Smp 21 nov 2015 v17 80dpi

79
Prologo Scampate alla guerra e ai progetti di ricostruzione, le rovine di Santa Maria in Passione – quasi in vetta alla Collina di Castello da cui ebbe origine l’intera città di Genova – sono un luogo di rara potenza e fascino. Emozionanti da scoprire ed esplorare, in esse si può osservare, interpretare e descrivere un universo di segni depositati nei secoli tra i muri sbrecciati, gli strati di intonaci malandati, l’intrico di strutture addossate l’una all’altra, le larve di affreschi e stucchi di antica devozione e magnificenza, le tracce di remote quotidianità monastiche vissute, oltre che nella chiesa, nella clausura di corridoi, scale, stanze, parlatori, scantinati, cucine, cisterne, pozzi, lavatoi, chiostri e giardini dipinti o reali, le cui vestigia parlano della vita che vi si svolgeva e del conflitto mondiale che così le ha ridotte. Riemersi circa venticinque anni fa dallo sgombero delle macerie che li avevano sommersi, svelando una sorta di Pompei di pochi decenni prima, i resti – anche indagati archeologicamente tanto nel sottosuolo quanto negli elevati – furono oggetto di una ricostruzione limitata a una parte soltanto e di un intervento di messa in sicurezza e protezione per tutto il resto, pensato come provvisorio in previsione di un futuro completamento che fortunatamente non è ancora avvenuto e si spera non si realizzi mai, se non come semplice manutenzione attenta e rispettosa degli ultimi ruderi rimasti in città – perlomeno di tale estensione – a testimoniare nella loro autenticità la devastante follia di ogni guerra. Conclusi i lavori, il complesso rimase inaccessibile alla cittadinanza – salvo occasioni speciali – e in abbandono, nel disinteresse e nel rimpallo di responsabilità degli enti pubblici che avrebbero dovuto occuparsene. Il 15 marzo del 2012, un gruppo di studenti dell’adiacente Facoltà di Architettura e altri volontari, che già si dedicavano a una sottostante zona verde da loro risistemata e battezzata Liberi Giardini di Babilonia, decise che i tempi erano maturi per abbattere la rugginosa recinzione e, il 5 ottobre 2014 riaprire l’area non per sé, ma pertutti e in primo luogo agli abitanti dei dintorni, nella piena consapevolezza di agire in modo “giusto anche se illegale” in una vitale esperienza di buona politica dal basso, con l’entusiasta gestione diretta di una sia pur minuscola porzione della polis da parte di chi vi abita o studia o lavora o desidera comunque prendersene cura. Il tutto è presentato ora nelle eccellenti immagini create dai partecipanti all’edizione 2015 del Corso Avanzato di Fotografia di Federica De Angeli e Sandro Ariu, di cui si riproduce qui un’accurata selezione: strumento di alto livello per far conoscere e promuovere un pezzo di patrimonio culturale e illustrare uno dei modi possibili per goderne e mantenerlo. Ferdinando Bonora

description

Versione con prologo Bonora con aggiunt data 15 ottobre 2014 e aprire invece che occupare. Epilogo rivisto da Marco&C Vola solo chi osa farlo rivisto da Marco&C

Transcript of Smp 21 nov 2015 v17 80dpi

Page 1: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi

Prologo

Scampate alla guerra e ai progetti di ricostruzione, le rovine di Santa Maria in Passione – quasi in vetta alla Collina di Castello da cui ebbe origine l’intera città di Genova – sono un luogo di rara potenza e fascino. Emozionanti da scoprire ed esplorare, in esse si può osservare, interpretare e descrivere un universo di segni depositati nei secoli tra i muri sbrecciati, gli strati di intonaci malandati, l’intrico di strutture addossate l’una all’altra, le larve di affreschi e stucchi di antica devozione e magnificenza, le tracce di remote quotidianità monastiche vissute, oltre che nella chiesa, nella clausura di corridoi, scale, stanze, parlatori, scantinati, cucine, cisterne, pozzi, lavatoi, chiostri e giardini dipinti o reali, le cui vestigia parlano della vita che vi si svolgeva e del conflitto mondiale che così le ha ridotte. Riemersi circa venticinque anni fa dallo sgombero delle macerie che li avevano sommersi, svelando una sorta di Pompei di pochi decenni prima, i resti – anche indagati archeologicamente tanto nel sottosuolo quanto negli elevati – furono oggetto di una ricostruzione limitata a una parte soltanto e di un intervento di messa in sicurezza e protezione per tutto il resto, pensato come provvisorio in previsione di un futuro completamento che fortunatamente non è ancora avvenuto e si spera non si realizzi mai, se non come semplice manutenzione attenta e rispettosa degli ultimi ruderi rimasti in città – perlomeno di tale estensione – a testimoniare nella loro autenticità la devastante follia di ogni guerra. Conclusi i lavori, il complesso rimase inaccessibile alla cittadinanza – salvo occasioni speciali – e in abbandono, nel disinteresse e nel rimpallo di responsabilità degli enti pubblici che avrebbero dovuto occuparsene. Il 15 marzo del 2012, un gruppo di studenti dell’adiacente Facoltà di Architettura e altri volontari, che già si dedicavano a una sottostante zona verde da loro risistemata e battezzata Liberi Giardini di Babilonia, decise che i tempi erano maturi per abbattere la rugginosa recinzione e, il 5 ottobre 2014 riaprire l’area non per sé, ma pertutti e in primo luogo agli abitanti dei dintorni, nella piena consapevolezza di agire in modo “giusto anche se illegale” in una vitale esperienza di buona politica dal basso, con l’entusiasta gestione diretta di una sia pur minuscola porzione della polis da parte di chi vi abita o studia o lavora o desidera comunque prendersene cura. Il tutto è presentato ora nelle eccellenti immagini create dai partecipanti all’edizione 2015 del Corso Avanzato di Fotografia di Federica De Angeli e Sandro Ariu, di cui si riproduce qui un’accurata selezione: strumento di alto livello per far conoscere e promuovere un pezzo di patrimonio culturale e illustrare uno dei modi possibili per goderne e mantenerlo.

Ferdinando Bonora

Page 2: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 3: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi

Da qui ebbe inizio la vicenda urbana dell’intera città, con la prima cinta muraria preromana nella zona alta – affacciata sul mare aperto – dell’attuale centro storico, dove nel Medioevo sarebbero sorti il Castello del vescovo, la cittadella degli Embriaci con l’alta Torre e poi i complessi conventuali di Santa Maria di Castello, di Santa Maria delle Grazie la Nuova, di San Silvestro e di Santa Maria in Passione. Da qui ha anche inizio la storia di un gruppo di studenti universitari e abitanti che “occupano”, anzi “si occupano” degli spazi della chiesa, del convento e dei giardini circostanti semi distrutti dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, dei quali si erano avviati la messa in sicurezza e il restauro e poi (come spesso accade nel nostro paese) di nuovo abbandonati. Un lavoro di paesaggio-storico-urbano e di reportage attraverso il racconto visivo delle persone che ora stanno riportando in vita un luogo abbandonato. Da questi stessi luoghi trae ispirazione il progetto fotografico degli allievi del corso di fotografia avanzata guidati da Federica De Angeli e da Sandro Ariu.

Page 4: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi

LA COLLINA DI CASTELLO e la storia dell’area Genova nacque su questa altura circa 2500 anni fa. Nel secondo dopoguerra, con campagne di scavi archeologici nell’arco di alcuni decenni, è stato possibile accertare e documentare la presenza di un insediamento arroccato preromano e altomedievale. Nella fase tardomedievale il sito mantiene il carattere di castrum, luogo di avvistamento e difesa, castello residenza fortificata episcopale, da cui appunto prende il nome l’intera collina. Nel XV secolo la conversione del Castello e dei complessi circostanti in sedi religiose cambia definitivamente le sorti dell’area: numerose comunità conventuali e confraternite acquisiscono gradatamente porzioni della collina, fino ad occuparla quasi interamente. Nel XVIII secolo si contano dieci chiese, quattro oratori, otto chiostri diversi tra monasteri e annessi. Il risultato è un quartiere murato, scarsamente frequentato dai laici, con un sistema di collegamenti sovra e sotto strada a garantirne l’indipendenza. Con le soppressioni degli istituti religiosi – prima napoleonica e poi sabauda – la collina e i suoi conventi vengono lasciati da frati e suore e destinati ad usi civili, con l’eccezione, in parte, di Santa Maria di Castello. I bombardamenti dal 1942 al 1944 consegnano la collina ad un sostanziale abbandono. Importanti lavori di ricostruzione e restauro, prima nel complesso di Santa Maria di Castello, quindi con la realizzazione del Polo Universitario, rendono infine possibile il graduale recupero del quartiere. IL CONVENTO di Santa Maria in Passione Via Santa Maria di Castello era in passato un vicolo stretto e angusto, tipico del tessuto urbano genovese. Qui sorgevano gli alti muri del convento di clausura delle monache di Santa Maria in Passione, dette le Povere di San Silvestro. Le prime fonti (1323) narrano di una casa in affitto (nei pressi di San Silvestro) in cui alloggiavano le religiose. Grazie ad un importante lascito alla comunità, le monache costruirono chiesa e convento tra il 1457 e 1463, ristrutturando radicalmente case edificate secoli prima dalla potente famiglia Embriaci. Negli anni vi si unirono fanciulle provenienti dalle più influenti casate genovesi e la comunità crebbe molto. L’uso delle nobili famiglie di predestinare le figlie non primogenite alla vita monastica comportò in tutta la Penisola un consistente aumento delle donne costrette in clausura. Erano istruite alla devozione, alle arti, abituate agli agi e fornite di doti in denaro: in Santa Maria in Passione commissionarono importanti cicli di affreschi (oggi quasi interamente perduti) ai più noti artisti genovesi del tempo. Gli effetti della Seconda Guerra Mondiale hanno quasi cancellato la memoria di quello che rappresentò il convento; le rovine diventarono parte della quotidianità del quartiere per trent’anni: dapprima ricovero degli sfollati e degli immigrati meridionali in cerca di fortuna a Genova; in seguito, per i ragazzini, area proibita da esplorare e dove giocare. A partire dalla metà degli anni ‘60, il mondo degli studi genovese riportò l’attenzione sull’area, prima con campagne di indagine archeologica, poi con interventi indirizzati al recupero di quanto rimasto: soltanto nel 1992 si ottennero i primi finanziamenti per la creazione di un parco archeologico, stanziati da Comune e Comunità Economica Europea, che però si esaurirono prima della conclusione dei lavori nel 1997.

Page 5: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi

SANTA MARIA IN PASSIONE e la sua evoluzione storica Per ricostruire la storia di un edificio non integro è necessaria l’analisi di ciò che ne resta e il recupero delle fonti documentarie a noi pervenute. Anche nel caso della Chiesa di Santa Maria di Passione, per mezzo di approfonditi studi è stato possibile comprenderne l’articolata evoluzione nelle varie fasi storiche: inizialmente imponente palazzo duecentesco di una delle famiglie più influenti nella società genovese tra XI e XIV secolo; poi dimora di un formaggiaio; nel 1462, chiesa tardogotica costruita dalle Povere di San Silvestro (monache agostiniane); ricca e fastosa chiesa barocca nel XVII secolo; caserma delle Guardie di Città nel XIX secolo, dopo la chiusura del convento; sede, nel periodo fascista, dell’Opera Nazionale Maternità ed Infanzia; infine rudere a seguito dei bombardamenti durante il secondo conflitto mondiale. La guerra cambiò definitivamente l’assetto della collina: dopo i bombardamenti del ‘42 e del ‘44 la collina di Castello fu pressoché rasa al suolo. Santa Maria in Passione, rimasta miracolosamente in piedi dopo il conflitto, crollò il 31 agosto 1947, a causa dell’incuria, dopo giorni di forti piogge. La parete ovest cadde insieme alle volte del coro. Il Genio Civile, chiamato ad intervenire nella demolizioni delle parti pericolanti, fece il resto. Ultima a crollare è stata la copertura del presbiterio.

Page 6: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi

“Vola solo chi osa farlo” Alla fine degli anni Ottanta si erano avviati consistenti lavori di sgombero delle macerie, ritrovando affascinanti tracce della vita che vi si svolgeva: saggi di scavo avevano indagato anche testimonianze dell’antichissimo insediamento preromano. Solo nel 1992 Comune di Genova e Comunità Economica Europea finanziarono a metà il progetto Civis Sistema, per un importo di 7 milioni di ECU. Iniziò così la messa in sicurezza delle strutture pericolanti, la protezione dei resti con coperture e la ricostruzione della parte affacciata su via di Mascherona, adibita a sede dell’Osservatorio Civis, che avrebbe custodito le chiavi della zona recintata, curandone anche la pulizia e l’ordinaria manutenzione e consentendone l'occasionale accesso al pubblico. Prima l'interruzione dei lavori nel 1997 e successivamente nel 2007 lo smantellamento dell'Osservatorio, sostituito da nuovi organismi collocati altrove, condannarono il sito al completo abbandono e Santa Maria in Passione tornò alla sua clausura. La storia del complesso archeologico incontra, alla fine del 2011, la strada di un gruppo di studenti e abitanti del quartiere, che a partire dalle aree verdi esterne della Facoltà inizia un graduale recupero dell'intera area. A separare il convento dalla Facoltà di Architettura pesava una squallida rugginosa ed eternamente provvisoria barriera in tubi innocenti, rete metallica e filo spinato. Recinzione del cantiere che chiudeva piazza San Silvestro precludendo, oltre l'accesso al complesso archeologico, anche parte della viabilità storica. Il 15 marzo del 2012 questo confine viene smontato, in pieno orario accademico, senza alcuna autorizzazione. Con queste parole accompagnano un gesto giusto, anche se illegale: “Migliaia di persone passano da queste scale ogni giorno e osservano da venti anni una piazza perfettamente restaurata, ma chiusa da cancelli e filo spinato, senza motivo. L’inerzia burocratica e il rimbalzo delle responsabilità hanno portato a questa condizione di immobilismo e hanno fallito: per questo motivo un atto semplice, spontaneo, consapevole e risolutore trova legittimazione anche se varca i confini della consuetudine legalitaria. Ci assumiamo la responsabilità di questo gesto collettivo, perchè crediamo fermamente nella necessità di tornare a pensare la società non solo come insieme di leggi, ma come sistema di valori etici, culturali e politici: stiamo parlando di un’altra dimensione del vivere quotidiano [...] In questo contesto, intendere lo ‘spazio pubblico’ come ‘comune’ significa passare dal concetto di ‘spazio di nessuno’ a ‘spazio di tutti’’ ”. Aggiungendo “Vola solo chi osa farlo”, citazione da Luis Sepúlveda. Da allora si è iniziato a parlare di “un parco gestito direttamente dalle persone che lo frequentano”, fino alla faticosa pulizia dell’area archeologica, invasa da arbusti e sterpaglie, aperta e resa praticabile dal 5 ottobre 2014, con la massima attenzione al rispetto e alla salvaguardia dei resti poi commentati con visite guidate e apparati illustrativi, restituendole quella dignità di parco archeologico in nuce vagheggiato all’inizio. A dicembre 2014 si è avviata, tra le tante occasioni d'incontro nelle rovine, l’impegnativa organizzazione della “Raiba”, un mercato delle autoproduzioni così chiamato ricordando gli antichi mercati genovesi dal nome arabeggiante, d’ora in poi con cadenza mensile, ogni seconda domenica.

Page 7: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 8: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 9: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 10: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 11: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 12: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 13: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 14: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 15: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 16: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 17: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 18: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 19: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 20: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 21: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 22: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 23: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 24: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 25: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 26: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 27: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 28: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 29: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 30: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 31: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 32: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 33: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 34: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 35: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 36: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 37: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 38: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 39: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 40: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 41: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 42: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 43: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 44: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 45: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 46: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 47: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 48: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 49: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 50: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 51: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 52: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 53: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 54: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 55: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 56: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 57: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 58: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 59: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 60: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 61: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 62: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 63: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 64: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 65: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 66: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 67: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 68: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 69: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 70: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 71: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 72: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 73: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 74: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi

“Vola solo chi osa farlo”

Page 75: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 76: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 77: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi

Fotografie di:

Laura Anania Donato Aquaro

Alessia Bondanza Roberto Bordieri Ettore Chernetich

Danilo Ciscardi Ornella Corradi Flavio Dotta

Giuseppe Grillone Piero Incerti Paola Moretti

Arcangelo Murgia Luica Pinetti

Ferruccio Quercioli Michela Razza

Page 78: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi
Page 79: Smp 21 nov 2015 v17 80dpi

Epilogo Da quando è stato riaperto il parco archeologico, tante sono state le persone che hanno scoperto o riscoperto un luogo dimenticato. Decine, centinaia di visitatori, che perdendosi nel dedalo di vicoli del centro hanno affrontato la lunga salita di Santa Maria di Castello, fino ad approdare, praticamente per caso, in Piazza Santa Maria in Passione. Ma vincere la diffidenza che può incutere un grande cancello zincato, al di là del quale salta subito all'occhio un movimento non convenzionale di materiali, oggetti, corpi… non risulta semplice a tutti. Così si doveva presentare, e si presenta tutt'ora, nonostante il grande lavoro di "riordino", nei primi mesi il convento riaperto: un cantiere, un accampamento, un deposito di materiali. Un grande fermento si viveva in quel periodo: c'era molta consapevolezza tra noi, ma anche l'incertezza di non sapere che reazione avrebbe suscitato, in città, la nostra azione di autorecupero. Risale al dicembre 2014 il primo incontro tra chi scrive e i bravi fotografi Federica e Sandro: nonostante le evidenti differenze dei ruoli sociali che stavamo rivestendo in quel momento (da una parte "l'assemblea di gestione" e dall'altra i "professionisti della fotografia") ha subito prevalso la passione per ciò che si aveva in mente di fare, e la fiducia nell'altro. Una fiducia per niente scontata, che si è costruita nei mesi successivi con le sessioni di scatto alle architetture dell'ex convento e ai suoi "nuovi abitanti". "Tutto da qui ha inizio", (anche) secondo noi: abbandonare i ruoli, le etichette, le gerarchie sociali. Fondare le proprie relazioni esclusivamente sulla fiducia reciproca e sul mutuo sostegno. Interagire direttamente con il territorio in cui ognuno di noi vive. Preparare insieme ai fotografi e agli allievi la mostra che ha fatto seguito al corso e veder nascere questo libro, avendo avuto la possibilità di contribuire alla sua realizzazione è stato un piacevole, ennesimo inizio. È stato così che ognuno si è tolto la propria veste e ci si è coperti con vestiti da lavoro per proteggersi dalla polvere: la stanza che ha ospitato la mostra, e che prima di noi ha ospitato le vesti degli operai del cantiere archeologico degli anni '90 non è stata ripulita "dai fotografi", ma da un insieme di persone accomunate non dal desiderio di "dimostrare qualcosa", piuttosto di "mostrare a tutti" questo splendido luogo.

www.liberacollinadicastello.org