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Progetti e tecnologie per città più intelligenti SMART CITY

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Progetti e tecnologie per

città più intelligenti

SMART CITY

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SMART CITY

PROGETTI E TECNOLOGIE PER CITTÀ PIÙ INTELLIGENTI

IN COLLABORAZIONE CON IBM

QUADERNI

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Smart City – Progetti e tecnologie per città più intelligenti Edizioni Forum PA - Collana Quaderni ISBN 9788897169017

Finito di stampare nel mese di Marzo 2011

Stampa: Veant s.r.l. – Roma

I contenuti sono rilasciati nei termini della licenza Creative Commons 2.5 Italia: Attribuzione – Non Commerciale - Condividi allo stesso modo. Il testo integrale è disponibile al sito http://creativecommons.org/licenses/

La versione elettronica di questo Quaderno è disponibile sul sito www.forumpa.it

© 2011 Edizioni Forum PA

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INDICE

INTRODUZIONE  5

INTERVENTI  7

Carlo Mochi Sismondi  QUALI MODELLI PER LO SVILUPPO DELLA CITTÀ FUTURA?  9

Mario Villa  MOBILITÀ INTELLIGENTE:  LE SFIDE DI GOVERNANCE PER LA SOSTENIBILITÀ  10

Valeria Battaglia  IL PROGETTO PAESE CITY LOGISTICS  15

Livio Gallo  SMART GRIDS E SMART CITIES:  IL CONSUMO ENERGETICO PIÙ INTELLIGENTE  18

Maria Cristina Farioli  SMARTER CITY UN ANNO DOPO: I PERCORSI DI TRASFORMAZIONE PER DIVENTARE UNA "CITTÀ INTELLIGENTE"  21

TAVOLA ROTONDA: QUALI MODELLI PER LO SVILUPPO DELLA CITTÀ FUTURA  25

Roberto Reggi  PIACENZA: UNA SMART CITY IMPERNIATA SUL COINVOLGIMENTO DEI CITTADINI  27

Wladimiro Boccali  PERUGIA, ARTE, CULTURA E FORMAZIONE: ANALISI DELLA VOCAZIONE PER UNA CITTÀ PIÙ INTELLIGENTE  29

Alessio Chiavetta  NETTUNO, LA CITTÀ ACCESSIBILE  31

Filippo Bernocchi  COMUNI: LE CONDIZIONI ABILITANTI PER  POTER ESSERE SMARTER  33

Michele Vianello  LA CITTÀ DELLE CONOSCENZE CONDIVISE  35

Pinuccia Montanari  IL CASO GENOVA: UN APPROCCIO INTEGRATO ALL’INNOVAZIONE  37

Mario Marini  PARMA 2.0, LA CITTÀ SENSIBILE  39

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RELAZIONI CONCLUSIVE  41

Nicola Ciniero  SMARTER TOWN. PROGETTARE L'INNOVAZIONE DEL PAESE  43

Matteo Renzi  IL RUOLO CENTRALE DEI COMUNI ITALIANI PER L’INNOVAZIONE  45

 

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Introduzione 5

INTRODUZIONE

e la crisi economica sta comportando per tutte le città una difficile riflessione strategica, è sempre più vero che senza uno sviluppo intelligente delle città la crisi non si supera. La

costruzione di un Paese moderno, innovativo ed inclusivo non può che passare attraverso una dimensione urbana fatta a misura d’uomo perché è nelle città che si fa esperienza dei servizi, che si sperimentano nuove convivenze, che si costruiscono i beni relazionali e il capitale sociale. È nelle città che si immagina il futuro.

S

Quando parliamo di “città intelligente” pensiamo a uno spazio urbano, ben diretto da una politica lungimirante, che affronta la sfida posta dalla globalizzazione e dalla crisi economica con un’attenzione particolare alla coesione sociale, alla sicurezza dei cittadini, alla diffusione e disponibilità della conoscenza, alla creatività, alla libertà e mobilità effettivamente fruibile, alla qualità dell’ambiente naturale e culturale, alla conservazione e fruizione del patrimonio culturale.

Una città intelligente è anche una città che, usando tra l’altro l’innovazione tecnologica, riesce a spendere meno e meglio senza abbassare la quantità e la qualità dei servizi forniti a cittadini ed imprese. Perché, lo ripetiamo, la crisi non è una buona scusa per non innovare e le restrizioni della finanza pubblica, che paiono ormai strutturali e non congiunturali, richiedono, chiunque governi, risposte altrettanto strutturali. Anche la Commissione Europea, nella sua Agenda Digitale, prevede un'attenzione speciale per il tema delle città intelligenti, come presupposto per una crescita dell'economia della conoscenza, dell'inclusione sociale, del turismo, della cultura e di un ambiente più vivibile.

A questi temi FORUM PA 2010 ha dedicato il convegno “Progetti e tecnologie per città più intelligenti” (Roma, 19 maggio 2010) organizzato in collaborazione con IBM. Un momento di incontro e confronto tra rappresentanti della pubblica amministrazione e delle imprese, in cui si è cercato di analizzare le diverse dimensioni che costituiscono la misura di una città intelligente: mobilità, ambiente, turismo e cultura, economia della conoscenza e della tolleranza, trasformazioni urbane per la qualità della vita. Un percorso di approfondimento che è proseguito nei mesi successivi, dando vita alla “rete delle città intelligenti”, nata ufficialmente il 12 novembre 2010 a Padova in occasione della XXVII Assemblea ANCI.

La rete vuole essere una comunità di pratica di amministratori locali (sia politici, sia vertici apicali dell’amministrazione) disposti a confrontarsi sui temi della “città intelligente” costituendo così:

• un luogo di scambio delle esperienze non episodico, ma sistematico dove verificare nuove strade, conoscere best practice, imparare dagli errori;

• una “libreria” comune di progetti da cui attingere;

• una massa critica maggiore per una comunicazione più efficace delle esperienze sui media.

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Un importante obiettivo della rete sarà l’elaborazione collettiva di un documento di principi e obiettivi così da condividere visioni comuni che facciano da contesto alle diverse azioni intraprese. Nella “rete delle città intelligenti” c’è posto per tutte le città e gli amministratori che abbiano voglia di confrontarsi, convinti che è più facile innovare ed uscire dalla crisi lavorando insieme e che per essere protagonisti del cambiamento non possiamo aspettare che qualcuno ce lo imponga per decreto.

Di reti in questi anni ne sono nate (e morte) tante, spesso più dettate dalla necessità di un po’ di visibilità che dalla effettiva voglia di collaborare. Il nostro intento è diverso: offrire con semplicità e umiltà un luogo di scambio concreto ed utile. Meno annunci, meno proclami, più cassette degli attrezzi e istruzioni per l’uso.

Questa pubblicazione raccoglie gli Atti del convegno “Progetti e tecnologie per città più intelligenti” organizzato da FORUM PA in collaborazione con IBM (Roma, 19 maggio 2010).

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INTERVENTI

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Interventi 9

Carlo Mochi Sismondi Presidente di FORUM PA

QUALI MODELLI PER LO SVILUPPO DELLA CITTÀ FUTURA? o voluto seguire personalmente questo evento, non solo perché è uno degli incontri più importanti di FORUM PA, ma perché coglie uno dei punti fondamentali del nostro lavoro:

quello di mettere in evidenza le nuove frontiere. Le fiere devono mettere sul tavolo entrambe le prospettive: ciò che vediamo oggi, che qui trovate nei progetti realizzati ed esposti negli stand, e ciò che immaginiamo per il domani. Ebbene, questo incontro si situa esattamente in questa seconda prospettiva.

H

Qui parleremo di città intelligenti, ovvero di smarter cities, per riprendere il nome del progetto di IBM, che voglio ringraziare per aver voluto essere nostro partner in questo importante percorso.

Quello delle città intelligenti è un tema che ha destato molto interesse: metà della nostra voluminosa rassegna stampa le ha citate.

Nel corso di questo incontro avremo un panel che metterà sul tavolo i temi chiave: saranno svolti un ragionamento sulla mobilità, un ragionamento sull’energia e un ragionamento sull’integrazione delle tecnologie che aiutano i percorsi di trasformazione di uno spazio urbano per diventare una città intelligente. Saremo aiutati in questo da Mario Villa del Politecnico di Torino, da Valeria Battaglia di Confindustria, dall’Amministratore Delegato di Enel Distribuzione Livio Gallo e da Cristina Farioli di IBM.

Cercheremo inoltre di mettere in luce alcune esperienze concrete, attraverso il racconto di alcuni Sindaci e di alcuni Assessori, con l’obiettivo di capire che cosa significa scegliere di portare la propria città ad essere più intelligente.

Nicola Ciniero, Amministratore Delegato e Presidente di IBM Italia, tirerà le conclusioni dopo questo giro di esperienze. Infine Matteo Renzi, che oltre ad essere Sindaco di Firenze è Vicepresidente Delegato per l’Innovazione Tecnologica dell’ANCI, ci offrirà alcune riflessioni politiche anche in relazione all’impegno di ANCI in questo settore.

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Mario Villa Professore del Politecnico di Torino

MOBILITÀ INTELLIGENTE: LE SFIDE DI GOVERNANCE PER LA SOSTENIBILITÀ

reparando questo intervento ho pensato di raccogliere la sfida riguardo alla definizione di città intelligenti riunendo intorno alla parola “sostenibilità” i concetti che ci possono aiutare a capire

quanta intelligenza poniamo nelle politiche per le città e i territori. Di conseguenza ho privilegiato quegli aspetti che sono a monte delle scelte tecnologiche – le quali sono comunque fondamentali per risolvere i problemi più di gestione che non di struttura – ma quelli che finiscono per evidenziare la maggior parte dei disagi. Credo infatti che sia importante recuperare alcuni dei principi sui quali l’intelligenza umana si è misurata negli anni precedenti allo sviluppo delle nuove tecnologie.

P

Il tema dell’uso del territorio riguarda i processi di pianificazione e la scelta di quali investimenti devono essere fatti. Parliamo dunque dell’impiego e dell’impegno di risorse pubbliche e infine dei processi di governance. Gli indicatori a cui faccio riferimento sono quelli spesso diffusamente conosciuti per indicare i diversi aspetti del problema strutturale: smart economy, smart mobility, smart environment, smart people, smart living e smart governance.

La nostra discussa abitudine di realizzare prima le espansioni urbane e poi di lasciare alla spontaneità i temi della mobilità e del trasporto sicuramente non ha portato ad un buon funzionamento dell’intero sistema. La forma urbana, l’occupazione del suolo rende l’uso dell’automobile quasi indispensabile, mentre in altri contesti le scelte programmate della espansione urbana contestuali ai progetti della mobilità su sistemi collettivi e possibilmente su ferro hanno dato esiti diversi.

La sostenibilità esiste quando si riesce ad ottenere un’impronta ambientale zero sul territorio. L’uso di sistemi di trasporto su ferro o con emissioni tendenti a zero è l’elemento portante dell’approccio sostenibile. Ci sono procedure che riguardano la progettazione e la pianificazione del territorio che probabilmente devono essere ripensate. Quando si predispongono i piani urbanistici e territoriali vanno attivati strumenti che facciano leva sulla cooperazione tra enti, sulla co-progettazione e sulla sussidiarietà – sia orizzontale che verticale – tra le Amministrazioni.

Una delle caratteristiche negative del nostro Paese e delle grandi aree urbane, alla quale bisogna porre rimedio, riguarda la complessa capacità di realizzare in tempi ragionevoli e poi di monitorare e valutare quanto fatto.

Gli esempi delle buone pratiche – come quello, molto citato fra gli esperti, del quartiere Vauban di Friburgo – sono importanti riferimenti da tenere presenti.

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Torino, la città da cui vengo, sta subendo in questi anni una delle più grandi trasformazioni degli ultimi tempi per il passaggio urbanistico e sociale, da città industriale e “monoculturale e monoproduttiva”, a città nella quale l’attività turistica e l’organizzazione di eventi sono diventati fattori quasi portanti dell’economia (rappresenta oggi il 10-15% del PIL della città e della provincia).

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Il caso di Rimini (sotto) mostra invece un esempio di utilizzo conservativo delle risorse demaniali naturali.

Un ulteriore argomento importante che definisce al meglio la “smart economy” nei termini della sostenibilità dei processi, è quello che riguarda il consumo di suolo. I due diagrammi mostrano come, in presenza di uno stabile andamento demografico, nella Provincia di Torino sia aumentato il consumo di suolo procapite.

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Ciò sta a testimoniare una “scarsa intelligenza” nell’utilizzo dei suoli: evidentemente una crescita così indiscriminata (e con una tendenza che non manifesta momenti di sosta) fa pensare a una logica di intervento pervasivo sul territorio piuttosto che a un approccio programmato fondato sul riuso.

Vi sono poi politiche intelligenti che si applicano anche a progetti “minimi”. Un esempio è quello della sicurezza stradale davanti alle scuole: un approccio incentrato sulla sostenibilità che riguarda il territorio nella sua organizzazione di quartiere. Si tratta di progetti che possono coinvolgere la comunità sotto profili di alto valore sociale (come è quello della sicurezza dei soggetti più deboli). Esiste quindi un tema che riguarda l’utilizzo delle reti, sia alla scala minore del quartiere che alla scala maggiore metropolitana o regionale.

Il viaggiatore intelligente è quello che sceglie una mobilità strettamente correlata alla propria dimensione. Se ognuno di noi facesse il primo chilometro a piedi, usasse la bicicletta per distanze di poco superiori e poi potesse usufruire di una rete di trasporto pubblico, ci sposteremmo tutti in maniera più intelligente e probabilmente i parametri di valutazione della efficacia ed efficienza dei nostri TPL migliorerebbero in modo strutturale. Stamattina io ho fatto un percorso in moto nella semi-periferia romana e ho incontrato due soli pullman che facevano servizio verso il centro cittadino. Questo non è un servizio intelligente, perché si pone in maniera non competitiva. Non si tratta qui di un’accusa alla città di Roma in particolare, perché è un problema che riguarda tutte le grandi città, però è evidente che una città come Roma dovrebbe avere dei centri di convergenza dei percorsi a piedi e in bicicletta nei quartieri per poi veicolare il trasporto su mezzi di servizio pubblico.

Mi ha interessato molto la ricerca di Isfort e Audimob, che hanno condotto un sondaggio presso la popolazione nazionale individuando quali sono gli interessi emergenti degli utenti dei sistemi di trasporto. Da questa ricerca emergono degli interessi assolutamente prioritari rispetto ad altri: ridurre l’inquinamento generato dai trasporti, aumentare la sicurezza dei trasporti e rendere più agevoli gli spostamenti con i mezzi pubblici. Ciò dimostra che gli utenti si stanno preparando sempre più e meglio alla questione della sostenibilità, anche perché a livello psicologico personale la mobilità in automobile diventa spesso – come qui a Roma – insostenibile. Sappiamo che lo stress è una delle cause di fondo della mancanza di attenzione nella guida e, quindi, dell’incidentalità.

Vi sono poi delle porzioni di domanda di mobilità che sono strettamente legate all’organizzazione dei servizi sociali, del commercio e della vita familiare. Anche qui c’è ampio spazio per una “governance intelligente” nell’indurre le persone ad essere consapevoli dei propri movimenti non opportuni. Sia il trasporto delle merci in entrata nei negozi che quello delle merci acquistate dai cittadini potrebbero essere agevolmente ricondotti a soluzioni più valide e più economiche.

C’è dunque una domanda sociale di mobilità sostenibile a cui si deve dare una risposta adeguata. Su questo tema esistono esempi sviluppatisi nell’arco di un periodo amministrativo (cinque o dieci anni) che vale la pena ricordare. Uno è sicuramente quello che viene dall’area di Napoli, dove un piano articolato si è potuto sviluppare grazie a un grosso sforzo dell’amministrazione regionale. Anche l’area metropolitana e la Provincia di Torino stanno lavorando attivamente nel cercare delle soluzioni ferroviarie integrate che individuino nel passante ferroviario il luogo nel quale effettuare lo scambio con la rete metropolitana e le reti ferroviarie di lunga distanza. In questo caso la scelta è stata concepita trent’anni fa, ma sta trovando maturazione e attuazione solo ora e con tempi davvero troppo lunghi.

Altri temi che vale la pena ricordare sono quelli che riguardano la disponibilità di servizi telematici che possono governare l’offerta. Sto parlando della scelta di mezzi di trasporto che siano più adeguati alla flessibilità richiesta. Una politica che mi preme sottolineare è quella dei “Movicentri” piemontesi, che si manifesta in una riorganizzazione del territorio urbano intorno alle stazioni ferroviarie e alle stazioni di interscambio. Questi ultimi luoghi sono stati individuati come nuovi punti

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di centralità urbana. Queste politiche – come sempre – incontrano però delle difficoltà nel procedere perché implicano un ripensamento radicale degli spazi urbani e delle aree di sosta e scambio. Trattare questi elementi come interventi decisivi per la riorganizzazione del territorio credo che rappresenti un esempio molto importante da seguire.

Da ultimo va evidenziata la crescente e impetuosa importanza delle tecnologie dell’ITS per la gestione della informazione nelle reti e dalle reti all’utenza territoriale, nelle scelte preventive di percorso e di modo e in tempo reale sui percorsi, mettendo a disposizione del viaggiatore una informazione adeguata alle scelte che sono all’origine del suo viaggio e capace di ottimizzarne lo svolgimento.

Emergono quindi 2 livelli di HW infrastrutturale: quello della struttura territoriale, delle localizzazioni e dei sistemi di trasporto e quello delle reti ITS che ne migliorano l’uso operando sulla informazione all’utenza almeno fino a quando ne accetteremo l’impronta regolativa a fronte di una impronta impositiva propria della automazione spinta.

E’ mia opinione che la “smart governance” , vera chiave del progetto e poi della gestione dei sistemi complessi, debba svilupparsi ed operare dove possa incontrare le libertà e le consapevolezze dei cittadini che progettano il proprio futuro, ma ne accettano altresì soprattutto i limiti di capacità che caratterizzano ogni sistema: ambiente, paesaggio, infrastrutture, produzione, residenza, reti materiali e immateriali.

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Valeria Battaglia Responsabile Area Economica di Federtrasporto e Componente del Gruppo di Lavoro Logistica dei "Progetti Paese” di Confindustria

IL PROGETTO PAESE CITY LOGISTICS l progetto che mi è stato chiesto di presentarvi è stato sviluppato in Confindustria in collaborazione tra diverse Federazioni di settore e riguarda la city logistics, ossia la governance

della distribuzione urbana delle merci. I L’idea della collaborazione tra Federazioni è nata dal renderci conto in Confindustria che le tecnologie sono una strada per ottimizzare molte attività e insieme ci siamo chiesti su quali filoni una collaborazione tra il know how di settore e il know how tecnologico potesse produrre degli indirizzi utili al Paese. Sono così nati alcuni Progetti Paese: tra questi, uno sulla sanità, uno sull’energia mirato al risparmio energetico e uno sulla city logistics. L’idea iniziale è stata di occuparci della logistica tenuto conto che essa ha una componente tecnologica crescente molto importante. Abbiamo poi circoscritto il campo di riflessione alla mobilità urbana delle merci perché ci è sembrato che ci fossero, in questo specifico ambito, le condizioni di esperienza per identificare dei percorsi utili per gli operatori e per il Paese. Si sono associate nel progetto la Confindustria Servizi Innovativi per la parte delle tecnologie e Federtrasporto – per cui personalmente lavoro – che in Confindustria riunisce operatori del trasporto e gestori di infrastruttura di tutte le modalità (ferrovie, autostrade, autotrasportatori, aeroporti, aviolinee, operatori logistici).

Ci è sembrato interessante occuparci di city logistics anche perché si tratta di una tematica matura. L’attualità del tema è testimoniata – come ha ricordato prima Carlo Mochi Sismondi – dalle rassegne stampa quotidiane, da cui abbiamo notizia del fatto che molte città d’Italia si stanno ponendo il problema e stanno tentando di affrontarlo (mentre altre lo hanno già affrontato da diversi anni).

L’approccio delle diverse città può apparire piuttosto omogeneo, nel senso che gli strumenti per gestire la city logistics sono più o meno quelli noti: le ZTL, il controllo satellitare, i varchi elettronici, le piazzole di sosta, le corsie preferenziali e le piattaforme di consolidamento urbano. La combinazione di questi strumenti però varia molto da luogo a luogo e le soluzioni tecnologiche raramente seguono percorsi di compatibilità, il che invece per gli operatori logistici rappresenterebbe una prospettiva interessante per fluidificare l’attività ed evitare duplicazioni di costi.

La city logistics influisce notevolmente sulla qualità della vita cittadina, presenta una forte sensibilità elettorale (perché su di essa spesso ci si gioca il consenso) e incide sulla congestione e sull’inquinamento di cui tutti abbiamo percezione. Quello che invece non viene sufficientemente messo in risalto nella comunicazione è la rilevanza economica che la city logistics assume. La Comunità Europea si sta occupando della city logistics e giustamente – così come abbiamo tentato di fare noi – lo fa nell’ottica delle best practices. È evidente che ogni città rappresenta un caso a sé stante ed è pacifico che non si possano indicare soluzioni uniformi per tutti: ogni città deve fare i conti con le proprie caratteristiche sociali, territoriali e produttive, con i corridoi su cui si trova e con le esigenze interne, ma è possibile oggi andare a vedere che cosa è stato sperimentato in particolari città e che cosa ha avuto successo. Dal lavoro di ricerca della Comunità Europea emerge che l’85% del PIL europeo è generato dalle città. Le città quindi non sono soltanto luoghi dove si vive, ma sono fondamentali nodi del sistema economico. Nelle città si concentrano attività produttive di grandissimo rilievo, non solo di tipo commerciale, e sarebbe quindi opportuno che le soluzioni che si

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vanno a costruire nelle singole realtà fossero compatibili con lo sviluppo economico della città medesima, nell’interesse di tutti. Le esigenze della produzione e del commercio dovrebbero essere tenute in conto al pari delle altre politicamente più spendibili nel breve periodo.

Un’altra questione che rende interessante occuparsi di city logistics in dialogo con la tecnologia è che le tecnologie ormai sono pervasive nel mondo del trasporto. Ci sono ambiti in cui si stanno affermando standard internazionali obbligatori, come le dogane, il traffico marittimo-portuale o il trasporto di merci pericolose. Esistono dunque una serie di standard ai quali gli operatori del trasporto devono progressivamente adeguarsi; sarebbe perciò auspicabile che le città, quando progettano sistemi di regolazione degli accessi urbani per le merci, tenessero conto delle prassi che si sviluppano al di fuori di esse, con l’assunzione di un’ottica non puramente locale che sappia guardare al di là dei sistemi che si intendono regolare.

Un ulteriore motivo di interesse per una razionalizzazione sta nel fatto che nella mobilità urbana delle merci esistono ampi margini di ottimizzazione per gli operatori stessi che effettuano il trasporto, i quali in Italia sono per circa il 50% operatori in conto proprio. Chi opera in conto proprio viaggia quando ha bisogno di ritirare o fare consegne, sia con il camion carico sia con il camion quasi vuoto. Negli ultimi anni cresce la tendenza ad affidare il servizio ad operatori professionali che hanno maggiore interesse ad ottimizzare i carichi, riducendo il numero dei mezzi in circolazione con vantaggio su entrambi i fronti: per la città e per gli operatori.

Come è chiaro, siamo profondamente convinti dell’importanza della sussidiarietà in questa materia, non mettiamo in discussione il ruolo di capofila dei Comuni; chiediamo tuttavia che affrontino la sfida in un’ottica di sistema, perché è possibile, in modo che la proliferazione di soluzioni inevitabilmente diversificate riduca a zero le differenze non necessarie, sia sul piano della compatibilità delle tecnologie che su quello della logistica. Le esperienze sono sufficienti per darci indicazioni preziose.

Da un confronto interno agli operatori, e sulla scorta delle best practice, abbiamo individuato tre elementi essenziali per la costruzione di sistemi di regolazione locali efficienti che diano buone risposte sia alla città che agli stessi attori economici.

Il primo elemento è il metodo, perché – come diceva anche il Professor Villa – la questione delle procedure è vitale. Essendo ogni città diversa dalle altre, il metodo diventa la strada maestra ove si può dare un indirizzo di tipo generale. I metodi che hanno mostrato i migliori risultati implicano la costruzione di un percorso progressivo di identificazione degli strumenti di intervento attraverso un’ampia analisi del territorio e delle esigenze espresse dalle rappresentanze delle varie anime della città (commercianti, utenti, trasportatori, ecc.). Per questo percorso va costruito un calendario definito con obiettivi progressivamente individuati, ma alla fine stabiliti e mantenuti nel tempo, attraverso un accordo di programma che impegni le varie parti ai risultati che ci si è prefissi. Sarà utile partire da un protocollo di intesa per sviluppare il percorso attraverso successive ordinanze che, ad esempio, introducano progressivamente le limitazioni al traffico secondo modulazioni per filiera. È opportuno un periodo di sperimentazione – anch’esso a tempo determinato – che consenta di affinare i risultati e le soluzioni identificate. L’accordo fatto a Roma sul sistema merci – la cui comunicazione è stata data ieri – va in questa direzione.

In questo esercizio, fatta salva la possibilità di vincolare gli accessi a standard ecologici definiti per i veicoli, meritano un’attenzione specifica alcune filiere, come anche l’accordo di Roma mette in risalto: pensate come sia problematico vincolare rigidamente o vietare tout court l’accesso all’ambito urbano per la filiera dei prodotti freschi, o per i corrieri espressi, per i quali il controllo dell’ultimo miglio è parte essenziale del servizio e garanzia per il cliente.

Il secondo elemento che abbiamo individuato è la preferenza per i modelli “aperti”. I modelli chiusi obbligano al consolidamento urbano in piattaforme peri-urbane con la consegna delle merci ad un

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unico operatore (pubblico, partecipato o privato selezionato) che offre il servizio in ambito urbano. Questi modelli, applicati in alcuni casi, sono molto rigidi e presentano più svantaggi che vantaggi. Per tutti gli interessi in campo hanno invece dimostrato di essere più produttivi i modelli aperti, ossia quelli che prevedono sistemi di accreditamento secondo standard ecologici, standard di carico dei veicoli, standard di lavoro o altri standard il cui rispetto consente l’ingresso nella ZTL mediante premialità d’uso. In questi modelli chi si adegua ai criteri di base identificati ha un accesso di favore in termini di orario, di zone di sosta, di corsie preferenziali o di costo degli accessi urbani.

Il terzo elemento è il Centro di Consolidamento Urbano. In molti casi è previsto in ambito peri-urbano un Centro di Consolidamento, ovvero un luogo in cui sia l’operatore locale sia il vettore che serve occasionalmente la città possono conferire le merci ad altro operatore in grado di organizzare le spedizioni in città ottimizzando i carichi e riducendo la congestione, i costi e l’impatto ambientale. In questi Centri di servizi la tecnologia risulta essere elemento essenziale per gestire le attività logistiche nella maniera più efficiente possibile.

Nel documento che abbiamo elaborato – e che trovate sul nostro sito web – sono riportati i dati relativi ad alcune esperienze ove si dimostra che nell’arco di tre/quattro anni si arriva al raddoppio delle consegne. Ciò vuol dire che più operatori economici effettivamente optano per il sistema centralizzato, se funziona bene, anche quando non sia esclusivo. La piattaforma dovrà funzionare con una competenza logistica e una componente tecnologica forti, ma con una possibilità di accreditamento in proprio da parte degli attori economici. Ciò stimola anche il centro logistico a produrre il meglio in vista di un’autosostenibilità economica, che nei casi in cui l’esperienza è stata ben costruita ha dimostrato di poter essere raggiunta nell’arco di quattro/cinque anni.

Come ultimo messaggio vorrei dire che – salva la sussidiarietà – resta chiara l’utilità di indirizzi nazionali, soprattutto sulla diffusione della conoscenza delle migliori esperienze per identificare una metodologia che consenta di partire con il piede giusto in una sfida inevitabilmente complessa quale è la city logistics.

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Livio Gallo Amministratore Delegato di Enel Distribuzione S.p.A

SMART GRIDS E SMART CITIES: IL CONSUMO ENERGETICO PIÙ INTELLIGENTE

rima di entrare nel vivo della presentazione vorrei darvi una brevissima panoramica del Gruppo Enel. Noi siamo un gruppo diversificato e ben bilanciato a livello internazionale: abbiamo il

cuore in Italia, ma contiamo sulla presenza in 23 Paesi e 3 Continenti. Nel 2009 la metà dei risultati che derivano dai nostri volumi di business è stata in Italia, come anche la metà dei dipendenti. Io rappresento qui la Divisione Infrastrutture e Reti, che gestisce la rete elettrica di Enel in Italia, la quale rappresenta circa l’85% della rete di distribuzione nazionale. Abbiamo poi la distribuzione del gas, nella quale siamo il secondo operatore (con F2i, Fondo che ha il controllo dell’equity di Enel Rete Gas S.p.A.), e abbiamo una presenza capillare e distribuita nella gestione e manutenzione dell’illuminazione pubblica dei Comuni italiani.

P

Per iniziare ad affrontare il tema di oggi io partirei dalla definizione di Smart Cities che è stata data dalla Comunità Europea. L’European Commission è stata la prima a definire e a dare un forte impulso al concetto di Smart Cities. Una smart city, secondo questa definizione, è una città che ha un forte impulso verso l’efficienza energetica attraverso l’utilizzo di tutte le migliori tecnologie disponibili. L’obiettivo europeo delle Smart Cities – ambizioso – è quello della riduzione del 40% delle emissioni di CO2 nel 2020 rispetto al 1990. Si tratta di un ambizione maggiore rispetto a quella del 20-20-20 definita a Kyoto, discussa a Copenaghen e poi nei successivi incontri trasformandola forse in 20-30-30.

La Commissione Europea ha definito otto Industrial Initiatives da realizzare con un partenariato pubblico/privato, che può avere una forma di entità legale, di consorzio o di ATI a seconda del tipo di attività. Enel partecipa alle Initiatives sulle Smart Grids – nelle quali Enel Distribuzione è leader a livello europeo – e sulle Smart Cities. Nella Communication on Financing the SET Plan dell’European Commission (settembre 2009) al Parlamento Europeo è stato individuato il fabbisogno finanziario per queste iniziative, e alle Smart Cities è stato riconosciuto un valore di 11 miliardi di euro. Si tratta di un investimento pubblico/privato: la Comunità Europea, gli Stati membri, i Fondi regionali, i FAS e i POI non forniscono le uniche risorse, ma danno comunque un contributo importante.

Sempre secondo la Commissione Europea, l’attività per le Smart Cities si deve concentrare sul rinnovamento dei vecchi edifici e sulla costruzione di nuovi che siano in grado di restituire energia (Energy Positive Building), sul riscaldamento e sul condizionamento, sull’elettricità (Smart Grids, contatori intelligenti, elettrodomestici intelligenti e fonti rinnovabili) e sui trasporti (mobilità elettrica privata, porti verdi, ecc.). Per accedere a questi 11 miliardi di euro di finanziamento sono state elaborate delle linee guida molto vincolanti da rispettare.

Abbiamo fatto un’analisi a livello mondiale su quali sono oggi le Smart Cities note e attive. La prima – e forse la più attiva – è Amsterdam, il cui progetto Amsmartedam City è stato avviato nel 2009 con l’obiettivo prioritario della riduzione del 40% delle emissioni di CO2 nel 2025 rispetto al 1990. Il Comune di Amsterdam ha lavorato, in collaborazione con il distributore europeo Liander, con un investimento di 1,1 miliardi di euro programmato al 2020. Ad oggi il progetto non è finanziato a livello pubblico, ma autofinanziato con alcuni milioni di euro. Stanno lavorando soprattutto sui contatori intelligenti e sulla rete elettrica. A Malaga stiamo lavorando con Endesa/Enel (la nostra controllata in Spagna) per un progetto pilota che si propone di ridurre le emissioni di CO2 con

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Interventi 19

interventi sulle fonti rinnovabili, sulle reti intelligenti e sul trasporto elettrico. La città di Boulder in Colorado con Xcel Energy offre una vetrina di soluzioni tecnologiche per qualche migliaio di clienti. Sono stati spesi circa 1000 euro a cliente (per un totale di 10 milioni di euro) per intervenire e automatizzare tutta la rete elettrica di distribuzione e di comunicazione. Madrid sta lavorando soprattutto sulla gestione dei rifiuti e sulla qualità dell’aria, Londra invece – con la London Development Agency – sta riducendo la CO2 con un programma di efficienza chiamato Building Energy Efficency Program che interviene sugli edifici nuovi ed esistenti. Masdar, che è l’esempio più fulgido, è la città degli Emirati Arabi Uniti che si pone gli obiettivi più avveniristici (carbon free e zero emissioni), anche se per adesso nulla è stato costruito e il progetto esiste solo nei server informatici di Abu Dhabi.

Enel come distributore sta dando il proprio contributo muovendosi su tre driver principali: la gestione dei flussi di energia da fonti rinnovabili che arrivano sulla rete a tutti i livelli di tensione, l’abilitazione e lo sviluppo della domanda attiva del cliente, il trasferimento di innovazione tecnologica all’interno delle città (la mobilità elettrica ne è un tipico esempio).

La rete Enel è la più grande Smart Grid del mondo. Abbiamo 36 milioni di contatori intelligenti, abbiamo una rete fortemente automatizzata (siamo benchmark europeo), gestiamo i nostri interventi con un sistema di Work Force Management che ci permette di avere un ufficio mobile vicino ai nostri clienti (con risparmio di CO2 perché non facciamo più interventi diretti in casa dei clienti ma lavoriamo su quasi tutto a livello informatico). La nostra risposta strategica, che è anche uno dei più importanti fattori di abilitazione per le Smart Cities, si incentra dunque su quelle che noi chiamiamo le Smart Grids.

Il primo scopo delle Smart Grids è quello di integrare le fonti rinnovabili, il che vuol dire non soltanto collegare i pannelli fotovoltaici piuttosto che le pale eoliche in tempi e con costi accettabili per i clienti, ma vuol dire anche gestire energia a tutti i livelli di rete. Oggi l’energia arriva dalle grandi centrali e viene trasportata su reti ad alta tensione, poi a media tensione, poi a bassa e arriva nelle case dei nostri clienti. L’energia da fonti rinnovabili viene immessa a tutte le tensioni, il che vuol dire che bisogna gestire non più un flusso monodirezionale, ma dei flussi multidirezionali. Il fatto che poi – come noi diciamo – le fonti rinnovabili siano dispacciate da Dio in modo erratico, e quindi non possono essere controllate, implica che i loro comportamenti debbano essere previsti. Quindi occorrono sistemi intelligenti a tutti i livelli per prevedere la generazione da fonti rinnovabili e il consumo dei clienti, per portare l’energia dove e quando possa essere consumata convenientemente. Le pale eoliche girano di notte ma noi consumiamo energia di giorno, dunque anche i sistemi di immagazzinamento dell’energia e la mobilità elettrica diventano elementi fondamentali.

Le previsioni indicano una diffusione che va dal 10% al 30% (a seconda degli incentivi) di automobili totalmente elettriche in Italia nel 2020. L’auto viene usata non più di due ore al giorno di media, quindi intorno al 10% del tempo, nelle altre ore può essere dunque utilizzata per ricaricarsi, ma anche per restituire energia. In questo modo si userebbe l’auto elettrica come forma di immagazzinamento dell’energia.

L’altro obiettivo è quello di costituire con i clienti una doppia via di comunicazione sviluppando la consapevolezza sul loro profilo di consumo in modo che possano spostare i consumi dal picco – dove l’energia costa di più – ad altre fasce orarie. Facendo comunicare il contatore con le reti interne alle abitazioni – le Home Automation Network – si possono gestire i carichi di energia all’interno della casa, all’interno di un insieme di appartamenti, all’interno di grandi edifici e di micro aree.

È difficile oggi prevedere quali saranno i bisogni dei clienti, sicuramente con l’innovazione tecnologica da qui al 2020 potremo dare disponibilità di informazioni ai nostri clienti in modo da stimolare nuovi bisogni. Con i colleghi distributori europei abbiamo sviluppato un’European

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20 Smart city – Progetti e tecnologie per città più intelligenti

Electricity Grid Initiative (EEGI) che verrà lanciata il 3 di giugno. Abbiamo chiesto per il Piano (composto da 19 progetti) un finanziamento di due miliardi di euro alla Comunità Europea.

Per quanto riguarda le Smart Cities il nostro contributo si gioca sicuramente sulla rete elettrica, sulla gestione delle rinnovabili, sulle reti attive che presuppongono il coinvolgimento dei clienti (che si configurano sempre più come prosumers), sulla mobilità elettrica, sull’illuminazione pubblica degli edifici, sulla gestione della domanda attiva.

Per quanto riguarda la mobilità elettrica stiamo lanciando a Pisa e a Roma un progetto con 400 punti di ricarica e abbiamo stilato un accordo con la Daimler Mercedes. Attraverso il contatore elettronico è possibile riconoscere la macchina che arriva, comunicare la localizzazione del punto di ricarica, ricaricarla e poi inviare la bolletta elettrica dove vuole il cliente. In questo modo è possibile risparmiare fino al 34% della normale spesa per il carburante delle auto. Per il garage privato sono poi previsti altri tipi di alimentazione. Su questo progetto abbiamo stilato anche un accordo con la Piaggio, che prevede i modelli elettrici del Porter, di una versione re-stilizzata della famosa Ape e del motoveicolo MP3.

Riguardo all’illuminazione pubblica abbiamo installato più di 40mila LED ottenendo il 55% di risparmio energetico. Per gli edifici sia pubblici che privati ci proponiamo di effettuare interventi sulle leve dell’illuminazione, della ventilazione, del riscaldamento e dell’isolamento. Per quanto riguarda la comunicazione con i clienti stiamo installando un oggettino pilota, che inserito nella presa elettrica comunica automaticamente con il contatore per poi collegarsi ad un computer o creare una rete di automazione all’interno di alcuni protocolli in modo da realizzare la gestione dei carichi ottimale individuata dalla domotica. Abbiamo degli accordi con i produttori di elettrodomestici Indesit ed Electrolux per un progetto pilota che porti allo scambio di segnali con il contatore elettronico. Come disse Steven Chu, che ci ha invitato a presentare le nostre reti alla Gridwise Alliance negli USA, i nostri clienti dovrebbero avere idealmente tre pulsanti in casa: uno verde per risparmiare tanto, uno per risparmiare mediamente e uno per non risparmiare.

Nel 2010 stanno partendo i progetti pilota sulle Smart Grids e sulle Smart Cities, per i quali già collaboriamo a livello europeo con Endesa in Spagna e in altri Paesi. Il nostro percorso strategico vorremmo ci portasse ad un full roll-out delle Smart Grids nel 2020 e ad avere presto delle importanti Smart Cities in Italia con cui collaborare a pieno. Come distributore infatti noi individuiamo la nostra missione come un servizio al cliente, ma anche come un servizio al Sistema Paese.

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Interventi 21

Maria Cristina Farioli Business and Innovation Development Director - IBM Italia

SMARTER CITY UN ANNO DOPO: I PERCORSI DI

TRASFORMAZIONE PER DIVENTARE UNA "CITTÀ

INTELLIGENTE" el tempo ristretto di un intervento diventa difficile sintetizzare una teoria sulle smarter city, quindi con il nostro team abbiamo pensato di condividere qualcosa di pratico e concreto che fa

parte della nostra esperienza. Abbiamo pensato di condividere con voi una sorta di diario di bordo, anche perché oggi il dibattito sulle città è più che aperto e tutti ne parlano.

N

Mi preme ricordare che nel gennaio 2009 IBM ha iniziato a parlare di Smarter Planet e Smarter Cities, definizione che noi in Italia abbiamo declinato in Smarter Town considerando che il connotato italiano è costituito principalmente da città piccole e medie. Per noi parlare di città più intelligente vuol dire parlare di una città che prima di tutto è in grado di ascoltare e raccogliere informazioni attraverso un sistema di sensori, dai più innovativi che percepiscono le caratteristiche dell’ambiente ai più tradizionali. Il valore di questi sensori, che ascoltano il pulsare di una città, viene messo a frutto nella misura in cui noi siamo in grado di interconnettere tutte le informazioni, di farle interagire attraverso la rete e poi portarle a quello che noi chiamiamo un “motore di intelligenza”. Il motore di intelligenza trova il suo punto centrale nell’Amministrazione locale, laddove si esprimono il governo e la pianificazione di un sistema urbano. Essere un motore di intelligenza vuol dire raccogliere queste informazioni e integrarle attraverso sistemi di analisi dei dati e sistemi di governance. Capite bene che ad esempio le videocamere di sorveglianza ci permettono di avere un quadro più completo ed integrato di un'area o di un contesto della città, nella misura in cui siamo in grado di raccogliere dati ed integrarli con altri.

Dico questo solo per ricordare quella che è la visione di città da parte di IBM. Noi diciamo “più intelligenti” perché l’intelligenza nella città già c’è, il “più” è dato dalla capacità di interconnettere e integrare dati ed informazioni distribuite per meglio comprendere i contesti urbani e rispondere con maggiore qualità e valore nei servizi. Il nostro diario di bordo dice che abbiamo 18 mesi di esperienza e abbiamo percorso 124.090 chilometri attraverso l’Italia per portare concretamente questa visione nelle città. Abbiamo molti fatti ed esperienze da condividere. Abbiamo toccato 47 città italiane (di cui 20 Capoluoghi di Provincia), lavorato con un consorzio di 23 Comuni, sviluppato un accordo con Confindustria per una città di lago, sottoscritto 7 protocolli strategici, realizzato 3 piloti, fatto un roadshow per sette città, costituito 3 comitati di innovazione sul territorio, avviato 10 progetti, stretto tanti e svariati contatti con chi opera sul territorio. La città è un insieme di componenti tra cui l’Amministrazione gioca un ruolo centrale, ma è importante ascoltare le Università, le Associazioni di categoria, gli Istituti legati ai beni culturali, i Centri di ricerca e molti altri.

Io non vi voglio raccontare delle centinaia di città nel mondo che oggi stanno diventando smarter con noi, ma vi voglio ricordare le città italiane che stanno facendo questo percorso: Parma 2.0, la città sensibile; Reggio Emilia, la città dell’educazione; Venezia con il sistema di fruizione della laguna Tag my Lagoon; Bolzano, la città del benessere; Nettuno e Salerno, le città accessibili; e Pisa, la città sorgente. Come vedete la città più intelligente è un modello, un’aspirazione, una visione che poi arriva ad interpretare la vocazione caratteristica di un territorio.

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Insieme a queste città abbiamo imparato e capito nuove cose, che ci servono ad essere sempre più pratici e a rispondere meglio alle esigenze delle nostre città e dei nostri clienti. Abbiamo capito in primis che la città è un sistema che per la sua trasformazione richiede un movimento corale. Non si può trasformare una città se non si opera coralmente: pubblico e privato, associazioni e istituzioni. Il Comune è al centro come elemento catalizzatore che guida questo movimento. La città richiede assolutamente un sistema di governo capace di gestirne la complessità, perché è chiaro che se così la interpretiamo, le variabili da gestire sono parecchie. Non va tuttavia dimenticato che il cittadino è l’elemento primo e ultimo di questo processo. Egli vuole utilizzare al meglio tutte le opportunità che il sistema urbano in cui vive può offrirgli. In questo contesto la banda larga è necessaria, ma non è sufficiente. Coprire una città con la banda larga se non si sa quali sono i servizi a valore da dare ai cittadini ha poco senso. Così pure la tecnologia è fondamentale, ma nella misura in cui è finalizzata a rispondere ad un modello di città preciso. Un altro tema importante che tutte le Amministrazioni si trovano a dover affrontare è quello di far convivere il quotidiano – ciò che deve essere dato a breve – con la prospettiva di una città che deve evolversi nel futuro. Ormai noi siamo un’arena globale dove la gente si concentra laddove c’è maggior attrattività e benessere. Bisogna saper valorizzare le iniziative già in corso nelle città. Non è vero che le città italiane siano arretrate rispetto ad altre città europee, da noi si sta facendo parecchio, in tal senso abbiamo incontrato Amministrazioni illuminate e dunque un passaggio importante è quello di riuscire a mettere a fattor comune le iniziative partite, ma poi fermatesi per non essere state sufficientemente condivise. Saper valorizzare quello che c’è già è dunque un altro impegno importante che noi vogliamo affrontare.

In questo percorso abbiamo compreso che il punto fondamentale è quello di avere un approccio strategico condiviso con una precisa focalizzazione su quelle che sono le competenze peculiari di una città. Il nostro approccio parte dunque dall’identificazione di quali siano le aree chiave su cui focalizzarsi, quali le attività e i settori che qualificano e danno unicità alla città. Su questi definiamo il modello strategico e il percorso cercando anche di capire che cosa manca. Su ciò che manca poi cerchiamo di innescare un sistema di integrazione, di alleanze sul territorio e di coinvolgimento di altri attori locali e internazionali. A noi piace parlare di vocazione, ovvero della specifica abilità che la città riesce ad esprimere coinvolgendo trasversalmente più attori. Questa è la leva su cui si può andare a costruire una città più intelligente.

Quindi se volessimo ricercare, di una città più intelligente, l'elemento di unicità, questo deve esprimere gli elementi di attrattività della città in modo che possa competere in un'arena ormai divenuta globale. Diverse sono le caratteristiche che possono essere declinate di una città. Una città può essere definita "colta": il patrimonio culturale italiano è il 42% di quello mondiale, ma ne fruiamo soltanto il 5%. Le città italiane devono primariamente seguire questa loro vocazione. La città più intelligente deve essere anche vitale e aperta per accogliere giovani, talenti e creatività. Deve essere produttiva, perché deve poter attrarre imprese locali e internazionali, deve essere sostenibile e accessibile nel pieno rispetto delle fasce più deboli. Una città accessibile è una città in grado di rispondere con le proprie modalità di servizio a quelle che sono le caratteristiche di chi vi accede: uno studente, un turista, una persona di business, un residenziale, ecc. Infine una città più intelligente deve essere basata su una governance efficace.

In questi diciotto mesi abbiamo compreso alcune cose, ma abbiamo essenzialmente capito che il modello di città deve potersi evolvere ascoltando le esigenze espresse dai cittadini, aziende e tutto il territorio. Nei prossimi mesi dunque la nostra città si declinerà maggiormente su alcuni aspetti particolari. Il primo è il tema dell’attrattività, perché nel momento in cui una città è attrattiva diventa vitale, capace di attrarre talenti e produrre PIL per l’economia italiana. Il secondo aspetto è quello della sostenibilità, un concetto molto ampio che non riguarda solo acqua, luce e gas e l'ambiente in genere, ma anche la capacità di una città di sostenere con i propri servizi ed infrastrutture i diversi flussi di turisti e popolazione che l'attraversano. Sul tema della sostenibilità ambientale mi preme però ricordare la questione dell’acqua, intesa non solo come elemento che

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viene distribuito nelle case dei cittadini, ma anche come efficienza del sistema fognario, perché il 50% delle perdite d’acqua vengono da sistemi fognari non correttamente manutenuti. Molte delle nostre città sono città d’acqua vicine a fiumi e laghi, i quali rappresentano delle fonti alternative da sfruttare e valorizzare sul territorio. Altro aspetto che distinguerà il nostro agire è che noi già sappiamo che sedendoci al tavolo con un’Amministrazione molto spesso ci sentiamo dire che è tutto molto bello, ma non ci sono i soldi per realizzarlo. La nostra sfida è dunque quella di sviluppare un modello economico e finanziario in grado di dimostrare come una città possa investire in innovazione ammortizzando i costi in breve tempo. Ciò si realizza abbattendo alcuni costi interni di processo, sviluppando fonti alternative per portare soldi alla città (soprattutto andando incontro a modelli di tipo federalista), ma soprattutto lavorando sul campo delle frodi e delle elusioni. Un corretto bilanciamento di queste voci può permettere alla città di liberare risorse e investire in innovazione. Un ultimo aspetto che non vogliamo dimenticare è quello della globalità: le città che oggi si stanno muovendo con noi vengono collocate in un network globale anche attraverso attività di partenariato che ci servono per mettere in gemellaggio città italiane e europee in modo da raccogliere i fondi importanti dati dalla Comunità Europea. Questi sono gli attributi ulteriori sui quali si lavorerà insieme alle nostre città più intelligenti.

Dopo questo appuntamento a FORUM PA avvieremo una comunità di città tra quelle che vi ho elencato prima e quelle che sono pronte ad accogliere la nostra proposizione. Creeremo anche un sistema per condividere le esperienze, perché le città hanno bisogno di confrontarsi e anche di mettere in comune quello che hanno già. Promuoveremo anche alcuni servizi innovativi in abbonamento, perché non sempre è indispensabile avere il consulente di una società seduto vicino: in alcuni casi si può anche fruire attraverso il web un servizio semplice, importante ed efficace. Oggi lanceremo ACT, un servizio per identificare i luoghi accessibili di una città. Con ACT i disabili motori che entreranno in una città potranno, attraverso un sistema di georeferenziazione, avere in evidenza sul proprio palmare quali sono i luoghi accessibili, da una banca ad un cinema. Per riuscire ad andare incontro alle esigenze delle città più piccole è previsto anche un accordo con un Partner strategico.

Siamo pronti inoltre ad un altro grande annuncio: il modello Smarter Region. Le Regioni infatti stanno giocando e sempre più giocheranno una partita particolarmente importante sul territorio.

Concludo dicendo che entrare in questo percorso è come fare un viaggio, e il viaggio è qualcosa di sistematico: la direzione deve essere chiara, ma la strategia non basta. Per finire quindi concedetemi solo tre frasi in inglese, in italiano rischiano di apparire troppo auliche, mentre l’inglese ne mantiene la forza, esse esprimono tre regole importanti per intraprendere il “viaggio”:

1. Assemble the team;

2. Think revolution, not evolution

3. Target all, not just one.

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TAVOLA ROTONDA: QUALI MODELLI PER LO SVILUPPO

DELLA CITTÀ FUTURA

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Tavola rotonda: Quali modelli per lo sviluppo della città futura 27

Roberto Reggi Sindaco di Piacenza e Delegato alle Infrastrutture ANCI

PIACENZA: UNA SMART CITY IMPERNIATA SUL

COINVOLGIMENTO DEI CITTADINI oi amministratori locali abbiamo ben chiaro che per governare lo sviluppo delle nostre città dobbiamo curare diversi aspetti: la mobilità, l’ambiente, la trasformazione urbana, l’economia

delle conoscenze, la cultura e il turismo. Questi sono i settori che più di altri danno una prospettiva di futuro alle città.

N

Quando immaginiamo una città smart possiamo provare a pensarla come una famiglia che consuma luce, benzina, gas, acqua e produce rifiuti. Partendo dai consumi è possibile darsi degli obiettivi chiari, misurabili e monitorabili coinvolgendo nel percorso i cittadini. Ho voluto inserire nelle slide l’immagine di Napoleone crucciato proprio perché il successo delle politiche smart è dato dal coinvolgimento dei cittadini, non ci può essere un dittatore che decide per tutti.

Il Piano Energetico Comunale è un punto di partenza fondamentale per tutte le Amministrazioni. Il Piano parte dall’analisi di quanto la città consuma in gas naturale, energia elettrica e prodotti petroliferi; un’analisi ripartita nei diversi settori per individuare quanto consumano la residenza, l’industria, il terziario, l’agricoltura e i trasporti. Parallelamente bisogna analizzare quante emissioni di CO2 producono i singoli settori. Facendo una chiara analisi di questo tipo abbiamo la possibilità di capire dove le nostre azioni si devono concentrare. In prima approssimazione infatti una Smart City è una città che decide di abbattere drasticamente le emissioni di CO2 per raggiungere degli obiettivi condivisi a livello europeo e mondiale.

Partiamo dai consumi perché il tema aiuta a fare tutte le altre considerazioni. A Piacenza per esempio ci siamo dati l’obiettivo di ridurre di 212mila tonnellate annue il valore di CO2, che in assenza di politiche dedicate era invece destinato a crescere con un 2,3% annuo. Abbiamo stabilito questo obiettivo perché abbiniamo la qualità della vita a un ambiente più sano, a un inquinamento più basso e a una mobilità più sostenibile. Per arrivare all’obiettivo di riduzione dei consumi e delle emissioni si può passare solo attraverso il coinvolgimento dei comportamenti virtuosi dei cittadini. In questo senso, come ha detto chi mi ha preceduto, si può innovare la distribuzione urbana delle merci giocando un ruolo non solo locale ma anche nazionale. Piacenza ad esempio è al centro di un nodo logistico strategico e sta lavorando per incrementare il trasporto su ferro rispetto a quello su gomma. Noi stiamo potenziando fortemente il trasporto su ferro attraverso un polo logistico di due milioni di metri quadri. Stiamo potenziando anche i trasporti collettivi, facendo ad esempio la scelta di far viaggiare gratis gli ultra sessantacinquenni, che solitamente viaggiano nelle ore di morbida in cui non si spostano gli studenti ma gli autobus viaggiano lo stesso. Abbiamo investito anche molto sulle piste ciclabili in sicurezza e sulle zone a traffico limitato per favorire la pedonalità.

Anche tutto quello che abbiamo fatto all’interno dello sviluppo delle energie rinnovabili va nella direzione di ridurre drasticamente i nostri consumi. Nella stessa prospettiva abbiamo condotto un’azione molto forte per la riduzione dei rifiuti alla fonte, ma anche per lo sviluppo della raccolta differenziata abbinandovi un incenerimento efficiente dei rifiuti che consente di generare energia elettrica, oltre che alimentare una rete di teleriscaldamento urbana che va progressivamente a sostituire tutte le fonti di riscaldamento domestico. A questo abbiamo abbinato la riduzione dei consumi di acqua attraverso delle azioni tariffarie che rendono evidente quanto sia prezioso questo bene. Allo stesso scopo abbiamo lavorato sugli acquedotti per ridurne le perdite. Poi abbiamo

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28 Smart city – Progetti e tecnologie per città più intelligenti

ampliato le reti ecologiche, ingrandito il verde urbano e predisposto sistemi di protezione dal rumore. Vi faccio questi esempi per mostrare come una programmazione che abbia per obiettivo lo sviluppo smart di una città debba tenere insieme tantissime iniziative.

Nella trasformazione urbana questo approccio si declina preferendo il recupero del patrimonio esistente all’utilizzo di nuovo suolo per le abitazioni. All’interno dello stesso settore si lavora per potenziare le Smart Grid e per aggiornare continuamente le normative locali in modo da introdurre le pratiche di risparmio energetico anche sul patrimonio esistente. Il tutto si inserisce all’interno di una cornice di pianificazione strategica che deve coinvolgere tutti gli enti territoriali, siano essi istituzioni pubbliche che private. Un altro obiettivo, che non è stato ancora toccato, ma che credo rappresenti il cuore delle nostre comunità, è la coesione sociale, ovvero ciò che rende una comunità davvero degna di essere vissuta. L’inclusione sociale e il welfare sono dunque temi che devono rimanere nell’attenzione anche degli sviluppi tecnologici più avanzati. Le tecnologie devono essere al servizio del miglioramento dell’inclusione sociale e dei servizi di welfare.

Per quanto riguarda l’economia della conoscenza, altro settore su cui le città devono investire per essere smart, si parte dai tecnopoli e dai centri di ricerca, che devono essere sviluppati e si devono legare allo sviluppo aziendale. Attrarre aziende e sviluppare le imprese esistenti vuol dire investire in università e ricerca in modo da attrarre giovani che possano rappresentare risorse umane pregiate. Insieme a questo è fondamentale la comunicazione urbana. La comunicazione delle Amministrazioni verso i cittadini è cruciale perché tutto ciò di cui ho parlato si può fare solo attraverso la loro partecipazione intensa. Non possiamo pensare di realizzare una città più smart attraverso le direttive che arrivano dal centro. Partendo dai bambini, che sono i principali alleati degli amministratori (soprattutto per quanto riguarda la mobilità sostenibile), occorre coinvolgere tutti i cittadini.

La governance smart dunque, per sintetizzare, si fa attraverso analisi accurate, obiettivi definiti, progetti chiari, azioni supportate da un programma finanziario certo, verifiche intermedie dei risultati, ridefinizione delle azioni e divulgazione finale dei risultati.

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Tavola rotonda: Quali modelli per lo sviluppo della città futura 29

Wladimiro Boccali Sindaco di Perugia

PERUGIA, ARTE, CULTURA E FORMAZIONE: ANALISI DELLA

VOCAZIONE PER UNA CITTÀ PIÙ INTELLIGENTE i ringrazio per l’invito a questo interessante confronto e parto dalla domanda posta dal Presidente Mochi Sismondi, ovvero se in questo momento di crisi è giusto, opportuno e utile

pensare a città intelligenti. La domanda è volutamente retorica, anche io credo che sia una scelta addirittura obbligatoria, ma la voglio riprendere perché mi consente di fare una considerazione di partenza: molti dei temi di cui stiamo parlando oggi erano fuori dal dibattito pubblico ancora alla fine del secolo scorso. I temi della sensibilità ambientale, della sostenibilità, dello smaltimento dei rifiuti, del risparmio energetico e molte delle cose di cui discutiamo oggi venivano qualche decennio fa affrontati in tutt’altro modo, il che ha portato evidentemente a delle città con alcune difficoltà. Mi riferisco in primis alla pianificazione territoriale. Molti Piani Regolatori furono fatti tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60, anni di furore economico e industrialismo sfrenato in cui il consumo del territorio era quasi un valore positivo. Io ho ereditato una città che ha approvato un Piano Regolatore nella scorsa Consiliatura; il precedente – approvato nei primi anni ’60 – si riferiva ad una Perugia che prevedeva 300mila abitanti, mentre oggi, pur crescendo sempre da allora, siamo a 162mila. Per trenta/quarant’anni ci siamo sviluppati con quelle idee di consumo del territorio, di edificazione e di aree industriali piccole. In quegli anni l’idea era quella di non abbandonare le campagne e quindi venivano previsti un indice edificatorio intenso e piccole aree artigianali e industriali vicino ai paesi: tutte cose che approvando il nuovo Piano Regolatore nel 2002 abbiamo abbandonato. La pianificazione territoriale di una città intelligente oggi non può non andare verso la riduzione del consumo di territorio, non può non andare verso la città compatta, non può non andare verso la riconversione ed il riuso dell’intero patrimonio edilizio. Molto del nostro patrimonio in Italia è stato costruito – come diceva il Professor Villa – pensando prima all’espansione residenziale, industriale e direzionale e solo in un secondo momento ai servizi. In un periodo di difficoltà economica come quello che abbiamo cominciato a vivere non è semplicissimo pensare a progetti di riuso, ma è proprio in questo contesto che si situa il ragionamento sulle nuove identità. Il tema centrale è che le nostre città debbono ridarsi identità nuove, esprimendo – come è stato detto – delle vocazioni prevalenti. Se penso alla mia città non posso che partire dal patrimonio culturale, artistico e di alta formazione che essa possiede. Una città di 162mila abitanti con 4 Istituti di Alta Formazione (Università Italiana, Università per Stranieri, Conservatorio e Accademia di Belle Arti) non posso che pensarla come una città il cui primo patrimonio è quello ambientale, artistico e culturale. Perugia insieme ad Assisi ha deciso dunque di intraprendere il percorso di candidatura per Capitale Europea della Cultura nel 2019 con la speranza di vincere, ma soprattutto di fare un cammino che si inserisca dentro a molti degli scenari che sono stati profilati oggi.

V

Il rapporto pubblico/privato deve essere protagonista nella realizzazione dei nostri interventi all’interno del più ampio interesse generale. L’intervento urbanistico e la riqualificazione urbana si inseriscono quindi dentro la necessità di costruire una città più accogliente. Noi non pensiamo mai all’intervento privato senza considerarne l’impatto urbanistico e i costi sociali ed evitiamo le aree monofunzionali. In questo senso abbiamo avuto esperienze positive di aree nelle quali sono state svolte operazioni di riqualificazione e completamento in rapporto con il privato. Così come, ereditando una tradizione ormai decennale della città di Perugia, abbiamo sviluppato il sistema di parcheggio a corona e di scale mobili per l’accesso al centro storico. La regolazione della mobilità

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30 Smart city – Progetti e tecnologie per città più intelligenti

all’interno del centro storico parte dalla riduzione del traffico privato, non diminuendo la fruibilità bensì aumentandola. Nell’ultimo decennio è stata poi portata a termine la realizzazione del cosiddetto Minimetrò, un impianto innovativo in Italia basato sui sistemi di mobilità utilizzati in montagna che collega l’area a valle della città con il centro storico. Il progetto Minimetrò ci ha portato ad essere ospiti del Padiglione Italia a Shanghai ed è un punto di riferimento importante per le città italiane ed europee sia per l’innovazione che rappresenta che per la progettazione architettonica di Jean Nouvel.

Per la prima volta dopo tanti anni ci siamo poi dotati di un Piano Energetico Comunale che ci dà degli obiettivi precisi e verificabili. Il Piano punta alla produzione di energie alternative non in modo residuale ma con una scelta vera anche di qualificazione del nostro patrimonio edilizio.

Riguardo ai rifiuti, tra gli anni ’60 e ’70 le discariche venivano collocate nelle più belle zone dal punto di vista paesaggistico e ambientale. Ora dobbiamo gestire la riconversione secondo la nostra nuova impostazione culturale.

Tutte le cose di cui parliamo non possono però essere fatte se non c’è un larghissimo coinvolgimento della cittadinanza. Il risparmio dell’acqua, la minore produzione di rifiuti, l’attenzione al riciclaggio, l’utilizzo del mezzo pubblico, sono tutti elementi che devono caratterizzare questo cambiamento culturale. Basta accendere la televisione o aprire un giornale per vedere che una grandissima parte dei messaggi pubblicitari sono fatti da pubblicità di automobili. Prima si fa di tutto per convincere i cittadini a spendere una barca di soldi per comprare l’auto e poi si dice loro di non guidarla. Se non c’è un’azione politica e culturale forte che chiama a raccolta tutta la società rischiamo di perdere questa battaglia.

L’ultima questione è quella delle risorse. Si dice che dobbiamo pensare ad interventi a costo zero, ma costruire mobilità alternative, gestire meglio il trasporto pubblico e migliorare la qualità urbana non può essere fatto con la riduzione dei trasferimenti e l’assenza di autonomia finanziaria. In un momento che dovrebbe essere il più federalista della storia repubblicana, i Comuni non sono stati trattati bene né dal centro-sinistra né dal centro-destra. Adesso si sta discutendo del federalismo demaniale, ma quello che si sta tentando di far passare è che le strutture produttive rimangano lì, mentre gli edifici che sono solo ammassi di mattoni vadano ai Comuni. Avendo poche risorse, se ne vogliamo liberare un po’ bisogna lasciare ai Comuni un po’ di flessibilità. Noi siamo una delle città che più ha realizzato interventi tramite il project financing, ma per farli ci vuole una fatica enorme tra leggi e procedure. Quindi questo sistema di sovrapposizioni normative e di continuo intervento di Enti vari è un limite, perché se per fare un project financing ci metto sei anni il mio partner privato sarà già scappato via. Se il privato mi presenta un progetto nel 2000 con il prezzario di quell’anno e io glielo faccio fare con quei prezzi nel 2007 c’è qualcosa che non funziona. Adesso non voglio entrare in queste questioni, ma se non c’è l’autonomia dei Comuni, se non si evita che il federalismo diventi un neo-regionalismo, se non ci sono le risorse e se non c’è la necessaria chiarezza normativa nel rapporto pubblico/privato difficilmente gli schemi che sono stati presentati porteranno a costruire città più intelligenti.

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Tavola rotonda: Quali modelli per lo sviluppo della città futura 31

Alessio Chiavetta Sindaco di Nettuno

NETTUNO, LA CITTÀ ACCESSIBILE ue anni fa, quando sono diventato Sindaco, la città di Nettuno veniva da un’esperienza particolare in quanto era stata commissariata per infiltrazioni mafiose. Per uscire da questa

difficoltà, che si andava ad assommare alla crisi del sistema economico mondiale, l’unica via è stata quella di fare sistema con il privato. In quel momento riprendersi il futuro è stata la mission di tutti i cittadini: pertanto abbiamo iniziato a mettere a disposizione della città tutte le risorse possibili per creare sinergie tali (soprattutto con aziende di livello nazionale) da portare risultati positivi per la nostra città. Ciò ha significato guardare ad una Smart Town a 360° che andasse a toccare più settori.

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Si è parlato qui di efficienza energetica: noi crediamo che il Comune nel suo piccolo possa fare delle azioni importanti per creare delle buone pratiche in questo settore. Noi abbiamo investito molto sia sul pubblico che sul privato per quanto riguarda il fotovoltaico: abbiamo fatto una serie di progetti insieme ad Enel sugli edifici pubblici, soprattutto sulle scuole e sulle palestre, per arrivare all’autosufficienza energetica; in questo modo diamo il buon esempio ai privati, che possono usufruire dei progetti che noi abbiamo elaborato. Abbiamo aderito ad esempio al progetto Spicchio di sole per creare centrali fotovoltaiche le cui quote vengono acquistate dai cittadini: il Comune si è fatto promotore di tale iniziativa per dare la possibilità ai cittadini di entrare in questo circuito nell’ottica della sostenibilità ambientale. Riguardo all’illuminazione pubblica abbiamo approvato una serie di progetti sull’utilizzo dei LED, anche per le luci votive del cimitero.

Con Telecom abbiamo avviato una sinergia all’interno del progetto Smart Town per una centralizzazione del controllo dei pali della pubblica illuminazione. Su quei pali è installata una centrale wireless che, oltre a dare segnali sul funzionamento dell’impianto alla Centrale Operativa in Comune, offre anche a tutti i cittadini l’accesso ad internet tramite smartphone o computer portatili. Questo progetto si inserisce nel più ampio tema dell’accessibilità, un altro campo sul quale stiamo puntando moltissimo perché crediamo che oggi la piena accessibilità sia alla base della sfida globale. Grazie alla Provincia di Roma abbiamo oggi due hot spot, ma presto ne verranno messi a disposizione degli altri. Contemporaneamente stiamo creando una rete wireless per la periferia, perché abbiamo ereditato una città in cui tutta la zona periferica andava ancora a 56K.

Il discorso dell’accessibilità è per noi fondamentale anche dal punto di vista dei servizi. Abbiamo riorganizzato la rete informativa comunale e abbiamo potenziato il sito comunale per farne un portale per i cittadini: un cittadino che non può venire a fare un semplice certificato nei giorni di apertura degli uffici oggi ha a disposizione un portale che gli permette di avere alcuni certificati in tempo reale potendoli stampare direttamente a casa con il timbro dell’Ufficiale dello Stato Civile.

Nettuno sta puntando moltissimo sul turismo. Non avendo industrie e non avendo risorse naturali la cosa più logica è rivolgersi al turismo: siamo una città di mare, ospitiamo degli eventi molto importanti (come i Mondiali di baseball dello scorso anno), ma vogliamo aprirci sempre più alle altre culture. Stiamo lavorando ad un progetto sui QR Code per quanto riguarda i nostri monumenti e i siti archeologici e culturali: leggendo i codici con il telefonino ci si potrà collegare ad una presentazione dei siti stessi. Il portale realizzato con le città gemellate ci permetterà anche di aprirci ad una rete europea di contatti.

In questi giorni sta fiorendo la nostra piccola gemma, ovvero il progetto ACT (Accessibility City Tag)

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creato con IBM. Il progetto è partito dal nostro Ufficio Disabilità e prevede la facilitazione dell’accesso delle persone diversamente abili agli uffici pubblici e agli esercizi commerciali. Quelli che sono piccoli ostacoli per le persone normodotate possono rappresentare, infatti, enormi barriere per i diversamente abili, e questo progetto viene loro incontro. L’obiettivo è quello di creare una rete di informazioni per l’accessibilità ai siti che rappresenti anche una sfida per chi queste informazioni non le dà e si deve invece mettere a passo con i tempi. Io ringrazio IBM di aver scelto Nettuno per questo progetto innovativo, che per noi rappresenta il futuro: il grado di apertura di una città si misura, infatti, dalla sua capacità di essere accessibile, e una città di mare come Nettuno è per vocazione orientata verso questo obiettivo.

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Filippo Bernocchi Assessore ai Rapporti Istituzionali e alle Grandi Opere del Comune di Prato e Delegato ANCI per i Rifiuti e le Politiche Energetiche

COMUNI: LE CONDIZIONI ABILITANTI PER POTER ESSERE SMARTER

nche noi siamo una giovane Amministrazione insediatasi nel giugno 2009. Prato è una città importante a livello europeo nel settore tessile, la nostra è un’industria a bassa tecnologia e

dunque abbiamo subito più di altre città la crisi economica. Negli ultimi sei mesi abbiamo avuto un incremento della cassa integrazione del 370%, quindi – per rispondere alla domanda del Presidente Mochi Sismondi – noi qualcosa dobbiamo fare per forza, altrimenti abdicheremmo alla funzione per la quale siamo stati chiamati ad amministrare la nostra città. Noi cerchiamo di fare di necessità virtù, anche perché abbiamo anche una città nella città: abbiamo uno dei più alti tassi di immigrazione illegale in Italia (circa 50mila immigrati illegali). Attraverso accordi con il Governo cinese (l’Ambasciatore cinese è venuto a Prato già due volte) stiamo cercando di regolarizzare questa immigrazione clandestina, che frutta circa un miliardo di euro l’anno che finiscono in Cina, e stiamo lavorando per attrarre investimenti dalla Cina verso il nostro territorio. Intendiamo in questo modo trasformare una situazione grave in un’opportunità con un approccio pragmatico e per nulla ideologico.

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Parallelamente stiamo cercando di tornare a quello che era il nostro core business: noi produciamo da tempo un tipo di tessuto che si chiama cardato rigenerato che deriva dal riciclo dei tessuti buttati. In un certo momento si è pensato di diversificare molto la produzione, mentre adesso stiamo tornando al cardato rigenerato cercando di mantenere la filiera produttiva del nostro sistema, per una produzione che ci sembra debba essere incentivata sia dalla normativa nazionale che da quella europea. Con il cardato rigenerato infatti si abbattono le emissioni di CO2, si risparmia fibra, si risparmiano coloranti e si realizza un buon prodotto. Il cardato rigenerato veniva già fatto a Prato ai primi del ‘900, poi era diventato un prodotto basico non più conveniente, ma ora stiamo tornando a produrlo anche perché risponde alle nuove tendenze di politiche ambientali.

Nei convegni come questo di oggi si parte sempre da un’introduzione di Professori universitari che dicono quello che le Amministrazioni dovrebbero fare e poi si arriva ai Sindaci, che spesso dimostrano che quelle cose le hanno già fatte. Noi siamo più avanti di quanto ci si potrebbe immaginare perché siamo legati ad un dato territoriale che ci impone delle risposte concrete in termini rapidi. Ci sono però due problemi che non sono stati ancora evidenziati, ma che devono essere approfonditi. Si è parlato, in un intervento del primo panel, di una città che deve essere motore intelligente; questo è vero fino ad un certo punto, non perché le città non siano intelligenti ma perché il quadro normativo non va in questa direzione. Quello sui rifiuti potrebbe essere uno degli interventi intelligenti a costo zero, perché da problema potrebbero diventare risorsa di recupero energetico, ma davvero i Comuni sono messi nelle condizioni di governare questi processi? I processi dipendono dal Piano regionale e dall’Autorizzazione provinciale per la collocazione degli impianti. Io posso immaginare qualsiasi processo all’interno del mio territorio comunale, ma se non ho un quadro di norme chiare condiviso con gli altri livelli istituzionali posso fare ben poco. In questo caso il quadro normativo non è assolutamente chiaro perché i Comuni esercitavano le loro funzioni attraverso gli ATO, che ora sono stati cancellati, e non sappiamo ancora se avremo queste funzioni o meno.

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Anche riguardo all’energia i livelli istituzionali autorizzativi sono diversi rispetto a quello del Comune. La capacità di autodeterminazione dell’Amministrazione Comunale in realtà è molto limitata. Riguardo alla mobilità ci sono interventi comunali coraggiosi per limitare il traffico cittadino, ma la politica industriale nazionale va in direzione opposta e il trasporto ferroviario di merci in Italia è il più basso d’Europa.

Dovendo le città prendere decisioni smart e veloci, io credo che esse siano già un passo avanti, ma necessitano di un quadro normativo più certo. Si dovrebbe evitare il neocentralismo regionale verso cui mi sembra che però si stia andando. Bisognerebbe anche poter disporre di mezzi, perché sono molti gli interventi a costo zero che le Amministrazioni possono portare avanti, però non con un project financing che richiede sei anni, perché dopo sei anni – come ha appena detto il sindaco di Perugia – la risposta non è più attuale rispetto all’esigenza che l’ha provocata. Sotto questo aspetto bisognerebbe ottenere un quadro di norme semplificato che ci consenta di intervenire davvero in quei settori nei quali i progetti possono essere a costo zero. In Italia ci sono 8 milioni di punti luce che hanno più di quarant’anni, si tratta di un mercato enorme, le aziende leader in questo settore sono italiane per cui l’industria italiana si gioverebbe di un intervento in quest’ambito, ma ci sono tante questioni legate al Patto di Stabilità e alla capacità di fare investimenti da parte dei Comuni che rendono difficile procedere.

Io concludo dunque dicendo che le città sono obbligate ad essere smart e per questo molte già lo sono, necessitano però di un quadro di relazioni istituzionali e di un quadro normativo più chiari e che riportino il centro decisionale all’interno dei Municipi.

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Michele Vianello Direttore Generale di VEGA - Parco Scientifico Tecnologico di Venezia

LA CITTÀ DELLE CONOSCENZE CONDIVISE evo dire che sono poco convinto di alcuni aspetti di questa discussione. La definizione di Smart City di questa mattina è quella di un luogo pieno di virtù, ma francamente non mi sembra

distaccarsi molto da un programma elettorale. William J. Mitchell è un eminente Docente del MIT che ha studiato molto intorno al concetto di Smart City e dice che le nostre città si stanno velocemente trasformando in ecosistemi composti da organismi artificiali tra di loro interconnessi.

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Ascoltando l’intervento del Dott. Gallo di Enel, che ho apprezzato molto, uno come me – che ha fatto per tanto tempo l’amministratore e oggi pensa alle integrazioni – si chiede perché tutta quella straordinaria mappa di ciò che c’è sottoterra non dialoghi mai con la mappa in rete del Comune dove vengono riportati tutti i tubi e i cavi. E perché Telecom non ci aggiunge anche la sua mappatura in maniera da fare la pianificazione del sottosuolo? In questo modo si profilerebbe una città smart, ovvero una città dove le nostre conoscenze vengono condivise, una città dove ognuno ritiene che ciò che conosce non è solo suo, ma può essere messo a disposizione degli altri.

Quella conoscenza che da sola vale cinque, se viene messa in connessione con altri arriva a valere centocinquanta. Le connessioni che dialogano fra di loro generano valore, e fare questo significa costruire una Smart City. Ma se non c’è rete, se non c’è banda larga è complicato che tutti questi elementi dialoghino fra di loro. Nessuno di quelli che sono intervenuti finora ha detto che una delle condizioni fondamentali per far dialogare i cittadini con l’amministrazione e le amministrazioni fra di loro è quella di avere banda larga. Se non c’è banda larga diventa impossibile fare certe operazioni. Non è che se metti cinque hot spot puoi dire di aver fatto la Smart City.

Non dico queste cose per rompere l’anima al prossimo, ma siccome io a queste cose ci credo e con gli amici di IBM ne abbiamo chiacchierato a lungo, mi piace mettere i piedi nel piatto anche a costo di risultare sgradevole. Probabilmente nelle città bisognerebbe lavorare per creare una figura che potremmo chiamare “il manager della condivisione”. Dovrebbe esistere un luogo – ad esempio un Parco Scientifico e Tecnologico – che le Pubbliche Amministrazioni ritengano essere uno spazio dove si aiuti a condividere, dove si aiuti a mettere insieme, dove si aiuti a legare le conoscenze fra di loro.

La prima parte di questa tavola rotonda ha posto il tema della sostenibilità; i combustibili alternativi e le macchine elettriche vanno benissimo, ma se noi non spostiamo un po’ della nostra vita materiale nell’immateriale la questione della sostenibilità non riusciremo mai a risolverla. Faccio un esempio classico: la stragrande maggioranza della mobilità nelle città è condizionata dal fatto che tutti vanno a lavorare alla stessa ora e negli stessi luoghi. Ma questo non è assolutamente necessario. Se la conoscenza sta nel cloud computing, e un ente locale decide di investire su questo, non diventa più obbligatorio che tutti si inizi a lavorare alle otto e si finisca alle due. Allora si inizia a profilare una roba che si chiama nomadic work. Esistono luoghi di co-working, esistono luoghi dove si può lavorare indipendentemente dal fatto di andare in centro città tutti insieme in quella determinata ora intasando il traffico.

Fare questo non è impossibile e non servono leggi: basta cambiare un po’ di cervelli e utilizzare le tecnologie già esistenti. Il ciclo del trasporto ora si esaurisce nel percorrere un certo itinerario con un bus, ma noi possiamo pensare che se la pensilina è attrezzata in modo gradevole il tempo passato ad aspettare può diventare un tempo da utilizzare per acquisire conoscenze. Non è

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impossibile pensare di prenotare un posto nell’autobus che sta arrivando, alcune città queste cose le fanno e io modestamente posso dire di aver vinto un certo bando con un tot di milioni di euro per attrezzare una centralina intelligente che crea cultura, crea ricchezza e fa progredire il Paese.

Noi dobbiamo cominciare a fare qualche salto di qualità, altrimenti risultiamo essere un gruppo di illuministi che vagheggiano una città del sole chiamata Smarter Town dove succedono un po’ di cose virtuose, che poi però risultano essere le cose normali fatte in modo un po’ diverso. La Smart City non è questo, non ci si arriva dall’oggi al domani perché essa è il frutto della composizione di tanti atteggiamenti virtuosi.

Su questo la banda larga gioca un ruolo decisivo. Se non attrezzi la stragrande maggioranza dei centri urbani del nostro Paese per avere 100 Mega di banda a disposizione queste cose non si fanno. Parallelamente bisogna procedere all’alfabetizzazione culturale dei cittadini, bisogna provvedere all’interazione e a tutte le cose che ci siamo detti, ma tutto ciò rappresenta una locomotiva meravigliosa che non si muove senza i binari.

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Pinuccia MontanariAssessore al Regolamento del Verde, alle Politiche Animali, all’Agenda 21 e all’Educazione Ambientale del Comune di Genova

IL CASO GENOVA: UN APPROCCIO INTEGRATO

ALL’INNOVAZIONE a sollecitazione del Professor Vianello, or ora intervenuto, mi sembra molto significativa. Credo occorra una visione strategica da parte della politica che possa coniugare sostenibilità con

innovazione tecnologica. Se manca questa visione strategica anche tutti gli obiettivi che sono stati indicati difficilmente verranno realizzati. Per questa ragione Genova sta investendo sulla Città Intelligente a partire dall’esperienza della Città Digitale con un Piano di e-government che riguarda soprattutto la rivisitazione del funzionamento dell’intera macchina comunale attraverso una serie di obiettivi legati all’estensione e al potenziamento di tutti i canali della connettività digitale. Genova è una città da promuovere e noi lo stiamo facendo attraverso i servizi on line e attraverso tutti i canali attivabili, a partire da quello del web.

L

Anche su alcuni altri settori l’impegno di Genova va nella direzione delle Smart Cities. Un primo profilo è quello collegato all’impegno che la città di Genova ha assunto nei confronti del Patto tra i Sindaci, un patto che impegna le città a raggiungere obiettivi misurabili di efficienza e risparmio energetici (il famoso 20-20-20). L’efficienza energetica, primo obiettivo da raggiungere, non potrà essere realizzata se non ci saranno investimenti in innovazione tecnologica. Crediamo che per questo obiettivo sia importante creare connessioni tra tutti gli aspetti e le dimensioni della gestione della città. Tutto ciò va costruito assieme agli stakeholders e ai cittadini. Questo è l’impegno su cui stiamo lavorando per il progetto europeo Smart Cities.

Altri profili altrettanto importanti, che devono sempre essere inseriti in questa visione strategica, riguardano il verde pubblico. Attraverso l’esperienza di Urban Lab, con Renzo Piano, la città di Genova sta ridisegnando il profilo del proprio territorio, impegnandosi nella ricostruzione degli ecosistemi naturali premessa per raggiungere l’obiettivo per la qualità di vita che può essere realizzata grazie all’innovazione tecnologica. In questa prospettiva il Piano del Verde del Comune di Genova rappresenta l’occasione per creare le premesse di una nuova Green Economy, fondata non solo sullo sviluppo delle energie rinnovabili, ma anche sul turismo sostenibile. Il Piano si avvale delle risorse della tecnologia per fornire, da qualsiasi punto di accesso, le informazioni relative alla fruizione delle risorse paesaggistiche costituite dai grandi parchi storici di Genova, tra i primi esempi in Italia di parchi paesaggistici, come il Parco scenografico/teatrale di Villa Durazzo Pallavicini o il Parco delle Mura e dei Forti. Il tutto all’interno di un progetto generale che vuole Genova Giardino d’Europa.

Lavorare sulla mobilità significa costruire una rete che permetta ai cittadini di utilizzare al meglio le grandi opportunità che una città come Genova offre, dalla mobilità orizzontale a quella verticale, perché Genova, da cento anni, si avvale di una rete di ascensori e funicolari unici. Facciamo mobilità intelligente anche attraverso strumenti come TRAIL, il portale della mobilità in Liguria che aiuta i cittadini a raggiungere gli obiettivi di efficienza degli spostamenti. Stiamo attrezzando percorsi di trekking urbano che permettono, attraverso lo strumento digitale, di percorrere a piedi la città,e valorizzare aspetti culturali, di tradizione e gastronomici.

Tutto ciò si inserisce in un processo sinergico dove formazione, comunicazione e conoscenza

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assumono un ruolo fondamentale nella visione strategica e potrebbero rendere le nostre città più intelligenti, più immateriali, ma anche più capaci di offrire una qualità della vita elevata. In una situazione economica di grave crisi quale quella che ci troviamo a vivere, investire in tecnologia intelligente significa davvero schiudere grandi opportunità dal punto di vista economico.

Chiudo con una citazione di Edoardo Sanguineti, che ha scritto: “Sono di un ottimismo catastrofico”. Quanto più la situazione è disperata, tanto più l’ottimismo deve rinforzarsi. Il ruolo delle città, dei cittadini e delle imprese, delle istituzioni locali sarà fondamentale per vincere la sfida della sostenibilità.

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Mario Marini Assessore allo Sviluppo dell'Innovazione tecnologica e al Miglioramento dei Servizi amministrativi del Comune di Parma

PARMA 2.0, LA CITTÀ SENSIBILE oglio innanzitutto ringraziare IBM e FORUM PA per quest’occasione di confronto tra tecnici e politici. Io non vorrei parlare né di tecnologia né dei nostri progetti, che potete vedere allo

stand dell’IBM, da noi in città, o nelle varie pubblicazioni che sono state realizzate. I colleghi che mi hanno preceduto sono stati molto bravi ad evitare il tema del consumo di suolo e della pianificazione territoriale, ma vorrei chiedere al Professore del Politecnico che ci consigliava il riuso del suolo come si fa a pagare asili, case protette e servizi comunali se non si gestisce e pianifica correttamente anche la vendita del suolo.

V

Vorrei qui riportare l’attenzione sul ruolo della politica. Il vocabolario Sabatini-Coletti definisce la politica come “arte e scienza dell’amministrazione dello Stato”, come “insieme di decisioni e provvedimenti con cui i governanti amministrano lo Stato”, come “attività di chi partecipa alla vita pubblica” e come “accortezza, cautela e diplomazia nell’agire o nel parlare”. Partendo da queste definizioni secondo me possiamo capire quando e perché una città debba essere smart. Una città non è smart perché ha tanta nuova tecnologia, ma lo è quando chi la governa e chi ci vive è smart.

A Berlino abbiamo da poco parlato del tema molto interessante dell’attrattività dei territori. Richard Florida parla delle 3T: Tolerance, Talent and Technology. Prima della tecnologia Florida indica la tolleranza – ovvero il tentativo di far convergere tutti verso obiettivi comuni – e i talenti. Molte città italiane, in particolare quelle medie e piccole, al contrario, si spopolano perché i talenti studiano da noi per parte del loro percorso formativo e poi vanno a lavorare o finire il loro percorso all’estero e là rimangono. Il problema non è quali tecnologie implementare o dove trovare le risorse. Le risorse sono, per definizione, scarse, ma ad esempio IBM ha fatto con noi un percorso più progettuale che da venditore per arrivare alla complessiva città smart.

È stato un percorso fatto sulla città nel suo complesso, un percorso fatto su quello che i cittadini si aspettano da una città sulla progettazione di un sistema integrato di servizi disegnato sulle loro esigenze reali. Uno dei fattori che abbiamo sviscerato con i vari esperti che si sono succeduti ai tavoli è stato quello del cambiamento. Il problema vero è che la politica fatta di burocrazia e di eletti rimane ferma mentre la città cambia. Mi spiace dirlo, ma le nostre città invecchiano e le fiere come FORUM PA sono gli unici momenti nei quali si vede girare un po’ di gente giovane. Nei Consigli Comunali o Provinciali purtroppo non è così. Io sono il più giovane della nostra Giunta, e non sono probabilmente abbastanza giovane. Se andate all’ENA vedete della gente giovanissima che rappresenta il futuro della Francia. È chiaro che io ho la fortuna di poter apprendere da gente con i capelli bianchi, ma dietro di me non ci sono giovani che si affacciano a lavorare nella Pubblica Amministrazione. Un altro fattore da tenere presente è l’inurbamento: il 75% della popolazione mondiale nel 2050 abiterà in città. C’è poi il problema dei commuters, coloro che abitano fuori e vengono all’interno della città solo per lavorare o fruire dei servizi. Ci sono città che si stanno spostando quasi esclusivamente sul terziario avanzato e sui servizi. Non va inoltre sottovalutato il tema della competizione territoriale esasperata: noi confiniamo con Piacenza, ma non siamo loro amici: dobbiamo competere con loro, ci rubiamo i turisti, ci rubiamo le risorse che vengono dal centro, ecc. ecc.

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I cittadini al politico non chiedono tecnologia, chiedono una città migliore (data anche dall’applicazione delle tecnologie), chiedono infrastrutture, chiedono sicurezza, chiedono servizi e tutela ambientale. Ma, tornando un attimo indietro, fare infrastrutture vuol dire consumare territorio. Sicurezza significa invasione della privacy. Servizi significa tasse. Tutela dell’ambiente significa centri storici chiusi al traffico e smaltimento dei rifiuti. La politica ha degli strumenti che sono esattamente quelli che la gente non vuole: tasse, consumo del territorio, invasione della privacy, ecc. Il ruolo della politica è dunque quello di recuperare la responsabilità della mediazione, il che non significa abbassarsi al compromesso. Trovare la mediazione significa trovare un terreno comune di incontro tra le potenzialità, sempre meno esprimibili tramite le risorse che abbiamo dalla Pubblica Amministrazione, e le necessità dei cittadini.

Quali sono i principi di buon governo che cerchiamo di utilizzare in questo momento nella nostra città? Quelli dell’apertura, della partecipazione, della responsabilità, della coerenza e della qualità. In tutti questi campi la tecnologia può giocare un ruolo importante. Ma quale tecnologia?

Cristina Farioli, al termine del suo intervento, ha ricordato uno dei temi che mi sono più cari, anche se è uno dei più difficili da finanziare perché si tratta di investimenti che non hanno un ritorno immediato, ovvero quello dei sistemi di governance.

Nessuno di noi, neanche il più illuminato, ha una sfera di cristallo con la quale vedere il futuro. Noi ci vogliamo dotare, perciò, di strumenti che ci permettano di leggere la realtà, di leggere ed interpretare i dati che vengono dai cittadini e dalle imprese, altrimenti il rischio enorme sarebbe quello di prendere decisioni autoreferenziali, decisioni vecchie rispetto al contesto che amministriamo e decisioni non coerenti con il futuro. Quindi al dialogo deve corrispondere la misurazione della soddisfazione dei cittadini. Dico questo non solo in termini elettorali, perché la soddisfazione non serve solo per farsi rieleggere, ma per capire se il servizio che abbiamo implementato è quello che i cittadini vogliono oppure no.

Il mio gruppo di lavoro crede che le ICT debbano essere destinate alla garanzia di accessibilità ai servizi e al miglioramento della qualità della vita in generale. Esse devono semplificare la vita ai cittadini. Non è vero che la tecnologia rende sempre le cose facili, a volte essa complica le questioni e diventa un muro da scavalcare o abbattere. La tecnologia deve essere usata facendo in modo che non si veda, la gente la deve utilizzare senza sapere che c’è. Se io metto in piazza un totem criptico, non ergonomico né accessibile la gente non lo utilizza. Il nostro ruolo, quindi, non è quello di aggiungere tecnologia nelle città, ma di usare bene quella già esistente aggiungendo solo quella che serve. Un esempio: molti di noi hanno in tasca almeno due cellulari; credo che sia su questi strumenti che bisogna puntare integrandoli ad altre tecnologie per fornire informazione e servizi.

Le parole d’ordine secondo me sono due. La prima è “discontinuità”, per cambiare dai soliti percorsi, non scegliendo la moda o i trend ma pensando diversamente. La seconda è “coraggio nelle scelte”. Se si è eletti si è stati messi lì per prendere delle decisioni, e la spinta alla partecipazione popolare a tutti i costi a volte rischia di essere un pretesto per far finta di non prendere delle decisioni direttamente ma di farle prendere alla gente o ai comitati. Io credo che la politica si debba riguadagnare il proprio ruolo, poi anche le ICT verranno...

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RELAZIONI CONCLUSIVE

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Relazioni conclusive 43

Nicola Ciniero Presidente e Amministratore Delegato di IBM Italia S.p.A.

SMARTER TOWN. PROGETTARE L'INNOVAZIONE DEL

PAESE l primo elemento di riflessione da cui vorrei partire è dato dal fatto che ogni anno nel mondo milioni di persone si spostano dalle aree rurali alle città. Il 2009 è stato un anno di svolta perché

per la prima volta le persone che abitano nelle aree cittadine del mondo hanno superato quelle che vivono nelle zone rurali. Si tratta di un processo ineluttabile dal quale non si può più tornare indietro, ma a mio avviso abbiamo davanti a noi uno spazio di tempo sufficiente per poter realizzare le condizioni necessarie a permettere che ciò avvenga in modo regolare e ordinato.

I

Man mano che andremo avanti, il giudizio che porterà una persona a voler andare a vivere a Milano, Roma o Palermo sarà sempre più basato sulla vivibilità delle città in questione. Ci saranno sistemi di lavoro sempre più telematici, sistemi di trasporto sempre più avanzati e l’interconnessione sarà alla base di tutto il nostro modo di vivere. Le scelte di vita di una persona si baseranno quindi su tutti questi aspetti. Sicuramente, per una città il fatto di avere un sistema che accoglie i nuovi cittadini in modo migliore rispetto ad altri rappresenterà un valore che costituirà motivo di scelta. Ovviamente, più persone sceglieranno di andare a vivere in una città piuttosto che in un’altra, più tasse si pagheranno in quella città, più l’economia di quella città si svilupperà, con tutto ciò che ne consegue.

Indipendentemente dagli aspetti politici che stanno dietro ad un fenomeno di questo genere, bisogna sottolineare che l’approccio che IBM definisce Smarter Planet, e che nel caso delle raltà urbane viene declinato in Smarter Town e Smarter City, diverrà motore per lo sviluppo anche dell’economia italiana negli anni a venire. Innanzitutto si tratta di riutilizzare al meglio tutto ciò che già esiste. Si tratta cioè di aggiungere molta più intelligenza a quelle che sono le tecnologie e le infrastrutture già presenti sui nostri territori, che talvolta – per il fatto di non essere interconnesse – non vengono utilizzate nel modo corretto.

Noi come Sistema Paese paghiamo ancora una grande ignoranza in questa materia. Ci portiamo dietro ancora un gap culturale. Quindi ben vengano, secondo me, movimenti più autonomi da parte di Comuni, Istituzioni, Regioni e Province che fanno un salto avanti rispetto agli altri. Dico questo perché chi inizia per primo riesce a mettere a fuoco più chiaramente gli obiettivi, e abbiamo visto che i percorsi possono essere diversi, ma gli obiettivi sono molto spesso simili. Tutti quanti, a partire dai singoli cittadini fino a tutte le Istituzioni che sono coinvolte nel processo, dobbiamo creare un movimento di coscienza comune che permetta alle stesse Istituzioni di tracciare un percorso che conduca agli obiettivi anche attraverso l’utilizzo di risorse finanziarie che non sono immediatamente disponibili. Tutti quanti abbiamo letto che l’Italia è il Paese che chiede il più basso numero di fondi alla Comunità Europea da utilizzare per questo tipo di progetti. Non credo si tratti di una forma di provincialismo o di timidezza, credo invece che manchi la costruzione di un’idea. Ebbene, Smarter Town rappresenta quest’idea. Altrimenti per quei fondi noi rimaniamo il terzo Paese contributore e l’ultimo utilizzatore, ci troviamo un po’ come Comunardo Niccolai, il giocatore del Cagliari che negli anni ’70 faceva degli autogol incredibili centrando il sette della porta...

Gli strumenti di finanza in realtà ci sono, ma non vanno utilizzati come se fossero un cerotto. Non è che se ho un problema di inquinamento lo posso risolvere solo andando a comprare i filtri antiparticolato e mettendoli su tutti i pullman della mia città. Occorre fare un percorso che permetta

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di risolvere il problema attraverso un approccio di ampio respiro che realizzi obiettivi ambiziosi per tappe successive. Questo tipo di coscienza parte prima di tutto da noi cittadini.

Tutto ciò può diventare il motore di un’economia nuova, digitale ed esportabile anche all’estero. Gli elementi di base sono semplici e molto facilmente replicabili perché si tratta di ri-utilizzare in maniera più intelligente ciò che già esiste sul nostro territorio. Sicuramente poi ci saranno nuovi strappi in avanti, si sta già ad esempio parlando di cementi e calcestruzzi che possono assorbire l’inquinamento e smaltirlo in modo completamente automatico (li ha inventati un’azienda italiana), ci saranno sistemi idrici che consentiranno un risparmio incredibile e avremo macchine elettriche che andranno in giro senza consumare benzina. Il futuro è già tracciato, ora bisogna partire: a piccoli passi, ma secondo un percorso ben definito. Se ciò avverrà avremo attivato un fortissimo motore di ripresa per l’economia italiana.

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Relazioni conclusive 45

Matteo Renzi Sindaco di Firenze e Vice Presidente delegato per l'Innovazione Tecnologica ANCI

IL RUOLO CENTRALE DEI COMUNI ITALIANI PER

L’INNOVAZIONE ondivido la riflessione sulla necessità di innovazione fatta dal Presidente Mochi Sismondi; a questo proposito mi viene in mente una discussione che si svolse a Londra all’inizio della

Seconda Guerra Mondiale. In quel momento Churchill portò il primo bilancio da premier, nel quale c’erano significativi aumenti di fondi per la cultura. In un momento nel quale Londra era sotto i bombardamenti dei nazisti, a qualcuno quella scelta parve fuori luogo. Alla domanda di un Deputato di opposizione, che criticava l’aumento dei fondi per la cultura in un momento così drammatico della guerra, Churchill rispose che era proprio per la loro cultura che stavano combattendo. In una situazione difficile, ma non grave come allora, la suggestione credo possa essere utilizzata per domandarci che tipo di cultura rappresenti il nostro Paese e che tipo di visione noi possiamo offrire.

C

Nicola Ciniero nel suo interessante intervento ha ricordato come noi italiani siamo i terzi contributori e gli ultimi utilizzatori dei denari europei per l’innovazione tecnologica. Ma se noi andiamo nella Divisione Ricerca dell’Headquarter di IBM nello Stato di New York troviamo nella sala d’attesa una serie di modellini di Leonardo da Vinci. Io ci andai come Presidente della Provincia di Firenze e fui molto orgoglioso di spiegare ai colleghi americani di Ciniero come nella nostra cultura l’innovazione sia sempre stata una caratteristica fondamentale. Forse l’abbiamo raccontata peggio di come l’abbiamo espressa, ma l’innovazione è una delle cifre dell’Italia. Il fatto che oggi su alcuni settori siamo in una fase di difficoltà, di debolezza e di utilizzo minore dei fondi deve portarci a cambiare decisamente passo.

La prima considerazione, dunque, riguarda la convinzione mia personale e dell’ANCI che in tempi di difficoltà bisogna investire e innovare, bisogna provare a scommettere sul futuro. Siamo in un momento delicato della discussione economica del Paese; nessuno di noi ha dei dubbi sul fatto che occorra avere il coraggio e la forza di procedere a delle misure difficili in un contesto economico internazionale come quello che tutti conosciamo, ma è del tutto evidente che tagliare proprio sui settori che profumano di futuro sarebbe come negare il domani a noi stessi.

In tutto il mondo gli interlocutori delle aziende private e dei centri di ricerca che investono su queste filiere sono le città, i Comuni diremmo noi. Si parla di Smart City e di Smart Town perché si tratta delle comunità territoriali più vicine. Alla luce delle trasformazioni urbanistiche, culturali e sociologiche in corso è naturale che siano le città a rappresentare la frontiera privilegiata. Io trovo che in questi giorni la discussione sul federalismo corra il grande rischio di non dare la giusta importanza alla centralità dei Comuni; fare questo significa commettere un falso storico e un atto improduttivo. Non saranno realtà diverse dalle prime comunità di base, ovvero dalle città, quelle che riusciranno a far recuperare una dimensione di relazione più feconda tra cittadini e Istituzioni. Il rapporto fra cittadini e Istituzioni cambia a seconda dei diversi comportamenti di chi è chiamato a svolgere ruoli politici e ruoli di rappresentanza istituzionale, ma se qualcuno utilizzasse il dibattito sul federalismo per arrivare a un nuovo centralismo regionale commetterebbe un grave errore che farebbe aumentare i costi e non i risultati.

Nicola Ciniero ci ha raccontato un mondo che cambia a una velocità impressionante. Partiamo da un dato italiano: noi abbiamo una rete dell’Alta Velocità straordinaria. Può piacere o meno, ma è così nonostante abbiamo poi un altro problema riguardo al trasporto pubblico locale e pendolare. Per la

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mia città la rete dell’Alta Velocità ha radicalmente cambiato le caratteristiche della residenza: se io oggi sono a un’ora e trentasette minuti da Milano posso dire che riportare la residenza nel centro storico di Firenze è compatibile con il lavoro nella città di Milano. Per non parlare di Roma o di Bologna. Questo è un elemento molto significativo; certo se però la costruzione urbanistica della città di Firenze prevede che in un’ora e mezzo arrivo a Milano, ma per arrivare nella periferia della città ci metto un’altra ora e mezzo, risulta evidente che i problemi legati alla costruzione di vere Smart Cities debbano essere affrontati con maggiore lungimiranza. In questo senso, però, il dibattito sull’innovazione tecnologica non può essere lasciato solo agli addetti ai lavori. Noi amministratori lasciamo troppo spesso che il dibattito sull’innovazione tecnologica venga affidato solo a coloro che hanno una competenza tecnica, quasi che fosse un argomento da tecnocrati. Il dibattito sull’innovazione, invece, è il dibattito politico per eccellenza, perché attiene alla sfera urbanistica, alla sfera culturale, alla comunicazione della città e più in generale alla risposta su quali città vogliamo per il domani. È fondamentale che accanto ai tanti elementi tecnici che ci sono, e che sono particolarmente interessanti, ci sia lo sguardo politico. La politica deve essere capace di non considerare l’innovazione una sorta di riserva indiana per specialisti, altrimenti essa diventa immediatamente obsoleta e contemporaneamente non coglie la domanda politica. I grandi fenomeni di innovazione che hanno caratterizzato questo quindicennio non sono stati soltanto economici e tecnici, sono stati fenomeni politici. Il fatto che l’IBM sia cambiata o che siano nati Google e Facebook non dipende esclusivamente da questioni tecniche. Io voglio rivendicare il diritto/dovere politico delle città di occuparsi di innovazione con uno sguardo a 360° che non la consideri materia di una delega ad hoc, ma la inserisca in modo trasversale su tutti i settori.

Noi parliamo di Smart Cities e di federalismo, ma in Italia la cosa meno “smart” di tutte è la burocrazia, che sta uccidendo i Comuni. Oggi le vicende giudiziarie ci parlano di cose non corrette fatte per semplificare le procedure. Se il Parlamento non avrà il coraggio di semplificare su base legislativa e in modo trasparente e corretto le procedure che ci stritolano e ci impediscono di stare al passo con l’innovazione non saremo mai credibili. Se un soggetto privato ci propone una collaborazione, noi ci mettiamo di più a fare tutte le procedure per approvarla che il soggetto stesso per elaborare il modello successivo rispetto a quello che ci ha presentato. Se non ci sarà questo coraggio non saremo mai nelle condizioni di adempiere a quello che per me oggi è il principio costituzionale dell’esigenza di innovazione.

Noi abbiamo una bellissima Carta costituzionale scritta molto prima che nascesse Internet e il suo articolo 3, comma 2, afferma il principio dell’eguaglianza sostanziale. Fare eguaglianza sostanziale vuol dire lottare contro il divario digitale, vuol dire immaginare delle città che siano all’altezza delle sfide del nostro tempo, significa offrire a tutte le realtà locali uguali chance per affacciarsi alle grandi questioni del tempo che cambia. Oggi di fatto questo principio costituzionale è violato da una burocrazia che impedisce ai Comuni – specie ai più piccoli – di liberare le proprie risorse, è violato da un dibattito sul federalismo troppo centrato sulle Regioni e poco sulle realtà municipali, e da una riflessione sui cambiamenti del mondo troppo legata a schemi del passato.

Se noi saremo capaci – e qui condivido ancora il discorso di Ciniero – di riusare ciò che già c’è con un’intelligenza e uno sguardo nuovi allora saremo in grado di vincere le resistenze della burocrazia e raggiungere un cambiamento che molte città nel mondo stanno realizzando. Un mese fa ero ospite del Sindaco di Chicago a un convegno internazionale a cui hanno partecipato alcune delle città più importanti del mondo. Guardandole non posso dire che il loro livello di innovazione sia superiore al nostro, ma è certamente superiore il numero degli strumenti a loro disposizione. In quelle città laddove c’è un progetto, il Sindaco è nelle condizioni di poterlo far eseguire dai propri tecnici.

Da noi troppo spesso la burocrazia ci annichilisce nelle sabbie mobili dell’immobilismo: un’espressione che può sembrare una contraddizione in termini, ma che costituisce la cifra del nostro stato istituzionale. Iniziative come questa di FORUM PA aiutano a rendersi conto della

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complessità dei problemi, e di questo vi siamo grati. Altrettanto efficace deve essere la nostra richiesta per vincere il Moloch dell’immobilismo burocratico. Dobbiamo essere capaci di dire che i Comuni italiani – dal più grande al più piccolo – saranno in grado di fare la loro parte se saranno messi nelle condizioni giuste da procedure più semplici e da un’attenzione maggiore da parte del Governo, del Parlamento e delle Regioni.