Soggetti, televisione godimento nell'età del biocapitalismo

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Soggetti, media e godimenti nell’età del biocapitalismo di Pasquale Stanziale Scene e scenari spettacolari- Condannati al godimento Elogio della retorica La felicità è una gabbia mediale Il totalitarismo dell’outlet L’estasi del comsumAttore 1

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Soggetti, media e godimenti nell’età del biocapitalismo

di Pasquale Stanziale

Scene e scenari spettacolari-Condannati al godimento

Elogio della retoricaLa felicità è una gabbia mediale

Il totalitarismo dell’outletL’estasi del comsumAttore

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Soggetti, media e godimenti nell’età del biocapitalismo© by P: Stanziale2013

Pasquale Stanziale

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Soggetti, media e godimenti nell’età del biocapitalismo

Scene e scenari spettacolari-

Condannati al godimento

Elogio della retorica

La felicità è una gabbia mediale

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L’estasi del comsumAttore

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«II biocapitalismo è la forma più avanzata di evoluzione del modello economico capitalistico. Una forma che si caratterizza per il suo crescente intreccio con le vite degli esseri umani. In precedenza, il capitalismo faceva principalmente ricorso alle funzioni di trasformazione delle materie prime svolte dai macchinari e dai corpi dei lavoratori. Il biocapitalismo invece produce valore estraendolo, oltre che dal corpo operante come strumento materiale di lavoro, anche dal corpo inteso nella sua globalità. Dunque agisce su tutte le componenti biologiche e sulle dimensioni mentali, relazionali e affettive degli individui. Ne consegue che deve presentarsi agli esseri umani in modo nuovo rispetto al passato, evidenziando un volto umano accattivante.»

(V. CODELUPPI 2008:7)

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1- Scene e scenari spettacolari

1.1Una ricerca sul biocapitalismo non può iniziare senza chiamare in causa la Società dello Spettacolo di G. Debord (G. Deebord 2002), un’analisi che rimane, a nostro avviso, una riferimento imprescindibile per comprendere gli esiti strumentalistico-spettacolari del biocapitalismo.-La società dello spettacolo costituisce lo sfondo sul quale, ieri come oggi, prendono forma le dinamiche e i processi relativi al desiderio, al consumo delle immagini, all’immaginario ed alla fiction economy.-Gran parte di quello che è successo sulla scena sociale, politica, comunicativa ed anche urbanistica degli ultimi cinquant’anni era profeticamente presente nelle intuizioni di Debord e dei suoi amici situazionisti come opportunamente ha sostenuto Agamben (1988.) -Per Debord «Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale» (G. Debord 2002:58), compreso la merce-spettacolo umana.-La società dello spettacolo, nella sua ideologia di fondo, si presenta come quell’Ordine (l’Immaginario) in grado di generare consenso collettivo (S. Žižek 2004).

1.2La società dello spettacolo (SdS) di Debord rappresenta inconfutabilmente un punto di non ritorno nell’ambito di una teoria critica della società pure nell’assetto biocapitalistico, critica, nel senso che sarà sempre della Sds che occorrerà tener conto per comprendere correttamente le strategie di autoriproduzione e accumulazione capitalistiche. Proposte di analisi come quelle contenute nei concetti di accesso rifkiniano, di new economy, di alienazione biotecnologica, di economia finzionale, viste in una loro collocazione critica, non possono non essere ricondotte alle concezioni di fondo della Sds, unitamente alle analisi di R. Vaneigem e degli altri situazionisti ortodossi e non.La Sds corrisponde, ad una fase storica di ristrutturazione del capitale - nella seconda metà del ‘900 - che consolida talune strategie di dominio nell’ambito produttivo e dà origine a nuove direttrici di

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consumo relative al passaggio all’avere e al baudrillardiano simulare. Per Debord, inoltre, il divenire immagine del capitale si realizza nella metamorfosi della merce in generale che tende a perdere il suo valore d'uso acquistando valore a partire dall'immaginario sociale.

1.3È possibile inoltre verificare come vi sia una corrispondenza tra elementi teorici debordiani ed alcuni significativi ambiti analitici contemporanei. In particolare la distinzione debordiana tra società in cui lo spettacolo si presenta concentrato, diffuso o integrato (Sds e Commentari del 1997) viene, per molti aspetti ad avere un riscontro con le fasi dello sviluppo del capitalismo dei consumi esaminate da Lipovetsky (2007) ovvero: 1) la fase della nascita dei mercati di massa,2) la fase del ciclo storico che inizia negli anni ’50 caratterizzata dalle società del consumo di massa- e che richiama ampiamente lo spettacolare diffuso debordiano, 3) la fase infine che va oltre lo standing ed è caratterizzata dai consumi emotivi ed è pertinente alla organizzazione economica post-fordista e al turbo-consumerismo, segnando il destino felice dell’ homo consumericus. Questa fase è strettamente connessa, nell’ambito biocapitalistico, a quello che Codeluppi (2008) chiama “processo di astrazione della società” in cui il capitale tende a smaterializzarsi nel credito e nella finanza ed il lavoro stesso si trasforma nel quadro di una produzione industriale reticolare propria del post-fordismo.Questa ultima fase, infine, corrisponde, per moltissimi aspetti a quella dello spettacolo integrato nel suo senso ultimo, quando la spettacolarità partecipa pienamente alle dinamiche proprie del biocapitalismo, una spettacolarità che

«si è mescolata ad ogni realtà…. perché l’esperienza pratica del compimento sfrenato della volontà della ragione mercantile mostra, rapidamente e senza eccezioni, che il divenir-mondo della falsificazione era (è) anche un divenir-falsificazione del mondo» (G. Debord 1997:194).

1.4Le 72 tesi dei primi tre capitoli della Sds tracciano un percorso organico, partendo dal concetto di separazione - che riprende in una prospettiva innovativa sia il concetto di alienazione (sulla linea Hegel, Feuerbach, Marx) che il concetto di scissione (del Lukàcs della Teoria del romanzo) - per giungere al concetto di falsa unità che informa di sé tutta la realtà spettacolare. La separazione che si compie per Debord (con riferimento anche all’eccesso di metafisica lukàcsiano) sembra portare a compimento quel processo di scissione tra il soggetto e se stesso originato dalla rottura dell’unità presente nel mondo greco.

1.5Debord tratta del dominio proprio di una società che è dello spettacolo i cui «all’affermazione dell’apparire corrisponde una separazione dalla vita» (G. Debord 2002:64).Lo spettacolo, quindi, si fa rapporto sociale e visualizza in modo totalizzante e pervasivo il suo essere capitale ovvero biocapitale in cui i soggetti sono assunti come merce spettacolare di consumo.Sono presenti in questi assunti del primo capitolo rielaborazioni tratte dal giovane Marx, quando scrive dell’alienazione nella società borghese, mentre il secondo capitolo riprende il concetto di feticismo della merce sulla linea Marx-Lukàcs.Debord afferma che il predominio dello spettacolo si attua attraverso l’occupazione della vita sociale da parte della merce. A ciò corrisponde la vittoria del valore di scambio sul valore d’uso in una società che sancisce la vittoria dell’economia autonoma.

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Ma è nel rapporto tra economia e società che Debord individua una possibile forma di riscatto là dove, infine, l’economia finirebbe col dipendere pur sempre dalla società e dalla lotta di classe. Parafrasando Freud, Debord afferma che l’Io deve situarsi là dove c’era l’es economico e, politicamente, che «il desiderio della coscienza e la coscienza del desiderio» costituiscono un unico progetto mirante all’abolizione delle classi (G. Debord 2002:155).

1.6È inevitabile, a questo punto, affrontare quell’importante nodo teorico riguardante il rapporto indissolubile tra economia, spettacolo e immaginario: un ambito strategicamente significativo dell’ambito del biocapitalismo. Nodo borromeo che si fa struttura divenendo un nucleo dialettico in grado di articolare in modo evolutivo le intuizioni debordiane. Questa struttura traduce fondamentalmente il significato e il significante della merce ovvero l’immagine-merce, il feticcio-merce, il soggetto-merce, ovvero fascinazione, illusione, scambio, consumo. Ciò in una fase di evoluzione strutturale dell’economia verso una evidente ed affermata sua autonomia che può essere ben correlata alle marxiane due astrazioni/alienazioni (A. Jappe 1999) ovvero lo Stato e il Denaro riguardanti il divenire membro di una comunità e l’accesso al mondo del lavoro. L’ipostatizzazione di queste astrazioni/alienazioni si concreta nello spettacolo da intendersi come ideologia materializzata (G. Debord 2002 cit.), ambito che vedremo in seguito in una prospettiva diversa. Questi riferimenti che attualizzano, attraverso Debord, le istanze del giovane Marx vengono riaffermate- come giustamente sottolinea Jappe - nel Capitale che individua nell’astrazione la forma-merce dell’economia moderna.

1.7Come nota, poi, M. Pezzella (1996:78) il potere economico richiama immediatamente un immaginario inseparabile dal desiderio (come vedremo in seguito), un immaginario che va oltre il valore d’uso realizzando il valore di scambio. Si tratta qui di individuare «l’economia nella sua cultura» (W. Benjamin 1986:595 in Pezzella 1996:79) che mostra come economia e immaginario siano termini legati da un indissolubile legame funzionale nell’ambito di quella economia libidinale di cui parla Lyotard (1978). Per quanto riguarda lo spettacolo esso non è una sovrastruttura - nel tradizionale linguaggio marxista - e neanche una simulazione (J. Baudrillard 1979). Esso, nel contesto della Sds, è allo stesso tempo: una figurazione dell'immaginario (la fantasy/fiction žižekiana), una tecnica di produzione e un motore della circolazione del capitale ma anche lo sfruttamento, come vedremo, del biocapitale.

1.8Nel terzo capitolo della Sds Debord mostra come nella sua unità fittizia, lo spettacolo tenda a mascherare le contraddizioni e le lacerazioni della società e dei poteri che la dominano. La banalizzazione, la vedette specializzata nel vissuto apparente, le finte lotte spettacolari e, aggiungiamo noi, le situazioni concentrazionario-spettacolari entro cui i soggetti sono chiamati miticamente a mostrare tutti gli aspetti della loro soggettività spettacolarizzata: tutto ciò rappresenta un artificiale che traduce nello spettacolare la falsificazione della vita sociale. Uno spettacolare che si presenta sullo scenario globale come concentrato o diffuso a seconda della miseria che smentisce o mantiene.

1.9Per quanto riguarda le risposte invertite alle domande debordiane troviamo che queste sono fatte proprie dal marketing di aziende (Negozi Hollister ecc. - M. D’Ambrosio 2008), la deriva debordiana è sperimentata e istituzionalizzata da Facoltà di Architettura romane e torinesi ed è presente in alcuni format TV nei quali vengono costruite situazioni emozionanti da attraversare.

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Il gruppo Luther Blisset (oggi Wu Ming), anche, ha fatto la sua parte (P. Stanziale 1998) con le relative denigrazioni e con critiche di cui qualcuna, a nostro avviso, fondata. Che dire poi di quel gigantesco dètournement pervasivo che prende il nome di postmoderno, figurazioni che assemblano stili precedenti secondo un progetto ludico, partecipando ad uno spettacolo globale, ad un immenso “simulacro immaginifico” (F. Jameson 1994) tra stereotipizzazioni e nostalgie.

1.9.1- La narrazione situazionista ebbe indubbiamente successo (G. Debord G. Sanguinetti 1999 P. Virno 1999 P. Stanziale 2008) ma la sua spinta si infranse contro la massiccia affermazione del dominio capitalista in espansione, vittoria e sconfitta dunque- come affermato da molti- ma anche lo stabilizzarsi di un nucleo di teoria critica di riferimento come tappa importante di un itinerario che, partito da lontano, deve essere ripreso e organicamente integrato con nuovi e più incisivi strumenti di analisi a fronte di scenari contemporanei stagliati sullo sfondo di reticoli schizoidi in cui il soggetto biocapitalistico è frammentato, risucchiato tra forme di estetizzazione di massa e mercificazioni edonistiche, tra godimenti autoritari, esaltazioni narcisistiche ed esplosioni nichilistiche. Il tutto costituendo le nuove frontiere dello spettacolo che tende in modo sempre più pressante a saturare quella totalità che R. Vaneigem (1994) in Banalità di base (Tesi 24) intende come «la realtà oggettiva nel cui movimento la soggettività può inserirsi sotto forma di realizzazione» e «là dove non vi è realizzazione vi è lo spettacolo».

1.10Il concetto di società dello spettacolo rappresenta quindi un riduttore di complessità contribuendo ad un comprensione critica dell’universo socio-politico biocapitalistico attuale. Questo perché lo spettacolo- come abbiamo già visto- ha assunto un valore strutturale con tutto ciò che ne deriva sia per l’economia del soggetto che per l’ambito sociale e politico. Il passaggio dalla società post-industriale alla società del dominio spettacolare ha avuto una duplice conseguenza: l’emergere di una diversa strategia di potere basata su parametri, che sono andati a modificare vari ambiti tra cui quelli biologici, politici e comunicativi, e il fatto che tutto questo è avvenuto nel cuore stesso del sociale che il potere ha potuto ristrutturare secondo i sui nuovi indirizzi. Lo spettacolare integrato debordiano è stato il risultato di questo stato di cose, riuscendo ad imporsi in modo autonomo e articolato divenendo una funzione vitale costitutiva della volontà individuale.

1.11

Secondo J-L Nancy (2001), infine, la critica dell’attuale globalizzazione capitalistica, passa per la critica del radicalismo filosofico situazionista alla società dello spettacolo, intesa (quest’ultima) come il compimento della

«mercificazione generale dei feticci […] con la produzione e il consumo di beni materiali e simbolici (tra cui, in primo luogo, l’ordinamento del diritto democratico) che hanno tutti il carattere d’immagine, d’inganno o di sembiante» (J-L. Nancy 2001:98).

La società dello spettacolo è, in ultima analisi, quella

«che porta a compimento pieno l’alienazione, grazie ad un’appropriazione immaginaria dell’appropriazione reale. Il segreto dell’inganno è questo: l’appropriazione reale non è altro che una libera immaginazione creatrice di sé, indissolubilmente individuale e collettiva ma la merce spettacolare, in tutte le sue forme, non è a sua volta altro che un immaginario venduto al posto di questa immaginazione autentica» (J-L. Nancy 2001:121).

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Nancy partendo da queste analisi ritiene che la critica situazionista sia inficiata dalla metafisica dicotomia tra una verità dell’essere vs una fallace apparenza:

«il limite della critica situazionista consisterebbe nel non aver compreso appieno ciò che rendeva manifesto, ossia la costitutiva dimensione simbolico-spettacolare del legame sociale […] la questione [è quella] di capire se lo spettacolo non sia, in un modo o nell’altro, una dimensione costitutiva della società: in altri termini, se ciò che chiamiamo il legame sociale possa essere pensato al di fuori di un ordine simbolico e se quest’ultimo possa a sua volta essere concepito al di fuori di un registro dell’ immaginazione o della figurazione, che sembrerebbe necessario, a questo punto, ripensare daccapo […] può darsi che il fenomeno dello spettacolo generalizzato, con la dimensione, diciamo tele-mondiale, che non soltanto lo accompagna, ma che gli è consustanziale, riveli tutt’altro, se ci sforziamo di decifrarlo altrimenti» (J-L. Nancy 2001:132).

Ci sembra opportuno a questo punto considerare che:-effettivamente è necessario ripensare il rapporto tra legame sociale e ordine simbolico;-se in linea di principio vi possono essere fondamenti validi per una critica al situazionismo ciò non toglie che lo spettacolismo biocapitalistico nelle società occidentali tende sempre più ad estremizzarsi giungendo alla negazione ed allo sfruttamento spettacolare del soggetto attraverso forme sempre più esasperate di espropriazione, come in certa spettacolarità mediale; in tale ambito il con-essere e la com-parizione di cui parla Nancy nel suo Essere singolare plurale (2001) divengono partecipi di una omologazione generalizzata che elude ogni autenticità;-certamente l’ontologia della com-parizione è da considerarsi il primo e fondamentale passo di un pensiero critico rinnovato ma bisogna fare ancora i conti con tutta una serie di modalità attraverso cui la società dello spettacolo partecipa a forme evidenti di patologia nella dimensione dell’essere sociale. E in questo ambito di valutazioni ci sembra pertinente citare Robert Kurz

«[Le idee di Debord] sono perfino più attuali che mai. Debord, nel suo tempo, tenne in vista principalmente il mezzo spettacolare televisivo constatando uno sviluppo del moderno feticismo giunto a un grado di accumulazione del capitale in cui esso diventa immagine e sostituisce interamente il mondo sensoriale con una selezione delle immagini. Ciò naturalmente non si riferisce solo alla semplice tecnologia mediale ma a una nuova qualità della sussunzione reale al capitale (Marx), una sussunzione non solo dei processi di produzione, ma della totalità della vita e della totalità dell'esperienza, a una feticizzazione di tutte le relazioni fino all'intimità, come [sopra] ho già suggerito, come soggezione di tutte le sfere della vita alla astrazione reale del valore e come liberazione dell'individuo astratto. A ciò corrisponde una medializzazione del quotidiano in cui i mezzi tecnici di comunicazione non si autonomizzano per sé, ma nel loro carattere inscritto nella merce e, in un certo modo, duplicano il feticismo della forma merce. Questo sviluppo si è drammaticamente intensificato con le nuove tecnologie della comunicazione della terza rivoluzione industriale. Ora, non si tratta appena di cruda tecnica, ma di una virtualizzazione generale del mondo della vita, come si può vedere nell'onnipresenza del telemobile, SMS etc. e soprattutto di Internet. Ciò va di pari passo con la virtualità del nuovo capitalismo finanziario, che si è staccato dall'accumulazione reale del capitale, come fenomeno di crisi. Nel virtualismo del pensiero postmoderno, tutto questo processo fu ideologizzato e parzialmente compreso male come emancipazione. Ma non é altro se non un'espressione della crisi del soggetto, nella quale si riproduce come fenomeno della coscienza il limite interno del moderno sistema produttore di merci» (2006).

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2- Condannati al godimento

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2.1Il concetto di godimento, in tempi recenti è venuto prepotentemente alla ribalta attraverso quel potente apparato teorico che partendo da J. Lacan ha trovato in autori come S. Žižek una maturazione in grado di far luce in modo sistematico su meccanismi, tendenze e cristallizzazioni del biocapitalismo attuale. In particolare la teoria dei tre registri del soggetto e la teoria dei quattro discorsi

2.2Estrapoliano dal contesto delle teorie lacaniane (J. Lacan 1974 1982), relativamente all’Immaginario, che:-esso è la struttura dell’Io (Moi),-la funzione immaginaria è subordinata alle determinazioni del Simbolico,-l’Immaginario e il Simbolico si distinguono in funzione delle loro relazioni col Reale,-la funzione immaginaria presiede all’investimento narcisistico dell’oggetto.

Per quanto riguarda il Simbolico (che Lacan mutua dall’antropologia strutturale di C. Lévi-Strauss):-esso è costituente per il soggetto,-esso non copre e spiega tutto,- esso annoda e snoda l’Immaginario col Reale (J. Lacan 1974).

E quindi il Reale è l’impossibile, esso sussiste al di fuori della simbolizzazione, è l’inconscio in quanto indicibile. Il Reale è il luogo che accoglie ciò che è rifiutato dal Simbolico ed è connesso col godimento (jouissance) (S. Žižek 2004)

2.3- È nel quadro che stiamo delineando che emerge il contributo importante offerto dalla psicoanalisi lacaniana all’economia dell’immaginario con il concetto di godimento. Questa jouissance riguarda ciò che va al di là del principio del piacere ed è connessa con il Reale lacaniano. Questo perché l’approccio psicoanalitico all’ideologia di dominio- nei suoi rapporti con la cultura di massa- si presenta abbastanza esplicativo nella direzione di una visione politica dell’immaginario contemporaneo connesso con l’universo spettacolare (M. Senaldi 2008).

2.4Le relazioni tra i registri (RSI) e l’economia si possono visualizzare, nello schema seguente.

Immaginario

Simbolico Reale

Godimento

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L’economia risulta qui connessa con i tre registri di cui l’Ordine simbolico annoda e snoda il Reale e l’Immaginario. Essa è partecipe, in vario modo, delle logiche di occlusione, collusione, invasione e godimento che regolano i tre registri. In particolare l’immaginario, come abbiamo visto, fornisce all’economia abbastanza materiale da usare, ma anche il simbolico, con i suoi trend e con i suoi significanti rappresenta una fonte di acquisizione per i processi di valorizzazione. In questa schematizzazione c’è anche del godimento connesso con il Reale tenuto a bada dall’immaginario e dal simbolico ma che è prodotto come plus.

Lo schema seguente invece (P. Stanziale 2006) integra lo schema precedente e cerca di definire il sistema circolare di relazioni che legano il Capitale, l’industria culturale e il soggetto con riferimento alla centralità strategica dell’immaginario (vedi anche punto 5.7).

Lo schema rivela anche una situazione strutturale che, ad un livello più profondo, richiama alcuni fattori propri delle tendenze del biocapitalismo.

SIMBOLICO

Economia

IMMAGINARIO

REALE

[Godimento]

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2.4.1- Il concetto di godimento trova la sua centralità in Žižek (2001 2004) che lo intende, con riferimento alla psicoanalisi lacaniana (Lust im Unlust), come oscuro supplemento superegoico, come dato proprio dell’ideologia, riscontrabile come la segreta oscenità presente nell’esercizio del potere- e delle relative forme di linguaggio, nei risvolti della cultura di massa e, quindi, nell’ambito dello spettacolare contemporaneo. Tenendo presente quanto scrive Žižek:

«quand’è che io incontro l’altro nel Reale del suo essere… solo quando incontro l’altro nel suo momento di jouissance, cioè quando scopro in lui/lei un piccolo dettaglio- un gesto compulsivo, una eccessiva espressione del volto, un tic- che segnala l’intensità della realtà della sua jouissance ...l’incontro con il Reale è sempre traumatico, c’è qualcosa perfino di minimamente osceno in esso» (S. Žižek 1999:32).

Seguendo la metodologia žižekiana, troviamo, ad esempio, come il potere spettacolista televisivo si tradisca come godimento nel ghigno-sorriso involontario che appare in alcuni momenti-clou spettacolari sul volto di una ideatrice-conduttrice di format d’intrattenimento pomeridiani. Personaggio proprio della videocrazia contemporanea, esperta nell’organizzare artificiali cortocircuiti emozionali tra persone e nella spettacolarizzazione di continui outing di adolescenti che saranno famosi. Questo emergere del godimento, nella teoria lacaniana dei quattro discorsi (J. Lacan 1982 M. Recalcati 1995) è proprio del discorso del maître in cui un significante-padrone (la presentatrice iscritta nell’ordine simbolico come espressione del potere) agendo nell’alterità spettacolare (espressione di un sapere), rimuove sia la produzione di godimento (objet petit a)- che però affiora- che la sua verità di soggetto barrato (mancanza a essere).

Questa dinamica introduce la dimensione del godimento nella dimensione mediocratica della società dello spettacolo ma anche apre, in Žižek, al rapporto tra cultura di massa e Ordine Simbolico. Sullo sfondo della società dello spettacolo tale rapporto si presenta nel quadro di una complessa processualità nella quale la cultura di massa rappresenta l’immaginario del Simbolico che, nel suo farsi godimento, tradisce il Reale del Simbolico mostrandone le oscenità di fondo (S. Žižek 1999). Il godimento allora, come reale del Simbolico rivela l’altro lato di questo, le modalità di mascheramento del suo vuoto costitutivo.

2.4.1.a- S. Žižek (1999) nota anche, riferendosi a Lacan (1983), come nell’epoca del biocapitalismo si verifichi una inversione nella struttura superegoica freudiana per cui se prima l’individuo era portato a reprimere il piacere e il godimento nel rispettare le leggi del sociale, l’attuale soggetto post-storico è all’inverso condannato all’eccesso, a dover godere. Il super-io non solo pone divieti ma costringe anche al godimento:

«Niente costringe qualcuno a godere, tranne il super-io. Il super-io è l’imperativo del godimento -Godi!» (J. Lacan 1983:85).

2.4.2- A completamento di questa parte relativa al godimento non possiamo non richiamarci alla lacaniana teoria dei quattro discorsi (J. Lacan 1982) accennando al discorso della civiltà e del capitalista (J. Lacan 19878:40) tralasciando i discorsi dell’isterico, dell’università e dell’analista.La teoria dei quattro discorsi è un classico della psicoanalisi lacaniana. Premesso che il discorso- sulla linea Althusser-Lacan- è una determinazione dell’ordine simbolico, abbiamo con questa teoria l’inclusione del soggetto nella struttura. Si stabiliscono quindi rapporti tra significante e godimento e tra simbolico e reale: tutto secondo i

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principi di una topica, di una dinamica e di una economia in quanto c’e, come direbbe Lacan, della produzione, di un più-di-godimento (collegabile ad un plusvalore) (M. Recalcati 1995).

Premesso che nel matema lacaniano dei discorsi i posti sono:

e cheS1 = significante padrone,S2 = il sapere,S/ = soggetto barrato (mancanza-a-essere),a = oggetto “piccolo a”, godimento,--- = barra di rimozione.

abbiamo il matema del discorso della Civiltà (o del Padrone) e del Capitalista

in cui è rilevabile, nel primo matema, il freudiano disagio della civiltà: rimozione del soggetto barrato (nel posto della verità) da parte di un (agente) significante padrone, con il sapere nel posto dell’Altro e con la produzione di godimento (il marxiano plus-valore può essere connesso, come accennato in precedenza, con il plus-godere) (S. Žižek 2004). Nel secondo matema, troviamo una inversione per cui in azione è il soggetto barrato (agente) che rimuove il suo essere significante-padrone (verità) nel rivolgersi ad un sapere/Altro e producendo, anche in questo caso, plus-di-godimento (J. Lacan 1978 A. Soueix 1995 M. Recalcati 1995 2010).

2.4.3- Quest’ultimo matema è particolarmente interessante dato che costituisce una intersezione tra psicoanalisi, filosofia, economia e politica. Si osserva ulteriormente: a) che il capitalista ha sembiante di padrone, è sganciato da un rimosso Significante-causa, la parvenza determina la verità;

S/ S2 ----- ------ S1 a

S1 S2 -------- ------- S/ a

Discorso del/la Padrone/Civiltà

Discorso del Capitalista

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(/agente/direzione/parvenza) (/Altro/sign. padrone/sapere/) ------------------------------------ ------------------------------------ (/verità/soggetto ) (/produz./scarto/godimento/)

b) che l’unica verità è la propria, è il soggetto che detiene il potere; c) che si tratta di una posizione tipica del capitalismo contemporaneo in cui non esiste conflitto tra ideale e godimento; d) che il circuito discorsivo è veloce e circolare secondo l’andamento delle frecce e giocato sul godimento, ovvero si ha una circolarità del consumo senza limiti con una soddisfazione illusoria; e) che il soggetto si rivolge al sapere (scientifico) per produrre oggetti-gadget per consumo e godimento. In tale ambito il biocapitalismo trova una sua dimensione pregnante dato che, in date aree, il soggetto stesso tende ad essere totalmente gadgettizzato in una spettacolarizzazione continua.f) Lacan ritiene la macchina capitalistica veloce nel consumo fino alla consunzione (J. Lacan 1978), ovvero consumando la macchina capitalistica si consuma e il suo consumarsi comprende la sintomatologia contemporanea delle tossicodipendenze, delle anoressie dello shopping compulsivo ecc..

3- Elogio della retorica

3.1- La pubblicità come comunicazione, con la sua funzione ideologica, è una delle forme culturali particolarmente dominanti nel biocapitalismo.Nota Baudrillard che

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«la pubblicità e la propaganda acquistano tutto il loro vigore a partire dalla Rivoluzione d'Ottobre e dalla crisi mondiale del '29. Entrambe sono linguaggi di massa, nati dalla produzione di massa delle idee o delle merci, i cui registri, prima separati, tendono progressivamente a ravvicinarsi»(J. Baudrillard 1994:101).

E che«ciò che stiamo vivendo è l'assorbimento di tutti i modi virtuali d'espressione in quello della pubblicità. Tutte le forme culturali originali, tutti i linguaggi specifici sprofondano nel modo d'espressione della pubblicità, poiché esso è senza profondità, istantaneo e istantaneamente dimenticato. Trionfo della forma superficiale, minimo comun denominatore di ogni significazione, grado zero del senso, trionfo dell'entropia su tutti i tropi possibili. Forma più debole di energia del segno. Questa forma inarticolata, istantanea, senza passato, senza avvenire, senza metamorfosi possibile, poiché è l'ultima e ha potere su tutte le altre. Tutte le forme attuali d'attività tendono verso la pubblicità, e la maggior parte di esse vi si esaurisce. Non si tratta necessariamente della pubblicità nominale, quella che si produce come tale - ma della forma pubblicitaria, quella di un modo operativo semplificato, vagamente seduttivo, vagamente consensuale (tutte le modalità vi sono mescolate, ma in un modo attenuato, indebolito). Più generalmente, la forma pubblicitaria è quella dove tutti i contenuti particolari si annullano nel momento stesso in cui possono trascriversi gli uni negli altri, laddove la caratteristica degli enunciati "pesanti" e delle forme articolate del senso (o dello stile) è di non potersi tradurre reciprocamente, così come le regole di un gioco» (J. Baudrillard 1994:103).

3.2 - La pubblicità fornisce continuamente supporti alla metonimia del desiderio il quale è preda di opportune e strumentali strategie estetico-spettacolari (R. Sassatelli 2004), tutto in una spirale senza fine. La pubblicità traduce i beni in immagini, in simboli che, a loro volta richiamano la merce con un continuo gioco di rimandi (W. Gibson 2005 e F. Carmagnola 2006). Questi beni simbolici partecipano ad un universo sociale e retorico (A. Appadurai 1996) in cui il marxiano rapporto tra struttura e sovrastruttura diviene fluido nel quadro di una economia culturale globale basata su disgiunture relative a flussi culturali tra cui il mediorama relativo a

«’mondi immaginati’, cioè mondi multipli che sono costituiti dalle immaginazioni storicamente situate di persone e gruppi sparsi intorno al globo… forme che caratterizzano il capitale internazionale» (A. Appadurai 1996:109).

3.3- La pubblicità sembra anche operare attraverso una relazione triangolare connessa col desiderio mimetico (vedi punto 2.3.d.a) di cui parla R. Girard (1999). Il triangolo riguarda il soggetto desiderante, l’oggetto e il modello che si interpone, come mediatore-attrattore, tra il soggetto e l’oggetto. In questo circuito la relazione fondante è quella tra il soggetto e il mediatore-attrattore lasciando quasi in secondo piano l’oggetto.

3.4Homo videns, homo consumericus, homo felix, homo sucker infine (S. Žižek 2002), sono figurazioni biocapitalistiche che riguardano lo spossessamento, il desiderio, il consumo, la merce, il godimento e, infine, l’utopia della felicità (G. Lipovetsky 2006). In quest’ultimo universo si inserisce anche l’homo ludens, quello dell’espressività edonistica, il quarto uomo (P. Dell’Aquila 1995) quello che è stato post-materialista negli anni ’80 ed è il neo-materialista degli anni ’90: quello dell’affermazione ultima dell’Io narcisista che è però diverso dall’Io narcisista post-industriale. Tutte queste dinamiche rispecchiano le strategie di marketing ma sono inequivocabilmente sempre riconducibili all’economia, allo spettacolo, al feticismo della merce

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(nella sua evoluzione dal feticismo tradizionale delle merci al feticismo in cui la merce tende a perdere la sua consistenza materiale assumendo la consistenza di entità virtuale - S. Žižek 2004),

4- La felicità è una gabbia mediale

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4.1Per quanto riguarda i media come universo comunicativo nell’era del biocapitalismo vediamo che il flusso delle immagini travolge ormai senza lasciare tempo alla riflessione, prescindendo completamente da ciò che il soggetto può capire e pensare. In questa esperienza concreta di sottomissione, che è permanente, si trova la radice psicologica dell’adesione generale a ciò che è presente e che ci rimanda direttamente al flusso delle immagini televisive, al primato delle immagini nella comunicazione globalizzata (A. Drinceanu 2005). Tale flusso produce «il prevalere del visibile sull’intelligibile che porta ad un vedere senza capire» (G. Sartori 2000:21). È il prevalere del consumo delle immagini rispetto alla conoscenza razionale, la televisione stabilizza il potere dell’immagine rispetto alla comunicazione scritta e parlata e struttura spazi di immaginario attraverso la ripetizione (vedi punto 6.6.c), producendo stereotipi, modelli di comportamento, consenso (V. Codeluppi 2009). L’immaginario collettivo, però, come spazio in cui comunicazione e desiderio si intersecano, tende ad impoverirsi nella misura in cui i flussi mediali di immagini diventano eccessivi, la saturazione della visione non lascia immaginare più nulla.

4.1.a- Nel mondo rovesciato dello spettacolare integrato biocapitalistico (G. Debord 1997) lo spettacolo–merce oltre ad essere separazione è anche scissione all’interno del soggetto secondo quanto aveva già scritto Debord e secondo la teoria lacaniana del soggetto. Questa scissione, originata dal prevalere del vedere, come già accennato, a discapito delle altre forme sensoriali, delega la propria soggettività alla forma-spettacolo in maniera irreversibile (R. Massari 2008), abdica se stessa a vantaggio della proiezione dei propri sogni nello spettacolo inteso come immaginario prodotto dal simbolico.

4.2.b- Su questo piano la televisione, attua quella che Sartori (2000:111) definisce una “mutazione antropogenetica”, producendo l’homo “videns” che a differenza dell’homo sapiens è limitato nel pensiero razionale, difetta di capacità di astrazione e di capacità simbolica, ha difficoltà, infine, nel rappresentare attraverso il linguaggio. Si tratta del passaggio ad un “postpensiero a-logico” senza capacità di connessioni, che ha immaginabili conseguenze negative e rischi per la democrazia.

4.2.c- B. Stiegler e J. Derrida nel quadro della loro critica radicale alla telecrazia così scrivono:

«Solo davanti al mio televisore, posso sempre illudermi di comportarmi in maniera individuale, ma la verità è un'altra: sto facendo la stessa, identica cosa delle centinaia di migliaia di telespettatori che guardano lo stesso programma. Divenute oramai planetarie, le attività industriali tendono a realizzare gigantesche economie di scala, e quindi a controllare e omogeneizzare i comportamenti attraverso tecnologie appropriate: di questo si fanno carico le industrie dei programmi, attraverso gli oggetti temporali che acquistano e diffondono, finalizzati a captare il tempo delle coscienze - cioè l'audience che vendono agli inserzionisti. […] Un oggetto temporale - una melodia, un film, una trasmissione radiofonica - è costituito dal tempo del suo svolgimento - quello che Edmund Husserl chiama un flusso. È un oggetto che passa.

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Ed è costituito dal fatto stesso di scomparire man mano che compare, così come le coscienze che unisce. Con il sorgere delle trasmissioni radio civili (1920) e più tardi dei primi programmi televisivi (1947), le industrie dei programmi producono oggetti temporali il cui trascorrere coincide con il trascorrere del tempo delle coscienze di cui sono gli oggetti. Questa coincidenza consente alla coscienza di adottare il tempo dei suddetti oggetti temporali. Le industrie culturali contemporanee possono quindi far adottare alle masse degli spettatori il tempo del consumo del dentifricio, delle bevande gassate, delle scarpe, delle automobili ecc. Ed è quasi esclusivamente in questo modo che si finanzia l'industria culturale. […] Ora, una «coscienza» è essenzialmente la coscienza di sé: quella di un singolo. Se posso dire io, è solo perché io mi do il mio proprio tempo. In quanto enorme dispositivo di sincronizzazione, le industrie culturali, e in particolare la televisione, sono macchine adibite alla liquidazione di quel sé di cui Michel Foucault (1992), verso la fine della sua vita, studiava le tecniche. Quando decine di milioni, se non centinaia di milioni di telespettatori guardano simultaneamente lo stesso programma in diretta, quelle coscienze interiorizzano, in tutto il mondo, gli stessi oggetti temporali. E se questo stesso comportamento di consumo audiovisivo si ripete ogni giorno, alla stessa ora e con grande regolarità, è perché tutto concorre a spingere a questo comportamento; e queste coscienze finiscono per divenire quelle di una stessa persona - cioè di nessuno. L'incoscienza del gregge libera un fondo pulsionale che non è più legato da un desiderio, poiché quest'ultimo presuppone una singolarità» (B. Stiegler J. Derrida 1996:158).

4.2Esito attuale della produzione di immaginario è la “spettacolarizzazione dell’interiorità” come scrive U. Galimberti (2008) e come scrive V. Codeluppi (2008) a proposito dei processi di vetrinizzazione. La televisione, con la spettacolarizzazione dell’interiorità, ha fatto crollare quel diaframma che separava l’interiore dall’esteriore, l’intimo dalla sua spettacolarizzazione. Galimberti sottolinea il fatto che la “pubblicizzazione dell’intimo” è pertinente alla “mostra delle merci”, al mostrare in cui i soggetti esistono in quanto esibiscono la loro interiorità di là da ogni pudore. Nello spettacolo televisivo prevale l’apparire, un apparire che nel suo spettacolarizzare sentimenti e sensazioni contribuisce, tutto sommato, alla vittoria di un immaginario omologato in cui le soggettività sono completamente soggiogate. Si assiste poi al fatto che, in certi format, persone in condizioni-limite sono portate a spettacolarizzare non la loro normalità ma le loro “patologie” (U. Galimberti 2008 ma anche V. Codeluppi 2009). Si tratta della nuova frontiera della degradazione spettacolare che pure ha un suo nutrito pubblico il quale vede rispecchiate in questi format le proprie vicissitudini quotidiane anche le più banali.

4.3Un ambito nel quale il biocapitalismo produce valore mettendo al lavoro gli individui con tutte le loro componenti biologiche, mentali e relazionali è quello dei reality-show. In questi format il genere umano si spettacolarizza almeno in due articolazioni. Da una parte format che vedono personaggi dei vari ambiti spettacolari, in ribasso di notorietà, agire in situazioni estreme attivando una osmosi giocata tra persona e personaggio. Questi vengono così riciclati caricandosi di nuovo interesse da spendere poi in varie partecipazioni nei vari talk-show successivi. Vi sono poi format in cui vi è gente comune usata nel quadro di sceneggiature rigorose in cui viene opportunamente strumentalizzata la spontaneità specifica dei soggetti, la loro immagine, la loro capacità relazionale. Questi format, dal costo contenuto e con materiale (umano) praticamente inesauribile, sono format-specchio in cui viene delineata un’area simbolica nella quale può collocarsi l’esistenza, costruendo conoscenze individuali e collettive in rappresentazioni della realtà comprendenti ruoli e stili comportamentali.

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4.4Il biocapitalismo mediale trova un proprio indirizzo produttivo in un campo in cui si mixano esistenza e spettacolo nella dimensione del divertimento- o meglio dell’emotainement (emozione e trattenimento)- ove spesso si dissolve la dignità personale dei partecipanti ai format a vantaggio di una chiacchiera-spettacolo di consumo accettata pienamente da gran parte dei telespettatori.Studi appositi andrebbero fatti, quindi, in tale ambito evidenziando gli effetti culturali di cinquant’anni di televisione commerciale in Italia, ovvero: verificare secondo quali modalità le persone sono state influenzate da modelli culturali, relazionali e comportamentali tratti da modelli mediali. In particola dalla televisione, un media che sembra offrire a tutti l’accesso sulla strada del potere, della fama e della ricchezza.

4.5Di fatto viene sfruttato il fatto che la televisione, come altri media, è produttrice di un tipo di cultura in grado di produrre elementi simbolici in grado di coniugarsi con il vissuto individuale in una ambito generale di significati e di percezione della realtà. Su tale piano il biocapitalismo si muove verso una occupazione totale degli spazi relativi ai modelli identificativi soggettivi riproducendosi senza soluzione di continuità. Ciò anche perché la medialità televisiva viene a collocarsi all’incrocio tra il voyeurismo generalizzato imperante ed il narcisismo proprio di una parte del pubblico che ormai tende a vivere come se fosse sotto l’occhio continuo delle telecamere. Il tutto nella proliferazione di mitologie spettacolari di cui il potere mediale ha continuamente bisogno per riprodursi.

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5- Il totalitarismo dell’outlet

5.1

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Il biocapitalismo sembra lasciare al soggetto poche vie di scampo. Si tratta di un tentativo di economicizzazione totale del soggetto come fonte del valore. L’essere umano diviene produttivo attraverso il suo corpo, attraverso la sua mente, attraverso il consumo. Come scrive V. Codeluppi (2008:37) questa tendenza si attua attraverso strategie comunicative e di consumo, personalizzando i prodotti come “riconoscimento di identità” e non come fornitura di merci e/o di servizi. È un nuovo livello di produzione di immaginario da parte del simbolico che tende a risucchiare strumentalmente tempo, energie e idee delle persone per proporre un consumo emotivo, affettivo, tonificante. Questo biocapitalismo, quindi, compendia gran parte dei processi e delle dinamiche che abbiamo esaminato in precedenza portando alcuni di essi ad un più alto livello di sofisticazione come ad esempio, il bio-branding, il product placement e la vetrinizzazione.

«Si tratta di un'economia anti-libidica: soltanto ciò che è singolare, e in questo senso eccezionale, può essere desiderabile. Io desidero solo ciò che mi appare eccezionale. Non c'è desiderio per la banalità, bensì una coazione a ripetere che tende verso la banalità: la psiche è costituita da Eros e Thanatos, due tendenze che vengono incessantemente a patti tra loro.L'industria culturale e il marketing cercano di sviluppare il desiderio di consumare, ma di fatto rafforzano la pulsione di morte, nel loro sforzo per provocare e sfruttare il fenomeno coattivo della ripetizione; e in tal modo contrastano la pulsione di vita. In questo senso, dato che il desiderio è essenziale ai fini del consumo, questo processo è autodistruttivo, o come direbbe Jacques Derrida, autoimmunitario.Io non posso desiderare la singolarità di qualcosa, se non in quanto questa cosa è lo specchio di quella singolarità che sono io: una singolarità di cui non sono ancora consapevole, e che questa cosa mi rivela. Ma dal momento che il capitale punta a ipermassificare i comportamenti, deve ipermassificare anche i desideri e rendere gli individui gregari. A quel punto, l'eccezione è ciò che va combattuto, come già Nietzsche aveva anticipato quando affermò che la democrazia industriale avrebbe fatalmente generato una società gregaria. Siamo in presenza di una vera aporia dell'economia politica industriale. Difatti, mettendo sotto controllo gli schermi di proiezione del desiderio d'eccezione si induce il predominio della tendenza thanatologica, o in altri termini, entropica. Thanatos vuol dire sottomettere l'ordine al disordine. In quanto Nirvana, Thanatos tende ad appiattire tutto: è la tendenza alla negazione di qualunque eccezione in quanto oggetto del desiderio» (B. Stiegler 2009:103).

5.2Sembra realizzarsi, poi, anche il consolidamento di quella società del controllo come la intendono G. Deleuze (1990) e M. Foucault (1978 1997), ovvero una società in cui si stabilizza un paradigma di potere basato sulle macchine che colonizzano direttamente i cervelli (nei sistemi della comunicazione, nelle reti informatiche ecc.) e i corpi (nei sistemi del Welfare, del monitoraggio delle attività ecc.), dispositivi direttamente connessi con la biopolitica.

«Il concetto di dispositivo permette di comprendere come funziona una rete di pratiche eterogenee e trasversali. Esso permette di analizzare l’insieme eterogeneo dei discorsi (i pericoli, l’immigrazione, il nemico interno, l’integrazione…), delle istituzioni (agenzie pubbliche, governi, organismi internazionali…), delle infrastrutture architettoniche (aree di attesa degli aeroporti, circuiti Schengen di circolazione, progetti di nuove città dotate di reti elettroniche di sicurezza e di video-sorveglianza integrate), delle leggi (sull’immigrazione, sul lavoro nero, sulla riforma del codice penale, sul terrorismo, sul crimine organizzato), delle misure amministrative (regolarizzazione dei

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clandestini, accordi transfrontalieri per il respingimento…). La nozione di dispositivo impedisce di vedere il campo come una configurazione di concatenamenti tecnici e giuridici monolitici, consentendo invece di vedere una configurazione di concatenamenti sociali mobili. Essa permette con ciò di distanziarsi dal fantasma della tecnica in senso stretto del termine (satelliti di sorveglianza, informatica, elettronica di spionaggio…), per ritrovare le tecnologie di addestramento del corpo all’obbedienza» (M. Foucault 1997:79).

«La biopolitica governa corpi multipli, fissandoli su un supporto identitario stabile che ne garantisca il controllo anche quando estremamente mobile. La proliferazione di identità plurali, anche a livello somatico, nonché la scomparsa di una identità di genere unica, anche attraverso la manipolazione e trasformazione di elementi identitari (attraverso ad esempio la plastica facciale, l’abrasamento delle impronte digitali e in genere ogni intervento sul corpo in senso postumano), rendono più difficile individuare il confine di identità su cui esercitare la sorveglianza. La biometria cerca in qualche modo di ovviare a questo ostacolo, iscrivendo, incrociando e marcando segmenti diversi del corpo a sua volta con diversi confini codificati: sociali, giuridici, di genere, etnici» (L. Amoore 2006).

«In questo modello di potere, lo stato non è più l’unico agente di controllo, ma gli individui e le comunità stesse partecipano al loro autocontrollo, autoscrutinio ed autodisciplina attraverso dispositivi di regolazione accettati in quanto tali, quali ad esempio la misurazione del livello etilico, l’assistenza comunitaria, le tecniche di contraccezione, le campagne di vaccinazione, le diete fai da te, l’esercizio ginnico ed altre forme di tecnologie del sé (M. Foucault 1978). Queste ultime operano attraverso la strumentalizzazione di differenti tipi di libertà, […] in quanto parte e frammento di un processo di responsabilizzazione tramite cui gli individui si fanno carico della loro condotta, delle loro competenze, del loro perfezionamento, della loro sicurezza e del loro benessere» (B. Ajana 2005 cfr. anche N. Rose 1999:237).

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6- L’estasi del consumAttore

6.1Il soggetto al lavoro nel biocapitalismo si presenta con varie figurazioni, Tra queste il consumatore ha un posto centrale. Scriveva W. Benjamin nei Passages (ed. 2002:167):

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È qui che dimora l’ultimo dinosauro d’Europa, il consumatore. Sulle pareti di queste caverne la merce prolifera come una flora immemorabile, intrecciando come un tessuto ulcerato, i rapporti più sregolati. Un universo di affinità misteriose […] Queste vetrine sono un rebus.. (corsivo mio).

Dal punto di vista del marketing, quindi, oggi abbiamo che

«il consumatore che le aziende devono soddisfare oggi è un essere profondamente evoluto, mutato e complesso, alla continua ricerca non di meri prodotti ma di prodotti che arrechino esperienze, emozioni e coinvolgimento fattivo. La sua scelta di consumo è fatta di una gestalt ipercomplessa, intrisa di quotidianità, valori, cultura. Inoltre, il consumatore non è più tale solo nel momento della scelta, ma è profondamente legato, linkato ed embedded in uno o più network di persone che hanno punti di interessi e orientamenti in comune (ma che non sono esattamente coincidenti, altrimenti la teoria dei giochi sarebbe troppo facile!) e li condividono in maniera più o meno virtuale. Si passa dal vecchio consumatore individuale a quello collettivo. E non solo: il consumatore dialoga, consiglia, partecipa alla produzione (prosumer) e diventa così partner dell’azienda. Leggasi ConsumATTORE, un essere non facile da gestire e con il quale relazionarsi. Sopratutto perché in altre fasi diventa ConsumAutore o ConsumatoRe» (C. Sangiorgi 2010).

6.2Il consumatore come produttore rappresenta per Codeluppi (2008) un terzo fattore del biocapitalismo dopo il processo di astrazione della società e dopo la transizione dall’economia materiale all’economia della conoscenza. Il consumatore viene sempre più coinvolto in attività che si svolgevano in ambito imprenditoriale, acquisendo un ruolo strategico importante nell’ambito dei processi di valorizzazione, divenendo, infine, per l’impresa, l’elemento di partenza per l’attivazione dei processi produttivi (D. Cohen 2007 in V. Codeluppi 2008 e M. De Certeau 2001). Il consumatore quindi produce e valorizza.Il consumatore come produttore acquista le caratterizzazioni che seguono.

.Il consumatore è colui che fa un lavoro di straforo (M. De Certeau 2001).

.Il consumatore è un prosumer in relazione al tempo libero (A. Toffler 1989).

.Il consumatore è attivo nel nuovo spazio della digitalizzazione delle merci.

.Il consumatore è artefice di promozione/miglioramento dei prodotti (B. Cova 2003)

.Il consumatore è attivo nel passaparola (V. Codeluppi 2008 cit.).

.Il consumatore è partecipe della produzione di immaginario collettivo (V. Codeluppi 2010)

.Il consumatore è attivo del quadro delle conquiste culturali (innovazione) (T. Frank 1997).

.Il consumatore è attivo nell’appropriazione di processi e nella limitazione del business (A Toffler 1987)..Il consumatore diviene ciò che consuma strutturando così la propria identità (J. Baudrillard 1979).

Il consumatore, infine, come nota N. Barile (2004), è soggetto ad un double bind batesoniano: la marca come una madre promette felicità ad una parte di soggetti targhettizzati ma blocca le aspettative del consumatore operando una selezione attraverso il prezzo ed altri ostacoli. In tal modo il consumatore è dipendente dalla cultura del consumo ma nello stesso tempo tenta di liberarsi di essa (V. Codeluppi 2010).

6.3Il biocapitalismo, infine, oltre alle forme di occupazione/espropriazione della soggettività cui abbiamo accennato, comprende anche una deriva che tende a saturare ulteriormente spazi di

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effettiva libertà, approdando ad una contraddizione che mette in pericolo i fondamenti della società: il rapporto sbilanciato tra economia e cultura (J. Rifkin 2000 e V. Codeluppi 2008 ) per cui l’economia tende a fagocitare sempre di più l’ambito culturale da cui essa deriva. Un universo in cui vengono ad affermarsi sempre nuove servitù (A. Burgio 1994) – un ordine nel quale più i servi si sentono padroni più affermano la loro condizione servile.

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© by P. Stanziale 2013

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Pasquale Stanziale è nato a Sessa Aurunca in provincia di Caserta, laureato in Filosofia, docente di Storia e Filosofia nei Licei, collabora con Università ed Agenzie di Formazione ed è docente di Filosofia

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Teoretica presso l’ISSR “S.Pietro” di Caserta. Ha al suo attivo un’ampia pubblicistica nel campo delle Scienze Umane. Collabora con la rivista Civiltà aurunca per la parte socioantropologica. Tra le sue pubblicazioni Omologazioni e anomalie (Caserta 1999), ricerca divenuta un classico degli studi locali, Mappe dell’alienazione (Roma 1995), saggio di filosofia politica, la traduzione del best-seller la Società dello spettacolo di G. Debord (Viterbo 2002). Ha curato anche Il Manuale di saper vivere ad uso delle giovani generazioni di R. Vaneigem (Viterbo 2004) ed una antologia di autori situazionisti (Viterbo 1998). Tra le pubblicazioni più recenti Cultura e società nel Mezzogiorno (Caserta 2007), Materiali per une’conomia politica dell’immaginario (Civiltà Aurunca n. 2 2008-2012 Latina), Scenari tra economia e scienze umane (Quaderni Craet n. 11 Sec Univ. Napoli 3-2009), Cyberanalysis, (Quaderni Craet n. 14 – Sec Univ.

Napoli 6-2010). Laclau & Mouffe: egemonie, socialismo, populismo, La Sinistra Rivista- Mothly Review 5-2013).

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