamente il meccanismo che teneva chiusi quei fastidiosi ferri. Sembrava facile, avevo solo bisogno di qualcosa di sottile e con punta per togliere il chiodo che manteneva il cardine dei grilletti al proprio posto.

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Provai a servirmi del tagliacarte per togliere il suddetto chiodo, ma la punta non era abbastanza sottile. E allora notai un altro chiodo che spuntava da una colonna di legno di fronte a me. Era perfetto per l’impresa che mi aspettava, ma neanche usando di nuovo il tagliacarte riuscii a raggiungerlo. Fu in quel momento che pensai di chiedere aiuto alla nobile Lady Camille. Se io le avessi lanciato quella falsa daga, lei avrebbe sicuramente potuto estrarre il chiodo desiderato e farmelo arrivare. Lei non esitò a prestarsi a realizzare tale compito, poiché indubbiamente le mie grazie avevano già causato l’abituale effetto. Non appena ottenni il chiodo, lo usai, col fermacarte a mo’ di martello, per liberarmi dei pesanti ferri. In seguito usai lo stesso procedimento per liberare Lady Camille dalla sua simile sorte. Lei, in segno di ringraziamento per il mio nobile gesto, si unì alla mia intrepida missione giurandomi lealtà. Bisogna dire che la damigella francese mi fece notare un dettaglio che doveva essere studiato prima di proseguire con i nostri propositi. Espresse saggiamente la sua preoccupazione per una possibile fuga che avrebbe dovuto effettuarsi nel caso in cui venissimo scoperti. A tal fine, io dovevo cercare una scialuppa che ci servisse da mezzo di trasporto in qualsiasi situazione d’emergenza.

Cane Russo

Per tranquillizzare la mia giovane accompagnatrice, uscii sul balcone della cabina di Malantúnez, convinto che un individuo così poco coraggioso avrebbe sicuramente avuto una scialuppa ormeggiata sotto la sua camera abituale. E avevo ragione! Perbacco, che intelligente sono! Informai immediatamente Lady Camille della mia scoperta e lei accolse la notizia con piacere. Con la tranquillità che la scialuppa ci dava, entrambi potevamo dedicarci anima e corpo alla ricerca dell’Astro. Lei avrebbe fatto in modo di cercare informazioni tra i diari che il capitano le aveva dettato, mentre io avrei dovuto percorrere la nave esaminandone ogni angolo in cerca di indizi. Ma prima di lasciare la cabina, volli dare uno sguardo a tutti i curiosi oggetti che vi si trovavano. E fu così che trovai una trasparente bottiglia di vetro e un’inquietante lingua di drago, scoperta all’interno di un barattolo situato vicino a una bellissima armatura da samurai.

Dopo aver ispezionato di nuovo il balcone dove avevo scoperto la scialuppa che ci avrebbe facilitato più tardi la fuga, mi appropriai di tre semi interi che trovai per terra (tra molti altri già consumati). A proposito, lì ebbi l’occasione di sentire vari pirati in coperta, ma niente nella loro conversazione mi sembrò eccessivamente interessante. Prima di tornare in cabina, usai il mio nuovo tagliacarte per prendere un pezzo di legno (che fungeva da davanzale) che stava cadendo e, dato che c’ero, il chiodo che lo sosteneva. Di ritorno in cabina, decisi di tentare la sorte col pappagallo pirata: forse lui sapeva meglio di chiunque altro dove il suo padrone nascondeva il bramato Astro. Il piccolo ruffiano non aprì il becco finché non gli ebbi offerto i tre miseri semi sbavati che avevo trovato qualche istante prima. E proprio quando il racconto iniziava a farsi interessante, finirono i semi e con essi la conversazione. Ma giurerei che quell’uccellaccio racchiudeva un segreto di vitale importanza per la mia missione, ma dove avrei trovato io in oltremare un chiosco che vendesse semi di zucca? Mmh, forse se i pirati in coperta avessero avuto qualcosina da bere, avrebbero continuato a lanciare le loro sporche bucce sul balcone, tra le quali avrei sicuramente trovato qualche seme intero per continuare la mia interessante conversazione con Cane Impiumato (perché è così che si faceva chiamare il pappagallo birbone).

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Con tali condizioni, non avevo altra scelta che abbandonare la mia clausura e avventurarmi a esplorare il resto del galeone. Ma per farlo, prima avrei dovuto liberarmi dell’imponente guardiano appostato dall’altra parte della porta. Come potete immaginare, un volgare omaccio come quello non poteva certo mettere in ombra il mio intelletto, quindi decisi di fare uso della mente per vincere la forza. Come un David d’oltremare che affronta un puzzolente Golia, prima di tutto legai la viscida lingua di drago alle sbarre della porta della cabina per, in secondo luogo, usarla come fionda improvvisata e lanciare un pesante proiettile (il fermacarte) contro il mio avversario. La strategia fu un successo, quindi uscii dalla cabina (non senza aver ripreso prima la lingua di drago) e notai che quel malandrino era rimasto incosciente dopo il mio lancio perfetto. Raccolsi il fermacarte da terra (era possibile che ne avessi ancora bisogno più avanti) e diedi inizio alla mio esplorazione dell’Orión.

Cane Demone e il tesoro del capitano

In primo luogo esaminai a fondo il luogo in cui mi trovavo. Scoprii, non senza un certo orrore, che c’era dell’acqua pulita in un barile (avrei fatto bene a starne lontano), e che Malantúnez non scherzava di certo quando qualche spiritoso osava contraddirlo (a giudicare dall’aspetto di un certo “Cane Morto”). Dopo, quando cercai di aprire una porta, scoprii che era protetta da uno strano meccanismo che per poco non mi stacca una mano dato che, toccando il pomo, una veloce spada appariva da una fessura, disposta a fare fuori l’intruso di turno. Ancora una volta, il mio ingegno servì a sconfiggere il nemico invisibile, dato che usai il pezzo di legno che portavo per fregare quella sciabola giocherellona e lasciare fuori combattimento il mostro o lo strumento che lo dirigeva. Fatto ciò, mi accinsi a entrare nella sala tanto ferocemente protetta... e, per mia sorpresa, il mio avversario sconfitto risultò essere un piccolo bandito alto appena tre palmi. Siccome mi sembrò buffo, decisi di tenerlo come mascotte. Il suo nome? Semplice: Cane Demone.

Ma tornando alla sala appena scoperta: senza neanche farlo apposta, avevo trovato la stiva del tesoro! Decisi di prendere in prestito una piccola statua dorata come mero ricordo della mia scoperta, dato che la mia nobiltà di spirito non mi permetteva di rubare a un altro pirata, e ancora meno nelle circostanze in cui mi trovavo. Soddisfatto dello sviluppo degli avvenimenti, uscii da quella stiva e presi il corridoio in fondo per ispezionare nuove zone dell’Orión. Lì ebbi il piacere di incontrare di nuovo un sorpreso Cane Botte: non per niente era stato lui che, solo qualche ora prima, mi aveva incatenato nella cabina di Malantúnez. Lo informai del mio recente arruolamento come pirata dell’Orión e, dopo aver ricordato il mio astuto piano per ottenere altri semi, gli chiesi una razione bella fresca di grog. Purtroppo quella bevanda veniva razionata; e non è tutto, l’etilica bevanda poteva venire servita solo ai pirati che fossero in potere di un Certificato di Pirata di Bassissima Moralità.

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Laureato in pirateria e rapina

Per ottenere tale certificato, era imprescindibile passare tre dure prove: superare con successo un test sul Malandrinaggio classico, presentare una prova irrefutabile di furto e rapina e commettere un atto di estrema crudeltà. Fatto questo e compilato il dovuto formulario, avrei potuto finalmente compiere i requisiti per ottenere la nostra meritata razione di grog. Disposto, come sempre, a ottenere il mio obiettivo a tutti i costi, decisi di affrontare prima di tutto l’esame di Malandrinaggio. In fin dei conti, non si poteva essere di certo in capitano della Marina inglese e il comandante di una famosa nave senza avere una certa cultura... Quindi enumero ognuna delle domande che mi vennero poste con le loro corrispondenti risposte giuste:

1) Chi fu il cuoco di bordo nel famoso equipaggio dello sfortunato Capitano Flint? Long John Silver, che domande.

2) Quale fu il primo mestiere del Capitano Blood, molto appropriato per qualcuno che sarebbe diventato un pirata sanguinario? Medico, ovviamente.

3) Come scappò il Capitan Swallow dell’isolotto in cui abbandonollo il Maledetto Capitano Babossa per la prima volta? Inventando il tartaruga-surf, come risaputo.

4) Attraverso quale ingegnosa combinazione i Quattro Pirati di Porto Lenticchia riuscirono a prendere il Caribbean Express alla fermata dell’Isola Cece? (Questa domanda è stata convenientemente riassunta perché nessuno smetta di leggere il mio racconto proprio ora che manca così poco per la fine). Primo viaggio – Wobblins e Cojuelo (torna Wobblins). Secondo viaggio – Passoromo e L’Eclope (torna Cojuelo). Terzo viaggio – Cojuelo e Wobblins.

Dopo aver superato con successo quella dura prova, decisi si ispezionare un baule di legno che si trovava a sinistra del banco di Cane Botte, una specie di cassonetto pieno di oggetti e sostanze inutili di tutti i tipi, anche se cercai di ricordare gli aggeggi che avevo visto nel caso mi fossero serviti più avanti. Bene, considerato che avevo con me la statuina rubata nella stiva del tesoro, pensai che forse mi sarebbe servita come prova irrefutabile di furto (anche se riconosco che mi dispiaceva separarmi da un oggetto di cotanta bellezza). Totalmente consapevole e disposto a intraprendere i miei seguenti obiettivi, consegnai la statuina a Cane Botte. Stupito per il mio misfatto, si congratulò con me per aver superato la seconda prova. Ora me ne restava solo una, la più temuta, quella che esigeva accanimento e sangue freddo. Quindi mi ricordai di avere con me Cane Demone, e che mi prenda un fulmine se quella bestiola non mi aveva dato del filo da torcere per accedere al tesoro di Malantúnez...

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Sì, non avevo altra scelta. Il pirata piccoletto era la mia unica possibilità. Qual è la miglior vittima per un atto di crudeltà estrema che un animaletto microscopico? Mmh, cosa potrebbe infondere orrore, timore e paura a questo piccolo malandrino? Ahà! Proprio così! Disposto a liberarlo dalla sua miseria, mi diressi perso il barile d’acqua cristallina che avevo scoperto poco prima, dopo essere uscito dalla cabina di Malantúnez. Ma proprio quando stavo per introdurre Cane Demone nel barile, mi ricordai di un oggetto del baule che sarebbe stato la ciliegina sulla torta... Mi diressi di corsa verso il baule e presi una schifosa saponetta. Quindi tornai sul luogo scelto per commettere il mio maggiore atto di crudeltà: lavare un pirata fino a lasciarlo lindo e pulito. Prima introdussi il sapone nell’acqua e mi accorsi che la leggenda era veritiera: il liquido divenne bianco e schiumoso come se un cane rabbioso avesse infettato il barile. In seguito, introdussi lo spaventato Cane Demone e lo lasciai pulito, lucente e completamente affranto (beh, come tutti sanno, un pirata senza sporcizia è un pirata senza forza).

Soddisfatto della mia malvagità, decisi di entrare nella cabina di Malantúnez per soffiargli un Certificato di Pirata di Bassissima Moralità (sapevo da precedenti indagini che li teneva, tra altri documenti burocratici, nel suo armadio). Avevo già tutto il necessario per ottenere il mio titolo e la mia meritata razione di grog, quindi andai a trovare il mio amico Cane Botte. Prima di tutto gli mostrai un immacolato Cane Demone e il povero Cane Botte impallidì istantaneamente di fronte a un simile esempio di crudeltà. Non c’era dubbio, avevo superato la terza prova. Quindi gli consegnai il Certificato affinché lo compilasse adeguatamente (atto che durò più del previsto per le reminiscenze del passato analfabeta di colui che scriveva). Dopo averlo timbrato, mi consegnò finalmente il tanto desiderato titolo. Senza perdere tempo gli diedi la bottiglia che portavo con me per farla riempire col mio meritato grog.

L’enigma di Cane Impiumato

Col prezioso alcool già in mio potere, en col disonore procuratomi dall’essere un Pirata di Bassissima Moralità, mi diressi di corsa e alla stiva del tesoro per sgraffignare tutto quello che trovavo. Una volta svuotata la stanza, scoprii che avevo lasciato un ultimo oggetto in fondo alla stiva. Si trattava di un imbuto che, anche se non era tempestato di pietre preziose, non avevo intenzione di lasciare lì. Dopo averlo preso, mi avviai in fretta verso il balcone della cabina di Malantúnez, dove mi accinsi a portare a termine il mio piano per la raccolta di semi. Quei buoni a nulla dei pirati da quattro soldi che si trovavano in coperta, avevano lasciato una bottiglia vuota appesa a una corda, e io avevo intenzione di riempirla affinché il loro palato soddisfatto desse il via a un consumo incontrollato di alimenti salati. Tuttavia non riuscivo a raggiungere quella maledetta bottiglia. E fu allora che mi ricordai del vecchio davanzale che mi portavo dietro e dato che avevo due chiodi e un fermacarte-martello, decisi di restituirgli il suo vecchio mestiere.

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Una volta rimesso a posto il davanzale, riuscii ad arrampicarmi e, usando l’imbuto, versai parte del mio grog nella bottiglia dei volgari mangiasemi. Decisi quindi di riposare un po’ nella cabina di Malantúnez per dar loro il tempo di prendersi una bella sbornia e buttare semi interi sul balcone. Dopo quella breve pausa che sfruttai per riprendere fiato, uscii di nuovo sul balcone e trovai nientemeno che… cinque semi! Sicuramente sarebbero stati sufficienti per corrompere quel maledetto Cane Impiumato. Appena iniziai a lanciargli il suo aperitivo preferito, quell’uccellaccio iniziò a parlare. Sembrava uno strano indovinello, poiché le sue parole furono queste:

“Brr... Il grande Malantúnez... brr... discese agli inferi... brr...brr... partendo dalla Spagna verso l’est e giungendo... brr...brr... all’Impero del Sol Levante... brr...brr... e dopo viaggiò a ovest fino alla Terranova...Brr... successivamente virò a est fino all’entrata dell’Inferno nelle greche isole... brr...e una volta ottenuto l’Astro Occulto dell’Averno emerse dal didietro del mondo... brr... Fine.”

Quindi notai un imponente mappamondo che apparteneva a Malantúnez. Forse il pappagallo parlava di una traversata che in qualche modo poteva venire rappresentata in quella sfera di legno. Beh, non avevo niente da perdere, quindi ci provai. Esaminando il mappamondo vidi che si poteva girare a destra e a sinistra, selezionando un punto della mappa in particolare con un rettangolo di vetro e ferro. Seguendo le istruzioni di Cane Impiumato, e partendo dalla Spagna, girai il mappamondo verso destra fino ad arrivare in Giappone. Clac! Uno strano rumore mi fece pensare di essere sulla buona strada. Quindi girai il mappamondo a sinistra fino a raggiungere Terranova. Clac! Di nuovo quel rumore. Infine girai di nuovo il mappamondo verso destra fino ad arrivare alla Grecia. E allora, finalmente, l’Astro Occulto sorse dal ventre della terra!

Quando lo ebbi tra le mani, mi sentii terribilmente saggio e potente. E, all’improvviso, quella pietra magica brillò in un modo tale che le mie mani poco avvezze a tale splendore la lasciarono cadere proprio all’interno di una sputacchiera Ming situata dietro di me. In quello stesso istante, venni sorpreso da un irato Malantúnez. Interrogato rispetto all’Astro, dissi la verità: lo avevo gettato dove tenebrose acque scatarrano... Ma il capitano fraintese le mie parole pensando che avessi buttato il suo prezioso talismano nelle acque dell’oceano. Furioso, perse la testa e fece in modo che a me succedesse la stessa cosa. Con un perfetto colpo di sciabola, mi decapitò senza pietà... ma, sorprendentemente, la mia testa ancora in vita e dotata di raziocinio riuscì addirittura a rispondere alle disperate parole di Lady Camille. Quindi giunse l’oscurità...

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Conclusione

E fu allora che mi risvegliai nella pelle di Brian Basco. Cosa diamine era successo? Mi trovavo di nuovo a bordo dello yacht, più precisamente nella sala d’immersione. Al mio fianco c’erano Camille e Sushi, che mi spiegarono cosa era successo perché non pensassi di essere impazzito: sembrava che durante la mia ultima immersione fino all’Orión qualcosa mi avesse colpito in testa all’interno della cabina di Malantúnez. Fortunatamente, Camille era scesa a salvarmi, ed era di nuovo lì, senza la trantonite. Allora comparve Joshua per parlarci della sua scintillante intelligenza e dell’ultima invenzione che aveva progettato (grazie alla quale sarebbe riuscito a sapere il luogo esatto, in tutto l’universo, in cui si trovava la trantonite). Ricordando il mio strano sogno di pirati, informai i miei amici ancora prima di lui sul posto in cui si nascondeva la pietra che stavamo cercando: all’interno di una sputacchiera Ming di Malantúnez.

Allora mi immersi per l’ultima volta e trovai la trantonite in quel vaso orientale. Tornando in barca, tutti i miei colleghi erano lì, disposti a fare festa per il nostro successo. Sembravano sicuri che il peggio fosse passato, che consegnare la trantonite ai trantoriani e sconfiggere Kordsmeier fosse una cosa da niente. Ma io sapevo che non sarebbe stato così. Sapevo che un intero esercito sorvegliava il lago in cui riposava la nave trantoriana. Sapevo che c’erano mercenari agli ordini della psicopatica Tarantola, telecamere ovunque, un traditore extraterrestre controllato da Kordsmeier… E come se non bastasse, sicuramente Lokelani e i miei amici dell’Isola Mala erano in pericolo. Allora qualcuno pronunciò il nome di Gina. Sentendolo crollai: non saremmo mai riusciti a salvarla. Ma allora, proprio allora, un evento imprevedibile mi restituì la speranza, molto poca, ma pur sempre speranza.