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Sofà TRIMESTRALE DEI SENSI NELL’ARTE Anno VI Numero 16 2012 LA LIRA LA STORIA D’ITALIA ATTRAVERSO LA SUA MONETA Belpaese Il Quirinale dal dio sabino alla Repubblica Arte & impresa “Art for business” Un libro d’artista racconta il presente Personaggi Pietromarchi Il mio Macro uno e trino Primo piano Abo e Celant Transavanguardia vs Arte povera dei RE

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Il trimestrale dei sensi nell'arte

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Sofà

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SofàTRIMESTRALE DEI SENSI NELL’ARTE

Anno VINumero 16

2012

LA LIRALA STORIA D’ITALIA

ATTRAVERSO LA SUA MONETA

BelpaeseIl Quirinale

dal dio sabinoalla Repubblica

Arte & impresa“Art for business”Un libro d’artista

racconta il presente

PersonaggiPietromarchiIl mio Macrouno e trino

Primo pianoAbo e Celant

Transavanguardiavs Arte poverawww.editalia.it 800 014 858

numero verde

la storia della liranella repubblica Italiana

le Ultime ConiazioniDalla Zecca dello Stato, la nuova emissione celebrativa dedicata alla Lirarealizzata in oro dal materiale creatore originale.

Il tributo più prezioso alle ultime monete che abbiamotenuto fra le mani prima dell’avvento dell’Euro.

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Gli esemplari della Collezione LA STORIADELLA LIRA - LE ULTIME CONIAZIONI sono coniati in oro fondo specchio nelle dimensioni originali e nel loro ultimo anno di emissione.

Tiratura limitata e numerata con certificazione dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Collezione completa: 1999 esemplariCollezioni singole: 1999 esemplari ciascuna

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un’opera d’arte in forma di libroLA LIRA SIAMO NOI U

Un inedito percorso attraverso la storia della nostra Nazione, seguendo il filo rosso della Lira del Regno d’Italia.

Il racconto di un’epoca in cui l’Italia è diventata la nostra Patria.

� IL REGNO �

per custodire la nostra storia e condividerla con le generazioni di domani

copertina volta s16:copertina s6 15-02-2012 18:21 Pagina 1

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www.editalia.it 800 014 858numero verde

Caratteristichedelle opereBassorilievo realizzato in argento patinato a mano.Volumi di grande formato (29 x 39 cm). Oltre 320 pagine stampate su carta pregiata.Oltre 400 fotografie in bianco e nero e a colori. Rilegatura in pelleserigrafata, con impressioni in argento sul dorso.

Tiratura limitata: 4999 esemplari per ciascun volume.

Con il patrocinio di:Presidenza del Consiglio dei Ministri

Comitato per le Celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia

Un grande progetto composto da due volumi che, insieme, danno vita a una storia completa della moneta italiana dall’Unità d’Italia ai nostri giorni.

U La storia d’Italia, dalla nascita della Repubblica fino agli anni recentissimi,riletta attraverso le vicende della nostra Lira,

che ci ha accompagnato per oltre cinquant’anni.

� LA REPUBBLICA �

con le generazioni di domani

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Con il patrocinio di:Presidenza del Consiglio dei Ministri

Comitato per le Celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia

La storia, il presente e il futurodella nostra PatriaÈ questo il significato della collezione che Editalia dedica all’Unità d’Italia, e che si identifica con lo spirito delle celebrazioni del 150° Anniversario. Un percorso scandito dalle riconiazioni della prima moneta dell’Italia Unita [ 5 lire del 1861] considerata molto rara dai collezionisti, e da quelle per gli anniversari del cinquantenario [ 50 lire del 1911] e del centenario [ 500 lire del 1961].

la storia della lira

Unità d’Italia150°anniversario 1861-2011

5 LIRE 1861Scudo Unità d’Italia

50 LIRE 1911Cinquantenariodell’Unità d’Italia

500 LIRE 1961Centenariodell’Unità d’Italia

Il volume di pregio, creato appositamente per questa occasione, percorre un’inedita storia della moneta italiana dalla nascita al Regno e alla Repubblica, con particolari approfondimenti sulle coniazioni presentate.Tiratura limitata.

Le lire dell’Italia unita curato da Silvana Balbi de Caro

Completa l’opera il volume

Tiratura limitataLa collezione è stata realizzata in 2011 esemplari certificati dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.Gli esemplari sono coniati nelle dimensioni e nei metalli originali, in oro 900‰ e in argento.Cofanetto personalizzabile.

Un privilegio esclusivoA tutti i collezionisti sarà consegnata la speciale moneta in argento emessa quest’anno dalla Zecca dello Statoper celebrare il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia.

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editoriale

LA COMPLESSITÀ

QQuello che si è concluso è stato un anno particolarmente complesso per l’Italia, e altrettantoincerto appare il nuovo anno. Un dato tra tutti mi ha colpito: il “grado di fiducia” degli italiani,secondo un recente studio europeo, è calato del 30% in pochi anni, molto più che in altri paesicolpiti dalla crisi economica, come Spagna e Irlanda. Una fase di recessione e declino, dunque,non solo economica. Certamente non esistono soluzioni semplici e universali per risollevarsi,ma credo che per un paese con la nostra storia esista un unico approccio possibile rivolto alfuturo: affrontare la complessità del presente non adagiandosi sul passato in modo passivo efideistico ma facendo leva concretamente sui nostri valori, su un’eccellenza diffusa che non puòperò essere abbandonata a se stessa ma richiede di essere organizzata in modo sistematico estrutturale, per dar vita a un nuovo modello di sviluppo economico e sociale fondato sulla qua-lità. Esistono molti esempi concreti di successo ispirati a questa visione del presente e del futu-ro. Si pensi all’industria italiana del vino: imboccando la strada della qualità dopo lo scandalodel vino al metanolo, l’Italia ha ridotto le quantità prodotte ma ha quintuplicato il fatturato, bat-tendo i francesi sul mercato mondiale.Editalia rappresenta a sua volta un esempio in tal senso. Promuovere l’eccellenza tutta italianadei mestieri dell’arte indirizzandoli verso un’industria culturale che sappia coniugare creativitàe mercato. Per questo abbiamo raccolto attorno alla nostra azienda, già forte dell’appartenenzaal Gruppo Poligrafico e Zecca dello Stato, una rete di artisti e artigiani che rappresentino taleeccellenza, proponendo al mercato un’offerta di assoluta qualità. È da questi presupposti chesono nate la micro scultura d’arte della F 10 Ferrari presentata con successo ad Abu Dhabi e lascultura della Ferrari 250 Gto che conferma la solida collaborazione con il marchio tutto italia-no di Maranello. Queste capacità sono state premiate dal favore di pubblico incontrato dal pro-getto editoriale de La Lira siamo noi che oggi si arricchisce di un nuovo volume, completo neicontenuti e dalla veste artistica pregevole. Ma non ci fermiamo agli ottimi risultati. Consolidareil marchio e la presenza sul mercato di Editalia ci spinge a sperimentare nuove attività legateall’arte. Così siamo stati partecipi della ricerca svolta al forum Art for business sulle sinergieinconsuete fra arte e impresa.Ed è per questa capacità di sperimentare, di coniugare arte e artigianato, design e nuovi mate-riali, che nell’anno appena concluso 7.000 nuovi collezionisti hanno scelto le nostre opere. Ungiro d’affari, cresciuto del 40% anche nel 2011, rappresenta un traguardo di cui essere fieri, maancor più siamo orgogliosi del percorso che ci ha portato a tagliare questo traguardo. Un per-corso che ha creato nuovi posti di lavoro, ha dato sbocco sul mercato e un futuro a tante pic-cole realtà artigianali e ha diffuso e promosso la qualità italiana. Per questo desidero ringrazia-re tutti i collezionisti che ci hanno gratificato con il loro gradimento e tutti coloro che hannocontribuito a questo successo con il proprio appassionato lavoro.

Marco De GuzzisAmministratore delegato Editalia

del presente

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NOTIZIE

PRIMO PIANO

PERSONAGGI

sommario

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Cronache d’arte 8Più falsi d’autore, dai carabinieri una guida online

Colpo d’occhio 10Steve Mc Curry, panoramiche su altri mondi

Esposizioni in Italia e all’estero 12I colori del sacro a Padova, Anselm Kiefer a Tel Aviv

EventiTransavanguardia vs Arte povera 16

I 100 anni della Gnam, un secolo per l’arte 24

Le interviste possibili 28Renato Guttuso: in questo paese non si può nemmeno morire

Grandi mostreGuercino, il teatro degli affetti 30

Vermeer-Kandinsky, un percorso di bellezza 34

Giò Pomodoro, lo scultore di assoluti 38

Conversando sul sofà 42Bartolomeo Pietromarchi, il mio Macro uno e trino

Un caffè con 48Marco Pesatori, come sopravvivere all’anno dell’apocalisse

Il corpo dell’arte 52Nicola De Maria, colori come note divine

L’arte prende corpo 58Donato Di Zio, l’ossessiva ricerca dell’emozione

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BELPAESE

EDITORIA & ARTE

ARTE & IMPRESA

IN CHIUSA

I luoghi del belloQuirinale, custode di arte e storia 62

Montalcino, un piccolo gioiello nel cuore della Val d’Orcia 68

L’arte del libro 72L’ombra di Gutenberg nella storia

Libri di pregio 74La lira dei re tra sogno e identità

Materiale creatore 78Ferrari 250 Gto, storia di un mito

Comunicare ad arte 82Art for business forum, raccontare il presente

I mestieri dell’arte 88Franco “er marmista”, l’artigiano delle forme

Il motore dell’arte 90Euromobil, mecenati sul divano

Cose dell’altro mondoEuropa dell’Est, i Balcani a Roma 92

Kosovo, un patrimonio da salvare 94

In cassaforte 96Il dorato primato dei gioielli

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cronache d’arte

l mercato dei falsi è in crescita eoltre il 75% delle truffe riguarda il

settore dell’arte contemporanea.Secondo i dati del comando dei cara-binieri per la tutela del patrimonioculturale, su oltre 5.000 falsi seque-strati nel 2011, quasi 4.000 sonoopere d’arte moderna. Si tratta di unmercato parallelo e in espansione chesi sviluppa soprattutto nel nord Italiama interessa anche il collezionismolaziale. Dove, secondo gli investiga-tori, «operano personaggi di dubbiamoralità: galleristi e mercanti senzascrupoli, terminali nella vendita delleopere contraffatte». Per quanto riguar-da l’arte contemporanea, di grande

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Daverio pubblica il museo che non c’è

Un museo diviso per stanze, come dal vero. È quello imma-ginato – e pubblicato – da Philippe Daverio. Un’opera sulleorme del Museo immaginario di André Malraux, sorta di col-lezione personale o di bellezza, passando dalla Nascita diVenere del Botticelli alla Canestra di frutta di Caravaggio. Unviaggio attraverso le stanze di un’ideale villa neoclassica: dalsalone ai bagni, alle cucine dove è prevista una carrellata diopere in tema. È questo il Museo immaginato dal condutto-re del Capitale, ex assessore alla Cultura del comune diMilano, edito da Rizzoli (352 pagine, 35 euro). Una visitaguidata e, allo stesso tempo, un’antologia erudita e ironica.

8

Pompei, arriva la squadra

Ventitré specialisti per Pompei. È il grup-po messo in campo dal Mibac per salva-re uno dei principali e noti siti archeolo-gici mondiali. Formata da un funziona-rio, 9 architetti e 13 archeologi la squa-dra sarà impegnata nel programma dimanutenzione, tutela e recupero degli scavi. Un progetto chedovrebbe iniziare a febbraio, in primo luogo con gli interventi dia-gnostici sulle insulae per individuare i problemi idrogeologici deri-vanti dalle acque piovane. Altri interventi di restauro delle areearcheologiche sono previsti per aprile-maggio. Infine, le gare perinterventi (circa 40 milioni di euro), sono previste per l’autunno.

aiuto sono gli archivi e le fondazio-ni, nel riconoscere i falsi. Nei caveaudell’università di Salerno, dove ven-gono studiate le tecniche utilizzateper la falsificazione che cambianoseguendo l’evoluzione tecnologica,«ci sono una marea di opere falsa-mente attribuite a grandi maestri del-l’arte moderna del calibro diGuttuso, Vedova, Cascella e addirit-tura 700 Schifano», sottolinea il rap-porto. Intanto, per mettere al riparodai falsari gli acquirenti, i carabinie-ri hanno realizzato, in collaborazio-ne con la Gnam di Roma, una guidacon dieci suggerimenti reperibile sulsito www.carabinieri.it.

Nomisma, mercato artistico: 1,4 miliardi di euro il giro d’affari in Italia

È stata Bari la città che ha ospitato la presentazione del nuovo rapporto sul mercato dei beni artistici redattoda Nomisma, l’ente che esercita da più di 25 anni la funzione di osservatorio sui fenomeni economici,insieme all’università Lum Jean Monnet. Complessivamente nel 2011 le vendite registrano un calo rile-vante, mentre, stando ai segnali delle principali aste, il mercato dell’arte nel primo semestre 2011 è appar-so in “ripresa riflessiva”. Nel prolungarsi della crisi economica, il volume annuo del mercato italiano del-l’arte si conferma piuttosto sottile, attestandosi a poco meno di 1,4 miliardi di euro: circa il 57% del girod’affari riguarda il segmento dell’antico e dell’Ottocento con circa 777 milioni di euro, mentre il comparto dell’arte moderna econtemporanea copre la restante quota di circa 555 milioni. «L’investimento in arte ha fatto meglio dei valori borsistici – hannocommentato Guido Candela e Antonio Salvi della Lum Jean Monnet – quindi può conservare un valore nel lungo periodo. A dif-ferenza di altri investimenti, quello in arte è riuscito a proteggere l’investitore almeno dall’inflazione. Il comparto artistico che haperformato meglio rispetto agli altri è proprio l’investimento in arte contemporanea». (Giorgia Bernoni)

Più falsi d’autoreCc, una guida online

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www.editalia.it

Cellariusatlas coelestis

Andreas

RD 167 - Biblioteca Nazionale CentraleVittorio Emanuele II, Roma

Dodici, sontuose tavole che illustrano le costellazioni e i sistemi planetari:un viaggio fantastico attraverso i cieli, fra gli astri, i pianeti, le costellazioni e le figure mitologiche che le identificano. Immagini di grande interesse storico e scientifico, capaci di affascinare con la potenza della loro suggestione.

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TOL’Universo elegante

Editalia - Edizioni in Facsimile

Tre Cartelle, ciascuna delle quali contiene quattro tavole montate su tela (formato 133x111 cm).Le tavole (ciascuna del formato di ca. 59x48 cm), sono riprodotte in facsimile su carta speciale per stampe d’arte con nove colori e ritocchi di oro a caldo. Sono realizzate dall’Officina Carte Valori dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.

Tiratura limitata a 999 esemplari numerati e certificati dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato

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amingo per scelta, SteveMc Curry ha fatto delnomadismo la sua cifra sti-listica «perché già il solo

viaggiare e approfondire la conoscenzadi culture diverse procura gioia e mi dàuna carica inesauribile», afferma l’artistain mostra a Roma. Il celebre fotografostatunitense, cacciatore di sguardi eatmosfere esotiche, è un instancabilepedinatore di popoli e individui che,nonostante la differenza di usi e latitudi-ni, finiscono tutti per avere un qualcosa

di riconducibile e familiare. Mc Curryporta i suoi oltre duecento scatti, che siaprono all’occhio dello spettatore comefinestre sul mondo, al Macro di Roma.Non è certo la prima volta che il foto-grafo è in mostra in Italia mal’esposizione capitolina ha con sé dellecaratteristiche uniche: la nuova seriedelle fotografie italiane, un omaggio alpaese frutto dei ripetuti soggiorni effet-tuati quest'anno dal Veneto alla Sicilia, esoprattutto la particolarità dell’allesti-mento curato da Fabio Novembre.

«Quando penso a Mc Curry – dichiaral’architetto – tendo ad applicarel’aforisma di Benoît Mandelbrot, ilpadre della geometria dei frattali, chedescrivendo la sua esperienza di ricer-catore era solito definirsi “nomade perscelta, pioniere per necessità”. La vita diMc Curry, per me, è quella di un instan-cabile ricercatore della natura umana.Come i frattali di Mandelbrot sono larealtà nascosta dietro quel principio diordine euclideo che abbiamo sempreassociato alla natura, allo stesso modo i

Rdi Giorgia Bernoni

Panoramichesu altri mondi

STEVE MC CURRY

colpo d’occhio

Monografica a Testaccio sul fotoreporter statunitense, pedinatore di popoli.

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La mostraA Roma gli scatti di un viaggiatore instancabile

Steve Mc Curry ha viaggiato a diverse latitudini, prediligendo l’Orientecosì ricco di mistero e culture. Ma non sono solo le terre lontane quelleche sono esposte alla mostra capitolina. Il fotografo propone, infatti, unpersonale sguardo sull’Italia, oltre a presentare per la prima volta i lavoripiù recenti, dal 2009 al 2011: il progetto “The last roll” con le 32 immaginiscattate utilizzando l’ultimo rullino prodotto dalla Kodak, gli ultimi viaggiin Thailandia e in Birmania. Fino al 29 aprile 2012. Macro Pelanda, piazzaOrazio Giustiniani 4, Roma. Info: www.macro.roma.museum.

Pescatori, WeligamaSri Lanka, 1995

A destra: Geishanella metropolitana

Tokyo, 2008

Il curatore, Novembre: «Ho scelto un allestimento sulla condizione nomade»

soggetti delle foto di Mc Curry sono larealtà nascosta dietro quella comunica-zione patinata che pensa di rappresenta-re l’umanità».Le immagini sono state scelte per asso-nanza di soggetti ed emozioni, cercandoi fili comuni e gli impensabili legami cheaccomunano luoghi e persone in latitu-dini diverse. «L’allestimento che ho crea-to – prosegue il curatore – nasce propriodal concetto di viaggio e dalla condizio-ne nomade:mentre la nostra idea di casaassomiglia sempre più ad arroganti

dichiarazioni di potere ben salde sullaterra che occupano, a manifesti di felici-tà individuale che non contemplanoalcuna ricaduta collettiva, le case nellefoto di Mc Curry sono precarie, come levite di chi le abita, simili a strutture cel-lulari labili. Ed è esattamente questa sug-gestione che ho cercato di riportareall’interno dei grandi spazi del Macro,un allestimento come un villaggionomade, strutture che si compenetranoper restituire quel senso di solidarietàche si respira nelle sue immagini. Con

un criterio espositivo che non tieneconto di variabili spazio temporali mache lavora sull’assonanza dei soggetti,sugli imprevisti gradi di parentela cherestituiscono il senso di umanità. C’è lavita e c’è la morte nelle sue foto, e quelbreve o lungo percorso che le unisce».Premiato diverse volte con il Worldpress photo awards, Mc Curry ricordacontinuamente allo spettatore che ilvedere non appartiene esclusivamenteallo sguardoma alla capacità di ciascunodi sentire compassione verso gli altri. �

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FIRENZELA STANZADEI TESORILe stanze dei tesori, acura di Lucia Manninicon il coordinamentoscientifico di Carlo Sisi,mette in evidenza leprincipali caratteristichedelle maggiori collezioniche si sono formate a Firenze tra Ottocento e Novecento. Finoal 15 aprile, palazzo Medici Riccardi, via Cavour 3, Firenze.Info: www.stanzedeitesori.it.

NOVARALE INCISIONI DI DÜRERAlbrecht Dürer, le stampedella collezione di Novara,a cura di Paolo Bellini, pre-senta 178 opere dell’artistatedesco: un centinaio disilografie, un’acquaforte e73 incisioni a bulino. Finoal 28 febbraio, palazzo delBroletto, corso Italia 16,Novara. Info: 03213702758.

expo in Italiapagine a cura di Maria Luisa Prete

GENOVAVAN GOGH E GAUGUINVan Gogh e il viaggio di Gauguinpresenta una sequenza mozzafiatodi capolavori che, fino al 15 aprile,invade il palazzo Ducale diGenova (piazza Matteotti 9).L’esposizione, curata da MarcoGoldin, ruota intorno al tema delviaggio: come esplorazione neglispazi ma anche dentro di sé.Info: 0422429999.

AOSTAANDY WARHOLAndyWarhol, dal-l’apparenza alla tra-scendenza, curatada FrancescoNuvolari, presentacirca ottanta lavoricreati dall’artista sta-tunitense tra il 1957e il 1987. Numerosii pezzi unici chedocumentanol’intero percorso del-l’esponente di puntadella pop art. Finoall’11 marzo, centroSaint-Bénin, viaBonifacio Festaz 27,Aosta. Info:0156272687.

PADOVAI COLORI DEL SACROImpalpabile, invisibileeppure vitale e essen-ziale: è l’aria. È a que-sto elemento che Icolori del sacro, rasse-gna internazionale diillustrazione, dedica lasua sesta edizione. Laselezione propone uncentinaio di illustratori,firme famose e cele-brate ma anche nuove,voci. Fino al 3 giugno,Museo diocesano,piazza Duomo 12,Padova. Info: www.icoloridelsacro.org.

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ROMA/1DAMIEN HIRSTLa mostra presenta il “mondo degli spots” diDamien Hirst: dal primo, realizzato nel 1986,alle monumentali tele dove nessun coloreviene ripetuto, fino ai più recenti. Fino al 10marzo, Gagosian gallery, via Crispi 16, Roma.Info: www.gagosian.com.

PALERMOAVANGUARDIE RUSSELa Sicilia in primo pianonelle iniziative a chiusuradell’anno della cultura edella lingua russa in Italia edella cultura e della linguaitaliana in Russia. Un’impor-tante mostra, curata daAndrey Sarabyanov e GiuliaDavì, ripercorre il “filrouge” che rintraccia i lega-mi fra il mondo artisticorusso e quello occidentale.La mostra presenta 60dipinti e ricostruzioni dioggetti tipici dell’arte russadegli inizi del XX secolo.Fino al 20 marzo, Realealbergo dei poveri, corsoCalatafimi 217, Palermo.Info: 0917071664.

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SAN MARINOPITTURA AMERICANA DEL XX SECOLOUna grande esposizione in cui, attraverso nomi celebri, la vicenda pit-torica statunitense del Novecento viene raccontata lungo tutto loscorrere del secolo. Curata da Marco Goldin, prende in considerazio-ne tutti i momenti fondamentali, a partire dal realismo di EdwardHopper e fino all’esperienza particolare di Giorgia O’Keeffe. Fino al 3giugno, palazzo Sums, repubblica di San Marino. Info: 0422429999.

NAPOLIFAUSTO MELOTTIFino al 9 aprile il Madre ospita l’antologicadedicata a Fausto Melotti, a cura di GermanoCelant. Una selezione di oltre 200 opere tra ter-recotte, maioliche e gessi, sculture a tecnicamista e in ferro, ceramiche e lavori in inox, dise-gni e bozzetti: il percorso scultoreo di Melottipiù strettamente legato al mondo delle arti visi-ve. Fino al 20 febbraio anche la mostra sull’artepovera. Madre, via Settembrini 79, Roma. Info:08119313016; www.museomadre.it.

ROMA/2TINTORETTOLa mostra su Tintoretto, a cura di GiovanniMorello e Vittorio Sgarbi, presenta capola-vori indiscussi di uno dei maggiori inter-preti del Cinquecento. Da febbraio a giu-gno, Scuderie del Quirinale, via XXIVMaggio 16, Roma. Info: 0639967500;www.scuderiequirinale.it.

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STOCCOLMALA VIDEOARTE DI EIJA-LIISA AHTILAEija-Liisa Ahtila è un’interessante videoartista e fotografa finlandesecon base a Helsinki ma dal respiro e tematiche internazionali. Nel1998 ha partecipato alla rassegna Manifesta mentre nel 2000 ha vintoil Vincent award. Il Moderna museet di Stoccolma, tempio svedesedella contemporaneità, le dedica una personale curata da LenaEssling. Fino al 6 maggio. Stoccolma, Moderna museet. Info:www.modernamuseet.se.

pagine a cura di Simone Cosimi

NEW YORKI MURALES DI DIEGORIVERAL’esposizione al Moma rac-coglie lavori fondamentalidi Diego Rivera realizzatinel 1931, presentandoli alpubblico dopo oltre ottan-t’anni dalla creazione.Insieme ai murales, lamostra include dipinti digrandi dimensioni maanche lavori più piccoli,materiali d’archivio relativialla realizzazione di questeopere e i bozzetti per ilfamoso murales alRockfeller center, cheRivera realizzòsempre nel periodo in cuiera impegnato al museonewyorkese. Fino al 14maggio. New York, Moma.Info: www.moma.org.

expo nel mondo

DOHAUN CINESE AL MATHAFIl Mathaf, museo arabo d’artemoderna, ospita i lavori del cineseCai Guo-Qiang. Si tratta della primapersonale in Medio Oriente, oltreche della prima esibizione dedicata aun unico artista dall’apertura delmuseo, nel dicembre 2010. “Saraab”raccoglie 50 lavori, incluse opererecenti che illustrano gli ultimi svi-luppi. Fino al 26 maggio. Doha,Qatar, Mathaf. Info:www.mathaf.org.qa.

TEL AVIVANSELM KIEFER E LA NUOVA ALAUna selezione delle opere di Anselm Kiefer– dipinti monumentali, sculture e installa-zioni su misticismo e storia ebraica – inau-gura la nuova ala del Tel Aviv museum ofart, intitolata a Herta e Paul Amir.L’esposizione è permanente. Tel Aviv,Museum of art. Info: www.tamuseum.org.

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SHANGHAIL’ESPLOSIONEDI WANGZhan Wang ha espo-sto le sue sculture inuna ricca serie diluoghi, perfinosull’Everest. Per lamostra “My personaluniverse” lo scultorecinese ha pensatoun’installazioneimmortalandoun’esplosione da seiangolature diverse.Fino al 25 febbraio.Shanghai, Ucca.Info:www.ucca.org.cn.

OTTAWASCATTI “MADE IN USA”Composta da più di 100 foto, la mostra celebra il contributo che ifotografi statunitensi hanno fornito alla storia del XX secolo.Prodotti fino al 1950, gli scatti rappresentano il frutto di un perio-do di grande creatività. Fino al primo aprile. Ottawa, National gal-lery of Canada. Info: ww.gallery.ca.

BILBAOBRANCUSI-SERRA,PADRI DELLA SCULTURAIl Guggenheim diBilbao presentaBrancusi-Serra, la piùambiziosa ed esaustivaesposizionededicata al precursoredella scultura modernae a uno dei principaliesponenti dell’arte pla-stica contemporanea.La mostra prende inesame la relazione fraquesti due pionieri,focalizzandosi sullo svi-luppo della sculturamoderna nell’arco diun secolo. Fino al 15aprile. Bilbao,Guggenheim. Info:www.guggenheim-bilbao.es.

ZURIGOI PICCOLI CAPOLAVORI DI ALBERT WELTILa pittura a pastello era considerata estinta finoa quando nell’ultimo quarto dell’‘800 è statatraghettata a nuova vita da gente come Manet,Degas, Redon e Picasso. Un’esposizione di 50pastelli mette in scena anche il talento diAlbert Welti. Fino al 4 marzo. Zurigo,Kunsthaus. Info: www.kunsthaus.ch.

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eventiARTE POVERA E TRANSAVANGUARDIA

Due movimenti celebrati con grandi eventi espositi-vi, iniziati l’anno scorso, a sottolineare l’importanzache hanno avuto per la storia artistica nazionale delsecolo scorso. Arte povera e Transavanguardia, cor-renti diverse per spirito e risultati, accumunate dalrilievo nazionale e internazionale dei rispettivi prota-gonisti. Due movimenti, due teorici – GermanoCelant e Achille Bonito Oliva – due differenti periodistorici di riferimento.L’arte povera nasce alla fine degli anni Sessanta: è ilmomento della contestazione, del desiderio didemocratizzare tutto, anche le pratiche creative.Quindi, abbandonate tecniche e supporti tradiziona-li, si fa ricorso a materiali poveri, accessibili: terra,legno, ferro, stracci, plastica, scarti industriali. Si aprela strada al concettuale, come dice Celant, per«impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi». Ealle azioni performative che stabiliscano relazioni traopere e ambiente. Un taglio netto col passato, innome della libertà espressiva e dell’abbandono diabitudini e conformismi. Gli artisti si dividono in duegruppi, quelli che – Pino Pascali, Giovanni Anselmo,

Jannis Kounellis, Mario Merz, Giuseppe Penone,Michelangelo Pistoletto – si concentrano sulla forzaespressiva dei materiali utilizzati e altri che –Alighiero Boetti e Giulio Paolini – sono protesi all’a-spetto più concettuale della rivoluzione creativa.Diversa per contesto storico e culturale è la paraboladella Transavanguardia. Arriva negli anni Ottanta evuole riaffermare il ritorno in grande stile del fare pit-torico, della manualità, del colore e di un espressio-nismo intimo che niente vuole avere in comune conil concettualismo. Molto del merito del suo successoe della sua affermazione, anche fuori dai confininazionali, va certamente al suo vulcanico teorico,Bonito Oliva. Abo ha saputo confezionare e venderela sua creatura, adattandola all’edonistico decennio. Iprotagonisti – Sandro Chia, Francesco Clemente,Enzo Cucchi, Nicola De Maria e Mimmo Paladino –riuniti formalmente nel movimento hanno accettatola sfida conquistando pubblico e mercato. Le cele-brazioni dei due movimenti continuano nel 2012nella speranza che lo spirito innovativo che li hacaratterizzati riviva e si rinnovi. �

Alla fine degli anni ‘60 Celant propone la contestazione artisticaDopo un ventennio Abo impone il ritorno alla tradizione

di Maria Luisa Prete

Dall’impegno al diletto

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In senso orario: Francesco Clemente“Fourteen station III”, 1981

Jannis Kounellis, “A burned justice”, s. d.Enzo Cucchi, Cattedrale, 2010

Nella pagina a fianco:Pino Pascali, Primopiano labbra, 1965

Le mostre/1Il gruppo a palazzo RealeTransavanguardia italiana, a cura di Achille Bonito Oliva, riunisce i protagonistidel movimento: Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola DeMaria e Mimmo Paladino. Fino al 4 marzo, palazzo Reale, piazza Duomo 12,Milano. Info: www.mostratransavanguardia.it.

Enzo Cucchi al MarcaEnzo Cucchi ha realizzato un progetto inedito con oltre 50 opere fra dipinti, scul-ture e ceramiche degli ultimi tre anni che. Fino al primo aprile, Marca, viaAlessandro Turco 63, Catanzaro. Info: www.museomarca.com.

Mimmo Paladino all’ex-GilMimmo Paladino recupera moduli linguistici arcaici e immagini della tradizionemediterranea, dando vita a un’iconografia insieme fantastica e solenne. Dalprimo marzo al primo aprile, ex-Gil di Luigi Moretti, largo Ascianghi 5, Roma.Info: 0654548469.

Francesco Clemente a palazzo Sant’EliaFrancesco Clemente opera sulla citazione di culture lontane, come quella indiana,e sullo slittamento di significato di immagini preesistenti e simboli noti, che egli sot-topone a un processo di variazioni e trasformazioni continue. Dal 15 marzo al 15aprile, palazzo Sant’Elia, via Maqueda 81, Palermo. Info: 0918887767.

Le mostre/2Confronti a RivoliArte povera International presen-ta le opere storiche dei protago-nisti del movimento a confrontocon capolavori di artisti dellascena internazionale dell’epoca.Fino al 19 febbraio, Castello diRivoli, piazza Mafalda di Savoia,Rivoli (Torino). Info:www.castellodirivoli.org.

Installazioni a BergamoPer la sede di Bergamo si è scelto didare importanza alla possibilità diallargare il territorio di interventodell’Arte povera. A fianco di archi-tettura interne ed esterne dei museiitaliani viene sperimentato anche ilterritorio urbano, così da stabilireun dialogo, unico e spettacolare,tra le installazioni e il contestoambientale. Fino al 30 aprile,Bergamo, sedi varie. Info:www.gamec.it.

Opere sul palcoscenicoUna selezione di opere che dialo-gano con l’ambiente del teatro,costruito all’inizio del secolo instile “liberty”. Fino all’11 marzo,teatro Margherita, piazza Quattronovembre, Bari. Info: 800018291;www.comune.bari.it.

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L’L’area culturale in cui opera l’arte degli anni ottanta è quella della transavanguardia, che con-sidera il linguaggio come uno strumento di transizione, di passaggio da un’opera all’altra, dauno stile all’altro. Se l’avanguardia, in tutte le sue varianti del secondo dopoguerra, si svilup-pava secondo l’idea evoluzionistica del darwinismo linguistico che trovava i suoi antenati fissinelle avanguardie storiche e in una visione anche essa lineare della storia come progresso esuperamento delle antinomie, la transavanguardia invece opera fuori da queste coordinateobbligate, seguendo un atteggiamento nomade di reversibilità di tutti i linguaggi del passato,assecondata da una nuova nozione di storia ribaltata in post-storia non garantita da alcunsistema di previsione. La smaterializzazione dell’opera e l’impersonalità esecutiva, caratteriz-zante l’arte degli anni settanta secondo uno sviluppo rigorosamente duchampiano, trovanoun loro superamento nel ripristino della manualità, nel piacere di un’esecuzione che reintro-duce nell’arte la tradizione della pittura. La transavanguardia ribalta l’idea di un progresso del-l’arte tutto teso verso l’astrazione concettuale. Afferma la possibilità di non considerare comedefinitivo il tragitto lineare dell’arte precedente mediante atteggiamenti che consideranoanche quei linguaggi in passato abbandonati. [...] Recupero non significa identificazione macapacità di citare la superficie dei linguaggi ripresi. Nella consapevolezza che in una societàdi transizione, verso una stabilizzazione indefinibile, è possibile adottare soltanto una men-talità nomade e transitoria. Se è in crisi il positivismo filosofico, che ha permeato e determi-nato lo sviluppo della civiltà occidentale, accelerando le trasformazioni sociali e produttivein termini di sperimentazione tecnologica, allora è in crisi anche l’isteria del nuovo, tipico del-l’avanguardia tradizionale, portato culturale di tale filosofia. [...] La transavanguardia nonvanta il privilegio di una genealogia a senso unico ma di una, invece, aperta a ventaglio suantenati di diversa estrazione e provenienza storica. Non esiste soltanto l’estrazione alta delleavanguardie storiche, ma anche quella bassa delle culture minori, di un gusto provenientedalla pratica artigianale e dalle arti minori. Gli artisti della transavanguardia hanno compresoche il tessuto della cultura cresce non soltanto verso l’alto ma si sviluppa anche verso il basso,attraverso l’autonomia di radici antropologiche che tendono comunque tutte ad affermare labiologia dell’arte, l’esigenza di una creatività tesa a fondare la propria esperienza come luogodella seduzione e della mutazione.

*critico e curatore, estratto dal catalogo, cortesia Skira

Transavanguardia, la post-storiacome riscoperta della pitturadi Achille Bonito Oliva*

Il luogodellaseduzione

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Mimmo PaladinoS. Francesco, 1993

A sinistra:Sandro Chia

Sedia rossa, s. d.

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IL CATALOGO

La TransavanguardiaitalianaAchille Bonito OlivaSkira352 pagine45 euro

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di Margherita Criscuolo

Arte senza schemi20

MichelangeloPistolettoIl fascio della tela1980

A destra:Jannis KounellisSenza titolo, s. d.

IL CATALOGO

Arte povera 2011GermanoCelant(a cura di)Electa690 pagine50 euro

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na grande mostra-evento sul-l’arte povera firmata dal suoteorico, Germano Celant.Oltre 250 opere per 15milametri quadrati di spazio: que-sti i numeri di Arte povera2011. Un arcipelago di inizia-tive sparse per l’Italia nel150esimo anniversario dell’u-

nità, destinato a essere vissuto e ricordato come il piùgrande progetto espositivo mai realizzato su un movi-mento chiave dell’arte contemporanea italiana, nato nel1967. Un evento, racconta lo stesso Celant, «nato da unrifiuto, quello di una sola grande mostra che, da anni,non ho mai accettato perché pensavo che un ambientenon fosse sufficiente per mostrare la complessità di certilavori: tutte le opere di quel periodo necessitano di spa-zio». Architetture museali e contesti urbani tra Bologna,Roma, Milano, Torino, Bergamo, Napoli e Bari sonoquindi, scherza il curatore, «sufficienti per fare una pic-cola mostra sull’Arte povera». Il critico racconta lo spiri-to del movimento: «Il clima era quello degli anni ‘66-‘68,si voleva rompere qualsiasi schema, linguistico e mate-riale. C’era l’idea della democratizzazione di tutte lematerie e l’arte si faceva con qualsiasi cosa, si prendevaovunque. Era una generazione che veniva dalla classeoperaia e impiegatizia: “povera” quindi ideologicamen-te e a livello materiale. Era un momento della cultura ita-

liana in cui la forza era Pasolini e non Antonioni. Io eAchille – continua riferendosi a Abo – siamo stati gli ulti-mi urlatori. Abbiamo urlato per essere presi in conside-razione. I movimenti sono finiti quando le istituzioni e imusei hanno iniziato a considerare l’arte contempora-nea. Il riconoscimento chiude la possibilità di mettersi aurlare». Un’operazione nata quindi per storicizzare ilmovimento e presentare le ricerche attuali degli artisti.Arte povera 2011 è un viaggio nel tempo, dal 1967 al2011. «Siamo partiti – spiega Celant – dal tentativo dirispettare le istituzioni e la loro storia in relazione almovimento, in modo che ciascuna mantenesse la pro-pria identità». I promotori, Rivoli e Triennale, ospitanoesposizioni riguardanti le relazioni internazionali el’intero arco storico del movimento. Il Mambo e il Madrecelebrano due mostre fondamentali del 1968: quelladella galleria de’ Foscherari di Bologna e quella agliArsenali di Amalfi, mentre la Gnam e il Maxxi di Romadanno conto del collegamento e dello slancio tra pre-sente e futuro. «Così – prosegue il critico – il lavoro diZorio ha una proiezione nell’oggi e nel domani, facendodel Maxxi un luogo di creatività in corso». Infine, a Bari,nel teatro Margherita, gli artisti entrano in dialettica conuna costruzione in farsi. Ultimo luogo entrato nel pro-getto è Bergamo dove l’Arte povera esce dai musei pertuffarsi in città. «È stata un’impresa eccezionale – con-clude Celant – è la prima volta che ci si mette in rete perriconoscere il valore di una ricerca artistica». �

Germano Celant: nasce alla fine degli anni Sessantaun movimento di rottura per democratizzare la cultura

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POSTERITÀ POVERISTA& TRANSEREDITÀPur superando le promesse iniziali, i due movimenti continuano a fare proseliti

di Alberto Zanchetta*

Sandro Chia“Hand game”, 1981

A destra:Giuseppe PenoneAlbero porta, 1993

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lla fine del Novecento l’Artepovera e la Transavanguardiasono state le nostre colonned’Ercole, capaci ancor oggi dirappresentare l’arte italiananel mondo. A livello naziona-le non sono più salite allaribalta esperienze corali egenerazionali che fossero in

grado di rivendicare un’appartenenza culturale senzadoversi nascondere dietro a una maschera. Entrambii movimenti erano riusciti ad affermarsi a volto sco-perto, a muso duro, accreditando quel genius lociche ha fatto grande il nostro paese. Da una partel’egida teorica e categorica di Celant, dall’altral’ironico e creativo progetto diBonito Oliva. Insomma: la“guerriglia” in antitesi alla “cata-strofe”. Sempre coeso il gruppodell’Arte povera, unito da unospirito contestatario, di denun-cia e di rottura, cui faceva dacontraltare l’intimismo el’individualismo dellaTransavanguardia. Erano tutta-via esistite delle tangenze tra glischieramenti. Alla fine deglianni Settanta i transavanguardi-sti si erano dapprima cimentaticon le installazioni e la fotogra-fia, mentre nella decade deglianni Ottanta i poveristi si eranoconvertiti alla pittura. Poi, dinuovo, ognuno per la sua stra-da. I poveristi propugnavanouna libertà tale da incrinare gliasfissianti ingranaggi della mer-cificazione culturale. Volevanointaccare il sociale, la vita, maquella carica rivoluzionaria èvenuta meno, colpa anche deldibattito pubblico e del climapolitico che ai giorni nostriincide molto meno sullacoscienza degli artisti. È comese il furore degli inizi volgesseora in un versante più pacifica-to e nostalgico. Se nel 1967Celant affermava che «usciredal sistema vuol dire rivoluzio-ne», bisogna ammettere checon questo sistema si sono infi-

ne riconciliati. Allora inneggiavano alla necessità di“uscire dai musei”, oggi invece vi vengono accolticome figliol prodighi. Si noti inoltre come l’esistenzaeffimera delle opere – quel loro carattere precario eantimonumentale – adesso sia smentito da materialiche si impongono una durata, una resistenza neltempo, rispondendo ai criteri conservativi delle istitu-zioni museali. Dopo l’ethos dell’Arte povera eccol’epos della Transavanguardia. Di contro all’autono-mia sociale e idealista dei primi, nel 1976 Bonito Olivaridefiniva i valori della crisi con l’ideologia del tradito-re, che «non è un rivoluzionario ma sviluppa un dis-senso all’interno del linguaggio». Agendo sulla sensi-bilità dell’artista e sulla singolarità dell’opera, i risulta-

ti inducevano a una distonia muscolare oltreche a una distrofia oculare, aspettiche oggigiorno sono stati per lo piùridimensionati. Nonostante le per-plessità e le smentite giunte nelcorso degli anni da parte deglistessi affiliati –«Transavanguardia non significaniente», sbottava Chia nel 1984,«cosa è la Transavanguardia?Chiedetelo al critico che ne èresponsabile», rincalzava Cucchinel 1988 – il nomadismo culturaledi Bonito Oliva è transitato verso ilterzo millennio, tornando adaccasarsi in patria. Non si puòinfatti negare che nell’ultimodecennio una certa stanzialità èandata a detrimento dei cinquemattatori, i quali hanno semmaipreferito rafforzare il loro carat-tere egoriferito. In ambo i casi lostile si è consolidato a scapitodella sperimentazione, soprat-tutto per la volontà di ristabilireun progetto coerente, unitarioed equilibrato. Benché i proble-mi storicistici ed economiciabbiano in qualche modo falsatole premesse di entrambe lefazioni, il loro dispendio tecnicoe creativo continua a fare prose-liti tra i giovani artisti, rimarcan-do i solchi tracciati nel passatoe quelli in cui s’inscrive il pre-sente.

*critico e storico dell’arte

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eventiI 100 ANNI DELLA GNAM

Nuovo allestimento e un poker di esposizioni per la sede di valle GiuliaLa soprintendente Marini Clarelli: «Il pubblico sembrava disorientatoora lo prendiamo per mano dall’Ottocento fino al contemporaneo»

di Simone Cosimi

Un secolo per l’arte

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na riorganizzazione attesada una dozzina d’anni –l’ultima era stata quella diSandra Pinto, nel 1999 –quattro mostre e due instal-lazioni permanenti: la lumi-nosa e rumorosa Passi diAfredo Pirri, sistemata nel-l’atrio, e il cerchio battezza-

to Roma di Mauro Staccioli, all’esterno. Questo ilghiotto menù con cui la Galleria nazionale d’artemoderna di Roma si ripresenta al pubblico dopo lachiusura dello scorso autunno, che ha consentitoalla soprintendente Maria Vittoria Marini Clarelli e aisuoi collaboratori di mettere mano alle migliaia diopere degli sterminati depositi, anch’essi oggetto diriorganizzazione. Il nuovo allestimento, curato perla parte architettonica da Federico Lardera e costato400mila euro versati dall’Arcus, spa a capitale pub-blico per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dellospettacolo, arriva in occasione dei 100 anni dall’i-naugurazione della sede e dei 150 dall’unità nazio-nale. «Più che sotto il profilo architettonico – rac-conta la Marini Clarelli – abbiamo puntato agliaspetti dell’ordinamento e delle sezioni, tentando dicoinvolgere maggiormente l’osservatore. Siamo par-titi dall’esito delle indagini fra il pubblico, che con-duciamo dal 2005, e gli addetti ai lavori, in partico-lare i direttori di musei internazionali che ci hannofatto visita lo scorso anno e hanno manifestato uncerto disorientamento. La scommessa è dimostrareche sui grandi temi degli ultimi due secoli anche igrandi artisti italiani erano attivi e hanno dato unloro contributo significativo».Uno dei patrimoni artistici più corposi d’Italia, che spa-zia fra Ottocento e Novecento forte di alcuni capolavo-ri assoluti, cerca dunque di prendere i visitatori permano, evitando scorribande insensate per le sale o nau-see da bulimia espositiva. Ci prova orchestrando la pro-pria suddivisione in tre grandi blocchicronologici, che costituiscono laspina dorsale del nuovo percorsoideato dalla soprintendenteMarini Clarelli. Il primo, dal 1800al 1885, è dedicato a Mito, storiae realtà: si muove dal paesaggi-smo al rapporto della creativitàitaliana coi movimenti interna-zionali fino all’impressionismo ealla questione sociale solle-vata dal verismo. Il secon-do, concentrato sul

La Galleria nazionaled’arte moderna

A destra:Anna Maria Maiolino

“In out”(antropofagia), 1976

In basso:Maria VittoriaMarini Clarelli

foto Manuela Giusto

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La mostra/1Creare dopo la fotografia

Gli albori, le prime relazioni frafotografia e pittura. Ma anchel’allontanamento dal verismoottocentesco e l’avvio delle sen-sibilità moderne. Un raccontoper immagini del rapporto traartisti e fotografi anima la collet-tiva, in collaborazione conl’Istituto nazionale per la grafica,curata da Maria Vittoria MariniClarelli e Maria Antonella Fusco.Fino al 4 marzo.

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periodo 1886-1925 e intitolato Verso la modernità,apre a simbolismo, surrealismo, Vincent van Gogh,l’arte del sogno e alle avanguardie come futurismo,metafisica e astrazione, oltre a soffermarsi sul temadella guerra. L’ultima tappa, concentrata sul lasso1926-2000, giunge fino al contemporaneo racchiu-dendo modernità e classicismo, l’espressionismo,l’arte cinetica e la pop art. Spazio anche a quattropiccole ma ricchissime sezioni monografiche cheaffacciano sulla libreria del museo dedicate aGiacomo Balla, Giorgio De Chirico, Renato Guttusoe Piero Manzù. Non mancano i capolavori di sem-pre, da Vincent van Gogh ai macchiaioli passandoper Gustav Klimt e Antonio Canova, Giuseppe DeNittis, Alberto Giacometti, Andy Warhol e decine dialtri. Ma intersecati secondo logiche più lineari,didattiche, pulite. In linea con uno spostamento delpeso espositivo verso il Novecento, in particolare neiconfronti delle fasi di passaggio fra i secoli:«Abbiamo cercato di mantenere un equilibrio – pro-segue la soprintendente della Gnam – anche se cisiamo concentrati sui decenni a cavallo: la parte

centrale del percorso è infatti quella su cui abbiamopuntato di più e dove si è costruito il dibattito inter-nazionale. Si è trattato in effetti di un periodo chia-ve per la cultura e l’arte europea. Forse non abbiamofatto lievitare completamente i fermenti delle avan-guardie, credo che ci siano ancora delle cose chepotranno emergere».Spazio anche a due grandi movimenti italiani.Anzitutto l’Arte povera (una sala, che rimarrà partedell’allestimento, aderisce al progetto nazionalecurato da Germano Celant) con opere di GiuseppePenone, Michelangelo Pistoletto, Giulio Paolini eGilberto Zorio fra gli altri, senza contarel’importante corpus di Pino Pascali: diciotto lavoripresentati in una volutamente disordinata riprodu-zione d’atelier. Stesso discorso per CostellazioneTransavanguardia: una sala dedicata al movimentobattezzato da Achille Bonito Oliva, popolata con ilavori della Gnam e che rientra nel circuito tricoloreorganizzato in occasione dell’unità d’Italia. «Il museoè il luogo dove coesistono le differenze – dice BonitoOliva – la struttura espositiva dispone i lavori come a

La mostra/2Focus sull’Arte povera

La mostra si inserisce nell’am-bito dell’evento nazionale Artepovera 2011, curato daGermano Celant. In occasionedel riordinamento delle colle-zioni la Gnam focalizza sulmovimento con opere diLuciano Fabro, Gilbero Zorio eGiuseppe Penone, fra gli altri.Visibile anche il nucleo mono-grafico dedicato a Pino Pascali.Fino al 4 marzo.

Pino PascaliRicostruzione del dinosauro, 1966

A destra, dall’alto:Sandro Chia, “Boy and dog”, 1983Gianfranco BaruchelloNécessaire per l’oltretomba, 1962

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formare una proposizione, una frase compiuta dacui esca una visione della storia dell’arte. In questocaso la Clarelli c’è riuscita in pieno, facendo dialo-gare Ottocento e istanze contemporanee. La Gnamè un deposito iconografico da cui si possono trarreschegge visive, sempre ricordando che l’arte non èuna guerra tra bande». Fino al 4 marzo accom-pagnano la riapertura della struttura di valleGiulia due esposizioni: Certe idee, dedicataalla scoppiettante multimedialità diGianfranco Baruchello e curata dallostesso Bonito Oliva, che attraversa lefasi del lavoro dell’artista fin dallafine degli anni Cinquanta e Arte inItalia dopo la fotografia 1850-2000, un fitto racconto per imma-gini del rapporto tra artisti e fotogra-fi, realizzata in collaborazione conl’Istituto nazionale per la grafica.Galleria nazionale d’arte moderna,viale delle Belle arti 131, Roma. Info:06322981; www.gnam.beniculturali.it. �

La mostra/4Baruchello, certe idee

Una personale dedicata aGianfranco Baruchello cheospita 100 opere da colle-zioni italiane ed europeeed è curata da AchilleBonito Oliva e CarlaSubrizi. Al centro i temid’interesse nella paraboladell’artista livornese, anco-ra attuali: il sogno, il margi-ne, l’errore, l’oggetto quo-tidiano. Fino al 4 marzo.

La mostra/3La Transavanguardia

Una sala al primo piano che,come per l’Arte povera, resteràparte del nuovo allestimentodella Gnam, dedicata al movi-mento della Transavanguardia,sbocciato ai primi anniOttanta. L’esposizione parteci-pa al ciclo curato da AchilleBonito Oliva. In mostra operedi Sandro Chia, Enzo Cucchi,Nicola De Maria e MimmoPaladino. Fino al 4 marzo.

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n piccolo, il camposanto di Bagheria è lafotografia della città nuova, soffocata dapalazzi senz’anima. Filari di tombe comedormitori di periferia, un quartiere a partedi quella che è, a tutti gli effetti, unamedia città. La cappelletta sta sulla destra,trenta metri appena dall’ingresso princi-pale. Rose sulla lapide, come di rosa è illegno della bara che riposa all’interno, da

25 anni. L’uomo che vi è stato tumulato, venticinqueanni fa, sfumacchia tranquillo appoggiato a un muro dicemento, canto un loculo rotto ricolmo di bottiglie diplastica che sopperiscono all’assenza d’acqua dalle fon-tanelle. Schiaccia la cicca, sorride di quel sorriso smun-to che lo caratterizzava spesso, specie negli ultimi tempi.«Quando penso alla mia Mimise, sepolta nel cimitero diVelate, a 1.500 chilometri da qui...».Beh, certo, è dura separarsi in morte da chi si è sempreavuto vicino in vita.«Può dirlo forte. Tutti sanno quanto l’ho amata».Magica, l’ha definita il suo figlioccio, Fabio Carapezza.«Sì, certo».Anche se...«Anche se?».Beh, insomma, la sua musa era un’altra. E non solo.Quella “tigre della sera” che non ha voluto riceverenegli ultimi giorni.Il sorriso si fa ancora più mesto, cerca un’altra sigarettama il pacchetto è vuoto, l’accartoccia gettandolo via, trale bottigliette di plastica. «Marta Marzotto... Martina...».Poverina, tre volte vedova. Anche se quel Magri...Non ha più voluto vederla, dopo la morte di sua moglie.Ammetterà che è strano: lei, il pittore più famosod’Italia, praticamente sequestrato tra le mura di palaz-zo del Grillo. La sua dorata prigione, come qualcuno

l’ha definita in un libro sui misteri di casa Guttuso.«Ma quali misteri... In questo paese non si può nemme-no morire in pace. Cosa vuole, anche lei?».Niente, niente, era per dire. Certo che la sua è stata unacontraddizione costante, in vita come in morte: senato-re e membro del cc del Pci, nonostante contesse eMercedes, agi e prelati. Si è tanto discusso di quella suaconversione in punto di morte. E poi quel figlio segretospuntato all’ultimo minuto, il figlio della colpa, come inun “feuilleton” d’Ottocento. A proposito, che fine hafatto? Antonello, mi pare si chiamasse. Minacciò causa,lei valeva un patrimonio, cento miliardi di lire dell’’87,secondo i carabinieri.«Queste sono beghe che lascio agli avvocati, a voi vivi».Ferdinando Camon, lo scrittore, ricorda, ha detto che leiha voluto salvarsi l’anima, non farsi cristiano.«E che differenza c’è? Non avrei mai potuto dire di esse-re ateo, perché mi sarebbe sembrato sbagliato affermar-lo. Non avrei mai potuto dire, tuttavia, d’essere certo del-l’esistenza di Dio. Credo che soltanto un cristiano “codi-no” possa dirlo senza dubitare, senza tremare. Anche sesono stato comunista ho avuto un senso religioso dellavita, forse più privato che pubblico. Del resto, ritengo diessere, o quanto meno di essere stato, un pittore “civile”e l’aderire agli ideali civili contiene sempre un elementoreligioso».Allora parliamo di pittura, del suo impegno politico.«Io sono, o meglio ero, una natura impegnata al massi-mo, ma non credo che un artista possa stare sempre conl’ideologia in mano, senza rischiare di lasciarla cadere.In un artista, in un uomo, cioè, c’è tutto: l’amore, gliamici, le sue letture, il cielo, l’infanzia, i viaggi. C’è ilcomplesso mondo della sua esperienza. E se è un uomoimpegnato, responsabile civilmente di se stesso, ciò sivedrà in tutto quel che fa. A volte egli lo sarà espressa-

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le interviste possibili

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RENATO GUTTUSO

LA VERITÀin un quadro

Vita, arte e misteri del (fu) pittore più famoso d’Italiadi Maurizio Zuccari

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mente, apertamente, senza nessun velo di oscurità oallusione, a volte no. Ma non si incollano sulla tela ideo-logie o giudizi, solo si dipingono cose. Della mia ideo-logia fanno parte anche i fiori, le macchine utili all’uo-mo, i seni delle fanciulle, il sorriso delle cose. Questonon è l’inferno, è una strada; questa non è la morte, è unbanco di frutta. Sa chi lo diceva?».No.«Federico Garcia Lorca».Insomma, cosa è stata per lei la pittura?«Il mio mestiere. Cioè, il mio modo di avere rapporti conil mondo. La più idonea possibilità di capire e di farmicapire. Ma ciò non vuol dire che io abbia capito e mi siafatto capire. Volevo riuscire a testimoniare del miotempo, che è come dire delle mie passioni, senza esserecostretto a falsarne i significati. Volevo parlare chiaro esembrare ovvio, senza essere ovvio, anzi dicendo cosetotalmente nuove.Volevo utilizzare il piùpossibile le scopertedell’arte d’avanguardiasenza copiare i metodidi nessuno, e senzacontinuare un corsodell’avanguardia vir-tualmente chiuso daiprimi anniVenti.Volevoessere appassionato esemplice, audace e nonesagerato. Arrivare allatotale libertà in arteche, come nella vita,consiste nella verità».Una parola forte.«La ricerca di quellaverità a cui ci è sembra-to di essere vicini gene-ra una molteplicità dirapporti e di contraddi-zioni, altre verità che cierano sconosciute.Questo continuo riesa-me ci porta dal certoall’incerto, dal chiaroall’oscuro, sicché tuttoè rimesso in campocontinuamente. L’arte èinnanzitutto un proble-ma morale. Da ciò chepercepisco, dalla insop-primibile presenzadelle cose traevo cer-

tezza e dubbio. Ma un dubbio o una certezza che pre-scindessero dal mondo non avrebbero senso. Per questonon ritenevo la figuratività una convenzione, ma unanecessità. Nell’aver perseguito l’intento di una concretacomunicazione di concrete immagini ai miei simili, enell’essermi perciò tenuto fuori dalla convenzione nonfigurativa consisteva, credo, il mio rapporto con la socie-tà contemporanea. E con la verità».Con le avanguardie del suo tempo non ha certo avutoun buon rapporto. Schifano diceva che aveva i quadricontati. Come i giorni.«Una sua civetteria. Del resto, si può essere astrattianche senza volerlo e certo nulla è più astratto di unafigurazione che sotto il velo del verosimile non favibrare nessun palpito. Tutto il travaglio del dopoguer-ra, nell’arte, verteva intorno alla ricerca di una visio-ne essenziale che racchiudesse quanto più possibile

del reale, cercandolofin dove è oscuro einvisibile, fino al caos,fino al nucleo. Unaverità, per quanto pri-maria essa sia. Unaricostruzione creativadel reale, del suo flui-re. Non possiamoignorare niente diquel che è vivo, per-ché viviamo inun’epoca in cui non cipossiamo permetterenessuno spreco».Soprattutto in tempidi crisi come questa.«Se lo lasci dire dame che ne ho vistetante: che crisi sareb-be mai questa sedovesse vedersi attra-verso un solo aspetto?Non si tratterebbe piùdi una crisi ma di unacatastrofe totale».Quindi?«Dipingere non è dif-ficile, così come scri-vere, è difficile pensa-re. Bisogna guardare epensare. Guardare ebasta, pensare ebasta. Altro nonsaprei dire». �

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Renato Guttuso con l’autore. Ap/Lapresse, elaborazione Gaia Toscano

Dipingere non è difficilecome scrivere. È difficile pensare

Bisogna guardare e pensareGuardare e basta, pensare e basta

Altro non saprei dire

“”

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grandi mostreGUERCINO

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Diana Cacciatrice1658 ca.

A sinistra:Giovanni Francesco Barbieridetto il GuercinoAutoritratto, 1624

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LLo stile del Guercino è veramente inconfondibile eanche i non addetti ai lavori, dopo aver visto le sueopere, avranno abituato l’occhio e potranno ricono-scerlo. Nei primi due decenni del Seicento in Italia eparticolarmente a Roma erano due i filoni artistici: c’erastato Caravaggio, che aveva prodotto un buon numerodi seguaci che mettevano sulle tele la realtà della vitaquotidiana, con quelle caratteristiche luci forti e con-trastate, e c’era Annibale Carracci che a palazzoFarnese aveva realizzato la Cappella Sistina, con unostile chiaro decisamente classicista, cioè memore del-l’antichità. Quindi gli appassionati di pittura, che eranotanti, avevano davanti due strade: quella del realismocaravaggesco e quella del classicismo intellettuale diCarracci e di Guido Reni che era chiamato il Raffaellodel Seicento. Giovanni Francesco Barbieri, sopranno-minato il Guercino, di fronte a queste due vie, neinventa una terza, dove miscela le luci forti caravagge-sche a un cromatismo squillante che viene dalla cono-scenza della pittura veneta. Guercino era una personaintegerrima, religiosa e molto legata alla famiglia.Scrupoloso e molto preciso. Ci ha lasciato infatti un

Libro dei conti dove sono registrati i guadagni e lespese di casa Barbieri. Grazie a questo è possibile capi-re anche le tariffe che Guercino applicava: c’era unprezzo per una figura intera e un diverso prezzo peruna mezza figura o solo una testa o un puttino. Alla suamorte ha lascito eredi i suoi due nipoti, Benedetto eCesare Gennari, che erano pittori. A loro ha lasciatouna fortuna immensa fatta di immobili e terreni aBologna e a Cento, di quadri (oltre 250) e di suoi dise-gni (oltre 5.000). Guercino ha vissuto molto per la suaepoca, morì infatti nel 1666 a 75 anni. Ha sempre pro-dotto molto e senza interruzioni. Oggi si può dire cheè fra gli artisti più prolifici, più documentati e anche piùstudiati. Si può considerare un autodidatta, perché inpratica quei pochi maestri che ha avuto gli hanno inse-gnato solo i primi rudimenti del mestiere. Lui era giàdotato di suo e i biografi ci parlano della sua precocità.Anche i colleghi pittori, come Ludovico Carracci,hanno parole di ammirazione per questo “giovane dipatria di Cento”. In pratica fino al 1618 si suole collocare il suo periodogiovanile, gli anni di Cento, poi da quell’anno produce

Tra Caravaggio e Carracci, l’artista emiliano apre una terza viasposando l’ideale della bellezza senza rinunciare alla realtà

di Fausto Gozzi*

Il teatro degli affetti

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La mostraCapolavori da Cento e da Roma

È un omaggio al suo massimo esperto, sir Denis Mahon, scomparso lo scorso 27 aprile, la mostra dedicata al Guercino, in pro-gramma a palazzo Barberini e curata da Rossella Vodret e Fausto Gozzi. Prima esposizione nelle sale ristrutturate al piano terra delpalazzo. Un percorso suddiviso tra le tappe principali della parabola creativa di Giovanni Francesco Barbieri, uno dei maggiori pro-tagonisti del seicento italiano, nato e vissuto nel ducato di Ferrara (Cento, 1591 – Bologna, 1666) e attivo a Roma tra il 1621 e il1623. Fino al 29 aprile, palazzo Barberini, via delle Quattro fontane 13, Roma. Info: 0632810; www.mostraguercino.it.

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Saul contro David1549

A destra:Erminia e Tancredi

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IL CATALOGO

GuercinoRossella Vodrete Fausto Gozzi(a cura di)Giunti arte192 pagine35 euro

capolavori mai visti prima. Dal 1621 al 1623 c’è il sog-giorno romano, dove Guercino lavora per la corte papa-le e già notiamo un primo cambiamento. A RomaGuercino è affascinato dal classicismo più che dal cara-vaggismo e inizia un percorso che lo porterà a unaseconda maturità dove, senza troppo tradire la sua voca-zione per la realtà, sposa un linguaggio fatto di luci chia-re e fascino per una bellezza ideale. Si dice che mette inscena il “teatro degli affetti”, dove ogni sua figura recitauna parte.Caravaggio ha rinnovato la pittura del Seicento e il cara-vaggismo era arrivato anche in Emilia dove Guercino siè formato. Col Merisi Guercino ha in comunel’attenzione per la realtà, per l’anatomia forte e benimpiantata, per la descrizione delle varie tipologieumane che popolavano le strade del Seicento. Gli effet-ti di luce in Caravaggio sono più accademici, più otte-nuti dallo studio con giochi d’ombre e luci improvvise,mentre gli effetti luministici del Guercino sono più natu-ralistici, più atmosferici e sfumati. Guercino inventa ilchiaroscuro a “macchia” e crea un effetto di movimen-to, di dinamismo, mentre Caravaggio è sempre più stati-co. Insomma, Guercino produce uno stile nuovo chenon è passato inosservato. Sir Denis Mahon, il maggioresperto del Barbieri, ci ha lasciati nel 2011 nel giorno diPasqua a cento anni compiuti. Il suo contributo è statofondamentale e oggi si deve a lui se Guercino è una starinternazionale. Cominciò a ventiquattro anni, nel 1934,quando preparava la sua tesi di laurea su Guercino.Allora il maestro di Cento era noto solo agli addetti ailavori e i suoi quadri si potevano acquistare a cifre moltobasse. Mahon cominciò subito la sua collezione cheoggi, per disposizione testamentaria, è sparsa nei princi-pali musei inglesi e irlandesi. Una parte dei suoi quadrisi trova anche a Bologna e a Cento.

*direttore della Pinacoteca civica di Cento

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grandi mostreDA VERMEER A KANDINSKY

A Castel Sismondo di Riminile opere che hanno fattogrande la storia dell’artea cura di Marco Goldindi Giulia Cavallaro

Un percorso di bellezza

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La mostraCapolavori dai musei del mondo

Da Vermeer a Kandinsky. Capolavori dai musei del mondo a Rimini, acura di Marco Goldin, con il sostegno della fondazione Cassa diRisparmio di Rimini e del gruppo Euromobil, presenta al pubblico unavisione ampia e globale delle principali personalità che hanno segnatoil corso della storia dell’arte degli ultimi cinque secoli. Orario da lune-dì a venerdì: 9 – 19; sabato e domenica: 9 – 20. Ingresso: intero 10 euro,ridotto 8. Fino al 3 giugno, Castel Sismondo, via Luigi Poletti, Rimini.Informazioni e prenotazioni: 0422429999; www.lineadombra.it.

Edgar DegasPiccola danzatricedi quattordici anni,1880

A sinistra:Jan VermeerCristo in casa di Mariae Marta 1654-1655

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Marco Goldin firma Da Vermeer a Kandinsky, capolavori dai musei del mondo nelsuggestivo Castel Sismondo a Rimini. Una mostra che nasce dal desiderio di festeg-giare il quindicesimo anno di attività di Linea d’ombra (la realtà a cui ha dato vitaGoldin nel lontano 1996 per l’organizzazione di eventi espositivi) e che rappresen-ta un omaggio a tutte quelle istituzioni museali europee e nordamericane che inquesti anni hanno collaborato per la realizzazione di importanti iniziative consen-tendo al pubblico di accedere a capolavori provenienti da zone lontane e diverse.«Questa mostra – spiega Goldin – celebra i nostri primi 15 anni di attività e vuoleessere un grande percorso che consenta ai visitatori di perdersi nella storia dell’ar-te e nelle sue correnti. L’allestimento prevede l’accostamento di opere provenientida periodi storici stilisticamente differenti e lontani nel tempo, mettendo così in evi-denza i fenomeni carsici che sono presenti nella storia dell’arte. L’obiettivo è anchequello di mettere in mostra opere esclusive, e al contempo divertire il visitatore,accompagnandolo con insoliti e stimolanti parallelismi culturali. Si tratta di unametodologia che adotto sempre nelle mostre e che nasce dalla convinzione che esi-stano corrispondenze profonde tra periodi storici lontani tra loro». Nei quindicianni della sua attività, Linea d’ombra ha collaborato con oltre trecento musei e isti-tuzioni di tutto il mondo, ottenendo in prestito oltre tremila dipinti, disegni e scul-ture, che hanno contribuito ad arricchire le mostre realizzate, consolidando un

altissimo livello qualitativo. In questi quindici anni sono stati circa settemilioni i visitatori che hanno frequentato le mostre organizzate da Linead’ombra, ponendole molto spesso al primo posto tra quelle italiane e tra leprime nel mondo. Decine tra i principali studiosi, curatori e storici del-l’arte hanno contribuito con i loro saggi alla realizzazione dei catalo-ghi, così come con i loro interventi alla buona riuscita dei convegniinternazionali. E a Rimini la condotta non si smentisce. «La mostra ènata in accordo con la fondazione Cassa di risparmio di Rimini e con lafondazione San Marino – prosegue Goldin – con cui abbiamo deciso diorganizzare un grande evento in grado di coinvolgere molti attoriimportanti del contesto artistico. Lo scopo è di rappresentare, grazie

IL CATALOGO

Da Vermeera KandinskyMarco Goldin(a cura di)Linea d’ombra210 pagine36 euro

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alla relazione con molte realtà museali, una grande lezione di storia dell’arte apertae comprensibile a tutti, con opere che partono dal principio del Cinquecento fino alNovecento. E con la collaborazione, per il catalogo di studio, di alcuni tra i maggioristudiosi del mondo. Castel Sismondo, la Rocca Malatestiana di Rimini progettata ametà Quattrocento da Filippo Brunelleschi, è da un paio d’anni una delle sedi piùsuggestive nelle quali vengono ospitate le esposizioni di Linea d’ombra».Ma come si sviluppa il percorso espositivo? Di ognuna delle principali nazioni chehanno dato lustro alla storia dell’arte è stato scelto il secolo, o i secoli, di maggiorgloria, e all’interno di quel secolo, specialmente per l’Italia, la realtà regionale mag-giormente rappresentativa. In questo modo si ottiene una visione ampia e globaledelle principali personalità che hanno indelebilmente segnato il corso della storiadell’arte degli ultimi cinque secoli, sia in Europa che in America. È certamente unpercorso anche dentro le preferenze pittoriche del curatore stesso, come se fosse unviaggio ideale condotto da lui tra le varie esperienze artistiche di diverse epoche sto-riche. La mostra si apre con una sezione dedicata alla pittura veneta delCinquecento, uno dei periodi tra i più fecondi dell’arte italiana, di cui sono presen-ti capolavori di Tiziano, Veronese, Lotto, Tintoretto, ma anche di Savoldo e di altrimaestri del territorio veneto che, in questo periodo storico, si allargava allaLombardia orientale, con Brescia e Bergamo. La successiva sezione introduce allapittura in Italia nel Seicento, con opere che documentano il classicismo di Carraccie le declinazioni personali di Guercino, Preti, Reni, Giordano, Del Cairo e molti altri.Si torna poi al fascino di Venezia, catapultando il visitatore nel Settecento, con ilTiepolo, Guardi e i grandi vedutisti, Canaletto e Bellotto. Si passa successivamentedall’Italia alla Spagna con una ampia sezione dedicata al “Siglo de oro”, la grandearte iberica del Seicento, con Velázquez, Murillo, El Greco, Ribera, Zurbarán. Dalsecolo d’oro spagnolo si passa alla sezione dedicata alla “Golden age” in Olanda:qui le atmosfere del tutto particolari della pittura neerlandese sono proposte dal

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In senso orariodall’alto:Lorenzo LottoLa verginee il bambinoconsan Girolamoe san Nicolada Tolentino1523–1524

Pablo PicassoIl ratto delleSabine, 1963

WassilyKandinskyLago, 1910

Edouard ManetCantantedi strada, 1862

capolavoro del Cristo in casa di Maria e Marta di Vermeer. Tra le altre opere olan-desi in mostra non mancano lavori di Van Dick, Ter Brugghen e Van Honthorst.Paesaggi, atmosfere e ritratti sono protagonisti della sezione dedicata alla pitturain Inghilterra tra Settecento ed Ottocento, attraverso le opere firmate da Hogarth,Turner, Constable, Reynolds, Gainsborough, Wright of Derby. Non poteva natu-ralmente mancare una sezione, ampia, riservata all’Impressionismo, periodo dasempre caro a Goldin e su cui ha focalizzato per anni i suoi interessi, contri-buendo a portare in Italia opere mai viste prima. In occasione della mostra rimi-nese il curatore ha scelto un’attenta rappresentazione di tutti i protagonisti, da VanGogh a Manet, da Millet a Courbet, da Monet a Degas, da Renoir a Sisley ePissarro. Infine il gran finale, con la pittura del XX secolo in Europa. Matisse,Picasso, Mondrian, Bacon con uno strepitoso trittico, De Staël, Morandi e natu-ralmente Kandinsky sono gli autori proposti. Settanta opere, un meraviglioso per-corso d’arte e di bellezza per festeggiare a Rimini l’avventura gloriosa di Linead’ombra. La mostra Da Vermeer a Kandinsky si svolge parallelamente a un altroevento espositivo, curato sempre da Goldin, cioè la mostra al palazzo Sums di SanMarino in cui sono esposte venti grandi opere di autori americani del Novecento,tra cui Edward Hopper, Jackson Pollock, Mark Rothko, Sam Francis, Andy Warhole Roy Lichtenstein. Tra i prossimi progetti di Linea d’ombra c’è inoltre la mostraDa Raffaello a Rembrant, a Van Gogh. Per una storia del ritratto in Europa (dal 6ottobre 2012), un grande evento dedicato alla storia del ritratto con cui sarà inau-gurata anche la basilica Palladiana di Vicenza dopo il restauro che l’ha trasforma-ta in un moderno contenitore culturale. Infine, è in programma Da Tiziano aMonet. Per una storia del paesaggio in Europa, la mostra ospitata prima a Verona,alla Gran Guardia, dal 5 ottobre 2013 al 6 gennaio 2014, e poi nella basilicaPalladiana di Vicenza, dall’11 gennaio 2014 al 22 marzo 2014. Info:www.lineadombra.it. �

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Cgrandi mostre

GIÒ POMODORO

Come artista, Giò Pomodoro si è sempre mosso tragli assoluti che insieme definiscono la categoriadell’”umano”: lo spazio e la storia. La scultura è ladisciplina linguistica che secondo lui può incarnaremeglio il senso dell’assoluto. È per questo che èdiventato scultore. A chi lo ha conosciuto bene que-sta sintesi vagamente oracolare sulla sua sculturapotrebbe bastare. Ma poiché l’esercizio della criticae della storia dell’arte esige una parte analitica chemotivi – se non proprio che provi, come in una disci-plina scientifica – le ragioni che portano a una sin-tesi simile, o che al contrario ne giustifichinol’intuizione fulminea, è necessario costruire un per-corso concettuale della sua attività, punteggiato escandito dai suoi cicli di opere, dai suoi pensieri, dalcontesto e dallo spirito del tempo. Quando arriva a Milano nel 1953 col fratelloArnaldo lo spartiacque principale dell’arte è quellotra astrazione e figurazione: entrambi si schieranoimmediatamente, forse più di tutti gli altri scultori diquegli anni che di solito vengono da un apprendi-stato figurativo, sul versante astratto, ma per Giò,

probabilmente in misura maggiore che per Arnaldo,il problema non è quello. Non è, cioè, una “sempli-ce” questione di affermazione di novità, di muta-mento linguistico, quanto la necessità di trovareforme più aderenti a ciò che si vuole significare (lariprova di quanto poco fosse una questione di astra-zione, per Giò, lo si ha nel ciclo di molto successi-vo – risale agli anni Ottanta – degli Hermes, dove loscultore non si preoccupa di usare stilemi figurativi afronte del suo desiderio di costruire una vera e pro-pria narrazione). Certo, oltre a significareun’adesione convinta a quello che allora sembravaessere un linguaggio più europeo e meno compro-messo col passato, la creazione di modelli e persinodi moduli astratti implicava la volontà di riformarel’intero linguaggio della scultura, sfuggendo alle tra-dizionali trappole della statuaria (problema giàespresso circa dieci anni prima da Arturo Martini nelsuo La scultura lingua morta), ma senza voler rinne-gare lo statuto di base della scultura, fatto di mate-ria, di forma, di spazio. Non erano i tempi, quelli,per tentare qualcosa di più radicale (che, a ben

In bilico tra storia e spazio una grande retrospettiva nel MonferratoLa produzione dell’artista marchigiano fino al 2001

di Marco Meneguzzo*

Lo scultore di assoluti

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Studio per Sole aureo, 1998

In alto a sinistra:un’immagine

di Giò Pomodoro

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La mostraIl percorso di uno scultore

Giò Pomodoro, il percorso di uno scultore: 1954-2001, a cura di MarcoMeneguzzo e Giuliana Godio, si snoda in un vero e proprio museo diffuso nelterritorio dell’altoMonferrato. Ville, palazzi emusei diventano un circuito senzaeguali – nove sedi e 173 opere esposte – dove compiere un viaggio inedito fra ilavori del maestro della scultura internazionale. Si parte da Alessandria (palazzodel Monferrato; palazzo Cuttica, tel. 013140035; palazzo Guasco, tel. 0131304004;galleria Carlo Carrà, tel. 0131304026; Camera di commercio) per un percorso chetocca Acqui Terme (villa Ottolenghi), Novi Ligure (museo dei Campionissimi,tel. 0143322634), Valenza (oratorio di San Bartolomeo), Tortona (palazzoGuidobono) e Casale Monferrato (palazzo Comunale). Fino al 30 aprile.

A sinistra:Urobulo aureo, 1974

In alto:Folla grande, 1961-62

A destra:Sole deposto – Orciano, 1982

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vedere, non è si raggiunto neppure oggi),ma sicura-mente quella scelta di campo per Giò significava lapossibilità di una palingenesi, di una rinascita, che nonsignificava ripartire da zero – nulla di più lontano dalmodo di sentire di Giò – quanto riordinare il linguaggioplastico, liberandolo da ogni sovrapposizione e da ogniorpello scioccamente narrativo che si era tanto sedi-mentato sulla tradizione plastica da far pensare che lavera essenza della scultura fosse proprio in quellesovrastrutture in fondo accidentali, contingenti e legatealla retorica di certi momenti storici. Ritornare ai fon-damentali è sempre stata la necessità della scultura diGiò, mentre restare nei fondamentali è sempre stata lasua aspirazione. Così, sperimentare il basso e bassissi-mo rilievo, la scultura come pannello, come superficie,denotava la volontà di esplorare i confini del territorioplastico, manifestava il desiderio di provare a forza-re i limiti della scultura, imposti non tantodalle sue qualità intrinseche, quantoda una tradizione scivolataprima nella consuetudine,poi purtroppo nell’abitudi-

ne.[...] Non ci sono statue, ci sono segni e simboli. Cisono soprattutto misure, e la misura è l’umano perantonomasia. Lo scultore allora definisce lo spazioattribuendogli delle misure, e costellandolo di simboliantichi e perduranti, come la colonna, la piramide, lasfera, il cubo. Sono le persone reali a diventare prota-goniste della riappropriazione dello spazio, non intesasemplicemente come frequentazione di quel luogo,come “visita”, ma come percezione dell’insieme dimisure che percorre l’universo, che lo mette in relazio-ne, che lo costruisce e che, alla fine, ce lo rende cono-scibile e addirittura familiare, come quando i pastori diPiranesi passeggiavano per le rovine dell’antica Roma,tra colonne e vestigia affioranti. È l’umanesimo, ilromanticismo di un razionalista passato attraverso laModernità, che ci consegna misure apparentementearcane ma decifrabili, per metterci in contatto conl’universo, ma soprattutto con tutti gli uomini chequell’universo hanno costruito.

*curatore, estratto dal catalogo

cortesia Stamperia Viscardi di Alessandria

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conversando sul sofàBARTOLOMEO PIETROMARCHI

Quattro curatori, un programma espositivo di rilievo internazionalee un occhio di riguardo alla città. La nuova gestione del museo capitolinoraccontata dal suo direttore. In attesa della fondazione che apre ai privati

di Maurizio Zuccari

IL MIO MACROuno e trino

finita col botto dei tappi nellastanza di BartolomeoPietromarchi, al primo pianodel Macro, l’inaugurazionedel nuovo corso del Museod’arte contemporanea dellacapitale. Ad annunciarlo lostesso direttore, coadiuvatoda quattro curatori e dalla

neonata fondazione che dovrebbe garantire presen-te e futuro del museo. Sei milioni per la programma-zione e due per la gestione, per l’anno in corso,«parte attraverso il contratto di servizio e parte constanziamenti di bilancio anche aggiuntivi, se occor-re», promette l’assessore alla cultura del comuneDino Gasperini. Sulla carta, i soldi ci sono. Grazieanche agli stanziamenti per Roma capitale, coi quali ilMacro si accinge a divenire la struttura una e trinaannunciata da Pietromarchi.Il nuovo corso, infatti, si muove su tre direzioni.Macro expo, con un programma di mostre avviatocon “Eighties are back”, a cura di Ludovico Pratesi,con cinque artisti (Mario Della Vedova, Daniela DeLorenzo, Massimo Kauffmann, Felice Levini e Marco

Tirelli) fino al 29 febbraio; un’esposizione dedicataallo stesso Tirelli e soprattutto gli eventi del 2012: lepersonali di Mircea Cantor e Marcello Maloberti,previste entrambe dal 16 marzo al 6 maggio. Ancorada marzo a maggio nei due spazi polifunzionali delle“project room”, al primo piano della sede di viaNizza, prenderanno vita le esposizioni di ChristianJankowski e un omaggio a Vettor Pisani, mentre anovembre troverà spazio il progetto “6 artista”, unamostra che vede coinvolti gli artisti in residenza alpastificio Cerere. La collettiva “Re-generation”, dafine maggio ad agosto, coinvolgerà invece una trenti-na di artisti e farà il punto sull’arte in città, in conco-mitanza con la fiera del contemporaneo. A settem-bre, poi, sarà la volta del festival Fotografia, nella sededi Testaccio – dove fino al 4 marzo sono in mostrauna personale della coreana Minjung Kim e una col-lettiva di artisti cinesi contemporanei, mentre fino adaprile tiene banco la stupenda monografica su SteveMc Curry – che si accinge a divenire, grazie anche alnascente museo della fotografia e al ritrovato inte-resse del Macro per questa, un polo del settore nellacapitale.Macro lab, poi, è un progetto di ricerca dove ogni

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È

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BartolomeoPietromarchi durante

la presentazionedel nuovo programma

al Macro(foto Manuela Giusto)

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attore del contemporaneo potrà interagire con levarie fasi della creazione artistica, dall’ideazione allarealizzazione in studio. Il progetto include un centrodi raccolta e diffusione di informazioni; le residenzed’artista, attivate di volta in volta su un poker di quat-tro elementi, due stranieri e due no, nelle altrettantesale al terzo piano della sede storica. L’archivio dedi-cato ai giovani artisti, costituito in gran parte dalmateriale messo a disposizione dall’associazione“1:1project”, e l’area didattica – dedicata quest’annoall’”arte in gioco” – chiudono questa sezione delnuovo museo.Macro live, infine, offrirà un vasto programma diincontri, conferenze, presentazioni aperte alle conta-minazioni tra arti visive, musica e teatro, con letture espettacoli dal vivo. Al riguardo, lo spazio polifunzio-nale soprastante l’auditorium sarà trasformato in salalettura con rete wi-fi, in collaborazione con lo Ied.Per realizzare tutto ciò, e questa è l’altra novità per lastruttura capitolina, al direttore si affianca un comita-to scientifico formato da quattro curatori, incaricati diseguire altrettante aree chiave dell’attività museale:Stefano Chiodi, critico e docente universitario, sioccuperà dei progetti di ricerca e della creazione di

una nuova linea editoriale; Marco Delogu, già diret-tore del festival Fotografia, rafforzerà il rapporto delmuseo con questo settore; Maria Alicata, storica del-l’arte, si prenderà cura dei giovani artisti anche tra-mite l’archivio dell’associazione “1:1 projects” per lacostituzione dell’archivio museale, mentre l’artistaMilitosManetas seguirà i progetti dedicati al web e ainuovi media, in convenzione con la fondazioneRomaeuropa. Un programma articolato, quindi, chelascia ben sperare sui destini del contemporaneonella capitale e giustifica, se sarà realizzato, lo spu-mante versato sul nuovo corso. E un ritorno al futuro,per il Macro, raccontato dal direttore, Pietromarchi.«È un futuro in cui credo molto: penso a un museoche non sia solo uno spazio epositivo ma un centrodi produzione artistica e culturale che si possa met-tere in relazione col circuito artistico del territorio,metterne a sistema le tantissime energie. Questa è lasfida più grande. Con un programma espositivo assaidiversificato ma rafforzato anche nelle attività corre-late, dalle residenze d’artista alle conferenze, alladidattica. Insomma, a tutte le attività messe in campoper ridefinire questo luogo come uno dei laboratoridi punta della ricerca artistica e contemporanea».

Macro via Nizza© Luigi Filetici – ODBC

A destra: Macro Testaccio© altrospazio, Roma

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Il museo capitolinoDue sedi, 24mila mq di spazi espositivi

Il Museo d’arte contemporanea di Roma è dotato di due sedi:l’ex stabilimento industriale Peroni a via Nizza e parte dell’exmattatoio a Testaccio. Con la seconda ala inaugurata nel dicem-bre 2010 nella sede di via Nizza il museo ridisegnato da OdileDecq vede aggiungersi ai 6.000 metri quadri esistenti – foyer,ristorante, bookshop, sale adibite a laboratori e usi diversi – oltrea un nuovo parcheggio di 200 metri quadrati, 10.000 metri qua-drati di spazi espositivi, con una grande sala di 1.200 metri qua-drati, per un’altezza di 11 metri, e una galleria di 500 metri qua-drati, più 2.500 metri quadrati del terrazzo superiore. Nell’exmattatoio al quartiere Testaccio, invece, il museo capitolino siavvale dei due padiglioni del Macro future oltre a quello dellaPelanda, per un totale di altri 8.000 metri quadrati. Info: 060608(h. 9-21); www.macro.roma.museum.

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Anche in virtù della forte identità culturale dellastruttura, grazie ai suoi spazi particolarmente inno-vativi, il neodirettore promette una programmazio-ne dai forti connotati culturali e identitari. Un obiet-tivo in farsi, con la programmazione artistica di que-st’anno. «Questo è solo l’inizio. Abbiamo seminatoidee che devono crescere ed essere verificate neltempo, ci possono essere aggiustamenti di tiro ma lafilosofia di base è questa e spero si possa portareavanti per dare un’identità forte a questa struttura,tanto a livello cittadino che internazionale». Al rap-porto aperto con Roma fa da contraltare quello conle sue altre strutture museali, in particolare colMuseo del XXI° secolo. «Il Maxxi ha una sua identitàforte e una missione complementare, diversa dalMacro che va considerato come una struttura moltopiù vicina alla città, una cartina di tornasole di ciòche si fa nel momento in cui avviene, per questo ladimensione laboratoriale è importante, per noi. Lecollaborazioni sono benvenute e le troveremo nel-l’arco della programmazione». Buon ultimo, i denari.Nonostante la fondazione a lungo promessa sia unarealtà, da dicembre, i costi sono ingenti e le risorsesempre sul filo di lana. Il comune, tramite Zetema e i

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servizi di Roma capitale (manutenzione, riscalda-mento, personale, eccetera) spende per le sedi di viaNizza e Testaccio circa 6 milioni di euro l’anno, di cuiun paio destinati alle attività museali (tra cui mostre,convegni, conferenze, residenze). «Gli ultimi finan-ziamenti sono serviti a chiudere il bilancio preceden-te e ad attuare il nuovo programma espositivo, finoalla metà dell’anno», spiega il direttore, «questemostre sono anche frutto di un’intelligente program-mazione della spesa, spero che con la fondazione siposssa fare un discorso diverso. L’iter è stato avviatodopo un immenso lavoro e prenderà alcuni mesi perandare a regime». Presumibilmente, a partire da giu-gno, secondo un “business plan” triennale, i finan-ziamenti pubblici diminuiranno nella misura in cui sipotrà attingere a risorse private. «Avrei potuto sce-gliere di chiudermi nel museo, invitare gli artisti chemi interessano, organizzare mostre di richiamosecondo ilmio gusto critico», conclude Pietromarchi,

«ho scelto invece di lavorare in modo che questomuseo metta le sue radici a fondo nella città, sfrut-tando tutto quello che nel mondo dell’arte contem-poranea esiste a Roma: la sua vitalità, le sue risorse».Se la partecipazione privata è, secondo le parole delcritico d’arte e curatore, il tramite privilegiato per losviluppo di una programmazione degna di questonome sotto una pluralità di aspetti, dall’allestimentodelle opere all’impegno di critici e curatori esterni e,soprattutto, dei collezionisti, gli immobili e le colle-zioni del Testaccio e di via Nizza resteranno pubblici,sotto la conservazione della sovrintendenza comu-nale. Al tavolo d’amministrazione siederanno dun-que tre rappresentanti del comune e due soci priva-ti, di cui uno è Enel, e l’altro verrà eletto con unbando pubblico, mentre le scelte culturali sarannopresiedute dal comitato scientifico. Un esempio daseguire in tempi di crisi o un museo a misura degliinvestitori, lo si vedrà presto. A tappi ben saltati. �

Maria AlicataGiovani artisti

Storica dell’arte contempora-nea (Roma, 1976), ha curatomostre in Italia e all’estero e, tral’altro, la monografia Tatemodern (Electa 2009).Fondatrice di “1:1 projects”,rete per l’ideazione di progettid’arte contemporanea, di basea Roma e Londra, è docente delmaster in “arts & cultural skillsfor management” alla Luissbusiness school capitolina.

Stefano ChiodiProgetti editoriali

Storico e critico d’arte (Roma,1963), ha curato mostre in varimusei e pubblicato, tra gli altri,La bellezza difficile (Le lettere,2008) e Una sensibile differenza(Fazi, 2006) e Prototipi (conPietromarchi, Sossella 2004).Insegna storia dell’arte contem-poranea al Dams dell’universitàRoma Tre e all’accademia diBelle arti di Macerata. È condi-rettore del sito doppiozero.com.

Marco DeloguFotografia

Nato a Roma nel 1960, è foto-grafo (del 2008 la sua perso-nale a villa Medici, “Noir etblanc”), editore dellaPunctum (dal 2003) e curato-re di una cinquantina dimostre sui grandi nomi del-l’ottava arte. Nel 2002 haideato il festival capitolinoFotografia, giunto ormai alladecima edizione, di cui èdirettore artistico.

Miltos ManetasWeb e nuovi media

Artista (Atene, 1964), vive elavora a Roma dopo essersi for-mato all’accademia di Brera eaver vissuto a New York, LosAngeles e Londra. Ha all’attivopersonali e collettive in diversimusei e gallerie del mondo, dalMaxxi alla Gagosian. È fonda-tore di Neen, movimento diartisti, architetti e designer cheindagano le forme della creati-vità nell’età dell’informazione.

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Bartolomeo PietromarchiUn romano alla guida del Macro

Bartolomeo Pietromarchi (Roma, 5 aprile 1968) è critico e cura-tore d’arte. Laureato in storia dell’arte contemporanea alla facol-tà di lettere e filosofia della Sapienza di Roma, dall’agosto 2011è direttore del Macro, dopo essere stato, dal 2008 curatore delpremio Italia Arte contemporanea del Maxxi, Museo delle artidel XXI secolo. Dal 2003 al 2007 è stato direttore artistico dellafondazione Adriano Olivetti. Ha curato diverse mostre e catalo-ghi, oltre alla programmazione dell’Hangar Bicocca di Milanonel biennio 2007-2008. È autore di varie pubblicazioni, tra cui:Imamginare Corviale 8Bruno Mondadori, 2006); Il luogo (non)comune. Arte, spazio pubblico ed estetica urbana in Europa(Actar, 2005); Creazione contemporanea (Sossella, 2004).

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Sopra: Christian Jankowski“Casting Jesus”, 2011

cortesia l’artista e Giubilarte Eventi

A destra: Mircea Cantor“Vertical attempt”, 2009

cortesia l’artista e Yvon Lambert, Parigi;Dvir Gallery, Tel Aviv

Sotto: Marcello Maloberti“Raptus”, 2009cortesia l’artista

e Galleria Raffaella Cortese, Milano

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un caffè conMARCO PESATORI

n volumetto neanche troppocorposo, sulle 300 pagine,agile ma zeppo di cose. Unapiccola cosmogonia portati-le, vademecum segno persegno all’annus horribilis chesi vuole vaticinato dai Maya ela realtà s’incarica di mostrar-ci nella sua dura luce. Sono

visioni & previsioni per l’anno dell’apocalisse, quellecontenute in 2012 di Marco Pesatori, fatte da un astrolo-go che al dono della parlantina accompagna quello del-l’ironia, alla conoscenza zodiacale una concezione diquesta come scienza esatta. Con qualche avvertenza.«Diciamo che questa astrologia basata sui 12 segni è perforza di cose approssimativa, il che vuol dire vicina alvero, non certo falsa. Lo strumento astrologico preciso

non può che essere il tema natale, o un manuale specia-lizzato. Dal punto di vista scientifico questo tipo di astro-logia non può che essere generica: ci sono sei milioni diCancri o Gemelli in Italia, quindi non può darsi una resanitida e precisa come nell’analisi del tema natale indivi-duale. Questo va sempre premesso, perché chi nonconosce l’astrologia, e in Italia sono sempre di meno,può ingenuamente esporsi al fatto di vedere in questeriflessioni la voce del Verbo».Se il Verbo è parola, la gnosi chiede regole. Una vera epropria disciplina dello zodiaco. «Questa è una scienzaantica, se non la più antica, tra quelle che l’uomo puòutilizzare, anche alla luce degli insegnamenti del ‘900. Èstata centrale in tutte le civiltà arcaiche ma anche nelRinascimento: pensiamo a Marsilio Ficino, Paracelso,Giordano Bruno. E ha avuto una splendida rinascita nelsecolo dell’inconscio grazie a Jung e a Freud che hanno

Cosa fare se il mondo finisce. Breve cosmogonia portatile per il 2012

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VISIONI E PREVISIONIPER L’APOCALISSEdi Maurizio Zuccari

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IL LIBRO

MARCO PESATORI

2012, visionie previsionisul nuovo annosegno per segnoFeltrinelli292 pagine14 euro

L’astrologoDal movimento Dada ai segni zodiacali

Milano, 7 luglio 1952, Cancro. Parlare di segno zodiacale èd’obbligo per Marco Pesatori, come pure di creatività.Laureato in storia della critica d’arte con una tesi sul movi-mento Dada, lo studioso ha una rubrica di astrologia su Ddi Repubblica e su Rai radio 2 (Astrologica). È autore didiversi saggi sul tema, tra i quali Segni (Dalai, 2007);Astrologia per intellettuali e Astrologia delle donne(entrambi Neri Pozza, 2009) e l’ultimo 2012, visioni e previ-sioni sul nuovo anno (Feltrinelli, 2011). Un libro agile mapregno di consigli, comprese letture e ascolti musicali, perper affrontare senza patemi l’anno dell’apocalisse.Compreso cosa fare se il mondo finisce, segno per segno.

Nella fascia:Original vintage zodiac poster, 1969

In basso: Marco Pesatorifoto Reed Young

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portato all’apertura verso il simbolico. A non guardare,cioè, le cose solo alla lettera ma ad aprirsi allo spirito pervedere che ciò che consideriamo vero una volta per tutteè in realtà qualcosa in movimento, sempre in trasforma-zione. C’è stata quindi, in antico, un’astrologia moltolegata alla religione che nel Rinascimento si collocaquasi come una scienza esatta e olistica, omnicompren-siva, e un’astrologia moderna,contemporanea, che viaggia dipari passo con la psicanalisi».Leggi delle stelle e leggi del-l’uomo, spesso in disaccordo.Ma il tempo dettato da questenon ha affatto un potere assolu-to sulla nostra vita.«In questa civiltà ipertecnologi-ca, basata sulla “tekne” e dun-que sulla scienza positivista,siamo tristemente abituati aseparare l’uomo da tutto ciòche lo circonda, come se lanostra vita fosse divisa.Pensiamo anche alla scienzamedica, che fa l’uomo a pezzi:c’è l’esperto del cuore, dei pol-moni, della testa. Viviamo inuna realtà separata, con questanostra mania occidentale dispiegare tutto che ha portato asepararci dall’oggetto perconoscerlo, nell’ottica positivi-sta. Per conoscere un fiore dob-biamo strapparlo e ucciderlo. Ilpositivismo è un po’ la scienzadella morte. Non è un caso,allora, se la scienza sia succu-be al potere economico, siaquella, pagata, che ha portatoalle mine antiuomo come allamorte della natura, all’inquina-mento e alla distruzione globa-le del pianeta. In questo sensol’astrologia si pone come scien-za non nella separazione trasoggetto e oggetto, ma nellacomprensione della continuità,dell’unicum che ci lega al tutto. Ora, l’unico non è solonella natura, non sta soltanto nel fatto che se continuia-mo a inquinarla marciscono polmoni e cervello.L’astrologia pone un problema nel tempo che, dal puntodi vista astrologico, è diverso dall’economico, in cuisiamo tutti schiavi. Come questo divide i giorni e i secon-

di in base alle nostre attività produttive e, direi, schiavi-stiche, il tempo dell’astrologia è quello della felicità,della realizzazione e della pienezza dell’essere, dovenon c’è separazione tra l’uomo e questo, appunto. Lavita dell’uomo non è il tempo che gli è stato rubato.L’astrologia non è altro che lo studio del tempo in rela-zione a ciò che è vivo. Tutto quanto vive non appena

viene alla luce è inserito in untempo: è questo, segnato dai pia-neti e dalla volta celeste damigliaia e migliaia di anni, cheviene studiato in relazione alvivere. In questo senso lo studiodell’astrologia è anche un ritornoai cicli, ai ritmi più vitali perl’uomo».Ma il problema è proprio iltempo, quando il mondo pareavere le ore contate. Però, nessundisperi: nel libro c’è scritto cosafare se il mondo finisce.«Questo capitoletto, il lettore locapisce subito, è ironico, quindiin base a tutte le previsioni cata-strofiste provenienti dalle civiltàabituate a studiare i grandi ciclitemporali come i Maya, maanche gli Aztechi, i cinesi, ilnostro Nostradamus come puregli ufologi e i teorici della “newage”, c’è una concordanza curio-sa e per certi versi inquietante sul2012 come anno di cambiamen-ti epocali. Chiaramente il proble-ma della Bilancia per un eventocosì cruciale sarà quello di comevestire per essere in ordine, quel-lo del Leone sarà di continuare aesibirsi anche nell’ultramondo,con gli alieni che lo applaudonoal passaggio, mentre la Venerepenserà a trovare un nuovo lavo-ro, visto che senza non sa starci.Per i Pesci non cambierà niente,vivono già in un altro mondo.Quanto allo Scorpione, il segno

dei buchi neri, del buio e dell’ombra, con i demoni el’oscurità si troverà a suo agio, visto che li frequenta dasempre».E il Cancro Pesatori che farà? «Il Cancro è stato sottopo-sto al duro training di Saturno, Uranio e Plutone contro.In linea generale, i Cancri nel mondo sono abbastanza

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provati, soprattutto quelli della prima e seconda decadehanno penato parecchio lo scorso anno. Finalmenteavranno una fase di respiro, potranno uscire dal bunker,solo la terza decade dovrà fare i conti con Saturno manon è una jattura, se l’astrologia servisse solo a prevede-re disastri non servirebbe a niente. È un segnale dacogliere per un’analisi serrata, è molto importante fareun bilancio secco, essenziale di ciò che non va nellanostra vita perché questo transito ci presenta i conti. Sesiamo preparati a lacrime e sangue, come dicevaChurchill, allora l’arrivo di Saturno non deve preoccu-parci, altrimenti i suoi sono tempi di critica radicale, e lìsi paga pegno».Ma, al di là della fine del mondo temuta e prevista, chise la passerà meglio o peggio dal punto di vista zodia-cale quest’anno? «In quest’astrologia vaga e generica,come dicevo, possiamo dire che ci sono gruppi più for-tunati e altri no. Potremmo dire molto bene per la secon-da decade dell’Ariete e del Cancro e le prime due delToro; per i Gemelli altrettanto bene per la seconda,eccezionale la terza; Bene anche per il Leone nellaseconda, quelli nati in agosto hanno il vento a favore,soprattutto la terza decade. Per la Vergine c’è un po’ dinervosismo nella prima parte ma se avrà un atteggia-mento misurato, come suo costume, generalmente nonandrà male, tranne qualche eccezione nella secondadecade. La Bilancia nata in settembre è tra i segni colfiato grosso, andranno meglio quelle nate nella secondadecade. Lo Scorpione gode tanto più la strada è dura ec’è da combattere, così il 2012 per quelli della secondadecade è eccezionale, come per quelli della terza. Ingenerale è uno dei segni più avvantaggiati dal nuovoanno. Il Sagittario deve stare attento a qualche fase diffi-cile all’inizio dell’anno, ma per la terza decade vameglio. Anche il Capricorno ha passato un paiod’annetti non facili, quindi le prime due decadi sono inlenta ripresa, meno la terza: deve fare i conti conSaturno che richiede grande concentrazione. Per quan-to riguarda l’Acquario direi che i suoi voti sono decisa-mente alti per la seconda e terza decade. Infine, i Pescisi lamentano sempre ma chiagni e fotti, come dicono aNapoli: se la cavano sempre. La decade più fortunata èla prima, quella dei nati in febbraio. Quindi, l’astrologiache l’immaginario televisivo relega a fine anno nellastanza delle serve, in realtà è una scienza centrale cheartisti e filosofi conoscono bene nella sua nobiltà eimportanza. Se cominciamo a lavorare sulle coinciden-ze, sulle combinazioni, apriamo una porta sulla partemisteriosa che ci circonda e spesso rimuoviamo.Possiamo chiamarlo inconscio o archetipo, ma quello èil luogo dove sorgono i simboli, quella è la stessa fonteper chi studia astrologia e per chi si occupa d’arte. �

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Hyaku, SagittarioSopra: Paolo Fresu, Toro

Nella pagina a fianco:Francesco Musante, Cancro

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il corpo dell’arte

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Una corposa personale al centro Pecci di Pratocelebra uno degli esponenti della Transavanguardia

di Ilaria Giordano

NICOLA DE MARIA

Colori come note divine

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a luce è grigia oltre i finestronidell’anticamera del centro perl’arte contemporanea Luigi Peccidi Prato ma gli sgargianti coloriprimari che campeggiano all’in-gresso la spezzano. C’è attesadavanti alla parete che divide lamostra, pochi metri di cartonges-so sui quali troneggiano lettere a

caratteri cubitali: Nicola De Maria, i miei dipintis’inchinano a Dio. L’artista e il curatore, Achille BonitoOliva, sono in arrivo mentre Marco Bazzini, direttoreartistico del Pecci, entra ed esce dal salone dell’esposi-zione minacciando, con un sorriso, il silenzio stampa.Poi il fremito e il brusio si interrompono e si dà il via auna gincana di opere, un “black out” di colori, luci emateria che allertano il pensiero: qualcosa di spirituale,oltre quello che già il titolo suggerisce, inizia a diventarevisibile. E la luce grigia è solo un ricordo lontano. Quelloche arriva subito allo sguardo è la bellezza della sempli-cità di quest’arte, priva di orpelli o ridondanze, «caratte-rizzata da gesti semplici, simboli di ritorno proprio per-ché di volta in volta smontati e rimontati in una praticagestuale e astratta», dice Bazzini. L’opera di De Maria glisomiglia, è gioiosa, magnificente ma mai sfacciata,com’è lui, quasi in disparte, con le braccia dietro laschiena e la falda di un Borsalino tra le mani, felicema inconsapevole. Quello sulla sua pittura è il rac-conto di un’alienazione poetica che si ritrova nelletele, una cifra naïf e amorosa lontana dal tempo diadesso, armoniosa nonostante le brutture, disperata-mente positiva rispetto al momento storico nel qualesi è formata. Era la seconda metà degli anni Settanta,i cosiddetti anni di piombo: sembra un paradossoche in quel periodo così duro e di rottura, un artistapossa guardare ai fiori o agli astri con il candore diun’anima pulita. La Transavanguardia stravolge tutto,contrasta le idee statunitensi che si concentrano sul-l’impersonalità e pone invece al centro l’identità, ilsoggetto. Il ritorno alla pittura come manualità rappre-senta il tentativo di recuperare una memoria che «para-dossalmente progetta il passato senza nostalgia – dichia-ra Bonito Oliva – lo riporta nel presente con uno slancioverso il futuro», con un eclettismo stilistico che diventala firma riconoscibile dei suoi fautori e di De Maria inprimis, capace di spaziare dal disegno al dipinto muralemantenendo «una pura visione che arriva ad una con-templazione disinteressata», precisa Bazzini. È l’operadi un uomo ancora bambino che guarda alle cosecon stupore e celebra quello che opere come Ilmondo dei fiori o Festival dell’atmosfera che brilla

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LCredo che l’intero

universo sia avvoltodal movimento ondulatoriodella musica che avvolge

il mondo e influenzaanche il nostro lavoro

E chi l’ha creato questomondo? Dio

L’artistaNel 1984 espone al Moma

Nicola De Maria nasce a Foglianise (Benevento)il 6 dicembre 1954. Conclude gli studi in medici-na ma nel 1975 intraprende ufficialmente la car-riera artistica. Lo stile della sua pittura murale loconsacra come rappresentante e fulcro dellaTransavanguardia, movimento teorizzato daAchille Bonito Oliva nel 1980 alla Biennale diVenezia. Lo stesso anno De Maria espone in col-lettiva alla Kunsthalle di Basilea e allo StedelijkMuseum di Amsterdam e inizia un vorticosopresenzialismo, in Italia e all’estero. Già nel 1984è protagonista al Moma di New York. Non esi-stono schemi né elementi che possano definirela sua arte. Poliedrico, tecnicamente e iconogra-ficamente, all’astrazione delle forme sopperiscecon una poetica sempre carica di intimità. Vive elavora a Torino, quando l’opera non è itineranteper necessità creative.

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La mostraI miei dipinti s’inchinano a Dio

La mostra, curata da Achille Bonito Oliva eMarco Bazzini, è un’antologica che fa lucesulla produzione più recente di Nicola DeMaria: dagli anni Novanta al Duemila.Quella al Pecci è una delle sei mostre facen-ti capo a un sistema che Bonito Oliva defi-nisce «costellazione»: il curatore, affiancatoda un comitato scientifico di critici, celebrae insieme riflette sul movimento dellaTransavanguardia che rappresenta l’unitàd’Italia attraverso l’espressione dell’identitàdella cultura nazionale. Catalogo Priaro edi-tore. Fino al 4 marzo. Centro per l’arte con-temporanea Luigi Pecci, viale dellaRepubblica 277, Prato. Info: 05745317;www.centropecci.it.

Illuminazione fatata2002

A sinistra: Alle museinnamoratissime (aglidei del bosco), 2004

A pag. 52:Paesaggio di tanti anni fa2004

sembrano gridare a gran voce, il mondo creato da unsolo Dio, a cui le sue opere si inchinano. Tutto ha ache fare anche con la musica che diventa suono peri nostri occhi, è un’arte evocativa, di forme incom-prensibili che presto diventano familiari. Che sianograndi tele o piccoli dipinti, l’intensità di questo stilesi sprigiona seguendo il battere e levare di una par-titura o, almeno sembra, dentro l’opera Universosenza bombe: un “rhythm ‘n blues”, forse un jazzstrumentale, magari solo note di piano improvvisato,l’opera di De Maria viaggia senza sosta tra i signifi-cati, le melodie, i rumori della natura e della mate-ria. Di fronte al suo ottimismo quello che incuriosi-sce è capire se l’arte, che solitamente è la risultantedi uno stato d’animo e la chiave di lettura del quotidia-no, risenta del momento che stiamo attraversando.«Dalla realtà – dichiara l’artista – non si può attinge-re per fare arte, anche se può partecipare come unostrumento tecnico, così come quando parlo dellaspiritualità delle mie opere: è un colore in più, manon si può mai giudicare l’arte per la sua spiritualitàperché sarebbe un inganno. La realtà, specie quellacontemporanea, va battuta, trasformata, affinché lavitalità dell’arte trionfi, ma occorre uno sforzo indi-viduale, in solitudine».L’idea che l’esplosione del magenta nell’incontrocon il ciano possa essere un atto creativo che nascenel silenzio di uno studio, stride come un accordo di

tromba che scappa al musicista inesperto, ma tant’è.Ritorna allora per associazione l’immagine di vitapiena, di suggestivi nessi musicali.«Credo che l’intero universo – prosegue De Maria aproposito del legame tra i suoi dipinti e la musica –sia avvolto dal movimento ondulatorio, quello dellamusica che avvolge il mondo e influenza anche ilnostro lavoro. E chi l’ha creato questo mondo? Dio.Questi dipinti s’inchinano a lui per ringraziarlo dellagrandezza della creazione che noi artisti, modesta-mente, contempliamo con i mezzi che ci ha donato.Luce, energia e suono sono gli ingredienti di un belquadro, che deve continuamente risuonare e maiinvecchiare. Il dovere dell’arte è l’immortalità».Mentre parla, l’enorme tela dietro di lui sembra volerprevalere, inghiottirci. Spesso in De Maria, come inaltri artisti della Transavanguardia, la pittura è fisica-mente incontrollata, supera i confini della tela e siincunea nelle tramature delle pareti, delle volte,nelle cupole, divorando lo spazio circostante. Cosìdiventa naturale indagare sul dialogo che si innescatra l’artista e la superficie che accoglie il suo lavoroe sull’effetto che il misurarsi con questo mezzo pro-duce incidendo sul progetto iniziale.«Le opere vengono inventate sul posto – proseguel’artista specificando la natura dei suoi ultimi lavorinati proprio per il museo di Prato – non ho mai sapu-to o potuto realizzare un progetto anteriore, perché

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si tratta di portare la risonanza, quella che io chiamomusica interna, al di fuori, affinché questa diventi unanuova sensibilità che si misura con la realtà».Il lavoro fatto sull’enorme opera in situ che coinvolgeun’intera sala della retrospettiva ne è uno strabilianteesempio che conferma l’estemporaneità emotiva diDe Maria attraverso la perfezione con la quale la suapittura si incastona nello spazio. È un’esperienza checrea nell’osservatore un’iniziale agorafobia, peròdivertente, è un’immersione totale in un’architetturadi colore, intervallata da alcuni elementi tra cui unavaligia che è per l’artista una componente ricorrente,capace di nascondere ogni volta un segreto, non fos-s’altro che una parola. Il maestro riprende la tradizio-ne italiana e lavora, come un novello Mantegna, sulconcetto di camera picta, affrescando un luogo nellasua totalità, con i suoi strumenti preferiti, i colori pri-mari, trasformando temporaneamente un luogo che siimpregna della sua poetica, anche se presto perderà lasua firma pur conservando il ricordo del messaggio. Inquesto frangente, forse, si trova il fine a cui ambisce laTransavanguardia: recuperare il presente attraverso la

tradizione per proiettarlo in una dimensione futura.«La pittura di De Maria diventa un mezzo totale –commenta Bonito Oliva – interagisce con lo spazioesterno e crea un’interattività polisensoriale con lospettatore. Non riesco a considerarlo un pittore astrat-to rispetto ad altri artisti, perché le forme sono indeci-se e lo spettatore incontra potenzialmente tutto nellasua opera. Quello di De Maria è un percorso coeren-te, che viene da lontano, capace di poter svolgere unlavoro non in termini cronologici, ma di creare corticircuiti con opere e periodi diversi».Si mette così in luce la diversità, di momenti e divedute, di un artista e di un uomo, che abbraccia ildinamismo della Transavanguardia intesa come supe-ramento delle psicosi da modernità e rivisita la realtàcon un linguaggio neo-espressionista. Mantiene unacoerenza emotiva anche se non forzatamente stilisticache, nel caso del Pecci, dà la possibilità di guardarealla sua produzione eterogenea con l’intelligenza dichi sa che il cambiamento è l’unico modo per soprav-vivere. De Maria è un artista che il critico definisce«felicemente fuori zona, “déplacé”, spiazzato, che

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potrebbe benissimo provenire da un’altra epoca. Conla sua arte riesce ad azzerare le cronache perché hauna profondità che viene dall’esercizio pittorico». Daqui la volontà di narrare un tempo, per ribellarsi o peramare, una spiritualità ma soprattutto «una necessitàassoluta», come sottolinea il pittore, di rendere gra-zie, perché dentro un contrasto si può nascondere unfiore e in una bellezza esiste un difetto che la rendespeciale. L’antologica evita linee temporali e raccon-ta un percorso ontologico, perché sia laTransavanguardia che l’artista sono una fucina, uncantiere laborioso di idee e poetiche di cui sarebbeimpensabile tirare le fila. Inoltre, se quello dei“magnifici cinque” (Chia, Cucchi, Clemente, DeMaria e Paladino) è un movimento di ribelli che rifiu-ta controlli o inibizioni, rappresenta però un movi-mento di uomini che lavorano sull’identità delle tra-dizioni e dell’essere in quanto tale. È forse proprioquesto l’elemento che racconta meglio il lavoro di DeMaria: il pensiero sull’identità, quella di un uomo,terreno e spirituale, silenzioso ma carico di musica,che dà vita, per osmosi, a un’epifania di colore. �

Biblioteca incantata, 2010In basso:

Manifesto Norma Bellini1987

A destra:Manifesto Festival

dei due mondiSpoleto, 1991

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l’arte prende corpoDONATO DI ZIO

ertigini e morbide linee, fittetrame e cerchi aperti, contrastinetti di colore dati dall’uso spa-smodico del bianco e nero.L’arte di Donato Di Zio presen-ta delle caratteristiche evidentie delle particolarità ricorrentituttavia è l’elemento dell’enig-maticità quello che maggior-mente prevale osservando i

suoi lavori. Un mistero che ben richiama la complessitàdel mondo interiore, universo a cui Di Zio rivolge la pro-pria passione artistica. Se non è recente la ricerca intra-presa dall’artista abruzzese, ma fiorentino d’adozione, èfresca invece la donazione di sei acqueforti alla bibliote-ca Marucelliana di Firenze: un gesto generoso che sotto-linea lo scambio che ci dovrebbe essere più spesso traartista e istituzioni. Con estrema disponibilità, Di Zio rac-conta delle emozioni che risiedono dietro il suo certosi-no e assiduo lavoro d’indagatore scientifico.

Indagatore della psiche e delle sue recondite manifestazioni, l’artista

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VL’OSSESSIVA RICERCAdi Giorgia Bernoni

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In apertura del tuo catalogo, curato da Gillo Dorfles,scrivi: “L’origine della vita è un mistero, la mia arte inda-ga l’ignoto e l’immensa sfera emozionale dell’essereumano”. Spiegaci meglio cosa intendi.«Trovo che la psiche dell’essere umano sia affascinante ecomplessa, presenta molte incognite e riuscire a darneuna visione chiara è assai difficile, forse impossibile, marivelarne un’infinitesima parte acquisendone consapevo-lezza è un arricchimento per la propria anima. Il baga-glio culturale che ognuno di noi si porta dietro è com-

posto da innumerevoli fattori: vi è un lato legato alla sferaemozionale, poi bisogna rapportarsi con il quotidiano,vivere intensamente ogni attimo della vita, apprezzandoa pieno il passare del tempo che scandisce alternanzadi relazioni e intime sensazioni. Emozioni legate alprivato che a volte vengono dichiarate o celate tra gliinfinitesimi segni delle mie opere, in parte svelate mamai rivelate. L’uomo fin dalla sua comparsa ha dovu-to soddisfare esigenze che si sono ripetute nel corsodei secoli, facendo tesoro delle scoperte precedenti

presenta un corpus compatto orientato alla reiterazione del simbolo

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DELL’EMOZIONE

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L’artistaUna passione tra pittura e palcoscenico

Donato Di Zio, pittore, scenografo, grafico e costumista, è nato l’8ottobre 1970 aMoscufo, in provincia di Pescara. Nel 1996 si diplo-ma all’accademia di Belle arti di Macerata, nella sezione di sce-nografia. Già nei primi anni degli studi accademici unisce all’a-more per la pittura e la calcografia quella per il palcoscenico. Laprima esposizione risale al ‘97, mentre è del 2006 la monograficaal museo d’arte moderna Vittoria Colonna di Pescara. Del marzo2011 l’antologica ospitata negli spazi museali della struttura ExAurum di Pescara, dove sono state esposte opere a partire daglianni giovanili fino a oggi. In programma, dal 15 settembre al 15dicembre, un’esposizione alla biblioteca Marucelliana di Firenze.

Pelagocentocinquantadue2007

A destra: Donato Di Ziofoto Carmeli-Belli

A pag. 61: Scheggeda Pelago n. 6, 2007

Nelle pagine precedentida sinistra:

Gli orgogliosi, 2000Pelago infuocatoe luminoso, 2009

Pelago Micron 2010

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per oltrepassarle e farne di nuove. Sono sempre statoattratto da chi ha incentrato la propria ricerca sull’uomoquale essere complesso, gli studi di Sigmund Freud ol’immensa opera di Dante Alighieri, La divina comme-dia. I miei lavori, sin dalla più giovane età, ruotano intor-no alle innumerevoli pulsioni emozionali della psicheumana, trovo che indagare sulle proprie origini e sull’o-rigine della vita stessa sia una necessità. A volte miaccorgo, quasi inconsapevolmente, che nelle mie opereritrovo brani o temi trattati in alcuni canti e terzine dellaDivina commedia o argomenti analizzati da Freud».I tuoi lavori sono molto vari, dai disegni agli interventiin spazi urbani. C’è un filo che li lega?«Le mie opere indagano varie forme d’arte come dise-gni, incisioni, progetti per interventi in spazi urbani,design, piatti o gioielli. Trovo chel’applicazione in diversi ambiti sia unaricchezza, il filo conduttore cheunisce tutte queste forme d’arteè il rigore legato alla ricercadel segno, svincolato daimposizioni, che agisce intotale libertà dando sfogoalla mia indole emozio-nale e creativa. GilloDorfles, a cui sono lega-to da profonda stima eamicizia, in una videoin-tervista rilasciata aMatteo Galbiati affermache “la particolarità dellavoro di Di Zio è il segnoda lui creato, con molta origi-nalità sia nei quadri, sia nelletazzine, sia nelle decorazioni.Quello che conta, quindi, è soprattut-to l’unicità e la peculiarità con cui haaffrontato questa forma di creazione segnica”».La tua arte dà un senso di vertigine, è un equilibrio que-sta eterna linea ondivaga?«Il senso di vertigine che si può avere nell’osservare alcu-ne mie opere penso sia dato dall’apparente semplicitàiniziale che viene meno nel momento in cui si osserva-no con più attenzione. La linea ondivaga si rincorre inmaniera spasmodica creando un senso d’equilibrio, noneterno ma mutevole. Scrive ancora Dorfles in un suotesto critico del 2006: “La natura di queste strutture è pursempre quella del vortice, del groviglio, della marezza-tura; ma è già possibile scorgere – almeno per chi sia alcorrente delle famose macchie di Rorschach – l’evidentepresenza di nucleoli, di spirali, di embrioni pronti a tra-sformarsi in organismi indecifrabili eppure apparentati a

una organicità palese anche se criptica”».Quali sono i soggetti ricorrenti delle tue opere?«Prerogativa dell’uomo è di lasciare come eredità per iposteri un segno della propria esistenza. In molte mieopere è presente una forma che può ricordarel’ingrandimento al microscopio di uno spermatozoo: daparte mia è inteso come l’origine della vita ed essa stes-sa è vita che, contaminandosi con altre forme, dà origi-ne a nuovi impulsi senza mai arrivare a una fine. RitaLevi Montalcini, in una sua lettera, scrive: “Nel mondocosmico della serie denominata Pelago, che indaga lavita in tutti i suoi molteplici e variegati aspetti, alcuneopere possono ricordare dei microrganismi ingranditi almicroscopio dove si ha la reale percezione della gran-dezza e della vitalità che regna nel cosmo, in questo

trovo dell’assonanza con il mio operato,una ricerca costante che non avrà mai

fine. Trovo che la scienza, la cultu-ra e l’arte siano campi d’ indagi-

ne che portano chi se neoccupa in maniera attiva ad

avere una visione semprepiù ampia della vita”. Inqueste parole e in quelledi Dorfles ritrovo la veraessenza della mia poeti-ca e ricerca artistica».Lavori anche in teatrocome scenografo ecostumista, cosa tiappassiona dell’arte sce-

nica?«Ho sempre disegnato e

dedicato parte del mio tempoal teatro, inizialmente in diversi

ambiti, poi firmando scene e costu-mi. Esprimermi tramite il disegno è per

me un’esigenza primaria, da alcuni anni ho scel-to di dedicare gran parte del mio tempo a realizzarele mie opere anche se non ho abbandonato del tuttoil teatro, luogo dove ancora lavoro. L’arte scenica inqualche maniera è la totalità di diverse forme d’arteche vengono ad assommarsi per dare vita a uno spet-tacolo. Il mio lavoro come artista è individuale e mipermette di potermi esprimere in totale libertà. Inquesto senso riesco a soddisfare a pieno le mie emo-zioni, riuscendo così a rimanere autentico, e rappor-tandomi con gli altri solo in una fase successivaquando l’opera è compiuta. Al contrario nel teatrotutto deve essere mediato e, a volte, parte della pro-pria creatività può venire meno: in questo trovo unsenso di sofferenza». �

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i luoghi del belloIL QUIRINALE

Il palazzo, simbolo del potere dalla fondazione di Romafesteggia l’unità d’Italia con due esposizionie per l’occasione svela i suoi suggestivi internidi Flavia Montecchi

CUSTODEd’arte e storia

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a sempre simbolo di pote-re e di prestigio capitolinoe testimone dei cambia-menti storici della sovrani-tà italiana, il Quirinalecontiene al suo internouna collezione artistica dinotevole portata chesegna le prerogative cultu-

rali della modernità storica dell’intero paese. Lamostra Il Quirinale, dall’unità d’Italia ai giorninostri, che conclude il percorso celebrativo dei150 dell’unità, ha sede proprio in alcune sale delpalazzo e intende percorrere insieme con i citta-dini le tappe artistiche conservate al suo interno.L’evento sottolinea, inoltre, l’attenzione dellostato italiano verso la conservazione dei poteri edelle ricchezze accumulate negli anni e lasciaampio spazio al percorso cronologico di quelli

che sono stati i presidenti italiani dalla nascita dellarepubblica ad oggi. È grazie alla direzione curatorialedi Paola Carucci, soprintendente dell’archivio centra-le dello stato fino al 2002, e a Louis Godart, consiglie-re per la conservazione del patrimonio artistico delpresidente della repubblica, che è stato possibileconcentrare la storia del palazzo nella mostra. Fineultimo far conoscere i passaggi della conservazionedella memoria artistica voluta negli anni, a partiredagli ultimi giorni di papa Pio IX fino a Carlo AzeglioCiampi. Obiettivo principale del periodo repubblica-no stesso è sempre stato quello dello studio e dellaconservazione del patrimonio artistico del palaz-zo: il laboratorio di restauro all’interno delQuirinale sancisce infatti l’autonomia di tale con-servazione.Ci vollero due anni di lavori condotti dall’archi-tetto Ottavio Mascarino per realizzare, su voleredi Papa Gregorio XIII, la residenza estiva pontificia

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a Roma. I lavori presero avvio nel 1583, interessan-do la sommità del colle Quirinale e la piazza anti-stante. A partire dalla fine del Cinquecento sino alladichiarazione dell’unità d’Italia, l’arredamento dellostorico palazzo e le sue vicissitudini ornamentaliinterne furono completamente dedicate all’osservan-za sacerdotale nei confronti non tanto di Dio, quan-to di chi, come il papa, ne diffondeva la parola.Anche durante l’occupazione francese fra il 1812 eil 1813, in vista della residenza napoleonica maiavvenuta, l’intento dei lavori di restauro, che volevacolpire le decorazioni seicentesche, venne abbando-nato a favore del mantenimento degli affreschi bibli-ci esistenti. Ma a giudicare da testimonianzed’archivio dei primi viaggi europei avviati nel XVIIsecolo dall’usanza dei “grand tour”, il decoro papa-le dei parati rossi alle pareti risultava “banale e

monotono”. Da ricordare invece gli interventi pitto-rici diretti da Tommaso Minardi verso la fine del1840 e avviati con gli artisti Luigi Cochetti, NicolaConsoni e Antonio Bianchi, volti a una «esaltazionein chiave sapienziale delle virtù del pontefice qualeamministratore della giustizia», come scrive MarcoLattanzi nel catalogo della mostra. Si evince infattidai lavori di restauro del 1850 che l’aspirazionepapale negli arredi e nelle pitture risiedesse in unaraffigurazione del regno “ispirato direttamente dallasapienza divina” in riferimento al regno diSalomone, considerato dagli ebrei “età ideale” riccadi saggezza. Ed è proprio a partire dall’occultamen-to dell’ideale teocratico del regno dei papi che lagiunta di governo piemontese, subito dopo la brec-cia di Porta Pia nel 1870, proclama una commissio-ne di undici esperti, tra ingegneri e architetti, diretta

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VIII secolo a. C.Nell’area del colle del Quirinale sorgo-no il tempio del dio sabino Quirino,che dà nome al colle, e il tempio delladea Salute.

315 d. C.Sulle pendici meridionali del QuirinaleSorgono le terme di Costantino, costrui-te attorno al 315 d. C., e il tempio diSerapide

1550Nel 1550 la villa Carafa, di proprietà di

Oliviero Carafa, venne presa inaffitto dal cardinale Ippolitod’Este che trasformò la vignain un elaboratissimo giardino

Giacomo LauroIl palazzo e i giardinidel Quirinale, 1618e la fontanadelle bagnanti

In basso: il cortileinterno del Quirinale

A sinistra: la salaGialla restaurata

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1583Edificato, a partire dall’ampliamento divilla Carafa, da papa Gregorio XII chelo volle come sede della residenzaestiva

1870Dopo la breccia di PortaPia e l’annessione diRoma al Regno d’Italia, ilQuirinale divenneresidenza dellafamiglia reale

1878–1900Umberto I e lareginaMargheritaabitano le saledel palazzo

1900–1946Vittorio Emanuele III ed Elenadi Montenegro abitano il palaz-zo fino all’avvento dellaRepubblica

1955Prima residenza ufficiale del IIIpresidente della RepubblicaGiovanni Gronchi

2006L’attuale presidente dellaRepubblica Giorgio Napolitanos’insedia al Quirinale

Da Quirino alla Repubblica

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La mostra/1Il Quirinale, dall’unità d’Italia ai giorni nostri

Mostra storica curata da Paola Carucci e Louis Godart raccoglie scritti e opere dal 1870a oggi. Due curatori per altrettanti filoni installativi che si snodano nel percorso espositi-vo. Alla Carucci si deve il lavoro di recupero del patrimonio d’archivio con l’accurataselezione dei documenti salienti in 150 anni di storia, invece a Godart va l’attenzionerivolta alla collezione artistica del Quirinale, con l’esposizione dei «capolavori emble-matici della storia del palazzo». L’allestimento, curato da Luca Ronconi, parte dal corti-le d’onore per raggiungere la sala d’Ercole e quella del piano Nobile. Catalogo Civita.Fino al 17 marzo, piazza del Quirinale, Roma. Info: www.quirinale.it.

In alto: 4 maggio 1938Hitler e Mussoliniescono dal Quirinale

A sinistra: Flora RapaNon si affittaai meridionali s. d.

A destra: un internodel palazzo

La mostra/2Noi, l’Italia

In esposizione centocin-quanta opere e testi realiz-zati da persone con disabi-lità nei laboratori d’artedella comunità disant’Egidio a Roma. Lamostra, a cura diSimonetta Lux, raccoglieoltre centocinquanta lavori, tra opere e testi, realizzati da per-sone con disabilità nei laboratori d’arte della comunità diSant’Egidio. Presente anche l’installazione dell’artista AntonRoca, Tavolo Italia, realizzata con l’aiuto di venti ragazzi cheracconta individuali esperienze di vita italiana, tracce di memo-ria, desideri e aspirazioni per il futuro. Il catalogo è pubblicatoda Maretti editore. Fino al 17 marzo, piazza del Quirinale,Roma. Info: www.quirinale.it.

Gli interni1 Bibliotecadel PiffettiDurante il periodosabaudo la stanza fudestinata a biblioteca earredata con la prezio-sa libreria di PietroPiffetti, uno dei mag-giori ebanisti al serviziodella Casa Reale.

2 Loggia d’onoreLa sala si trova nelnucleo più antico delpalazzo, costruito nel1583-1585 per papaGregorio XIIIBoncompagni.

3 Scaladel MascarinoLa scala elicoidale fuedificata nel 1583-84su progetto dell’archi-tetto OttavianoMascarino.

4 Saladegli ambasciatoriIl nome deriva dal-l’essere stato adibitoin età sabauda alricevimento del corpodiplomatico accredi-tato, uso che tuttorapersiste in occasionedi visite ufficiali dicapi di stato esteri.

5 Sala di AugustoL’ambiente facevaparte della lunga gal-leria di AlessandroVII, divisa in tre salo-ni nel periodo del-l’occupazione napo-leonica del Quirinale.

6 Sala degli scrigniIl nome della sala fariferimento ai cinquescrigni in legni pre-giati e intarsi in avo-rio, tutti ascrivibili alpieno Ottocento.

7 Salone delle festePer la sua spaziosità,la grande sala con-sente di ospitare lecerimonie che preve-dono un elevatonumero di invitati.

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da Giuseppe Camporesi, per modernizzare la cittàe i suoi luoghi di potere. Un potere di stato e non dichiesa, ed è così che la centralità del controllosabaudo viene ricordata sul colle capitolino delQuirinale.È con l’arrivo dei Savoia e lo spirito orientaleggian-te della regina Margherita che il palazzo sembraarricchirsi di luce: ornamenti dorati e figure allego-riche nascondono i moniti religiosi di oltre duecen-to anni. Panche, banconi, mobili e oggetti d’arte:tutto quello che ancora conservava lo stemmapapale viene sostituito da un arredamento settecen-tesco vistoso e decorativo, con influssi rococò eamori francesi, grazie anche allo spoglio di palazzisabaudi preunitari. Lo stemma sabaudo trionfa alcentro delle mura di quella che era la sala regiapapale, poi salone dei corazzieri, rinvigorito dal“fregio decorativo” di Gaetano Lodi “lungo il qualesi dispiegano gli emblemi di quarantasei principalicomuni italiani”, come scrive la storica MariaAngela San Mauro. Artisti molto attivi in quegli annie impegnati nell’ammodernamento degli ambientiregali sono Domenico Bruschi, Cecrope Barilli eDavide Natali. Episodi di storia romana, vedute deipalazzi reali e ritratti ufficiali coprono le opere diCarlo Marotta e Tommaso Minardi, rivalutando lesale di ricevimento con arazzi e arredi orientali. Èla sala delle Feste la più sfarzosa, commissionataprima a Cesare Barilli e a Girolamo Magnani poi.Mentre vedono la firma degli artisti Luca Seri eAchille Majnoni gli ornamenti di volta e pareti configure allegoriche e immaginarie su sfondi di sfarzodorati. Con Vittorio Emanuele III ed Elena diMontenegro la ricchezza del Quirinale, che attinge-va al gusto degli stili passati grazie ai loro prede-cessori, cessa di brillare per adeguarsi a scelte orna-mentali contenute e sobrie.Ad affievolire il carattere decorativo è la primaguerra mondiale al seguito della quale, per decisio-ne della regina, le sale di ricevimento verranno poipredisposte ad accogliere i feriti, così come l’interopalazzo. Tuttavia è in questo periodo che la colle-zione si amplia: tra pittura e scultura fanno ingres-so circa 80 opere provenienti dalle diverse esposi-zioni nelle città di Roma, Torino e Napoli. Più avan-ti si annoverano i nomi di artisti quali Casorati,Martini, Maccari, Manzù, Sironi, Capogrossi. Con ilfinire delle due guerre, il Quirinale diviene unasede repubblicana: siamo nel 1946 ma solo con ilpresidente Giovanni Gronchi, nel 1955, il palazzoè dimora, vissuta a tutti gli effetti, del presidentedella repubblica italiana. �

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L’abbaziadi Sant’Antimo

A destra, in ordine:La chiesadi Sant’Agostinouna scultura ligneae il chiosco

Al lato: la fortezzadi Montalcinola chiesa di Santa Mariadel Soccorsoil Palazzo comunale

i luoghi del belloMONTALCINO

di Maria Luisa Prete

UN PICCOLO GIOIELLO

In provincia di Siena, il borgo medievale vive di tradizioni e buon vino

nel cuore della Val d’Orcia

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MMontalcino, a nord ovest del monte Amiata, si erge suuna collina a 564 metri sul livello del mare. Posto nelcuore della Val d’Orcia, il suo nome è comunementeassociato al Brunello, vino rosso tra i più pregiati. Ma ilpaese, di circa 5mila abitanti, offre molto di più: tradizio-ne, storia, cultura e buon vivere. Non tradisce le aspetta-tive e, anzi, come solo alcuni antichi borghi riescono afare, regala la sensazione magica di vivere fuori daltempo, tra le suggestioni e gli antichi costumi del medioe-vo. A riprova, il combattivo campanilismo – tipico di tuttala Toscana – che in questo caso si traduce in una sanarivalità con il vicino Montepulciano e l’austera Firenze. Èancora viva nella memoria, come fosse accaduta ieri, labattaglia di Montaperti, combattuta il 4 settembre 1260,tra le truppe guelfe capeggiate da Firenze e quelle ghi-belline capeggiate da Siena. La vittoria dei senesi e deiloro alleati – tra cui Montalcino – segnò, per un breveperiodo, il dominio della fazione ghibellina sulla Toscana.Anche grazie alla sua posizione sulla vecchia viaFrancigena, la strada principale tra la Francia e Roma,Montalcino ha avuto sempre un ruolo importante al fian-co della città del palio. È stata coinvolta nei conflitti in cuianche Siena era coinvolta, in particolare in quelli conFirenze nel corso del XIV e del XV secolo. Dopo la cadu-ta di Siena nel 1555 i nobili senesi si arroccarono in cittàper quattro anni, dando vita alla Repubblica di Siena ripa-rata in Montalcino. Alla fine anche Montalcino è entrataa far parte del Granducato di Toscana, fino all’unitàd’Italia. Ma la sua forte identità e l’orgoglio delle sue ori-gini non sono mai venute meno. Oggi è un bellissimoborgo che conserva ancora intatti i tesori del suo gloriosopassato e, dopo un periodo di depressione alla fine dellaSeconda guerra mondiale, è rinato grazie alla coltivazio-ne dei vigneti di Sangiovese da cui si ricava un pregiatovino. Il rilancio economico viaggia insieme a quello cul-turale e alla valorizzazione della tradizione. Tra gli even-ti caratteristici, la Sagra del tordo che si svolge, dal 1958,l’ultima domenica di ottobre e, in versione ridotta, laseconda domenica d’agosto. È una rievocazione storicadi un torneo di tiro con l’arco tra i quattro quartieri dellacittà (Borghetto, Pianello, Ruga e Travaglio) che riprendeuna pratica dell’epoca medievale, mentre un lungo cor-teo con sontuosi costumi d’epoca si snoda per le vie cit-tadine, accompagnato dalle musiche e dai balli popolaridel “Trescone”. Da un affaccio sotto la torre civica chedomina la piazza del Popolo, il banditore dà lettura deldocumento che dichiara formalmente aperta la sagra,

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mentre, in onore dei signori della fortezza, dei tordi sonoliberati in volo. II corteo prosegue verso piazza Garibaldidove, dal sagrato dell’antica Sant’Egidio, la chiesa deisenesi a Montalcino, viene impartita la benedizione agliarcieri. Nel pomeriggio il corteo storico riprende alla voltadel campo da torneo, ricostruito all’ombra dei bastionidella rocca. È il momento in cui le rivalità, le speranze egli antagonismi si accendono e si puntano i riflettori sugliarcieri, due per ogni quartiere: questi scoccano cinquefrecce ciascuno nel susseguirsi di quattro serie nelle qualiaumenta gradualmente la distanza e il punteggio; vince ilquartiere che, al termine della competizione, ha totaliz-zato il maggior numero di punti. Alla fine il vincitore riti-ra dal capitano di campo una freccia d’argento e un tro-feo realizzato appositamente da un artista contemporaneo(nell’ultima edizione è toccato a Leonardo Scarfò), inneg-giando canti di gioia e di scherno nei confronti degli scon-fitti. Una rievocazione storica che diventa spettacolo. Maaltre attrazioni, non meno fascinose, attendono il turista.Prima fra tutte, l’abbazia di Sant’Antimo, meravigliosocomplesso architettonico a 9 km da Montalcino. Secondola leggenda, l’abbazia sarebbe sorta su un’antica cappellavotiva fatta erigere da Carlo Magno, nel 781 d. C., anchese la costruzione viene fatta risalire negli anni a cavallo trail 1000 e il 1118. Straordinario esempio di architetturaromanica lombardo-francese costruita in onice e alaba-stro, l’edificio rivela la sua eccezionalità nell’abside for-mata esternamente da cappelle radiali, nel lungo ambula-cro interno, così come nei capitelli decorati a intrecci geo-metrici, motivi floreali e figure di animali.Ma a Montalcino sono numerose le opere architettonichedi epoca medievale, a cominciare dalle mura di cinta checonservano ancora le antiche porte e parte dei torrioni, ilPalazzo comunale (edificio della fine del Duecento), iLoggiati di piazza del Popolo, la cattedrale in stile neo-classico, il santuario della Madonna del Soccorso (edifi-cato nel XVII secolo su una chiesa quattrocentesca, oggi èimpreziosito all’esterno anche da opere d’arte contempo-ranea come la scultura di Silvia Ranchicchio), la chiesa diSant’Egidio, del XIV secolo, e le bellissime chiese trecen-tesche di Sant’Agostino e di San Francesco, con gli annes-si conventi aperti su bellissimi chiostri. Proprio nell’exconvento di Sant’Agostino ha sede il Museo civico e dio-cesano di Montalcino, uno dei più importanti musei d’artemedievale, moderna e archeologia della provincia diSiena. La collezione offre una panoramica quasi comple-ta della produzione artistica di questo centro toscano conopere che documentano l’influenza del grande caposcuo-la Duccio di Boninsegna. Fa parte del museo la sezionearcheologica che ripercorre la storia di Montalcino dallapreistoria al periodo etrusco. L’annessa chiesa sconsacra-ta ospita invece mostre temporanee. �

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A fianco:la chiesa di Sant’Agostinopresso il museoarcheologico

A sinistra:alcuni momentidella Sagra del tordoil corteo in costumee il torneoIn basso a destra:il trofeo realizzatoda Leonardo Scarfò

Il borgoDalla conceriaal Brunello

Montalcino si collocanel territorio a nord-ovest del MonteAmiata, alla fine dellaval d’Orcia. Il toponi-mo deriva da MonsIlcinus, dal latino mons(monte) e ilex (leccio),monte dei lecci, piantadiffusa nella zona, rap-presentata anche nellostemma cittadino. Ilprimo nucleo abitativorisale al X secolo. Inepoca medievalel’attività economicaprevalente era la con-ceria e Montalcino dis-poneva di numerosefabbriche per la lavora-zione del cuoio. Oggi ilterritorio è celebre perla presenza dei vignetidi Sangiovese che pro-ducono il famosoBrunello di Montalcinoma anche due pregiatidoc: il Rosso diMontalcino e ilSant’Antimo. Info:www.prolocomontal-cino.it.

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l’arte del libro7. I CARATTERI A STAMPA

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curioso che le nebbie dellastoria avvolgano molti capitolidella vita di uno dei personag-gi centrali della nostra storiaculturale, Johann Gensfleisch,detto Gutenberg. Di certo si sache egli nasce a Magonza dauna famiglia di orafi e com-mercianti. A lungo è attivo a

Strasburgo, dove è impegnato in attività diverse come laproduzione di piccoli specchi acquistati come souvenirdai pellegrini, e negli esperimenti di un’“arte nuova”basata su caratteri metallici e presse. Dal 1448Gutenberg è di nuovo a Magonza, dove molto probabil-mente si dedica alla realizzazione di alcune elementaripubblicazioni a stampa, calendari ed esemplari dellaGrammatica di Elio Donato, testo antico diffusissimoperché considerato la base per lo studio del latino. Invirtù di questi primi risultati Gutenberg concepisce ilprogetto di una monumentale edizione della Bibbia lati-na nella vulgata di san Gerolamo: la sua tenacia visio-naria è tale che ottiene finanziamenti per gli strumenti, lacarta e la pergamena, gli inchiostri e i salari dall’uomod’affari Johann Fust, il quale partecipa attivamente alprogetto allo stesso modo di Peter Schöffer, già calligrafoe incisore, collaboratore primario di Gutenberg.I problemi da risolvere sono di tre ordini. Il primo è larealizzazione dei caratteri, per la quale l’esperienza diorafo di Gutenberg concepisce l’incisione di un punzo-ne in metallo durissimo che, impresso più volte in matri-ci di un metallo meno resistente, una lega di stagno e

antimonio, consente la fusione in serie di caratteri ugua-li per dimensione e struttura, dunque facili da produrreoltre che maneggevoli: per la Bibbia egli realizza circa290 segni tipografici diversi della scrittura gotica dettatextura, quella tipica dei grandi testi manoscritti, chevengono impressi per 3.350.000 volte. Il secondo è latecnica di impressione. Gutenberg intuisce che si puòtrasferire alla nascente tipografia il principio dei torchicon cui i contadini renani pigiano l’uva, realizzando unostrumento che consente una pressione meccanica forte euniforme. Da questo punto di vista gioca a suo favorela scelta di preferire la carta alla pergamena, il cui stes-so alto costo intrinseco è contrario alla produzione inserie, e le cui irregolarità fisiche la rendono peraltroinadatta alla pressa. Infine, Gutenberg risolve il proble-ma dell’inchiostro, essendo quello in uso per la scritturatroppo fluido e leggero: l’inchiostro denso e oleoso concui è stampata la Bibbia è ancor oggi, a secoli di distan-za, d’una invidiabile freschezza e lucentezza di nero,dovuta alla quantità di rame, piombo e titanio nel car-bone di base. Gutenberg compone le pagine di grandidimensioni, 43 centimetri per 62, in due colonne di testoperfettamente allineate, sviluppando nelle prime novepagine quaranta linee, nella decima 41 e nelle restanti42, con un processo di diminuzione delle dimensionidel carattere determinato da ragioni di costo, ottenendouna superficie stampata di 29,2 centimetri per 19,8:evento, questo, che ha fatto passare alla storia l’edizionecon il nome di Bibbia a 42 linee. In totale Gutenberg e isuoi collaboratori compongono 1.282 pagine per ogniesemplare e pubblicano, secondo l’ipotesi più accredita-

È

L’OMBRA DI GUTENBERGdi Flaminio Gualdoni

nella storia

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ta, 180 esempla-ri, dei quali 135in una carta fili-granata impor-tata, al costo di600 fiorini, da Caselle, in Piemonte, unodei principali centri di produzione delQuattrocento, e 45 nella pergamena piùpregiata, al costo di 400 fiorini, utilizzan-do per ogni esemplare la pelle di 170vitellini. Di quell’edizione sopravvivono49 esemplari, dei quali solo dodici incarta e quattro in pergamena sono com-pleti.L’impresa è ciclopica. ProbabilmenteGutenberg utilizza due torchi, ciascunoazionato da due operai, e almeno sei com-positori di testi, cui devono aggiungersi gliaddetti a tutte le altre funzioni del proces-so. Non avendo Gutenberg indicato nel-l’opera né il nome del tipografo né l’annodi compimento del lavoro, come in segui-to diverrà abituale, la data effettiva di conclusione dellastampa della Bibbia, durata complessivamente nonmeno di tre anni, è stata ricostruita grazie aun’annotazione di Heinrich Cremer, addetto a tracciaremanualmente i capilettera e, in rosso, i titoli, che su unesemplare dichiara di aver completato la propria opera il15 agosto 1456: calcolato il tempo occorrente, la datastabilita per la fine della stampa è il 1455.

Nel marzo diq u e l l ’ a n n o ,d ’ a l t r o n d e ,Enea SilvioPiccolomini, il

futuro papa Pio II, allora segretario del-l’imperatore Federico III, scrive con grandeentusiasmo al legato pontificio di averincontrato nell’ottobre dell’anno prece-dente a Francoforte un uomo meravigliosoche vendeva i fascicoli di una Bibbia dis-ponibile in molti esemplari, che si potevaleggere “senza fatica e senza occhiali”,quasi non accorgendosi che non si tratta diun manoscritto, e nel 1466 il grande archi-tetto umanista Leon Battista Alberti narradi aver da poco scoperto l’invenzione diun tedesco che, “grazie ad alcuni caratteridi stampa, ha reso possibile ottenere più diduecento copie da un originale in un cen-tinaio di giorni e con il lavoro di non piùdi tre uomini; con un’unica impressione

produce un’intera pagina di grande formato”. Nel volge-re di breve tempo tutti gli esemplari sono venduti. Il suc-cesso di vendita non compensa i costi enormi sostenutiper l’impresa: è questa la ragione per cui Fust intenta unacausa per debiti a Gutenberg, appropriandosi di tutti isuoi strumenti. Tornato nell’ombra, l’inventore delle tipo-grafia muore nel 1468, forse inconsapevole di aver muta-to definitivamente il corso della storia umana. �

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Un’illustrazione del torchio di Johann Gutenberg

Un’impresa ciclopica:due torchi azionati

da due operaie sei compositorima il successo

non compensò i costi

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libri di pregio

LLa lira, nata sul finire del secolo dei lumi in Franciae portata in Europa dall’avanzata napoleonica, rap-presentò alla metà dell’Ottocento per gli italiani,ancora frastornati da quello straordinario succedersidi eventi che in pochi decenni li aveva riuniti in unsol popolo, un elemento di coesione di indiscutibileefficacia. Più rapidamente le nuove generazioni, piùlentamente quanti, abituati sotto i cessati regimi ausare per i propri affari il baiocchi, tornesi, fiorini,francesconi, paoli, quattrini e così via, tutti avevanodovuto imparare a contare in lire. E a dividere la lirain cento parti o centesimi. E mentre ci si sforzava diapplicare il nuovo metro monetario, si rinsaldaval’unità nazionale. Fu, quella del Regno, una lira

d’oro e d’argento che due conflitti mondiali avreb-bero ben presto fiaccata. Ma non abbattuta. Quando il 24 agosto 1862 Vittorio Emanuele II firmòla legge di unificazione del sistema monetario, la liraitaliana iniziava il suo cammino che sarebbe duratosino all’introduzione dell’euro. Centocinquanta annifa l’Italia ha realizzato la prima importante unifica-zione monetaria, naturale conseguenza dell’unità.Paragonabile in qualche misura come impatto emo-tivo ed economico solo all’unificazione del sistemamonetario europeo che il primo gennaio 2002 havisto l’Italia e altri undici stati dell’Unione europeaintrodurre banconote e monete in euro per sostituirele valute nazionali. In entrambi i casi, il percorso per

Tra sogno e identitàEditalia completa il progetto dedicato alla storia della lira

raccontando l’Italia risorgimentale fra quotidianità e istituzioni

di Cecilia Sica

A destra:particolare del biglietto

di Stato da lire 5 del 1904 con personificazione

dell’Italia e sullo sfondo una veduta dei principali

monumenti di Roma

LA LIRA DEI RE

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arrivare alla moneta unica è stato lungo e pieno diostacoli. Quest’ultima iniziativa editoriale di Editalianarra gli aspetti meno conosciuti del processo di unifi-cazione, e va a completare il progetto “La lira siamonoi” estendendo a ritroso il racconto della storia delpaese attraverso la sua moneta, dal periodo dellaRepubblica a tutto il secolo del Regno d’Italia. Ancorauna volta il percorso narrativo ci offre una duplice visio-ne, quella istituzionale e legislativa e quella della nar-razione della quotidianità.Silvana Balbi de Caro ha curato il volume con la con-sueta competenza numismatica ma al contempo havoluto dare un taglio vissuto al racconto dei primi

decenni dello stato unitario facendo parlare protagoni-sti letterari e resoconti ufficiali. Ne risulta un affrescosfaccettato, fresco e vivace della realtà della giovanenazione: vivere da esuli, vivere da briganti, vivere daimpiegati, lo sguardo curioso a tratti sgomento dei fun-zionari sabaudi in visita nelle province meridionali delregno.Genti diverse per lingua, costumi, monete, pesi e misu-re, e per le quali la quotidianità del paese unificatosignificava anche fare i conti con complesse tabelle diconversione affisse nei mercati cittadini utili a calcola-re il valore di una moneta rispetto all’altra. Attraverso lalira, ancora una volta, si rispecchiano gli umori, gli stati

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d’animo collettivi, le delusioni, l’ottimismo e le aspetta-tive di tutta una nazione. Così nel volume il trascorreredei decenni e la crescita economica e civile del paese èdocumentata, da una parte, dai volti dei sovrani sui drit-ti delle monete che invecchiano e indossano via viacorone imperiali sulle emissioni per le colonie ed elmet-ti su quelle in circolazione tra le due guerre mondiali;dall’altra dallo scorrere di immagini storiche: le città ita-liane da nord a sud, le prime capitali Torino e Firenze, igrandi lavori di adeguamento urbanistico di Roma allafine dell’Ottocento per le necessità della nuova capitale,la vita vivace di Napoli e Palermo; immagini dell’Italiaagricola, delle scuole rurali, del lavoro minorile, dell’e-

migrazione nelle Americhe, ma anche fotografie dellafamiglia reale in vacanza e dei giovani eredi ripresi nelleoccupazioni quotidiane, dell’industrializzazione delpaese con le nuove strade ferrate, l’illuminazione a gasdelle città, i moderni grandi magazzini.E ancora, specchio fedele della storia, la lira negli annidel regime, trasmette l’immagine di una nazione chevuole mostrarsi forte, orgogliosa e imperialista e, comele fotografie in bianco e nero dell’epoca, ci restituiscel’immagine della retorica iconografica del Ventenniocarica di simboli trionfalistici o nazionalpopolari. Ilvolume oltre alla storia economica e sociale affronta, daun’angolazione tutta nuova, il tema del rinnovamento

Da sinistra:Esposizione nazionaleMilano, 1881

La regina Elena con i figlinel 1918giovani artigianidella fabbrica di mosaiciBencini a Firenze

inaugurazionedel monumento aVittorio Emanuele II a Romail 4 giugno 1911

il tempio di Vesta a Romain una foto del 1860

Napoli 1860, gruppo diragazzi in posa davantial maccaronaro

Da sinistra:Particolare del punzonedel dritto delle lire 5del 1879 con Umberto I

Umberto I sulle moneteda 50 centesimi del 1889

Vittorio Emanuele IIIsulle 10 lire argentodel 1925per la Somaliaitaliana

Vittorio Emanuele IIsulle 100 lire del 1878

Vittorio Emanuele IIIsulle 100 lire del 1905e sulle 20 lire 1928

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plastico delle monete dei primi decenni del XX seco-lo che Laura Cretara mette in relazione, per la primavolta, con le forme scultoree della statuaria maggioredi artisti come Bistolfi, Calandra, Canonica eTrentacoste, impegnati al Vittoriano, a Montecitorio enelle tante commissioni ufficiali a celebrare il cin-quantenario dell’unità nel 1911. Lo studio comparatofra i modelli realizzati per le monete di VittorioEmanuele III e le opere scultoree è stato reso possibiledalla straordinaria campagna fotografica realizzata suconi, punzoni e modelli in bronzo conservati nel“magazzino a tre chiavi”, il caveau del ministerodell’Economia e finanze. Questi materiali artistici checonservano intatta la freschezza della modellazione edell’incisione sono rari, poco conosciuti, in alcuni casiinediti e la loro pubblicazione in grandi immagini chefanno assaporare ogni volume, ogni linea, ogni detta-glio, è straordinariamente emozionante per gli appas-sionati e per gli studiosi. �

La lira siamo noiLa moneta dei re tra sogno unitarioe affanni di uomini alla ricerca d’identità

Il libro d’arte La lira siamo noi, la moneta dei re tra ilsogno unitario e gli affanni di uomini alla ricerca diun’identità nazionale (a cura di Silvana Balbi de Caro,con testi di Silvana Balbi de Caro, Marco Cattini, LauraCretara, Editalia, Roma 2012) esce in occasione dellaconclusione delle celebrazioni del centocinquantesimodell’unità d’Italia con il patrocinio del Consiglio dei ministri e del comitato per le celebrazioni del 150esimo dell’unità. Il volume digrande formato, stampato su carta pregiata, ha 328 pagine e circa 400 illustrazioni. La rilegatura è in pelle serigrafata con il motivodecorativo delle mille lire del 1874, il piatto è realizzato a sbalzo patinato a mano nella versione argento e in quella oro, rappresentauna lira Quadriga briosa del 1915 modellate dallo scultore Davide Calandra. Il volume è accompagnato da un cofanetto espositore inplexiglass. La tiratura è limitata a 4.999 esemplari per la versione argento e a 2.999 esemplari per la versione oro.

Da destra:rovescio della monetada lire 20 in argento del 1927con giovane fascistache saluta romanamentela gran madre Italia

Saluto fascista nella locandinadi L’agricoltore d’Italiaorgano della Confederazionenazionale fascistadegli agricoltori del 1927

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Grazie a Editalia torna a vivere il più amato fra i modelli granturismo

STORIA DI UN MITO

materiale creatoreFERRARI 250 GTO

ostruire un’auto da corsa vincen-te in pista e perfettamente a suoagio anche sulle strade di tutti igiorni. Questo lo stimolo che gliuomini di Maranello ricevetteroda Enzo Ferrari per affrontare lastagione agonistica 1962 nel neo-nato Campionato mondiale Gt.

Nasce così la Ferrari 250 Gto, un’autentica icona pertutti gli appassionati. A cinquant’anni dalla suanascita la Ferrari 250 Gto conserva intatto il suomito. Nessuna tra le Gt di Maranello è così tantoammirata e desiderata. È anche estremamente rara: è

stata costruita in soli 39 esemplari, con carrozzeriediverse fra loro, abilmente assemblate da sapientibattilastra. Non a caso oggi vanta quotazioni dacapogiro: nel 2010, un esemplare battuto all’asta haraggiunto la cifra record di 20 milioni di euro.Per scoprire la ragione del successo bisogna dunqueripercorrerla, così affascinante e costellata di vittoriesui circuiti di tutto il mondo. Alla fine della stagione1961 la commissione sportiva internazionale avevavarato un nuovo regolamento che, di fatto, bandivale vetture prototipo dalle gare di durata in favoredelle granturismo di serie costruite in almeno 100esemplari. L’idea era quella limitare le prestazioni

Cdi Marco Gentili

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delle vetture, costringendo i costruttori a rinunciare ascendere in pista con modelli troppo esasperati oestremi.Sfruttando le pieghe del regolamento e partendo dauna granturismo di razza come la 250 Swb, EnzoFerrari riuscì a far autorizzare dalla federazioneun’evoluzione di quella vettura.Ai tanti “gentleman driver” che attendevano ansiosi dipoter scendere in pista, la casa di Maranello inviòsemplicemente un laconico telegramma: Vettura 250Gto–Stop, dove la “o” stava appunto per omologata.Era nato un mito. Al suo staff, diretto da GiottoBizzarrini, il “Drake” affidò così l’incarico di svilup-pare una vettura stradale che fosse al contempoun’auto da corsa senza compromessi, un purosangueche all’occorrenza poteva essere guidata in smoking.Concepita attorno al monumentale 12 cilindri a V di60° da 3 litri e 300 cavalli, alimentato a dovere da 6carburatori a doppio corpo che oggi farebbero la gioiadei benzinai, la Gto pesa appena 900 chilogrammi,grazie alla carrozzeria in fogli di alluminio battuti amano dal maestro Sergio Scaglietti. Il suo profilo èstato concepito sulla base di importanti nozioniacquisite in campo aerodinamico: numerose aperture

lungo la carrozzeria le conferivano un “look” estre-mamente aggressivo, a cominciare dalle tre presed’aria semiovali sul cofano o le ferritoie sulla fiancatache ricordano le branchie di uno squalo. La codatronca vantava un primordiale “spoiler”, una soluzio-ne davvero inedita fra le vetture di serie. Nata per vin-cere, la Gto sbaragliò gli avversari fin dalla gara diesordio, alla 12 ore di Sebring del 1962, ripetendosipoi alla Targa Florio, al Tourist trophy, a Silverstone, aLe Mans, a Monza, a Spa, al Nurburgring, a Daytonae al Tour de France, per un triennio di successi senzaprecedenti.Dunque, obiettivo centrato: la 250 Gto dominerà lascena iridata fino al 1964, anno in cui dovette cederela mano a una nuova versione riveduta e corretta nellelinee da Sergio Pininfarina. La concorrenza si stavafacendo sempre più serrata, tanto che lì a poco daMaranello sarebbe partita la svolta epocale: la primagranturismo a motore posteriore. Non è la Ferrari piùrara, la più vincente o la più veloce. Semplicemente èstata la Ferrari più Ferrari di tutte: Cavallino di razza,per antonomasia. Una scultura in movimento che a50 anni dalla sua nascita torna a rivivere, grazie allascultura firmata da Editalia. �

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La sculturaFerrari 250 Gto

1962-2012: un anniversario importante per una vetturastorica che riassume al meglio la filosofia Ferrari: presta-zioni ai massimi livelli con un’estetica d’eccezione. Dalmodello in gesso alla fusione in metallo, dalla lucidatu-ra della scocca all’assemblaggio e al ritocco di precisio-ne dei dettagli, ogni elemento di quest’opera è statorealizzato con cura e con perizia artigianale.Realizzata con la tecnica della microfusione a cerapersa, in bronzo laminato in palladio, i cristalli sonopreziosi smalti “cattedrale” trasparenti. Dimensioni:10 x 24,5 x 7,5 centimetri circa. Sul supporto in metal-lo piegato, laminato in palladio e verniciato a fuoco,è inserito il logotipo Ferrari originale. Dimensionidel supporto: 28 x 28 x 8 centimetri circa.

Qui e nella pagina precedente:alcune immagini della sculturadedicata alla Ferrari 250 Gtorealizzata da Editalia

Editalia a CefalùIn mostra le eccellenze d’Italia

La splendida Cefalù, con i suoi personaggi, i suoi miti e i suoifedelissimi appassionati – retaggio di un passato glorioso lega-to alla fama della Targa Florio – lo scorso novembre ha ospita-to la mostra Eccellenze italiane, nata per celebrare anche inSicilia il sempre più stretto connubio fra Editalia e il mondodei motori, in virtù dell’accordo di“partnership”con la Ferrariper la realizzazione e la commercializzazione di opere artisti-che sul tema del Cavallino. All’Ottagono di Santa Caterina lepreziose litografie e le riproduzioni in bronzo nel catalogoEditalia erano così esposte fianco a fianco alle creazioni diFrancesco Liberto, in arte Ciccio, l’artigiano cefaludese chenegli anni ’60 ha inventato un prodotto per le corse ancoraoggi amatissimo da piloti e appassionati: calzature fatte inte-ramente a mano, alcune delle quali ulteriormente impreziosi-te dalle decorazioni di Franco Cheli, scenografo dell’accade-mia di Brera. Editalia ha poi voluto consegnare, nella sala con-siliare del comune, prestigiosi riconoscimenti ai “piloti-sim-bolo” della Targa Florio, NinoVaccarella, e Vic Elford, oltre cheun premio speciale al maestro Ciccio Liberto.

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comunicare ad arteART FOR BUSINESS FORUM

Provare a raccontare il presente in un grande librod’artista attraverso immagini, disegni, forme, colori e nonparole. Intorno a questo intento ha preso vita la riflessio-ne con Editalia per progettare insieme un laboratoriorivolto ai partecipanti della quarta edizione di Art forbusiness forum. L’evento, nato nel 2007, è un appunta-mento annuale ideato e curato dall’omonima associa-zione che si dimostra sempre più un’occasione e unapreziosa fonte dalla quale attingere esperienze e visioniche vede coinvolti manager, imprenditori, artisti afferma-ti appartenenti a tutte le arti, studiosi e curatori. Imparareil presente, questo il titolo scelto per l’edizione 2011:come si possono osservare, leggere, interpretare i segna-li della contemporaneità non sempre così immediata-mente decodificabili? Alla Triennale di Milano, partnerdel progetto dal 2010, due giorni di seminari, “works-hop”, esperienze con l’arte, letture hanno messo al cen-tro questo interrogativo per provare a capire come i lin-guaggi artistici possano diventare strumento di compren-sione del presente, in termini di stimolo e ispirazione perle organizzazioni e per le loro persone. Sapere leggere ilpresente e riconoscere il senso di ciò che si sta facendonon è così scontato. L’oggi è un tempo strano. Nella cul-tura occidentale il presente è il tempo che non esiste, ciha ricordato François Jullien, uno dei più importanti e sti-mati esperti di cultura orientale intervenuti al forum: ilpresente è un tempo istantaneo, schiacciato tra la prove-nienza lunga della nostra eredità e l’ineffabile futuro cheguida le nostre scelte progettuali. Intorno a questo strano

tempo, così difficile da afferrare e decodificare, abbiamodeciso di avventurarci con Editalia e l’artista PatrickTuttofuoco in un percorso che coinvolgesse manager eprofessionisti in un racconto personale e insieme collet-tivo del tempo presente e che insieme fosseun’esperienza formativa ed energizzante per tutti. E cosìè stato, grazie alla visione di Marco De Guzzis, ammini-stratore delegato di Editalia, e del suo staff progettuale,all’esperienza didattica e progettuale di Stefano Cardini,“art director” di Trivioquadrivio, e all’entusiasmo diPatrick Tuttofuoco per il quale «il presente è una cosafantastica, è l’unico momento di potere che abbiamo.Il passato è importante per trarre conclusioni e com-prendere, il futuro ha senso perché le cose vanno pia-nificate. Qualsiasi futuro lo si costruisce, però, inquesto momento, adesso. Il presente è una concate-nazione di piccoli momenti presenti».Dopo due mesi di incontri, confronti, verifiche emomenti di entusiasmo misto a preoccupazione, è anda-to in onda il “workshop” in una mattina fredda del19 novembre, nella bellissima cornice del teatro del-l’arte della Triennale. Circa 80 persone tra manager,imprenditori, professionisti ma anche artisti, critici ecuratori d’arte, giovani studenti dell’universitàCattolica di Milano, per una mattina si sono trovatia condividere, riflettere e mettersi alla prova sultema del forum e insieme a cogenerare un nuovoprocesso creativo che li ha visti tutti protagonisticome individui, come professionisti e come gruppo.

Un libro d’artista firmato da manager guidati da Patrick Tuttofuocodi Valeria Cantoni*

Raccontare il presente

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Nei contesti organizzativi, dove Art for business opera,non c’è in teoria spazio per la varianza, per le sorpreseperché tutto ciò che si fa deve essere pianificato, control-lato, deciso prima. Eppure mai come oggi l’imprevisto,l’errore, la diversità fa irruzione nella quotidianità lavora-tiva cogliendo molti impreparati. Siamo abituati a conce-pire le nostre strategie in termini di modellizzazione,ci ha ricordato ancora Jullien: per essere efficaci fac-ciamo un piano, definiamo lo scopo che vogliamoraggiungere e poi cerchiamo con i fatti di rispettarequesta intenzione. Eppure le condizioni e il contestonel quale operiamo ci suggeriscono di agire diversa-mente. Noi abbiamo un’idea, una teoria che dobbia-mo mettere in pratica, rispettare. Eppure la realtà èspesso non aderente alla nostra teoria.Il “workshop” Raccontare il presente è stato pensato peroffrire alle persone un’esperienza nella quale questo mec-canismo venisse meno perché in un contesto complesso,qual è quello nel quale lavoriamo, i risultati non si posso-no conoscere, si possono in parte prevedere ma non si saesattamente che forma avranno. E allora occorre esercita-re la nostra capacità di improvvisazione, di sapere legge-re il contesto a partire dagli strumenti che si hanno a dis-posizione. Per progettare il “workshop” siamo partiti dallibro, lo strumento per eccellenza legato alla formazionee al sapere, che ci accompagna nella nostra vita, offren-doci stimoli, idee, nuovi modi per leggere e interpretare larealtà. La scuola ci invita alla lettura ma sono rare le occa-sioni nelle quali condividiamo l’interpretazione dei testi,ci confrontiamo sulle riflessioni che essi suggeriscono.Questo esercizio risulta complicato soprattutto quando citroviamo a dare forma alle nostre interpretazioni attraver-so la parola scritta. Eppure manager e imprenditori sonoabituati ogni giorno a lavorare usando la parola, a pren-dere decisioni importanti grazie alla parola e attraverso lascrittura. Non solo, le organizzazioni contemporanee sicomportano pensando che a ogni problema esistaun’unica risposta possibile e usano la parola come stru-mento per argomentare le loro teorie (al massimo qualchefreccia nei power point). Del resto questo atteggiamentolo impariamo molto bene sui banchi di scuola, quando gliinsegnanti difendono l’unica risposta giusta alla domandaofferta. Non ci sono altre possibilità, anzi, ancora peggio,le altre possibilità sono considerate errori. E così pure tuttala letteratura manageriale è ancorata all’idea che ci possaessere un modo scientifico per organizzare le imprese. Imanager hanno bisogno di tenere tutto sotto controllo,vivendo con un certo senso di frustrazione il momento incui non riescono più a esercitarlo. Che cosa accade quan-do questo controllo viene meno? Quando si chiede allepersone di mettersi in gioco offrendo una restituzione,un’interpretazione di ciò che hanno letto e vissuto non a

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Patrick Tuttofuoco al lavoro

Nelle pagine precedenti:alcuni momentidel “workshop”Raccontare il presente

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parole ma attraverso la rappresentazione? Questo è quel-lo che è accaduto nel “workshop” realizzato in collabo-razione con Editalia durante il quale ai partecipanti èstato chiesto di offrire un’interpretazione di una dellepagine del testo di Jullien scelto per l’occasione, Le tra-sformazioni silenziose, usando il disegno e non più lascrittura. Un’interpretazione fatta appunto di immagini,ricorrendo a strumenti molto semplici come i pastelli acera e i bianchetti, e ritagliando alcune fotografie scattateda Tuttofuoco per il progetto “Revolving landscape”: «Leimmagini che abbiamo usato per il “workshop” vengonoda un progetto, un viaggio che ho fatto nel 2005 – rac-conta l’artista – il progetto partiva da un’idea: riuscire adavere, in un tempo relativamente breve, un’immaginecomplessiva del mondo. Io e quattro altre persone abbia-mo fatto un viaggio che è durato poco meno di quattromesi. Ogni tre giorni volavamo da una città a un’altra,stando pochissimo nei luoghi e usando quel tempo peravere una restituzione in qualche misura fedele di quellarealtà, o quanto meno fedele alla possibilità che avevamonoi di vivere quella realtà. Quello che interessava noi era,mano a mano che il processo andava avanti, registrareinformazioni cercando di perdere il nostro centro, cer-cando di uscire dai nostri codici, dai nostri sistemi dicomprensione e reinterpretazione delle cose». Le imma-gini a disposizione dei partecipanti hanno trasformato laparola scritta sulla pagina. Stando dentro alcune regoleprecise condivise inizialmente, ciascuno ha potuto espri-mersi liberamente. E alla fine il risultato è stato eccellen-te. Anzi, esplosivo. Un libro di circa 20 metri compostoda 80 visioni diverse, tenute insieme dalla visione inizia-le dell’artista e dalla maestria di Editalia, per la qualelavorare con l’arte per l’arte e significa continuare e sfi-

dare le tecnologie, il proprio sapere e, perché no, iltempo presente.La riflessione sul lavoro svolto che ne è seguita, facilitatada Leonardo Previ, presidente di Trivioquadrivio e tra isoci fondatori di Art for business, ha messo in luce alcunipassaggi fondamentali di tutto il processo. I partecipanti,pur lavorando singolarmente, si sono sentiti parte di ungruppo. Non solo, hanno potuto sperimentare che cosasignifichi essere sensibili al contesto e dunque agire non innome di qualcosa che è stato deciso altrove ma conside-rando le condizioni e i passaggi che fanno parte del tempopresente. Trasformare la parola in disegno è come abban-donare i porti riparati dell’oggettività e salpare verso mariin cui le forme si fanno più fluide, non ci sono categorieseparate ma le cose entrano in relazione, si contaminano.Questo è il valore della rappresentazione. Questo il valo-re che le persone dovrebbero poter produrre all’internodei contesti organizzativi. «Nell’organizzazione scientificadel lavoro – spiega Previ – che trasforma le persone inmac-chine banali addestrate a compiere sempre un certo gesto,a replicare logiche consolidate, non c’è spazio per questapossibilità». Il ruolo del manager dovrebbe essere quello digenerare valore dalle persone offrendo una libertà espressi-va, non unamatrice che replica ragionamenti stabiliti altro-ve. Questo è il compito delle organizzazioni che Art forbusiness sperimenta lavorando con gli artisti e con leopere. Questo il compito che ci piacerebbe costruire nelfuturo: offrire una possibilità di espressione individuale inun contesto che esalta l’esperienza collettiva. La restituzio-ne degli ottanta lavori fissati su un unico lunghissimo lepo-rello dà la misura di come questo sia possibile.

*presidente Art for business

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L’ad Editalia Marco De Guzzis

In alto: scatti dal “workshop”Raccontare il presentefoto Paola Meloni

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rotagonista, insieme all’artistaPatrick Tuttofuoco, dell’incon-tro battezzato Raccontare ilpresente, Marco De Guzzis,amministratore delegato diEditalia, svela la visione delrapporto fra creatività e impre-se al centro del forum firmatoArt for business.

Cosa significa raccontare il presente sposando arte eimprenditorialità?«Il tema ci è piaciuto molto. Si parla sempre del pas-sato o del futuro ma raramente si affronta il tema delpresente, che è poi il momento in cui si deve agire. Ilpresupposto è che nelle scelte manageriali sia ogginecessaria una certa discontinuità: da questo punto divista l’arte, che ha le sue logiche e i suoi linguaggi,può aiutare i manager a riflettere in modo non con-venzionale».Perché un libro d’artista come racconto collettivo?«Il libro d’artista si prestava bene a un racconto collet-tivo del presente attraverso i segni e i simboli. In que-sto caso, Tuttofuoco è stato bravissimo a mettere insie-me le singole suggestioni dei manager coinvolti inun’unica narrazione collettiva».Qual è il contributo di Editalia nell’ambito di iniziati-ve di questo tipo?«Editalia lavora principalmente per i collezionisti pri-vati ma spesso abbiamo messo il nostro saper fare arti-stico a disposizione di imprese e isti-tuzioni per raccontare i lorovalori attraverso l’arte».Dal presente nasce il futuro:come lo vede?«L’Italia ha un patrimonioartistico e culturale straordina-rio che rende il 7% del Pil. Ènecessario fare un saltodi qualità e passaredalla rendita garanti-ta da questo patrimo-nio all’industria cul-turale. Si può faresconfiggendo dauna parte chi credeche con la culturanon si mangi maanche chi, dall’in-terno di quel mondo,diffida di una gestioneefficace del patrimonioartistico italiano». �

PCAMBIAREPUNTODI VISTA

Marco De Guzzis, ad Editalia:«Non solo passato, è nel presenteche l’arte può fornire ai managernuove prospettive per la cultura»

di Simone Cosimi

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i mestieri dell’arteMARMORARO

Sul muro che separa la bottega dal laboratorio in viaPanico 40 a Roma, a due passi da Castel sant’Angelo,campeggia una targa che reca l’ironico indirizzo: “ViaFranco er marmista”. Di fianco una buca postale «che,bada bene, risale al Seicento», spiega il titolare dei loca-li. Il suo nome è Francesco Russo, ma tutti – dalla clien-tela ai negozianti e i residenti – lo conoscono comeFranco “er marmista”. Un epiteto che anni fa gli assegnòl’ex presidente del Coni Giulio Onesti, suo amico edestimatore, una sorta di titolo al quale Russo, perché conlui il “tu” è prassi, risulta particolarmente legato.Artigiano a tutto tondo, siciliano di nascita ma romanod’adozione, esercita la professione fin da bambino,prima come garzone di bottega e dopo come titolare del-l’attuale spazio. Ancora oggi, con la leggerezza dei suoisettantacinque anni, dimostra un entusiasmo e una vita-lità fuori dal comune. E quando glielo fai notare si scher-misce: «Non è un merito particolare, sono fatto così».Riservato ma entusiasta della vita, tira fuori da un casset-to della scrivania il riconoscimento ricevuto inCampidoglio dal sindaco Gianni Alemanno: “AFrancesco Russo, maestro artigiano della città di Roma”.«Un premio molto apprezzato, ma io sono abituato a farparlare i miei lavori», aggiunge subito, precisando «chesì, il nome all’anagrafe è Francesco, ma tutti mi chiama-no Franco». Magari anche per la sua schiettezza, che loha portato a rilevare un laboratorio e una bottega cono-sciuti anche all’estero. A questo proposito indica unafoto con dedica che ritrae l’ex presidente del ConsiglioSilvio Berlusconi insieme a George W. Bush, quaranta-treesimo presidente degli Stati Uniti, davanti a una scul-tura neoclassica che aveva restaurato. «Ho appeso sol-tanto questo scatto, ma sono molti i personaggi impor-tanti che si sono serviti da me – racconta “er marmista”– penso ai lavori per la villa di Sophia Loren a Marino,ai rivestimenti marmorei della galleria Borghese e al

restauro dei pavimenti dell’Istituto nazionale di studiromani ai Cavalieri di Malta». Già, per Russo, che sioccupa del commercio di marmo, pietra e granito e dellaloro lavorazione, «il restauro è all’origine di ogni cosa».La sua attività spazia dalle statue alle lastre, alle scale eagli oggetti, dagli accessori da giardino ai caminetti,dagli arredi per interni ai piani per bagno e per cucine,dai marmi antichi al marmo per pavimenti.«Praticamente ci occupiamo di tutto», spiega, rammen-tando con un pizzico di nostalgia i suoi esordi. «Sononato con un certo gusto, poi affinato grazie all’esperien-za. L’entusiasmo ha fatto il resto, e non l’ho perduto non-ostante abbia iniziato come fresatore, un impegno nonda poco». Utilizzando la fresatrice l’artigiano preparava«tutti i lavori che poi sarebbero passati al banco per iltrattamento». Un compito che definisce «appagante, nel-l’ambito di un’antica professione che si sta smarrendo».Quindi non ci sono molti giovani disposti ad apprende-re il mestiere. Davanti a questa considerazione Russoesita qualche attimo: «Direi di no, è venuta meno una cul-tura a me cara, quella dell’impegno volto a raccogliere ifrutti. Chi vuole tutto e subito non può fare il marmista».Verrebbe spontaneo suggerire altre professioni: «Non amomolto distribuire consigli, conta soltanto amare quello chesi fa – incalza – ancora oggi lavoro dodici ore filate. Certo,tendo a coordinare i miei collaboratori, ma a distanza dianni mia moglie mi consiglia sempre di allestire una bran-dina tra la bottega e il laboratorio». È raro interloquire conuna persona dell’esperienza di Russo sentendosi così aproprio agio. «Quante domande ancora mi vuoi fare? Secontinui così esce fuori un libro», scherza, per tornareserio quando parla del suo mestiere: «Un marmista nondovrebbe rifiutare nessun lavoro, anche se piccolo e appa-rentemente di poco conto. Andare in pensione? Non cipenso proprio, amo troppo quello che faccio e la fantasiadi continuare a creare certo non mi manca». �

Franco “er marmista”, dalla fresatrice alla galleria Borghesedi Massimo Canorro

L’artigiano delle forme

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Franco Russo, detto “er marmista”immortalato nella sua bottega

In basso: i ferri del mestierefoto Manuela Giusto

Il personaggioDa Pietraperzia a Roma

Figlio di un carrettiere e di unacasalinga, con un fratello e unasorella più piccoli, FrancescoRusso nasce a Pietraperzia, cit-tadina in provincia di Enna ori-ginata da un’antica coloniagreca in Sicilia chiamataCaulonia e che deve il suonome alla dominazione sarace-na, il 15 febbraio 1937. All’età diquattro anni Francesco si trasfe-risce a Roma e la necessità ditrovare un’occupazione loporta, dopo la fine della secon-da guerra mondiale, a diventareragazzo di bottega in un labora-torio di marmo nel quartiere diCentocelle. Nonostante la gio-vane età, nel corso di questaesperienza impara i primi truc-chi del mestiere, specializzan-dosi nell’utilizzo della fresatri-ce. Nel 1951, a quattordici anni,viene assunto nella bottega invia Panico, che rileva nel 1974diventandone il titolare. OggiFranco“er marmista”è affianca-to da due esperti collaboratori.È membro artigiano dell’univer-sità dei marmorari di Roma, unacorporazione fondata nel 1406che ha l’attuale sede in vicolodella Cecchignoletta.

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il motore dell’arteEUROMOBIL

Il mobilificio dei fratelli Lucchettadedica l’1,5 % del suo fatturatoalle attività artistiche e culturaliA breve la nascita di una fondazionedi Marilisa Rizzitelli

Mecenati sul divano

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L’aziendaPromotrice del premio Euromobil under 30

Realtà all’avanguardia nelle strutture produttive e nella ricerca di prodotti, il gruppo Euromobil è da sempre attento allavalorizzazione artistica e presente da sei edizione ad Artefiera di Bologna. L’azienda, presente con 800 punti venditanel mondo, ha sponsorizzato oltre quattrocento mostre ospitate in prestigiose sedi museali. L’ edizione 2011 del pre-mio Euromobil under 30 ha incoronato l’artista italo-libica Adelita Husni-Bey. Info: www.gruppoeuromobil.com.

Adelita HusniBey vincitricedi Euromobil 2011

A pag. 91, da sinistra:Gaspare, Antonio,Giancarlo e FiorenzoLucchetta

Sotto: lo spazioEuromobil ad ArtefieraBologna

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argo al nuovo mecenatismo.Spazio al sostegno alla culturadato con intelligenza, senzaintenti autocelebrativi, ma conl’idea che fa bene all’impresaperché genera nuove energie enuove idee, presupposto di svi-luppo e successo. La nuova stra-tegia industriale, perseguita per

affrontare le sfide della globalizzazione non a colpi difatturato, quanto con produzione di valore, rende oggi ilgruppo Euromobil uno dei fiori all’occhiello tra le azien-de manifatturiere italiane. La tenacia dei quattro fratelliLucchetta, titolari del gruppo, è riuscita nel tempo a tra-sformare un mobilificio nel cuore della Marca trevigianain un centro di produzione, progettazione e consulenzaper l’arredamento, legando, dal 1983 ad oggi, il marchioall’arte con oltre 400 sponsorizzazioni di mostre e gran-di eventi in Italia e nel mondo. Assidui frequentatori diatelier di artisti, Gaspare, Antonio, Fiorenzo e GiancarloLucchetta hanno sposato l’idea di investire in capacità ecoltivano con costanza la loro passione per le arti visive,promuovendo un modello innovativo di collaborazionetra imprenditoria e istituzioni culturali, consapevoli econvinti che la cultura sia un valore fondamentale per lacrescita civile, democratica ed economica della nostrasocietà. «In tempi come questi, in cui le risorse econo-miche vengono sottratte alla cultura, il mondo dell’im-presa, se in salute, può diventare un punto di riferimen-to», commenta Gaspare Lucchetta. «Da molti anni – pro-segue l’amministratore delegato – sosteniamo iniziativedi carattere culturale promuovendo, per esempio, iSolisti veneti nel mondo; oppure favorendo l’opera lette-raria di Giuseppe Zigaina o quella del poeta Andrea

Zanzotto; o, più recentemente, contribuendo alla riusci-ta del festival internazionale di poesia Flussidiversi».Il gruppo Euromobil ha scelto esposizioni di granderichiamo, come quelle che da anni realizza MarcoGoldin principalmente attorno al tema degli impressio-nisti, ma anche mostre ed eventi al Correr di Venezia,alle Scuderie del Quirinale a Roma, al Guggenheim diBilbao, al museo d’arte moderna di Mosca, all’Ermitagedi San Pietroburgo, al museo d’Orsay e al Louvre diParigi, dove nel 2003 ha contribuito a realizzare lamostra sui disegni e i manoscritti di Leonardo Da Vinci.«Attualmente dedichiamo l’1,5 % del nostro fatturatoalle attività in ambito artistico e culturale», continual’amministratore delegato. «Abbiamo cominciato con ilcollezionare opere legate al nostro territorio, poi con iltempo abbiamo allargato la nostra visione e siamo entra-ti in contatto con artisti di rilievo nazionale e internazio-nale. Diviene difficile poter elencare tutti gli artisti con iquali siamo entrati in sintonia e con i quali abbiamo con-diviso importanti progetti. Nei confronti dell’arte nutria-mo un interesse a 360° che ci spinge a prendere in con-siderazione ogni possibile sua espressione, anche seindubbiamente abbiamo un debole per la pittura. Gliambiti storici in cui solitamente ci muoviamo sono quel-li dello spazialismo, in particolare veneziano, dell’infor-male, dell’arte programmata e del cinetismo, oltre natu-ralmente a collezionare opere di artisti non necessaria-mente codificabili all’interno di movimenti. Per il futuro,il nostro sogno è di creare una fondazione in cui designe arte, il binomio che caratterizza la nostra “mission” daparecchi anni, possa trovare una piena realizzazione.Siamo già in possesso di un importante sito di archeolo-gia industriale, a Susegana in provincia di Treviso, che sipresta al raggiungimento di questo obiettivo». �

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l legame tra Roma e l’Europa dell’Est è dasempre vivo e vibrante. Per celebrare que-sto rapporto mai esauritosi tra culture efavorire l’integrazione tra cittadini romani epopolazioni immigrate, il comune di Romaha promosso la rassegna Arte e culturadell’Europa dell’Est a Roma. Un progettoambizioso, sostenuto con entusiasmo dal-l’assessorato alle Politiche culturali e cen-

tro storico, che vuole consentire alle diverse culturedell’Est europeo presenti nel territorio romano, di farsiconoscere ed esprimere le proprie specificità artistiche eculturali. Hanno aderitoall’iniziativa la comunitàalbanese, bosniaca,croata, moldava, russa,serba e ucraina, ognunacon uno specifico pro-gramma che di mese inmese, fino al terminedella rassegna, sarà utileper un dialogo direttocon la cittadinanzaromana e per rappresen-tare la propria condizio-ne di migranti. Artisti eintellettuali dell’EstEuropa parlano alla cittàdella propria patria e cul-tura, tentando di farrespirare l’atmosfera delproprio paese d’origineattraverso l’arte e nonsolo. Mostre di pittura,fotografia, scultura e arti-gianato sono accompa-gnate da convegni, pre-

sentazioni di libri, proiezioni di film e documentari.Concerti di musica, danze folkloristiche e degustazionidi piatti tipici arricchiscono poi il già fitto programmadella rassegna. Tutto si svolge al museo della Civiltàromana all’Eur, per l’importanza e il fascino che da sem-pre la cultura romana esercita sui paesi dell’Est. TetyanaKuzyk, responsabile del progetto in qualità di consiglie-ra assembleare capitolina aggiunta per l’Europa, ha sot-tolineato la particolare ospitalità e l’affetto incontrati daparte dell’amministrazione del museo e di quella capi-tolina per questa serie di eventi. La consigliera tende afar notare come la rassegna sia occasione per fare

comunicazione e cono-scenza del prossimo, senzatralasciare l’importanzadelle aspettative di unevento così particolare evariegato, che coinvolgedirettamente artisti e citta-dini di diversi paesi e cultu-re. «Come è stato ribaditorecentemente dalla comu-nità europea – dichiara –l’integrazione è un proces-so trasversale. Noi invitia-mo ai nostri eventi i cittadi-ni romani e quelli dei paesidell’Europa dell’Est noncomunitari per potersiincontrare e interagire.Sono occasioni aperte apiù comunità contempora-neamente, perché è impor-tante che possano cono-scersi sempre meglio».Info: www.museocivilta-romana.it. �

cose dell’altro mondo

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EUROPA DELL’EST/1

Integrazione e multiculturalità al museo della Civiltà romana

di Lorenzo Paolini

II BALCANI A ROMA

SerbiaTito, “25 maj” all’Eur

La comunità serba presenta la mostra della pittrice e scultriceLjljana Petrovic Vavalli e le esposizioni dei pittori Ana Kapor eVladimir Pajevic. A seguire la mostra fotografica Lungotevere elungomare di Srdja Mirkovic e una rappresentazione dell’in-stallazione “25 maj” di Marta Jovanovic. Il 25 gennaio presen-tazione del libro “Underground teatrale” di Dusan Kovacevic,Palma d’oro a Cannes nel 1995. Fino al 27 gennaio.

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Sotto: l’ingresso del museo della Civiltà romana all’EurA sinistra: Marta Jovanovic, foto tratta da “25 maj”, 2011cortesia Petar Vjanic

UcrainaIl rito del ricamo

La comunità ucraina haaperto la rassegna con lam a n i f e s t a z i o n eL’Ucraina artistica cele-bra i 20 annid ’ i n d i p e n d e n z adell’Ucraina e i 150

anni dell’unità d’Italia. Presentil’artista Olilga Milentiy con le sueinstallazioni e le pittrici GalynaChukal e Nadiya Stoyko conesposizioni di quadri realizzaticon la tecnica del ricamo.

Bosnia ErzegovinaLa città dei re

Un mese denso di espo-sizioni, incontri, dibatti-ti, tavole rotonde eproiezioni. In risalto trai molti eventi la mostra“Jajce, kraljivski grad”(Jajce, la città dei re) e

quelle di Ruza Gagulic, EnesLevic, Slavko Medunic e altrigiovani pittori quali Mostar,Banja, Luka e Brcko, curatedall’Uljub e dall’associazioneculturale Derventa. Dal 7 marzoal 7 aprile.

RussiaPittori e diaspora

Nell’ambito della mani-festazione dedicata allacomunità russa, dal titoloPittori russi contempora-nei a Roma, grande risal-to hanno avuto le esposi-zioni degli artisti

Vladimir Khasiev, Igor Ladozhanin,Ekaterina Panikanova e PiotrMercurj. Di notevole importanzasono stati inoltre il convegno Ladiaspora russa a Roma e le poesiedel concorso Giovani poeti russi.

AlbaniaFolklore schipetaro

La comunità albanese diRoma è presente con larassegna Raccontarel’Albania: arte, cultura,tradizioni e folklore.Molto nutrita la parteci-pazione di pittori alba-nesi con le esposizioni di artistiquali Artan Shabani, Miloti,Biagini, Lulaj, Muja, Zenelli,Ngucaj & Beqiraj, Zguro, Lek eGjeloshi. Dal 4 febbraio al 3marzo.

MoldaviaFesta della repubblica

Per celebrare i 20 annid’indipendenza dellapropria repubblica, lacomunità moldava sce-glie l’arte, l’artigianato,il folklore e i costumitradizionali. Ad aprirela rassegna l’inaugurazione dellamostra di Casa Cristea diChisinau con l’esposizione deiricami di Maria Ceban e lamostra dei pittori Victor Bivol eGrigore Albin. Dal 20 maggio al20 giugno.

CroaziaPitture contemporanee

Gli eventi della comuni-tà croata saranno artico-lati in mostre, convegni,presentazioni di libri eproiezioni di film edocumentari. Il mesecroato si aprirà con lamostra di tre pittori contempora-nei, Zeljko Jancic Zec, StankoIvankovic e Andro Grdinic.Sabato 5 maggio si terrà il conve-gno Croati in Roma e dintorni.Dal 14 aprile al 12 maggio.

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cose dell’altro mondo

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EUROPA DELL’EST/2

Nel cuore dell’exJugoslaviaa proteggerel’arte bizantinaè ora l’Unesco

di Fabia Martina

Il Patriarcato di Peć

In alto, da sinistra:il monastero di Decani

un interno del monasterodi Pec

Nel box, a destra:l’ambasciatore

Michael Louis Giffoni

Kosovo da salvare

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l legame tra l’identità culturale, storica emonumentale e l’uomo è molto strettoperché è alla base delle radici di un popo-lo. Non a caso nei teatri di guerra gli obiet-tivi “sensibili” sono i luoghi di culto e imonumenti. Distruggere questi simboli èl’unico modo per rendere l’uomo estraneoalla sua terra, per ferire il suo orgoglio eper cancellarne il passato. È il 1999 e in

Kosovo, dove l’Italia è presente sul territorio appoggian-do l’Alleanza atlantica e mettendo a disposizione le pro-prie basi militari, nei settantotto giorni più bui della sto-ria dei Balcani, vengono incendiati e violati sia chiese emonasteri legati alla tradizione religiosa ortodossa, siaedifici legati all’identità islamica. Un patrimonio unico,memoria di grandi imperi, solo segno materiale di duetradizioni culturali. Prova tangibile che in passato dueordini religiosi diversi condividevano lo stesso territorio,dando vita a una delle più considerevoli testimonianzearchitettoniche dell’Europa balcanica e orientale. NelMedioevo, in questa terra tra l’Oriente e l’Occidente,infatti, la tolleranza della religione ottomana consentì lasopravvivenza dei privilegi goduti da alcuni monasteri,una limitata libertà di culto e la conseguente espressionedi un’autonoma cultura di tradizione ortodossa, chemantenne il legame con le proprie radici e che sarà labase della rinascita cinque–seicentesca balcanica. È que-sto il momento storico in cui si edificano monasteri ededifici: da Gracanica a Decani e al Patriarcato di Pec,luoghi le cui pareti sono affrescate da cicli importanti perla storia dell’arte bizantina. Un’eredità culturale e monu-mentale ortodossa scomoda soprattutto alla fine del XXsecolo, come lo sono anche le moschee di Djakovica,Prishtina, Pec, Prizren, tra i più rilevanti edifici islamicidel XVI secolo nel Kosovo. Oggi, alcuni di questi monu-

menti sono dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’uma-nità e sono protetti da Unmik, United nations interimadministration mission in Kosovo, dalla delegazioneOnu e da Kfor, la forza multinazionale militare Nato. Inparticolare il contingente militare italiano in Kosovo hala responsabilità di sorvegliare due importanti monu-menti patrimonio dell’umanità: il Patriarcato di Pec, rea-lizzato tra il ’200 e il ‘300, luogo dove avveniva la ceri-monia più significativa per la religione serbo-ortodossa,ovvero l’insediamento del patriarca; e il monastero diVisokj, a Decani, progettato nel 1321, in stile romanicoe di alto livello per la decorazione scultorea su portali efinestre. «Il ruolo dell’Italia nel settore dell’assistenza delpatrimonio culturale, architettonico e paesaggistico èrilevante – afferma Michael Louis Giffoni, ambasciatoreitaliano in Kosovo – perché l’Italia è uno dei paesi chemaggiormente contribuisce allo sviluppo del Kosovo».Ma com’è visto l’apporto di “pace” delle forze militariitaliane dalle due etnie, serbe e kosovare? «Mi viene inmente la distinzione pasoliniana tra progresso e sviluppo– spiega l’ambasciatore – ebbene l’Italia ha cercato diconcentrarsi proprio su quella che è una visione del pro-gresso basata sull’assistenza all’educazione e alla tuteladei più importanti siti di rilevanza storica, architettonicae religiosa. Un apporto che è riconosciuto positivamen-te sia dalla comunità serba sia da quella kosovara». IlKosovo è in grado di tutelare autonomamente il propriopatrimonio culturale e paesaggistico? «In generale lepotenzialità per amministrare il patrimonio culturale intermini di conservazione della cultura, rispetto e accetta-zione della religione ortodossa e gestione economica diun turismo positivamente vissuto, necessario alla cresci-ta del territorio, ci sono, ma è necessario completarequesto consolidamento ancora lento e ultimamente osta-colato dalle preesistenti tensioni politiche». �

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L’ambasciatoreIn carica dal 2008

Michael Louis Giffoni è nato a NewYork nel 1965 ed è laureato in scienze poli-tiche, in lettere e filosofia e in geografia. Ha studiato in Germania, Francia eRegno Unito. Diplomatico di carriera dal 1992, con i primi inca-richi al ministero degli Affari esteri e l’ambasciata d’Italia aBelgrado. Dal 1996 al 1999 è stato “senior political advi-sor” a Sarajevo. È ambasciatore della Repubblica italiana aPrishtina dal 3 settembre 2008 e dal 2009 ricopre anche lefunzioni di rappresentante dell’Unione Europea peril Kosovo settentrionale.

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in cassaforte

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L’ANGOLO DEL COLLEZIONISTA

iz Taylor batte WallisSimpson, la celebreduchessa di Windsor.Queste due famose donnenon sono solo legate dallafama e da un indubbiogusto per lo stile, ma ancheda un raffinato “amore”verso le gemme più belle erare. Come ha dichiaratoFrançois Curiel, direttore

del dipartimento internazionale dei gioielli e presidentedi Christie’s Asia, «da quando ho incontrato LizTaylor per la prima volta nel 1998, ho capitosubito che questa donna possedeva unocchio da esperto verso la manifattura,la rarità, la qualità e la storia di ungioiello. Collezionava le pregiatecreazioni delle migliori epoche, dellepiù celebrate maison come Bulgari,Boucheron, Cartier, Jar,Sclumberger, Tiffany e Van Cleef& Arpels». E il mercato ha pre-miato questo raffinato gusto lo scor-so 13 dicembre a New York doveChristie’s ha disperso questa leggendariaraccolta con un fatturato di 137.235.675dollari e il 100% dei lotti venduti. L’asta batte il

record mondiale per valore di una singola collezione digioielli, finora mantenuto dalla collezione dellaDuchessa di Windsor, venduta da Sotheby’s a Ginevranel 1987 per 50.281.887 dollari.Quattro i record mondiali per categoria tra i “top ten”.Top lot assoluto, la celebre perla naturale La Peregrina,di ben 203 grani, equivalenti a 55 carati, senz’altro unadelle più importanti perle al mondo. Venne scoperta neiprimi anni del Cinquecento nel Golfo di Panama edentrò a far parte dei gioielli della Corona di Spagna.Venne donata dal principe Filippo II di Spagna allamoglie, Mary Tudor of England, in seguito passò di pro-prietà alle regine Margarita e Isabella che posarono,

indossando la perla, nei ritratti dipinti dallostessoVelázquez. Richard Burton la acquistòall’asta nel 1969 per 37mila dollari, dopoun’accesa competizione al rialzo con unmembro della famiglia spagnola.Ispirata da un ritratto del XVI secolodella Regina Maria di Scozia, Liz piùtardi commissionò a Cartier di mon-tarla come pendente in un collier dialtre perle naturali e rubini, che ha rea-lizzato 11.842.500 dollari (recordmondiale per un gioiello in perle) con-tro una stima di 2-3 milioni. Al secondo

posto, “The Elizabeth Taylor diamond”, ilpiù iconico dei suoi diamanti trasparenti, finora

LIL PRIMATODORATODEI GIOIELLI

Record di battute da Christe’s New York per la collezione dell’attrice Liz Taylor

di Stefano Cosenz

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Collier con la perlaLa Peregrina

A sinistra: l’anelloin diamanti

di Van Cleef & Arpels

I realizzi del mercatoIn Italia solo Cattelan regge il confronto con gli artisti internazionali

I più acclamati artisti internazionali continuano a sorprendere il mercato con realizzi spesso milionari, differentemente da quelli italiani,fatta eccezione per Cattelan. A novembre da Christie’s a New York un’iconica fotografia del 1999 di Andreas Gursky, Rhein II, è stataaggiudicata per 4.338.500 dollari (stima 1/1,5 milioni), record mondiale per l’artista tedesco all’asta. Come ha dichiarato DomenicoFilipponi, a capo del dipartimento di art advisory di Unicredit, in tutti i settori del collezionismo la causa principale è da ricercarsi nel-l’ampiezza del mercato di riferimento regolata dalla legge della domanda e dell’offerta. Non è un caso se gli unici italiani del XX seco-lo a reggere il confronto con gli stranieri siano proprio quelli considerati le “blue chips”, in primis Marino Marini, Giorgio Morandi,Giorgio De Chirico, Lucio Fontana, Alberto Burri e Piero Manzoni che da sempre hannogoduto un collezionismo internazionale. Limitandoci agli artisti nati dopo il 1945, lecause vanno ricercate in fattori come la moda e il valore mediatico e non è uncaso che artisti di forte impatto mediatico come Hirst o Murakami sianoquelli che hanno ottenuto crescite vertiginose in un breve arco di tempo,ma anche subìto rovinose perdite alla prima ondata di crisi. Senzadimenticare il differente trattamento fiscale che regola le transazioninei paesi, certamente non il nostro che vanta le condizioni menofavorevoli. Ma la causa principale è la capacità di far sistema intor-no a un artista: una rete di gallerie, critici e collezionisti che con-tribuiscono a valorizzare l’opera, promuovendone il mercato:un’azione per la quale il nostro paese non ha ancora espresso apieno le proprie capacità.

denominato “Krupp diamond”: una pietra di colore D(bianco eccezionale), di purezza IF (esente da inclusioni a10 ingrandimenti), che è stata aggiudicata a un collezioni-sta asiatico per 8.818.500 dollari (pari a 265.697 dollariper carato, record mondiale per carato di un diamante tra-sparente) contro una stima di 2,5-3,5 milioni di dollari. Lefu regalato da Richard Burton nel 1968 che lo acquistòall’asta per 300mila dollari.Al terzo posto, il diamanteTaj Mahal, fatto dono a Liz sem-pre da Richard Burton in occasione del suo 40esimo com-pleanno nel 1972, montato su una collana di Cartier in oroe rubini (questo diamante a forma di cuore riporta comeiscrizione il nome Nur Jahan, la moglie dell’imperatoreShah Jahangir che regnò in India dal 1592 al 1666): ha rea-lizzato 8.818.500 dollari contro una stima di soli 300/500mila. Generoso regalo ancora una volta di Richard Burtonnel Natale del 1968, un anello in diamanti di Van Cleef &Arpels con un rarissimo rubino centrale, di perfetto colorerosso, da ben 8,24 carati: ha realizzato 4.226.500 dollaricontro una stima di 1-1,5 milioni di dollari, record mon-diale di un rubino per carato. Quattro eccezionali risulta-ti, nei “top ten”, per gioielli firmati Bulgari, una costantenella vita della popolare attrice Liz Taylor, tra cui una spil-la con uno smeraldo da 18,26 carati circondato da dia-manti, indossato dall’attrice in occasione del matrimoniocon Richard Burton a Montreal nel 1964, che ha rea-lizzato 6.578.500 dollari contro una stima di 500-700mila. �

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Redazione Giorgia Bernoni, Sophie Cnapelynck,Simone Cosimi, Maria Luisa [email protected]

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Hanno collaborato Massimo Canorro, Valeria Cantoni,Giulia Cavallaro, Stefano Cosenz, Margherita Criscuolo,Ilaria Giordano, Fausto Gozzi, Flaminio Gualdoni,Annarita Guidi, Fabia Martina, Flavia Montecchi, LorenzoPaolini, Marilisa Rizzitelli, Alberto Zanchetta

Coordinamento editoriale EditaliaCecilia Sica, Daniela Tiburtini

SofàTRIMESTRALE ANNO 6 NUMERO 16

Sofàè una pubblicazione trimestrale di EditaliaGruppo Istituto Poligrafico e Zecca dello Statoviale Gottardo 146, 00141 RomaNumero verde 800014858 - fax 0685085165www.editalia.it

Progetto editoriale e realizzazioneGuido Talarico Editore spawww.guidotalaricoeditore.it

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Autorizzazione del Tribunaleordinario di Roman. 313 del 3.8.2006

In copertinaDavide Calandra, Quadriga briosa, 1915(particolare)

numero chiuso in redazione il 31.12.11

Sofà è visibile online sul sitowww.insideart.eu

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un’opera d’arte in forma di libroLA LIRA SIAMO NOI U

Un inedito percorso attraverso la storia della nostra Nazione, seguendo il filo rosso della Lira del Regno d’Italia.

Il racconto di un’epoca in cui l’Italia è diventata la nostra Patria.

� IL REGNO �

per custodire la nostra storia e condividerla con le generazioni di domani

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Sofà

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SofàTRIMESTRALE DEI SENSI NELL’ARTE

Anno VINumero 16

2012

LA LIRALA STORIA D’ITALIA

ATTRAVERSO LA SUA MONETA

BelpaeseIl Quirinale

dal dio sabinoalla Repubblica

Arte & impresa“Art for business”Un libro d’artista

racconta il presente

PersonaggiPietromarchiIl mio Macrouno e trino

Primo pianoAbo e Celant

Transavanguardiavs Arte poverawww.editalia.it 800 014 858

numero verde

la storia della liranella repubblica Italiana

le Ultime ConiazioniDalla Zecca dello Stato, la nuova emissione celebrativa dedicata alla Lirarealizzata in oro dal materiale creatore originale.

Il tributo più prezioso alle ultime monete che abbiamotenuto fra le mani prima dell’avvento dell’Euro.

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Gli esemplari della Collezione LA STORIADELLA LIRA - LE ULTIME CONIAZIONI sono coniati in oro fondo specchio nelle dimensioni originali e nel loro ultimo anno di emissione.

Tiratura limitata e numerata con certificazione dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Collezione completa: 1999 esemplariCollezioni singole: 1999 esemplari ciascuna

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