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SLAVIA rivista trimestrale di cultura Anno VI1 luglio settembre 1998 Spedizione in abbona- mento postale - Roma - Comma 20C Articolo 2 Legge 662196 Filiale di Roma prezzo L. 25.000

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SLAVIA rivista trimestrale di cultura

Anno VI1

luglio settembre 1998

Spedizione in abbona- mento postale - Roma - Comma 20C Articolo 2 Legge 662196 Filiale di Roma prezzo L. 25.000

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slavia Consiglio di redazione: Mauro Aglietto, Agostino Bagnato, Eridano Bazzarelli, Bernardino Bernardini (direttore responsabile), Sergio Bertolissi, Jolanda Bufalini, Piero Cazzola, Gianni Cervetti, Silvana Fabiano, Pier Paolo Farné, Paola Ferretti, Carlo Fredduzzi, Ljudmila Grieco Krasnokuckaja, Adriano Guerra, Claudia Lasorsa, Flavia Lattanzi, Aniuta Maver Lo Gatto, Gabriele Mazzitelli, Pietro Montani, Leonardo Paleari, Giancarlo Pasquali, Rossana Platone, Vieri Quilici, Carlo Riccio, Renato Risaliti, Nicola Siciliani de Cumis, Joanna Spendel.

Slavia - Rivista trimestrale di cultura. Edita dall'Associazione culturale "Slavia", Via Corfinio 23 - 00183 Roma. C/C bancario 585831 presso la Banca di Roma, Agenzia 33, Via di Grotta Perfetta 376 - 00142 Roma. Codice fiscale e Partita I.V.A. 04634701009. Con la collaborazione di: Associazione Italia-Russia Lombardia (Milano), Associazione Italia-Russia Veneto (Venezia), Associazione per i rapporti cultura- li con l'estero "M. Gor'kij" (Napoli), Centro Culturale Est-Ovest (Roma),Circolo Culturale "Slavia" (Bologna), Istituto di Cultura e Lingua russa (Roma). Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 55 del 14 febbraio 1994.

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SLAVIA Rivista triinestrale cli cultura

Anno VI1 nuniero 3- 1998 Indice

LETTERATURA Iriter~~istu tr Vcrsilij Akseriov .............................................................................. P . 3

....................... Davide Vergnano. Profilo storico-lettercrrio di Vcrsilij Akseriol p . 14 Valeria Ferraro. L'epistolcrrio di Mcrriricr Cvetcrei9ci ......................................... p . 27 Vlaclimir A . Sollogub. Il cagiiolir~o .................................................................. p . 43

. Fedor Dostoevskij. Il giocntors (cap 111) ........................................................ p . 65 Vladimir Korolenko. Il I I I I I S ~ C ~ S I L I cieco (cap . IV) ............................................ p . 70

................................................................... Giuseppe Fiori. L'c~g~iite iri soriiio p . 78 ................................................................ Elettra Palrna. Firibtr Iiirigci irrl riilrro p . 134

PASSATO E PRESENTE . .................................. Striittirrri e coriiposiriorie nttirnle (te1 Pcrrlrr~reiito nrsso p 141

..... . Piero Cnzzola. Urr di~~/olrlotico r-fisso i11 iZforzgo/ict ~t// '«/b(t del XX SP(.O/O p 166 Ivan Korostovetz. Nove riiesi i11 Morigolitr ....................................................... p . 169

.................. Luca Agretti. L'Ertoiiia dtrlltr l~reistorirr t11l'iiidil~eiicl~~ri:ti (1918) p . 202 Cori Terestr Aristtrrco tr sciioln da EjrrrzStrjrl .................................................. p . 216

RUBRICHE .............................................................................................................. Schede p . 220

Lrttere o1 Diwttore .......................................................................................... p . 739

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Ai lettori

La rivista Slriijici è aperta ai contributi e alle ricerche di studiosi ed esperti italiani e stranieri. La redazione è anche interessata a pubblicare testi di conferenze, recensioni, resoconti e atti di convegni, studi e arti- coli di vario genere, ivi inclusi risultati originali delle tesi di laurea in

' lingue, letterature e culture slave.

Slcri~ici intende inoltre offrire le proprie pagine come tribuna di dibat- tito sui vari aspetti della ricerca e dell'informazione, sull'evoluzione socioeconomica, politica e storico-culturale della Russia e dei Paesi est- europei.

Le opinioni espresse dai collaboratori non riflettono necessariamente il pensiero della direzione di Sltriji~r.

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Cominciamo dall'infanzia. Quando hanno arrestato i miei genitori, mio padre era il presidente

del Soviet cittadino di Kazan', mia madre insegnava all'università. Al momento clel loro arresto io avevo quattro anni e mi prese con sé una zia, la zia Ksenja, la sorella di mio padre.

Poi lei ha vissuto a Kazan' fino a sedici anni. .. Fino ai sedici anni, quando mia madre uscì dal lager nella Kolyma.

Terminato il periodo di detenzione, le rimanevano ancora cinque anni di interdizione dai diritti civili. Lei ottenne il permesso, così io andai laggiù. Per me fu difficile e lì finii la scuola media. A quel tempo la arrestarono di nuovo e la condannarono a una sorta di confino permanente.

Perché fu arrestata nuovamente? Era la seconda ondata di arresti, tra i l 1948 e il 1949 ci fu una

seconda ondata di grandi arresti. E poi dove andò a vivere? Si stabilì a L'vov dopo la morte di Stalin. Poiché suo marito, i l dot-

tor Val'ter, era cattolico, cercarono un posto in cui ci fossero delle chiese cattoliche.

Come avete vissuto a Magadan? Immagino fosse terribile. Non fu così terribile, certo si viveva male, tutti vivevano male allo-

ra, tranne quelli del KGB e del Partito. Noi vivevamo come ex detenuti in una grande baracca, avevamo una camera per noi e c'era un gabinetto ogni trenta camere.

Fu una situazione difficile? Sì, fu dura, ma per me fu anche molto interessante vivere lì. Lei arrivava, per così dire, da una condizione di libertà ... Il fatto è che Magadan allora era la cittii più libera dell'URSS, per-

ché lì c'eraiio persone che non avevano nulla da perdere e parlavano di ciò che volevano. Dalla mamma venivano molti intellettuali, si ritrovava- no ogni settimana e parlavano. Io non sapevo nulla di tutto questo. ascol- tavo ed ero sempre preoccupato da tutti quei discorsi.

Anche suo padre era detenuto? Sì, a quel tempo lui era in un lager nella PeGra, nella parte europea

dell'URSS. Anche quelli erano posti remoti! Rimase nel lager fino al

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1952, poi fu mandato al confino in Siberia e tornò solo dopo la morte di Stalin.

Dopo la sua liberazione vi rincontraste? Sì, questo avvenne del tutto inaspettatamente. Io ero a Kazan' dalla

zia, allora studiavo a 1,eningrado ed ero da lei per le vacanze. Un mattino all'improvviso qualcuno bussò alla porta, lei andò ad aprire e mandò un grido: sulla soglia c'era suo fratello. Si era semplicemente dimenticato che poteva spedire un telegramma! Fu così che arrivò. Aveva con sé un sacco enorme in cui c'era tutto ciò che gli serviva per vivere, compresa persino, della legna.

E perché non aveva una casa? Sì, allora vagabondava e si portava dietro un fornelletto, un po' di

legna per il fuoco e molto kerosene. In seguito si stabilì di nuovo a Kazan'? Sì, gli diedero un alloggio e qualche tempo dopo ricevette persino

l'onorificenza dell'ordine di Lenin in occasione di una qualche festa, per- ché era uno dei comunisti più vecchi.

E per quanto concerne gli studi? Finita la fcuola a Magadan, tornai a Kazan' ed entrai nella Facoltà

di medicina, ina qui fui espulso, così terminai l'università a Leningrado. Erano già tempi nuovi, era il 1956 e cominciava quello che potremmo definire i l periodo antistalinista.

Che libri stranieri leggevate negli anni Cinquanta? In quegli anni cominciarono a essere pubblicati alcuni autori stra-

nieri. Uno dei primi fu Remarque e fu sensazionale per la gente sovietica. Tutti lessero I tre ccrn~erciri, poi uscì un'edizione in due tomi delle opere di Hemingway che suscitò un turbamento generale. Dopo un po' di tempo anche Faulkner e moltissime altre pubblicazioni: i modernisti, il teatro dell'assurdo, Ionesco ... Poi comparvero i primi sanlizclar che allora non si chiarilavano ancora con questo nome, ed erano sostanzialmente samizdat letterari, non politici. In seguito cominciarono a comparire i libri dei nostri modernisti e avanguardisti dimenticati, dopo le pubblicazioni degli autori stranieri. Gli Oberjuty, Andre.j Bely.j, Babel', Platonov, tutti i nostri grandi scrittori degli anni Venti e Trenta. Direi che ricevemmo un'istru- zione tardiva ma efficace.

Si potebbe dire che gli scrittori degli anni Trenta furono i vostri modelli?

In qualche misura sì. Perciò la vostra generazione degli anni degli anni Sessanta era

solo apparentemente simile a quella americana degli stessi anni? Sì, noi non eravamo molto simili alla Beat Generation, questo sem-

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plicemente fu inventato dopo. Penso che fossimo attratti dal fenomeno che rappresentavano e non dalla loro letteratura. Da un punto di vista let- terario non ci fu una passione per la letteratura Beat. Naturalmente Kerouac e Ginsberg erano interessanti anche se non esercitarono una forte influenza su di noi. La scoperta dei nostri scrittori dimenticati ebbe un'influenza molto più forte di quella dei beatnik e in generale di qualun- que altro scrittore occidentale. Secondo me, c'è un legame tra i beatnik e i futuristi nei modi di vivere: i futuristi sono sempre stati molto presenti e tuttora mi appassionano. Tre giorni fa ho letto durante una lezione il manifesto futurista di Marinetti, anche se il futurismo russo e quello ita- l iano sono differenti. Comunque Chlebnikov è straordinario e Majakovskii mi interessa tuttora nonomnte la sua visione comunista, in generale come poeta è geniale. Majakovskij cominciò a sentire i l peso del suo ruolo. Sì, lui sentì che l'utopia distrugge, lo stesso è evidente anche per Marinetti, che sebbene abbia lavorato con i fascisti, in qualche modo sentì che il potere distrugge. Potremmo dire che è una questione eterna, l'arte è una cosa, i l potere un'altra. La loro disgrazia fu quella di pensare di-poter convivere col potere, ma le cose andarono diversamente. Riguardo agli anni Sessanta, nel 1963 qualcosa si ruppe nei rapporti col potere. In generale non fu un episodio così rilevante. Il fatto è che mi scelsero come capro espiatorio. ChruSEev allora mi attaccò direttamente, l'otto marzo del 1963. Poi nella rivista dove lavoravo, J~ltzost', di cui ero uno dei redattori, tutti si spaventarono terribilmente, pensavano che i l giornale stesse per chiudere, così cominciarono a farmi delle pressioni affinché io scrivessi una ritrattazione. Io sotto quella pressione cedetti, e scrissi un'autocritica.

Lo fece per continuare a scrivere? No, perché non chiudessero il giornale. Quello fu il vero motivo,

tutti mi fecero delle pressioni: "Se non scrivi qualcosa ci fanno chiudere. Devi sacrificare il tuo orgoglio e scrivere qualche 5ciocche~za". Quello fu l'unico motivo. Col passare del tempo fui sempre di più contro di loro e nelle mie opere non ci fu nessun atto di sottomissione, al contrario con~in- ciai a scrivere sempre meno frequentemente.

Cominciarono i problemi con gli organi letterari? Non tanto con gli organi letterari, ma con il Partito. Allora sotto la

pressione di quel sistema smettevano di pubblicarti, ti toglievano la possi- bilità di viaggiare all'estero, praticamente scomparivi dalla superficie. Nessuno ti offriva più niente. In generale, esercitavano su di te una pres- sione psicologica molto forte.

Quando cominciò lo scontro aperto con il potere? Dopo il 1963 capii che con loro non era possibile dialogare, così

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escogitai una sorta di tattica, una specie di guerra partigiana per poter pubblicare qualcosa, per ingannarli, per poter conservare nel cassetto le cose più considerevoli e incisive per il futuro. Per me non c'erano più speranze, ero diverso da loro, non dovevo mescolarmi a loro.

Infatti alcune opere degli anni Sessanta non furono mai pubblicate in URSS, Sr~rl'rzt!ja pticn per esempio, 02og ... Scrissi Stcd'n~lja pticn nel 1965, lo portai allora alla rivista, il redattore Polevoi chiuse a chiave il suo studio e disse: "Questa cosa non verrà mai pubblicata in Unione Sovietica!"

O2og lo terminai nel 1975, e riflette sia gli anni Sessanta che gli anni Settanta. Comunque era chiaro che non si poteva nemmeno pensare di pubblicarlo. Nel 1977 vennero da me degli agenti del KGB e mi disse- ro che ne avevano una copia. Io chiesi loro dove l'avessero presa e loro mi dissero: "Sospetta dei tuoi amici. Questo è i l nostro lavoro, noi dob- biamo cercare". Allora capii che ne avevano rubato una copia da qualche parte in Occidente. 020g era stato portato in Occidente come sainizdat e secondo me loro ne avevano rubato una copia in America. Ne avevo spe- dite alcune laggiù ad un'università e lei sa che la gente in Occidente non pensa che possa essere pericoloso darne una copia a chiunque. Mi fu dato un ultimatum: o rinnegavo le mie idee oppure avremmo dovuto salutarci. Così mi dissero.

Questo avvenne prima del caso Metropol'? Sì, prima di Metrcyol', nel 1977. Io dissi loro che non avevo inten-

, zione di pubblicare O2og. Allora mi promisero piena libertà, ma allo stes- so tempo mentivano, sentivo costantemente un controllo fisico molto stretto. In seguito i l manow-itto airivò in Italia, a Milano, da Mondadori, e all'inizio del 1978 diedi l'ordine di stamparlo. Conten~poraneamente coniinciò la vicenda di Mer~v~?oi'.

A chi venne l'idea dell'almanacco? L'idea venne a due giovani scrittori dell'epoca, Erofeev e Popov,

che mi chiesero di partecipare. Così a poco a poco divenni la figura prin- cipale della vicenda per la mia esperienza e per i miei contatti all'estero. Allora il gruppo cominciò a formarsi attorno a me come se io fossi stato il centro, perciò la presuione principale ricadde su di me, tanto più che loro sapevano che io ero l'autore di brutti romanzi.

Così mi considerarono l'animatore, il Mastermind, e cominciarono a chiedermi sempre più insistentemente di andarmene. Cominciò a diffon- dersi una specie di terrore, continue provocazioni, pedinamenti e altre situazioni spiacevoli.

Con lei c'erano anche altri scrittori che però non sono emigrati. Sì, se ne andarono soltanto alcuni, GorenStejn, A1eSkovski.i e altri.

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Mentre lei fu costretto a emigrare. Semplicemente non dovevo restare a vivere lì. Mi fecero capire che

avrebbero potuto escogitare qualcosa di molto serio nei miei confronti. Attraverso diverse persone mi giunse questo messaggio: "O te ne vai spontaneamente oppure dobbiamo salutarci sul serio".

Così con l'emigrazione comincia una nuova vita. Cominciò una vita completamente diversa. Nei primi anni ero

veramente solo, anzi per tutti gli anni Ottanta vissi un isolamento reale da Mosca e dalla mia terra. Tutto avvenne molto bruscamente, non avevo nessun contatto tranne quando chiamavo ogni tanto mio figlio Aleksei che era rimasto con la madre e all'epoca aveva appena finito l'Istituto di Cinematografia.

Allora non aveva ancora compiuto 19 anni. 1,'avevano chiamato nell'esercito ed ero molto preoccupato perché avrebbero potuto mandarlo in Afghanistan. Poi nel 1988 gli fu consentito di venire da me per la prima volta. Nel 1987 mettevano ancora in piedi delle campagne popolari contro di me. La rivista Krokoclil pubblicava continuamente lettere di lavoratori che mi vomitavano addosso odio e infamie e richiedevano dei provvedimenti severi. Naturalmente erano accuse false.

In realtà lei piaceva alla gente? Certo, la gente mi seguiva, avevo molti lettori negli anni Ottanta,

Ostrov Knnz e OZog circolavano nelle edizioni occidentali. Nei circoli intellettuali tutti mi leggevano, allora.

Quando è tornato per la prima volta in Russia? Nel novembre 1989, era un periodo terribile. C'erano molte spe-

ranze, ma ero solo nel buio, un buio terribile. Poi il 1991 è stato sicura- mente fantastico, i giorni di agosto 5ono stati i giorni migliori della Russia. Adesso nell'economia comincia a comparire qualcosa di positivo, ma in generale tutto il resto è uno schifo. Tutto lo sporco po\t-sovietico è venuto a galla, ko~~ztomol'c?~, comunisti, "stalingangstery", assassini e borghesi falsi. La politica è sporca, ripugnante e compromessa. Si uccido- no a vicenda con omicidi su commissione. È tutto molto ripugnante. I comunisti sono sporchi, rifiuti dell'umanità, e siedono nella Duma. Sono tutti ex spie del KGB, e diventano senatori! È una vergogna. ... si sta diffondendo una scandalosa nostalgia per i tempi sovietici, un'assurda nostalgia che secondo me non è neanche nostalgia, ma schizofrenia a tutti gli effetti, una sorta di schizofrenia nazionale. E tutti questi .... dicono che i vecchi tempi erano migliori, c'era stabilità, e sazi di stagnazione parlano senza pudore e sembrano essersi dimenticati di quanto fosse terribile allo- ra, durante il periodo sovietico. Oggi è molto meglio, non c'è neanche da discuterne.

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Che cosa pensa del postmodernismo? In Russia questo fenomeno ha un significato completamente diver-

40 rispetto all'Occidente. In Occidente il postmodernismo si caratterizza per la sua natura estetica, per un certo eclettismo, per l'elaborazione ...., è la comparsa di una nuova estetica. In Russia i l fenomeno coincide con la caduta del comunismo e con quello che definirei una sorta di isteria post- sovietica. Qui si manifesta un approccio isterico al postmodernismo, una demonizzazione del fenomeno ... come l 'uomo dcl sottosuolo di Dost0evski.j. Questo riflette la definizione russa di postmodernismo. Ccnamente una sona di incubo molto scuro, tenebroso, negativo, senza sbocchi: ecco che cosa è per loro i l postmodernismo.

Io mi considero in linea di principio un postmodernista, ma non in questo senso, a me sembra di aver superato il postmodernismo sovietico. ... In Russia sono comparsi degli rcrittori che prima scrivono la teoria dei loro romanzi e poi li scrivono secondo queste teorie. Ci sono molti esem- pi di questa teorizlazione anticipata, in realtà è vacuità teorica, come se scrivere fosse risolvere un teorema. Allo stesso tempo tutto ciò non è legato alla carnevalizzazione della vita verso la quale io propendo.

I1 carnevale rappresenta la vita? Sì, e non è sempre allegro, può essere anche oscuro e può avere

diver\e fasi, come ogni fenomeno. Ci sono diversi ruoli e anche momenti in cui bisogna smaltire la sbronza del carnevale. E in Russia c'è già la negazione del carnevale .... allora tanto vale sdraiarsi, morire e basta.

Quali sono i suoi scrittori preferiti? Tolstqj, ho letto molto Tolsto.j, e Gogol' certamente. Che cosa pensa della letteratura russa di oggi e della letteratu-

ra americana? Attualmente mi occupo in prevalenza dei classici e degli anni

Venti, sto tenendo un corso sul modernismo e l'avanguardia e un altro sull'Ottocento, perciò ho poco tempo per leggere le cose nuove, e per quel che ho letto penso che si stia andando verso una qualche ripresa in Russia. Ci sono alcuni giovani scrittori promettenti. Per quanto concerne l'America, qui i best seller hanno soffocato tutto, hanno schiacciato la let- teratura seria. Sebbene e\ista una letteratura al di fuori degli stereotipi di mercato, che viaggia parallelamente a quella dei best seller. In generale c'è una perdita dell'approccio romantico alla letteratura, la perdita del byronismo. Pensiamo a Hemingway, Fitzgerald, Joyce, loro erano convin- ti che sarebbero stati i migliori, i primi. Si è persa l'immagine dello scrit- tore vagabondo, romantico, byroniano, persona non comune.

Rispetto all'immagine dell'America del romanzo V poisknch grustrlogo bebi, che cosa pensa ora dell'America?

Considero ora I'Aincrica coine la mia caia, c'è la patria e c'è la

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casa, ecco, l'America è la mia casa, con cui mi rapporto in modo nosma- le, da persona che vive qui da molto tempo. Certamente la visione demo- niaca dell'America del passato è come sparita, adesso non la vedo più così o comunque molto meno. Per me ora esi5te una doppia nostalgia, una nostalgia immaginaria e una reale, vivo qui da 17 anni e tutto appare completamente diverso rispetto a ciò che immaginavo da lontano. E suc- cesso anche a Majakovski.j, i futuristi russi veneravano l'America, così come gli italiani, New York in generale era un simbolo del futurismo, ma quando ci andarono ebbero sensazioni contrastanti, era come se la imma- ginavano e al tempo stesso completamente diversa.

Perciò non si considera un emigrante? Adesso non è più la stessa emigrazione di allora. Negli anni

Ottanta ci sentivamo emigranti reali perché eravamo del tutto isolati dal nostro paese, mentre ora puoi comprare un biglietto e in 15 ore sei in Russia. La massa di persone che vive qui si mescola, torna indietro. Non è più la stessa emigra~ione, io certamente non mi sento americano, ma non mi sento già più del tutto russo.

Si sente cittadino del mondo? Sì, qualcosa del genere, una sorta di cosmopolita. Negli anni

Ottanta stavo bene soprattutto con la comunità di immigrati dell'est eiiro- peo, cechi, polacchi, rumeni. Era una cosa spontanea, anche se non ci \i capiva subito, per me era molto più semplice stare con loro che con gli americani. Gli americani capivano poco le noutre sofferenze, la nostra mentalità ... Poi ci sono alcuni stereotipi: gli americani, soprattutto gli ebrei americani, per esempio, se scoprono che sei russo la prima cosa che ti chiedono è: "Come hai fatto a venire via di là?'' e se tu rispondi: "Niente di più facile", loro ti chiedono: "Ma tu non volevi emigrare?", "No, non volevo", e loro non capiscono.

Perciò potremmo dire che lei ora ha accettato in qualche modo l'America?

Sì, la considero molto positivamente, nonostante tutte le sue scioc- chezze, una cultura di massa terribile e così via, è realmente un paese in cui un profugo può vivere. L'America mi ha salvato nel momento più ter- ribile della mia vita. Mi piace molto l'intelligenciju americana e trovo sbagliata l'idea diffusa in Europa che qui non ci siano intellettuali. Qui c'è un'inrelliger~ci molto grande e interessante. Mi piace molto anche il mondo universitario e accademico americano

Quando sono arrivato qui sono cambiato, volente o nolente sono diventato un intellettuale. Io ero un bohémien, la vita intellettuale e lettera- ria in Russia era una specie di bohème, mentre ora ho alcuni rapporti con gli intellettuali americani, questo lo sento, è una parte della mia vita, certo.

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Quando ha cominciato a insegnare all'università? Subito, appena arrivato, nel 1980. Fu quasi una specie di trasferi-

mento automatico, cominciai a insegnare nel Michigan, a tenere un semi- nario all'università del Michigan. Poi andai per sei mesi a Los Angeles come scrittore residente, In seguito fui invitato a Washington dal Kennan Institute, dove scrissi BtrnzaZizyj pejza2, dopo un anno andai alla George Washington University, poi al Gaucher College, alla John Hopkins University e infine alla George Mason University, dove tuttora insegno da nove anni.

Che discipline insegna? Ho due classi. I1 primo è un corso sul modernisnio russo e I'avan-

guardia dell'inizio del XX secolo che si chiama Le ilisioni clell'utol~ia; parlo delle correnti letterarie e studiamo anche la pittura, l'architettura, la musica, ... ascoltiamo Stravinskij. Ci siamo occupati anche del futurismo italiano e abbiamo letto i l manifesto di Marinetti. Il futurismo italiano comparve per primo e furono loro per primi a chiamarsi così. I russi erano molto diversi, non erano simili. I1 moviniento russo fu più forte e si chia- marono futuristi solo nelle immagini pubblicitarie, perché la gente cono- sceva già i l futuri\mo italiano.

Loro coltivavano una sorta di primitivismo, di neoprimitivismo urbano. Chlebnikov odiava la parolafiitlrrisnio, era un nazionalista russo, così chiamò i l movimento burler'ljane, mentre Mqjakovskii e Burljuk si cliiamarono cubofuturisti.

Il \econdo corso invece è puramente letterario, per gli studenti spe- cialiuti. Affrontiamo tematiche relative ai generi, per esempio il romanzo contemporaneo, il racconto come scuola della prosa, il grottesco. Ora sto tenendo un corso sul romanzo russo negli ultimi 200 anni. È una specie di workshop, per metà con lezioni tradizionali, per metà laboratorio in cui gli studenti scrivono delle cose loro.

Questo è un buon modo di lavorare. Posso dire che la slavistica americana è la migliore al mondo,

Russia compresa. Ogni anno ci sono molte conferenze e arrivano profes- sori da tutto il mondo, è un sistema molto interessante. È un'eredità della guerra fredda, la conoscenza della Russia in quanto nemico principale aveva una grande importanza. Mentre ora la situazione è diversa.

La musica è molto importante nella sua opera... Sì, allora, negli anni Sessanta ero fanatico di jazz e andavo a tutti i

concerti possibili. Ora continua a piacermi ma non sono più così fànatico, anche se mi piace ancora andare ai concerti nei locali. Mi piacciono anche vecchi gruppi rock, i Deep Purple, per esempio, sono ottimi musi-

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cisti. Oggi comunque ascolto soprattutto musica classica, mi piace molto la musica barocca, e l'Italia in questo ha un ruolo fondamentale, è il paese più importante per le attività creative dell 'umanità. Arriva tutto dall'Italia, comprese le scarpe migliori, il vino e il cibo.

Si può dire che il jazz ha rappresentato in Russia ciò che il rock ha rappresentato in Europa?

Il jazz giocò un ruolo particolare. Io direi che non era una questio- ne musicale, non del tutto, ma era una protesta contro il comunismo, con- tro il monocromatismo del sistema, e la gente andava ai concerti quasi come se fosse una religione. Molti cominciarono allora a professare la religione ortodossa o i culti occidentali, e non veniva fuori da sensazioni profonde ma era una forma di protesta. Lo stesso avvenne per i polacchi. La Polonia era in mezzo, i l jazz polacco era enormemente sviluppato negli anni Sessanta e Settanta e questo derivava dal rifiuto della cultura ufficiale.

Riguardo ai romanzi americani come Biirnn&lij pejzni? e SkaZ Izjum, questi segnano un cambiamento o ci sono in essi elementi di continuità con il passato?

C'è yna continuazione, una linea comune. C'è anche un altro romanzo, Zelrok jcdca, che è una parodia di tutto, una parodia della pere- strojka, una parodia del romanzo americano, una parodia delle ypjl stor-y. E' un piccolo lavoro metatisico. Poi ho cominciato a scrivere una trilogia che potremmo definire prosa convenzionale. E' un romanzo storico nato da un progetto per la televisione americana. L'idea era quella di un film documentario sui tempi di Stalin. Così mi proposero di scrivere la sceneg- giatura. Cominciai a raccogliere molto materiale, a lavorarci su. Poi il nuovo editore mi chiese di fare il yackaye e prima dell'uscita del film ... ma io non ero d'accordo. Così il progetto televisivo fu cancellato, ed io cominciai a scrivere liberamente un romanzo che sarebbe diventato Moskovs kcqn S~iga.

E dopo Moskovsknjn sngn? Dopo ho scritto un libro di racconti, Negtrtii~ polo.Zrel'tzo,qo ger-oja.

In seguito ho scritto un lungo romanzo che è stato pubblicato da poco in Russia, Slaclostrlyj no~'\ij stil'. 1,o definirei un romanzo americano perché è ambientato in America per l'ottanta per cento. L'eroe è russo, a metà tra Vysocki.i, Tark0vs.i e 1,jubimov. È un tipo artistico di questo genere che è capitato in America ... hanno chiuso i l suo teatro, lui è stato esiliato e si ritrova nella condizione di emigrante. All'inizio lavora in un parcheggio ed è come se fosse scomparso dalla superficie. Poi comincia lo sviluppo della sua origine americana, la ricerca delle sue radici ebraiche. Viene rin- tracciato da un suo fratello ..., un ricco imprenditore americano che è a

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capo di un'iinpresa. Que\to è un idealista, praticamente folle, una specie di filantropo la cui idea principale è quella di restituire i suoi soldi agli altri. Come lui dice: "noi prepariamo abbronzature per stupidi sionicti, al posto dei visi. [ C'è un gioco di parole tra glupcov I licov]

Perchè Dolce stil novo? I1 per5onaggio principale è molto appassionato di Dante e degli

scrittori del Trecento. È stato a Firenze dove è stato assorbito dall'idea principale della sua vita, fare un film su Dante. Lui ha sempre di fronte quel contesto, Beatrice, il dolce stil novo, e cerca di comprendere la meta- f'i\ica dell'amore. Tutto nel romanzo è metafisica, ci sono molte riflessio- ni sulla natura e sulla fisiologia umana.

Vpoiskach grlrsirtogo bebi lo ha scritto in inglese? No, in russo, è Zeltok jqjca che ho scritto prima in inglese. Che importanza ha Vpoiskach grirstrtogo bebi nella sua opera? In generale non molto grande, non lo considero uno dei miei libri

principali. È semplicemente un travel-log. È interessante per chi arriva in America, è una specie di guide book. Gli emigrati russi lo leggevano e dicevano: "Prendete Aksenov e leggete i l suo libro, lì c'è scritto tutto su come bisogna vivere in America".

I,ci lo ha letto in russo o in inglese? L'ho letto in russo. In russo è meglio, perché in inglese è stato tradotto seguendo i l

yolrtically cowect, la censura. Possiamo trovare in V poiskach grustrtogo bebi mutamenti che

ritroveremo nelle opere successiv$? Negli intermezzi intitolati "Strichi k buduSi-emu romanu" ci sono

dei riferimenti a Dolce ~ t i l noiJo, i personaggi che compaiono saranno quelli di Dolce stil noilo. Mi sono portato dietro per molto tempo le immagini e i peryonaggi di Dolce ~ t i l 1zoi1o, a cui ho lavorato a lungo, e quando scrissi Vpoisknch glust~zogo bebi c'erano già alcuni elementi del romanzo futuro.

I1 titolo Vpoiskaclt grrcstrtogo bebi si ispira a una canzone jazz? Sì, proviene dal film ainericano, un classico degli anni trenta, T l ~ e

r-ocir-ing tii.entiei. Dopo la guerra fu proiettato in Russia con un altro tito- lo, Sllcl'ba rolcl~rta iJ Anler-ike. Era uno dei film rubati dall'esercito russo a Berlino che venivano mostrati alla gente per guadagnare soldi, e questo fu un grande errore ideologico del compagno Stalin, non capì che questi film a\ rebbero inlluenzato i ragazzini della mia genera~ione.

E l'episodio del generale Kvarkin? Questa è una cosa molto interessante. Io in effetti ho un amico uffi-

ciale del Ministero degli Interni, poeta proSes\ionista che era membro

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I~~teri~istrr

delllUnione degli Scrittori e che è anche un fanatico incredibile di jazz, lui vive di jazz, colleziona dischi e conosce tutti gli autori. È lui i l prototi- po reale del personaggio del libro.

E la storia di d h z rtn kosijnch? Anche questo è un fatto reale della mia giovinezza. Allora non

c'erano dischi, così ce li stampavamo da soli usando le lastre radiografi- che. Era una cosa straordinaria. Questi dischi facevano fatica a girare, sia perché erano quadrati, sia perché non erano perfettamente piatti, così spesso mettevamo un bicchiere nel mezzo per farli suonare.

Fu un movimento di massa e ci fu anche un vasto commercio sot- terraneo.

Alla fine di Vpoisknch gritstnogo bebi c'è una trasfigurazione onirica della realtà ...

È legata al fatto che mi capitava spesso di fare dei sogni in cui ero seguito da qualcuno che mi voleva catturare. Nel libro al personaggio sembra di essere capitato in una situazione senm via di uscita, in una trappola kafkiana. All'iinprovviso vede una folla di persone, dei passeg- geri che assomigliano a dei comuni americani, e per unirsi a loro deve attraversare la Piazza Rossa. Sente una forte sensazione di agorafobia, ma come spinto dal vento attraversa la piazza, si mescola alla folla di passeg- geri e sente che il pericolo è passato.

A curcr (li Da,licle Vergllrino

NOTA

:g L'iiitervista P stata fatta nel mese cli novernbre clel 1997 attraverso colloc1~1i telefonici e rapporti epistolari.

V. P. Aksenov attualmente vive e lavora a Washington, dove insegna letteratura russa e teoria dei procedimenti letterari.

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Duvirle Vergnarzo

PROFILO STORICO-LETTERARIO DI AKSENOV

Vasilii Pavlovic' Aksenov nasce il 20 agosto 1932 a Kazan'. Figlio di esponenti del partito, arrestati negli anni del terrore staliniano, trascorre l'infanzia a Kazan' con una zia fino ai sedici anni. Nel 1948 raggiunge a Magadan la madre, la scrittrice Evgeni.ja Ginzburg, che è stata liberata dopo dieci anni di prigionia, per vivere con lei e il padre adottivo, Anton JakovleviC Val'ter, che lei aveva conosciuto e sposato durante la prigjo- nia. E' questo un periodo difficile e angoscioso, in cui Aksenov scopre I'oirore quotidiano dei gulag staliniani. La sua vita di adolescente a con- tatto con una realtà così disumana è ben descritta in OZogl (L'ir~tiorze) attraverso i l personaggio autobiografico di Tolja.

Così, come molti suoi coetanei, trascorre il tempo della scuola, tra ai-iiori e tristi scene di violenza, cominciando a comprendere la sua doppia condi7ione esistenziale di studente c di figlio di nemici del popolo e a sognare una vita libera e felice. Terminata la scuola, si trasferisce a K a ~ a n ' per iscriversi alla facoltà di medicina. Si apre così quello che potremmo definire il periodo felice della biografia aksenoviana, nono- stante stia per essere arrestato nel 1953 perché figlio di nemici del popo- lo, ma la morte di Stalin giunge inaspettata e salvifica. Verrà solo espulso dall'università per non aver specificato le sue origini familiari nella domanda di iscrizione, o almeno questa è, secondo Aksenov 2 , la motiva- zione ufficiale dell'espulsione. In realtà lui è uno dei tanti giovani liberi che cercano una collocazione nella vita seguendo i propri sogni e i propri

, desideri, cosa che rappresenta un fatto assolutamente nuovo per allora. Non bisogna dimenticare infatti che fino alla morte di Stalin anche solo immaginare di poter decidere in prima persona della propria vita era un sogno irrealizzabile. Per i "trasgressori" ci sono misure adeguate.

La nuova generazione dei giovani degli anni Cinquanta vive in modo molto simile, senza saperlo, alla Beat Generation americana di que- gli anni. A questo proposito sono interessanti i suoi racconti su quel periodo: «Vivevaillo assolutamente come beatniks, con tutti gli elementi della vita che loro conducevano a San Francisco. Andavamo in giro con i vestiti stracciati, a\coltavamo jazz, vivevamo in una comune, facevamo

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quadri astratti e tenevamo un quaderno su cui scrivevamo vari tipi di poe- sie trasgressive, bevevamo ballando il boogie-woogie e le ragazze veniva- no intrufolandosi di nascosto dalla finestra. Era veramente fantastico andare in giro nudi per la città e per le vie del centro.» 3

Dopo l'espulsione dall'università di Kazan' si trasferisce a 1,eningrado dove viene accettato alla facoltà di medicina, complice anche il nuovo clima politico che si stava diffondendo nel paese. La vita qui è travolgente, la gioventù è in fermento, cominciano a diffondersi le mode occidentali e le iniziative culturali, si formano gruppi musicali e letterari. Così racconta ancora: «Cominciai all'epoca ad andare in un club giovani- le nel quartiere Petr0gradski.i. Fu i l primo gruppo letterario a cui parteci- pai. Lì conobbi gli amici con cui avrei lavorato in seguito per molti anni: Evgenij Rgjn per esempio, uno dei "Metropolitani". I1 club era diretto dallo scrittore Dar, morto anziano anni dopo in Israele. Br0dski.i ci andava spesso da giovane, e c'era anche To!ja Ngjrnan, un giovane poeta molto brillante. Noi li chiamavamo i "ragazzi del17Achmatova."» -'

Le speranze degli anni Sessanta

Laureatosi, comincia a lavorare in un reparto di quarantena a Leningrado e nel nord della Russia. Ma la professione medica non è la sua vera vocazione, infatti a Voznesenie sul lago Onega comincia a scri- vere Kollegi (Colleghi), il suo primo romanzo, e alcuni racconti. Vladimir Pomerancev 5 legge alcuni suoi scritti, si entusiasma e li fa leggere a Valentin Kataev, all'epoca direttore di Junost' (Gioijiiiez:n), rivista pro- gressista e aperta ai giovani scrittori, che a sua volta decide di pubblicare nel 1959 i racconti Ncik~ Vera Ii~citzoi~nn (Lci tzo~trci Verti Ivtitloi~t~ci) e Asfcil'tovye clorogi (Le strncle a~fCiltate).6 Nel 1960 nasce 5uo figlio Aleksej, esce Kolleyi e Aksknov lavora come medico di bordo su una nave a Tallin. La piccola città gli suscita profòncle impressioni e lo ispira ad ambientare qui il suo secondo romanzo Zi~ei(11ljj bilet (Il biglietto ~ te l - ltzto), che uscirà, sempre su Junost', nel 1961, riscuotendo i primi succes- si in URSS, e che sarà tradotto in diverse lingue all'estero. Decide così di abbandonare la professione medica per dedicarri a tempo pieno alla lette- ratura. La sua notorietà era cresciuta moltissimo tanto da farlo entrare nella redazione di Noiyj Mir (Mondo N~rovo) nel 1962.

Zvezcltzjj bilet divenne il manifesto della nuova generazione, rive- landosi per questo un caso letterario che suscitò un acceso dibattito nella critica sovietica di allora. La rivista Oktjnbr' (Ottobre), di orientamento conservatore, denuncia il libro perché nocivo per l'educazione dei giova- ni. Nonostante i l "disgelo", i critici ortodossi sono ostili al cambiamento

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portato dalle giovani generazioni in ambito letterario e nella vita quotidia- na. Così descrive quest'atmosfera un responsabile dell'organizza7ione degli scrittori di Mosca, intervenendo alla sessione plenaria del settembre 1962: «Accusano la giovane letteratura di nichilismo, di essere spiritual- mente infida, la sospettano di tendere al ~nodernismo, all'occidentalismo, a un'eccessiva introspe~ione, alla rappresentazione dei lati oscuri della vita, all'ingratitudine per il nostro passato. [ ... ] Verrebbe da chiedere a qiiesti letterati: "Ma li leggete almeno i libri dei vostri compagni? e rico- noscete davvero nei fatti e non solo a parole, i l diritto e l'obbligo della letteratura di essere varia, vivace e cosciente delle proprie risorse?" Tendenza artistica comune alla giovane prosa è i l rifiuto del dilettantismo, dello scialbo descrittivismo. [ ... ] E' i l rifiuto di un chiacchiericcio incon- tiollato, la lotta contro l'infiltrazione nella prosa di luoghi, parole, banali situazioni comuni. In questo senso la nostra giovane prosa è vicina alle migliori tradi~ioni rivoluzionarie della letteratura sovietica e si oppone polemicamente e decisamente al flusso di letteratura mediocre che ha a\ uto una così va\ta diffusione nell'epoca del culto della personalità». 7

Le resistenze ai mutamenti profondi che i giovani scrittori portano sono evidenti in ogni settore della sfera culturale. Alcuni mesi dopo la

, sessione letteraria moscovita ci fu una mostra di giovani artisti al Maneggio di Mosca, organizzata dal Comitato Centrale del partito, proba- bilmente con lo scopo, secondo Gladilin, di poter attaccare pubblicamente

; gli esponenti del rinnovamento. Anche lo stesso ChruSCev visita la mostra senza risparmiare critiche e invettive contro quelli che definisce «schifosi astrattistin. Nei primi mesi del 1963, racconta sempre Gladilin, furono organizzati incontri ufficiali tra partito e iritelligencija creativa che videro anche il coinvolgimento diretto di Aksenov nelle discussioni, accusato ingiustamente, insieme a molti altri, di anticomunismo. Le riunioni si chiusero con la sconfitta dei "giovani" che dovettero ammettere i loro errori per poter continuare a vivere.8 Mettersi contro i l partito significava perdere la possibilità di pubblicazione, non poter viaggiare all'estero, pra- ticamente ritrovarsi senza mezzi di sostentamento.

Aksknov è ormai famoso e tradotto in tutto il mondo, la sua produ- ione letteraria cresce di anno in anno, ma, con la svolta repressiva del 1963, nei rapporti con il potere qualcosa comincia a incrinarsi. Per poter continuare a scrivere dichiara pubblicamente sulla P r a i ~ l ~ i (La Veritd) il suo riallineamento alle direttive del partito. I1 cosiddetto rinascimento culturale dei primi anni Sessanta si rivela ben presto fittizio, quantomeno nella realtà dei fatti. Si manifesta quello che potremmo definire il para- dosso del potere, i giovani scrittori, che alla fine degli anni Cinquanta si erano imposti nel clima di liberalismo e di apertura della società, entrano

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Akseriov

a far parte dell'establishment letterario, il che significa uniformarsi, sotto- stare alla censura, in qualche modo rinunciare alla libertà creativa indivi- duale.

Le opere successive di Aksenov risentono solo in parte degli obhli- ghi formali e contenutistici imposti agli scrittori, in quanto la sua tenden- za al cosmopolitismo e le sue aperture culturali lo portano a ricercare nuove forme letterarie che esprimano, in un clima politico e sociale ormai mutato, le tensioni e le ritlessioni filosofiche sull'uomo e sull'esistenza, che saranno un tratto caratteristico della sua produzione futura. Non va comunque dimenticato che le opere che d'ora in poi pubblicherà saranno sottoposte costantemente alla censura degli organi culturali, risultando quindi molto spesso mutilate o corrette per la pubblicazione.

Nel 1963 esce su J1111o~t' i l romanzo Apel'sirzv iz Mcirokko (Arcirzce dal Marocco), in cui si manifestano mutamenti Mistici e tematici, come I'esotismo e l'avvicinamento al fantastico, che saranno caratteristici delle sue opere future. Nello stesso anno visita con una delegazione culturale l'Argentina e il Giappone lasciando testimonianza dei viaggi nei libri: Japonskie zametki (Note giapponesi) del 1963 e Pocl rzebonz zrzojrloj Argentirzy (Sotto il cielo rorriclo urgentino) uscito nel 1966.

Nel 1964 pubblica i l romanzo Porc~, nzoj clnrg, porcr (E ' tempo, amico mio, è tetnpo) una storia d'amore tra lo scrittore Valentin e la regi- sta Tan.ja. Lui parte per la Siberia a lavorare come trattorista, convinto realizzatore del socialismo e sognatore di un mondo diverso mentre lei vive da bohemienne negli ambiente del cinema. Alla fine il loro amore si rivela un idillio impossibile e crea un vuoto in Valentin che si rende conto che non gli basta la creazione di una società collettiva per vivere.

Verso la metà degli anni Sessanta la sua prosa diventa più comples- sa, i temi maggiormente ricercati, l'ironia e il grottesco strumento di criti- ca sociale. E' il caso della novella Dikoj (Il selilaggio) che esce su J~rrzost' nel 1965, in cui un misterioso inventore che vive iwlato dal mondo costruisce una macchina segreta che simboleggia l'imperscrutabilità delle dinamiche storiche. Nel racconto Pobeclci ((Vmria), pubblicato sempre su Junost' nello stesso anno, la partita a scacchi che si svolge casualmente tra un campione e un dilettante, e che vede la vittoria di quest'ultimo, è una critica celata della realtà sovietica.

La situazione politica in URSS si fa di anno in anno più repressiva, nel 1964 il poeta Josif Brodskij viene arrestato e condannato a cinque anni di confino, con l'accusa di parassitismo. Nel 1966 si apre i l processo penale a Ju. Daniel' e A. Sinjavskii, arrestati l'anno precedente per aver pubblicato all'estero alcune loro opere, che verranno condannati rispetti- vamente a cinque e sette anni di lavori forzati per propaganda reazionaria

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contro lo stato sovietico. I1 caso provocò vive proteste sia all'estero che in URSS. Aksenov sottoscrisse insieme a molti altri scrittori una lettera al governo che la ignorò, e adottò san~ioni di vario genere contro i firmatari. Un mese dopo, nei giorni precedenti l'anniversario della morte di Stalin, si diffuse la voce negli ambienti letterari che ci sarebbe stata una manife- starione al mausoleo il 5 marzo. Aksenov, G. Vladimov, Junna Moric, A. Arkanov e A. Gladilin andarono sulla piazza Rossa per curiosare. Probabilmente era una trappola, in quanto sulla piazza li attendevano agenti del KGB. I1 gruppo si allontanò ma venne assestato da una druiina del Komsomol che li trattenne per qualche ora prima di rilasciarli.9 Episodi dei genere non erano infrequenti e bene descrivono il clima di quegli anni in cui i rigurgiti dei metodi staliniani continuano a farsi senti- re sia in letteratura che nella vita quotidiana. Le inanifestazioni culturali giovanili sono spesso ostacolate, la musica e i concerti sono visti come veicoli di propaganda antisovietica e qualsiasi tentativo di libera espres- sione viene subito sedato con la forra.

L'uniformità apparente della società sovietica nascondeva una realtà 5otterranea parallela, variegata e attiva in molti ambiti culturali. La musica jazz e i poeti-cantautori diventano la voce della resisten7a cultura- le e libertaria.

I,a produzione aksenoviana della seconda metà degli anni Sessanta si caratterizza per l'allontanamento sempre maggiore dalla narrazione realistica, per l'utilizzo del làntastico e del grottesco come strumenti di critica sociale. L'ironia, nella scia della tradizione letteraria russa ottocen- tesca, si rivela l'unica possibilità concreta di aggirare la censura.

Esempio di questa trasformarione è Stal'rzaja ptica (L'ilccello tl'cicciaio) del 1965, opera censurata in URSS, in cui le ricerche contenu- ti4tico-formali di questi anni trovano uno sbocco. Allegoria della vita sovietica, narra le vicende di un uomo soprannominato "L'uccello d'acciaio", essere ibrido semiumano che stabilitosi in un palazzo mette lo scon~piglio tra gli inquilini, combinando una lunga serie di guai, per poi scomparire in modo misterioso. Di atmosfera bulgakoviana, è una satira feroce della tirannia che distrugge l'arte, cambia la storia e annienta l'umanità.

Nel 1968 esce su Jii~zost ' i l romanzo breve Zatovarenrzaja Bo&otcrr.~r (Botti vuote in ecceclenca), opera significativa per lo stile e per le tematiche affrontate. Un gruppo di personaggi viaggia per la Russia dentro delle botti per una destinazione ignota. La narrazione si svolge attralerso i sogni dei personaggi, alla ricerca dell'Uomo Buono che tutto si4temerà nel inondo. Anche in questo caso il grottesco e i l fantastico uniti a una srittura sperimentale e frammentaria servono a rappresentare i

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Akseriov

paradossi e le assurdità della vita sovietica.

Dalla disillusione all'emigrazione

I rapporti con il potere si fanno più difficili e di conseguenza le pubblicazioni diminuiscono. Per Aksenov comincia una nuova fase lette- raria e biografica in cui lo scontro con le autorita sarà sempre più impos- sibile da sostenere. Comincia con gli anni Settanta quella che potremmo definire la fase di completa disillusione sul presente e sul futuro, che cul- minerà nell'esperienza sofferta dell'emigrazione, destino comune di molti scrittori suoi contemporanei.11

La sua produzione letteraria continuerà a essere cospicua, ma solo una minima parte di questo materiale sarà pubblicato in URSS.

Del 1972 è la novella breve Zolotajci naScr 2elezhu (Il rro~tro ferro- vecchio [l'oro), pubblicata solo parzialmente in URSS, lavoro importante nel quadro delle opere maggiori successive. I,a trama si basa sull'episo- dio della caduta del famoso meteorite della Tunguska in Siberia nel 1908. Poco si sa dell'accaduto e tra le varie ipotesi qualcuno sostiene che i l cra- tere formatosi sia dovuto alla caduta di un'astronave extraterrestre.1' Partendo da quest'ipotesi Aksenov costruisce una storia fantascientifica che è anche una parodia della ricerca scientifica segreta sovietica. Cele- mento importante ancor più della trama è la creazione di personaggi che compariranno in seguito in altre opere e che rappresentano simbolican~en- te, al di fuori dell'opera, la generazione di Aksenov. In un certo senso queste figure potrebbero essere viste come archetipi letterari che diventa- no metafore politiche intertestuali.

Nel 1974 Aksénov è invitato in California per un ciclo di letture all'università di Los Angeles. Riuscirà a partire per gli Stati uniti, dopo varie trafile burocratiche, all ' ini~io del 1975. Da questo viaggio nasce Kr~lgble slrtki non-rtop (Giorrlo e rzotte non-stop), uscito su Noilyj Mir nel 1976, una sorta di diario sull'America, a metà tra l'autobiografia e la fin- zione letteraria, che anticipa il romanzo autobiografico V poiskrich g r ~ i ~ t - nogo bebi.

Nel 1978 gli viene tolta definitivamente la possibilità di pubblica- zione. Lo stesso destino tocca altri scrittori considerati troppo occidentali e antisovietici. Non resta che la pubblicazione clandestina. Lo scontro con il potere è ormai aperto, le uniche possibilità di sopravvivenza sono I'autocensura e l'uniformazione totale, oppure l'emigrazione.

Con Andrei Bitov, Viktor Erofeev, Fazil' Iskander ed Evgeni.1 Popov decide di raccogliere gli scritti più significativi del periodo nell'almanacco letterario Metropol' (Metropoli), di cui fiirono fatte di\ er-

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se copie dattiloscritte.1' La loro intenzione è quella di pubblicarlo seguen- do le procedure ufficiali, scavalcando però l'Unione degli Scrittori, che controllava le pubblicazioni. La repressione statale è durissima, la pubbli- cazione in Unione Sovietica viene proibita. I1 gruppo decide allora di pubblicare clandestinamente l'almanacco all'estero. Alcuni componenti del gruppo vengono arrestati, altri sono costretti ad abbandonare il paese. Aksenov viene espulso dall'unione degli Scrittori, vengono ritirati i suoi

. libri dal commercio e gli viene consigliato dalle autorità di lasciare il paese. Nel 1980 divorzia dalla prima moglie, si risposa con Maja Karmen ed emigra in Occidente. Risiede per alcuni mesi in Francia prima di stabi- lirsi negli Stati Uniti. Nel 198 1, privato della cittadinanza sovietica, chie- de la cittadinanza americana. Tuttora risiede a Washington, dove lavora.

Dall'esilio ai nostri giorni

Dopo l'emigrazione ha inizio la pubblicazione in occidente delle opere censurate degli anni Sessanta e Settanta. Escono le commedie Stnl'nnj~r ytica del 1965 e Cervre Ten-ercrnzenta ( I qrrattro renlpercrnzerzri) del 1967, e soprattutto le due opere più importanti della produzione akse- noviana: i romanzi O?og, scritto fra i l 1968 e il 1975, e Ostroil Kynz (L'5olri (li Crinzeu) del 1977- 1979, pubblicate in Occidente rispettivamen- tenel 1980enel 1981.

O?og, una delle sue opere migliori, è un romanzo in tre libri sul presente e sul passato della Russia, in cui la storia recente e I'autobiogra- fra si fondono, creando un affresco bulgakoviano della vita e della società sovietica tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta.

Innovazione e sperimentazione linguistica sono alla base del lin- guaggio cosmopolita e non convenzionale, in cui coesistono arcaismi let- terari, parlate gergali popolari e termini stranieri, dei cinque personaggi principali e del bambino Tol.ja, che costituiscono le voci narranti del testo e i diversi punti di vista dell'autore. Pante1e.j lo scrittore, ChvastiEev lo scultore, Malkolinov il dottore, Kunicer lo studente e Samson il jazzista hanno tutti lo stesso patronimico Apollinarevie, molto diffuso durante gli anni dello stalinismo, che li accomuna per rappresentare la generazione aksenoviana degli anni Cinquanta. La voce di Tol,ia è la memoria del pas- sato, autobiografia collettiva e testimonianza degli orrori staliniani. Tolja è anche i cinque personaggi, in quanto la loro memoria coincide con quel- la del ragazzo, pus essendo questi, nel presente della narrazione, persone diverse accomunate dal medesimo destino.

I,e diverse voci non sono separate nettamente da un punto di vista spazio-temporale ma si alternano in modo imprevedibile, creando conti-

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nuamente rimandi intertestuali e storici, che vanno dalla cultura greca e latina alle letterature occidentali contemporanee. Autobiografia, memoria storica, finzione letteraria, introspezione psicologica, immaginazione, riflessione tilosofica e trasgressione, si mescolano nel libro come in un caleidoscopio, aprendo degli squarci sul passato più recente, sulla cultura e sulla storia russe, che diventano riflessioni generali sul senso della vita, sull'uomo e sul suo destino nel mondo.

Se confrontiamo OZog con le opere scritte contemporaneamente e che furono pubblicate in URSS tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, ci rendiamo conto subito di quanto diversa fosse la vita reale dell'epoca, rispetto alla letteratura che avrebbe dovuto rispecchiarla e all'informazio- ne governativa che la distorceva.1'

Traspare il senso di denuncia dell'opera, che diventa per i l lettore occidentale, e non soltanto, una finestra sulla storia, mostrandoci situa~io- ni che fanno riflettere sulla libertà e sulle condizioni terribili di vita di milioni di persone ieri come oggi, nel mondo.

Un altro libro importante, l'ultimo del periodo sovietico, è O~troil Knlnz, un romanm fantastorico, ambientato nel presente. Partendo dagli eventi della guerra civile russa, Aksenov immagina che la Crimea, ultima roccaforte bianca a cadere alla fine del 1920, resista a l l ' avan~a ta dell'Armata Rossa e si sviluppi come uno stato capitalistico occidentale, al di fuori del controllo sovietico.

I1 protagonista principale è Andre.j Luc'nikov, figlio di un ufficiale bianco, direttore della testata giornalistica più importante dell'isola, pro- totipo del magnate occidentale illuminato e colto. Suo figlio Anton è un rappresentante della nuova genera~ione contestataria e trasgressiva dell'isola. Ci sono anche due figure femminili principali, legate entrambe ad Andrei, Tania, un'ex campionessa sportiva, che fa la commentatrice televisiva a Mosca, e Cristina, una studentessa americana volontaria di Amnesty Inteinational.

La trama del romanzo verte sull'idea di riunificazione politica e culturale dell'isola con l1URSS, rappresentata dal partito dell'Omogenea Sorte, il cui ideatore è Luc'nikov, e che propone l'unità culturale con la madre patria. Dopo avventure da thriller internazionale tragicomico, sto- rie d'amore, acute riflessioni storiche e politiche, il libro si chiude con l'invasione militare dell'URSS che così "accetta" la proposta di riunifica- zione.

Tematicamente Ostroi~ Krym segue O20g nella critica al17URSS, spostando però dalla politica e dall'autobiografia il punto di vista dell'autore verso l'arte e la visione fantastica della realtà e della storia. Cuso dell'espediente fantastorico serve ad Aksenov per dimortrare che se

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anche la storia avesse preso altre direzioni la tirannide sovietica non sarebbe stata comunque evitabile. Si spiegherebbe così l'atteggiamento paradossale dell'eroe del romanzo, che pur essendo un liberale e occiden- talista convinto, favorisce la riunificazione tra Criniea e URSS senza tener conto dei rischi che ciò comporta. Forse Aksenov vuole rappresen- tare anche l'altra faccia della Russia, quella nostalgica, niessianica e idea- lista, che vede nel170ccidente le cause della propria decadenza. In questa dimensione sembra essere collocato i l sogno idillico premoderno di Arsenij Lui.nikov, padre di Andrei, che invita Tanja a visitare le sue pro- prietà ancora incontaminate dall'imperialismo ameRcano.15

Al teinpo stesso la Crimea immaginaria è una mini-America che rappresenta i l limite estremo della sua visione letteraria del mondo, in cui i miti occidentali degli anni Sessanta si strutturano in una realtà fantastica e paradossale, quasi premonitrice del suo destino futuro.

Da un punto di vista formale e linguistico in que\to romanzo conti- nua la sperimentazione stilistica degli ultimi anni, che mette insieme parole interna7ionali e gergali, lingua poetica ed espressioni volgari della lingua parlata quotidiana, per rappresentare non più soltanto la sua espe- rienza nel contesto sovietico ma per affermare definitivamente la sua appartenenza alla cultura letteraria mondiale.

I,a prima opera scritta in America è SvijaZk ((Il ilillaggio cli Silila2h), un racconto breve del 198 1, che basando4 sull'episodio auto- biografico del battesimo dell'autore racconta la storia del personaggio principale, l'allenatore di pallacanestro Oleg Satkovskii, che, scosso dalla morte di un suo giocatore, trova nella religione un conforto e un senso. Partendo da un ricordo di giovine~za, in cui lui e l'amico JaSka, durante un campeggio dei pionieri nel villaggio di Svi.jaik, fuggono per vedere un'antica chiesa che li aveva attratti, ricostruisce il suo passato, scopren- do di essere stato battezzato proprio in quella chiesa. Con la serenità della fede torna a vivere come prima, manifestando pubblicamente la sua con- versione all'inizio di una partita ufficiale, facendosi il segno della croce in diretta televisiva, imitato spontaneamente dalla squadra, sfidando così apertamente l'ateismo di stato.

L'atmosfera di questo libro è diversa rispetto alle opere degli ultiini anni. Lo svolgimento degli eventi è molto lineare e il linguaggio piano, a tratti arcaico, enfatizza bene l'atmosfera religiosa del racconto. Molto suggestiva è la descri~ione della visione della chiesa in lontananza, che seiiibra comparire dalle acque come la leggendaria città di Kitei.16

Nel 1982 collabora con l'Istituto Kennan di Studi Avanzati Russi a Washington D.C., che gli concede una borsa di studio per scrivere il ronian~o Buriiazii\~j pejzai (Pneicrg~io canaceo) , pubblicato dalla casa

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editrice Ardis nel 1983, che ritlette la sconfitta della generazione degli anni Sessanta. L'eroe del libro è l'ingegnere automobilistico Igor' Velosipedov, un ingenuo cittadino modello che vive "annaspando tra le onde del mare cartaceo \ovietico".l7 Per ottenere una dacia, una macchina e la possibilità di fare un viaggio all'estero, firma una lettera di condanna contro Sacharov e Solienicyn. Esaudite le sue richieste, perde gli amici che lo ripudiano come traditore degli ideali libertari dell'intelligencija progressista. Rimasto solo, comincia a rendersi conto della realtà che lo circonda, allora scrive un'altra lettera a Rreinev in cui ritratta le sue posi- zioni, denunciando l'oppressione culturale nei confronti dei dissidenti, l'invasione della Cecoslovacchia e chiedendo maggiori libertà politiche e sociali. Questo gli costerà il licenziamento e la condanna a dieci anni di lavori fo r~a t i . Liberato nel 1983, emigra negli Stati Uniti. I,a sconfitta della generazione aksenoviana è ormai compiuta

L'idea del titolo è legata all'immagine dei mucchi di manoscritti sparsi per l'alloggio moscovita della vicina, copista di samizdat, che a lui sembra simile a una veduta dei grattacieli di Manhattan.

Legate ancora alla car ta sono le riflessioni f i losofiche di Velosipedov, sviluppate frequentando un corso di yoga, attraverso le cluali giunge alla conclusione che l'uomo, oltre ad avere un corpo fisico, uno astrale e uno spirituale, è dotato anche, nel mondo contemporaneo, di un corpo cartaceo creato dal potere burocratico.

In quest'opera compaiono per la prima volta risvolti autobiografici che riflettono ancora la vita sovietica, anche se in modo più distaccato e ironico, ma soprattutto le prime esperienze della vita americana. La con- dizione di emigrato delle prime opere americane non è più solo un motivo letterario ma diventa un riflesso della sua nuova esistenza.

Lo stesso Aksenov, in un libro succe\sivo sull'America, ricostruen- do la genesi di B~lnzcrBl?,j pej:ciZ, fa riferimento all'emigrazione di Velosipedov 18.

Un aspetto nuovo dell'esperienza americana per Aksenov è quello relativo alla professione d'insegnante universitario. Infatti fin dal suo arri- vo in America ha tenuto seminari e conferenze in quasi tutti gli stati ameri- cani, occupandosi dei problemi della storia e della cultura russa. L'essere a contatto con dei giovani che poco conoscono la letteratura e la storia russe lo incuriosisce e lo stimola a trasmettere le sue esperienze, fedele all'idea della comunicazione fra culture e sistemi che gli è sempre stata proprial9.

Parallelamente allinsegnarnento continua la produzione letteraria. Nel 1985 esce SXciZi icjlrnl (Sorr-itler-e prego), il suo secondo romanzo americano, scritto tra il 1980 e i l 1983 durante i suoi viaggi per L'America. La storia riguarda un gruppo di fotografi sovietici alle prese

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con la pubblicazione di un album fotografico autoprodotto. I1 progetto tàllisce per l'intervento repressivo del KGB che sequestra le copie illegal- nlcnte stampate e arresta alcuni componenti.

Dietro alle vicende fotografiche c'è la storia di Merropol' e la sconfitta della sua generazione e dei gruppi culturali degli anni Settanta. Molti sono i riferimenti autobiografici, stemperati nella finzione lettera- ria, su cui sembra vertere maggiormente il suo interesse. Così come in Bzana5ljij pejzai, la narrazione procede linearmente, creando un'atmosfe- ra da film giallo, in cui l'autore interviene con osservazioni relative alla costruzione narrativa. La sperimentazione linguistica è rivolta non tanto al processo di frammentazione dell'intreccio tipico delle opere preceden- ti. ma al linguaggio in sé, ai giochi di parole e all'ironia attraverso i nomi.

Nel 1987 esce V poirhach grustnogo Debi ( I n cercn di B ~ i b ~ l Melcincolici), un romanzo sull'America scritto tra i l 1984 e il 1985, incen- trato sulle esperienze letterarie e autobiografiche dell'emigrazione. Le dexrizioni del17America sono continuamente raffrontate con la vita e la società russe, tanto da sembrare questi parallelisimi costruiti apposita- mente per un ipotetico lettore sovietico. Un secondo livello dei libro è incentrato sul passato e sulla memoria, che si manifestano attraverso dei paragrafi retrospettici sul 1953, che compaiono nel testo quasi come stac- chi cinematografici, similmente alla frammentazione narrativa e agli slit- tamenti semantici di Oiog. Un terzo livello dell'opera è quello del ronian- LO vero e proprio, la cui struttura in paragrafi disgiunti, che compaiono nel libro mescolati ai due livelli precedenti, assume una valenza ~netalet- teraria. In realtà questi paragrafi sul romanzo sono riferimenti a un'opera futura che AksEnov sta scrivendo parallelamente ai diari americani e ai ricordi moscoviti del libro.

Tra il 1986 e il 1989 Aksenov scrive il romanzo A l t o k jajca (Il rosso (lell'z101~o), una parodia del genere della storia di spionaggio ambientata a Washington durante la Perestrqjka.

Nel 1991 esce Moskoilsknja saga (Urlrr scrgrr ~noscoi~irci), un lungo roinanro storico in tre libri che ripercorre gli eventi della rivoluzione d'Ottobre fino al dopoguerra. L'idea nasce da un progetto di un documen- tario sui tempi di Stalin. I1 progetto faIlisce, così Aksenov riadatta i mate- riali della sceneggiatura facendone un libro.

Nel 1996 esce in Russia il libro di sacconti Negariv yolo~relrzogo geroja (Il negntiilo di un eroe posirii~o).

L'anno successivo esce, sempre in Russia, Novvj slarlo~rr!j stil' (Dolce stil ~loilo), che è il suo ultimo romanzo pubblicato.

Attualmente Aksenov vive a Washington dove insegna alla George Mason University.

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NOTE

1) Aksenov, Vasilij PavloviE. Oiog , in Sobrt~r t i~ so&riertij, toin 3, Moskva, Jiinost', 1995, p. 212.

Trad. it. a ciira di G. Buttafava e S. Rapetti, L'iistiorie, Milano, Monclaclori, 1980, p. 214.

«Tolja andava per gli scricchiolanti marciapieeli di legno di corso Stalin con passo elastico, libero e leggero: sportivo e fiiturista insieme, era al tempo stesso un nor- male scolaro sovietico come tutti gli altri e non l'iiltimo nato cl'una perficla fainigliola di serpenti e non una mela che tanto lontano dall'albero non piiò comunque cadere ...

Solo in seguito si rese conto con quale disgusto li dovesse sopportare la terra del Dalstroj e che strana misericordia avesse esercitato nei loro confronti la figlia predi- letta di questa terra, la città cli Magaclan.»

2) Cfr. Lauridsen, I., Dalgard, P,, "Interview with V. P. Aksenov". In: Mozqjko E. (editor). Vcrsiliy Prri~loi~ich Akserioir: a irvritrr irt qilest of hiritse& Columbus, Slavica Publishers, 1986, p. 17.

3) Ibid. pp. 16- 17. 4) Ibid., pp. 17-18. 5) Vladiinir Pomerancev è l'autore clell'articolo, 0 b iskrvitnosti i , litercitiire

(Della sir~c~ritir irt Iett~)atirru), pubblicato siilla rivista N o i ~ j Mir (n. 12, 1953), in cui per la prima volta viene denunciata la censura letteraria clel realismo socialista. L'arti- colo è significativo perché segna l'inizio di una fase di rinnovarnento culturale e di cri- tica del passato staliniano.

6) I.auridsen, I., Dalghrd, P,, "Interview with V. P. Aksenov". op. cit., pp. 18-19. 7) Gladilin, Anatolij. Lri rltirr ,qertrrtrrioirr letter(rritr, Milano, Jaca Book

Edizioni, 1980, pp. 1 17- 1 18. 8) Ibid., pp. 127- 132. 9) Ibid., pp. 159-161. 10) Aksenov, Vasilij PavloviE. V /~oisktrclt griistriogo bebi, Moskva, Tekst,

1991, p. 295. «Ilja Suslov si inise a raccontare dei primi concerti al c a f c "Aelita" sulla

Sadovaja-SamoteEnaja. Era un posticino combattivo all'inizio degli anni Sessanta. Fu cancellato dalla faccia della terra con i bulldozer.»

11) Aksenov, Vasilij PavloviE. OZog, op. cit., p. 405. Tracl. it. L'iistiorte, op. cit., p. 413.

«La vita nel nostro paese, dopo i processi politici, l 'occupazione della Cecoslovacchia e la rinascita dello spirito stalinista, diventava di giorno in giorno sem- pre più soffocante. I1 mio icleale di socialismo clemocratico era completamente distrutto. Tutto il nostro movimento clegli anni Sessanta era finito, la nuova ondata si era trasfor- mata in una pozzanghera.»

12) Cfr. Johnson, J. J. "V. P. Aksenov: a Literary Biography", in Moz-jko, E.

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Cverc/el,e/

k l e r i n Fernlro

ALCUNI ASPETTI DELLA CREAZIONE EPISTOLARE DI MARINA CVETAEVA

1

Nell'ottobre del 1976 lo scrittore Predrag Matveevic' incontrò Viktor Borisovii. Sklovskii ed ebbe con lui una conversazione all'albergo "Mosca" di Relgrado. Parlarono della lettera come genere particolare nella letteratura russa:

«Quando scrisse Zoo, Sklovskii era consapevole che i procedimenti tradizionali del romanzo erano esauriti, gli sembrava che "solo il romanLo epistolare potesse salvare il romanzo". Aveva letto con passione Letrere (li urza suorcr portoghese, Relrrziorzi pericolore, Lettere persiane, L(i Nuova Elois~r, Pamela, naturalmente, il Wertller e I'Orris, Povera yenre di Dostoevski,j e le Eroclicrcli di Ovidio, nonchì: le Epistole degli Aposroli del Nuovo Testamento. Non attribuiva importanza alle "distinzioni di gene- re". Gli interessava il "materiale letterario": le lettere sono un genere par- ticolare, 'poesia senza rima e senza ritmo1»'

Negli anni Venti SklovsQi fu uno dei fondatori del rneroclo forrizrrle nello studio della letteratura e un protagonista di quel prodigioso rinnova- mento della cultura russa che dagli inizi del se010 non conosceva stan- chezza. Nella conversazione con Matveevii., Sklovskij parla anche di Marina Cvetaeva, che esordì come poetessa in quell'epoca straordinaria, e delle sue lettere:

$Le lettere caratterizzano non solo la letteratura, ma l'intera cultura russa. Sklovskij ricorda dapprima I'epistoJa di Fonvizin Al nzio irzrelletto, la Letterufilosqficn a causa della quale Caadaev fu dichiarato pazzo. Un duro ammonimento alla Russia. "Le Lettere eli lrrz i.~iciygicitore russo di Niko1a.j Karamzin aiutarono la lingua letteraria a formarsi". Da un lato ci sono le Lettere eli loz i~eccl7io conzpcigrzo di Herzen, che infrangevano I'or- dine tradizionale: dall'altro, i Brani scelti rlellri corrirporzclerzzcr con gli anzici di Gogol', che difendevano la tradizione. La lettera con cui Be1inski.i attaccò Gogol' "fu decisiva".

Viktor Borisovii. è servito bene dalla memoria.

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Enumera lettere e corrispondenze del nostro secolo in Russia. Dapprima la Corrisl?onclenza (l(! una nngolo all'altrn, che "in una comu- ne s t ama di ospedale si scambiarono Vjac'eslav Ivanov e Michail Gerienson" a Mosca, nel 1920. Le lettere di Kuprin a LunaEarskij ("LunaEarskij non potè soddisfare le richieste di Kuprin, neanche le sue venivano accolte"). La lettera di Maksim Gor'kij ad Anatole France in occasione del processo contro gli SR nel 1922: "Non si sa se esiste anco- ra". Le lettere che inviarono a Stalin Bulgakov e Zamjatin per andare all'estero: Pil'njak, Belyj, la Achmatova, ZoSCenko, Libedinski.j, Lilja Brik e tanti altri per restare in patria. La lettera di Pasternak a ChruSc'ev "che nonostante lutto, fu pubblicata sulla Pravda". Io aggiungo: la lettera teftamentaria di 1,enin che non si osò pubblicare né leggere davanti ai membri del partito, la lettera di Bucharin "alle future genera~ioni", che la Larina imparò a memoria e poi distrusse, le quattordici lettere de La filo- sofia clell 'ugu~~glian: con le quali Bercljaev regola i conti con la rivolu- zione, le lettere della Cvetaeva, che non giunsero in Russia, le lettere che sua figlia Ariadna scrisse a Pasternak, le lettere di Pasternak ...

Senza la letteratura epistolare non è possibile immaginare l'intera letteratura russa.»'

La citazione di queste opere della letteratura epistolare russa rende bene l'idea della lettera come genere ibrido. Molte di esse appartengono

, più alla storia che alla letteratura, oppure appartengono alla letteratura in un senso che non siamo soliti darle. Le lettere di Marina Cvetaeva appar-

! tengono alla duplice dimensione testuale cui ho appena accennato. Hanno inscritto in sé sia il contesto esistenziale nel quale sono state scritte sia la traccia di una incessante ricerca formale da parte della poetessa.

Fra i molti modi possibili, le lettere della Cvetaeva possono essere considerate anche dal punto di vista del loro processo creativo, della loro attitudine a farsi scrittura - letterariamente valida - al di fuori della lettera- tura. Un bisogno intoglibile di scrivere caratterizza la personalità di Marina Cvetaeva e si ripercuote senza indulgenza sul suo tragico destino. Un destino nel quale risalta soprattutto la lotta contro il quotidiano, che ai suoi occhi rimaneva incomprensibile e insostenibile - per troppa lucidità.

Le lettere di Marina Cvetaeva costituiscono una delle parti più affascinanti della sua opera. Se ne sono accorti studiosi russi e slavisti di molti paesi. In Russia si vanno riscoprendo gli epistolari di molti autori dei primi decenni del secolo. L'epistolario della Cvetaeva è fra quelli che si ammirano e che colpiscono di più. In esso si apre lo spazio indefinito di una scrittura per molti versi abbacinante, movimentata, sottratta al mondo - vale a dire a tutto ciò che non è poesia e letteratura - e dal mondo stesso rinnovata.

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I1 grande studioso sovietico Jurij Micha,jloviC Lotman ha indivi- duato nel processo analitico di decodificazione di un'opera letteraria quat- tro posizioni essenziali del destinatario, fra cui la decodificazione di un testo che non è stato prodotto per finalità artistichez. A molti anni di distanza dal periodo in cui vennero scritte sia per necessità di vita che di scrittura, le lettere di Marina Cvetaeva sono state investite oggi di una funzione estetica che avvalora i messaggi e i procedimenti artistici in esse contenuti.

Frutto di un'esistenza dedicata interamente alla poesia, hanno cominciato ad essere raggruppate e pubblicate su riviste russe e non russe a partire dagli anni Sessanta. E' questo il periodo in cui riaffiora in KusGa la poesia e l'opera di Marina Cvetaeva, ingiustamente trascurata per decenni. L'interesse per ogni suo scritto rimane da allora vivissimo, lettori appassionati aumentano, non li frena l'innegabile ditlicoltà della sua scrit- tura, inconfondibile in prosa come in poesia, nelle lettere e nei saggi:

"L'indipendenza spirituale, il tragico destino e l'intensità poetica contribuirono a fare di lei il poeta più amato dalla gioventù sovietica degli anni Sessanta e Settanta."J

I curatori e gli editori di raccolte di lettere cvetaeviane hanno fino- ra preferito raggrupparle secondo il destinatario, sebbene vi siano state anche edizioni che seguono un ordine cronologico, fra cui quella italianas. Molte delle lettere pubblicate soffrono qua e là di tagli e omis- sioni più o meno arbitrari. La tenden~a negli ultimi anni e di pubblicare integralmente, su rivista, le lettere che continuamente affiorano dagli archivi, in vista di quello che sarà l'avvenimento più atteso, l'apertura del- l'archivio cvetaeviano custodito allo CGALI e chiuso fino al 2000 per volere della figlia Ariadna. I,e edizioni in volume tendono invece a sotto- stare a criteri di resa artistica, si accorpano di solito le lettere più signifi- cative e più belle. In questa o in quella soluzione editoriale, le lettere di Marina Cvetaeva non perdono di valore, si può scegliere di leggerle nella loro interetza, là dove vengono accostate parti poetiche e parti meno poe- tiche, e si può scegliere di limitarsi alle sole parti di alta prosa senza dimenticare, però, che, se inserite, come abbastanza spesso succede, fra comunicazioni di poco valore letterario, le parti più belle hanno tutt'altra impronta costruttiva.

Non esistono ampi studi dedicati all'opera epistolare di Marina Cvetaeva nel suo insieme. Un'analisi semantica e sintattica è stata fatta solo per le lettere a Reiner Maria Rilke. Sono queste le lettere che hanno suscitato maggiormente l'interesse degli studiosic. Un articolo di carattere

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generale è stato scritto da un corrispondente della Cvetaeva, al quale furo- no mandate alcune delle lettere più belle. Si tratta di Aleksandr Bachrach. Egli ha partecipato al Primo convegno di studi sull'opera di Marina Cvetaeva con un intervento dal titolo "Marina Cvetaeva i ee episto1.jarnoe tvorCestvo"7. Una volta riconosciuto l'innato talento di Marina per questo gcnere di scrittura certamente non tàcile - si tratta di reinventare conti- nuamente destinatario e situazioni - Bachrach si sofferma sulla sua attitu- fine a idealizzare, sopravvalutare, trasformare l'Altro assente:

"In generale, raramente scriveva a quella reale persona il cui nome figurava sulla busta della lettera. Ella immancabilmente si rivolgeva ad una specie di fantasma, creato alla sua immaginazioneW8

Interessanti considerazioni sulle lettere a E. Lann, sull'esistenza e \ul carattere solitario e fiero di Marina Cvetaeva sono state fatte da Genrich GorCakov, un critico russo che nella critica ha trovato un suo cpa~ io di scrittura oltre che uno strumento di conoscenza:

"Quanto più ci si immerge nella lettura di queste lettere - le lettere a Lann - tanto più ci si convince che queste lettere occorre considerarle un genere poetico originale. In esse non si passa in rascegna la realtà, ma si presenta un mondo creato dal poeta secondo leggi sue proprie"9

Infine, in ogni lavoro più o meno generale sull'opera di Marina Cvetaeva gli studiosi accennano anche al suo non trascurabile retaggio epi\tolare e ne parlano spesso in termini di alta condiderazione, ne sottoli- ncano l'appartenenila alle pagine più vive e letterariamente valide della sua prosa.

Nelle sue lettere Marina C~~etaeva ha utilizzato tutte le possibilità che offre l'apertura strutturale della lettera. L'originalità della sua maniera epistolare, sempre tesa verso la creazione e i l gioco linguistico, è riscon- trabile fin da una delle prime lettere che ci sono giunte, una lettera al poeta Ellis, scritta a Tarusa nel 1909. Contiene unicamente i l lungo rac- conto di un sogno:

«E' i l sogno sulla mamma che vi voglio raccontare. Ci siamo incontrate in una chiassosa strada di Parigi. Io camminavo con As,ja. La mamma era come sempre, come un anno prima della morte, un pò palli- da, dolci occhi scuri, sorridente. Ora ricordo così chiaramente il suo viso! Ci siamo messe a parlare. Ero così felice d'incontrarla proprio a Parigi, dove è particolarmente triste e\sere sempre soli. "Oh, mamma," - le dice- v o - "quando guardo i Campi Elisi mi sento così triste" ... Quanto tempo è poi passato non lo so. Di nuovo una strada chiassosa. Automobili, tranvai,

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oinnibus, cab, carrozze, vocio, frastuono, una massa di gente" (A, 5-6)lO. Il sogno è raccontato minuziosamente, l'atmosfera onirica è sor-

prendentemente ben resa. Marina Cvetaeva avrà sempre una predilezione per i rapporti ultraterreni, come il sogno e la corrisponden7a, perchè i rap- porti terreni la deludevano sempre. In ogni incontro investiva tutta se stessa, e gli altri finivano sempre col non essere all'altezza dei suoi slanci, dclle sue aspettative, del suo bisogno d'amore. La presen7a materiale dei corpi impediva il dialogo delle anime, che trovava invece libero corso nei sogni e nelle lettere:

"Mio caro Pasternak! Il tipo di rapporto che preferisco è ultraterreno: i l \ogno: vedere in

sogno. E il secondo: la corrispondenza: Le lettere: una forma del rapporto

ultraterreno, meno perfetta del sogno, ma le leggi sono le stesse. Né l'uno né l'altra vengono a comando: si sogna e si scrive non

quando noi lo vogliamo ma quando ne hanno voglia: la lettera di essere scritta, il sogno di essere sognato (Le mie lettere vogliono sempre essere scritte!).

(...) Non amo gli incontri nella vita: si sbatte la fronte. Due muri. Così non si passa. L'incontro deve essere un arco: al di sopra. Fronti rove- sciate - all'indietro! (A, 135, 137)".

"(...)...oggi tra noi non c'è un solo rancore, e ve lo garantisco, fin- ché si tratterà solo di lettere non ve ne saranno. Se inimicizia verrà, dun- que, essa verrà dai corpi, dal confronto oculare dei corpi: dei segni, degli abiti (A, 188)".

Le prime lettere della Cvetaeva che ci sono pervenute sono indiriz- zate a poeti o letterati. 11 gih citato Ellis, poi Brjusov, VoloSin, Rozanov. La lettera a Brjusov del 15 marzo 1910 rende bene l'idea della forza e della convinzione con cui Marina entrava nel mondo della letteratura e liberamente si rivolgeva ai woi maggiori rappreuentanti:

«Stimatissimo Valerii JakovleviC, poco fa, da Vol'f, avete detto: "benché io non sia un ammiratore di

Rostand. .." Avrei subito voluto chiedervi: perché? Ma ho pensato che nella

mia domanda avreste scorto la manifestazione di un'oziosa curiosità o il desiderio ambizioso di "parlare con Brjusov" (...)

Perché non amate Rostand? (...) Per me Rostand è una parte dell'anima, una parte grandissima. Mi

consola, mi dà forza di vivere nella solitudine. Penso che nessuno, nessu- no lo conosca, lo ami e lo stimi quanto me». (A, 9)

La lettera a Rozanov de11'8 aprile 19 14 è già un capolavoro nel suo

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genere, contiene tutti i procedimenti tipici della prosa epistolare di Marina Cvetaeva. C'è soprattutto la gioia del narrare, che per Marina s'i- dentifica con quella del ricordare. Le sue narrazioni epistolari sono sem- pre memorie, evocazioni:

«Caro Vasi1i.j Vasil'evic, che gioia provo adesso, c'è un sole così bello, un vento così freddo.

Ho corso lungo l'ampio sentiero del giardino accanto alle sottili acacie, il vento accarezzava i miei capelli corti, mi sentivo così libera, così leggera.

Appena seduta al tavolo, ho preso la penna ed ecco che non so ancora di che cosa scriverò (...).

Vi scrivo di papà. Ci voleva molto bene, ci considerava "raga7ze dotate, intelligenti, mature", ma innorridiva dinanzi alla nostra pigrizia, indipendenza e arroganza, all'amore che provavamo per quello che lui chiamava "eccentricità" (...).

L'inverno 1905-1906 lo passammo a Jalta. Fu l'ultimo inverno della mamma (...).

La mamma morì il 5 luglio a Tarusa, nel governatorato di Kaluga, dove avevamo trascorso tutte le estati della nostra infanzia. Presagì con chiarezza la propria morte: "adesso inizia l'agonia" (...) E poi: 'Mi dispia- ce solo per i l sole e per la musica!'» (A, 32, 33).

Il passo appena citato ofl're più spunti d'analisi. Inanzitutto è chiaro clie Marina Cvetaeva fin dalle sue prime lettere, e in ogni sua opera, non può fare a meno delle parole altrui. Gran parte delle sue lettere sono costellate di brevi dialoghi, di brevi battute che portano la voce altrui direttamente nel tessuto della prosa epistolare, le imprimono movimento, la arricchiscono di echi e di interna dialogicità. Le parole tra virgolette sono tutte parole altrui, anche se è la Cvetaeva ad organizzarne il senso. In questo p a s o inoltre la Cvetaeva ci dice qualcosa sul processo creativo della sua scrittura:

"Appena seduta al tavolo, ho preso la penna, ed ecco che non so ancora di che cosa scriverò".

La scrittura di Marina Cvetaeva nasce prevalentemente senza pro- getto:

"Tutta una pagina mi aspetta - un intero beato foglio bianco - per tutto!" (A, 160).

Le frasi, le parole si generano l'una dall'altra: "Così scrivo io - dalla parola alla cosa, ricavando le parole una dal-

l'altra" (B, 65). La lettera a Rozanov si apre con una descrizione che è propria

dcllo spazio epistolare. La lettera si inserisce interamente nel tempo pre- sente della scrittura e le descrizioni del luogo dello scrivere fanno imman-

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cabilmente parte di questo tempo presente. Come in questa, anche in altre lettere di Marina Cvetaeva, nonostante il tono generale di riflessione e di invenzione poetica, brevi descrizioni del luogo in cui si trova ci riportano al mondo reale e soprattutto alla natura circostante, fedele, eterna:

"Cara, cara Lilen'ka, ho appena aperto la finestra e mi sono meravigliata, tanto era forte

i l fruscio dei pini. Qui, benché siamo nel governatorato di Char'kov, è Finlandia: pioppi, sabbia, erica, fresco, malinconia" (A, 45).

"( ...) .. a Praga sto bene: un'enorme finestra su tutta la città: strade, scalinate, lontananza, treni, nebbia" (A, 23 1).

Spesso alle notazioni descrittive si Srammischiano riflessioni sull'e- sistenza (byt'e), o sulla sua grigia controparte, la quotidianità (byt):

"( ...) Vivo in Boemia, (vicino a Praga), a Makropsy, in una casetta di campagna, l'ultima del villaggio.

Sotto il colle c'è un ruscello - di lì prendo l'acqua. Un terzo della mia giornata se ne va per tenere accesa un'enorme stufa di ambrogetta. I,a vita non è molto diversa da quella di Mosca, la sua parte pratica, quotidia- na, - e forse è addirittura più povera! - ma alla poesia si sono aggiunte: la famiglia e la natura. Per mesi interi non vedo nessuno. Per tutta la mattina scrivo e vado in giro: qui ci sono montagne bellissime" (A, 138).

"( ...) Scrivo da un sobborgo operaio di Praga, al suono di una mise- ra musica da ristorante che irrompe dalla finestra insieme al fumo. Questa è vita a nudo, qui anche l'allegria è questione di morte, non di vita" (A, 135).

Le lettere a VoloSin degli anni prima della rivoluzione sono le meno tragiche dell'intero epistolario sebbene in esse vi sia comunque pre- sente l'insofferenza di chi non si trova a proprio agio nella quotidianità. Lo stile è meno speuato, più discorsivo e piano delle lettere successive alla grande svolta che ebbe la sua vita dopo i l ' 1 7. Da allora la sua scrittu- ra nelle lettere si fa più spigolosa, continuamente interrotta, staccata, gri- data:

"( ...) Fin clalla nascita sono stata respinta dalla cerchia delle perso- ne, dalla comunità. Dietro di me non c'è un muro vivo - c'è una roccia, i l Destino. Vivo osservando la mia stessa vita - tutta la vita - la Vita! Non ho età n6 volto. Forse sono io la Vita stessa. Non ho paura della vec- chiaia, non ho paura di essere ridicola, non ho paura della povertà, dell'i- nimicizia, delle calunnie. Sotto il mio involucro allegro e infuocato sono una pietra, e cioè invulnerabile. Solo Alja e Sereia. Non mi importa se domani mi sveglierò con i capelli bianchi e le rughe - poco male - creerò la mia vecchiaia - ho comunque avuto così poco amore!

Vivrò le vite degli altri" (A, 6 1 ).

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Marina Cvetaeva conosce però anche momenti in cui accanto all'e- sistenza calpestata, si fa strada, nello spazio epistolare, una prospettiva di gioco letterario. Mi riferisco soprattutto alle lettere ad Evgeni.i Lann del 1920 - '2 1 e in particolare a quella del 29 dicembre 1920, nella quale sono inserite vere e proprie pagine di prosa che possono sembrare indipendenti dalla lettera, avendo anche un titolo: "Tre visite". Si tratta di tre racconti molto dialogati, le cui protagoniste sono Marina Cvetaeva e la figlia A'ja

, nella Mosca postrivoluzionaria. Al suo interlocutore lontano Marina pro- pone vicende e dialoghi da lei stessa messi in scena:

«I. Io e A1.ja siamo sedute a scrivere. E' sera. Bussano alla porla, che non 2 chiusa a chiave. Io, senza alzare lo sguardo: "Avanti!"

Un ometto piccolo e nero: "Zaks! E come siete capitato quil?E la barba da dove viene'?" Ci baciamo.

E' un mio ex inquilino, comunista convinto, (nel 1918 - a Mosca - quando ci nutrivan~o solo con le tessere) era buono con me e con le bam- bine, adorava i bambini, soprattutto i neonati, li adorava a tal punto che una volta non riuscii a trattenermi, esclamai:

"Voi, signor mio, dovevate fare la n.jan.ja, altro che il comunista!" "Zaks!". "Voi vivete qui?!" "Sì". "Ma è terribile, somiglia a...

come si chiama dove priina stavano i portieri?". Alja: "L'androne?. Lui "No". Io: "La portineria'! La guardiola'?" Lui, illuminandosi: "Si, a una guardiola". (Ha l'accento polacco - leggete i l tutto con questo accento - l'aspetto e\teriore, a parte la barba, è irreprensibile).

Alja: "non è una guardiola, è un tugurio". Lui."Come fate a vivere in questo inodo? E queste pentole, non le lavate'!" Alja: "Dentro si e fuori no, e la mamma è un poeta" (...).

111. Io e Al.ja siamo sedute a scrivere. Sera. La porta - senza che nessuno bussi - si spalanca. Un militare del commis5ariato. Alto e magro, colbacco. Sui diciott'anni.

"Siete la cittadina Tal dei tali?" "Io.." "Sono venuto per notificare i l verbale di contravvenzione". "Ah, si". Lui pensa che io non abbia capi-

- to: "I1 verbale". "Capisco". "Non chiudendo il rubinetto e intasando il lavandino avete causato

la rottura di un fornello nuovo nell'appartamento no 4". "Sarebbe?" "I,'acqua, scorrendo attraverso il pavimento, ha finito col corrodere i mat- toni e i l soffitto è crollato 5ul fornello" "Capisco". "Avete allevato dei conigli in cucina". "Non io, sono stati degli altri". "Ma la padrona di casa siete Voi". "Si" "E allora rispondete della pulizia della ca\a" "Sì, sì, avete ragione". "Avete un secondo piano nell'appartamento?" "Sì, di sopra c'è il mezzanino". "Me-sanino, mesanino .... Come si scrive mesanino'?" Glielo dico. Scrive. Mi fa vedere. Io, approvando: "Giusto".

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"Che vergogna, cittadina, siete una persona colta". "E' proprio quella la disgrazia: se fossi meno colta tutto questo non succederebbe, passo tutto i l mio tempo a scrivere" "E di che cosa scrivete?" "Poesia". "Allora siete un'artista?". "Sì". "Mi fa molto piacere". Pausa (...)D (A, 86, 89-90).

I passi citati sono tratti da due di queste i~~tcillriye tiol)elly, come le chiama G. Gorc'akov:

"Da una parte, sono una specie di protocollo, di diario, di cronaca della vita quotidiana.Persone reali, visite reali. Ma il racconto di queste persone è organizzato secondo le leggi della pura poesia. E non ha impor- tanza quanto in esso corrisponda a verità. Per noi la cosa più importante è il pensiero poetico che la Cvetaeva organizza in maniera assolutan~ente cosciente"1l.

Al fondo di molte lettere di Marina, spesso scritte solo per i l qua- derno, non spedite, sta proprio questa che GorEakov chiama poetiCeskliju mysl'. Nella prima lettera a Pasternak, ad eiempio, è presente la tipica inclinazione per la Cbetaeva al racconto-memoria e all'apologia del Poeta:

«Un giorno (1918, di primavera) io e voi eravamo seduti accanto allo stesso tavolo, ad una cena dagli Cetlin,. Voi avete detto: "Voglio scri- vere un lungo romanzo: con una storia d'amore, con un'eroina femminile - come Balzac". E io pensai: "Com'è bello. Esatto. 1,ontano da qualsiasi amor proprio. E' un poeta". Poi vi invitai: "Sarò felice se ..." - Voi non veniste, perchè nella vita non si ha mai voglia di niente di nuovo.

Nell'inverno del 1919 ci siamo incontrati in via Mochovaja. Voi andavate a vendere Solov'ev - "perchè in casa non c'è più pane". "E quan- to pane al giorno ci vuole a casa vostra?" "Cinque libbre", "Da me tre. - State scrivendo?" "Sì (o forse "no" - è indifferente -) "Addio" "Addio".

(Libri. Pane. - E' un uomo). Inverno 1920. prima della partenza di Erenburg, alltUnione

Scrittori leggo Lo zrir-jcinc.ilrlln con tutta la soggezione: 1. dei miei laceri stivali di feltro. 2. del mio russo. Una domanda incerta la pubblico: "Signori, vi è chiara la fcibiila?", E, in coro, un incoraggiante: "Assolutamente no. Ci arrivano singoli versi".

Poi - sto già andando via - mi chiamate Voi: M. I.!. "Ah, siete qui? Come sono felice!" "La fabula è chiara, il fatto è

che la date in modo disunito, intermittente, singole esplosioni". E il mio silenzioso: 'E' acuto. E' un poeta'» (A, 124). La figura del poeta 'autentico' è uno degli argomenti ricorrenti delle

lettere a Pasternak (ma del poeta e della poesia Marina Cvetaeva parla con tutti i suoi corrispondenti):

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"Pasteinak, io ho conosciuto molti poeti, poeti vecchi e poeti alle pi ime armi. E non uno di loro si ricorda di me. Erano persone che scrive- vano poesie: Che scrivevano splendidamente poesie o (più raramente) che scrivevano splendide poesie. Ed è tutto.

Su nessuno di loro ho visto il marchio da ergastolano del poeta: che brucia a una versta di distanza! Etichette di versificatori ne ho viste molte - e di ogni tipo: del resto cadono subito, al primo soffio della vira

, qlioricliann - Vivevano e scrivevano poesie (le due cose - separatamente) ignorando l'ossessione della scrittura, lo spreco di se stessi, accumulando tutto nei loro versetti - e non solo vivevano: si arricchivano. E dopo esser- si arricchiti abbastanza, si concedevano la poesia: come una piccola pas- seggiata. Erano qualcosa di peggio dei non poeti, giacché sapendo quanto gli erano costate le loro poesie (mesi e mesi di rinunce, spilorcerie, non vita), per quelle poesie esigevano da chi li circondava un prezzo esorbi- tante: incenso, genuflessioni, monumenti in vita ...

Voi, Pasternak, in assoluta pienezza di cuore, siete il primo poeta della mia vita ... Siete l'unico poeta di cui io possa definirmi contempora- neo - e con gioia - pubblicamente!" (A, 144, 145).

In questa lettera Marina Cvctaeva si dichiara estranea alla figura del poeta che ignora "l'ossessione della scrittura", perché Marina solo la scrittura, l'arte riconosce come SUO regno:

"Non amo la vita come tale: La vita per me comincia ad avere scnso - cioè ad acquistare significato e peso - solo trasfigurata, e cioè - ncll'arte. Se mi prendessero al di là dell'oceano - in paradiso - e m'impe- dissero di scrivere, io rinuncerei all'oceano e al paradiso. La cosa in se rreisri non mi serve" (B, 7).

Le lettere per Marina Cvetaeva si sono rivelate, in quest'ottica, un modo, uno spazio, entro i l quale poteva venir soddisfatto i l bisogno quoti- diano di scrittura:

"Le mie lettere non sono intenzionali, ma sia io che tu abbiamo bisogno di vivere e scrivere" (A Pasternak, B, 35).

Nel saggio Poer o hririke scriveva: "Per chi scrivo. Non per milioni di persone, non per una soltanto, non per me stes-

sa. Scrivo per la cosa in sé. Attraverso me la cosa si scrive da sola ... Pcrché scrivo? Scrivo perché non posso non scrivere"l?.

La riflessione sulla letteratura e sullo scrivere isterilisce o rinnova. In Marina Cvetaeva è una continua fonte di ispirazione, gran parte della

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sua opera, come quella di molti suoi contemporanei, è metaletteratura. Attraverso la letteratura la Cvetaeva giungeva al mondo, ne parlava come non ne sarebbero stati capaci scrittori che con più acutezza osservavano il reale. Eppure nelle sue lettere è peculiare anche I'accostamento di discorsi sulla poesia e sguardi al presente, in un amalgama che il piìi delle volte risulta di singolare forza espressiva.

Marina Cvetaeva rimaneva un poeta anche nello scrivere prosa. Tutte le sue opere in prosa, comprese le lettere, devono a questo il loro tono elevato, la loro bellezza:

«Che parlasse di sua madre o della sua famiglia, di poeti famosi o di teorie letterarie, la prosa della Cvetaeva rimaneva comunque la prosa di un poeta - non necessariamente perché scritta da un poeta, ma perché nella prosa la Cvetaeva faceva un uso massiccio del lessico e degli artifici che aveva elaborato in poesia. Ad eccezione del metro e del ritmo, la ste- sura della sua prosa è la stessa dei suoi versi. Anche qui gioca con radici verbali (paranomasia), usa allitterazioni e anafore, ricorre a ellissi di verbi e di sostantivi tipiche del parlato russo ma poco frequenti nella prosa "let- teraria" convenzionale».13

Di tutto questo si rendeva conto anche la stessa Marina Cvetaeva. A partire dagli anni '30 si (roba a scrivere più prosa che versi. Ne parla in una lettera ad Anna Teskova:

"L'emigrazione sta facendo di me un prosatore. Certo, anche la prosa è mia, e dopo lo scrivere in versi è la cosa più bella al mondo, la mia è prosa lirica, e tuttavia, - dopo i versi!" (B, 195).

Ne parla anche in una lettera a Chodasevii; del 19.14. Questo breve testo - la lettera non venne terminata e non venne spedita - è una difesa accorata della poesia, del suo diritto di esistere ed è una proclamazione del dovere di ogni poeta di non soccombere alle lusinghe del silenzio:

<<No, bisogna scrivere poesie. Non bisogna concedere né alla vita, nè all'emigrazione, né ai Visn.jak, né ai "bridge", né a tutti gli altri eccete- ra - questo trionfo: costringere il poeta a fare a meno dei versi, fare del poeta un prosatore, e del prosatore - un defunto.

Nelle Vostre (nostre) mani è stato dato qualcosa che non abbiamo il diritto di lasciar cadere né di passare in altre (mani - che non esistono!).

Giacché meno scrivi, meno desideri scrivere: tra te e i l tavolo si apre già tutta l'impossibilità (come tra te e l'amore da cui tu sei uscito).

Certo, esiste la sazietà. Ma c'è anche l'inedia - per disabitudine. Non rinunciate, non abiurate, ricordate 1'Achmatova:

E se io morirò, chi per voi

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scriverà le mie poesie?

- senza "per Voi", senza neanche "per tutti" - semplicemente: chi - le mie poesie'!

Nessuno. Mai. E' qualcosa di irrimediabile. Voi derubate la Lirica, muta come ogni prinzu di, impotente, inesistente senza noi, i poeti.

E proprio perchè siamo pochi non abbiamo il diritto ... Mi dà un'inquietudine angosciosa il pensiero che una simile cosa

possa accadere accanto a me, quasi a nze, giacché da tempo ho smesso di dividere le poesie in mie e altrui, e i poeti - in "tu" e "me".

Nella poesia non conosco 'autori'» (B, 2 15).

A partire dal 1922, nella sua condizione di emigrata, Marina Cvetaeva comincerà a sentire la mancanza di un autentico lettore. I1 letto- re era rimasto in Rusia:

"Se fossi in Russia tutto andrebbe diversamente, ma la Russia (il suono) non esiste, esistono alcune lettere: SSSR - e io non posso andare in qualcosa di sordo, senza vocali, in un sibilante coacervo di consonanti (...). In Russia sono un poeta senza libri, qui - un poeta senza lettori. Quello che faccio non serve a nessuno" (H, 10 1 ).

Nella corrispondenza, invece, la Cvetaeva aveva a disposizione let- : tori d'eccezione. I1 capitolo più noto del suo epistolario è probabilmente la

sua breve corrispondenza con i l poeta tedesco Reiiier Maria Rilke. Aveva . cominciato a conoscere e ad amare la poesia di Rilke durante gli anni del-

l'emigrazione pragheie. La loro corrispondenza nacque nell'estate del 1926 grazie a Pasternak, che mise in contatto i due poeti e rimase in comunicazione epistolare con entrambi. Tutta la corrispondenza fra la Cvetaeva e Rilke si mantiene su di un'alta nota di esaltazione romantica, così tipica della Cvetaeva. La sua prima lettera, di risposta, a Rilke inizia così:

"Reiner maria Rilke! Posso chiamarvi così'? Voi, incarnazione della poesia, saprete di certo che basta il Vostro nome - ed è poesia" (B, 12).

Rilke continuò - ma non per molto, era malato - a rispondere alla Cvetaeva, stupito del suo insolito modo di scrivere. Questa corrisponden- za aiutò la Cvetaeva a sopravvivere in uno dei periodi più difficili della sua vita in Francia, quando si sentì completamente sola e la sua opera si ritrovò isolata. In Iiilke la Cvetaeva vide una personalità simile a sé, sola, un abitante, come lei stessa, del regno dell'anima.

Rilke aveva amato molto la Ru\~ia , vi aveva vissuto, aveva cono-

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sciuto Lev Tolsto,j, parlava e scriveva, anche versi, in russo. Fra loro nac- que e rapidamente morì un amore intenso, come risulta dalle seguenti affermazioni di Ilma Rakusa, la studiosa che ha esaminato la corrispon- denza dei due grandi poeti:

"Stellt man die Freundschaft mit Rilke in den Kontext anderer Freundschaften in Marina Cvetaevas Leben, so erweist sie sich als eine jener meist kurzen, aber intensiven Beziehungen, in denen sich die Dichterin vollig verausgabte.

Was die Freundschaft mit Rilke angeht, so wurde die Intensitat noch gesteigert durch die physische Absenz des Partners - eine vorlaufige Absenz, die durch Rilkes Tod in eine definitive uberging -, und nicht zuletzt durch die Ebenburtigkeit der Talente und Sensibilitaten. Beides - das Genie und dessen Absenz - waren fur die "Romantikerin" Cvetaeva eine schopf'erische Herausforderung, auf die sie sich - mit privatem und dichterischem Engagement voll einliess"l4.

Secondo il critico Aleksgi Pavlovski,j la corrispondenza con Rilke prepara e anticipa la grande stagione della prosa cvetaeviana degli anni Trenta's. Un sintetico e complessivo giudizio sulla maniera epistolare della Cvetaeva nella sua corrispondenza con Rilke e Pasternak è stato dato dalla slavista Anna Tavis, che riprende uno scritto dello studioso russo Azad0vski.i:

"Tsvetaeva travelled freely between myth and reality, letters and poetry, love, passion and intimate friendship - spiritual journeys that both enhanged the seductivness of her texts and transformed her life relashion- ships with others into mythic journeys"l6.

Lo stesso si può dire della sua corrispondenza con Pasternak. L'intensa corrispondenza e la grande amicizia che nacque fra Marina Cvetaeva e Boris Pasternak fu dovuta dapprincipio alla scoperta che ognuno di loro fece delle poesie dell'altro. In seguito divenne vero e pro- prio mezzo di reciproca influenza, più da parte della Cvetaeva, però, come in questa lettera:

«Caro Pasternak, questa sarà una lettera sulle vostre "scritture" (...). Voi siete un

poeta senza poesie, cioè: così amano, così bruciano soltanto i non-scri- venti, quelli che scrivono una sola volta - un'ottava in tutta la vita, non i mestieranti (pure se genii) della penna.

Perché ogni vostra poesia suona come l'ultima? - "Dopo questa non ha scritto più nulla" (...) Sapete, Pasternak, dovete scrivere qualcosa di lungo" (A, 15 1,

152). Marina Cvetaeva fin dall'inizio considerò Pasternak il primo dei

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poeti suoi contemporanei, ne intuì la grandezza quando non era ancora riconosciuta. A lui parlò estesamente di sé e della sua opera:

"Mio Pasteimk, forse un giorno io diventerò veramente un grande poeta - grazie a Voi! Perchè, vedete, devo dirvi cose smisurate: sfondare i l petto! Parlando questo si fa con i silenzi. Ma io ho soltanto la penna!" (A, 159).

A Pastemak scrisse soprattutto della sua idea di poeta, della condi- zione del poeta nel mondo contemporaneo e delle sue personali peripezie - nell'Esistenza e nella quotidianità - di poeta emigrato:

«Boris, Boris, come penso sempre a te e verso di te mi volto, lette- ralmente, in cerca di aiuto! Tu non conosci la mia solitudine ... Ho termi- nato un grosso poema. Lo leggo agli uni, agli altri, e pieno - non una sola sillaba - silenzio, un silenzio secondo me vergognoso, e non, assoluta- mente, per troppo di sensazioni: perché la cosa non ai-riva, perché non ci capiscono nulla ... Per me è tutto chiarissimo, che ci posso fare'! Poco tempo fa ho scritto a qualcuno: "penso a Boris Pasternak - lui è più fortu- nato di me perchè ha due o tre amici - poeti, che sanno quanto valga il suo lavoro, e io invece non ho neanche una persona che - per un'ora sol- tanto - preferisca la poesia a tutto". E' così, non ho amici (...) A che serve dunque tutto i l mio lavoro'! Pagine e pagine, e pagine scritte alla ricerca di un'unica parola, spesso neanche di una rima, di una parola al centro di un verso che deve - il perchè lo ignoro - che ha i l sacro dovere di suonare e significare! Tu conosci tutto questo ed è per questo che mi sento spinta verso di te come un pezzo di legno alla riva» (B, 85-86).

La spiegazione del fatto che tutte le brevi presentazioni alla pubbli- ca7ione delle lettere di Marina Cvetaeva siano accomunate da un identico giudizio sul carattere volutamente letterario e creativo del suo stile episto- lare, risiede nella disposizione della Cvetaeva verso la parola. In ogni manifestazione verbale scorgeva un nucleo di poeticità e non poteva evi- tare di lavorarci attorno, provenisse questa parola occasionale da voci di passanti, da conversazioni o da libri. A questo proposito Jean Rousset si pone la seguente domanda:

"Ma l'autore è presente in misura uguale nel poema e negli appunti giornalieri'! Dove trova meglio se stesso, nella confessione improvvisata o nello scritto più elahorato?"~7.

Marina Cvetaeva riesce a rimanere se stessa sia "nel poema" che negli appunti giornalieri. L'ampiezza strutturale dello \pazio epistolare è stata per lei una vera e propria ancora di salvezza, quando, ad esempio,

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non riusciva a scrivere versi ma le rimaneva il desiderio di scrivere: "Vera! per un giorno intero (vicino al tavolo, senza tavolo, nel

mare, lavanclo i piatti - o i capelli - ecc) cerco un aggettiijo, cioè UNA parola: per irrz giorno irztero - e a volte non la trovo, e ho paura" (B, 267).

"I1 tempo rncrrzcrr sempre, e bisogna scrivere, solo così dal tempo si può uscire - solo così il tempo basta!" (B, 253).

"Ho un terribile desiderio di scrivere. Poesie. E in genere - di scri- vere. Desiderio angoscioso" (B, 209).

A differenza dei versi, sulle lettere la Cvetaeva si esprimeva ad esempio così:

"Cara Salomeja, potrei scrivervi senza fine" (H, 180). Nello scrivere una lettera Marina Cvetaeva non ha davanti a sé

l'immagine dell'opera, ideazione ed esecuzione sono contemporanee. Le sue lettere sono frammenti di un'opera che deve rimanere incompiuta, sono i l risultato di un perpetuarsi della scrittura nella quotidianità, per sot- trarsi ad essa, per uscire dal tempo, una scrittura sempre parata in difesa della poesia. La completa dedizione alla causa della letteratura e della poesia veniva condivisa, per altre vie, da un contemporaneo tàmoso di Marina: Vladimir Majakovskij. Sebbene egli fosse rimasto in Russia a cantare il Paese dei Soviet, e la Cvetaeva avesse scelto invece I'emigra- zione, li accomunava la difesa dei valori della letteratura. Le lettere di Marina Cvetaeva sono la testimonianza inconfutabile del fatto che per lei la letteratura fosse, e dovesse essere, una dimensione onnipresente, in linea con ciò che pensava Majakovskii, del quale si ricorda che un b' liorno disse:

"A chi serve che la letteratura occupi un suo angolo particolare? o occuperà tutto i l giornale ogni giorno, in ogni sua pagina, o non ce n'è affatto bisogno. Mandate al diavolo una letteratura che venga servita come dessert"18.

NOTE

1) Preclrap MatveeviC, Epistoltrrio dellirltrrr Eiiropcr, Milano, Garzanti, 1992, p. 125

2) Ibiclern, pp. 126-127 3) Cfr. Jurii Lotrnan, Str-irktrirur ~?o~t i&~skogo tekstrr, Moskva, Iskusstvo, 1970 4) Siinon Karlinsky, Mtiriiitr Cijetrrel~tr, Napoli, Guida, 1989, p. 299 5) Si vedano i due volurni curati cla Serena Vitale: I l prese dell'rrtiiriirr. Lettere

1909- 1925, Milano, Adelphi, 1988 e Deserti lrrogl~i, Milano, Aclelphi, 1989 6 ) Cfr. Ilma Rakiisa, M. I . Ci.ettrei,cr irti Brieflfii.rclzsrl riiit R. M . Rilke,

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"Zritschrifrfirr Slrii~isclic~ Philologir ", 1980, 41: Anna Tavis, Rir.rsici irl RiIXe: Reirlrr Mrrritr RilkrS Corrrsl~or~drriw ,i<ith Mcrrirln C I ~ P ~ ~ I ( > I ~ L I , "Slavic Review", 1993, 52, 3

7) Cfr. AAVV, Mniiirn Tsi,rtori90. Actrs dir Pwlilirr. Colloqire Ir~tril~citior~ril. Bern-Berlin-Fraiikfurt-New York-Paris-Wien, "Slavica Hel\.eticaw, 1991

8) Aleksandr Bachrach, "Marina Cvetaeva i ee episio1,jarnoe tvorCestvo", in A.QVV, Mcirirrcr Ts11rrrrri~o. Actes dir Prelirier Colloqite ..., op. cit., p. 383

9) Geririch Goicakov, O Maiirlr C i ~ ~ t r ~ e i ~ o j . G /O:C/ I I I~ S O I ~ ~ C I I I C I ~ I ~ ~ ~ ~ I , Orange,

, eoniiecticut, Antiquary I'ublishing House, 1993, p. 192 10) A = Marina Cvetaeva, Il pnesr dell'crnirrin. op. cit. B = Marina Cvetaeva,

l>c,serri l i to~hi , op. cit 11 ) Genrich GorEakov, O Mrir-irle Ci~ertiei~oj, op. cit., p. 204 12) Citato in Anna Saakjianc, VI~idilrlir M c i j t ~ X o i ~ ~ k ~ j i M( I I .~ I ICI C I , C ~ C I C I W .

"hloskva", 1982, 10, p. 186 13) Siinon Karliiisky. op. cit., pp. 260-261 14) Irrna Rakusa, Mnrirrri Ci9ettrei~ris Brirjir riti Reirtrr Morirr Rilk?, op. cit., p.

133 15) Cfr. Aleksej Pavlovskij, Krrst rjrrbiily. O poezii Moriily Ci'etrrri'oj,

Leningrad, Sovetskij Pisatel', 1989, pp. 310-31 1 16) Anna Tavis, Rirssicr irl RilXr ... op. cit., p. 502 17) Jean Rousset, Fouiln e sigrlificoto, Torino, Einaudi, 1963, p. 19 18) Cit. in Roinan Jakobson, Urlcr gerlrrcirione c/it7 hn dirsiprrto i siroi l~or t i ,

Torino, Einaudi, 1975, p. 14

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I1 cagnolino

VA. Solloglib

IL CAGNOLINO

All'inizio di questo secolo, cioè quarant'anni fa, la fiera di Temenev era famosa in tutta la Russia; vi si concludevano opera~ioni commerciali di molti governatorati e non di rado vi si risolvevano impor- tanti problemi economici. Là venivano fissati i prezzi del grano, della lana, della canapa e di tutto quanto produce il proprietario terriero russo. Là questi si incontrava col suo eterno rivale - il mercante - e tra di loro cominciava una contesa diplomatica, che di solito si concludeva con la sottomissione di uno dei due all'altro. Per questa ragione i proprietari si preparavano per la fiera sei mesi prima, calcolando preventivamente sul pallottoliere i prossimi guadagni. Da parte loro, le loro mogli preparavano le toilettes per i futuri incontri, riunioni e visite, dopo i quali si riportava- no a casa un'intera provvista di pettegolezzi e di chiacchiere. Infine le figlie dalle rosse guance contavano quanti giorni rimanevano fino al beato istante in cui avrebbero passeggiato tra le file dei banchi, colpito forse i l cuore di qualche ardente cornettal, perduta, forse, esse stesse l'opprimen- te tranquillità verginale.

Comunque ne \ia, il 17 agosto del 1804, due giorni prima dell'apertura della fiera, una processione abbastanza strana fece il suo ingresso nel capoluogo distrettuale di Temenev. Davanti faceva bella mostra una "briCka" 2 che stava su a stento, attaccata a due rozze pezzate, simile ad un cocchi0 romano mezzo scassato dall'uso. Vi sedevano due uomini: il primo, straordinariamente pallido e magro, dall'aspetto autore- vole e persino un po' minaccioso, tedesco di nascita, di nome Adam AdamiC Srein, svolgeva le funzioni di maestro del balletto ma, in caso di necessità, era anche ballerino: il secondo, Osip Vikent'eviC PoCenovskii, colorito, allegro, con la visiera del berretto rivoltata in su, il che in lui era segno di una piacevole disposizione dello spirito, ricopriva i ruoli di atto- re tragico, cantante d'opera e primo comico.

Ambedue non erano altro che i direttori, i registi e gli impresari del teatro di Temenev, naturalmente solo nel periodo della fiera perché, pas- sato quel periodo brillante, la città di Temenev si spopolava e diventava silenziosa come dopo un'incursione nemica. Le botteghe venivano chiuse

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fino alla prossima estate, le case, prima ferventi di vita, zeppe di proprie- tari con le mogli, i figli ed il servitorame cencioso, le corti ingombre di bricke e di tarantas,J tutto diventava ad un tratto così vuoto e disabitato da incutere un'involontaria paura. Nelle finestre che davano sulla strada, le imposte venivano tappate ermeticamente, i padroni si si\temavano in un qualche locale in soffitta in attesa di quella felice epoca in cui le briEke ed i tarantas si sarebbero nuovamente fermati ai loro portoni ed in cambio dell'alloggio di una settimana avrebbero fornito un introito sufficiente per tutto l'anno. In tutta la città si insediava una quiete mortale e solo di tanto in tanto sui marciapiedi traba1lanti"assavano rapide contadine con gli stivali e per le vie fattesi deserte si diffondeva il rumore della carrozzella del "gorodniCi.j"s.

Bisogna notare che questi svolgeva, solo durante la fiera, la funzio- ne di capo della polizia, il che, secondo le idee del tempo, in un certo qual modo suonava meglio all'orecchio e infondeva maggior timore. Quando tutto era tranquillo, il governatore rimaneva semplicemente un governato- re, cioè un semplice possidente di un capoluogo distrettuale, viveva paci- ficamente per i fatti suoi, nel seno della famiglia, si occupava dell'educa- zione dei figlioli, leggeva i giornali e nei giorni di festa offriva da man- giare a crepapelle a tutti gli impiegati della città.

Questa pacifica, generale sonnolenza si infrangeva di botto ogni anno nel mese di agosto. Allora la città di Temenev si risvegliava di colpo, si rianimava e si trasformava completamente. Non solo tutte le bot- teghe del mercato si riempivano di merci così che era impossibile passare tra le loro file per la folla di compratori e di bighelloni, ma anche in tutte le piazze all'interno della città si mettevano assieme con dclle tavole inte- re file di baracchine sotto il fresco tetto di frondose betulle.

I1 sole scherzava allegro tra le foglie tremolanti del color dello smeraldo, un leggero venticello le agitava piacevolmente sulle teste dei passanti e la folla elegante degli aristocratici forestieri accorreva imme- diatamente. File intere di variopinte signorine apparivano tra le piccole vie e guardavano di sottecchi i giovani ufficiali, grasse matrone contratta- vano ostinate sui prez7i coi mercanti, i proprietari bevevano lo champa- gne dalla vecchia francesina, che commerciava al tempo stesso i i i oggetti di moda ed in vino: tutto era vivace e pittoresco. Alle porte della città faceva bella mostra di sé un capannone con branchi di caval l i , "remonter"6, nonché piccoli nobili e piccoli proprietari di un tipo partico- lare, che si distinguevano per le giubbe all'ungherese, i baffi, i berretti a vivaci colori e corti frustini col fischio. In tutta la città spuntavano in~provvisan~ente tante bettole, tante locande da non poterle contare. Mancava solo un albergo per gli ospiti, ma dal momento che la piccola

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Il cagnolino

borghesia cittadina si occupava lei stessa dell'ospitalità, tale carenza non si avvertiva affatto. La piazza principale di Temenev veniva abbellita tutto in un colpo da diversi baracconi di varie dimen\ioni, con bandierine ed enormi insegne. In uno di questi si mettevano in mostra i cavalli e si ballava sulla corda, in un altro un tipo straordinariamente forzuto reggeva coi denti un peso da un pud' e poi dei bambinetti a testa in giù, infine mangiava il cotone ed emetteva fiamme. Là venivano mostrati spettacoli di marionette e vari "panorami"8 raffiguranti, tra l'altro, i l terremoto di Lisbona e la vallata di Chamonix. A poca distanza dalla piazza si erano installati due accampamenti di zingari, nemici tra loro, e certe case di divertimento di cui non è il ca\o di far menzione. Infine su un grande edi- ficio, che di solito serviva da deposito per la farina, era attaccata un'enor- me tavola nera, con bianche lettere storte, che componevano la magica parola "Teatro". Come si sa, questa è una parola affascinante, tentatrice per ogni russo che abbia in tasca un rublo in più. I1 teatro di Temenev era famoso in tutto il circondario grazie alle cure indefesse dei suoi registi, Srein e Poi-en0vski.i. Nobili e mercanti, dopo aver portato a termine le discussioni e gli affari della giornata, assistevano allo spettacolo, giudica- vano, facevano commenti, si dividevano in fazioni, e nello stesso tempo, logicamente, l'incasso era sempre ragguardevole. E quando il pubblico S contento e soprattutto quando la cassa è piena, allora anche per i registi la situazione è gradevole e fruttuosa.

Ecco perché il berretto del primo attore, comico, tragico ed anche cantante, seduto nella brii-ka, si trovava in posizione quasi perpendicola- re; questo berretto era noto a tutta la compagnia, cui serviva persino da termometro per conoxere i sentimenti direttoriali: quando si trovava in posizione normale, ciò dimostrava che ogni cosa wguiva il suo corso, che di quattrini ce n'erano pochi ed ognuno si metteva i l cuore in pace, ma quando veniva respinto sulla nuca, la gioia era generale. Ognuno sapeva già che i quattrini ci sono, che si può riscuotere la paga, che Osip Vikent'evii. è felice nella kita coniugale e che si gode in pieno I'eiistenza. Se però, contro ogni aspettativa, tutto ad un tratto il berretto veniva calca- to sugli occhi, allora ognuno si aftliggeva: nessuno osava pensare alla paga, ognuno sapeva che in cassa non c'era un centesimo e che nei rap- porti coniugali imperversava la discordia.

Non c'è quindi da stupirsi se, prima dell'apertura della fiera che procurava alla compagnia la parte più consistente dell'introito di un anno, i l berretto di Osip Vikent'evii. si trovava nella più felice positione.

I1 compagno di Osip Vikent'eviE, un individuo dal carattere forte, tedesco dalla testa ai piedi, era cli un naturale del tutto opposto. Riteneva umiliante per la dignità di un uomo maniii.stare attraverso un qualsiasi

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segno esteriore i propri intimi sentimenti. I1 suo aspetto era autorevole e severo. Teneva tra i denti un cannello da pipa flessibile, su cui era stata infilata una pipa di porcellana, di una forma nota a tutti i tedeschi, con una minuscola raffigurazione di Federico 11, re di Prussia. "State attento - disse improvvisaniente al suo compagno - poi potreste perdere il vo5tro berretto".

"Non importa - gli rispose il compagno, con un forte accento polacco - ne compreremo subito un altro. Ho sentito che quest'anno la fiera sarà grandiosa. Abbiamo anche il balletto, che prima non c'era. Al vecchio gli toccherà di ballare, col che faremo un bel po' di quattrini ... Che dite, li faremo? Ah ..." - Ed a questo punto i l polacco, uomo allegro, dette un colpetto sulla pancia al tedesco. Ciò non piacque al tedesco: in genere non permetteva nessuna familiarità nei propri riguardi e non amava contatti amichevoli.

"Basta - disse con voce strascicata - l'affare ...p uò darsi che subire- mo una perdita."

"Non c'è da preoccuparsi - rispondeva i l polacco - Fedor Ivanovic', i l gorodnic'ii, è un buon amico ... una amico tale che ... semplicemente un amico. Pagheremo il debito ed anche la nostra gente e per di più noi stessi ci divideremo un bel gruzzolo, ah...?"

Dietro la bric'ka che accoglieva i due originali, si trascinava un enorme furgone, tirato da due buoi e carico di scenari raffiguranti boschi, cattedrali, stanze, purtroppo talmente cancellate qua e là dalla pioggia che q~ialche bosco assomigliava ad una stanza e qualche stanza ad un bosco. Guidava i buoi il parrucchiere della compagnia, un vecchio settantenne che aveva appreso un tempo la sua arte dal cameriere dell'ambasciatore di Danimarca. Se si rendeva necessario, faceva anche l'attore, muto o par- lante a seconda dei casi, ma recitare non gli piaceva perché gli impediva di andare in estasi per le pettinature da lui eseguite. Per tutta la durata dello spettacolo, era solito guardare le sue produzioni con una certa pater- na soddisfazione e, senza sentire una parola del lavoro, seguiva con ansiosa trepidazione tutti i movimenti dell'attore: che non sciupasse una ciocca arricciata con amore, che non rovinasse imprudentemente la seve- ra armonia della parrucca. Addirittura non aveva permesso a nessuno di trasportare i suoi gioielli: "Che non abbiano a cadere per una impruden- za" aveva affermato con aria autorevole ed era montato lui stesso in serpa.

Un pochino più in alto, in un posto ricavato appositamente per lei, sedeva una giovane donna non brutta, con grandi occhi neri, evidcnte- mente la prima amorosa e la primadonna della compagnia dei comici viaggianti. Nel suo abbigliamento si notava una certa ricercatezza: i l cap-

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I1 cagnolino

pello, sebbene del tutto stinto, le stava bene, dalle spalle le scendeva uno scialle di vari colori, teneva sulle ginocchia, con commovente tenerezza, uno di quei cagnolini maltesi che allora erano di gran moda e che ora, per fortuna, non lo sono assolutamente più. Del resto, col lungo pelame scar- ruffato che ricadeva sul muso stizzoso, con la taglia particolarmente minuta, poteva essere considerato una rarità.

La primadonna, consorte di Osip Vikent'evic', donna vivace e capricciosa, andava pazza per AnuSka, cosicché nella compagnia il cagnolino era rispettato non meno dello stesso P0c'enovski.i.

Le cattive lingue affermavano che AnuSka era un pegno di teneris- simi ricordi, ricevuto in dono da un ufficiale, al cui solo nome il berretto di Poc'enovskij si agitava sulla sua testa per ricadere dritto sulle sopracci- glia. Malgrado ciò, Poc'enovskii avendo sperimentato la forza di volontà e la fermezza di carattere della sua tenera metà, le era del tutto sottomesso, mentre gli attori, eternamente a corto di denaro, non facevano che viziare AnuSka, lo nutrivano a ruccherini, l'accarerzavano e ridevano persino piacevolmente quando quello mordeva loro le dita.

In mezzo agli scenari e a vari scatoloni, che costituivano il patri- monio ed il guardaroba della compagnia, si erano sistemate come la va la va altre tre donne: una, vecchia e stupefacentemente grassa, con un cor- petto ovattato ed un fazzoletto legato sulla testa, che sosteneva soprattutto le parti di regine di Spagna: le altre due, anch'esse vestite all'usanza della piccola borghesia russa, non erano altro se non la prima cantante, esclusa dal coro di Mosca per incapacità, e la prima ballerina, che aveva ballato benissimo al tempo in cui Berta filava fino a quando si era lu\sata una gamba.

Dietro il furgone avanzava un carro tirato da due cavalli, nel quale sedevano altre due donne buone a recitare tutte le parti e tre attori con dei pellicciotti: il padre nobile, il cattivo ed il macchinista, che sosteneva le parti comiche.

Ai lati di que\ta processione e tra un carro e l'altro si accalcavano, semplicemente a piedi, altri giovani, andati a finire nel compassionevole ambiente degli attori girovaghi chi per poverti, chi per ubriachezza, due di essi per amore dell'arte. La gioventù soffre ovunque di una certa irre- quietezza, è attratta dai più grossolani inganni e, in mancanza di altre ten- tazioni, trova persino un fascino illusorio nella scena cenciosa del teatro di provincia. Ma non bisogna rinfacciarle gli errori. Dobbiamo a questa irrequietezza, a questo giovanile turbamento, il fatto che individui di talento non rimangano nell'ombra, ma emergano, si formino, si perfezio- nino e diventino infine patrimonio della gloria nazionale.

In quella compagnia di comici viaggianti si trovava allora un uomo

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ancora giovane, ma che aveva già superato di gran lunga tutti i suoi com- pagni. L'amore per la vera arte aveva già messo profonde radici nel suo animo, senza farse e senza ciarlataneria, e già allora egli aveva i l presenti- mento della elevatezza del compito dell'artista allorché, rappresentando con precisione la natura, mira non soltanto a correggere gli uomini, il che riesce poco a chiunque, ma ne raffina il gusto, ne rende più nobile il 111odo di pensare e l i costringe a cogliere la verità nella arte e i l bello nella

. verità. Allegro procedeva il gruppo dei giovani, saltellando, fischiettando, scanibiando battute, ripassando le parti, canticchiando couplets, lanciando frizzi. I1 sole tramontava quando la strana processione fece il suo ingresso trionfale nella città di Temenev, proprio a due giorni dall'inizio della fiera e dall'apertura del teatro.

Due giorni dopo la consorte del gorodnitii della città, Glafira Kirovna, se ne stava alla finestra in abbigliamento casalingo con la kaca- veetka9 e i bigodini, osservando la solita confusione che precedeva I'ini- zio del mercato. A stento avanzavano carri, kibitke con barbuti mercanti; gli operai si affrettavano, trasportavano travi. Glafira Kirovna, che non era stata viziata dalle bizzarrie della capitale, guardava ogni cosa con grande piacere e con non piccola attenzione. I1 periodo della fiera lusinga- va in un certo qual modo il suo amor proprio, convinta come era che la c i~ tà fosse come sottoposta alla sua autorità e costituisse quasi parte della sua proprietà. Figlia di un modesto proprietario dei dintorni, si era trasfor- mata di colpo da timida fanciulla in una signora autoritaria, che esigeva altezzosamente il rispetto dovuto alla sua dignità. In chiesa sedeva al primo posto e si lamentava col marito con le lacrime agli occhi se qualcu- no per la strada osava non togliersi davanti a lei i l cappello. A Glafira Kirovna piacevano i regali, non quelli voluminosi che venivano conteg- giati nel gabinetto del marito, ma tutte le sciocchezze di moda, cappellini, pettinini, boccettine ed altre bagattelle femn-iinili. L'appaltatore e gli amministratori non dimenticavano di recarle, nei giorni di festa, il loro inevitabile obroklo ricevendone, come ricompensa, l'esser ritenuti degni di un invito a pranzo. I1 gorodniEi1 era un padrone di casa cordiale, che sapeva vivere, ed estremamente ospitale.

Glafira Kirovna se ne stava alla finestra, guardava da una parte e dall'altra, osservava e tutto ad un tratto dette in un gridolino di stupore e visibilio: sul marciapiede di fronte alla sua casa camminava una giovane donna piuttosto sfacciata, e vestita non del tutto senza gusto, anche se leziosamente. Glafira Kirovna, d'altra parte, in virtù dell'infallibile senso femminile, ne aveva abbracciato l'abbigliamento dalla testa ai piedi con uno sguardo rapidis\imo. Tutta l'attenzione di Glafira Kirovna era rivolta all'incantevole cagnolino che la giovane donna portava legato ad un

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I1 cagnolino

lungo nastro rosa. Glafira Kirovna non aveva mai visto un simile cagnoli- no, minuscolo, il pelo lungo fino a terra, il muso una delizia, la coda un miracolo, in una sola parola, un incanto!

- "Deve essere la Poi'enovska,ja - pensò Glafira Kirovna - Eh, che arie ha cominciato a darsi! Bisogna levarle il cagnolino. Lo dirò imman- cabilmente a mio marito. Un cagnolino così posso averlo io sola, per una semplice attrice è del tutto sconveniente".

In quel momento un carrozzino attaccato ad una pariglia si fermò all'ingresso ed il gorodniEij, in completa uniforme, entrò nella stanza. Era andato a presentarsi al funzionario mandato dal capoluogo del governato- ralo a sopraintendere alla fiera, ed era piuttosto turbato.

Non aveva fatto in tempo ad entrare, che la moglie gli si gettò al collo:

- "Feden'ka, mi ami?" - "Smettila, madre mia, che razza di sciocchezze!" - "Feden'ka, mi ami?" - "Cosa ti s~iccede, madre mia'?" - "Caro, animuccia mia, mi ami?" - "Si sa, si sa, t i amo. Cosa t i occorre?" - "Hai visto il cagnolino?" - "Quale cagnolino?" - "Ecco, or ora è passata la PoEenovskaja: si dà tante arie come

nessun'altra. Pensa un po', porta a spasw un cagnolino." - "E con questo?" - "No, non si può neanche immaginare un cagnolino come cluello.

Non ne ho mai visto uno così neanche in sogno. Sta tutto in una mano, proprio un amorino."

- "E allora ... - "Feden'ka, non vuoi che io muoia?" - "Che razza di sciocchezza!" - "Feden'ka, regalami quel cagnolino, altrimenti morirò clavvero.

Non posso vivere senza di lui ... morirò, morirò! I banibini rimarranno orfani ..."

A questo pensiero Glafira Kirovna si mise a piangere. - "Eh, matuSka - disse il gorodnizij, stringendosi nelle spalle. -

Avresti dovuto dirlo molto prima. Ora ci ho altro per la testa che queste sciocchezze. Il fun~ionario è sornione, non sarà facile intendersi con lui. Heh, Dio è misericordioso, ne abbiamo visti altri che questi. E tu, matu- Ska, sta tranquilla per il cagnolino. Pensavo che fase successo chi sa che. Dirò semplicemente due parole a PoEenovskii, è mio vecchio amico e non dirà nemmeno una parola: t i porteranno i l cagnolino. Ah, sì: fa portare la

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Sollogub

finanriera ed un bicchierino di vodka all'assenzio. Al funzionario gli ha preso i l tremito."

- "E' arrabbiato'!" - chiese la moglie sollecita - "Eh, matus'ka! Lì per lì sono tutti arrabbiati. Uno nitrisce e scalcia

proprio come un cavallo, ad avvicinarti ti viene la paura, poi, guarda un ph, si calma, è tutto co\ì mansueto, tutto così buono da qualsiasi parte lo pigli, che non ne occorre uno migliore. L'importante è solo da quale parte avvicinarlo. Su, addio, matus'ka, devo dare un'occhiata alle botteghe, vedere che merci hanno portate. Ci andrai a teatro stasera'?"

- "Non posso, Fedor Ivanyc', l'anima non è tranquilla. Fino a quan- do l'attrice avrà quel cagnolino non andrò da nessuna parte e in particolar modo a teatro. Guarda un po', comincerà ad avanzare delle pretese come se fosie la moglie di un funzionario, una nostra pari. E' talmente ambizio- sa che peggio non si può, ripugna a guardarla! Vai tu solo a teatro, io non ci andrò per tutto l'oro del mondo, non ci andrò assolutamente.

Cosa danno'?" - domandò incuriosita. - "Non so che Don Giovanni". - "No - d i s e lei, decisa - non ci andrò". - "Fai come vuoi, matus'ka" - le rispose i l marito freddamente,

dopo di che passò nel suo gabinetto, si cambiò, spilluzzicò qualche coset- ta e, risalito sul carrozzino, si diresse al mercato.

Il gorodniCij di Temenev era a tutti gli effetti un'ottima persona. Nel reggimento in cui prestava servizio lo amavano tutti senra eccezione per l'indole mite e il costante buonumore. Era sempre ritenuto un amico fedele, un buon superiore, e un subordinato rispettoso. Sposo pieno di premure, gli piaceva vivere nella cerchia familiare e \ i occupava con vero amore dell'educazione degli amati figlioli. Sul lavoro non commetteva mai un'ingiustizia, non derubava gli ospedali e le carceri, aiutava i poveri e se talvolta usufruiva di certi introiti ciò accadeva in seguito a calcoli bcn precisi, non per fare delle angherie. Nessuno rimaneva privo del pane quotidiano per causa sua, nessuno aveva versato lacrime per la sua durez- za di cuore. Era un g0rodniCi.i esemplare e gli abitanti di Temenev benedi- cevano la loro sorte.

Quando egli compariva tra le file delle botteghe, i mercanti, vistolo da lontano, gli si inchinavano profondamente e lui chiacchierava benevo- lo con ciascuno, ad uno chiedeva come andassero gli affari, ad un altro dava un colpetto sulla spalla, ad un terro una tiratina scherzosa alla barba, gentile ed affabile come può esserlo soltanto un governatore. In ogni bot- tega, inoltre, lodava qualcosa con particolare entusiasmo. In una il grano gli sembrava di una rara bontà, in un'altra gli arnesi di Serro lo stupivano pcr la loro solidità, in un posto gli piaceva straordinariamente il caffè,

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I1 cagnolino

nell'altro lo zucchero aveva un sapore eccezionale. In quanto ai tessuti, non c'era niente da dire: gli piacevano proprio tutti. A queste lodi i mer- canti corrugavano leggermente la fronte, tuttavia si inchinavano ossequio- si, lo pregavano di renderli felici bevendo subito, nella bottega stessa, una bottiglietta o di concedere loro l'onore di portagliela a casa. I1 gorodnizij però rifiutava l'offerta, attenendosi ad una norma da lui adottata, e conti- nuava a passeggiare tra i banchi, elargendo ovunque lodi e rispondendo cortesemente agli inchini rispettosi ed ai saluti manierati che gli venivano rivolti da una parte e dall'altra. In uno di quei momenti incontrò PoCenovskii, che se ne tornava tutto allegro dalla prova. I1 berretto pog- giava appena sulla nuca: i biglietti per lo spettacolo serale erano già stati dati via tutti.

- "Ehi, fratello Osip! - gridò il gorodniCii. Bisogna far rilevare che, a parte le altre sue qualità, Fedor IvanyC era amante delle arti ed appassio- nato di letteratura. Proteggeva particolarmente il teatro, invitava spesso a casa sua dimenticando la sua autorevolezza di funzionario, chiamava per- sino il tedesco semplicemente AdamyC ed i l polacco Osip.

- "Ehi, Osip! - gridò - vecchio amicone! Da dove vieni?" Osip si inchinò in un atteggiamento di rispettosa familiarità: - "Dalla prova, vostra nobiltà." - "Bene, fratello, bene! Vi occorre qualcosa? Vi devo mandare una

diecina di pompieri per il balletto? Non vi occorre qualcosa di competen- 7a della polizia?"

- "Vi ringra~iamo umilmente. Dal momento che siete così compia- l cente, lo chiederemo."

- "E perchS fratello? Sono contento di aiutare un vecchio amico. Non ti puoi lamentare di me: mi pare che viviamo bene assieme".

- "I,o sento dal profondo dell'anima". - "Pare che quest'anno l'introito sarà pii1 che soddisfacente. Non ricordo una fiera come questa." - "Dio lo voglia". - "Bene, fratello, bene! Mi rallegro, mi rallegro. Guarda di non far

fiasco stasera. Don Giovanni lo fai tu?" - ''Io." - "Bene fratello! Guarderemo. Addio, Osip." - "Addio, vostra nobiltà". - "Che diavolo ... Osip! Me l'ero completamente dimenticato ... Che cagnolino è quello che hai?" - "Un cagnolino?" - "Sì, la mia Glafira Kirovna ha visto che tua moglie ha non so che

cagnolino e delira per lui. Mandamelo, per piacere."

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Poc'enovskij impallidì. - "Vostra nobiltà, chiedete quello che volete, vi darò l'anima ma il

cagnolino è impossibile". I1 gorodnic'ii si accigliò. - "Ascoltami, O\ip, non ti consiglio, fratello, di litigare con me. Mi

sembra che sino ad ora siamo stati amici e che sono sempre stato disposto ad aiutarti. Qualche volta non sarebbe stato il caso, ma tu conosci il mio carattere, non posso rispondere con un diniego ad un amico".

- "Ascolto, vostra nobiltà". - "Mi sembra di non averti chiesto nulla sino ad ora, ho vissuto con

te come un fratello carnale." - "1,o sento, vostra nobiltà." - "Questo è il punto. Ed ecco che per la prima volta ti chiedo una

cosa insignificante, un cagnolino, ed è impossibile". - "Vostra nobiltà, i l cagnolino non è mio, è di mia moglie. Io non

solo lo darei via, sono pronto anche a strozzarlo. Cosa c'è in lui? E' una vera carogna. Ma voi conoscete mia moglie. Il cane è una schifezza, abbaia in continuazione, morde, lo schifoso, è una repellente canaglia. Con lei, con mia moglie, nessuno ce la spunterà. Non lo darà via, la cono- sco, non lo darà. A meno che non lo ordiniate voi."

"Sei proprio una donnicciola, Osip, che non ce la fai a spuntarla con tua moglie".

- "Vostra nobiltà - continuava querulo Poc'enovskii. - Eppure lo sapete: mia moglie ha un carattere così forte che qualche volta sarei pron- to ad infilare la testa in un cappio. Non oso parlarle del cagnolino, mi caverà gli occhi. Giudicate voi, vostra nobiltà, non potrò più recitare. Abbiate pietà, Fedor Ivanyc': ordinateglielo voi, non oserà dirvi di no."

- "Bene, fratello, bene, più tardi glielo dirò e tu datti da fare: cerca solo di capire che col cagnolino vorrei fare cosa gradita alla mia Glafira."

E con queste parole si separarono. La sera, nel deposito della farina, ci fu la solenne apertura del tea-

- tro. Tutti i posti senza eccezioni erano stati occupati dagli spettatori. Ilincasso aveva superato i mille rubli. Il funzionario venuto dal goveina- torato sedeva coi figli in un palco riservato, abbellito da una cotonina rossa, su cui spiccava luminosa una lira di carta dorata. I1 pubblico ascol- tava con grande attenzione, forse perchk il buio della sala non gli consen- tiva di occuparsi d'altro ma lo costringeva a guardare direttamente la scena. Tutti, comunque, erano molto contenti. Poc'enovskij gridava ed agitava le braccia in modo tale che, nonostante la sua pronuncia polacca, suscitò applausi scroscianti. Nel complesso la rappresentazione procedeva felicemente. Solo proprio verso la fine ci fu un piccolo guaio. Bisogna

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I1 cagnolino

sapere che lo scenario usato di solito per l'inferno, a causa delle piogge prolungate, era risultato assolutamente inutilizzabile e quindi era stato sostituito con un folto bosco: per aumentare l'effetto, dalle nuvole volava una Furia che, afferrato i l suo trepidante Don Giovanni, non lo precipita- va nell'inferno, il che sarebbe stato troppo banale, ma lo portava con sé per aria. I1 meccanismo del volo era semplicissimo: nel soffitto, su due traverse, era stata tesa da un cavicchio ad un altro una grossa fune cui era stata legata la Furia. Alcuni robusti giovanotti, che godevano in tal modo del diritto di assistere gratis alla commedia da dietro le quinte, abbassava- no a poco a poco la fune verso i l pavimento. Sulla schiena di Don Giovanni era stato fissato un gancio di ferro e sul petto della Furia un anello, anche questo di ferro. Tra i lamenti e la disperazione dell'ateo, la Furia doveva infilare abilmente il gancio nell'anello e sollevarsi di botto con la sua vittima verso il soffitto, nel modo sopra spiegato, tra lo spaven- to degli spettatori. Purtroppo il successo non coronò l'iniziativa. In primo luogo la parte della Furia era stata assegnata ad un attore pauroso che, per infondersi maggior coraggio, si era seduto su una trave, aveva bevuto smoderatamente ed era completamente sbronzo: in secondo luogo, o che la corda si fosse bagnata, o che i cavicchi fossero stati piantati male, fatto sta che la Furia non si precipitò giù a rotta di collo, ma cominciò ad abbassarsi, volteggiando al di sopra del palcoscenico come un nibbio. Prima erano apparsi i suoi stivali rossi, poi la veste variopinta ed il muso terrificante, con una parrucca tremenda, intorno a cui i l vecchio parruc- chiere si era dato da fare per tutto il giorno. Questa figura paurosa si agitò come un lupacchiotto per quasi cinque minuti, dimenanctosi in ogni dire- zione, ed infine, raggiunto a fatica il pavimento, si fermò spaventata, cogli occhi fuori delle orbite, del tutto inebetita. Invano Don Giovanni mugghiava come una bestia feroce, invano indicava febbrilmente l'anello fatale sulla sua schiena: la Furia, spossata dal suppli~io, non si muoveva da dov'era. Alla fine il terribile peccatore corse incontro al suo castigo, inutilmente però camminò all'indietro, inutilmente si diede da fare per andare a finire, in un modo o nell'altro, dentro l'anello: il gancio non si agganciava. Questa \cena imprevista si prolungò parecchio. Alla fine, poiché la Furia non si era ancora ripresa ed aveva, con tutta eviden~a, rinunziato al suo tremendo compito, il sipario fu calato ed il vizio rimase impunito. Va da sk che, mentre veniva calato il sipario, il dramma si tra- sformò in un balletto. Don Giovanni buttò giù la parrucca dalla testa della Furia e, afferrata quest'ultima per i capelli, l'aveva fatta rinvenire dall'intontimento in un istante. I1 pubblico di Temenev, d'altronde, non stava dietro alle quisquilie e, uscendo dal teatro, lodò la voce robusta dell'attore discutendo rumorosamente dello spettacolo del giorno dopo.

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Da parte sua, i l gorodnitii si diresse dietro le quinte per congratu- lar\i cogli attori del successo, e ricordare contemporaneamente del cagno- lino, ma incontrò subito una resistenza quale non si aspettava affatto. Alla sua richiesta, la Poc'enovskaja si tramutò tutta in volto ed affermò recisa- inente che non avrebbe dato via i l suo cagnolino per nulla al mondo.

- "Ma vostro marito nie l'ha promesso" - mentì i l gorodnitij - "Allora prendetevi mio marito - replicò la Poc'enovskaja, scattan-

do - non mi metterò certo a piangere per lui: ma i l mio cagnolino non lo vedrete, come non vedete le vostre orecchie. E' i l mio unico amico, la mia consolai-ione, la mia gioia: vivo solo per lui, senza di lui morirò, morirò! Noi non siamo vostri schiavi. Non osate darci ordini! Guarda un pì) cosa non avete inventato! AnuSka non lo darò via, piuttosto mi metterò a chiedere l'elemosina, ma non lo darò via! Non lo darò! Non lo darò!" La voce della prima donna aveva raggiunto un tono acutissimo ed il gorodniEi,j, alquanto offeso per l'inaspettata insolenza e per la completa mancanza di decoro e di educazione, si rivolse a Don Giovanni, che era riniasto di stucco.

- "Ascoltami, fratello Osip. Bisticciare con la tua signora non si coni3 al mio grado e non ho neanche i l tempo di farlo. Questo oimai è atfar tuo. Convincila come che sia. Tu mi conosci: sono un uomo buono, nia per ognuno la pazienza ha un limite. Fammi un favore, carissimo, non costringermi ad agire nei tuoi riguardi in maniera non amichevole. Mi ci costringi tu. E' tanto che devo dare un esempio. Non ne sono contento, ma non c'è niente da fare, ti prego, fratello, non costringermi a dare que- \t(> esempio proprio a spese tue. Eh, fratello! Dio mio, non vorrei litigare proprio con un vecchio amico. Ascoltami, cerca di farti dare da tua moglie il cagnolino, fallo senza perder tenipo. Come, è affar tuo. Picchiala, se vuoi, que\to è i l compito del marito, per questo sei il marito, basta che domani mattina alle sette i l cagnolino sia a casa mia, intesi? Se non ci w à , allora dài la colpa a te <tesso, tu stesso sarai il colpevole. Ti ho prevenuto da amico."

Commosso da una simile benevolenza, Potenovskii, trepidante, promise che avrebbe fatto ricorso a tutto pus di sottrarre alla moglie l'oggetto dell'incoinbente contrasto. I1 gorodniti.j gli dette un colpetto sulla spalla, gli augurò sinceramente di aver successo e si avviò verso la sua abitazione, da dove mandò immediatamente un invito per il tè all'architetto distrettuale.

Poc'enovski.j si accinse a malincuore a convincere la moglie, ma questa si era già preparata. Prima di tutto i l cagnolino era stato rinchiuso in un luogo sicuro, sotto chiave, e poi non appena i l con\oi-te intimidito cominciò a parlare di AnuSka, impappinandosi, lo gratificò di uno strillo

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I1 cagnolino

così acuto, lo ricoprì di tali ingiurie che il povero regista non sapeva dove nascondersi ... Come se non bastasse gli scaraventò sul viso tutto quanto le capitava sotto mano, gli rovesciò addosso un intero catino d'acqua, lo buttò fuori dalla porta e si chiuse a doppia mandata. I,o sfortunato Don Giovanni, scacciato dalla propria abitazione, se ne andò in una bettola, dove bevve per tutta la notte e sul far del giorno, disperato e sbronzo, si addormentò sotto una panca.

I,a mattina seguente, alle sette, il g0rodnii;i.i beveva i l caffè e fuma- va la pipa.

- "Ehi, ragazzo!" - gridò. I1 ragazzo, uno spilungone di tre arginli, accorse. - "Sono venuti da parte di PoCenovski.i?" - "Assolutamente no, vostra nobiltà." - Tuonò quello con voce di

basso. - "Hanno portato il cagnolino?" - "Assolutamente no, vostra nobiltà." - "Beh, non c'è niente da fare - continuò Fedor IvanyC, stringendo-

si nelle spalle. - Lui stesso ne ha la colpa. Mi pare di avergli parlato da amico. Che venga lo scrivano."

Lo scrivano si presentò con la penna dietro l'orecchio. I1 gor0dniCi.j gli fece prendere posto al tavolo, gli dette un foglio di carta e gli ordinò di scrivere un rapporto, del seguente contenuto:

"Al signor funzionario soprintendente alla fiera. Rivolgendo indefessa attenzione alla ispezione di tutte le parti e di

tutte le componenti della città a me affidata, senza risparmiare le mie f o r ~ e e la mia salute e proponendomi come un sacro dovere di intensifica- re la mia vigilanza nel periodo così affollato della fiera, dal momento che alla Eccellenza Vostra non è ignoto che ove sia una grande affluenza di popolo possono verificarsi dei casi che incutono terrore alla umanità e producono vittime innocenti e, oltre a ciò, possono dare adito ad allusioni e a dicerie offensive sulla negligenza della polizia, ad evitare ciò, nel rife- rire alla Eccellenza Vostra tutti gli avvenimenti verificatisi in città, ritengo mio dovere aggiungere quanto da me personalmente constatato ieri sera e cioè che i l deposito in cui sono state fissate per quest'anno le recite ricreative dei signori Srein e PoCenovski.j, è così vecchio che minaccia di crollare ad ogni istante, il che potrebbe privare in un attimo, della vita gli spettatori presenti in teatro: ed essendomi nota la cura sollecita della Nobiltà Vostra per i l bene del popolo ed al tempo stesso a tutela della mia responsabilità nonché per i doveri a me derivanti dalla mia carica, ho l'onore di esporre rispettosamente alla Eccellenza Vostra l'osservazione da me fatta e di chiedere la Vostra benevola autorizzazione: se non sareb-

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be utile ordinare che i l sopraddetto magazzino sia messo sotto sigillo ed interrompere le ulteriori recite dei comici, per altro molto abili ed enco- miabili, ad evitare eventuali disgrazie e proteggere, nella misura in cui ciò sia possibile, gli abitanti della città a me affidata".

Al rapporto fu apposto i l timbro e venne recapitato a chi di compe- tenza. Bisogna render giusti~ia a Fedor IvanoviC che, piuttosto turbato di fronte ad un'azione così decisiva, fumò la sua seconda pipa senza il mini- mo piacere. Nel frattempo lo scrivano, che godeva di un posto gratis in platea e non di rado se la spassava un po' con alcune attrici di secondo ordine per svaghi di un genere diverso, rimase terrorizzato dalla sventura che lo iiiinacciava. Non a torto si dice che i veri amici si conoscono nella disgrazja. Lo scrivano si precipitò da un suo amico, padre nobile nonché gran bevitore. Il padre nobile corse terroriz~ato da Srein.

Trovarono PoCenovskij sotto la panca ed il mistero della inaudita persecuzione fu spiegato. Come comportarsi? Cosa fare? Bisognava tro- vare a qualunque costo un mezzo per allontanare l'incombente disastro.

La chiusura del teatro non soltanto privava i registi degli attesi gua- dagni, ma tutta la compagnia del nutrimento giornaliero. Forse i l lettore ignora con quali scarsi mezzi vivevano i teatri di provincia e cosa signifi- casse per essi i l periodo della fiera. Non di rado la brutta povertà con tutte le sue conseguen7e - con la fame, con le malattie, con indicibili tormenti - occhieggiava da dietro le quinte sporche. Non di rado il povero attore consuma le sue ultime forze nel divertire il pubblico, per procurarsi il pane quotidiano, per comprare un po' di legna e riscaldare la famiglia intirizzita. La compagnia di Srein e PoEenovskii era soggetta a quella w s s a amara sorte e riponeva tutte le proprie speranze riguardo all'esi- stenza di tutto l'anno sugli incassi nel periodo della fiera. Tutti gli attori erano stati ingaggiati a credito, i costumi, anche se mediocri, erano stati racimolati in un modo o jn un altro sempre a credito, l'appartamento era stato preso in affitto a credito ed anche il vitto veniva fornito a credito, il tutto, si capisce, in attesa dei beni futuri, in cambio dei futuri guadagni. Sc il teatro veniva chiuso, i debiti rimanevano non saldati, Don Giovanni andava a finire in prigione, le amorose, i malvagi ed i comici dovevano chiedere l'elemosina sulla via maestra, per non morire di fame.

Srein, tuttavia, mantenne un atteggiamento orgoglioso e grave, come se nulla fosse. Da individuo legalitario, ripeteva "Me sapere, me sapere. Ricorrerò all'autorità".

Bisogna sapere che Srein godeva della benevolenza del funzionario governativo in quanto, nella sua qualità di maestro del balletto, insegnava a ballare ai figli di lui, e naturalmente gratis.

Il funzionario governativo era un uomo altezzoso e molto irascibi-

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Il cagnolino

le. Appresa da Srein la strana vendetta del gorodnic'ij, si mise a gridare in maniera tale che lo stesso tedesco si spaventò.

- "Io - gridava - gli dimostrerò cosa significa scherzare con me! Questa è frode, banclitismo! Di grazia ... brigantaggio, puro brigantaggio! Non mi conosce ancora. Lo caccerò a casa del diavolo. Lo manderò subi- to sotto processo. Lo annienterò. Lo manderò soldato, i l truffatore. La Siberia è poco, lo manderò ai lavori forzati: mi ricorderà. Pensa di essere il padrone, qua. Gli faremo abbassare le coma, io mi libererò di lui, io lo

9 , ... "Di fronte ad una collera così tremenda, Srein provò pietà per il

gorodniEii. Per quanto si dica, è un brav'uomo, ha famiglia. E'mai possi- bile che venga mandato ai lavori forzati per un cagnolino?" Il buon tcde- sco stava già per chiedere perdono per lui.

- "No! - gridava il funzionario - ora è già nelle mie mani, ora non andrà più via, non scapperà più, mio caro. Ora, fratello, è tardi. Io gli sto dietro già da un bel po'! Cosa pensa, che io non sappia dove sono andati a finire i quattrini per la squadra dei pompieri. E cosa prende da ogni botte- ga? Una rossa, ah? Una bianca? " Ed il solo appaltatore, quanto dà? E i pranzi? E le cene? Si dà da mangiare agli ospiti coi soldi dello stato, ah? Vedremo ora come comincerà una nuova vita! Ascoltate - continuava minaccioso, rivolgendosi al segretario - che si mandi immediatamente una severissima ingiunzione all'architetto, perché tralasci tutto cluel che ha da fare e vada subito a ispezionare il teatro. Che tra due ore mi presenti il rapporto, altrimenti la pagherete voi, mi sentite? E tu non aver pietà di un mascalzone, gli sta bene - disse affettuosamente a Srein. - Va' dai bambini, caro. E grazie a te per avermi rivelato un'ingiustizia."

Srein ringraziò con sentimento il funzionario governativo per il caloroso intervento e andò a fare la sua le~ione. Come al solito, durante la lezione piegava le ginocchia, stendeva le gambe, ma non mutava mai i l suo aspetto severo.

Dopo di aver pagato in tal modo i l suo tributo di riconoscenza, Srein si avviò per la prova, dal momento che la sera doveva ballare un grazioso pas de deux e dopo danzare alla zingara, il che, come è noto, piace molto ad un certo ceto di persone.

Presso il magazzino dei cereali si accalcava la folla. Srein si avvi- cinò, e come descrivere il suo orrore? Tra la folla degli artisti raccoltisi all'entrata, l'architetto distrettuale sigillava flemmaticamente le porte del teatro con un enorme sigillo. Intorno a lui risuonava un sordo mormorio iroso. La regina di Spagna, i l braccio poggiato sul palmo della mano, \in- ghiozzava disperatamente intercalando alle lacrime i detti più lugubri. I1 vecchio parrucchiere sistemava premurosamente in alcuni scatoloni le

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parrucche, scaraventate fuori dal deposito. PoEenovski.i, col berretto sul naso e le braccia incrociate sul petto, caniminava su e giù a lunghi passi. Gli altri, pallidi e sconvolti, formavano vari gruppetti e parlavano tra loro a voce bassa.

L'architetto, senza rivolgere attenzione alla generale disperazione, portò a compimento il suo lavoro senza scomporsi e se ne andò a riferire al superiore che i l rapporto avanzato dal governatore era assolutamente

, fondato, che il teatro poteva crollare la sera stessa e che quindi, ad evitare : un'orribile disgrazia, aveva messo i sigilli all'edificio, com'era suo dove-

re. Quando egli si fu allontanato, gli attori cominciarono a consultarsi

tra loro: che fare'! Pensavano, discutevano, si lamentavano, andavano in collera. Srein si precipitò di nuovo dal funzionario, ma quello era occupa- to in affari importanti ed aveva dato l'ordine che non si ricevesse nessu- no, ed intanto gli appassionati si accalcavano presso la cassa, chiedendo i biglietti per lo spettacolo della sera. Come comportarsi? Dopo un lungo dibattito, la decisione fu la seguente: alla richiesta dei biglietti comunica- re che questi sarebbero stati distribuiti, collocare il guardiano col dorso appoggiato proprio sul foglio fatale, affinché in città non si spargesse la voce di quanto era accaduto: mandare infine Poc'enovski.i dal gorodniCii a confessare la sua colpa e a chiedere perdono.

E' evidente che Fedor Ivanovic' aspettava quella visita. Quando PoCenovski.i, pallido e turbato, fece irruzione nella sua stanza, si limitò a crollare la testa.

- "E allora, fratello Osip? Ti avevo detto ..." - "Ma voi ci rovinate, Vostra Nobiltà." - "I,o so." - "Ma noi viviamo tutto l'anno di questa fiera. Abbiamo preso tutto

a credito. Con che cosa pagheremo ora'!" - "Lo so." - "Ma voi ci volete ridurre alla miseria?" - "E chi ne ha la colpa'? Ti avevo pregato di non costringermi a

dare un esempio a spese tue." - "Abbiate pietà, Fedor Ivanyc'." - "No, va' a chieder pietà altrove." - "Non sono io il colpevole, Fedor IvanyC, non sono io, io sono un

vostro vecchio amico. C'? andato i l maledetto tedesco." - "Prega allora i l tuo tedesco". - "Vostra signoria, cosa devo fare'! Mi separerò e basta." - "Su, su, fratello, calma; cosa ti è preso? Ah?" - "Fedor IvanyC, facciamo così, ruberò il cagnolino e \le lo porterò,

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I1 cagnolino

solo perdonatemi." - "No, fratello. Ora è un'altra storia, ora non te la caverai col

cagnolino." - "Cosa ordinate?" -"Ascoltami, Osip - rispose il gorodnic'ii, benevolo - io ti voglio

bene, lo sai, mi dispiace per te. Io ti perdonerei, ma il momento è tale per cui non posso, lo vedi da te, non posso: cosa si comincerà a dire tra il popolo? Sarà un brutto esempio, un segno di debolezza. Non è possibile, fratello, non è proprio possibile. Prenditela con te stesso, tu stesso ci sei andato a cascare, non hai dato retta a un amico, ti sei procurato il danno da te. Piangi quanto vuoi, non c'è niente da fare: ci vuole iin esempio. Ora, carissimo, non metterti a strillare. Ecco le mie ultime condizioni: cinquecento rubli a me, trecento all'architetto, a mia moglie uno scialle da trecento rubli nonché il cagnolino."

- "Come!" - esclamò Poc'enovski,j. - "Proprio così. Non è davvero caro. Un altro vi avrebbe preso tre

volte di più, ma tu conosci i l mio carattere: non posso non aver riguardo per un vecchio amico. Ehi, fratello, ora ascoltami, altrimenti saranno guai! Ti parlo da amico. Se porterai i soldi, aprirò subito il teatro, non l i portare e non reciterete più per tutta la fiera. Prenditela con te stesso. Mille rubli per voi ora non sono una gran somma, l i raccoglierete in una sola serata. Ascolta il consiglio di un amico, Osip, non perdere tempo. Corri a prendere i quattrini ed aprirò subito il teatro."

- "Ma come potete farlo? - domandò PoCenovskii - Al teatro hanno messo i sigilli."

- "Questo non è affar tuo, fratello. Io sono un uomo onesto, se dò la parola la manterrò, sta' tranquillo, la manterrò. Soltanto, fratello, pema anche a me: con lo stipendio non si vive mica. Non voglia i l cielo che i l popolo venga a saperlo e cominci a dire: se Fedor Ivanovyc' ha agito così con un amico, come agirà con noi? Capisci? Mi ci vuole proprio questo: ecco perché mi ci vuole un esempio. Altrimenti ti avrei perdonato."

- "Ma il signor funzionario ..." - disse timidamente Poc'enovskij. I1 gor0dniEi.j sorrise - "Anche per questo non preoccuparti, fratello, grande è la collera, grande la misericordia. Portami al più presto i quattrinelli."

Pocènovski,j ritletté, ritletté, si agitò sulla sedia, vide che la cosa era già decisa, si alzò, si inchinò ed uscì.

- "Non dimenticare il cagnolino!" - Gli gridò dietro il gorodniCij. Nel frattempo la massa degli attori continuava ad aspettare irre-

quieta presso i l teatro. I1 guardiano lungo lungo stava fermo al suo posto, come una statua, tutti aspettavano trepidando. Alla fine, dietro i l berretto abbassato, comparve Poc'enovski.i, ma quando egli comunicò l'inaudita

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pretesa del gorodnic'ij, l'avvilimento generale si trasformò in disperazione generale. Srein avrebbe voluto opporsi:

- "Me - gridava - me glicra farò federe! -" Poc'enovskij scuoteva la testa: capiva meglio la vita.

Le volontà di Fedor Ivanyc' era inflessibile come il destino. Lui sapeva bene quel che faceva. E i l sigillo era proprio lì dietro la

schiena del custode e nessuna forza lo avrebbe strappato senza i l gorodniEij.

Gli attori sgomenti si convinsero della triste verità ed insistettero coi loro registi perché sacrificassero l'introito del giorno precedente. E veramente non rimaneva altro da fare. L'unico biglietto da mille, conser- vato tutta la notte nella cassa incredula, fu tirato fuori con un sospiro e quasi con le lacrime agli occhi. Andarono a comprare lo scialle, ottennero anche uno sconto di dieci rubli a scapito di Glafira Kirovna, poi misero trecento rubli in un pacchetto, cinquecento in un altro, ma tutto questo era sempre poco: bisognava ancora prendere i l cagnolino, causa principale del cataclisma che si era scatenato.

Esattezza storica esige che io precisi che Poc'enovskii si diresse al mercato, comprò due cannelli da pipa della necessaria grandezza e con questo armamento si avviò riluttante a casa sua.

, Ora la penna mi cade di mano e si rifiuta decisamente di disegnare 1

l'iniquo quadro delle discussioni tra i coniugi: basti dire che le discussio- ni si prolungarono per più di due ore e che una volta cessate, i cannelli

' della pipa erano in pezzi, la priinadonna in deliquio, mentre i l regista, col iso graffiato, il vestito lacero e persino senza i l berretto, correva per la

strada, stringendo convulsaniente tra le mani i l cagnolino che uggiolava. Dopo mezz'ora al gorodnic'ij veniva consegnato i l tributo da lui richiesto e dopo poco più di un'ora alla cassa venivano distribuiti i biglietti, spor- chi e spiegazzati al punto che era difficile stabilire come e dove li avesse- ro approntati. I1 teatro venne aperto.

Ed ecco come: l'architetto distrettuale presentò al suo superiore un secondo rapporto, a completamento del primo.

Nel primo era stato detto che il teatro minacciava di crollare rapi- damente e nel secondo che la scienza offre i inez7i per prevenire casi del genere. Pertanto, conoscendo l'amore per le arti del funzionario governa- tivo e la sua cura del bene comune, lui, l'architetto, si era accinto imme- diatamente a rcstaurare l'edificio del teatro, mettendovi dei contrafforti e delle capriate, cosicché allo stato attuale non presentava più alcun perico- lo, per cui le recite già annunciate potevano essere consentite.

Eseguiti gli obblighi derivantigli e dalla sua carica c dalle conve- n ien~e , i l signor architetto si diresse al teatro e, fatto da parte i l custode,

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I1 cagnolino

strappò l'ordinanza, piantò qua e là, con aria importante, un paio di chiodi e comunicò solennemente che i l magazzino non solo non soggiaceva ad alcun pericolo, ma che era costruito con un legname così meraviglioso che poteva rimanere in quello stato per altri dieci anni.

La sera il teatro era di nuovo pieno zeppo. I,o 5pettacolo annuncia- to riuscì alla perfezione e non seguì nessuna disgrazia.

I1 giovane, di cui è stata fatta menzione all'inizio di questo raccon- to, aveva tratto una singolare ispira~ione da tutto quel che aveva visto nel corso dell'intera giornata. Recitava la parte comica di uno scrivano e la recitava con tale vivacità, esprimeva con tanta naturalezza la buffa immo- ralità delle vedute del personaggio che gli spettatori risero a più non posso per tutta la serata, tuttavia si allontanarono con una sensazione di profonda tristezza, di grave sdegno. Anche il pas de deux e la danza gita- na suscitarono non poco diletto. Al pubblico non piacque soltanto che sui tratti del volto del ballerino non fosse dipinto l'inevitabile gradevole sor- riso. Srein non era assolutamente in grado di nascondere il suo intimo dispetto e ballava piegandosi sulle ginocchia con l'espressione di una estrema esasperazione.

Alla fine dello spettacolo, il gorodnic'ij invitò a casa sua per la cena e per festeggiare la riconciliazione i registi ed i l giovane attore che si era distinto. Solo Srein rifiutò l'invito abbastanza grossolanamente e se ne andò a casa in collera.

PocénovsQi invece pensò tra sé: "I soldi sono stati dati, perché non cenare? "Osip Vikent'evic' non era un individuo rancoroso, accettò l'invi- to e condusse con sè i l giovane artista.

La cena fu splendida. Fedor Ivanyc' aveva organizzato un banchetto in grande stile, voleva fàr vedere di che era capace. Glafira Kirovna, tutta boccoli, tutta in ghingheri, coccolava il cagnolino, lo chiamava amorino, amoruccio, lo nutriva a pasticcini ed era ai sette cieli. I1 fedigrafo cagnoli- no sembrava aver completamente dimenticato la precedente padrona e blandiva la gorodnic'icha con la servile compiacenza di un postulante. Vi erano alcuni ospiti, il procuratore, l'architetto ed altri funzionari cittadini. Sedet tero a tavola e si cominciarono a portare cibi e bevande. Presentarono un pesce di un arsin e mezzo e lo spruzzarono col madera o, come disse il procuratore, amante della musica, con l'allegro moderato, portarono la salsa e ci bevvero su, portarono le pietanze calde e comincia- rono i brindisi. Bevvero alla salute del gorodnic'ii, poi alla salute di Glafira Kirovna che, anche durante la cena, non aveva mai lasciato anda- re il cagnolino, poi alla salute di tutti i presenti, degli assenti, ai segreti pensieri di ciascuno, alla donna amata da ciascuno in particolare ed al bel sesso in generale, bevvero alle fortune del teatro, alla sua prosperità per

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multi secoli. A questa solenne affermazione il gorodnic'ij cominciò a distribuire

abbracci e Potenovskij, rosso come la mortella di palude, gli si gettò al collo commosso. Ambedue erano fortemente turbati e negli occhi del gorodniti,i erano spuntate persino le lacrime.

- "Osip - disse tristemente - non ti rimorde la coscienza per avermi portato fino a questo punto? Abbi timor di Dio. Hai agito con un vecchio amico come con un qualsiasi malfattore. Non me lo aspettavo da te, fra- tello. Mi hai pur costretto a dare un esempio a spese tue. Mettiti nella mia posi7ione, fratello. Non hai avuto pietà di me. In verità anche per me non è stato facile. Avrei voluto aiutarti, ma era impossibile, lo vedi da te, impossibile. Male, fratello, malissimo."

- "Sono colpevole, Vostra Nobiltà"- balbettò PoCenovski.i. - "Non sono in collera con te - continuava i l gorodnitij - lo dico

per amor tuo. E ricorda il mio consiglio, non sperare negli altri e risolvi da te ogni malinteso. Ecco, per esempio, hai una questione con un poli- ziotto, risolvila col poliziotto, ti costerà un biglietto blu 13 e due bicchieri di ponce. Se non ti va e ti rivolgi al commissario, allora offri una banco- nota bianca e tira fuori lo champagne. Se ti rivolgerai più in alto, là allora c'è odore di centinaia e comunque la cosa finisce sempre con lo stesso poliziotto e sempre con quel biglietto blu e due bicchieri di ponce. E' meglio allora che tu la risolva con lui. Credimi, fratello, ti sono amico e voglio i l tuo bene. Ecco, non hai dato retta a me, un vecchio amico, e mi hai costretto ad agire severamente. Hai dimenticato la vecchia amicizia, mi hai arrecato dolore, ini hai offeso, mi hai proprio rattristato."

La voce di Fedor IvanyC si era fatta così pietosa che PoCenovski,j, trafitto dal senso della propria colpevolezza, non sapeva neanche come scusarsi. I1 giovane attore fu costretto ad intervenire in sua difesa.

- "Tutto ciò è vero, Vostra Nobiltà, - dis5e timidamente - ma il castigo è un po' troppo severo".

-"Eh, giovanotto, giovanotto - continuava il gorodnitii, stringendo- si nelle spalle - si vede che sei vissuto poco su questa terra. Io, fratellino, sono un padre di famiglia - figli, moglje - cosa costano'? Si sa che la mia posizione non è invidiabile: cadi in disgra~ia e vai a finire sotto processo e allora chi s'è visto s'è visto e un pezzetto di pane per i figlioli, un vil- laggetto per la moglie, dove possa vivere conforine al suo rango nobilia- re, così, volente o nolente, metterai con le spalle al muro il tuo migliore amico. Non tutti possono essere candidi, diventi nero per forza, non puoi farne a meno. Ecco, guarda, ieri ho fatto un giretto per il mercato, ho lodato questa e quella merce. I mercanti, imbroglioni, si inchinano, si lisciano la barba, ma non voglia il cielo che ora fossero venuti a sapere

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I1 cagnolino

che provvedimenti ho preso nei riguardi di Osip, guarda dalla finestra, ecco, quello che ho lodato ieri ... eccolo 1à."I1 giovane guardò dalla fine- stra, presso cui era stata sistemata una caterva di sacchi, di fagotti, di oggetti di ogni genere e di ogni dimensione.

- "E cosa avresti detto - continuava i l gorodniEi.i, chinandosi all'orecchio del suo interlocutore - se io stesso non potevo agire diversa- mente, se io stesso ho dovuto portare proprio al signor funzionario gover- nativo quindici mila rubli: me l i darai tu, eh?"'

I1 giovane guardò il gorodnizii, stupito e sgomento. Ecco quali avvenimenti si verificavano nella santa Russia, ancora

quarant'anni fa.

Ila V.A. Sollogub, SoEineni,ja (in 5 volumi), SPB, 1855-1856. Traduzione di Lia Sellerio Domenici.

NOTE

1) Cornetta: nell'esercito zarista era un graclo clella cavalleria, corrisponclente a q~iello cli sottotenente nella fanteria.

2) Brii-ka: carro ricoperto da un tendone, originariamente usato clalle popolazio- ni nomadi.

3) Tarantas: carrozzina senza inolle. 4) Nelle vecchie città di provincia i inarciapiecli erano ricoperti cla assi eli legno. 5 ) GorodniCij: funzionario posto a capo eli una città distrett~iale. 6) Remonter: nell'esercito zarista, ufficiale aclcletto all'accluisto eli cavalli per

l'esercito. 7) Pucl: misura eli peso, ecluivalente a kg 16.300 8) Illustrazioni molto grandi, sistemate su clei cilindri ed illuininate clall'alto. 9) Kacaveei-ka: giacchetta corto e lento, senza bottoni. 10) Obròk: tributo clei servi clella gleba al feuclatario. 11) ArSin: vecchia misura eli lunghezza pari a in. 0,71. 12) Krasnen'kaja: banconota da 10 r~ibli. Belen'kaja : banconota da 25 rubli 13) Biglietto da 5 rubli.

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Scheckr del1 'aurore

Vladimir AleksandroviC Sollogub (1 8 14- 1882) rientra in quella "scuola naturale" particolarmente vivace nella Russia degli anni quaranta dello scorso secolo, la cui origine V.I. Be1inski.i fece risalire a Gogol' e che vide tra i suoi rappresentanti Dal', Aksakov, Panaev ed altri.

Autore di vari racconti e novelle, di commedie e vaudevilles, di "Ricordi", pubblicati integralmente soltanto nel 193 1, nonché di un'opera "Il tarantas" (che Belinskii definì "...né un romanzo né un novella ... né un trattato filosofico, ma tutto questo insieme ..." e che allo stesso Belinskij servì come punto di riferin-iento per i l suo attacco contro l'ideologia degli slavofili), dopo aver goduto di grande popolarità negli anni quaranta - " ... il narratore più amato e più di moda...", come si espresse I. I. Panaev, - Sollogub venne successivamente messo in ombra da autori quali Herzen, Turgenev, Dostoevski.i. Nonostante tutto, però, " ... per il profondo interes- se umano, la delicatezza, la perfezione della forma ..." (citiamo sempre V. I. Belinski.i), la sua opera, riflesso multiforme ed obiettivo dei vari ambienti e dei vari strati sociali della Russia dell'epoca, costituisce una non ultima componente di quella letteratura "minore" dell'Ottocento russo, cui sempre ci accostiamo con partecipazione e con interesse.

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F2~lor Dostoevskij

IL GIOCATORE

Capitolo I11 7

E nondimeno ieri, durante tutta la giornata, lei non mi ha detto nep- pure una parola a proposito clel gioco. Anri, ieri ha evitato del tutto di parlare con me. La sua precedente maniera di trattarmi non è cambiata. La stessa assoluta noncuranra nel rivolgersi a me durante i nostri incontri e perfino qualcosa di sprezrante e di astio5o. In generale, non desidera nascondere la sua repulsione per me, questo è evidente. Ciò nonostante, non mi nasconde neppure che, per un qualche motivo, le sono necessario, e mi tiene di riserva per qualche suo scopo. Tra di noi si sono stabiliti ben strani rapporti, per me incomprensibili sotto molti aspetti, se si tiene conto del suo orgoglio e della sua alterigia con tutti. Lei sa, per esempio, che io l'amo alla follia, mi consente persino di parlarle della mia passio- ne, e, certo, non potrebbe manifestarmi maggiormente i l suo disprezzo altrimenti che con questo permesso di parlarle liberamente e francamente del mio amore. "A tal punto", sembra voler dire, "non considero i tuoi sentimenti, che mi è decisamente indifferente qualunque cosa tu dica e qualunque cosa tu senta per me". Dei suoi propri affari discorreva molto con me anche prima, senza però essere mai del tutto franca. Anzi, nel suo disprcrzo per me c'erano per esempio di queste raffinaterze: lei sa, ponia- mo, che io sono al corrente di una qualche circostanza della sua vita, o di un fatto qualsiasi che la turbi fortemente: addirittura, lei stessa mi raccon- ta qualche sua vicenda, se ha bisogno di adoperarmi in qualche modo per i suoi scopi, come una specie di schiavo o di fattorino: ma mi racconterà sempre esattamente quel tanto che deve sapere una persona impiegata per una commissione, e se io ancora ignoro tutti i nessi della faccenda, se lei stessa si accorge di quanto io mi tormenti e mi preoccupi per i suoi stessi tormenti e le sue preoccupazioni, non si degnerà mai di tranquillizzarmi pienamente con la sincerità di un'amica, sebbene, servendosi di me, non di rado per incarichi non soltanto fastidiosi, ma addirittura pericolosi, avrebbe il dovere, a mio avviso, di essere franca con me. Ma vale fòrse la pena di preoccuparsi dei miei sentimenti, del fatto che anch'io sono in

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ansia e che forse sono preoccupato e mi tormento per le sue preoccupa- zioni e per i suoi insuccessi tre volte più di quanto non faccia lei stessa?

Saranno state già tre settimane che sapevo della sua intenzione di giocare alla in~~let te . Mi aveva persino avvertito che avrei dovuto giocare al suo posto perché per lei era sconveniente giocare. Dal tono delle sue parole mi ero subito accorto che doveva avere qualche serio fastidio e non era seinpliceinente il desiderio di vincere del denaro. Che cos'è il denaro in sé, per lei'? Qui c'è uno scopo, ci sono fatti che io posso indovinare, ma che per ora non conosco. S'intende che l'umiliazione e lo stato di schia- vitù in cui mi tiene potrebbero darmi (e molto spesso mi dànno) la possi- bilità di interrogarla a mia volta con franchezza e in modo esplicito. Dal inoinento che per lei sono uno schiavo e rappresento troppo una nullità ai suoi occhi, non potrebbe neppure offendersi per una mia brutale curiosità. Ma il fatto è che lei, pur consentendomi di fare domande, non risponde. Certe volte addirittura non se ne accorge nemmeno. Ecco come stanno le cose tra di noi!

Durante la giornata di ieri abbiamo parlato molto di un telegramma inviato quattro giorni prima a Pietroburgo e al quale non c'è stata rispo- sta. I1 generale è visibilmente agitato e pensieroso, Si tratta naturalmente della nonna. Agitato è anche i l Francese. Ieri, per esempio, dopo pranzo hanno parlato a lungo e seriamente. I1 tono del Francese verso tutti noi è straordinariamente altezzoso e sprezzante. E' proprio vero il proverbio: "Inviti uno a tavola e quello ti mette i piedi sul tavolo". Persino con Polina è noncurante fino alla villania: peraltro, partecipa con piacere alle passeggiate comuni al Casinò o alle cavalcate e alle gite fuori città. Mi sono note da tempo certe circostanze che hanno legato il Francese al generale: in Russia avevano progettato di mettere su una fabbrica; non so se i l loro progetto sia svanito o se ancora tra di loro se ne parli. Inoltre, per caso sono venuto parzialmente a conoscenza di un segreto familiare: i l Francese ha veramente salvato il generale l'anno scorso, dandogli tren- tamila rubli per colmare l'ammanco dei fondi governativi al momento di fare le consegne nel lasciare l'incarico. Ormai, s'intende, il generale è preso nella sua morsa: ma adesso, proprio adesso, il ruolo principale in tutta la vicenda lo svolge, nonostante tutto, VI-[le Blanche, e sono sicuro che anche in questo non mi inganno.

Chi è questa III-[le Blanche'? Qui da noi si dice che sia una nobile francese, che sia accompagnata dalla madre e che possieda un patrimonio colossale. E' anche noto che sarebbe una parente del marchese, molto alla lontana però, una qualche cugina di secondo o di terzo grado. Si dice che prima del mio viaggio a Parigi il Francese e nl-lle Hlanche si comportas- sero tra di loro in modo alquanto più cerimonioso, che i loro rapporti si

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mantenessero su un piano apparentemente più garbato, raffinato; adesso invece il carattere della loro conoscenza, amicizia e parentela appare alquanto più grossolano, più intimo. Forse, i nostri affari sembrano loro ormai compromessi a tal punto da non dover più ritenere necessario fare troppe cerimonie e fingere con noi. Già l'altro icri avevo notato come nlister Astley osservasse nz-/le Blanche e sua madre. Ho avuto I'impres- sione che le conoscesse. Mi è parso persino che anche il nostro francese avesse già incontrato mister Astley. Peraltro, nlister Astley è a tal punto timido, pudibondo e taciturno che di lui quasi sicuramente ci si può fida- re: non sarà certo lui a portare fuori di casa i panni sporchi. Comunque, il Francese lo saluta a malapena e quasi non bada a lui, quindi non lo teme. Questo è ancora comprensibile, ma perché anche m-lle Blanche quasi non gli rivolge lo sguardo? Tanto più che il marchese ieri si è tradito: improv- visamente ha detto in una conversazione generale, non ricordo a che pro- posito, che mister Astley possiede una ricchezza colossale e che lui ne è informato. A questo punto m-/le Blanche dovrebbe proprio guardare a mister Astley! Ad ogni modo, il generale è in apprensione. Si capisce che cosa possa significare per lui adesso un telegramma che annunci la morte della zia! 8

Sebbene mi fossi convinto che Polina evitava di parlare con me quasi con uno scopo preciso, tuttavia anche io avevo assunto un'aria fred- da e indifferente: pensavo sempre che da un momento all'altro, chissà, sarebbe stata lei ad avvicinarsi a me. In cambio, ieri e oggi ho rivolto tutta la mia attenzione soprattutto a nz-/le Blanche. Povero generale, 2 clefiniti- vamente perduto! Innamorarsi a cinquantacinque anni, con una passione così forte, è certo una di\grazia. Si aggiunga a questo la vedovanza, i figli, i l patrimonio completamente rovinato, i debiti e, infine, la donna di cui gli è capitato di innamorarsi. M-lle Blanche è bella. Ma non so se sarò compreso, dicendo che ha uno di quei visi dei quali c'è da aver paura. Almeno io ho sempre avuto paura di tali donne. Dovrebbe avere sui ven- ticinque anni, è alta e ha le spalle larghe e rotonde, il collo e il seno sono straordinari, la carnagione è ambrata, i capelli sono neri come l'inchiostro di china e così folti che basterebbero per due acconciature. Gli occhi sono neri, con la cornea dorata, lo sguardo è sfrontato, i denti bianchissimi, le labbra sempre dipinte: emana un odore di muschio. Indossa vestiti ad effetto, sontuosi, ricercati, ma con grande gusto. Le gambe e le braccia sono stupende. Ha una voce da contralto, un po' rauca. Qualche volta scoppia a ridere e mostra così tutti i suoi denti, ma di solito tace e il suo sguardo ha un'aria impertinente, almeno in presenza di Polina e di Mar'ja Filippovna. (Gira una strana voce: Mar'ja Filippovna partirebbe per la Russia). Ho l'impressione che m-lle Blanche non abbia nessuna istruzio-

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ne, forse non è neppure intelligente, ma in compenso è diffidente e furba. Mi sembra che la sua vita non sia stata, dopo tutto, priva di avventure. Se poi devo dirla tutta, può darsi che il marchese non sia affatto suo parente e che la madre non sia per niente sua madre. Tuttavia si ha notizia che a Berlino, dove ci siamo incontrati con loro in viaggio, abbiano alcune conofcenze egregie. Quanto allo stesso marchese, sebbene ancora adesso io dubiti che lui sia un marchese, la sua appartenenza alla buona società - sia da noi, per esempio a Mosca, sia in vari luoghi della Germania - sem- bra che non si possa mettere in dubbio. Non so che cosa lui sia in Francia. Si dice che abbia irrz chateau. Pensavo che in queste due settimane molta acqua sarebbe passata sotto i ponti e invece non so ancora con sicurezza se tra 111-/le Blanche e i l generale sia stato pronunciato qualcosa di defini- tivo. In generale, tutto dipende adesso dal nostro patrimonio, cioè dal fatto \e il generale possa o no dimostrare di avere molti soldi. Se per esempio arrivasse la notizia che la nonna non è morta, sono \icuro che nz- Ilr Blanche scomparirebbe subito. Mi stupisce e mi diverte vedere che razza di pettegolo io sia diventato. Oh, quanto mi ripugna tutto questo! Con quanto piacere pianterei tutti e tutto! Ma come potrei allontanarmi da Polina, come potrei non starle intorno a spiare? Lo spionaggio è certo una cosa vile, ma che me ne importa?

Anche nzister Astley mi è sembrato strano, ieri e oggi, Sì, sono convinto che è innamorato di Polina! E' curioso e buffo quanto possa esprimere a volte lo sguardo di una persona pudica e morbosamente casta, toccata dall'amore, e ciò proprio nel momento in cui questa persona sicu- ramente preferirebbe piuttosto sprofondare sotto terra che manifestare o esprimere qualsiasi cosa con la parola o con lo sguardo. Mister Astley si incontra molto spe\so con noi alle passeggiate. Si toglie il cappello e passa oltre, morendo naturalmente dalla voglia di unirsi a noi. Ma se lo si invita, rifiuta subito. Nei luoghi di sosta, al Casinò, a un concerto o davanti alla fontana, egli si ferma immancabilmente in qualche punto non lontano dalla nostra panchina, e dovunque noi ci troviamo, nel parco, nel bosco, sullo Schlangenberg, basta soltanto alzare gli occhi, guardarsi attorno, perché immancabilmente in qualche posto, sul \entiero più vicino o dietro un cespuglio, si scopra il nascondiglio di nl i~rer Astley. Ho l'impressione che egli cerchi l'occasione per parlare in particolare con me. Questa mattina ci siamo incontrati e abbiamo scambiato due parole. Certe volte i suoi discorsi sono straordinariamente sconclusionati. Prima ancora di aver detto "Buongiorno!" si è messo a dire:

- Ah, nz-/le Blanche! ... Ne ho viste tante di donne come nz-lle Rlanche!

Poi è rimasto zitto, guardandomi significativamente. Che cosa

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volesse dire con ciò, non lo so, perché alla mia domanda: "Che cosa vuole dire?", ha scosso la testa con un sorriso malizioso e ha aggiunto:

- Proprio così. Piacciono molto i fiori a nz-lle Pauline? - Non so, proprio non lo so, - ho risposto io. - Come? Idei non sa neppure questo! - ha esclamato con i l massimo

stupore. - Non lo so, proprio non ci ho fatto caso, - ho ripetuto ridendo. - Uhm! Questo mi fa venire un pensiero speciale. A questo punto mi ha fatto un cenno con il capo ed è passato oltre.

Peraltro, aveva un'aria soddisfatta. Io e lui parliamo in un orribile france- se.

(Colztirzua) Traduzione di Dino Bernardini

NOTE

7) 1 capitoli precedenti e l'introduzione sono stati pubblicati in Slavia, 1998, nn. 1 e 2.

8) Qui Dostoevskij usa il termine tetka, propriarilente zia. Precedentemente, per indicare la stessa persona, ha usato il termine babuika.

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Vlrrdirilir Koralenko

IL MUSICISTA CIECO

Capitolo IV*

Vi sono anime che sembrano destinate a compiere in silenzio un eroico atto d'amore, intriso di afflizione e di sollecitudine. Le preoccupa- zioni che nascono dall'altrui sventura sono per loro come l'atmosfera, o\sia un'esigenza organica. La natura le ha dotate della necessaria sere- nità, senza la quale è impensabile il quotidiano eroismo del vivere. Essa ha previdentemente temperato in loro gli slanci personali, le necessità dclla vita individuale, assoggettando impeti ed esigenze al tratto domi-

, nante della loro personalità. Aniine siffatte paiono non di rado troppo fredde, troppo giudiziose e prive di sentimento. Esse sono sorde agli

: appassionati richiami della vita sensuale e seguono il triste cammino del dovere con la stessa tranquillità che avrebbero nel seguire i l radioso cam- mino della felicità individuale. Appaiono fredde come vette innevate e, come queste, maestose. Non si lasciano sfiorale dalla volgarità della vita d'ogni giorno; perfino le calunnie ed i pettegolezzi scivolano via dalla loro candida veste, coine schizzi di fango dalle ali d'un cigno ...

La piccola amica di Petr possedeva tutti i tratti peculiari di una tale personalità, che è plasmata di rado dalla vita e dall'educazione. Come il talento, come il genio, ciò tocca in sorte ad anime elette e si manifesta precocemente. La madre del bimbo cieco si rendeva conto di quale feli- cità lòsse toccata in $orte al proprio figliolo con quest'amicizia infantile. Lo comprendeva anche il vecchio Maksim, al quale sembrava che il suo allievo dkponesse ora di tutto ciò che ancora gli mancava e che d'ora innanzi lo sviluppo spirituale del cieco avrebbe assunto un corso tranquil- lo ed equilibrato, assolutamente inalterabile ...

Si trattava, ahimé, di un amaro errore.

Nei primi anni di vita di Pet-ja bambino Maksim riteneva di avere

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Il nzusicisrcr cieco

il pieno controllo del suo sviluppo spirituale ed era convinto che tale crescita si sarebbe svolta se non proprio sotto la sua diretta influenza, perlomeno in modo tale che nessun nuovo sintomo, nessuna nuova acquisizione sarebbero sfuggiti alla propria osservazione ed al proprio controllo. Quando, però, nella vita del bimbo sopraggiunse i l momento che segna il passaggio dalla fanciullezza all'adolescenza, lo zio s'accor- se quanto fossero infondate le proprie superbe fantasticherie pedagogi- che. Pressoché ogni settimana c'era qualcosa di nuovo, talvolta di asso- lutamente inatteso, nella vita spirituale del cieco, ed il pedagogo finiva per smarrirsi quando cercava di scoprire le origini dell'ennesima nuova idea o di un nuovo pensiero insorto nella mente del bimbo. Una specie di forza invisibile operava nel profondo dell'anima del fanciullo traen- done inimmaginabili manifestazioni di autonoma crescita dello spirito, per cui Maksim era costretto ad arrestarsi con un senso di stupore dinan- zi ai misteriosi processi della vita che interferivano nel suo lavoro peda- gogico. Questi impulsi della natura, le sue generose rivelazioni, sembra- vano procurare al bambino dei pensieri che non potevano scaturire dalla sola esperienza personale di lui cieco. Lo zio vi indovinò l'indissolubile connessione di esperienze di vite diverse, una connessione che, pur fran- tumandosi in mille processi, si realizza nell'ininterrotto intrecciarsi delle singole vite.

Questa considerazione dapprima spaventò Maksim. Accortosi di non essere il solo a guidare la formazione intellettuale del bambino, in quanto su essa intluiva anche qualcosa che non dipendeva da lui e non soggiaceva alla sua influenza, egli si spaventò per la sorte del proprio pupillo, temendo potesw-o insorgere interrogativi che sarebbero divenuti cagione di insanabili tormenti. E cercò di individuare la fonte di quei rivoli che aft-luivano da ogni dove, onde ... ostruirli una volta per sempre nell'interesse del cieco.

Tali sprazzi inattesi non sfuggirono neppure all'attenzione della madre. Una mattina Petrik le corse incontro agitato come non mai.

- Mamma, mamma! - gridava. - Ho visto un sogno. - Che cosa hai visto, bimbo mio? - chiese lei con voce trepidante. - In sogno ho visto che ... vedo te e Maksim, ed ancora ... che io

vedo tutto ... E' così bello, così bello, mammina! - Che altro hai visto, bimbo mio? - Non ricordo. - E di me ti ricordi? - No, - rispose lui assorto. - Ho dimenticato tutto ... Eppure ho

visto, davvero, ho visto ... - soggiunse dopo un attimo di silenzio, per poi aclombrarsi immediatamente. Nei suoi occhi ciechi luccicò una lacrima ...

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Questo si ripeté più volte, e ogni volta il bambino diveniva più tri- , ste e irrequieto.

Un giorno, nell'attraversare il cortile, Maksim udì provenire dal salotto, ove solitamente si tenevano le lezioni di musica, il suono di strani esercizi musicali di due note.

Dalle veloci battute in successione s'udiva tintinnare sulla tastiera la nota più squillante ed acuta del registro alto, seguita bruscamente dal rombo sordo del basso.

Desideroso di sapere cosa mai potessero significare quegli strani esercizi, Maksim attraversò zoppicando il cortile e in un attimo raggiunse i l salotto. Sulla soglia rimase impalato dinnanzi alla scena inattesa.

I1 bambino, chc aveva già compiuto i nove anni, sedeva su un pic- colo sgabello ai piedi della madre. Accanto gli stava una giovane cicogna acldomesticata che allungava il collo e muoveva i l lungo becco in qua e in là. Era un regalo di Iochim al pàniC. Ogni mattina il bambino la nutriva con le proprie mani e l'uccello accompagnava dovunque I'amico-padro- ne. Adesso Petrùs' teneva la cicogna con una mano, mentre con l'altra le carezzava lentamente il collo e il dorso. Il suo volto era teso in un'intensa

l attenzione. Mentre lui faceva ciò, la madre, col viso arrossato e lo sguar- l

do triste, premeva velocemente con un dito un tasto del pianoforte facen- .. done scaturire una nota alta dal suono continuo. Sporgendosi leggermente

dalla sedia osservava scrupolosamente il volto del bambino. Quando la mano del bambino scivolando sulle candide penne giungeva dove queste divenivano bruscamente nere, c ioè sul la punta del le al i , Anna Michajlovna spostava la mano su un altro tasto ed una profonda nota di basso rimbombava sordamente nella camera.

Entrambi, madre e figlio, erano così intenti in questa occupazione, che non s'accorsero dell'arrivo di Maksim, fintanto che questi, ripresosi

- dallo sbalordimento, interruppe la seduta domandando: - AnnÙs.ja! Ma cosa significa? Nell'incontrare lo sguardo scrutatore del fratello la giovane donna

provò vergogna, come se fosse stata scoperta da un severo maestro sul luogo del peccato.

- Ecco, vedi, - disse imbarazzata, - Petr dice di notare una certa dif- ferenza nella colorazione della cicogna, soltanto che non gli riesce di capire quale sia esattamente tale differenza ... Credimi, me ne ha parlato lui per primo, e mi pare sia vero ...

- E con questo?

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I l mzrsicistri cieco

- Nulla, volevo soltanto ... un po' ... spiegargli la differenza dei colo- ri con la differenza che esiste tra i suoni ... Non ti adirare, Maks, ma, vera- mente, penso vi sia qualcosa di assai somigliante ...

Quest'idea inattesa meravigliò Maksim al punto che sul momento non seppe cosa rispondere alla sorella e le fece ripetere le prove. Gettato, però, uno sguardo all'espres5ione del volto del cieco, tentennò il capo.

- Ascolta, Anna, - disse quando rimase a tu per tu con la sorella. - Non conviene destare nel bambino degli interrogativi ai quali tu non sarai mai e poi mai in grado di fornire una risposta esauriente.

- Ma è stato lui a parlarmene per primo, davvero ... - lo interruppe Anna Michajlovna.

- Fa lo stesso. Al bambino non resta che assuefarsi alla propria cecità e noi dobbiamo sforzarci di fargli dimenticare la luce. Io cerco di far sì che nessuno stimolo esterno gli suggerisca degli inutili interrogativi. Se ci riuscisse di tenerli lontani lui non avvertirebbe alcuna menomazione dei propri sensi, al pari di noi che, dotati di tutti e cinque i sensi, non ci rattristiamo per la mancanza cli un sesto.

- Ci rattristiamo, - obiettò piano la giovane donna. - Anja! - Ci rattristiamo, - ribadì lei ostinatamente ... - Ci rattristiamo spes-

so per ciò che t. impossibile ... Comunque la sorella s'arrese alle ragioni del fratello, ma stavolta

egli si sbagliava. Preoccupandosi di tenere lontani gli stimoli esterni, Maksim dimenticava quanto potenti siano le sollecitazioni infuse dalla natura nell'anima infantile.

"Gli occhi" - ha detto qualcuno, - "sono lo specchio dell'anima". Forse sarebbe più giusto paragonarli a delle finestre attraverso cui si riversano nel nostro intimo le impressioni suscitate dal luminoso e risplendente mondo dei colori. Chi può dire quale parte della nostra for- mazione interiore dipenda dalla percezione della luce'?

L'essere umano è un anello dell'infinita catena della vita, che lo attraversa protendendosi dagli abissi del passato verso l'infinito futuro. Ecco, però, che in uno di tali anelli, ad un bambino cieco, il caso rnalau- gurato aveva serrato le imposte: la sua vita sarebbe dovuta trascorrere tutta nell'oscurità. Ma forse questo significava che nella sua anima si fos- sero definitivamente spezzate le corde tramite le quali l'anima reagisce alle sollecitazioni della luce? No, la capacità di recepire la luce doveva tramandarsi ugualmente alle generazioni successive. La sua, dunque, era

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un'anima integra, con tutte le proprie prerogative, e poiché ogni capacità porta in sé l'aspirazione a realizzarsi, anche nell'anima al buio del bambi- no albergava un'insaziabile desiderio di luce.

Le forze avute in eredità giacevano intatte in una profondità miste- rima, assopite in un confuso amalgama di "potenzialità", ed erano pronte, al primo apparire di un raggio di luce, a balzargli incontro. Le imposte, tuttavia, restavano serrate: il destino del bambino era segnato, egli non avrebbe mai veduto quel raggio e la sua vita sarebbe trascorsa per intero nell'oscurità! ...

Ed era un'oscurità che pullulava di spettri. Se la vita del bambino fosse trascorsa nell'indigenza e nel dolore

ciò avrebbe forse accentrato il suo pensiero sulle cause esterne della sof- ferenza. Ma le persone a lui vicine avevano allontanato tutto ciò che pote- va rattristarlo, gli avevano procurato pace e serenità. I1 silenzio che regna- va nella sua anima contribuiva però a fargli avvertire con chiarezza anco- ra maggiore l'interiore insoddisfazione. Dal silenzio e dalle tenebre che lo circondavano emergeva la confusa ma incessante coscienza di un'esisten- za che ambiva d'essere soddisfatta, compariva il desiderio di dare forma a

, qiielle forze che, assopite nelle profondità dell'anima, non riuscivano ad emergere.

Da qui derivavano certi presentimenti e slanci, come il desiderio del volo che ognuno prova nella fanciullezza e che in questa età si mani- fe5ta in sogni bizzarri.

Da qui, infine, sgorgavano quegli istintivi sforzi della mente che si riflettevano sul viw del fanciullo in un'espressione di tormentoso interro- gutico. Le "potenzialitT di percepire immagini visuali, che erano eredita- rie ma alle quali non era dato di realizzarsi nella vita personale, si ergeva- no nell'esistenza del bambino assumendo la parvenza di spettri informi, vaghi e oscuri, generando in lui sforzi strazianti e confusi.

La natura insorgeva in un'istintiva protesta contro il "caso" indivi- duale a favore della legge generale violata.

5.

In tal modo, per quanto si sforzasse di tenere lontano ogni influsso esterno, Maksim non riuscì mai ad eliminare quella tensione interiore che nel bambino era dovuta alle esigenze insoddisfatte. I1 massimo che gli riuscì di ottenere con tutta la propria accortezza fu di non risvegliarla anzitempo e quindi di non acuire le sofferenze del cieco. Per il resto la dura sorte del bambino doveva seguire il proprio corso con tutte le aspre conseguenze che ne derivavano.

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I l iiz~rsicistcr cieco

I1 destino incombeva come una nube oscura. Col trascorrere degli anni la naturale vivacità del bambino svaniva sempre più, come un'onda in declivio, mentre la tristezza che gli riempiva confusamente e senza posa l'anima si intensificava lasciando sul suo temperamento la propria impronta. Le risate, che al tempo della fanciullezza si potevano udire ogni qual volta egli provava una nuova vivida impressione, risuonavano ora sempre più raramente. Tutto ciò che destava ilarità e dava allegria, tutto ciò che era intriso di comicità, gli era poco accessibile, mentre tutto ciò che di inquieto, di vagamente triste e nebulowmente melanconico s'avvertiva nella natura meridionale e si rifletteva nelle canzoni popolari, lo coglieva con sorprendente completezza. Le lacrime gli inumidivano gli occhi ogni volta che udiva cantare "La tomba nel campo col vento parla- va"48, e provava piacere ad andare di persona nei campi ad ascoltare un simile colloquio. Sempre più s'evidenziava in lui la propensione alla soli- tudine e, quando nelle ore libere dalle lezioni se n'andava solo soletto a fare una passeggiata, i familiari cercavano di non recarsi nella stessa dire- ilione per non turbarne l'isolamento. Seduto su un tumulo nella steppa o sulla collina in riva al fiume o sulla roccia ben nota, ascoltava i l mormo- rio delle foglie ed il sussurro dell'erba o gli indistinti sospiri del vento della steppa. Tutto ciò s'intonava armoniosamente con quanto vi era nel profondo del suo animo. Per quanto gli era dato di capire la natura, qui egli poteva comprenderla completamente, fino in fondo. Qui la natura non l'allarmava con una qualche domanda specifica ed insolubile: qui i l vento gli spirava dritto nell'anima e l'erba pareva mormorargli sommesse parole di pietà. Quando la sua anima, accorclata\i con la silente armonia circostante, era intenerita dalla mite dolcezza della natura, egli avvertiva che qualcosa gli si sollevava nel petto penetrandogli ed inondandogli tutto l'essere. Allora si gettava sull'erba umida e fresca e piangeva in silenzio, ma nelle sue lacrime non c'era tristezza. Altre volte prendeva i l flauto e, scegliendo malinconiche melodie in sintonia col proprio stato d'animo e con la dolce amlonia della steppa, s'immergeva in una sorta di oblio.

E' chiaro che ogni suono umano che avesse voluto intrudersi all'improvviso in una tale disposizione d'animo si sarebbe ripercosso in lui come una dissonanza aspra e dolorosa. In momenti simili si possono avere contatti personali esclusivamente con un'anima molto vicina ed amica e il bambino di tali amici ne aveva solo uno della sua età: la bionda bambina della tenuta del fittavolo.

Quest'amicizia si rafforzava sempre più e si distingueva per la piena reciprocità. Evelina portava nelle loro relazioni la propria calma e la propria gioia sommessa, comunicava al cieco nuove tonalità della vita circostante. Lui da parte sua le concedeva ... la propria tristezza. Pareva

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che la prima conoscenza con lui avesse inferto al sensibile cuore della piccola donna una ferita sanguinosa: se dalla ferita si fosse estratto il pugnale che aveva infeno il colpo, lei si sarebbe dissanguata. Dopo aver conosciuto sulla collina nella steppa i l bambino cieco, la piccola donna aveva avvertito il tormento che scaturisce dalla pietà, ed ora la presenza di lui si rendej~a sempre più indispensabile. Quando si trovava lontano da l u i era come se la ferita si riaprisse: il dolore si ravvivava ed ella si preci- pitava dal suo piccolo amico per lenire, con le costanti attenzioni che gli riservava, la stessa propria sofferenza.

Una volta, in una tiepida sera autunnale, le due famiglie stavano sedute sullo spiazzo antistante la casa ad ammirare il cielo stellato balugi- nante di luci sullo sfondo d'azzurro intenso. Il cieco sedeva, come al soli- to, con la sua amica poco discosto dalla madre.

Per un istante tutti tacquero. Intorno alla villa regnava il silenzio assoluto. Solo le foglie, scuotendosi delicatamente di tanto in tanto, bor- bottavano qualcosa di incomprensibile per zittirsi subitamente.

In quel momento una rilucente meteora, strappatasi da un punto di quella profondità d'azzurro scuro, solcò i l cielo conle una striscia lumino- sa lasciandosi dietro una traccia fosforescente che lentamente, impercetti- bilmente, s'andò spegnendo. Tutti levarono gli occhi verso l'alto. La madre, che stringeva la mano di Petrik, s'accorse che i l ragazzo era trasa- lito cd aveva sussultato.

- Cosa ... è stato'? - disse lui volgenclosi verso di lei. - E' caduta una stella, bambino mio. - Sì, una stella, - aggiunse lui pensieroso. - Lo sapevo. - E come facevi a saperlo'? - domandò la madre, nella cui voce si

poteva avvertire una penosa incertezza. - No, dice la verità, - s'intromise Evelina. - Sa molte cose...

"così" ... Una tale sensibilità in continuo sviluppo indicava che il ragazzino

si stava visibilmente avvicinando all'età critica tra l'infanzia e I'adole- scenza, anche se per ora la sua crescita si svolgeva in maniera relativa- inente tranquilla. Pareva addirittura essersi assuefatto alla propria sorte, e quella tristezza stranamente equilibrata, senza un filo di speranza, ma senra nemmeno brusche lacerazioni, che faceva da sfondo alla sua vita, si era adesso alquanto attenuata. Si trattava, tuttavia, solo di un periodo di quiete provvisoria, di quella quiete che la natura pare concedere di propo- sito affinché i l giovane organismo riposi e rinvigorisca prima di affrontare

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Il mlisicistcr cieco

una nuova tempesta. Durante simili momenti di bonaccia si accumulano e maturano nuovi interrogativi. E' sufficiente una piccola s c o w ~ e tutta la serenità interiore si sommuove fin nel profondo, come i l mare sferzato da un improvviso uragano.

( ~ ~ l l t i l l l ~ ~ l ) Trcirluzione cli Gario Zcrpyi

NOTE

L'introcluzione e i precedenti capitoli sono staii pubblicati in Sl<r,,io. 1997, n. 2, 3 e 4: 1998, n. 1

48) In ucraino nel testo. I1 testo integrale cli questa canzone è pubblicato in Ukrcrirlskie r~rrrvdrije pesrii, op. cit., p. 168.

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Ciliseppe Fiori

L'AGENTE IN SONNO

Davanti al Monncolte

Anche oggi non sono venuti a catturarmi. Corì ho potuto fare la mia nuotata mattutina a Tragara, ho co4teggiato lentamente i l Faraglione di Terra, riempiendomi gli occhi dei colori del mare e dcll'isola di Capri, tino 211 punto dove ora mi trovo, davanti allo Scoglio del Monacone.

Corca assassina è qui che vi aspetta, la sua sorte è regnata stavolta. Sapevo che sai-ebbe successo, la predatrice è destinata a divenlare preda, prima o poi. E ora è arrivato i l mio turno, dopotutto ho vissuto come la mia natura richiedeva.

Il mio nome è Maddalena Muttìa e sono una killer professionista: il teatro delle mie imprese è un'area geografica vasta, l'Italia, i Balcarii, la Russia: i nuovi collegamenti del crimine organizzato internazionale hanno bisogno di mobilità, efficienza, sadismo.

Ecco perchè quando a queste esigenze risponde una donna, le poli- zie di quei Paesi ci chiamano "orche assassine".

Mi sono documentata: I'orca è un carnivoro con una particolare predilezione per le foche, i leoni marini, e le altre specie di delfini, pur essendo lei stessa un delfino di grande stazza. Addirittura le balene! Sì, le orche assassinano con crudeltà i loro simili qquartandoli con i loro denti aguzzi o strangolandoli come fanno con le balene. I1 loro corpo bianco e nero aderisce a quello della balena fino a chiuderle gli sfiatatoi e a impe- dirle la respira~ione. Ma la preda preferita sono i delfini, i beluga, ecco perchè gli uomini di Mosca hanno sfoderato una macabra ironia etologica scegliendo me, un'orca assassina, per uccidere i l loro beluga.

Già, i l inio ultimo contratto è stato per uccidere un beluga bianco, l'agente russo denominato "Palla di neve", l'uomo che metteva in perico- lo i loro affari.

Ma un contratto non dice molto, dice solo: chi, dove e quanto. Chi devi uccidere, dove puoi, probabilmente, trovare la vittima e

quanto ci guadagnerai.

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I1 come, generalmente, è lasciato a te, le orche nel mare squartano e strangolano, io ho usato anche altri mezzi più sofisticati, ma quello che non viene mai detto è: perché?.

Cioè, la cosa più importante. Senza capire i l perché del mio primo contratto, undici anni fa, mi sono sentita una macchinetta telecomandata nelle mani di un bambino capriccioso: svolta a destra, ora a sinistra, inve- sti un pedone eppoi sbatti contro il muro.

No, non mi bastavano i soldi, tanti soldi: io lo faccio certo per i , soldi, ma anche per gusto personale e con la dannata curiosità di ricostrui-

re 10 schema complessivo. Posai il mio libro, in vacanza non mi stanco mai di rileggere

Colazione c1i1 Tiffc~rz\: mi tolsi la cuffia per far respirare al sole i miei ricci neri, presi dal borsone il binocolo e lo puntai verso la grotta del Porto di Tragara, poi con lo sguardo costeggiai le rocce fino a Cala del Fico e a Punta di Massullo.

E' possibile che invieranno l'uomo che ha ucciso il mio Momo e allora potrò vendicarmi ... Arriveranno dal mare o cla terra?.

Difficile prevederlo, certo, comunque, che io li avvisterò prima. Mi girai verso lo scoglio del Monacone, lo guardo sempre anche

dalla villa che ho affittato dieci anni fa, proprio qui sopra, sulla salita di Monte Tuoro. Mi rilassa guardare il volo dei gabbiani che preferiscono nidificare sul Monacone anziché sugli straordinari e vicini Faraglioni. Non ucciderei mai un gabbiano! Anche se il suo verso è sgraziato e con- trasta con l'armonia del suo volo planato: con il mio potente binocolo da marina posso guardare i loro occhi assorti nel volo, lontani, capaci di sco- vare una pezzogna sott'acqua o una lucertola azzurra tra le rocce del Monacone.

E così dopo il mio primo contratto decisi di farlo ... di rico5truire i l quadro d'insieme, il perché avevo dovuto eliminare il dirigente di quella finanziaria.

Dovevo capire, dovevo, oltretutto, cercare di prevenire la possibi- lità di cadere nelle trappole che qualcuno avrebbe predisposto ai miei danni.

Quando tu conosci solo una zona del mosaico, è solo chi conosce il resto che ti tiene per il collo!. Questo mi è stato evidente dopo il primo contratto, mi sono rifugiata nel mio nascondiglio "davanti al Monacone", il nome della mia villa, e ho cercato di comporre da sola tutto i l mosaico in un racconto, partendo da quelle poche tessere che mi forniva il contrat- to.

Risistemo i pezzi sparsi del racconto che ho realmente vissuto, miglioro narcisisticamente le mie imprese, invento le parti che non cono-

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sco e rivivo così con una memoria alterata il mio contratto. Eppoi di con- [ratto in contratto, di racconto in racconto, ho scoperto di avere un secon- do talento, quello narrativo!

Mi piace inventare, ricostruire, capire. Ma soprattutto capire! Capisco il perché ! Certo, conoscendo solo una parte del tutto sono obbli- gata a immaginare anche parti essenziali ...p erò credo di esser sempre riu- scita a creare i collegamenti plausibili.

E così è avvenuto anche con il mio ultimo contratto. Stanotte ho finito di scrivere la ricostruzione, manca solo la scena finale che sarò costretta a prendere dalla realtà quando verranno a catturarmi.

Quando ho finito di scrivere il mio ultimo racconto, i l decimo, mi sono detta: "Anche se non è andata proprio così - come avrebbe commen- tato Truman Capote - è in questo modo che la storia sarebbe dovuta anda- re ...."

Peccato essere l'unica vera lettrice di me stessa, dato che gli altri saranno solo poliziotti e giudici.

E allora sento, improvvisamente, l'urgente bisogno di tornare alla villa e di rileggerlo, di riviverlo un'ultima volta, prima che sia troppo tardi.

1. La sveglia russa

- Pronto, profesor Barbacane? - Sono io, chi parla? L'apparecchio s'ammutolì, poi la voce riprese lentamente con un

impercettibile accento slavo. - 11 nome in codice non le direbbe niente, non può ricordarlo dopo

tanto tempo. Diciamo che sono la sua sveglia russa... - Non credo di capire ... a meno che non sia uno scher~o, in ogni

caso i l nostro colloquio sarebbe più interattivo se mi dicesse il suo nome. - Certo, mi chiami pure Volocl,ja, se le fa piacere, dato che è il nome

dell'agente del KGB che l'ha reclutata a Mosca nel 1967 ... Mattia Barbacane ebbe un sussulto, guardò i l suo studio, i libri alle

pareti e la scrivania, come per convincersi che proprio nella sua realtà quella voce gli stava parlando: sulla scrivania, guardò il telefono e il disa- gio aumentò.

- ... è sempre li? - domandò la voce. - Ancora per poco, io non conosco nessun Volocìja e tanto meno un

agente del KGB. - Non ho alcuna intenzione, caro professore, di protrarre questa

conversazione, lei, se vuole e se ne ha la possibilità, la può benissimo

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L'crgenre in sonno

registrare. Sento che in questo momento lei è teso e quindi ostile nei miei confronti; nel nostro successivo incontro i nostri rapporti saranno molto più amichevoli ... anzi diventeranno fraterni.

Mattia Barbacane raccolse un lapis che gli era caduto prima della telefonata e con la gomma cancellò la frase conclusiva del documento: "Nella fase attuale si tratta della classica soluzione in cerca di un proble- ma."

I1 suo cervello stava già richiudendo quella minuscola finestra che le parole dell'uomo avevano aperto.

- Un incontro con lei? Io credo invece che tutto si esaurirà tra poco quando io con educata ostilità, glielo concedo, appenderò il ricevitore, come si diceva una volta quando gli apparecchi telefonici erano a muro.

- Molti dei nostri lo sono ancora soprattutto nelle hall e nei lunghi corridoi degli alberghi. Nelle stanze no, invece, come in tutte le stanze d'albergo del mondo il telefono è vicino al letto. Nella sua stanza all70ktjabr'skaja però non c'era telefono, così quella sera dovetti far chia- mare Volod.ja dalla deiurna.ja che aveva un apparecchio a muro nel corri- doio del 6" piano.

- E cosa le disse Volodja? - Che lei aveva confermato la sua volontà ... anzi i l suo desiderio di

essere reclutato ... - Lei è pazzo ... o è un ricattatore? forse tutte e due. Le voglio dire

una cosa prima di riattaccare, ricordo a stento di essere stato in URSS negli anni '60. All'epoca facevo l'università e ho girato il mondo che mi interessava, come del resto faccio adesso con i congressi scientifici. Non temo nessun ricatto, perchè la mia coscienza non è gravata da alcun peso ... e comunque nessun servirio segreto mi ha fatto mai qualche offer- ta, nemmeno quello del mio paese. Quindi, provi con qualcun altro e mi lasci in pace, buonasera.

Mattia Barbacane stava per interrompere la comunicazione, ma quel silenzio dall'altra parte lo innervosiva. Si aspettava una reazione scomposta del tipo "Fermo, ho le fotografie, ho i nastri del suo colloquio con Volod.ja nel '68 e consegnerò tutto al ............ se non mi darà ........ ", invece niente, l'altro non stava dicendo niente.

- Mi spiace, professore, sono stato troppo diretto e non ho dato tempo alla sua memoria di ritrovarsi. E' come quando ci capita di essere svegliati troppo bruscamente, per qualche istante non riusciamo a connet- tere. Dopo tutto non poteva che accadere quello che è accaduto, dato che lei professor Barbacane è un agente in sonno - ci fu una pausa, lunga, dopo riprese. - Le lascio il numero 63021, mi chiami quando si sarà sve- gliato, buonasera.

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Fiori

Il professore rimase un attimo a guardare la sua cornetta e riaggan- I ciò anche lui. Tirò indietro la poltroncina e poggiò i piedi sulla scrivania,

faceva sempre quel gesto quando voleva vagare disordinatamente con il pensiero. No, non aveva bluffato, non ricordava veramente nessun incon- tro di sapore spionistico né a Mosca né altrove, ma questo secondo Volodja aveva pronunciato un inizio di f r a ~ e sintomatico: "Dopo tutto non poteva che accadere quello che è accaduto". E gih ad un fisico del suo calibro al lavoro da anni nel laboratorio sotterraneo di fisica nucleare del

- Gran Sasso non poteva che accadere quello che era accaduto cinque minuti fa, e ci02 che qualche abile, sconosciuto mestatore fosse andato a scovare nel passato un appiglio per macchinare qualcosa ai suoi danni. Ma sì, la cosa più probabile in fondo era proprio che il secondo Voloclja avesse truccato una o due carte del mazzo e che ora volesse giocare con lui una partita.

Ma di che partita si trattava?

L'ufficio del maggiore Rapisarda era situato nel secondo livello \otterraneo, al limite dell'area destinata ai parcheggi e al di sopra del livello dei laboratori.

, - Professore l'ho fatta chiamare per chiarire definitivamente con lei

questa storia. - Rapisarda si lisciò con la mano i l cranio rasato con una ! mossa che gli era abituale. - In primo luogo lei nel 1967 era realmente a

Mosca in quell'albergo? - In primo luogo, maggiore, non è questo il punto ... il punto è rin-

tracciare la persona che mi ha chiamato e capire dove vuole andare a parare.

Rapisarda si versò una tazza di caffè denso e caldo. - L'unica traccia che le ha dato di sé è il numero telefonico 6302 1:

un rebus senza soluzione. E' un numero dei castelli romani, esattamente di Montepor~io Catone, ma rintracciarlo non ci è stato di nessuna utilità perché non corrisponde a nessun abbonato.

- Ma il numero è attivo? - Oh certamente è quello di una cabina telefonica stradale ma ...

come spiegarle ... appena effettuata la nostra chiamata è stata smistata, piobabilmente attraverso un ponte radio, su una serie di altre linee. Così mentre per noi è stato impossibile capire dove ci stavano portando, per loro è stato facile rintracciare la nostra chiamata ... e non ci hanno conces- so la soddisfàzionc di rispondere.

I1 professor Barbacane si alzò dal divano, girò per la stanza con

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L'crgenre i11 sonno

aria visibilmente tesa. - Maggiore Rapisarda, sia chiaro, all'epoca, forse nel '67, sono

stato a Mosca, ho incontrato tanta gente, studenti e professori di fisica naturalmente.

Insieme abbiamo parlato di tante cose, ci siamo scambiati idee sulle cose importanti della vita ...... e su quelle piacevoli: si girava la sera nei ristoranti degli alberghi, in qualche casa privata e avrò anche scolato una bottiglia di vodka con qualcuno nella mia stanza d'albergo. Insomma ho fatto, da giovane, quello che fanno tutti i giovani.

- Capisco, quindi non può ricordare se ha incontrato quel certo Volodja, il primo Volodja.

- MiSa ,Volodia, Ivan sono nomi comuni in URSS ... - E tuttavia - lo interruppe il maggiore - anche a dktanza di così

tanto tempo e anche a dispetto di un bicchiere di troppo ci si dovrebbe ricordare di una conversazione così speciale come quella tra una spia del KGB e un futuro fisico.

Il professore si girò di scatto, fissò il cluadro di un militare alla parete, voltando le spalle a Rapisarda: - Mi accorgo di essermi sbagliato a rivolgermi a lei, ora sono io l'inquisito, devo rispondere io alle sue domande completamente prive di senso. Piuttosto - si voltò e stavolta piantò gli occhi in faccia al maggiore - risponda lei a una mia domanda: che cos'è un agente in sonno?

I1 maggiore Rapisarda capì che doveva dar corda al suo uomo e allentare la presa, aveva gia richiesto il fascicolo del prof. Barbacane e avrebbe passato la notte a 5tudiarlo minuziosamente, com'era suo costu- me.

E prima di fare l'interrogatorio decisivo aveva bisogno di cono5ce- re la vita di Barbacane come la sua, né più né meno.

- Le ricordo, professore, che era suo dovere rivolgersi a me, dato i l messaggio che ha ricevuto non poteva fare altrimenti. Le concedo tuttavia che se lei fosse realmente un agente in sonno - si portò la mano destra sul cranio rasato e con un leggero scatto si grattò - non sarebbe venuto a rac- contarci tutta la telefonata.

- Questo a me sembrava ovvio, sono contento che lei lo ammetta. - Ciononostante il mio compito ora è di mettere in5ieme i pezzi di

questa storia ... Un agente in sonno, mi chiedeva ... in poche parole è uno straniero che viene reclutato da un servizio segreto perchè simpatiua con quel paese, perchè sente un'istintiva amicizia per la causa di quel paese. I1 servirio segreto appura la genuinità di questi sentimenti e se pensa che quello straniero, un giorno anche lontano, potrà tornargli utile, lo recluta, fa una sorta di investimento su di lui, senza nulla chiedergli per tanto

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tempo. Cosi l'agente sarà come un dormiente, che dovrà essere risveglia- to dal bacio del principe.

- Un' immagine favolistica che contrasta con la telefonata di cui le ho parlato.

- E perché'? Il bacio non c'è stato ancora... quello che lei ha ricevu- to è l'annuncio del bacio. Perché vede, per tornare alla realtà, l'agente viene svegliato per essere incaricato di una missione, una missione che gli si adatta particolarmente bene dato il suo lavoro, anzi una missione che in definitiva solo lui può svolgere. Se questo accade, significa che il servizio segreto, nel nostro caso il KGB, ha fatto un investimento proficuo, lungi- mirante, ha investito dieci e ricaverà diecimila.

- Ma, caro maggiore, non dimentichi che non c'è un nostro caso perché io non sono e non sono stato un agente in sonno di nessuna poten- za straniera ...

- E tuttavia - lo interruppe di nuovo con il suo intercalare preferito - c't= un principe russo che la sta svegliando con un bacio.

2. Un incontro in montagna, un incontro sotto la montagna

Rapisarda s'inerpicò poco distante dal sentiero che lungo i prati di Tivo conduceva verso il Rifugio Garibaldi, studiò il terreno impervio e disuguale e si distese avendo cura di sistemare il vecchio sacco di monta- gna a mo' di schienale.

- Fai come me, mettiti comodo, godiamoci la vista del Corno Grande ...... manca più di mezz'ora al rendez vous con Fuoco.

I1 giovane si lasciò cadere sull'erba, prese dal suo sacco una bor- raccia e bevve una lunga sorsata. - Non te l'offro, so che sei astemio, è filo di ferro fatto dai nostri in Sardegna ......

- Quanti eravate al corso d'addestramento di Torre Poglina? - Una ventina di reclute - rispose i l giovane riponendo la borraccia

nel sacco - ma io sono risultato il migliore, per questo mi hanno mandato da te sul Gran Sasso.

Rapisarda socchiuse gli occhi per mascherare un moto di stizza. - Me lo hai detto, Scàntia, ma è sul campo che un agente dimostra

i l suo valore, e ho tanto l'impressione che il tuo momento stia per arriva- re.

- I1 battesimo del Fuoco, insomma - sorrise Scàntia divertito per il gioco di parole -. Ma ..... dimmi, perché il capo ha scelto proprio quel nome in codice? -

Rapisarda riaprì gli occhi e scrutò una nuvola sopra di sé, l'eco di un rumore lontano, ma costante si sentiva arrivare dalla vallata. - Forse

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L'ogente in sonno

perchè gli difetta la fantasia. Tu come ti faresti chiamare se un giorno, assai lontano, diventassi il responsabile del settore armamenti del nostro Servizio?

I1 ronzio si faceva sentire più distintamente. L'uomo si sollevò a sedere, prese dal sacco i l binocolo e lo puntò

verso il cielo, a sud-ovest. - Un elicottero civile ....... è nel suo stile, ed è anche in anticipo. Si alzò di scatto. - Sbrighiamoci, dobbiamo arrivare a quello spiaz-

zo terroso vicino al rifugio, dove atterrano gli elicotteri del Soccorso Alpino.

I1 responsabile del settore armamenti del SISDE godeva nell' ambiente di una solida stima: i suoi collegamenti internazionali erano invidiati dagli altri capi-settore, ma il carattere introverso e una perenne espressione minacciosa sul volto non gli concedevano la simpatia dei suoi agenti. Addirittura parossistica era giudicata la sua prudenza: non afi'ida- va mai un ordine importante al telefono, alle comunicazioni radio o ad un computer.

Così, ricevuta l'informativa da Rapisarda, gli aveva dato I'appunta- mento il giorno dopo sul Gran Sasso, vicino al rifugio base delle ascen- sioni sul bastione del Corno Grande, dove un elicottero avrebbe soltanto fatto pensare ad un incidente in montagna.

I1 pilota iniziò la manovra d'atterraggio disponendo i pattini in direzione della grande H di cemento bianco situata sullo s p i a ~ t o antistan- te il rifugio Garibaldi, s'impennò e toccò terra con una lieve oscillarione della trave di coda.

Mentre le pale giravano ancora vorticosamente, Fuoco aprì lo spor- tello dell'abitacolo e discese con un balzo. Rapisarda gli corse incontro riparandosi gli occhi dalla polvere sollevata dall'atterraggio.

- Benvenuto Comandante, mi fa piacere rivederti sul tetto del labo- ratorio anziché in ufficio.

I due si allontanarono dal vortice provocato dalle pale dell'elicotte- ro in moto.

- Non chiamarmi Comandante quando siamo fuori dall'ufficio, sa troppo di militare, se ai miei tempi ci fosse stato il servizio civile forse l'avrei scelto .......Q uel ragazzo che hai portato con te, invece, ha un per- fetto aspetto marziale, chi è? - chiese Fuoco indicando il giovane salito in montagna con Rapisarda.

- Una recluta del Servizio, si è distinto al corso in Sardegna, l'ho portato per tenere lontano i curiosi ...

- In questa stagione e con il rifugio chiuso? - lo interruppe Fuoco. - Sull'intera dorsale dirupata da ovest ad est, oggi al massimo ci potranno

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Fiori

e\sere tre o quattro alpinisti e un paio di guide. Tu l'hai portato per avere un testimone del nostro incontro. Come si chiama i l ragazzo?

- Scàntia, - rispose Rapisarda stropicciandosi gli occhi ancora pieni di terra, - voglio utilizzarlo in questa vicenda, è ambizioso e ha l'anima del killer senza scrupoli.

Fuoco storse la bocca, voltò la testa e scrutò le cime innevate nel cielo primaverile, un gracchio volteggiava lentamente sopra di loro, incu- riosito dalla scena.

- Camminiamo un pò, non mi capita spesso di respirare aria buona dallc mie parti. La sveglia suonata dal KGB al nostro fisico è paradossale, ci hai pensato'?

- Senza dubbio, un'operazione del genere può avere qualche possi- bilità di riuscita soltanto se viene risvegliato un interesse ideologico, finanziario o di qualche altra natura, ma nel nostro caso .......

- Tra lo studente in viaggio a Mosca e l'uomo di oggi - lo interrup- pe Fuoco - sono trascorsi gli ultimi lustri del XX secolo, ma questo certo non è sfuggito al nostro agcnte russo, che fòrse rischia una storica cassa in tegrazione.

I due proseguirono su un sentiero erboso, uno accanto all'altro con lo \tesso passo cadenzato.

Dopo un lungo silenzio Rapisarda riprese. - Ho disposto i l control- lo del fiuico per tutte le 24 ore, tre agenti con un turno di otto ore e una pulce nel telefono di casa dove lo hanno chiamato. Se i russi vogliono piipparselo, io gli ho ficcato un amo dentro, e noi l i pescheremo. - Così dicendo, Rapisarda imitò con uno scatto del polso la mossa del pescatore che tira su la lenza.

Fuoco contorse nuovamente la bocca. - Certo, si doveva fàre, e sono sicuro che uno dei tre agenti è Scàntia ... ma loro tutto questo se lo immaginano e non abboccheranno. Dobbiamo fargli fare la prossima mossa liberamente se vogliamo almeno capire a quale partita intendono giocare. Soprattutto non allarmare il fisico, lascialo muovere, non farlo sentire prigioniero nella tua rete. Dammi il tempo di contattare i miei col- legamenti dell'ex KGB all'ambasciata russa a Roma e sondare il terre- no ... potrebbe anche essere uno stupido fuoco di paglia.

Rapisarda lo guardò contrariato, il suo capo non aveva la sua solita aria rabbuiata e minacciosa e forse era portato a sottovalutare la vicenda. - Ho intenzione di indagare sul passato del fisico, quel viaggio a Mosca ...

Fuoco gli troncò il discorso. - Lo hai già fatto quando è stato assunto e non hai scoperto niente.

- Ma Comandante, i l contatto che hanno voluto stabilire richiede un controllo più approfondito da parte nowa.

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L'trgerite iri sorirlo

- Te l'ho detto, non chiamami Comandante ... tu agisci secondo gli ordini e i controlli lasciali a me - Fuoco si voltò in direzione dell'elicotte- ro - e, a questo proposito, i risultati di questa inchiesta, parziali o definiti- vi, l i devi comunicare soltanto a me, è chiaro'!

Rapisarda chinò i l cranio rasato in un cenno di obbedienza, voleva dire "Sissignore", ma l'altro certo avrebbe ironizzato sul suo lessico mili- tare. I,o siaccompagnò \,erro l'elicottero in silenzio.

Riflettendo, non potS fare a meno di notare com'era in contrasto la sottovalutazione dell'accaduto da parte di Fuoco con l'ordine di non rkpettare l'inoltro ufficiale delle successive informative sulla vicenda e di riferire soltanto a lui. Evitando l'inoltro ufficiale, Fuoco tagliava di fatto fuori almeno due altri settori, per non parlare del Direttore.

Il giovane pilota rialzò i l velivolo senza scarti, con la stessa legge- rezza dell'atterraggio.

- Torniamo in ufficio? - Sì, ma stasera ceniamo insieme, Davide, mi serve di scambiare le

idee su questa faccenda con una testa normale. L'elicottero passò sopra Corno Piccolo a una quota di 2800 metri e

puntò su Roma. - Eppoi - continuò Fuoco - domani mattina te ne vai in Questura,

dal nostro uomo all'ufficio passaporti e ci rimani sepolto fino a quando non scopri tutto sul passaporto del no4tro fisico. In particolare mi interes- sano le date di rilascio dei visti, se ha viaggiato in treno o in aereo. Ti ricordo che se ha viaggiato in treno, all'epoca erano necessari i visti di tutti i paesi di transito.

I1 pilota annuì. - Ungheria, Romania oppure Cecoslovacchia e Polonia oltre naturalmente al visto del la gloriosa Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

- Io mi metterò in contatto- proseguì Fuoco - con la nostra amba- sciata a Mosca perchS mandino qualcuno all'alhesgo a rispolverare i regi- stri di quell'anno per vedere quali altri italiani c'erano nello stesso hotel. Un giovane studente all'estero non viaggia mai solo, ci va con gli amici o con l'amica.

Fuoco si slacciò la cintura di sicurezza che gli pigiava sull'automa- tica sotto la giacca, si sistemò più comodamente sul sedile e proseguì.

- Appena so qualcosa ti raggiungo telefonicamente e ti comunico i nomi sui cui passaporti devi continuare a scavare.

- Bene Capo, un bel lavoro tra le scartofi'ie, ora godiamoci il volo. - Davide, se vuoi rimanere in buona salute non mi chiamare Capo,

lo sai, non sopporto un linguaggio da film adattato al nostro settore. 9 4 .;:

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Più in basso, sotto l'elicottero, quella stessa mattina il professor Barbacane guidava controvoglia sul tratto autostradale per L'Aquila.

L'A24 gli era diventata ormai insopportabile, anche se spesso per- nottava nella sua cameretta del laboratorio sotto il Gran Sa\so, almeno due volte la settimana doveva fare avanti e indietro tra Roma e l'Abruzzo.

Aveva ormai passato l'ultima uscita per l'Aquila, quando inserì una cassetta dei Pink Floyd nell'autoradio: di lì a poco sarebbe apparsa ISmboccatura del lungo tunnel che traversava il Gran Sasso da parte a parte e un po'di musica avrebbe alleviato l'angoscia che sempre gli pro- vocavano le viscere della montagna.

Guardò nel retrovisore: il suo angelo custode nell'Alfa verde lo seguiva da Roma: i l Servizio non aveva perso tempo, c'era da aspettarse- lo. "The dark side of the moon" lo distrasse da quei pensieri.

Sul lato destro dell'autostrada c'era uno svincolo che portava ad una vasta area di servirio. Nello spiazzo si erano radunati parecchi operai in tuta con gli striscioni rossi dei sindacati confederali e grandi cartelli di invettive contro la Società Autostrade.

Un uomo sopra un camion si premeva un megafono sulla bocca e cercava di sopraff'are le urla della platea.

Barbacane rallentò, abbassò il finestrino e riconobbe la voce che stava dicendo " ...p erchè chi vi propone i l blocco autostradale o I'interru- rione della corrente delle pale d'areazione del tunnel è qualcuno che gioca al massacro ..."

Voltò bruscan~ente a destra e s'inserì nello svincolo: era senza dub- bio la voce di Filippo Argenti.

Abbandonò la macchina e s'accostò al gruppo di operai, cercava di inquadrare meglio i l suo vecchio compagno di bisbocce giovanili .

Argenti non era poi cambiato molto con gli anni, ora aveva un paio di occhiali spartani, cerchiati di acciaio, i capelli appena ingrigiti e le mandibole un po' più sporgenti su quel viso generoso. Le rughe tardava- no a segnargli il viso, erano appena accennate, almeno così sembrò al professore che lo fissava sorridendo.

"...sentite me, l'unico modo per sapere realmente se le nuove tur- nazioni festive sono una trappola, è caderci dentro in questa trappola ... e vedere com'è fatta, dal basso ..."

Soltanto da questa frase, anche ad occhi chiusi Barbacane avrebbe riconosciuto Filippo. Anche all'Università, anche nei cortei, era l'unico che raramente accettava di evitare le trappole dei baroni, dei padroni, del governo, ma propugnava l'idea di entrarci in una trappola, per vedere com'era fatta e passare oltre.

I fischi si stavano facendo più minaccioii e Filippo avrebbe dovuto

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ancora lottare; il professore guardò l'orologio, si era fatto tardi, ma avreb- be aspettato la fine della manifestazione, gli era venuta una gran voglia di riabbracciare l'amico.

- Quanti anni sono passati? - Dall'ultima volta? Almeno quindici - azzardò Barbacane. - Era

una serata in quel ristorantino di Rieti dove portavi tutti gli amici, una specie di tua Lourdes personale, dove curavi lo spirito e il corpo ...

- Da Duilio, ci vado ancora, da qui sarà un'ora di macchina, andia- moci a cena stasera, - gli propose Filippo.

I1 professore s'avvicinò alla sua Lancia Delta r o s a e aprì la portie- ra - Un'altra volta, ma ora salta su, vieni con me al laboratorio, mi fa pia- cere farti vedere dove lavoro.

- E la macchina mia quando la riprendo?- chiese il sindacalista. - Ti faccio riaccompagnare io, tanto i l pulmino del Laboratorio

deve ripassare di qui per tornare a Roma. - E va bene, dopo quindici anni ci vogliono almeno un paio d'ore

di chiacchiere. I due amici salirono in macchina e puntarono verso l'imboccatura

del tunnel del Gran Sasso. - Omar, Omar Martini lo vedi ancora?- chiese Barbacane. - Di tanto in tanto, l'hanno relegato sull'isola Tibertina, fa il com-

missario di polizia fluviale, mi ha cavato d'impaccio in una vicenda reati- na di qualche anno fa. Ma dimmi del tuo lavoro.

- Eccolo, il mio lavoro - rispose il professore indicando il massic- cio del Gran Sasso inquadrato nel parabrezza. - Là sotto c'è il più grande laboratorio sotterraneo di fisica nucleare del mondo e i l primo costruito appositamente per lo studio della stabilità della materia e la cosmologia neutrinica ....

- Ricordati che io alla Sapienza facevo Lettere, la facoltà davanti alla tua, abbi pietà con i termini scientifici.

Barbacane sorrise e diminuì l'andatura. L'Alfa verde, con Scàntia alla guida,era più distanziata, ormai il

suo compito per quel giorno era quasi terminato: l'auto dell'angelo custo- de era tallonata da un grosso camion con un uomo e una donna a bordo. L,a donna aveva una bella testa di ricci neri lucenti come le penne di un corvo.

- I,a schermatura di 1.200 metri di roccia appenninica rende il laboratorio il luogo più adatto nel mondo per captare i sottili segnali

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emessi dal cuore delle stelle ... - E quindi anche dal sole - lo interruppe Filippo. -...Certo, che i l sole è la stella più vicina a noi, vedo che te lo ricor-

di dal tempo del liceo. E proprio sotto il Gran Sasso abbiamo trovato la prova definitiva che il sole funziona con la fusione nucleare, battendo in velocità americani e.. .

- Russi? - indovinò Filippo Argenti. - Sì - rispose improvvisamente rabbuiato Barbacane. Tacque per

qualche istante poi deviò il discorso. - Filippo, ti ricordi il nostro viaggio a Mosca, ai tempi dell'università ?

In quel momento iniboccarono il tunnel e Barbacane accese i fari di posi~ione. - Accidenti non mi funzionano gli anabbaglianti.

- Per fortuna ci si vede abbastanza, c'è una buona illuminazione in queito tunnel - osservò Filippo.

- Più avanti però proprio all'altezza della deviazione con il tunnel pcr i l laboratorio, l'illuminazione è molto più fioca. Ti assicuro che dovremo procedere quasi a passo d'uomo.

- Non fa niente, tanto le viscere buie della terra - x h e r ~ ò Filippo - sono il luogo ideale per rievocare il passato. Certo che mi ricordo del nostro viaggio a Mosca, correva l'anno 1967 ed eravamo in tre: io, te e Margherita.

Ricordo tutto, l'albergo Oktjabr'ska.ja, i compagni della casa dello studente, MiSa soprattutto, che ci faceva girare di notte, e Irina che ci accompagnava di e' riorno ....

- Hai una memoria fàntastica. -... quel viaggio è stato importante per me, avevo bi\ogno di cono-

scere il paese della rivoluzione d'ottobre e il paese del socialismo reale. Cod me ne tornai a casa deciso a non iscrivermi al partito comunista, ma pronto a lavorare per il sindacato rosso. Buffo, no'?

- Non troppo - lo rassicurò Barbacane che nella semioscurità del tunnel procedeva ormai a passo d'uomo. - E io, come tornai in Italia?

- Un po' più comunista di quando eri partito. Ti era piaciuto quasi tutto, persino i l Mausoleo di Lenin, mi ricordo che con un giovane fisico moscovita parlasti in inglese della vicenda di Pontecorvo, del suo tradi- mento ... ma usavate il termine "choice of another country". - Filippo s'intei~uppe bruscamente.

- Scegliere un altro paese, - ricordò Barbacane, - hai ragione, dice- vo: non è un tradimento, le idee, la scienza, l'umanità \tessa non può essere rinchiusa entro ridicoli confini nel meccanico rispetto di regole e tradizioni ... Eravamo giovani, appassionati, abbacinati dal sole dell'avve- nire.

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- Sì, eravamo giovani, tu eri appassionato, vedevi 1' URSS attraver- so la lente dell'evoluzione scientifica che stavano realizzando nel giro di pochi anni, io vedevo . . .

Filippo si interruppe voltandosi verso l'amico. - Che cosa? - Non lo so, penso tutto. Registravo con gli occhi ogni cosa, le stra-

de, le piazze, i locali. la faccia della gente. Durante quel viaggio ero come un turista che fa funzionare la cinepresa 24 ore su 24. Ho ripreso tutto, ed è stato il film più inutilmente struggente della mia vita ...

C'era una diramazione a destra, dopo un grande semaforo . - Sì, è lo svincolo per i l laboratorio, ti porto nel mio studio, voglio

parlarti di cosa mi è successo ieri. Ho bisogno di chiedere il parere di un amico, e sei capitato proprio tu sulla mia strada.

Barbacane percorse il breve tratto della diramazione, un tratto autostradale cieco, a doppio senso, che terminava davanti a grandi grate di ascensori.

- Perché, proprio io? - gli chiese Argenti. - Non ci vediamo da un periodo di tempo tanto lungo da permettere un paio di mutazioni psicolo- giche, non facciamo lo stesso lavoro ...

- Perchè dopottutto questa storia è iniziata proprio con quel viaggio a Mosca - lo interruppe bruscamente Barbacane - e quindi ora posso approfittare della tua memoria degli eventi, certo è un caso che ci siamo incontrati proprio oggi dopo tanto tempo .... ma come fisico conosco i l valore del caso, e non me lo lascio scappare. - Fermò l'auto davanti a una grata metallica.

- Mi dispiace, Filippo, ma ti tocca condividere con un amico una pena, in compenso potrai vedere il laboratorio del Gran Sasso, il sancta sunctorum della fisica italiana. Certo sfiorerai solo la cornice eiterna, i l resto non è dato da vedere ad altri occhi che non siano quelli degli addetti ai lavori.

I1 fisico azionò un telecomando e la grata si sollevò, portò la mac- china dentro lo spazioso vano dell'ascensore, allungò una mano dal fini- strino e premette il pulsante del livello terzo.

- Ora ci caliamo nel pozzo che ci porta ad un silos sotterraneo dove depositiamo l'auto.

- Almeno non hai problemi di parcheggio, - scher7ò il sindacalista che odiava gli ascensori. - Allora deciditi, dimmi quello che ti è capitato ieri.

- Aspettiamo di essere nel mio ufficio: mi stavi dicendo che duran- te quel viaggio a Mosca ti sembrò che su di me funzionasse quella sorta di "mystère de la fascination" che i l comunismo sovietico ha esercitato

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pcr lungo tempo in Italia e in Francia ? - Sì, ma non solo in questi due Paesi. Certo noi siamo rimasti giu-

stamente affascinati dal Paese che aveva contribuito potentemente a scon- figgere i l na~ismo e a creare coscienze antifasciste così vitali per le lotte democratiche. E allora quando tutto questo era già un dato acquisito e cominciava a sollevarsi il coperchio del socialisn~o reale, la maggior parte di noi mise in moto i meccanismi di accettazione di quella situazione con un traino storico-ideologico.

Quello storico fu la trasposizione della dinamica della Rivoluzione francese su quella sovietica: come era stato necessario il terrore nel nome dci principi di Liberté, égalité, Sraternité, così era giustificato l'avvento di un'età di f'erro che mietesse vittime innocenti per arrivare ad una società socialista.

L' ascensore arrivò al terzo livello, Barbacane rimise in moto la macchina, uscì dall'ascensore e svoltò per una corta rampa che lo portò ad un piccolo parcheggio. Fermò la macchina sul posto numerato e disce- se. - Continua, la tua ricostruzione mi interessa, il traino ideologico quale fu ?

Argenti scese a sua volta e richiuse lo sportello. - La cosiddetta "\ ia italiana", che fece in modo di rimuovere, come estranei a noi, i gulag e le persecuzioni staliniane. Un misto di ipocrisia e di lungiiniranza stru- mentale, tipico di Togliatti.

- Sì, ma io e te ce ne distaccammo dopo la primavera di Praga, , capimmo quanto fossero fallaci i mezzi per raggiungere la mèta.

- Non solo! - lo corresse Argenti calcandosi gli occhiali sul naso. - La radice di quel disastro epocale che fu i l comunismo in URSS, di quei

' delitti in nome del bene del popolo, slava più che altro nei fini, nella costruzione di una società ideata per il riscatto dell'uorno.

E ~rn'altr-a chiesa, il partito comunista con la sua gerarchia sacerdo- tale, avrebbe dovuto assicurare il passaggio dall'utopia alla scienza, con- trabbandare la scoperta di leggi oggettive, come quelle scientifiche, per piogrammare le finalità della Storia. Ecco il super-alibi ideologico che ha incasellato stermini di massa e odio razziale! Questo finalismo globale, nella storia, è sempre stato generatore del crimine e del suo alibi!

I due si erano incamminati lungo uno stretto corridoio, al termine del quale Barbacane infilò un badge in una fessura.

La porta scattò e un altoparlante, posto al di sopra di una cinepresa tuonò: - Identificazione dell'estraneo.

- Visitatore autorizzato da me - rispose Barbacane. Ci fu un silenzio imbarazzante per Argenti, poi si udì lo scatto di

una seconda porta e i due proseguirono per un altro corridoio con pannelli

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di vetro sulla parete di destra che permettevano di vedere mastodontici macchinari in movimento in un laboratorio.

- Qui le leggi oggettive sono quelle scientifiche - fece da contrap- punto Barbacane - e non perseguiamo nessun finalismo globale.

Il sindacalista sorrise e riconobbe in quell'orgoglio desideroso di giustificazioni il suo antico compagno di università. Dopotutto non erano avvenute in lui troppe mutazioni psicologiche.

Barbacane lo guidò nel suo ufficio, si sedettero sul divano di cuoio color sabbia e senza altri preamboli tirò fuori il rospo. - Ieri mattina sono stato contattato da una spia rus5a.

- Era ora ! - scherzò Argenti - doveva pur capitare a uno importante come te, e da me cosa vuoi, una consulenza politica?

- Non scherzare, è una cosa seria. - I1 fisico si era improvvisamente incupito e prese a raccontare per filo e per segno tutto l'accaduto, cercò di usare, puntigliosamente, gli stessi termini che aveva uwto l'altro: agente in sonno, sveglia russa ... poi appena ebbe finito si alzò, si avvicinò alla scrivania dove c'era una caraffa d'acqua con un bicchiere accanto a un dossier, e si versò da bere.

- Immagino che tu abbia subito avvisato la polizia, - gli chiese l'amico.

- Meglio, abbiamo un servizio di sicurezza interno, sono andato dal responsabile, si chiama Rapisarda - mentre pronunciava quel nome storse impercettibilmente le labbra - e gli ho raccontato tutto, esattamente come

l ho fatto con te. Ma non mi sento tranquillo, è chiaro che indagheranno \u di me, non gliene posso fare una gran colpa, però dovranno capire, prima o poi, che quello in pericolo sono io ....

Barbacane non completò la frase, avrebbe voluto dire "e non i loro segreti", ma se ne astenne.

Argenti lo raggiunse vicino alla scrivania e si versò a sua volta un bicchier d'acqua, si guardò intorno e non poté trattenersi dal chiedere: - Ma davvero abbiamo i l Gran Sasso sulla t em?.

I1 fisico finalmente sorrise. - Tra poco ti faccio riaccompagnare fuori da una mia assistente che è abituata a fare un minimo di guida turi- stica ai rari visitatori qualificati, ma ora dimmi, che ne pensi di quello che ti ho detto?

Argenti guardò il dossier sulla scrivania con su scritto "Progetto Minus. Top secret", poi distolse lo sguardo e allargò le braccia

- Che non ti è bastato affidare la tua sorte a persone come Rapi\arda, e probabilmente hai ragione: è stata una scoperta della nostra generazione. Ma se questo è vero, devi far conto principalmente su te stesso, e su di me, naturalmente, per quel che posso aiutarti ... - Sul fasci-

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colo c'era un sottotitolo: "La riduzione dell'universo". - Da te voglio solo un consiglio - lo rassicurò l'amico. Argenti lo guardò, era chiaro che mentiva, no i l suo amico voleva

di più, molto di più. - La conosci la mia str~tegia sindacale, è semplice ed autolesionista: bisogna cadere nella trappola! Perché solo lì dentro, capi- sci veramente come stanno le cose, gli scopi di chi ha teso la trappola e come fare per uscirne. Funziona una volta su due, ma funziona.

- Una percentuale non incoraggiante ..... - Devi incontrare questo secondo Volodja, non ne puoi fare a meno,

gli schermi che puoi frapporre serviranno soltanto a non farti capire quel- lo che ti sta succedendo.

Barbacane si sedette alla scrivania e sembrò riflettere su queste ultime parole dell'amico. - Forse hai ragione: vedrò Volodja I1 .....

- Un'altra cosa, - lo interruppe Argenti, - non credere che mi limi- terò solo ai consigli, dopotutto quel viaggio, come hai detto tu, lo abbia- mo fatto insieme e abbiamo fatto insieme, in maniera diversa e separata, anche il viaggio nel post-comunismo.

Barbacane sorrise. - Ora ti faccio riaccompagnare, tra mezz'ora all'ingresso parte il pulmino per Roma. Ti richiamo domani, voglio star solo a riflettere su quello che mi hai suggerito e sulle conseguenze. - Premette un interfono e disse: - Un visitatore autorizzato deve essere gui- d'ito all'uscita dopo un breve giro.

Poi i l fisico si voltò verso l'amico e disse: - Grazie per non avermi chiesto se a Mosca nell'Oktjabr'ska.ja i russi mi hanno realmente recluta- to.

- Non esser sicuro che non lo faccia, prima o poi, - gli rispose Argenti.

Un'assistente in camice bianco e con gli occhi verdi aprì la porta, il biondo dei capelli era di una tonalità nordica. - Eccomi professore, sono pronta.

- Ciao Filippo, a domani. Si strinsero la mano e Argenti uscì con gli occhi calamitati sulle

forme individuabili sotto quel camice.Ripercorsero lentamente il corri- doio con la vetrata sulla parete e l'assistente si fermò a metà tragitto.

- Tralasciamo tutto il resto e partiamo dai neutrini solari. - Sarebbe uno splendido incipit per un racconto - scherzò Argenti -

sono interessatissimo al seguito. - 1,a grande produ~ione di energia - lo ignorò l'assistente - che ha

luogo nel Sole è dovuta quasi del tutto a reazioni teimonucleari con la funzione di quattro protoni in un nucleo di elio, durante queste reazioni vengono emessi dei neutrini elettronici. Essi creano un flusso enorme che

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investe la terra pari a centinaia di migliaia di miliardi di miliardi di miliardi di neutrini al giorno, cioè, qualche unità x 10 u.

- Nientemeno - sgranò gli occhi i l sindacalista. - Ma veniamo al punto, cioè alla copertura offerta dalla roccia

sovrastante il laboratorio, questo almeno la interesserà, - disse l'assistente con aria seccata e scostando una ciocca di capelli dalla fronte. - I raggi cosmici che ci bombarclano dall'universo scaricano su un metro quadrato di superficie terrestre due milioni di particelle all'ora, la maggior parte delle quali è carica, non sarebbe quindi possibile effettuare un esperimen- to sui neutrini solari, perchè i loro segnali sono confusi dai segnali dovuti ai raggi cosmici, se non con una copertura della crosta terrestre in grado di assorbire i raggi cosmici.

- La stupirò: questo già lo sapevo, - continuò impertinente Argenti. - Ma mi dica, grazie a questa copertura, come lei chiama la montagna, quali scoperte avete fatto?

- Nel mondo sono 3tati fatti quattro esperimenti sul neutrino solare: negli Stati Uniti, in Giappone, da noi e in Russia e il risultato è sorpren- dente: i l flusso dei neutrini corrisponde solamente a circa la metà, con una certa differenza a seconda che si tratti del f l u s~o atteso nella regione di energie più alte o nella regione di energie pii1 basse, di quelli che il sole dovrebbe inviarci.Questo risultato costituisce il cosiddetto "problema del neutrino solare".

- Direi che c'è una bella truppa di neulrini vagabondi, ma mi dica qualcosa di più sul loro comportamento.

L'assistente picchiettò sul vetro con le unghie curate, un modo, forse, per evitare di spazientirsi. - Ecco, forse la cosa che la potrà colpire sono i "sapori" dei neutrini, come diciamo noi in gergo. Vede, ci sono tre tipi di neutrini: il neutrino elettronico, il neutrino muonico e il neutrino tauonico, i "sapori" sono connessi con la loro diversa origine. Per esem- pio il neutrino prodotto nel decadimento con un'emissione di un elettrone è un neutrino elettronico. Cioè il neutrino incredibilmente "si ricorda" della sua origine .....

- Questo mi interessa - la interruppe Argenti. - Vuole dire che i l marchio iniziale rimane per tutta la vita del neutrino.

- Allo stato attuale della teoria delle particelle, sì. - Caspita, nessuno ci ha spiegato che dovevamo stare così attenti al

nostro marchio iniziale ... ma, la prego continui. - L'attuale concezione della fisica delle particelle assegna al neutri-

no massa riposo nulla e ritiene che "i sapori" dei neutrini siano qualità fisse, ma ci potrebbe essere anche un effetto chiamato "oscillazione del neutrino" già ipotizzato da Bruno Pontecorvo negli anni cinquanta.

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- Vagabondi e oscillanti, non ci si può proprio fidare dei neutrini solari.

- Qui ci troviamo di fronte alla Sala C dei laboratori, sono visibili la tanica esterna del rilevatore per l'esperimento e gli impianti per il tra- sferimento dello scintillatore e i contenitori criogenici di azoto.

Argenti guardò interessato, in basso, una enorme tanica grigia con una scaletta a spirale e diverse bombole gigantesche collegate tra loro da una giungla di tubi, ma non si azzardò a chiedere cosa fosse uno scintilla- tore o un contenitore criogenico di azoto. Si spostarono più avanti fino alla fine del corridoio, davanti a loro si aprì la porta di un ascensore, vi entrarono, e l'assistente premette il pulsante del livello settimo.

- A questo livello si svolge l'esperimento italiano Gallex eseguito sul neutrino solare utilizzando la tecnica radiochimica, come nell'esperi- mento russo. Vede - diuse l'assistente indicando un enorme contenitore visibile in fondo ad una sala protetta da uno schermo di plexigas - una grande quantità di gallio, circa 30 tonnellate, in soluzione contenente acido cloridrico e acqua, è immagazzinata in quel grande contenitore, ma lei non mi ascolta .....

- Mi scusi, ma come si chiama l'esperimento russo? - Sage. Credo, comunque, sia opportuno porre fine alla visita. Se è

d'accordo, la riaccompagno all'uscita del laboratorio. - Certo, la ringrazio e mi scuso, può darsi che in futuro riesca ad

appassionarmi di più al "problema del neutrino solare", ma, a questo pro- posito, mi dica un'ultima cosa: la conferma dell'oscillazione dei neutrini e quindi del fatto che la loro massa a riposo non sia nulla avrebbe conse- guenze così importanti?

L'assistente sorrise. Dopottutto quell'uomo con quegli strani occhi castani sempre ammiccanti, resi più piccoli da un paio di spesse lenti cer- chiate da una montatura d'acciaio, con l'attaccatura dei capelli a V sulla fronte segnata da rughe sottili, quell'uomo che somigliava in maniera sconcertante a un comunista clandestino degli anni '30, l'aveva ascoltata.

Si aggiustò ancora la ciocca di capelli biondo-nordico e disse imbarazzata: - Temo proprio di sì. Una massa di neutrini anche solo di pochi elettronvolt sarebbe sufficiente a superare il valore critico della densità al di sopra del quale l'espansione dell'universo dovrà arrestarsi.

L'azione di richiamo delle forze gravitazionali supererà la forza d'inerzia conne5sa con il moto di allontanamento dei corpi celesti. La dimensione dell'universo comincerà a diminuire fino a ... - s'interruppe - precipitare in un grande collasso. Certo è possibile - sentenziò Argenti grattandosi la tempia - succede anche nella storia degli uomini quando è troppo forte l'azione di richiamo delle forze gravitazionali, è successo

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anche in questo nostro secolo. Ma con un viso come il suo non può annunciarmi questa catastrofe cosmologica senza accettare un invito a cena, stasera a Rieti da Duilio .......

3. Villa Abamelek

Un diffuso rossore si estendeva sul cranio rasato di Rapisarda. Irritato e incurante degli effetti che i l suo gesto stava producendo,

riprese a grattarsi metodicamente, poi sollevò la cornetta e compose un numero.

- Direttore, sono io, posso disturbarla? I1 breve silenzio che seguì non lo incoraggiò a proseguire. - Solo se ci sono novità determinanti sull'aftàre Barbacane - rispo-

se una voce cupa all'altro capo del filo. Da quando era stato posto al vertice dei Serv i~ i Segreti, il Direttore

aveva ulteriormente inasprito i l suo carattere, si fidava soltanto di una cerchia ristrettissima di collaboratori che aveva portato con sé dal suo precedente incarico.

Era stato a capo per dieci anni del settore strategico dei Servizi, il settore che aveva più agenti sul campo e più canali operativi: in tutto quel tempo aveva costituito intorno a sé una sorta di cinta muraria di ufficiali e civili che filtrava tutto ciò che coinvolgeva direttamente o indiret~amente i l servizio, lo selezionava e lo incanalava verso gli agenti operativi. Questa struttura gli aveva consentito prima come capo-settore e poi come Direttore di lavorare arroccato e di occuparsi soltanto delle opera~ioni da lui progettate e di ciò che, a suo insindacabile giudizio, riteneva di estre- ma importanza.

Chiunque avesse osato scalare la torre e arrivare fino al Direttore scavalcando la cinta muraria ne avrebbe pagato le sgradevoli conseguen- ze.

Rapisarda sapeva bene tutto questo e infatti dopo l'incontro con Fuoco sul Gran Sasso, ritenendo eccessivamente imprudente, per la dura- ta del suo attuale incarico, non intòrmare il Direttore dei Servizi di ciò che stava capitando ad un fisico italiano, si era limitato a far arrivare al suo entourage una semplice informativa sui fatti e sulle indagini in corso.

Con suo grande stupore era stato contattato lo stesso giorno dal Direttore che si era mostrato personalmente interessato alla vicenda e soprattutto al fatto, così era sembrato a Rapisarda, che Fuoco gli aves\e ordinato di riferire soltanto a lui. Poi i l Ilirettore, sottoponendo l'uomo ad un interrogatorio stringente, si era minuziosamente informato di tutto ciò che riguardava Barbacane: i l 5uo lavoro, la sua scheda, le sue abitudini.

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Ogni tanto dava respiro a Rapisarda per consentirgli di ordinare nella sua testa tutta la massa di inforilla7ioni, secondo un cliché consumato di un interrogatorio condotto da un esperto, eppoi di nuovo lo aveva bombarda- to con le sue richieste dirette.

- Caro Rapisarda - gli aveva detto alla fine il Direttore con una smorfia sorridente sul viso butterato, - mandando la tua informativa al mio ufficio hai contravvenuto alla disposizione impartita da un tuo supe- riore, e questo non posso che deplorarlo ... d'altro canto,- aveva ripreso dopo una pausa studiata - Fuoco, il tuo superiore, è mio subordinato, così posiamo concludere che, se continuerai a tenermi al corrente, potrà esse- re ristabilito un flusso ordinato delle informazioni a beneficio del Servizio.

I1 discorso era chiaro e Rapisarda l'aveva capito, anche se rischiava di fare la fine di una noce tra le due ganasce di uno schiaccianoci.

Ma non aveva scelta e così ora si ritrovava con il cranio arrossato davanti a quel telefono in linea diretta con il Direttore.

- Sì, ci sono novità importanti: Barbacane ha confidato le sue pene acl un vecchio compagno d'università, compagno in tutti i sensi ....

- E questa ti sembra una novità importante? - chiese irritato il Direttore.

- Una mia macchina che li seguiva ha creduto di vedere qualcosa di molto allarmante, - Rapisarda fece una pausa studiata, stavolta il Direttore sarebbe rimasto compiaciuto - sull'autostrada, prima dell'imbocco del tunnel, c'era un grosso camion che ha studiato i l tragitto di Barbacane e della mia Alfa civetta: nel camion c'era un uomo alla guida e una donna. E' anomalo e così il mio agente ha guardato bene la donna dallo spec- chietto retrovisore.

- L'ha riconosciuta? - Ne è q u a i certo, si tratta di una killer del crimine organizzato,

Maddalena Muttia. Rapisarda continuò poi riferendo tutti i particolari dell'incontro tra

Barbacane e Argenti, il Direttore ascoltava con attenzione i l resoconto dcll'accaduto, interrompendolo frequentemente per avere tutti i dettagli.

Seguì un lungo silenzio dall'altra parte del filo, poi il Direttore con voce alterata concluse la conversazione. - E va bene, va bene, vorrà dire che noi potremo muoverci soltanto dopo che Fuoco avrà i'atto la sua pros- \iina, mossa ...

Filippo Argenti era riuscito, nel suo sopralluogo, a trascinare i due

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L'rrgerite iri so11110

segugi fuori dal parco, poi, come la volpe finta nelle corse dei cani, era scomparso proprio davanti ai loro occhi.

Margherita, la sua ex moglie, aveva tenuto aperta, secondo gli accordi, la portiera posteriore del Fiorino e Filippo, con uno scatto improvviso, tra la confusione dell'uscita di Villa Doria Parnphili.i, si era eclissato.

I1 Fiorino risalì via Vitellia, girò prima di Porta S. Pancrazio e imboccò 1'Aurelia Antica proprio nel momento in cui la nera macchina

I del Servizio con a bordo Fuoco entrava a Villa Abamelek. In una città come Roma il caso è agevolato e forse guidato dalla

sua stessa forma urbis: l'intreccio delle sue strade può determinare un incontro, e, se un angolo può nascondere, una p i a ~ z a è spesso il palcosce- nico di molteplici eventi.

Villa Abamelek, - che pare sia stata lasciata in eredità ai pittori russi dal principe georgiano Abamelek - è rimasta poi senza inquilini dall'anno della rivoluzione d'ottobre fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando venne trasformata in residenza dall'ambasciatore delllURSS. Oggi, dopo i l ritocco della targa, è la residenza dell'ambascia- tore della Russia.

La macchina nera traversò l'ampio parco prospiciente Villa Doria Pamphi1i.i e si fermò davanti l'entrata principale.

Fuoco fu accolto da un funzionario che lo accompagnò, attraverso un grande salone rettangolare e una vasta biblioteca, nell'ufficio dov'era atteso. I1 luogo era suggestivo e carico di memorie. Nell' attraversarlo egli non poté fare a meno di notare che stavolta il suo relèrente russo aveva cambiato stanza e lo riceveva proprio accanto all'ufficio dell' Ambasciatore.

- E' bravo quel suo agente ... Davide.- Lo accolse con queste parole e una stretta di mano. - E' convincente quando chiede informazioni a suo nome ...

Fuoco si sistemò nella poltrona di cuoio marrone davanti alla scri- vania, guardò l'uomo che si attardava vicino alla biblioteca con GUER- RA e PACE aperto tra le mani, poi guardò sulla parete l'alone sbiadito dove, un tempo non lontano, c'era il ritratto di Lenin. - E' bravo, ma ancora troppo indifeso, non ha capito che il nostro è un mestiere di sopravvissuti, di gente che è già morta almeno una volta e che poi deve vivere una condizione di sopravvivenza, non è così Ivan?.

I1 russo richiuse Vnjnà i Mir e lo collocò sullo scaffale dell'opera completa di Tolstoj, guardò uno scaffale in alto vicino al soffitto e fece un gesto vago con la mano. - Elias Canetti scrive che la situazione del sopravvivere è la situazione centrale del potere, e noi due, Mister Fuoco,

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ne siamo una bella conferma ... Ma a che debbo l'onore di una sua visita in questo luogo, dove un tempo si covavano progetti ostili nei vostri con- fronti?.

- Un passato non troppo remoto, - replicò Fuoco accavallando le gambe, - se un nostro stimato fisico nucleare viene in pratica ricattato da un vostro agente di Mosca e poi una coppia di killer, appena uscita da qualche Museo internazionale dell'orrore, lo segue da vicino.

I1 russo girò intorno alla scrivania, si sedette sospirando e premette un pulsante tra due telefoni. Un uomo con una cicatrice sulla tempia destra aprì la porta dello studio e Ivan gli ordinò:

- Prinesì papku TiSki l, - poi si rivolse di nuovo a Fuoco. - I1 qua- dro è ancora confuso, ci sono molti lati oscuri nella vicenda, ma l'incro- cio delle nostre informazioni potrebbe contribuire a fare chiarezza.

L'uomo con la cicatrice sulla tempia rientrò con un voluminoso fascicolo e lo poggiò sulla scrivania.

- Questo è tutto'! - chiese Ivan scrutando la copertina con la scritta SOVERSENNO SEKRETNO 2 .

- Questo è tutto quello che sappiamo su quel figlio di puttana del compagno TiSka ...... anche se ora, come certamente saprai, comandante Ivan - aggiunse Cicatrice sulla tempia in perfetto italiano - viene chiama- to, nel codice dei ricercati, "Ajdyn".

- Balena bianca? - chiese Fuoco incuriosito associando quel nome alla strana storia di una balena che aveva letto sui giornali.

- Sì, ma in realtà si tratta di un particolare beluga addestrato insie- mc ad altri suoi simili al combattimento nel centro reclute di Sebastopoli in Crimea, - cominciò a raccontare Ivan mentre sfogliava i l fascicolo sulla \ua scrivania. - Delfini, beluga, otarie hanno garantito fino al 1990 la 5icurezza della base militare sovietica: con un addestramento messo a punto all'istituto Sevekov di Mosca, si era riusciti a realizzare un vero e proprio pattugliamento dell'ampio tratto di mare dove c'era la rete protet- tiva antisoinmergibile.

Fuoco si agitò sulla poltrona guardando l'orologio. - Una ronda, insomma, per segnalare le incursioni dei sommergibili

NATO, ma i pesci come facevano'? - Si accontenti di sapere che i delfini avevano una specie di elmo

sul rostro e, avvertita una presenza estranea nel tratto di mare dove effet- tuavano la ronda, all'interno della rete, si precipitavano verso una consol- le sottomarina e premevano i pulsanti giusti per allertare i l porto ....

1 ) Portami il fascicolo di TiSka. 2) Top Secret.

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L'crgeiirr iri sonrio

- Fantastico! - Aspetti, il loro compito non si fermava qui. Per dar modo di orga-

nizzare la difesa, si recavano verso la rete, premevano un pulsante che apriva un varco nella barriera,ed erano addestrati a colpire il nemico.

Ivan tacque d'improvviso e guardò Cicatrice sulla tempia. - Con cariche esplosive? - chiew Fuoco. - Consideri la sua curiosità sull'argomento soddi\fatta, Mister

Fuoco ...... voi occidentali siete ancora molto indietro in questo affascinan- . , te campo. Ah, già, c'è un'ultima curiosità da soddisfare che ci riporta al

nostro TiSka, vuoi completare tu la storia di A.jdyn? Cicatrice sulla tempia guardò il suo capo senza tradire disagio. - Le otarie erano i segugi del commando e venivano utilizzate per

incarichi speciali, sono persino state in grado di ritrovare un sottomarino sovietico disperso .... Ma Ajdyn era i l gioiello della corona, un sabotatore nato, riusciva a minare gli obiettivi nemici e a rientrare nel varco clella rete protettiva richiudendola. Dopo la fine della guerra fredda si trovò disoccupato come un riservista dell'esercito e rinchiuso nel delfinario di Sebastopoli con il suo deposito di segreti militari.

I1 beluga che anni addietro era stato catturato nelle acque gelide del Golfo di Sachalin, nell'Artico, si era ormai abituato ai climi caldi, ma il desiderio di fuga doveva essere ben vivo in lui.

- Proprio come un profugo politico - scherzò Fuoco. - Già, e come tale è riuscito a sfuggirci molte volte, anche con la

connivenza dei pescatori locali turchi. Poi, grazie ad opportune pressioni diplomatiche siamo riusciti a farcelo riconsegnare. Queste storie di fughe e catture e l'interessamento di Greenpeace gli hanno dato simpatia e noto- rietà, la stampa occidentale lo chiama "Palla di Neve".

- Ora ricordo, finalmente - esclamò Fuoco. - Nel 1992 avevate per- sino messo una taglia su di lui per allettare i pescatori turchi. Poi dopo l'ultima cattura una terribile tempesta si abbatté sul porto di Sebastopoli e Palla di Neve riuscì ad evadere verso Odessa e ora, tòrse, lo state ancora cercando.

- Proprio come quel dannato di Volodja TiSka, - imprecò Ivan richiudendo il fascicolo, - un ufficiale del KGB, con una luminosa carrie- ra alle spalle, frutto di un adde5tramento straordinario, che non ha saputo accettare la fine del comunismo sovietico. Poteva godersi un meritato periodo di pensionamento ideologico e professionale e invece nella sua condizione di orfano di Andropov si sente legittimato a tessere intrighi, contrabbandare segreti ...

- Anche lui insomma è evaso dal delfinario dove lo avevate pruden- temente rinchiuso, - lo interruppe Fuoco - e percorrendo tutto i l Mar Nero

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è entrato nel Mediterraneo fino ai nostri porti. Se riusciamo ad avvistarlo potremo riscuotere la taglia che avevate promesso ai pescatori turchi.

- Ma voi lo avete già avvistato, amico mio - disse Ivan alzandosi ed avvicinandosi a Fuoco. - E inoltre avete l'esca adatta per farlo abboccare: i l professor Barbacane.

- Già, un'esca viva! Ivan gli poggiò una mano sulla spalla, ma Fuoco si alzò, lo infasti-

, diva i l suo fisico incombente, si avvicinò ancora di più alla scrivania e buttò un'occhiata sul fascicolo. - Ma quale può essere il suo gioco'?

- Ancora non lo so, ma Volodia è un paranoico nostalgico, un gioca- tore di scacchi con~plicato che potrebbe, per esempio, voler fare accredita- re ai suoi nemici l'assassinio di iin fisico nucleare italiano, un fisico suo amico o addirittura suo agente. Sì, penso sia proprio probabile, considerata la prossima mossa che intende fare e con la quale vuole dare scacco al nostro re. Fuoco guardò la faccia impietrita di Cicatrice sulla tempia e il sorriso enigmatico del residente dello spionaggio russo dell'Ambasciata.

- Se vi interessa la nostra partecipazione alla partita, dovete dirmi qual è la prossima mossa, altrimenti noi proteggiamo Barbacane e voi continuate ad inseguire Palla di Neve, e lì si chiude.

Così dicendo Fuoco fece un passo verso la porta. - Farò di più, considerati i tempi di traduzione le lascio per tre gior-

ni questo fascicolo, così avrete tutte le informazioni in nostro possesso e i l nostro schema di gioco potrà essere compatibile. Questa è una collabo- razione che nessun servizio segreto ha mai offerto a nessun altro, ma il

I gioco vale la candela, come dite voi italiani. Fuoco tornò indietro, guardò il fascicolo sulla scrivania, esitò un

istante e poi lo prese. - E prima che i miei traduttori arrivino all'ultima pagina, mi vuole dire cosa c'è in gioco'!

Ivan tornò a sedersi dietro la scrivania, prese un affilato tagliacarte e lo puntò verso il collega italiano. - I piani per la costruzione ..... e, dicia- mo, .la commercializzazione della bomba atomica portatile: una pillola di

.. mercurio rosso, miscela di mercurio, ossigeno e antinomio, e una di plu- tonio affogata in una manciata di esplosivo plastico. I1 mercurio rosso tra- sformato in liquido pesante riesce a provocare la fissione nucleare di pic- colissime particelle di plutonio.

- La trasformazione che gli americani non sono ancora riusciti a realizzare.

Ivan posò i l tagliacarte, posò le mani sui braccioli della poltrona e si distese. - Sì, esatto, ma non speri di trovarla dentro quel fascicolo, natu- ralmente.

2: 2: 4:

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- Una linea collaborativa piena e leale! - Commentò Cicatrice sulla tempia dopo che Fuoco aveva lasciato l'Ambasciata. Si sedette dietro l'ampia scrivania mentre Ivan s'irrigidiva sull'attenti. - Siediti pure, dob- biamo finirla questa partita a scacchi.

Ivan si sedette su una poltroncina davanti alla scrivania. - Al nostro comportamento leale corrisponderà la collaborazione di Fuoco nel farci ritrovare Volod.ja TiSka?

- Non ci sperare, non si adatterà a mettere in pericolo la vita del suo prezioso fisico, hai notato come ha parlato di "esca viva"? Eppoi come puoi pensare che non gli venga la voglia di sentire la versione dei fatti raccontata da Volocija?

- E allora? - Allora, se abbiamo sacrificato una torre, il nostro prezioso dos-

sier, è per avere qualche vantaggio: chiama il Direttore dei Serv i~ i Segreti e dagli le informazioni che forse Fuoco non gli fornirà, fagli capire che quello che ci interessa è solo la cattura del beluga fuggito e niente altro.

Ivan si era già alzato e s tava at t ivando il central ino dell'Ambasciata. Dopo molte derivazioni e lo scatto di due apparecchia- ture di registrazione, l'amabile colloquio tra due spie ebbe luogo.

- I miei rispetti, Direttore. - I1 suo italiano migliora ogni mese, mio caro Ivan. - Leggo Machiavelli, senza difficoltà ormai. - Ne sono più che certo - il Direttore si appoggiò allo schienale

della sua poltrona. - A che debbo il piacere di sentirla'! Ivan gli raccontò per filo e per segno tutta la caccia che il suo

Servizio era costretto da tempo a dare a Voloclja TiSka, l'interesse supre- mo dello Stato alla sua cattura, la sua pericolosità per l'umanità.

L'enfasi russa che pose nel dire tutto questo doveva giustificare i l tono perentorio della richiesta conclusiva: - E ora finalmente saremmo in grado di catturarlo se voi italiani collaboraste! Ci basta solo sapere dove e quando ci sarà il contatto tra Barbacane e Volocija, al vostro fisico non verrà fatto alcun male, naturalmente, ci serve solo da esca e temiamo che Fuoco non ce lo conceda.

Tacque stremato e guardò negli occhi Cicatrice sulla tempia cer- candone l'approvazione.

All'altro capo del filo la voce del Direttore aveva iniziato col dire: - I,e credo solo in parte, mio caro Ivan: credo che sia di massimo interes- se per la sicureua della vostra Repubblica riavere il beluga, credo anche che Fuoco non abbia alcuna intenzione di usare Barbacane come esca viva, se non per mettere le mani lui sul beluga.

Sono mesi che segue le tracce di fantomatici piani dcll'atomica

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portatile e non può lasciarsi scappare questa occasione. Questo è quello che credo della sua storia e apprezzo anche il fatto che mi abbia fatto par- tecipe del suo incontro con Fuoco. Quello che non credo è invece che l'ex Lostro TiSka abbia quei piani, non quadra bene con l'improbabile azione di voler risvegliare un suo ipotetico agente in sonno.

I1 ruolo di Barbacane in tutto questo sarà nostra cura scoprirlo. Ma limitiamo pure i l suo ruolo temporaneo a quello di esca viva per la cattura del beluga ....... anche qui c'è qualcosa che non mi quadra.

- Cosa, - chiese Ivan. - Se volete, veramente, solo catturare quel beluga, perchè avete

messo sulle sue tracce un'orca assassina'! Ivan guardò Cicatrice sulla tempia con un'aria perduta. - L'uomo si

affrettò a scrivere un biglietto e a metterlo sotto gli occhi dell'altro. - Complimenti, l'avete già scoperta? E allora, caro Direttore, par-

lerò ancora più chiaro: noi rivogliamo il nostro beluga vivo o morto, tanto ormai su di lui sappiamo già tutto, vogliamo solo evitare i danni futuri che le sue azioni potrebbero provocare.

- E io cosa ci guadagno? - chiese apertamente i l Direttore. I - La verità su Barbacane, o meglio quella parte di verità che possie-

de solo TiSka. In quell'istante Cicatrice sulla tempia gli aveva passato un altro

biglietto. - E poi, se mi permette, la sconfitta di Fuoco che non sembra leale nei suoi confronti ........

Allora ci aiuterà'! Ci farà sapere i l luogo dell ' incontro tra Bdrbacane e Volocija?

Una lunga pausa intervenne tra i due, alla fine il Direttore conclu- se: - Ci penserò, devo prima chiarirmi un paio di dati, per ora si acconten- t i di una buona disposizione da parte mia, e la comunichi anche al suo superiore. - Riattaccò sorridendo, senza aspettare nessun altro commento.

I1 suo ufficio si era improvvisamente rabbuiato, il cielo su Roma era diventato livido e un temporale scoppiò sulla città. L'acqua scroscian-

: te mossa dal vento agitava le antenne dei tetti, i platani del Lungotevere e i pini di Villa Abamelek.

4. I1 bacio del principe

L'aria limpida della mattina faceva risplendere le chiome della pic- cola pineta all'ingresso di Villa Doria Pamphilj, subito dopo Porta S. Pancrazio.

I1 temporale del giorno prima era stato particolarmente violento e Argenti e Barbacane, nello studiare il percorso della Villa, avevano spera-

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to che la pioggia incessante non mettesse in pericolo il loro progetto. La giornata era ideale per una passeggiata in Villa, anche se ormai,

dietro di loro, i segugi sguinzagliati da Rapisarda erano diventati più pres- santi.

- Dimmi cosa ti ha detto esattamente. - Te l'ho già detto - sbuffò il professore. - Da capo. - Argenti era nervoso e tormentava il suo orologio di

metallo sul polso sinistro. Anche Barbacane aveva un orologio molto simile, tutti e due gli

amici portavano pantaloni bianchi di tela e una camicia azzurra: il profes- sore però era più curato nell'abbigliamento, indossava elegantemente una giacca a grandi righe blu con un cappello di paglia e teneva sotto i l brac- cio un fascio di giornali.

- Ho seguito la sua indicazione alla lettera e ho chiamato quel numero dei Castelli. - Il professore inforcò un paio di occhiali scuri e si voltò verso gli agenti di Rapisarda. - Ha detto che ha assoluto bisogno di vedermi, che è in gioco una partita della massima importanza, mi ha minacciato e scongiurato, è un tipo strano, imprevedibile ... Però te l'ho detto, Filippo, mi sembra che i suoi toni siano sinceri, per questo ho seguito il tuo consiglio.

- Ecco laggiù la Villa Algardi, dove ti aspetta. Dobbiamo fare i l gioco di prestigio dietro il muro della chiesa kitch.

Accelerarono il passo e traversarono il grande spiazzo erboso tra la villa e la chiesa, la fontana al centro era asciutta, ma l'ombra delle palme

I

I tutt'intorno restituiba ugualmente un'impressione di freschezza.

l La chiesa patrizia era stata abbandonata e recintata per evitare usi impropri e il boschetto intorno con gli anni si era infittito. I due uomini vi penetrarono e si diressero dietro l'abside della Cappella Algardi.

I due agenti si mantennero ai bordi del boschetto e \ i avviarono dietro la chiesa con un giro piìi largo: videro i due uomini riprendere i l sentiero con un passo elastico, quasi divertito. Poi prima della grande pineta, al bivio verso le mura di Via Vitellia, l'uomo con gli occhiali da sole, il cappello di paglia, la giacca a righe blu e il fascio di giornali sotto i l braccio salutò calorosamente l'amico che si stava soffiando il naso con un grande fazzoletto rosso.

Gli agenti si scambiarono un'occhiata, nessuno dei due poteva mollare il professore.

Così, fedeli alla consegna, lo seguirono, a debita distanla lungo il viale, verso l'uscita di Via Vitellia, mentre l'altro uomo ritornava in dire- zione del villino Algardi. * g *

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- Mi ha fatto aspettare, professore. Barbacane guardò a lungo l'uomo che si era materializ~ato dietro

di lui nel luogo dell'appuntamento. Aveva certo passato la sesantina, ma l'aspetto era ancora molto

vigoroso: i capelli bianchi avevano ai lati delle striature grigio-metallo. Un volto slavo, squadrato, solcato da profonde rughe di una vita

tormentata. 1 - Ho dovuto seminare i miei angeli custodi ...

- Ho visto, due dilettanti. Voi italiani non siete mai stati all'altezza nel gioco delle spie. Troppi ladri nei vostri servizi e troppe deviazioni ..... - 1;uonlo sorrise e Barbacane non smetteva di fissarlo. - Si sta chiedendo se fui io a reclutarla nell'albergo a Mosca quella notte di più di un quarto di secolo fa? Che importanza può avere la risposta ormai?

- E' vero, veniamo all'incontro di oggi. - Certo, camminiamo professore. Lei avrà sentito parlare del così

detto contrabbando nucleare? Si tratta della più colossale impresa affari- stico-politica criminale di tutti i tempi.

- Quello che so, l'ho letto solo sui giornali - s'affrettò a dire Barbacane. - La chiusura di alcuni impianti nucleari dell'ex URSS, la disoccupa~ione dei miei colleghi e l'indifferenza nei controlli dei depositi dell'Armata rossa e nei laboratori scientifici, ha alimentato un considere- vole contrabbando di materiali fissili.

- Sono ormai in crisi perfino gli impianti principali, come Krasnodar 16 che produce plutonio e la fabbrica di missili di Arzamas 16. I1 crollo della disciplina e dei controlli, la sete di denaro sporco hanno avuto l'effetto di un devastante terremoto nei 150 centri di arricchimento di combustibile nucleare. Ed è fiorito in Europa e nel Medio Oriente un vero e proprio mercato radioattivo, un traffico di plutonio arricchito 239, già pronto per l'industria militare.

I1 professore si voltò per accertarsi che nessuno li seguisse. - La stampa italiana dà la colpa alla mafia russa.

- E' un'ipotesi riduttiva, la partita è molto più complicata, come gli scacchi, i l nostro gioco nazionale.

I1 russo sorrise ancora con amarezza e uno spiraglio di ricordi si aprì nella mente di Barbacane.

- Cercherò di semplificarla: in questo commercio da fine millennio noi siamo diventati il paese produttore dei materiali fissili, i venditori sono per un versante russi, professionisti in questa partita, e cioè alti gradi inilitari e dell'ex KGB e grandi imprenditori del crimine, e per l'altro ver- un t e chi detiene le rotte internazionali dei commerci illeciti, la mafia ita- liana. Il plutonio viaggia sulle stesse rotte della droga, cambiano soltanto

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i paesi produttori e i compratori. - Nel nostro caso chi sono i compratori'? - chiese il professore, con-

tinuando nervosamente a voltarsi. - Professore, sono sei mesi che preparo quest'incontro, non deve

allarmarsi, sono un esperto in cautele, anche se la mia fine è arrivata. Ma torniamo alla rotta del plutonio che può partire da Mosca o dalle città fan- tasma di Kremlev, Seversk e Rusn0.j e attraverso la Germania, l'Austria, l'ex Jugoslavia e l'Italia arriva al Nord Africa e al Medio Oriente. C'è anche una rotta che parte dalle frontiere sud della Russia e attraverso la Cecenia e la Turchia percorre i paesi dell'Asia centrale. I compratori, mi chiedeva ... possono essere tanti, e per poco tempo ancora non rappresen- tano un immediato catastrofico pericolo. Può essere la Jihad islamica, o meglio la sua componente più temuta, quella egiziana, al-Gama'a, che a sua volta è legata a Iran, Pakistan e Sudan, con centrali operative anche a New York e Jersey City. Ma i compratori possono anche essere i Croati, i tedeschi stessi, I7Irak, il Giappone, l'Argentina, voi italiani. Chi non ha bisogno per i suoi scopi politico-terroristici al giorno d'oggi di una bom- betta nucleare?

Ancora sul volto del russo si dipinse lentamente un mesto sorriso: - In questa fase della partita sono importanti e pericolosi i commercianti, molto più dei produttori e dei compratori. Sono i commercianti a rendere possibile il traffico nucleare, a indurre il bisogno, come per la droga, e probabilmente a determinarne l'uso politico-militare.

I1 professore si fermò di colpo, soltanto ora stava notando che la spia che aveva di fronte era perfettamente mimetizzata con tutti i frequen- tatori di Villa Doria Pamphilj, aveva una tuta verde oliva e scarpe da gin- nastica bianche, quell'uomo anziano ma vigoroso sembrava uno dei tanti pensionati, senza cane, che passeggiavano assorti per i sentieri della villa ... - Ma lei, com'è venuto al corrente di tutto questo?

- E' il mio lavoro, o per meglio dire lo e ra . Sono p i ì ~ di quarant'anni che lavoro per il KGB, in una sezione i l cui nome vorrei tra- lasciare, e con la fine di Gorbac'ev avevo pensato di vivere dignitosamen- te il mio tramonto di spia del17Unione sovietica lontano da Piaz7a Dzeriinski.1. Poi, improvvisamente, proprio quando stavo per essere con- gedato, un magistrato moscovita e un alto ufficiale dei nuovi servizi di sicurezza, il tenente colonnello Pon,jarov, cominciano a tessere le prime fila di questa incredibile vicenda e mi aggregano alle loro indagini. Sono stati tre anni di lavoro duro, svolto sopratutto in Russia, quindi ci muove- vamo come pesci nel lago. Poi l'intuizione chiave di Ponjarov, supportata da tutti i riscontri possibili, anche della polizia criminale di stato: se i l traffico della droga e delle armi aveva foraggiato per decenni un'alleanza

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operativa transazionale del crimine o r g a n i ~ ~ a t o ma anche dei servizi segreti, la nuova mucca da mungere era ormai i l traffico nucleare. Quindi i commercianti sono gli stessi di sempre, cambiano soltanto i produttori e i compratori. Hai capito bene professor Barbacane'?

- Sì, certo, Volobja. I1 russo si cacciò le mani nei pantaloni della tuta e accennò un

pasw di danza, terminato con un lieve inchino. Trascorse un lungo silen- io, la Villa si andava animando, i grilli sui prati cantavano in maniera a\sordante e uniforme. Arrivarono fino al muro di cinta sull'Aurelia anti- ca, dall'altra parte, dopo un altro muro di cinta, si stendeva un immenso parco e dietro una fila di pini, all'orizzonte, si delineava l'Ambasciata russa di villa Abamelek.

- Quando Craxi voleva stabilire la residenza ufficiale del Presidente del Consiglio al Villino Algardi, i miei colleghi dell'allora ai-iibasciata dell'URSS inviarono a Mosca un progetto per la costruzione di un breve tunnel sotterraneo, pieno di microspie. Un'idea perfettamente reali7zabile se avessimo avuti i soldi ...... e l'interesse.

- Non divaghiamo, Volodia, perché dopo più di un quarto di secolo ti \ei rivolto proprio a me?

- Perchè tu sei il mio agente e io ho bisogno della tua opera. Sì, è cambiato il quadro internazionale, e allora'!

- E allora - sbottò Barbacane - non sono comunista, forse non lo sono mai \lato veramente, e comunque in questo scorcio di fine millen- nio, come dici tu, il comunismo ha colle~ionato una serie di mostruosità di cui certo non voglio sentirmi complice.

- Nella conversazione che io ho registrato in albergo a Mosca non parlavi così, mi dicevi che le idee socialiste erano le radici del tuo lavoro e della tua umanità ...

- Anche per telefono hai tentato di minacciarmi - lo interruppe il professore. - Tirala pure fuori questa bobina che viene dal passato. Mandala ai giornali, al mio laboratorio, che vuoi che differenza faccia ormai? Un giovane fisico, potenzialmente marxista, viene adescato duran- te l'era breineviana da un talent scout del KGB. I1 giovane fisico diventa un fisico adulto e lavora per il suo paese nel contesto della comunità scientifica internazionale senza che il peccato d'origine influisca minima- mente. E ora chi è il talent scout?.

Dato che i l mio l'ho chiamato peccato d'origine, il talent scout è una sorta di serpente che continua a offrire una mela, che propone un grande tradimento in nome di ideali che hanno fatto crescere e moltiplica- re i gulag ...

- Volevamo riscattarci! Gorbai-Ev e prima ancora Andropov, tutti

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provenienti dalle file del KGB, volevano riscattare quella parte della sto- ria del comunismo.- Volocija tirò fuori le mani dalla tasca, nella destra aveva un CdRom.

- Tu non sei russo, non puoi capire, io sono stato ai funerali di Andropov, si vedeva in maniera palpabile il corso della Storia che aveva iniziato a mutare, si percepiva che accanto a una grande morte sarebbe potuto nascere un grande evento.

I1 professore improvvisamente avvertì una stanchezza alle gambe, d> si sedette su una panchina e guardò il sole che dorava le chiome dei pini

di Villa Abamelek e, più distante, la grande cupola di S. Pietro. - Volodja, io non condivido più i tuoi ideali, neanche in minima parte, - un sorriso apparve sul suo volto, - lascia dormire per sempre il tuo agente in sonno. I1 mio ormai è il sonno della Storia che vuole dimenticare quel passato, vuole costruire un futuro possibile, pragmatico, senza gli ideali del socia- lismo.

- Io non credo, non posso credere, compagno professore, che tu non voglia aiutarmi. Tu sei in debito con il tuo passato e se vuoi vivere il tuo futuro devi pagare questo debito.

- Di che debito parli? Un uomo deve rimanere legato per sempre alle proprie radici, ignorando gli eventi? Come un prete o una spia ... o un neutrino che è condannato a ricordare le sue origini?.

Volocija fissò negli occhi il professore. - Noi credenti, spie, fisici, militari dell'unione sovietica abbiamo lasciato in eredità al futuro questo immenso potenziale nucleare che non possiamo e forse non vogliamo più controllare. Alla costruzione di questa gigantesca potenza controllata abbiamo collaborato tutti noi, credenti, spie, fisici e militari. Questa ere- dità senza più controlli ci distruggerà e con noi distruggerà il mondo. Ecco il debito che dobbiamo pagare, e che io, spia, sto cercando di pagare da molti anni e che mi porterà alla morte.

- Ecco un tema da non sottovalutare e che non abbiamo trattato. Questa storia rischia di portare anche me più vicino alla casa dell'eterno riposo ....

- Certo, - lo interruppe Volocija, - non posso mentirti. Già due killer professionisti sono in postazione. E soltanto due organizzazioni si servo- no di questi personaggi: le mafie e i servizi segreti. Le due organizzazioni che hanno un ex agente russo come bersaglio principale e, dato che l'ex agente si è rivolto a te, un fisico italiano come bersaglio periferico. Come vedi, non puoi rimanere in sonno.

Voloc1,ja si sedette sulla panchina vicino al professore che lo guardò irritato.

- Oh, sì, che posso rimanerci, io faccio il mio lavoro di fisico

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nucleare e i l mio lavoro e la mia vita è protetta dai servizi di sicurezza. - Barbacane fece una 5morfia e distese le gambe. - Che accidenti hai in mano, Volocija?

- I1 risultato di quattro anni di lavoro alle dipendenze del giudice Vladimir Pavin e del colonnello MiSa Pon,jarov ...

- Alt, prima domanda - lo interruppe Barbacane. - Perché non con- segni il risultato del tuo lavoro ai tuoi integerrimi committenti'!

- Perchè sono stati uccisi quest'anno a distanza l'uno dall'altro in due incidenti stradali da ignoti pirati della strada e rispondo anche alla tua 5econda domanda, perchè non consegno i risultati di quattro anni di inda- gini al vertice del servi~io segreto russo o alla polizia? Risposta: perché non sono affatto certo che così facendo non metterei i l coltello nelle mani dell'a\sassino.

- Hai messo trent'anni di lavoro nelle mani di diversi assassini e adesso tutto lo scrupolo ti viene per gli ultimi anni, quando è finito, guar- da caso, i l potere sovietico'? Dài, Volodja, il tuo gioco è troppo scoperto, ~ e i solo un nostalgico del passato regime che tenta di far cadere in trappo- la il nuovo.

- E farei tutto questo servendomi di un pidocchio come te'! - don~andò irritato il russo alzandosi di scatto dalla panchina.

- Già, questo ci porta alla terza domanda: perchè hai scelto proprio me? Non sono delle tue idee, non sono della tua nazionalità, negli archivi dcl KGB ci doveva pur essere qualcuno più fidato di me.

- Se è per questo ti assicuro che ce n'erano ... ma il mio agente doveva avere queste caratteristiche: essere un fisico nucleare, italiano ed e\sere un leale e onesto socialista. E dal computer sei saltato fuori solo tu, solo un agente in sonno. - Voloclja si sedette di nuovo sulla panchina e mostrò a Barbacane due CdKom.

- Qua dentro ci sono tutte le rotte di uranio e plutonio che sono aitualmente usate e che saranno verosimiln~ente usate nell'immediato fiituro: località, nomi dei trafficanti e dei corrieri, coperture mercurilili,

' ma soltanto un fisico nucleare può navigare in questa massa di dati che comprende tra l'altro la "prova di qualità'' che i compratori, proprio come per la droga, vorranno certamente fare.

A Mosca c'è plutonio per 36 mila bombe atomiche e le bombe hanno caratteristiche diverse l'una dall'altra, quindi solo un servizio inve- stigativo capace e onesto e un fisico nucleare con queste stesse doti pos- sono vagliare tutte le informazioni contenute qui dentro e scegliere la linea d 'a~ione per dare scacco al re.

- Perché italiano, perché un fisico italiano? - E' il vostro bel paese, amico mio, il crocevia di questo traffico. Il

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mio paese in fondo si limita a produrre, come la Turchia o il sud-est alia- tic0 si limitano a coltivare i campi di papavero, ma è la mafia italiana, con tutti i suoi collegamenti internazionali dal Giappone all'America e alla Germania, che tiene le fila di questo traffico, che ne sta certamente pro- gettando un uso politico-terroristico di stampo fascista, che determinerà l'azione di un grande numero di Stati, che terra le fila di potentati finan- ziari, come il burattinaio nella vostra opera dei pupi.

Barbacane si alzò dalla panchina, guardò quello spiazzo erboso con gli alberi di mimose dove la gente stava sdraiata a leggere e prendere il sole e dove un gruppo di ragazzi stava per organizzare una partitella di pallone. La pace e la quiete di quel luogo strideva con quelle parole, così come i volti dei frequentatori della villa erano in contrasto con le loro facce contratte: un ragazzo che abbracciava appassionatamente la sua ragazza su una panchina e su un'altra un uomo seduto vicino a una donna con i ricci neri. Lei curiosava, con un piccolo binocolo, tra le c l ~ ~ o m e degli alberi alla evidente ricerca dei nidi.

- Non mi convinci, Volodja, potresti traversare 1'Aurelia antica, qui sotto, e trovarti in territorio russo all'Ambasciata, contattare, tramite i russi, le autorità italiane, con la massa di informazioni in tuo possesso ti farebbero un monumento ...

- Funebre, un monumento funebre. Compagno professore, possibi- le che non riesci a capire che io non ho nessuno di cui fidarmi! Se traver- so la strada e vado a villa Abamelek, trovo nel migliore dei casi degli impiegati-spia che debbono solo riferire più in alto, certamente a Mosca, la grana che gli è capitata, e di telei'ono in telefono, di computer in com- puter, l'informazione arriva alle persone che mi vogliono morto e non sanno soltanto dove trovarmi. Se vado direttamente dalle autorità italiane dovrei trovare un servizio impenetrabile alle infiltrazioni mafiose che creda completamente alle mie informazioni e che abbia voglia di giocare la partita.

- E tu non stai forse chiedendo a me di trovare quel servizio? - Certo, ma per te sarà più facile, primo perché avrai già controllato

le informazioni dal punto di vista scientifico e tecnico, secondo perché è il tuo paese, la tua gente e forse hai qualcuno di cui puoi fidarti ... dovrai valutare bene e non fare mosse avventate.

- Che vuoi dire? - Che dovrai guardarti bene le spalle e scegliere la persona giusta a

cui affidare la tua vita, la mia vita e queste informazioni. Nel dire queste parole Volodja consegnò i due CdRom a Barbacane

guardandolo fisso negli occhi, l'altro esitò a prenderlo. - La prima informa~ione contenuta qui dentro è di carattere storico,

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riguarda la fornitura per l'avvelenamento radioattivo dell'acquedotto di Monaco da parte della Rote Armee Fraktion - scandì lentamente Volod.ja.

La donna sulla panchina ora non stava più guardando i nidi degli uccelli sugli alberi, ma era abbracciata al suo uomo che la baciava dietro l'orecchio: - Gli ha consegnato certamente tutte le informazioni, doveva- mo intervenire prima ...

- Già, siamo arrivati troppo tardi - confermò lei carezzandogli il volto - e ora il nostro bersaglio principale deve per forza cambiare. Non è più imperativo uccidere subito Volod,ja TiSka, è diventato un bersaglio secondario.

- Sono d'accordo con te, - disse l'uomo, - la caccia mortale al belu- ga ora è diventata un optional, la caccia è al fisico italiano con i suoi due CdRom. Ma il punto è: dobbiamo avere conferma di questo dai nostri mandanti?.

- Si, - sorrise lei torcendosi con l'indice un ricciolo nero che le ricadeva sulla fronte, - ma a cose fatte!.

5. Fuoco nel tunnel

Rapisarda era di nuovo in imbarazzo davanti al Direttore, ne era testimonianza evidente, ancora una volta, il suo cranio rasato che aveva m u n t o una coloritura violacea.

- Te lo sei fatto scappare! - tuonò il Direttore. - Ha usato un trucco con la complicità del suo amico sindacalista. - E che ti aspettavi? Che si lasciasse pedinare per sempre? Rapisarda si grattò furiosamente il cranio. - Lo stavamo proteggen-

do da un pericolo, perchè avrebbe dovuto ingannarci? I1 Direttore lasciò cadere le mani sulla scrivania vincendo il deside-

rio di stringerle intorno al collo del suo sottoposto. - Bene, invece lo ha fatto, e cosa pensi ancora che abbia fatto?

- E' riuscito in qualche modo a incontrare la spia russa ... - Vai avanti, - lo incoraggiò i l Direttore. - Si saranno scambiati informazioni: o il nostro fisico ci ha traditi

vendendo ai russi informazioni segrete o il russo ha tradito i suoi, conse- gnandoci materiale segreto.

- Più probabile la seconda ipotesi, visto come è andato il primo contatto, ma ti sbagli - lo corresse i l Direttore - quando dici "consegnan- doci", perchè grazie alla dabbenaggine dei tuoi diie agenti la consegna è

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stata fatta solo a Barbacane, mentre noi eravamo a spasso per i prati della Villa.

- E' plausibile, ma allora se i l materiale consegnato riveste una notevole importanza, questo significa che Barbacane è in pericolo .... farò erigere una cinta muraria di protezione intorno a lui!

Una luce rossa clell'apparecchiatura che aveva sulla scrivania cominciò a lampeggiare, il Direttore wllevò il microfono e una voce fem- minile lo avvertì: - E' una chiamata dall'Ambasciata russa, ma non è il solito resident, mi ha detto però che parlava a nome di Ivan.

- Me lo passi tra un minuto - ordinò il Direttore, poi rivolto a Rapisarda: - Lasciami solo, ma mettiti bene in testa che quello che dovrai o non dovrai far erigere te lo dico io, e io soltanto, mi sono spiegato'!

Rapisarda si alzò rapidamente, accennò un assenso con il 5aluto militare e sparì.

La Delta rossa aveva da poco superato L'Aquila e Argenti conti- nuava a guardare il contachilometri che segnava 190 Km all'ora.

- Di questo passo tra poco entriamo in orbita. - Stai tranquillo, conosco quest'autostrada come il cortile di casa, e

poi ho troppa fretta, devo vedere cosa c'è dentro i due CdRom. Argenti si assicurò per la terza volta che la sua cintura di sicurezla

fosse ben aggangiata e si voltò indietro. - Anch'io sono più che interessa- to, e ti ringrazio di avermi portato con te ....

- Mi sei nece\sario. Se lì dentro - e Barbacane indicò la borsa sul sedile posteriore - ci sono le informazioni e le rotte di cui mi ha parlato Volodja, dobbiamo escogitare una strategia efficace e soprattutto dobbia- mo valutare di chi possiamo fidarci.

Argenti asscntì, poi si boltò di nuovo indietro. - E' strano: i nostri angeli cu4todi dell'Alfa verde prima de L'Aquila sono scomparsi.

- Avranno bucato o si saranno fermati per prendere un caffè. Argenti si tolse gli occhiali e li pulì con un grande fazroletto rosso.

- Non lo ritengo probabile, non si dovrebbero staccare dalla nostra coda - si voltò ancora - e invece dopo lo svincolo per L'Aquila sulla nostra coda c'è quel grosso camion che fila quasi quanto noi.

- Sei sempre stato prudente e guardingo tu, anche da giovane, Ggu- rati quando sarai un vecchio sindacalista in pensione ...

Argenti sorrise. - E che conto di arrivarci, ad essere un vecchio sin- dacalista in pensione.

I due si guardarono ridendo mentre l'ingresso del tunnel del Gran

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Sasso inghiottiva l'auto rossa lanciata in velocità. Barbacane accese gli anabbaglianti, poi si ricordò che non funzio-

navano. - Non ho fatto a tempo a portare la macchina dall'elettrauto, que- sto tunnel, comunque, ha un'illuminazione fantastica, è il tratto della deviazione verso il laboratorio che ha una illuminazione più fioca.

- Sì, me lo ricordo dall'altra volta. - Argenti si voltò ancora indie- tro. - I1 camion ha perso terreno, e dell'Alfa verde non c'è più traccia.

- Non ti preoccupare, siamo quasi arrivati, là c'è lo svincolo per il laboratorio .... strano, il semaforo è spento, oltretutto è pericoloso perché ...

11 tunnel improvvisamente piombò nel buio più totale e Barbacane riuscì a fare una lunga frenata. - Accidenti. Un black out sotto il Gran Sasso! Adesso sì che siamo nei guai, hai una torcia o un accendino?

- Se non avessi smesso di fumare cinque anni fa -rispose sconsola- to il sindacalista - adesso noi due avremmo una risorsa e io mi fumerei una fantastica sigaretta in questo ventre buio.

Filippo si portò meccanicamente le dita alle labbra e aspirò una boccata d'aria, riusciva a mala pena a distinguere la sagoma dell'amico e i contorni del cruscotto. Erano piombati nel buio assoluto e anche nel silenzio più completo, una sensazione di totale estraneità li avvolgeva entrambi.

l L'unica sirena in quel mare di oscurità era la voce dell'altro. - Guarda! - lo interruppe Barbacane indicando nello specchietto

/ retrovisore un'opaca, lontana luminosità - sta arrivando il camion. I due scesero dall'auto con l'intenzione di fermare il mezzo e

magari farsi prestare una torcia. Dietro a loro si stavano avvicinando i potenti fari del camion che finalmente rischiaravano un tratto del tunnel. Barbacane, quasi al centro della carreggiata, agitava concitato le braccia, ma non sembrava che il camion volesse rallentare.

- Levati da l ì - gli gridò Filippo, - ti sta venendo addosso. I1 camion era ormai diventato una massa nera e abbagliante che

puntava verso i due uomini spaventati. Cominciarono a cori-ere accostati alla parete destra del tunnel, inseguiti dai due coni di luce, superarono la Delta e puntarono verso lo svincolo per il laboratorio. Dietro di loro in~provvisainente sentirono uno schianto metallico, un tonfo da fonderia.

E proprio come in una fonderia, il buio si colorò di migliaia di faville prodotte dal potente impatto del camion sulla Delta. La stava tra- scinando in avanti senza difficoltà fino all'imbocco con lo svincolo, dove i due amici si erano rifugiati.

- I due CdRom sono certo andati distrutti, - mormorò Barbacane - dovrò ricontattare Volotja, adesso vieni, cerchiamo di raggiungere il Laboratorio.

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Davanti a loro c'era il tratto autostradale cieco a doppio senso che serviva alle macchine per accedere o per uscire dal Laboratorio, per mezzo degli ascensori che portavano al silos sotterraneo di parcheggio: Filippo Argenti prese per un braccio l'amico e lo costrinse a sdraiarsi sull'asfalto: dal camion erano scese due figure con le torce che a tratti illuminavano le pistole di grosso calibro.

Non si sentiva nessun rumore di passi, dovevano avere scarpe di gomma, e nel buio totale della galleria soltanto i fasci di luce indicavano che le due figure stavano pericolosamente avanzando.

- E' un tratto lungo meno di un chilometro - stava dicendo l'uomo a destra con una voce roca e profonda, - ma non possono aver fatto molta strada con questo buio.

- Allarghiamoci, io ispeziono la corsia d'ingresso e tu quella d'uscita - gli propose la figura di destra con una voce femminile.

I1 tunnel precipitò in un silenzio sospeso, i fasci di luce delle due torce ispezionavano minaccio4 le due corsie stradali.

- Dobbiamo arrivare fino all'ingresso dell'ascensore, - propose bisbigliando Barbacane. - Se riusciamo in qualche modo a raggiungere il laboratorio possiamo dare l'allarme al Servi~io di Sicurezza.

- Già, i tuoi potrebbero anche venirci in aiuto, vista la situazione ..., per arrivare laggiù in silenzio è meglio che ci togliamo le scarpe, e, dato che ci siamo, proviamo a scagliarle lontano in modo da costringerli a usare le armi.

I due amici si sfilarono le scarpe, si rialzarono e procedettero in avanti nell'incertezza del buio, poi si voltarono e scagliarono lontano le due paia di scarpe.

Immediatamente echeggiarono alcuni colpi di automatica mentre i fasci di luce cercavano il bersaglio.

- Si sono tolti le scarpe, hanno voluto farci sparare - disse Voce roca. - Evidentemente sperano nell'aiuto degli uomini del laboratorio: dobbiamo trovarli presto, il black out che abbiamo provocato potrà durare altri cinque minuti, poi gli ascensori torneranno in funzione.

- Stai tranquillo - gli rispose Voce femminile, - questo posticino, così adatto, sarà la loro tomba.

Barbacane e Argenti continuavano a camminare in silenzio, a tratti fendevano l'aria con le braccia per evitare inesistenti ostacoli.

Filippo Argenti si avvicinò all'amico e gli domandò sottovoce: - Che dici, ce l'abbiamo una speranza?

- Ci ho pensato. Una sola. E tra pochi metri la verificheremo. - Prova a dirmela subito. Barbacane prese per un braccio l'amico e affrettò il passo, con un

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filo di voce spiegò. - A quest'ora le piattaforme degli ascensori sono tutte in basso a

livello dell'ingresso nel parcheggio del laboratorio, quindi, davanti a noi, a livello stradale, ci sono i contrappesi sulle guide. Dobbiamo attaccarci a loro, risalire lungo la fune che collega il contrappeso alla carrucola motri- ce ed arrivare fino alla cabina del motore. Nella cabina c'è una botola per le ispezioni d'emergenza proprio accanto all'unità di controllo, una volta

. lì dentro saremo al sicuro e non ci troveranno più. I loro occhi si stavano appena abituandosi al buio, quando riusciro-

no a scorgere l'ingresso dell'ascensore, una grande apertura larga quanto le due corsie stradali. Si avvicinarono prudentemente.

- Professore, ma ti rendi conto che per agganciare i contrappesi dobbiamo fare un salto nel buio fino alla parete di fronte all'ingresso?

Argenti aspettò invano la risposta, Barbacane stava ispezionando palmo a palmo l'ingresso. - Un salto nel buio, sì, ma non tanto lungo. Speriamo di essere fortunati e di trovarli vicino.

I due si affacciarono sulla parete d'ingresso rimasta aperta. La luce delle torce si stava pericolosamente avvicinando, non riusciva ancora ad illuminare il tunnel fino in fondo, ma era ormai questione di pochi istanti.

- Eccoli lì, li vedi i contrappesi? - L,i vedo, li vedo - rispose Filippo Argenti - e vedo anche che la

fune metallica dove ci dovremmo arrampicare è terribilmente scura e lucida, certamente di grasso, se a questo aggiungi che è dai tempi della palestra del liceo che non mi arrampico lungo una fune ....

- Filippo, non abbiamo scelta, io salto sul secondo contrappeso. Tu su questo più vicino.

Barbacane si slanciò e riuscì ad afferrare il contrappeso puntando i piedi contro le guide.

In quel momento un fascio di luce illuminò debolmente la piat- taforma, un colpo d'automatica echeggiò secco e nello stesso istante anche Filippo Argenti si lanciò.

- Ti hanno colpito? - No, ma morirò tra poco scivolando lungo questa fune ... Di colpo il tunnel s'illuminò completamente. Argenti e Barbacane guardarono terrorizzati le due figure che a

poche decine di metri con il braccio teso prendevano accuratamente la mira.

Improvvisamente i due contrappesi iniziarono a scendere lungo la guida proprio nel momento in cui venivano esplosi due colpi, seguiti da altri due.

I due contrappesi scesero velocemente e la piattaforma salì. Sulla

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piattaforma salì, fino al livello stradale, una squadra di tre uomini del Servizio di Sicurezza comandata da Rapisarda.

Uno dei tre uomini fu centrato in pieno torace, gli altri due si getta- rono sul pavimento della piattaforma esplodendo a loro volta una gra- gnuola di colpi.

- Almeno uno dei due, vivo - tuonò Rapisarda. In lontananza nel tunnel nessuno rispondeva al fuoco, un uomo

giaceva a terra, in una pozza di sangue, mentre l'altra figura correva verso l'autostrada.

- Lo vado a prendere - disse sollevandosi Scàntia, scattò in avanti e iniziò l'inseguin~ento. L'altra figura era già arrivata in fondo al tunnel dove c'era la Delta schiantata e con un b a l ~ o salì sul camion.

Scàntia lo vide sistemarsi sul posto di guida, calcarsi la visiera del berretto sugli occhi ed accendere il motore.

Allora si afferrò con la mano sinistra il polso destro, prese con calma la mira ed esplose un solo colpo.

La figura si accasciò sul volante con il pelto premuto contro i l clac- son.

Un suono assordante rimbombò nel tunnel.

Gli uomini del Servizio trasportarono quel corpo leggero fino all'infermeria del laboratorio, la pallottola doveva avergli t'rantumato la clavicola della spalla sinistra e per i l dolore era svenuto. - Ti avevo cletto vivo - grugnì Rapisarda.

- Ed è vivo - rispose Scàntia, guardò l'infermiere che lo adagiava su un lettino, gli si avvicinò e gli tolse il berretto. La capigliatura nera e ricciuta esplose intorno al viso.

L'infermiere sbottonò la camicia nera intrisa di sangue in corri- sponden~a del colpo, non c'erano dubbi: era una donna e si stava ripren- dendo.

- Ah, sei tu! - esclamò Rapisarda. I,a donna lo guardò belljrda e serrò le labbra per il dolore. Scàntia

alzò in aria l'indice della mano destra, lo avvicinò al volto della donna proprio in mezzo agli occhi poi lo spostò velocemente verso il punto della ferita e premette con forza. I,a donna non riusci a trattenere un urlo.

- Lascia stare - ordinò Rapisarda - disponi piuttosto perché la foto- grafino e le prendano le impronte digitali, subito, e trasmettano i dati alle Questure. Voglio sapere tutto di lei .... tutto quello che ancora non so.

- Sono sicura anch'io che scoprirai qualche cosa - l'interruppe la

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donna - ma se aspetti che io ti aiuti in qualche modo, 5bin-o, t'illudi alla grande.

Scàntia sollevò nuovamente l'indice insanguinato. - E invece sì che ci aiuterai, bella mia, tu sei solamente una killer,

ci dovrai dire chi ti ha pagato per far fuori un fisico nucleare. Stavolta il colpo sulla spalla 1u secco e la donna si contorse per il

dolore. - Porco, non riuscirai a farmi collaborare con chi ha ucciso il mio uomo, siete pazzi !

Rapisarda s ' a ~ v i ò verso la porta lanciandogli un'ultima occhiata. - Lo farai, lo farai, te lo garantisco.

6. L'orca assassina

L'ufficio di Fuoco era spazioso ma privo di poltrone o divani, c'erano due grandi scrivanie disposte a L, una piena di fascicoli, incarta- menti e telefoni e l'altra con una stazione multimediale.

Un solo grande quadro astratto sulla parete di fronte alla porta, su uno sfondo blu che sfumava in molte gradazioni campeggiava una sfera color gesso. Ai suoi uomini che rimanevano quasi sempre in piedi di fronte alla scrivania quella sfera sembrava una luna, ma nessuno aveva mai osato chiedere a Fuoco la conferma di quell'ipotesi.

- Siediti pure, Davide, e dimmi cos'hai trovato in Questura. Davide guardò l'unica sedia nera della stanza e si sedette senza

appoggiarsi allo schienale. - E' stato relativamente facile seguire le tracce di Barbacane nel

1967 . A quell'epoca un italiano che andava in treno a Mosca lasciava più segnali di Pollicino con i visti dei vari Paesi oltre cortina che doveva tra- verwre.

Poi alla fine per fare la prova del nove sono andato, come lei certo già sa, all'ambasciata russa dal suo contatto - nome in codice Ivan - il quale, come sempre, si è messo a disposizione. Ha controllato gli schedari dell'anno che gli avevo indicato e ha trovato il visto delllURSS nell'ago- sto 1967, allora gli ho chiesto se potevano accelerare le nostre ricerche, mettendosi in contatto con l'albergo di Mosca per controllare nei loro registri quanti italiani c'erano in quel periodo.

- Un'ini~iativa azzardata, - notò Fuoco scarabocchiando qualcosa su un foglio. - Ti avevo detto che ci avrei pensato io con l'Ambasciata ita- liana a Mosca.

- Non troppo, i l nostro contatto si muove nella nuova Russia con la stes5a s i cu re r~a con cui si muoveva nell'URSS e sembra avere tutto I'intere\se a facilitarci il compito - l'agente tirò fuori dalla tasca del giub-

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L'ogrnre iri sonno

botto un foglio e lo poggiò sulla scrivania di Fuoco. - Questo è l'elenco dei nostri connazionali presenti in cluel perioclo all'Oktjabr'skaia, ma il 5 agosto sono stati registrati solo tre arrivi: Mattia Barbacane, Filippo Argenti e Margherita Rilli, tre studenti universitari in vacanra "ideologi- ca".

Fuoco aprì un cassetto e tirò fuori una busta, piegò il foglio si1 cui aveva scritto e l'infilò nella burta. - Tre ore fa hanno tentato di uccidere Barbacane all'ingresso del laboratorio. Stava in macchina con un suo

3 amico sindacalista, quello stesso Filippo Argenti con cui stava a Mosca nell'agosto del '67.

Davide scosse la testa. - Lei aveva detto che dovevamo aspettare che facessero la prima mossa e ora l'hanno fatta. Ma il quadro si compli- ca ancora di più, non è contraddittorio voler svegliare Barbacane dal sonno per poi ucciderlo, rispedendolo nel sonno eterno?

- Non è la stessa mano che ha organi~zato l'una e l'altra cosa, tanto più che Barbacane ieri t. sfuggito alla sorveglianza di Rapisarda per più di un'ora. E in quell'ora può aver incontrato la spia russa ....p iù tardi vaclo ad interrogarlo, appena si sarà ripreso dallo shock.

Fuoco porse la busta all'agente. - Ora tu torna in Questura, questo Argenti sarà pure stato fermato qualche volta durante una manifestazione. Poi vai all'ambasciata russa e consegna questa busta al mio contatto. Gli ho spiegato cosa è successo a Barbacane prima che lo legga sui giornali ... e, a proposito Ilavide, non ti azzardare mai più a prendere questo tipo di iniziative senza prima informarmi.

I1 telefono sclui1lò.- Si, passatemelo ... pronto Rapisarda, allora chi è la killer?

Rapisarda si bloccò per un istante, gli sembrava che i l tono di voce del comandante Fuoco fosse risentito. - E' Maddalena Muttìa, detta l ' Orca assassina perché ...

- Cosi la chiamarono i giornali, quando due anni fa al largo di Lampedusa - completò Fuoco - ha sgoz7ato con un coltello da \ub un pentito della Mafia, esperto nuotatore, nonché protetto dai carabinieri.

- Si è una killer della Mafia, ma ha lavorato in Puglia anche per la Sacra Corona Unita, è feroce, sadica e ha quasi sempre lavorato in coppia con il suo partner Momo Sannola, che ora è morto ammazzato da noi.

- Va bene, va bene, non mi fare la storia della sua vita, dimmi chi ha scatenato stavolta I'Orca assassina?

- Non parla - rispose a voce basse Rapisarda. - Non sarai stato, per caso, troppo gentile nel domadarglielo? - No, in tre ore non siamo stati mai un momento troppo gentili, -

precisò Rapisarda rintuzzando il colpo basso che gli aveva sferrato i l

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Coiiiandante, - e ora oltretutto dobbiamo metterla a disposizione dell'autorità giudiziaria e bisognerà provvedere per l'operazione alla spal- la.

Fuoco tacque, poi aprì un'agenda nera e scrisse un numero telefo- nico su un blocco. - Le avete spezzato la clavicola, quindi serve un chi- rurgo ortopedico, giusto'!

- Si, sarà ricoverata e piantonata all'Ospedale de L'Aquila, perché . l'infermeria del carcere non è sufficientemente attrezzata per l'operazio- ' ne.

- Va bene - tagliò corto Fuoco - mi occupo di tutto io, avviso la polizia, il giudice e i l chirurgo. Tu salutala soltanto, Rapisarda.

- Sì, Comandante - concluse l'uomo con tono offeso. - Ma non salutare me, - lo bloccò Fuoco. - In serata, dopo che avrò

finito con l'Orca e avrò interrogato Barbacane, voglio sentirti. Mi devi cpiegare dove stavano gli uomini della scorta del fisico mentre i due killer lo prendevano a pistolettate.

- I,o abbiamo comunque salvato .... - biascicò Rapisarda con un filo di voce mentre l'altro abbassava la comunicazione.

Davide s'alzò con un sorriso beffardo sulle labbra. - Vado a pren- dere i l dossier, ma 1' Orca assassina non ha lavorato solo per i l crimine organizzato, è una libera professionista, una delle più brave di questa parte del Mediterraneo. Ha un cachet da centinaia di milioni a prestazio- ne. Come voleva sopprimere il fisico e i l sindacalista?

- Schiacciandoli con un camion nella galleria sotto i l Gran Sasso. Avevano creato un black out in quel tratto della galleria, - Fuoco s'inter- ruppe. - Hai ragione, un lavoro che le avranno pagato più che profumata- mente ... ma non doveva sembrare necessariamente un incidente, perché poi non essendo riuscito il piano originario, hanno tentato di ucciderli col piombo.

Davide s'avviò verso la porta senza voltare le spalle alla scrivania. - Due pesciolini in un tunnel buio potevano essere un bel boccone per I'Orca assassina.

Fuoco guardò la pona richiudcrsi e sorrise compiaciuto, poi iniziò a lavorare febbrilmente.

Non tralasciò nessuna delle comunicazioni ufficiali che il caso richiedeva: in particolare nel colloquio con i l pubblico ministero mise in rilievo lo speciale interesse che il Servizio annetteva al tentativo di omici- dio di un fisico nucleare italiano da parte di una killer professionista. Non usò mai la frase ormai logora della minaccia alla sicurez~a dello Stato, ma disse al giudice che al più presto il maggiore Rapisarda gli avrebbe fatto pervenire una nota informativa sul lavoro di Barbacane all'interno

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del laboratorio. I,o stesso giudice raccomandò che la degenza in ospedale di Maddalena Muttìa e la successiva carcerazione fosse protetta in manie- ra straordinaria, per evitare di veder sottratto alla giustizia un boccone così grosso.

Fu allora che Fuoco, accogliendo l'invito del giudice, propose di far arrivare da Roma un'équipe di ortopedia chirurgica altamente specia- lizzata, per ridurre al minimo i l rischio operatorio. I1 giudice assentì e si prese la sgradevole incombenza di convincere il primario locale a farsi da parte. Dal canto suo Fuoco disse che avrebbe fatto analoga opera di con- vinzione con la Questura a laxiar svolgere al Serv i~ io il piantonamento della Muttìa durante tutto i l periodo della degenza oqxdaliera.

Il giudice e la 5pia si salutarono cordialmente convinti tutti e due di aver incontrato la persona adatta per quella particolare occasione.

Poi Fuoco strappò dal blocco il foglietto su cui aveva segnato un numero telefonico e se lo mise in tasca: avrebbe chiamato da un altro apparecchio, un apparecchio pulito, i l prof. Tomassi, da dieci anni sul libro paga del Servizio.

L'operazione alla clavicola, a parte la rimozione del proiettile, pur essendo un intervento assolutamente non rischioso, presentava sempre un certo grado di difficoltà. Si cloveva trattare, con staffa e viti metalliche, la frattura 111 distale della clavicola sinistra.

Questo mezzo di sintesi, la placca acromioclaveare, aveva già con- sentito a Fuoco, in una precedente occasione, sempre con I ' aiuto del prof. Tomassi, di procurare, oltre al beneficio principale per l'articolazio- ne della spalla del paziente, un vantaggio supplementare per le indagini. Il vantaggio che, nel gergo dei Servizi, si chiamava del "guinzaglio lungo".

7. I1 guinzaglio lungo

La donna sobbalzò e si svegliò d'improvviso, le sembrò di aver avuto un incubo. Si guardò intorno e si rese conto che il suo incubo conti- nuava: era in una stanza d'ospedale con le manette che le assicuravano i polsi alle sbarre laterali del letto. Nell'avambraccio sinistro c'era l'ago di una fleboclisi che in alto sopra di lei gocciolava lentamente. I1 suo uomo era morto, era accaduto ormai da due giorni in cluel maledetto tunnel, sì, due giorni in cui aveva pensato soltanto alla sua vendetta.

Il dolore alla spalla aveva dei momenti di forte intensità e ora si rendeva conto che era stata una fitta a risvegliarla così all'improvviso. Si guardò la benda sulla spalla sinistra e desiderò toccarsi la ferita: non era riuscita a capire quanto fosse durata l'operazione, ma una cosa era certa:

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che si trovava in quella stanza da due notti. Adesso era certamente mattina, i rumori che le provenivano dal

corridoio dell'ospedale erano i tipici rumori del risveglio. Avrebbe voluto accendere piano una radio, bere un caffè, fumare una sigaretta e carezmre i l suo Momo ancora addormentato ... ma il pensiero ripiombò nel tunnel sotto il Gran Sasso. Girò la testa di scatto e fissò le robuste grate della finestra.

. , La porta si aprì. - Mi deve venire proprio dietro anche quando devo cambiare il fla-

cone della flebo? Un'infermiera spazientita cercava di contenere l'interessamento di

un polj7iotto. - Sono gli ordini del Questore in persona. Nessuno può rimanere

solo con la prigioniera, neanche i medici. L'infermiera sbuffò, si avvicinò alla flebo, tolse e sostituì il Ilacone

vuoto con l'altro che aveva portato. - Ha dormito bene, signorina? Maddalena Muttìa guardò la bionda infermiera, era fasciata nel

camice stretto e ben fatta; il poliziotto la divorava con gli occhi. - Grazie, ma vorrei la cola~ione, sono due giorni che non mangio,

qualcosa di solido, possibilmente, pane, formaggio, prosciutto. - Tutto con posate di plastica - ordinò i l poliziotto. Con una for-

chetta e un coltello, I'Orca assassina sarebbe capace di sbudellarci. L'infermiera lo guardò irritata e si abbottonò il prinio bottone del

camice. - Tanta paura per una donna appena operata ... Nel riquadro della porta comparve un uomo giovane, un po' meno

di 30 anni, biondo con una camicia azLurra e una cravatta gialla. - Sono Davide - disse diretto al polioziotto. Questi lo guardò e accostò la mano destra al calcio della Beretta

che aveva nella fòndina, l'altro estrasse un docun~ento dalla tasca della giacca con esagerata lentezza, mentre guardava diritto negli occhi Maddalena Muttìa.

- So che devo collaborare con lei, - disse l'agente uscendo dalla stanza, - meglio così, sono contento, non mi piaceva che avessero destina- to una sola guardia dietro questa porta ... anche se il posto è sicuro - aggiunse voltandosi verso l'infermiera.

La giornata trascorse tranquilla, la donna fece una colazione legge- ra e un altro solo pasto, ma si sentiva in forze, il fisico robusto e il rancore cupo che covava le davano un'espressione dura.

Verso sera il prof. Tornassi, il chirurgo che l'aveva operata, irruppe nella stanza accompagnato da Davide e dal1'infermiera.- L'operazione è riuscita perfettamente signorina, abbiamo provveduto, dopo l'estrazione

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del proiettile a trattare la frattura della sua clavicola siniwa con una staffa avvitata, che in un secondo momento dovrà essere rimossa. Tra due o tre giorni sarà dimessa da questo nosocomio e condotta in un carcere di mas- sima sicurezza, regolarmente dotato d'infermeria per le ultime cure del caso. - L'uomo s'intenerì e guardò le manette che serravano i polsi della sua paziente. - E' una misura ridicola e dannosa sul piano clinico. Infermiera si faccia consegnare le chiavi, liberi la paziente dalle manette e prepari un'altra tlebo sul braccio destro.

Davide consegnò le chiavi delle manette all'infermiera e si sedette su una sedia accanto al letto. I1 prof. Tommasi guardò la cartella clinica aspettando che l'infermiera ultimasse tutte le operazioni, poi uscì con un cenno di saluto rivolto a Davide e alla paziente.

- Ho visto un programma in televisione anni fa, mi pare si chiamas- se "La fattoria degli animali", in cui c'era una sequenza terribile: un'orca usciva all'improvviso dal mare, afferrava un piccolo leone marino che dormiva sulla spiaggia accanto alla madre e, sfruttando la risacca con incredibile tempestività, riguadagnava il mare aperto, agitando la coda.

Davide non s'aspettava che Maddalena replicasse, così la guardò a lungo, in silen~io, mentre si massaggiava i polsi e scrutava la ilebo. - E' un animale carnivoro, la natura lo ha dotato di denti formidabili - disse la donna digrignando i suoi - con predilezioni gastronomiche del tutto parti- colari: si nutre di foche, leoni marini e beluga. E' vero, prende le sue vit- time non solo in mare aperto, ma anche sulla spiaggia.

Davide si alzò fingendo di rabbrividire per la paura. - In quella tra- smissione facevano vedere anche come le orche siano capaci di affetto, soprattutto verso i loro piccoli, e capaci di relazioni intelligenti ...

- Con i propri simili - l'interruppe Maddalena, si sollevò appena sul letto e guardò l'uomo dritto negli occhi.

Davide le aggiustò uno dei due cuscini dietro la schiena. - Come va la spalla?

- Duole, ma non molto. A tratti sento come un artiglio dentro. E' il vostro artiglio, ma un giorno me ne libererò.

- E' la placca acromioclaveare - ignorò la provocazione Davide, poi aggiunse mestamente: - E tra un anno non servirà più e la toglieranno, ma in mare aperto non potrai più tornarci. Dovrai accontentarti di passare il resto dei tuoi giorni in un grande acquario, dove persone come me, due volte al giorno, compaiono ritte su una mensola e ti gettano cibo da un cesto. - Si alzò dalla sedia e cambiò tono: - Chi ti ha pagato per uccidere Barbacane?

- E' presto per parlare di pentimenti e di sconti di pena, bel giova- ne. Sono ancora convalescente, lasciatemi prima guarire. Eppoi devo

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ancora divorare i l pesce più grande della mia vita, almeno così mi è stato promesso ... un beluga.

Maddalena Muttìa sorrise e il volto incorniciato dai capelli neri e ricci le s'illuminò di una luce sinistra. Bella era bella, pensò Davide, era un peccato lasciarla scappare, fortuna che Fuoco e il prof. Tommasi le avevano messo un guinzaglio lungo, una microspia nella placca che con- sentiva di seguire i suoi movimenti anche a notevole distanza.

E ora il guinzaglio era nelle sue mani. Uscì lasciando la porta soc- chiusa: nel corridoio c'era una sedia appoggiata alla parete dove nei due giorni precedenti aveva stazionato una guardia, la scostò appena dal muro e mise lo schienale di traverso in modo da dare le spalle alla porta della stanza, anche se non completamente.

Le luci dell'ospedale si attenuarono, i malati nelle corsie e nelle stanze cercavano il sonno.

Maddalena Muttìa si sfilò I'ago dalla vena e un piccolo getto di sangue ricadde sul lenzuolo, silenziosamente scivolò fuori dal letto, si premette sull'avambraccio un batuffolo d'ovatta che era poggiato sul comodino.

l In piedi si reggeva bene, si sentiva sufficientemente sicura nei suoi , movimenti anche se non aveva ancora recuperato tutte le sue forze. Nelle

braccia, in particolare, non aveva molta energia, l'energia che serviva per wangolare un uomo.

Staccò il tubicino con I'ago dal flacone della fleboclisi e se lo avvolse intorno alla mano destra, poi assicurò l'ago saldamente tra l'indi- ce e i l medio rivolto verso i l palmo della mano. Era tutta la giornata che ci pensava, ma quella era l'unica arma di cui poteva disporre, eppoi cos'aveva da perdere? Tutta la riuscita del piano era affidata ad una scelta perfetta dei tempi dell'azione.

- Pronto, sono Davide - l'uomo stava ~ussurrando il suo nome in un cellulare, si era allontanato dalla porta della stanza per non farsi sentire - volevo una conferma degli ordini, Comandante.

- Hai paura? - gli chiese Fuoco. - No ... - Dovresti averne, non so cosa Sarà, ma potrebbe strapparti la vita

con un morso ... Sii prudente e soprattutto se ti trovi a mal partito manda il piano della fuga a monte e prendi di nuovo il sopravvento.

- Si, i l piano B - sbuffò Davide - ma per quanto sia terribile e peri- colosa è pur sempre una convalescente, mi basterà fingere di essere stor- dito dopo il suo primo attacco e lei non penserà ad altro che a dileguarsi.

I due uomini tacquero, mentalmente ripassavano il piano A per tro- vare una falla.

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- Sei disarmato? - Sì, comandante, stia trancluillo ... - Non mi chiamare Comandante, figliolo. Nessuno è più solo di un

agente in campo, non ci sono comandanti né comandamenti, c'è solo la tua vita in pericolo. Ricordatelo.

- Volevo dirle - si fece coraggio Davide - che non sono d'accordo sul fatto di essere completamente solo. Le faccio un esempio: se adesso noi non chiudiamo il cellulare e solo io mi faccio vivo ad intervalli rego- lari ...

- Accidenti! - esclaniò Fuoco - sei in gamba, Davide, avrei dovuto pensarci io, si vede che sto invecchiando, non mi tengo al passo con la tecnologia. Ti fai vivo ogni cinque minuti esatti a partire da adesso, trove- rai sempre qualcuno in ascolto da questa parte. E ora buona Iòrtuna, figliolo.

- Grazie - rispose sorridendo Davicle - ma non mi chiami più figlio- lo.

Si rimise nella tasca interna della giacca il telefonino e andò a sedersi sulla sedia vicino alla porta, studiò a lungo la sua pmizione e si accese una sigaretta.

A piedi nudi Maddalena Muttìa si era avvicinata alla porta della stanza, era un'azione disperata, le difficoltà che avrebbe incontrato dentro e fuori l'ospedale erano innumerevoli, però doveva tentare.

Una volta ristretta in un carcere di massima sicurezza qualsiasi ten- tativo d'evasione sarebbe stato infinitamente più difficile.

Guardò l'ago corto ma robusto, che aveva nella mano e scostò lie- veinente la porta.

Quell'uomo era imprudente, simpatico e imprudente. Se ne stava seduto a fumare dando quasi le spalle alla porta.

Ecco, aveva finito la sigaretta e l'aveva spenta per terra schiaccian- dola con i l tacco. Era un peccato vendicarsi proprio su di lui - e non sull'altro che aveva ucciso Momo - ma le avrebbe certo fatto più simpatia da morto che da vivo e per l'altro c'era tempo.

Guardò il corridoio da tutte e due le parti, una luce fioca lo illumi- nava debolmente.

L'orca assassina varcò la porta e scivolò lungo il muro alle spalle di Davide.

L'uomo vide in un lampo un braccio balenargli davanti e senti una violenta puntura nel collo, all'altezza della carotide.

Riuscì ad afferrare il polso della donna scostandolo e si gettò a terra riverso: l'arteria nel collo gli pulsava dolorosamente e un fiotto di sangue inzuppava ormai il suo viso.

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Sentì la donna che lo tastava sotto le ascelle e in vita alla ricerca di una pistola. Seguì un lungo, terribile attimo in cui non accadde nulla, poi la intravide mentre si allontanava.

I,a vita stava lentamente abbandonando Davide, una vita breve e intensa piena di promesse, un grumo di anni che si stava coagulando.

- Davide, è i l scsto minuto, rispondi ... Davide rispondi. - Nelle orecchie sembrava che gli ronzasse la voce del suo Comandante.

* 2: 2:

I1 Direttore si muoveva raramente dal suo Ufficio, era sempre stato convinto che solo da quel luogo si potessero tirare i fili per ottenere la tes- situra desiderata. Anche da giovane era riuscito a limitare le sue azioni sul campo, più spesso era stato impegnato nei vari settori del Servi~io che adesso, tanto autorevolmente, dirigeva.

Ma ora era lì, sul castello di prua di una nave militare, in naviga- zione nel breve tratto di mare che separa i l golfo di Napoli dall'isola di Capri, a godersi la splendida giornata di sole e a scorrere il manuale del Codice internazionale dei segnali.

Anni addietro era stato proprio lui, in omaggio alla sua provenien- za dalla Marina militare, a far adottare, per i messaggi tra il centro comu-

, nicazioni del Servizio e gli agenti in campo, le lettere e le cifre del codice. Ora, nell'era delle telecoinunicazioni, quel inondo fatto di segnala-

zioni sonore, ottiche o radiotelefoniche, rimandava inevitabilmente solo un sapore di avventure del passato, come sottolineava lo stesso nome dei segnali: Romeo Papa Tango, Alfa Bravo, Bravo November, Whiskey Alfa .......

Ma, all'epoca, aveva funzionato, nonostante l'iniziale scettjcismo dci suoi superiori. Gli avevano subiio opposto che i l Codice era troppo noto e che sarebbe stato tàcile per i l nemico decrittarlo e abbinarlo alle circostanze: ma lui pazientemente aveva spiegato loro che il significato vero della comunica~ione non era certamentequello indicato nelle tabelle del Codice ("lo avevano preso per un imbecille!"), ma quello scaturente da una seconda decrittazione del messaggio operata dal Centro. All'anali- si del nemico i segnali avrebbero dichiarato una verità evidente che con- teneva e celava una verità nascosta e segreta .....p roprio come nella realtà!

Il sole gli stava scottando il viso e l'aria di mare gli riempiva i pol- moni, dopotutto quella "gita" aveva i suoi lati piacevoli.

Si infilò gli occhiali da sole e guardò i Faraglioni ritagliati su quel- le straordinarie tonalità di blu del mare e del cielo di Capri.

I1 motoscafo da lui atteso si stava avvicinando alla murata della

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L'crgerrte i11 sonno

nave. I suoi occhi tornarono sul Codice, voltò pagina e trovò i segnali tra rompighiaccio e navi assistite.

Era il gruppo di segnali che aveva usato alla fine degli anni '70 per comunicare con la rete dei suoi agenti oltre la cortina di ferro. Scorse con l'indice i vari segnali sorridendo:

Y Tenetevi pronti a prendere il cavo di rimorchio Q Accorciate le distanze tra le navi J. Non mi seguite procedete lungo il canale aperto nel ghiaccio Le sue "navi assistite" dovevano rispondere soltanto per rendere

evidente la possibilità o meno di eseguire l'ordine del "rompighiaccio". Poi, con gli uomini più sicuri clella sua rete, escogitò una rleviazio-

ne del segnale.C'erano delle occasioni particolari in cui non era opportu- no che il Centro comunicarioni del Servirio venisse a conoscenza del reale significato del messaggio attraverso le seconde decritta~ioni: la verità nascosta poteva essere troppo scomoda per la rotta che voleva seguire il rompighiaccio. E allora i suoi agenti più segreti sapevano che le lettere e le cifre del codice erano inviate 5010 ad uso e consumo del Centro, ma che i l vero significato del segnale inviato era, allo stesso tempo, semplice e intuitivamente metaforico:

4..... Fermatevi. Sono bloccato dal ghiaccio H.... Mettete le macchine indietro Questo gli aveva consentito di mantenere i suoi segreti nell'orga-

nizzazione che ora dirigeva. Certo, ormai, si era potuto permettere di ampliare la sfera dei suoi segreti e delle sue deviazioni, ma c'era il Comandante Fuoco che si era messo in testa di far rotolare quella sfera e di infrangerla ....

11 motoscafo aveva attraccato e Fuoco era salito sul cassero di poppa-

I1 Direttore chiuse i l manuale, si levò gli occhiali da sole e lo aspettò.

- E così il suo uomo è morto. - Questa mattina presto, dopo una settimana cli coma, Davide ha

l

cessato di vivere. - Fuoco guardò negli occhi quell'uomo gelido e aggiun- se: - Ne sento intera tutta la responsabilità.

- Indubbiamente. Ma non c'è solo questo: il suo piano era dilettan- tesco e votato al fallimento. Una giovane e promettente vita è stata da lei esposta inutilmente nell'improbabile ipotesi che la killer ci portasse dai suoi committenti.

- E' successo altre volte. Gli assassini debbono essere saldati e alla fine del contratto, prima o poi, riallacciano un'ultima volta il rapporto ....

- Ma stavolta non poteva succedere - lo interruppe il Direttore -

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come di fatto per tutta questa settimana non è successo. Non poteva suc- cedere semplicemente perchè la Muttia ha fallito la sua missione: non è riuscita a intercettare Palla di neve e non ha ucciso i l nostro fisico. Come ha potuto pensare che la Muttia, con questi fallimenti alle spalle, si pre- sentasse ai suoi committenti per riscuotere'!

- 1,'orca assassina non ha mai lasciato le cose a metà - replicò Fuoco con asprezza - neanche in condirioni disperate. Dopo l'evasione avrebbe potuto riprendere contatto ed avere nuovi ordini, dopotutto è riu- scita a distruggere i CD Rom che Volodja TiSka aveva consegnato a Barbacane.

Dovevano contenere informazioni di straordinaria importanza: ho interrogato a lungo il nostro fisico, lui è portato a credere alla buona fede dell'agente russo e quindi al fatto che quei CD Rom ci avrebbero potuto far estirpare un bel pezzo di tumore in questa parte del mondo.

I due uomini si fronteggiavano rafforzati dal loro odio reciproco. - Ma non l'ha fatto, in una settimana non ha ripreso i l contatto. Si è

semplicemente nascosta nel suo rifugio segreto, finora sconosciuto - il Direttore indicò un punto lontano sull ' isola, sopra il sentiero di Matromania - per evitare anzi di essere ritrovata dai suoi committenti e probabilmente \oppressa.Un'orca assassinata, questo è i l suo destino se non ce la riprendiamo noi, sa troppe cose e non può continuare a esercita- re la sua micidiale professione ...

I1 Direttore alzò i l binocolo che gli pendeva dal collo e lo puntò in direzione della villetta nascosta dai pini. - Tutta questa vicenda, da Lei condotta, è stata una colossale disfatta per il Servizio.

- Barbacane è vivo! - insorse Fuoco. - Abbiamo accertato che non è un agente nemico. Tutti i riscontri che ho fatto effettuare sono univoci in questo senso: i l suo sonno è stato tanto lungo e profondo da fargli dimen- ticare perfino i suoi sogni sul comunismo. Quanto ad A.jdyn, il beluga bianco - Fuoco indicò con un gesto il grande tratto di mare verso la terra- ferma - ha ripreso ora a nuotare in mare aperto.Sono convinto che prima o poi sapremo ritrovarlo, dopotutto a Palla di neve non rimane altro che ricercare qualche suo vecchio agente in sonno e tentare, disperatamente, di risvegliarlo.

I1 Direttore lo guardò commiserandolo. - Sa bene, quanto me, che non lo ritroveremo noi per primi e che probabilmente la pesca del beluga è ridiventata l'obiettivo primario di alcuni ex colleghi di A.jdyn dopo la distruzione dei due CD Rom.

Aveva ragione, ma Fuoco non voleva certo ammetterlo, perché la speranza gli sembrava ammissibile anche nel mondo tetro dello 5pionaggio.

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- I CD Rom non sarebbero stati distrutti e Rarbacane e i l suo amico sindacalista non avrebbero rischiato la vita - gli replicò a muso duro - se la protezione di Rapisarda avesse funzionato a dovere.

- Incidenti di percorso, purtroppo comuni nel nostro mestiere, - tagliò corto il Direttore. - L,a nostra Alfa che li doveva seguire ha forato una gomma all'altezza de l'Aquila. L'hanno sostituita a tempo di record, ma Rarbacane guidava come un pazzo e gli uomini di Rapisarda sono arrivati quando 170rca aveva ormai sbarrato con il camion l'imbocco al tunnel del Laboratorio di fisica. Ma queste cose lei le conosce molto bene, perchè le ha chieste a Rapisarda e le ha controllate.

- Un incidente di percorso che ci ha fatto perdere tutte le informa- zioni che A.jdyn aveva consegnato a Barbacane, - notò amaramente Fuoco.

- Ma che non ha compromesso il salvataggio della vita del suo fisi- co, - disse collerico il Direttore. - Si ricordi che sono stati gli uomini di Rapisarda a salvarlo e a catturare I'Orca che lei ha lasciato evadere.

La tensione tra i due aveva raggiunto il massimo livello, ma improvvisamente il Direttore di\tese il suo volto. - Su una cosa clovrh convenire con me: ormai le uniche nostre carte sono le informazioni che sapremo riuscire a cavare da Maddalena Muttia.

- Questo è certamente vero - ammise Fuoco - e ho tutte le intenzio- ni di cavargliele e di collegarle a quel poco che ha saputo il nostro fisico dal colloquio con Volodja a Villa Doria Pamphilj.

- E allora - concluse il Direttore - non le rimane che andare là e riprendersela. Con quanti uomini effettuerà l'operazione?

Fuoco esitò un attimo. - Da solo, 170rca ormai deve aver capito molte cose, ha avuto tutto il tempo per riflettere, e deve aver capito che la sua vita è affidata a un nostro carcere di massima sorveglianza. Quindi non farà alcuna resi\tenza, anzi .....

I1 Direttore lo guardò, si rimise gli occhiali da sole e lasciò vagare lo sguarclo su quel tratto di mare solcato da imbarcazioni di ogni tipo.

- Lei è sempre stato imprudente, imprudente e avventato, ma, a questo punto della vicenda, giochi pure la sua partita.

I due uomini si lasciarono con un freddo e formale saluto. Fuoco ridiscese sul suo motoscafo, dirigendo verso lo scoglio del Monacone.

A meno di un miglio di distanza un fuoribordo cercava di non per- dere la sua scia, al timone c'era un giovane vigoroso che aveva sistemato sotto un telone una lunga valigia nera, la tipica custodia di un fucile d'assalto.

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Davarlti al Monacone

L'ho detto: non so se è andata proprio così ..... ma certo qualcosa di n~olto simile a quello che ho scritto nel mio racconto deve essere successo nclla realtà.

Anzi sta succedendo: se i l mio intuito narrativo non mi tradisce, non dovrebbe mancare ancora molto all'epilogo con Fuoco.

.., Decisi allora di risistemare le pagine sparse dell'ultima fatica sullo scrittoio e di andarmi a preparare in cucina i l mio darjeeling, forte e con poco zucchero.

L'ho gustato per la prima volta a I,ondra, quando sono andata ad uccidere quel traditore dcll'MIS che aveva voluto tradire i miei coinmit- tenti russi del KGB. Da allora non l'ho più abbandonato.

Mi piace prenderlo con una goccia di latte che annuvoli appena il colore del tè nella tazza. Da questa finestra della cucina si può vedere lag- giù nel mare la sagoma massicciamente leggera dello scoglio del Monacone.

Stavano bussando alla veranda proprio mentre l'acqua bolliva, era un tocco discreto. Nel cassetto del tavolo di cucina avevo wmpre lasciato una vecchia Beretta Parabellum, ma non la presi.

- La porta è aperta, entri pure Comandante. Fuoco varcò la soglia con un'espressione di stupore sul volto. - E' venuto a prendere un tè con me? - Con una goccia di latte, se possibile, e senza veleno. Mi piaceva quell'uomo, forse mi piacerà essere catturata da lui.

Presi un'altra tazza e preparai la teiera. - No, niente veleno, come vede, anche se lo meriterebbe, dopo

quello che mi ha ficcato nella \palla. - Non è servito granché, dovevo immaginare che con lei non avreb-

be funzionato, e qualcuno ha pagato caro il mio ei-sore. - Quel giovane agente è morto? - chiesi porgendogli la tazza. - Mi

. dispiace ma non ho colpito per uccidere, anche se lei non mi crederà. Ammetta, almeno, che in questa vicenda tra noi due, Comandante, c'è una sorta di parilà del dolore, io ho perso il mio uomo e lei ha perso il suo agente ...

- Non sono venuto a parlare delle morti e dei lutti - m'inte~~uppe bruscamente Fuoco - sono venuto a prenderla e a sapere chi sono i suoi iiiandanti. Ormai i l mare in cui può nuotare è diventato una pozza e prima che qualcuno la arpioni deve decidersi a vuotare il sacco. Così le potrò uwre la cortesia di ficcarla in una prigione di massima sicurezza su un'isola, meno bella di questa, e buttare via la chiave.

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L'crgeiite iii soiiiio

Aveva parlato tutto d'un fiato e con un filo di concitazione nella voce.

Bevvi il mio tè e posai la t u z a vicino al fornello. - Non è esatta- mente una proposta esaltante, la sua, e non è poi detto, come lei allude, che i miei committenti mi vogliano morta, - mentii - ma certamente sono finita con le spalle alla spiaggia e non ho la possibilità di riprendere il mare aperto. Beato Palla di neve che adcsso, invece, g r a ~ i e alla mia inca- pacità, può nuotare tranquillo in acque più sicure.

- Non divaghiamo - i tratti del volto di Fuoco si erano improvvisa- mente induriti - voglio la verità.

- Che parola grossa, fossi in lei mi accontenterei di conoscere quel- le connessioni di pezzetti di verità che possono salvarle la pelle, visto che la vittima sacrificale di questa storia è il "Comandante Fuoco", molto di più dell"'0rca assassina". - Bevvi un sorso con avidità. - Dopo il falli- mento della mia missione, infatti, è diventato imperativo eliminare chi può ritessere i contatti tra il fisico italiano e la spia idealista russa. Vuole un'altra tazza di tè?.

Quella minima torsione del busto verso la teiera, spostò legger- mente i l bersaglio e mi evitò i l colpo frontale. La pallottola dopo aver infranto il vetro della finestra di cucina e avermi sfiorato la tempia destra, si conficcò sul muro.

Mi gettai a terra mentre Fuoco si era piazzato contro il muro al lato della finestra con un revolver in mano.

- Riesce a vedere qualcosa? - mi chiese - No, davanti alla villetta, come avrà visto venendo, c'è un gruppo

di pini in mezzo alle rocce basse, sarà certamente ben nascosto lì. Dobbiamo portarci nell'altra stanza, nella panca sotto la finestra ho messo un M16, abbiamo bisogno di un volume di fuoco maggiore di quello. - Così dicendo indicai la sua arma.

Appena terminai queste parole l'arma del killer scaricò quattro colpi, a sequenza ravvicinata, che scaraventarono in aria schegge di legno e cocci.

Rotolai verso l'altra stanza mentre Fuoco col polso ripiegato verso la finestra esplodeva tre colpi a caso e poi mi raggiungeva di corsa.

- L'arma l'ho riconosciuta! - mormorò acquattandosi vicino a me. - E' la carabina Colt Sporter Calibro 223.

- Come c'è riuscito? - chiesi stupita. - La sequenza degli spari è quella di un fucile d'assalto e l'estrema

precisione del primo colpo che l'ha mancata di un soffio denota una rego- lazione precisa del congegno di mira fino a 800 metri. E soprattutto - pro- seguì con tono professionale - serviva un'arma del genere in queste con-

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Fiori

dizioni di tei-reno, dato che tra la sua villetta e le rocce ci sono almeno 600 metri.

- Probabilmente ha ragione, i congegni di mira della Colt Sporter rono tra i migliori in aisoluto per un fucile d'assalto. E C'? di più, ha spa- rato cinque cartucce in tutto, quante ne contiene il caricatore di quell'arma.

- Non illudiamoci, avrà portato una scorta di caricatori di riserva, anche se evidentemente pensava di cavarsela da lontano, con pochi colpi precisi. Ma chi sarà'?.

Esitai un istante a rispondere, avevo raggiunto la cassapanca, l'aprii e tirai fuori i l veterano del1'U.S. Arn-iy, avevo una versione a canna corta e calcio retrattile particolarmente manegevole. Se quello che sta a\venendo non fosse la conferma del mio intuito, ti potresti chiedere, Comandante, se chi spara appartenga a1 mio campo o non piuttosto al tu0 ....

Mi venne naturale passare al tu, date le circostanze era proprio il ca\o di instaurare una comunicazione più diretta.

- Intuito narrativo? Afferrai saldamente l'impugnatura a pistola dell'M16 e regolai la

tacca di mira tino a 700 metri. Poi indicai le carte rullo scrittoio. - Oppure intui to femminile , ch iamalo come vuoi, però,

Comandante, su quei fogli c'è scritto che qualcuno dei tuoi non ti vuole bene. Qualcuno che sta al vertice della tua organizzazione.

Scattai in avanti, spalancai la porta ed esplosi una sventagliala vcrso le rocce, poi mi gettai sotto la finestra accanto a Fuoco.

- Eccolo laggiù, spunta la canna della carabina, peccato non avere un binocolo ... allora di che conferma parli?

Lo guardai: non aveva paura, aveva solo voglia di trovare i l bando- lo di quella matassa. - Del fatto che il tuo Servizio mi vuole morta, per e\ itare che io possa raccontare quella parte di storia che conosco. E anche del fatto, come ti ho già spiegato, che per stare ancora più sicuro i l tuo Servizio vuole morto anche te, Comandante.

Fuoco mi guardò con odio, ma non gli lasciai il tempo di replicare. - Si vede ancora la canna della Colt Sporter?.

- No, - rispose con un fremito nella voce - ma voglio che tu sappia che si tratta del tipo di fucile d'assalto in dotazione ai nostri killer per le missioni con queste caratteristiche.

- Grazie per la tua conferma professionale e ora dimmi solo dove posso dirigere la prossima raffica per spaventare Scàntia.

Mi guardò senza più odio negli occhi: - Ti dovresti alzare per spa- rare e lui ti inquadrerà nella finestra, non te la caverai ...

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- Io voglio provare ad uccidere quel figlio di puttana, voglio solo questo, - gli urlai in faccia.

- Sulla destra, dove finiscono i pini e c'è una roccia più grande. In un attimo nella mente mi sfrecciarono i seguenti pensieri.

"Certo, lo faccio per vendicare Momo, ma anche perché non mi ci vedo a trascorrere una vita in una stanzetta con porte e finestre sbarrate. L'Orca assassina non può vivere in una piscina!"

Mi alzai e sparai tutto il caricatore. Mentre mi riabbassavo veloce- mente, una sola maledetta cartuccia, esplosa da Scàntia, mi penetrò nel collo.

Mi accasciai e vidi il mio sangue fluire copiosamente, provai a par- lare ma la voce non mi uscì, vedevo solo Fuoco che mi premeva un faz- zoletto sul collo.

Poi sentii che mi toglieva i l fucile dalle mani. Inserì un altro carica- tore e mi guardò con la pietà negli occhi.

Fu in quel momento che avvenne quello che più temevo fin dall'inizio della sparatoria.

In un lampo pensai: "Quel figlio di puttana ha montato un lancia- granate, con un congegno di sparo a parte, sulla Colt Sporter". Proprio al centro della stanza a tre metri da noi una granata incendiaria al fosforo stava per esplodere: fuoco contro Fuoco!.

Lo vidi scaraventarsi sul tavolo e afferrare le carte del mio ultimo racconto, poi mentre tutto intorno a me esplodeva e s'incendiava, sentii l'urlo rabbioso del Comandante fuori della porta e i colpi a raffica del mio M16.

L'urlo prolungato dell'uomo e quello del fucile accompagnarono fino alla fine i l mio ultimo racconto.

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Elettra Palri?a

FIABA LUNGA UN ANNO

Lontano, lontano, non poi così lontano, i l vento del Grande Nord giunse al bosco incantato, scuotendo le fronde degli alberi e coprendo le radure di un soffice tappeto di foglie rossodorate.

Aveva attraversato paesi caldi, alcuni molto, le vaste pianure dell'est, le glaciali regioni del nord, girando girando era tornato al luogo da cui s'era mosso. Portava con sé profumo di pioggia.

"Quel vecchio borioso! ... già di ritorno", esclamò la Fata d'Estate, rassettandosi sulla piccola fronte il serto di rose, confuso da un grazioso sternuto.

La fata, piccola, paffuta, era piuttosto pigra e non gradiva repentini cambiamenti: di pcssimo umore, salì sul suo cocchi0 dorato e partì in un turbinio confuso di papaveri e campanule.

Un cielo radioso volle accogliere il nuovo mattino. "1,a Fata d'Estate è partita questa notte!", sibilò un serpente110 stri-

sciando fra l'erba, "Me lo ha riferito un verme di mia conoscenza". "Bah!, provviste ne abbiamo già a sufficienza", esclamarono due

formiche, intente a trasportare nel nido un grosso chicco di grano mentre sul ramo di un acero una cicala riponeva triste il suo violino.

"Che fui?, non vuoi più cantare?", le chiese allegro un passero, sporgendosi dal folto di un biancospino. "Suvvia!, la bella Fata d'Autunno ha in serbo per noi ancora molti giorni dolcissimi".

Quando il sole fu tramontato e il buio avvolse la radura, il corvo della notte gracchiò dalla cima impervia di un albero: "Ehi, creature dell'incantato bosco, ascoltatemi! Il Grande Vento dal Nord è tornato. Ha una lunga storia da narrarvi".

Un alito poderoso scosse la radura, la luna si nascose dietro una nuvola ed i l Iàlcone, messaggero del tuono, si librò nell'aria lento e mae- stoso.

Il gufo dilatò i suoi occhi insonni: laggiù, nello stagno, la rana s'appiattì sulla larga pietra muschiosa, l'usignolo cessò il suo canto ed il vermiciattolo si rifugiò sotto la foglia secca di un faggio.

Uno stridio ii-I iver-ente di cardini arrugginiti turbò la grandiosa atle-

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sa, ed i l monte degli gnomi si scoperchiò come una pentola. Spuntò un berretto rosso, poi due occhietti scuri e vivaci e, infine,

una gran barba candida come la neve. "Oh ... sei tornato!", esclamò il vecchio gnomo, accarezzando un grillo canterino. "Riconosco il cerimo- niale ... Spero almeno che la tua filastrocca sia interessante. L'ultima volta era così noiosa che me ne tornai sotto le coperte ben prima dell'alba".

"Insolente!" tuonò il Grande Vento dal Nord, sconvolgendo con uno sbuffo stizzoso l'intera radura. Alcuni nidi furono per cadere e mada- ma civetta, che si era sistemata in tempo su un ramo di prima fila, si sor- prese sgomenta a dondolare a testa in giù, "Puoi tornare anche subito nella tua tana; nessuno, certo, se ne rammaricherà".

I1 bosco rumoreggiò: le oche dallo stagno starnazzarono così garru- le, del resto; soltanto i vermiciattoli e i lombrichi emisero sibili tanto sommessi che nessuno udì.

"Silenzio! ... cos'è questo chiasso impertinente?...", esclamò il gufo, impettito e severo. "Grande Vento, non curarti delle parole di un vecchio bizzoso. La notte è tranquilla; la luna splende alta. Orsù, potente signore, inizia il tuo racconto".

- Tenterò, buone creature del bosco,. . . . . . tenterò . . . . . ... Quell'anno il regno del potente Mago d'Inverno durò a lungo.

Avevo percorso senm posa terre desolate, spingendomi fino ai mari estre- mi. Poi, tiepide piogge odorose di bosco annunciarono l'arrivo della dolce Fata di Primavera.

Ero stanco del Nord, del suo inverno, della sua lunga notte d'oblio. Lasciai il gelido regno di Moscovia, dopo aver strappato perle e diamanti dal capo della sua zarina.

Mi volsi così verso sud. Valicai passi impervi, selve cupe, colli pio- vosi, giungendo alle verdi pianure, dove cresce la vite e l'aria profuma di mandorli e ciliegi.

Fischiavo allegro nei mattini chiari, ruzzando di poggio in poggio, penetravo le strette vie degli antichi borghi, arruffavo l'erba di tombe innocenti, scioglievo in limpidi rintocchi le campane delle cattedrali.

Un giorno, mentre oziavo su soffici nubi, scorsi da un colle le mura di un'antica città: un declivio conduceva al mare dove un tempo ormeg- giavano navi e gli stranieri esponevano le loro mercanzie; alla sommità, un palazzo circondato da un meraviglioso giardino. Sembrava I'avampo- sto d'un paese di fiaba.

"Salute a te, Grande Vento del Nord, e ben tornato", cinguettò l'allodola posandosi sul ramo fiorito d'un melo.

"Che felice cambiamento! sembri proprio il dolce Zefiro", sog-

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giunse lo scarabeo sporgendosi dall'oinbra verde di un mirto. - Confesso che provai vergogna nel farmi sorprendere in un atteg-

giamento così poco consono alla mia natura. "Imprudente, ti fai beffe di me!" tuonai, gonfiandomi maestoso. D'improvviso, il cielo si fece plum- beo. Soffiai con la ferocia di un lupo. "Ecco il Grande Vento del Nord!, dissi, ... sei soddisfatto ora, sciocco insetto?".

Lo scarabeo tremante sparì nel folto del suo cespuglio. "Calmati, potente Signore, cantò l'allodola. godi di queste fresche

ombre, ascolta il mormorio della sorgente. In questo luogo ti attendono lunghi giorni quieti .... riposati!".

- Svanì ogni mio affanno, il respiro si fece lieve come brezza. "E' sera di novelle'?", chiese la chiocciola schiudendo l'uscio. "Certo, le rispose la rondine che aveva viaggiato e conosceva il

mondo, "In onore del grande Vento, stasera madama nottola canterà la sua più bella storia".

Gli abitanti della valle attesero con ansia l'arrivo del Genio della Notte, abile organizzatore di feste, direttore di balli, anima di tutti i diver- timenti. In un batter d'occhio dispose ogni cosa con gusto e vivacità.

La nottola, opportunamente illuminata da un raggio di luna, iniziò i l suo racconto.

«Viveva nell'antico palazzo un giovane principe. I1 suo nome, Amir i l Beneamato: ma era così perso nei suoi sogni che tutti lo chiama- vano il Distratto.

Era nato un mattino di pioggia. I1 re suo padre, che a lungo aveva atteso la nascita di un erede, disse, chinandosi sulla culla ornata di trine d'oro: "Questo bambino è dono del cielo, come questa tiepida pioggia che caccia via il crudele Inverno. Sia chiamato Amir, il Beneamato"».

«Le campane suonarono a distesa, cavalcarono araldi per le vie, annunciando I ' evento. Ovunque furono Seste, danze, banchetti ... l'intera notte.

Quando un'aurora palpitò ancora invernale dietro le imposte delle : case, lo Spirito dell'allodola si pose sulla culla del piccolo principe:

"Possa essere lieta la tua anima, appagata e libera dovrai lasciare il dolce teinpo dell'adolescenza, compiere un lungo viaggio ... la tua strada non si troppo ardua!"».

«Gli anni trascorsero e Amir i l Beneamato divenne un bel giovane dai grandi occhi scuri, mite, affettuoso. Ma ... ahimè, così distratto!.

Passava i l suo tempo in fantastiche letture. Scriveva spesso per giorni e giorni, con tratti lenti e sicuri Componeva versi armoniosi, inter- minabili catene di premesse e deduzioni con lo stesso piacere con cui le fanciulle intrecciano ghirlande.

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Viveva felice tra i suoi libri, le sue carte, in quel suo piccolo regno incantato.

Amava i l vecchio volto di suo padre, il sorriso della sua nutrice, le fresche e spaziose stanze in cui era nato e cresciuto, ricche ancora di teso- ri puerili. Passeggiava nei vasti giardini all'ombra di aranci, palme e mille piante ancora, lontano da ogni affanno, grato al canto degli uccelli, al mormorio sommesso delle fontane in patii invisibili. A sera, dall'alto della gran torre, osservava il moto delle stelle, mentre il suo regno si confondeva nel buio e nel silenzio.

Un giorno volle scendere al porto dove mercanti da ogni angolo della terra esponevano le loro merci.

In quella babelica darsena s'erano date convegno tutte le mercanzie della terra: traboccavano dalle porte spalancate dei fondachi, dai banchi dei rigattieri, alle gerle dei rivendiiglioli.

Mentre si aggirava in quel vociante universo inesplorato, la sua attenzione fu attratta da un albero che gridava a perdifiato cvcik-~i*ak. Apparteneva ad Ezechiele, stimato mercante veneziano, che trafficando con marinai d'ogni parte del mondo aveva raccolto le più strane mercan- zie. Dall'albero pendevano strani frutti simili a zucche, somiglianti quasi a volti umani".

«"Sono le teste dei figli di Adamo, nobile signore: - spiegò Ezechiele, - durante il giorno gridano tvak-kvak, all'alba ed al tramonto cantano gli inni al Creatore".

"Non ho mai visto una simile stramberia - disse il pincipe ridendo: - ti prego, narrami la sua storian».

«Lemiro di Bassora lesse in un antico manoscritto che in un'isola sperduta dei mari della Cina cresceva un albero che cantava le lodi di Dio. Egli, stanco del salmodiare querulo del vecchio muezzin, inviò esperti marinai alla ricerca di tale meraviglia. Navigarono otto anni senza sosta finché un giorno scorsero su una piccola isola due alberi: uno, durante i l giorno gridava rr.rtk-cvnk e all'alba ed al tramonto cantava le lodi del Signore: l'altro, produceva frutti che in primavera si trasformava- no in mirabii fanciulle. I marinai tennero per sé quest'ultimo: l'altro, lo consegnarono all'emiro che li ricompensò lautamente ..." I,'ho acquistato da un mercante di Smirne ... Chissà per quali vie è giunto alla sua botte- ga! Del rehto cos'è il magazzino di un mercante se non un intrico di f i l i disgiunti? ... frammenti di altre vite da altre scene ... il compito del buon Ezechiele è riannodare questi fili perché, mio giovane signore, nessuna storia ha mai una fine ... ed è proprio questa la storia più bella ....... Perdonatemi, divago e dimentico gli affari",,.

«Quasi per magia, t rase dalle ampie pieghe del suo cat'fettano uno

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specchio ovale, racchiuso in una cornice d'oro patinato dal tempo. "Scheggia di luna, insondabile, quieta: isola incantata, sospesa in

abissi sconosciuti. Specchio fedele di un'anima sognante! .... Lo acquistai pcr poche piastre d'argento da un marinaio in una bettola di Sidone"».

«"E' stregato ... una fonte maledetta di guai", mi disse destreggian- dosi in una misteriosa mescolanra di lingue e dialetti. "Esso riflette l'anima di chi lo possiede .... Guardati dal venderlo a ricchi e potenti ...

. Che ro\pi vedrebbero! ... Beh!, buona fortuna!". Si dileguò nel buio limaccioso del porto».

"Anni sono trascorsi da quella notte! ... Avvicinatevi, signore, specchiatevi senza timore. Non compariranno mostri ... ne sono certo".

"Un raggio di luce infranse improvviso la superficie opaca dello slwcchio: da abissi affiorò l'immagine d'una fanciulla addormentata.

Giaceva sull'erba d'un prato, in posa modesta. I1 volto, delicato come la corolla di un fiore, sor~ideva nel sonno per misteriosa emozione. Vestiva un abito di foggia infantile, color glicine. I capelli le scendevano sulla spalla in una treccia un pò disfatta. Tutt'intorno fiorivano narcisi; ninfee rosa e gialle allaipavano le loro foglie nella verde acqua dorata di uno mgno: una farfalla volteggiava nell'ombra dei mirti. Luogo incanta- to dove penetrano soltanto i sogni, che il respiro del vento sospinge".

"...Che diavoleria!, .... che trucco è mai questo", esclamò il giova- ne principe. "

"Nessun inganno, mio signore, ... conoscete la mia onestà! Non vendo merce da fiera: la fanciulla addormentata è la vostra anima".

"Svelatemi, vi prego, questo mistero. Ella dorme, perché?" "E' semplice!, attende che voi la destiate!" "Cosa debbo fare'?" "Nulla! ... Quando sarà i l momento, saprete!". "Era una luminosa notte d'estate; il cielo sembrava un prato fiorito.

Mille fontane cullavano il piccolo regno con i l loro canto sommesso. I1 giovane Amir dormiva nel suo letto d'oro: sognava d'essere una

' bela spiegata, sospinta dal vento verso luoghi lontani, dove una fanciulla dormiva i l suo lungo sonno incantato".

"Svegliati, è ora di partire!", trillò un uccellino dalla sponda del letto. Amir aprì gli occhi.

"Chi sei?", chiese ancora assonnato. "Non vedi?, sono il genio dell'allodola. Le fate ti hanno affidato a

me dalla tua nascita. Alzati, ... presto!. Un lungo viaggio ti attende." "Così, ... all'improvviso! ... almeno il tempo di abbracciare mio

padre, la mia nutrice.. .." "Non c'è tempo per i saluti. Andiamo!"

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"Il veliero salpò alla fertile mezzaluna. Dalla poppa della nave il giovane principe osservava il suo regno smarrirsi, nel grigiore quieto dell'alba. Un vento dolce si era levato. Amir pregò che quel momento restasse vivo nella sua memoria, per sempre. Aveva abbandonato ogni cosa a lui cara e non possedeva nulla a cui badare, salvo a quella lieve brezza. Il suo cuore fu pervaso d'una gioia intensa: era libero, sottratto ai suoi pensieri, apparteneva solo ai suoi sogni.

Fu tranquilla la traversata: il genio dei venti volle rendere pacifiche le vie a quei naviganti. Un radioso mattino il veliero approdò nel paese del Sole Calante."

«"Signore", disse il capitano della nave, "le nostre strade si separa- no. Questa notte leverò le ancore e tornerò quando le stive della mia nave saranno colme fino all'orlo delle più pregiate e belle cose che produssero mai tutti insieme mari e terre ... Mi dispiace lasciarvi. Siete così giovane ... indifeso. Nella bottega del mio amico Zamar, troverete il necessario per i l viaggio . . . Chissà . . . forse un buon genio si prenderà cura di voi ..." D.

«"Non siate in ansia per me!", rispose Amir. "La polvere delle stra- de mi sarà compagna, l'acqua dei fiumi, il sole, la pioggia ... Chi può rivaleggiare con me in potenza e ricche7za1?".

Il capitano sorrise: "E' proprio vero, i l mondo appartiene soltanto ai poveri ed ai sognatori"».

"Trascorse la notte nella corte di un caravanserraglio. Chiuse gli occhi, pervaso d'infinito benessere. Sentì quant'era bello addormentarsi in un luogo qualsiasi, sotto i l cielo di stelle. Domani sarebbe partito ... Per dove? .... Chissà!.

Attraversò i l deserto. Percorse luoghi senza tempo. Sostò al fuoco dei bivacchi, ascoltando canzoni antiche. Si riposò all'ombra dei palmeti, assaporò i l profumo aspro del melograno, la freschezza dei ruscelli. Conobbe la vanità di molti. Penetrò le foreste del sud dove uomini scuri come l'ebano vestono i colori del sole. Si spinse fino alle porte d'oro, crocevia di merci provenienti dai quattro angoli della terra. Risalì poi il grande fiume azzurro fino al mare.

Il sole spariva in acque tranquille, la sabbia s'era tinta di rosa. Amir si sdraiò sulla battigia cosparsa di conchiglie, lasciandosi carezzare dalle onde. In quell'ora fresca della sera, mentre i suoi occhi si chiudeva- no al sonno, una quiete infinita lo pervase: sentì che il suo lungo viaggio era finito.

La Fata della Notte l'avvolse del suo velo. La luna narrò i l suo incantesimo. Amir sognò, lanciava i l suo cuore nell'aria verso i l sole all'allegria del vento.

Lo destò il tocco lieve d'una piuma».

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«"Sveglia, mio giovane principe, il lungo viaggio è finito", trillò l'allodola, appollaiata sul suo naso.

Amir si guardò intorno. Una deliziosa immagine apparve ai suoi occhi: cu un prato fiorito, soffusa di luce, la fanciulla dormiva il suo sonno incantato. Il giovane principe le s'inginocchiò, tremante, accanto».

«"Destati, anima mia, mia sposa!". I1 viso di lei era come un fiore bagnato sotto le sue labbra. La fanciulla schiuse gli occhi color delle viole: "Oh, mio signore, .... quanto a lungo vi ho atteso!". 1,'incantesimo era svanito, come fantasma al levar del sole».

«L'allodola, felice d'aver condotto a buon fine i l compito che le fate le avevano assegnato, cinguettò: "Non avevo fòrse ragione'? ... I sogni si avverano sempre ... Ma basta sognare! Ora vivete".

Applausi scroscianti accolsero la fine della storia». "Niente male!. . .niente male davvero", esclamò lo gnomo della

montagna. Un trionfo, insomma. La notte era tiepida e chiara. Gli abitanti del Bosco incantato volle-

ro festeggiare la bella serata con canti e dan7e: anche il vecchio gnomo ballò intorno ai fuochi fino al sorgere del sole.

l

"I1 gallo sta per cantare", annunciò i l gufo saggio, "la festa è fini- I ta". l "La Fata d'Autunno sta per arrivare ... lo sento. Una vera dama,

ctie g u m sicuro nell'accostare le tinte! ... Dovrò ravvivare le mie piume autunnali!", esclamò madama civetta avviandosi verso casa.

"Quanto a me, preferisco la Fata d'Estate!", disse il serpentello. Ma il suo sibilo era tanto sommesso, nessuno lo udì.

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Parlamento

IL PARLAMENTO DELLA FEDERAZIONE RUSSA

I1 parlamento della Federazione russa si compone di due camere: la Duma ed Consiglio federale.

I1 Consiglio federale si compone attualmente di 171 membri, in rappresentanza dei vari soggetti amministrativi in cui è articolata la Federazione.

La Duma si compone di 450 membri, metà dei quali sono eletti per regione (oblast') con metodo maggioritario uninominale. L'altra metà è eletta col metodo propor~ionale nelle liste dei partiti o raggruppamenti che superano lo sbai-ramento del 5C/< dei voti su base federale.

Le ultime elezioni per i l rinnovo della Duma si sono svolte i l 17 dicembre 1995.

Risultati delle elezioni per il rinnovo della Duma

Statistiche sul voto

Numero degli aventi diritto al voto 107,496,558

Numero dei votanti 69,204,820

Numero dei voti non validi 1,320,620

Numero dei voti validi 67,884,200

Partiti che hanno superato lo sbarramento del 5%

Partito % dei voti Voti

Partito comunista della Federazione russa 22,30% 15.432.963

Partito liberal-democratico di Russia 11,1854 7.737.43 1

Nostra casa Russia 10,1354 7.009.29 1

Jabloko 6,89% 4.767.384

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Voti riportati e seggi ottenuti

Partito Voti Percentuale Seggi Seggi uninominali totali

Partito conllrrlista della Federaziorie russa (KPRF) 15.432.963 22,30% 58 157 Partito liberal-denzocratico di Russia (LLìPR) 7.737.43 1 11,184 1 51 ATostra casa Russia (NDR) 7.009.29 1 10,134 10 55 Jabloko 4.767.384 6,894 14 45 Doiiiie di Russia 3.188.8 l3 4.6 1 % 3 3 C:o~iiuiiisii-lavoratori di Russia - Per l'Unione Sovietica 3.137.400 4,534 1 l KKO 2.980.137 4,314 O 0 Partito dell'autogestiorie operaia 2.756.953 3,984 1 1 Scelta deinocratica russa 2.674.084 3,864 9 9 Partito agrario di Russia 2.613.127 3,784 20 20 Ileriava 1.78 1.223 2,578 0 O Avaiiti, Russia! 1.343.428 l .94% 3 3 Potere al popolo (Naroclovlast'e) 1.1 12.873 1,614 9 9 Paiiifilova-Gurov-Ly seiiko 1.106.808 l ,6% 2 2 Siiidacati e industriali di Russia-Unione del lavoro 1.076.072 1.55% 1 1 KEDR 962.195 l ,394 O O Blocco Ivan Rybkin 769.258 1,114 3 3 Blocco Stanislav Govoruchin 688.496 0,9974 1 1 La iriia patria 496.276 0,724 1 1 Causa coiiiuiie 472.6 15 0,6874 1 1 Partito degli ainaiiti della birra 428.727 0,62'/< O O hloviineiito mussulinaiio NUR 393.5 18 0,574 O O Trasforiiiazione della patria 339.654 0,494 1 1 Partito nazional-repubblicaiio di Russia 33 1.700 0,484 O O Blocco elettorale comprendente i leader dei partiti per la difesa dei pensionati e veterani; per la distruzione del criiiiine; per la difesa della salute, I'educa7ioiie, la scienza e la cultura:

per la difesa dei giovaiii; per i siiiclacati liberi; per la giustizia:

per la protezioi~e della riatura 323.232 0,474 O O

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Parlamento

PRES Associazione degli avvocati eli Russia Per la patria Unione cristiano-democratica - Cristiani eli Russia Blocco elettorale comprenclente i leader dei partiti per la difesa

dei bainbini (Pace, bene e felicità): "Donne russe"; per l'ortodossia (Fede, speranza e ainore): i1 Partito popolare cristiano-monarchico: per l'unità dei popoli s l a~ i : per i lavoratori agricoli "Maclreterra"; per la clife~a degli invalidi; per quelli che hanno sofferto a causa della autorità Unione popolare Tichonov-Tupolev-Tichonob Unione dei muratori Socialdemocratici Partito clella libertà economica Movimento panrusso Blocco degli indipenilenti Movimento fecleral-clemocratico Russia stabile Duma-96 Cìenerazione della frontiera Blocco 89 Unione inter-etnica (Meinacional'nyj) Indipendenti Congresso delle comunit' a russe Voti "contro tutti i partiti" Totali

245.977

242.966 194.254

19 1.446

145.704 130.728 102.039 97.274 88.642 88.4 16 86.422 83.742 82.948 8 1.285 55.897 44.202 40.840

39.592

1.918.152 67.884.190

0,36%

0,35% O,28%

0,2854

0,2 1 '7c O, 19% O, 15% O. 14% 0, 13% O, 13% 0,12% 0,12% O, 12% O, 12% 0,08% 0,06% 0,06%

0,06%

2,77%

I

O O

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O 0 O O O 1 O I

O O O O

O 77 5 O

255

I

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O O O O O 1 O 1 O O O O

l 1

O 77

5 0

450

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Elezioni

Eletti alla Dunta, per partito

Partito comunista della Federazione russa, 157 deputati 1 )Abramenkov, Dmiui,j NikolaeviC 2)Aparina, Alevtina Vik~orovna 3)Arefev, Nikolai Vasil'eviC 4)Astrachankina, Tat'jana Aleksandrovna S)Avaliani, Teimuraz GeorgieviC b)Ba,junov, Vladimir AleksandroviC 7)Belov, Jurij PavloviC 8)Benov, Gennadi,i Matveevic' 9)Berdriikova, Nina Vladimirovna 1 O)Berdov, Gennadi,i Il'iC I 1 )Rindjukov, Nikolai Gavrilovic' 12)Bo,jko, V.jac'eslav Andreevic' 13)Borisenko, Nikolai IvanoviC 14)BratiSEev, Igor' Micha.jloviE lS)Buchenkov, Evgeni.1 ViktoroviC 16)Budaiapov, Sergei PurbueviC 17)Burlucki,i, Juri.i IvanoviC 18)Cechoev, Anato1i.j GeorgieviC 1 9)cernoporov, Aleksandr 1,eonidoviC 20)Cikin, Valentin Vasil'evi? 2 I )Cunkov, Jurii IvanoviC 22)Danilova, Nina Petrovna 23)Falaleev, Serpci NikolaeviC 24)Filimonov, Vadim Donatovi? 25)FilSin, Michail VladimiroviE 26)Gabidullin, Rinat Gindullovic' 27)Gamza, Gennadij Efimovic' 28)Ganeev, Mullanur FakhrazieviC 29)Gazeev, Evgeni.i IvanoviC 30)GorjaCeva, Svetlana Petrovna 3 1 )Gost'ev, Ruslan Georgievic 32)GriSkeviC, Oleg PetroviC 33)GriSukov, Vladimir Vital'evic' 34)Gromov, Vladimir PavloviC 3S)Gubenko, Nikolqi Nikolaevic' 36)Gudima, Tainara Micha,jlovna 37)Guskov, Juri.1 Aleksandi-oviC 3X)Il'juchin, Viktor IvanoviC

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Parlamento

39)Ionov, Anato1i.j Vasil'eviE 40)IvanEenko, 1,eonid AndreeviE 4 1 )Ivanov, Juri,j Pavlovic' 42)Iver, Vasili.; Micha.jlovic' 43)Ka!jagin, Vladimir Aleksandrovic' 44)KamySinskii, Niko1a.j AkimoviE 45)Kanaev, Leonid MichailoviE 46)Kazakovtsev, Vladimir Aleksandrovic 47)Chodyrev, (3ennadi.i MaksimoviE 48)Kibirev, Boris Grigor'eviE 49)KnyS, Valentin Filippovic' SO)Kobylkin, Vasi1i.j Fedorovic' 5 l)Korovnikov, Aleksandr VenediktoviE 52)Korsakov, Niko1a.j NikolaeviE 53)KoSeva, Violetta Konstantinovna 54)Kosterin, l3vgeni.j AlekseeviE SS)Kostin, Ge0rgi.j Vasil'eviE 56)Kosych, Michail FedoroviE 57)Krasnikov, Dmitri.1 FedoroviE 58)Kravets, Aleksandr AlekseeviE 59)Kruglikov, Aleksandr LeonidoviE 6O)Kuevda, Grig0ri.j Andreevic' 6 I )Kulbaka, Nina Ivanovna 62)KuleSov, Oleg StepanoviE 63)Kulikov, Aleksandr DmitrieviE 64)Kupcov, Valentin AleksandroviE t>S)Kuvaev, Aleksandr AleksandroviE 66)Leonc'ev, Vladimir AleksandroviE 67)Lodkin, Juri,j Evgen'eviE 68)I,uk'.janov, Anato1i.i IvanoviE 69)I,yZin, Jurij Vasil'eviE 70)MakaSov, Albert Micha.jloviE 7 l)Maksakov, Aleksandr IvanoviE 72)Maksimov, Evgeni.1 Vasil'eviE 73)ManZosov, Nikolai IvanoviE 74)Masl.jukov, Jurij DmitrieviE 75)Mel'nikov, Ivan IvanoviE 76)Merem.janin, Konstantin GeorgieviE 77)Merkulov, Aleksandr FedoroviE 78)Micha.jlov, Aleksanclr NikolaeviE 79)Micha.jlov, V.jaEeslav FedoroviE

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80)Minakov, Viktor Micha,jlovic' 8 1 )Mironov, Oleg OrestoviE 82)Mitina, Dasja Aleksandrovna 83)Nigkoev, Serpe,j GeorpieviE 84)Nikiforenko, Jurij Vasil'evic' 85)Nikitc'uk, Ivan Ignat'evii. 86)Nikitiii, Valentin IvanoviE 87)Nikitin, Vladimir StepanoviE 88)0ikina, Zqja Nikolaevna 89)01ejnik, L,jubov' Vasil'evna 9O)Panin, Viktor Evgen'evi? 9 1 )PeSkov, Viktor Petrovic' 92)PetoSin, Vladimir Anatol'evic' 93)Petrik, Aleksandr Gripor'eviE 94)Pletneva, Tamara Vasil'evna 9S)Podberezkin, A1ekse.i Ivanovi? 96)Poldnikov, Juri.j IvanoviE 97)Pornorov, Alcksandr Adrianovic' 98)Ponomarev, Aleksandr MichqjloviE 99)Ponomarev, Aleksqj AlekseeviE 1 00)Popov, Viktor MichqjloviC 10 I )Potapenko, Aleksandr Fedorovic' 102)Potapov, Serge,i Aleksandrovii. 1 03)KeSulski.j, Sergcj NikolaeviE 104)Roma1iov, Petr Vasil'evic' 105)Romanov, Valentin Stepanovic' IO6)RomaSkin, Viktor Vasil'evi? 107)Safronov, Vita1i.i AleksandroviE 108)Salii, Aleksandr IvanoviE 109)Sal'nikov, Viktor Ivanovic' 1 I O)Sapoinikov, Niko1a.j IvanoviE 1 1 I )Savi.uk, Vera Semenovna 1 12)Savel'ev, Konstantin Sergeevii. 1 1 3)Savel'ev, Niko1a.i Nikolaevic' 1 14)Savicka,ja, Svetlana Evgen'evna 1 I S)Seleznev, Gennadi.1 Nikolaevic' I l6)Semago, Vladimir VladimiroviE 1 17)Senin, Griporij NikolaeviC 1 1 8)Sevast,janov, Vita1i.j Ivanovic' 1 19)Sevenard, Juri.1 KonstantinoviE 120)Sabanov, Aleksandr Aleksandrovii.

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Parlamento

12 l)Sandybin, Vasilij IvanoviC 122)Senkarev. Oleg AleksandroviC 123)Sevelucha, Viktor StepanoviC 124)Stogrin, Serggj Ivanovii: 1 25)Sugurov, Rasul IgdisamoviC 126)Svec, L.jubov9 NikitiCna 127)Slavnyj, Vasi1i.j DmitrieviC 128)Smetankin, Evgenij Aleksandrovii: 129)Smo'jakov, Vladimir NikolaeviC 130)Sokol, Sv,jatoslav Micha,jlovii: 13 I)Sokolov, Aleksandr SergeeviC 132)Sokolov, V.jaCeslav KonstantinoviC 133)Stepanov, Vladimir AlekseeviC 134)Sto!jarova, Nasima Kalirnovna 135)Surkov, Michail SemenoviC 136)SveCnikov, Petr Grigor'eviC 137)Svinin, Sergej Vasil'eviC 138)Tarancov, Michail AleksandroviC 139)Tarasov, Va1eri.j MichqiloviE 140)Temirianov, Vlaclimir ChasanbieviC 141)Tichonov, Vladimir I1'iC 142)Titov, German Stepanovii: 143)Toporkov, Vladimir FedoroviC 144)Totiev, Sergci AleksandroviC 145)Ciku, Kazbek Aslanbechevii: 146)Varennikov, Valentin IvanoviC 147)Volkov, Vladimir Nikolaevic' 148)Voronin, Juri,j Micha.jloviC 149)Voroncova, Zo,ja Ivanovna 1 50)Vorotnikov, Va1eri.j PavloviC 15 I)JakuS, Michail Micha.jloviE 152)Eliseev, Aleksanclr IgoreviC 153)Juri:ik, Vladislav Grigor'eviC 154)Zdakaev, Ivan AndreeviC ISS)Zorkalcev, Viktor Il'iC 156)Zotikov, A leks~ j AlekseeviC 157)Z.juganov, Gennadi.; AndreeviE

Indipendenti, 77 deputati I)Abdulatipov, Ramazan Gadiimuradovi? 2)Agafonov, Valentin AlekseeviC

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3)Altuchov, Vladimir NikolaeviC 4)AniCkin, Ivan StepanoviC S)Arinin, Aleksandr NikolaeviC 6)AuSev, Mucharbek IzmailoviC 7)Bezborodov, Nikolaj MaksiinoviC 8)Boos, Georgij ValentinoviC 9)Bunin, Pavel Grigor'ebiC 10)Burbulis, Gennadi.1 EduardoviC I l)~istochodova, Rita Vasil'evna 12)Dzasochov, Aleksandr SergeeviC 13)Gaisin, Malik FavzavieviE 14)Gamidov, Gamid Mustafaevic 15)Gajulski.j, Viktor IvanoviC 16)Gd!jan, Telman ChorenoviC 17)Gerasimenko, Niko1a.i FedoroviC 1 8)Golovkov, Aleksei LeonardoviC 19)Goman, Vladimir VladimiroviC 20)GonCar, Niko1a.i NikolaeviC 2 1 )GriSin, Vasi1i.i DmitrieviC 22)Karelova, Galina Nikolaevna 23)Katalnikov, Vladimir DmitrieviC 24)Ka7arov, Oleg VladimiroviC 25)Korotkov, Leonid ViktoroviC 26)KoSkin, Michail PetroviC 27)Kozyrev, Andrei Vladimirovit 28)KuroCkin, Viktor Vasil'eviC 29)I,aricki.j, Vladimir ErmolaeviC 3O)Lebed', Aleksei Ivanovii: 3 1 )I,opatin, Vladimir NikolaeviC 32)Lotorev, Aleksandr NikolaeviC 33)Makarov, Andre.j Micha.jloviC 34)Mal'cev, Aleksandr NikolaeviE 35)Medvedev, Niko1a.i PavloviC 36)Medvedev, Vladimir SergeeviC 37)Medikov, Viktor Jakovlevic 38)Morozov, Oleg ViktoroviC 39)NaiEukova, Svetlana Ivanovna 40)Nesterenko, Tat'jana Gennad'evna 4 I )Nevzorov, Aleksandr GleboviC 42)Nikitin, Vladimir PetroviC 43)0invid, Grigorij MichailoviC

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Parlamento

44)0stanina, Nina Aleksandrovna 45)Panarin, Nikolqi Vasil'eviC 46)Piskun, Nikolqi LeonidoviC 47)Popov, Serpqj BorisoviE 48)Ra.j kov, Gennadi.i IvanoviC 49)Roikov, Viktor DmitrieviC SO)Sergeenkov, Vladimir NiloviC 5 l)Sachov, Vladimir NikolaeviC 52)~aSurin, Serpej PetroviC 53)SeliSC. Petr BorisoviE 54)Sestakov, Vladimir Afanas'eviE 55)Suba, Vitalij RorisoviC 56)Subina, Tat(jana Ivanovna 57)Smolin, Olep NikolaeviC 58)Solu,janov, Andrei VladiiniroviC 59)Starovoitova, Galina Vasil'evna bO)Stepankov, Valentin GeorpieviC 6 l)Sto!jarov, Nikolai Sergeevi? 62)SulakSin, Stepan Stepanovie 63)Suleimenov, Ibragim AbdurachmanoviE 64)TkaCev, Aleksandr NikolaeviE 6S)Coi, Valentin 66)Cvetkov, Valentin IvanoviC 67)Utkin, Juri.1 Vasil'eviC 68)Vlasova, Anna Petrovna 69)VoropuSin, Viktor Anatol'eviE 70)Jankovski,j, Arkadi.i EduardoviC 7 l)Zelenin, Vladimir Micha.jloviC 72)Zelenov, l3vpeni.j AlekseeviC 73)iamsuev, Bair BajaschalarioviC 74)Zukova, Nell.ja Nikolaevna 75)Zlobina, Larisa Afanas'evna 76)Zvolinski.j, V,jaCeslav Petrovic' 77)Z,jablicev, l3vpeni.i Gennad'eviC

Nostra casa Russia, 55 deputati I)Aleksandrov, Aleksqi IvanoviC 2)Alferov, fores IvanoviC 3)Alm.jaSkin, Vasi1i.i PetroviC 4)Altynbaev, iakslyk Kuantaevi? S)Andreev, Aleksqj PetroviC

1-49

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6)Askerchanov, Gamid Rasidovi? 7)Ragautdinov, Gabdulvachid GilmutdinoviC 8)Bas'maCnikov, Vladimir Fedorovi? 9)Bel jaev, Sergei GeorgieviC 10)Bignov, Rami1 Imamagzaniovi? 1 I)Boscholov, Serge.i Semenovi? 12)Bugera, Michail Evgen'evi? 13)Galazi.j, Grigorii Ivanovi? 14)Goniarov, Oleg Pavlovi? I S)Grebennikov, Valerij Vasil'evi? I(i)Karimova, Danija Jusufovna 17)KuvSinov, Aleksandr Ivanovi? 18)Ku~necov, Boris Jur'eviC 19)Ku7necov, V.jaCe\lav Jur'eviC 20)Linnik, Vitalii Viktorovic' 2 1 )Luntovski.i, Georgii Ivanovi? 22)Martynov, Alek\andr Gavrilorri? 23)Mitin, Sergei GerasimoviE 24)Morozov, Anatolii Timofeevi? 25)Narusova, I,judmila Rorisovna 26)0v?enkov, Vja?eslav Ivanovi? 27)Paradiz, Alekcandr Lazarevi? 28)Petrenko, Sergei Vladimirovi? 29)Pobedinska.ja, L.judmila Vasil'evna 30)Podiifalov, Nikolai Dmitrievi? 3 I )PoliS?uk, Aleksandr Alekseevi? 32)Poliakov, Andrei Aleksandrovi? 33)Popkovi?, Roman Semenovi? 34)Rochlin, Lev Jakovlevi? ?S)Ryikov, Vladiiiiir Aleksandrovi? 36)Saifullin, Insaf Sarjfullovi~ 37)SalCak, Galina Alekseevna 38)Seslavin~kii, Michail VadimoviC 39)~arapov, Vladiinir FedoroviC 40)Sochin, Aleksandr NikolaeviC 41 )Sirotkin, Vladimir DmitrieviC 42)Si,ter, Vladimir Grigor7eviC 43)Skvorcov, VjaCeslav Nikolaevi? 44)Sochov, Vladimir Ka7bulatoviC 4S)Strachov, Aleksei LeonidoviC 46)TaraCev, Vladimir Aleksandrovi?

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Parlamento

47)Ten, Juri,j Micha,jloviC 48)Tichomirov, Va1eri.j ViktoroviC 49)Travkin, Niko1a.j 11'2 SO)T.jagunov, Aleksandr Aleksandrovic' 5 l)UlbaSev, Mucharbi MagomedoviC 52)Veselkin, Pavel MichqjloviC 53)VolCek, Galina Borisovna 54)Volkov, (3ennadi.j KonstantinoviC 55)Zorin, Vladimir Jur'eviC

Partito liberal-democratico di Russia, 51 deputati l)Abelcev, Sergej NikolaeviC 2)Astaf'ev, Nikolqj PavloviC 3)Babaicev, l3mitri.j Grigor'eviC 4)Bogatov, Vladimir VladimiroviE S)BolSakov, Evgeni,; AleksandroviC 6)curilov, Aleksej ViktoroviC 7)Davidenko, Vladimir IvanoviC 8)Davydov, Vsevolod Gennad'eviE 9)Filatov, Aleksandr ValentinoviC l O)Finko, Oleg AleksandroviC I l)Gusev, Vladimir KuzmiC 12)Guceriev, Michail SafrahekoviC 13)ISCenko, Evgeni.j PetroviC 14)KalaSnikov, Sergqj V.jaCeslavoviC 1 S)Kiselev, V.jaCeslav Viktorovic' 16)Kic, Aleksandr VlaclimiroviE 17)Kornenko, Viktor Ul'janoviC 18)Kost.jutkin, Vladimir Micha,jloviC 19)Kozyrev, Aleksandr IvanoviC 20)Krivel'ska.ja, Nina Viktorovna 2I)Kuznecov, Michail VdrfolomeeviE 22)Kuznecov, Juri.j PavloviC 23)I,emeSov, Gennadi,; VladimiroviE 24)I,isiCkin, Vladimir AleksandroviC 2S)Loginov, Evgeni.j Jur'eviC 26)Magomedov, Stanislav JunusoviE 27)Markelov, Leonid IporeviC 28)Michailov, Evgeni,j EduardoviC 29)Mitrofanov, Aleksqj Valentinovi? 30)Mit.jaev, Ivan IvanoviC

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3 l)Monastyrskij, Michail CvoviE 32)Musatov, Michail IvanoviE .?.?)ParSakov, Juri.j Nikolaevic' 34)PEelkin, Vladimir ViktoroviE 35)$emenov, Scrge,j SergeeviE 36)SevEenko, VjaEeslav AlekseeviE 37)Sipov, Aleksandr BorisoviE 38)Sigarev, Serge.j FedoroviE 39)Skurichin, Sergqj Vasil'eviE 40)Solomatin, Egor Jur'eviE 4 I )SyEev, Sergei VladimiroviE 42)Vakulenko, Michail Jur'eviE 43)Vengerovski,j, Aleksandr Dmitrievi? 44)ViSn,jakov, Viktor Grigor'evii' 4S)ZariCanski.j, Stanislav Konitantinovic' 46)iebrovski.j, Stanislav Micha,jloviE 47)iirinovski.j, Vladimir VolfoviE 48)fukovski,j, Aleksandr Ivanovit 49)iurko, Vasi1i.j Vasil'evii. SO)Zlobin, Vladimir Veniaminovi? 5 I )Zuev, A1ekse.j AlekseeviE

Jabloko, 45 deputati 1 )Arhatov, A1ekse.j GeorgieviE 2)AverEev, Vladimir PetroviE 3)BabiCev, Igor' ViktoroviE 4)BeklemiSEeva, Ol'pa Alekseevna S)BorSEev, Va1eri.j Vasil'eviE 6)Dmitrieva, Oksana Genrichovna 7)Don, Serge,j EduardoviE 8)Durjapin, Ivan NikolaeviE 9)Emel:janov, Michail Vasil'evic' IO)Gitin, Viktor VladimiroviE 1 I )Glubokovski,j, Michail KonstantinoviE 12)Golov, Anato1i.j Grigor'eviE 13)GraEev, Ivan DmitrieviE 14)GruSf ak, Sergcj VladimiroviE 1 5)Gvozdeva, Svetlana Nikolaevna 16)Igrunov, V.ja?eslav VladimiroviE 17)Ivanenko, Sergqj ViktoroviE 18)Karape~.jan, Saak Albertovi?

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Parlamento

19)Kuznecov, Aleksandr VladimiroviC 20)LukaSev, Igor' L'voviC 2 I)Lukin, Vladimir Petrovi? 22)Malkov, Igor' OlegoviE 23)Mazur, Aleksandr AlekseeviC 24)Mel'nikov, Aleksej Jur'eviC 2S)Men, Michail AleksandroviC 26)Micha,jlov, Aleksci Jur'eviC 27)Misnik, Boris Grigor'eviC 28)Mitrochin, S e r g ~ j Sergeevi? 29)Mizulina, Elena Borisovna 30)Moiseev, Boris AleksandroviC 3 I)Nesterov, Juri.i Micha,jloviC 32)Nikiforov, Sergqj Micha.jloviC 33)Popov, Se rg~ i AlekseeviC 34)5adCikov, Ge0rgi.j Micha.jloviC 35)SEekoCichin, Juri,j PctroviE 36)Sejnis, Viktor LeonidoviC 37)SiSlov, Aleksanclr VladimiroviE 38)Sobakin, l3vgeni.j Jur'eviC 39)Sultanov, Rinat ISbuldoviC 40)Jarygina, Tat7.jana Vlaciimirovna 4I)Javlinski,j, Grig0ri.i AlekseeviC 42)Jur'ev, Michail Zinov'eviC 43)Zadornov, Michail Michailovi? 44)Zacharov, Aleksqj KonstantinoviE 45)Zlotnikova, Tariiara Vladiinirovna

Partito agrario di Russia, 20 deputati l)Burdukov, Pavel TimofeeviC 2)CernySev, Aleksgj AndreeeviC 3)Curkin, Gennadi,i IvanoviC 4)DanCenko, Boris IvanoviC S)Chamaev, Azat Ki,jamoviE 6)Charitonov, Niko1a.j Micha.jloviC 7)Kolesnikov, Viktor IvanoviC 8)Kulik, Gennadi.1 Vasil'eviC 9)Melkov, Aleksci KonstantinoviE IO)Plotnikov, Vladiinir NikolaeviC 1 l)Pol.jakov, Nikola.1 IvanoviC 12)Puzanovski.i, Andrian GeorgieviC

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1 .?)Rygalov, Aleksandr Andreevic' 14)Saetgaliev, Zit'kat Islamovic' 1 S)Saifullin, Alzam Tuchvatullinovic' 16)Savicki.i, Oleg Vladirnirovic' 17)Turusin, Anatoli.1 Afanas'evic' 18)Vernigora, Vladimir Sergeevic' 19)JaroSenko, Anatolii Ivanovi? 20)Enkov, Serggi Alekseevic'

Potere al popolo, 9 deputati 1 )Baburin, Serge,j Nikolaevic' 2)Glotov, Serge.j Aleksandrovi? .?)GreSnevikov, Anato1i.j Nikolaevic' 4)Kornilova, Zqja Afanas'evna S)Man,jakin, Seipqi IosifoviE 6)Pol.jakov, Juri,j Aleksandrovic' 7)Ry2kov, Nikolai Ivanovic' X)Tichonov, Georgi.1 Ivanovic' c))Zacepina, Nina Andreevna

Scelta democratica russa, 9 deputati 1 )Golovlev, Vladimir IvanoviE 2)Kovalev, Seipej Adamovic' .?)PoCinok, Aleksandr Petrovic' 4)Pochmelkin, Viktor Valer'evic' S)Rybakov, Ju1i.i Andreevic' 6)Tetelriiin, Vladiinir Vladimirovic' 7)Vorob'ev, Alcksandr Nikolaevic' X)JuScnkov, Serge.1 Nikolaevic' 9)Zubakin, Semen Ivanovic'

Altre unioni e blocchi, 8 deputati 1 )Borovo.i, Konstantin Natanovi? 2)Fedorov, Sv,jatoslav NikolaeviC .?)Gromov, Bari\ Vsevolodovi? 4)Chakamada, Irina Mutsuovna S)Kotkov, Anatolij Stepanovic' 6)MaSinski.i, Viktor Leonidovic' 7)Medvedev, Pavel AlekseeviE 8)Sachraj, Sergei Micha,jloviC

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Parlamento

Congresso delle comunità russe, 5 deputati l)Grigoriadi, Vladimir Stillianovi? 2)Lebed', Aleksandr Ivanovi? 3)Sergienko, Valeri.1 Ivanovi? 4)Sumin, Petr Ivanovi? S)Utkin, Vladimir Petrovi?

Donne di Russia, 3 deputati 1 )Lachova, Ekaterina Filippovna 2)Lozinskaja, fanna Micha.jlovna 3)0rlova, Svetlana Jur'evna

Avanti, Russia!, 3 deputati l)Fedorov, Boris Gripor'evi? 2)Selivanov, Andrei Vladimirovi? 3)Zukov, Aleksandr Dmitrievic'

Blocco Ivan Rybkin, 3 deputati 1 )Bryncalov, Vladimir Dmitrievi? 2)Cinlinparov, Artur Nikolaevi? 3)Rybkin, Ivan PetroviE

Pamfilova-Gurov-Lysenko, 2 deputati l)Lysenko, Vladimir Nikolaevi? 2)Pamfilova, Ella Aleksandrovna

Comunisti-lavoratori di Russia - Per l'Unione Sovietica, 1 deputato

1 )Grigor'ev, Vladimir Fedorovic'

Blocco Stanislav Govoruchin, 1 deputato l)Govoruchin, Stanislav Sergeevic'

Sindacati e industriali di Russia - Unione del lavoro, 1 deputato l)PaSuto, Vladimir Kostislavovi?

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Commissioni della sesta Duma

Commissione Presidente Partito Coiriiriissione affari CSI Georgij Tichonov Potere al popolo Coniinissione affari dei veterani Valentin Varennikov Partito com~inista

della Federazione russa

C:ominissione affari del nord Vladiinir Goinan Indipendente Coininissione affari dclle nazionalità Vladimir Zorin Nostra casa Russia Coiiiiiiissione affari csteri Vladimir Lukin Jabloko

Cominissioiie affari federali 1,eoiiid IvanEenko Partito coinuiiista

della Federazione russa

C'oinrriissione a~itogoveriio locale Andrei Poijakov Nostra casa Russia Corniiiissione bilancio Michail Zadornov Jabloko

Coriiinissione cult~ira Stanislav Go\ oruchin Potere al popolo Coiniiiissione difesa Lev Rochlin Nostra casa Russia Coriiniissione ecologia Tamara Zlotnikova Jabloko Coiuniissione educazione e scienza Ivan Mel'nikov Partito coinunista

della Federazione russa

Coiiiiiiissione geopolitica A1ekse.j Mitiofanov Partito liberal- democratico di Russia

Coniri-iissi«ne industria Vladiinir Gusev Partito liberal- democratico di Russia

Corninissioiie lavoro e politica sociale Sergej KalaSnikov Panito liberal-

democratico di Russia

Coiiiiiiissioiie legislazione Anato1i.i 12~ik'jaiiov Partito corn~inista

pres iedeva la i n e d e s i m a C o m m i s s i o n e nella precedente Duina

pres iedeva l a i n e d e s i i n a C o i n m i s s i o n e nella precedente Duina

pres iedeva la i n e d e s i i n a C o i n i n i s s i o n e nella precedente Dunia

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Parlamento

della Federazione russa

Conlmissione organizzazioni pubbliche Viktor Zorkalcev Partito comunista

della Federazione r11ssa

Commissione politica economica Jurij Masljukov Partito comunista

della Federazione russa

Commissione problemi agrari Aleksej Cerny$ev Partito agrario di

Russia Comrnissione proprietà e privatizzazioni Pavel Bunin Nostra casa Russia Coinrnissione regole ed (Inclipenclente) organizzazione della Duina Dinitrij Ksasnikov Partito comunista

della Federazione russa

Commissione riconversione Cieorgi.1 Kostin Potere al popolo Commissione risorse naturali Aleksej Michajlov Jabloko Coinmissione salute Nikolai Gerasiinenko Indipendente Comrnissione sicurezza Viktor Il'juchin Partito comiinista

della Federazione rLlSsa

Commissione per la clonna, la famiglia e i giovani Alevtina Aparina Partito coinunista

della Federazione russa

Commissione "politica dell'inhrinazione" Oleg Finko Partito liberal-

deinocratico cli Russia

Commissione turisino e sport Aleksandr Sokolov Partito comunista

della Federazione russa

pres iedeva la i n e c l e s i m a C o m m i s s i o n e nella prececlente Duina

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Elezioni

Consiglio federale della Federazione russa (1996)

Lista dei membri I ) Aliev, Mukhu Giinbatovii:

7 ) Aiitiif'ev, Sergej VladiiniroviC

3) Arbuzov, Valerij PetroviC

4) AuSev, Iiuslan Sultaiiovic' 5 ) AjuSiev, Bolot VaiidaiioviC

6) Bahiii, Nikolaj Aiidreevic'

7 ) BalakSin, Pavel NikolaeviC

8) Barabaiiov, Vladiinir AleksaiidroviC

9 ) UarySnikov, Nikola.1 Pavlovii:

I O) Batagaev, Alekse.1 NikolaeviE

1 1 ) Beketov, Vladiinir Andreevii:

I?) Relonogov, Anatolij NikolaeviC

13) Heljakov, Aleksandr Seiiieiiovii: 14) Belych, Jurij Vasil'evic'

15) Bicelclei, Kaadyr-ool Alekseevii:

16) Birjukov, Vladimir Afànas'evic'

17) Bogoniolov, Oleg Aleksaiiclrovic'

18) Boicev, Aiiato1i.i Aleksaiiclrovic'

19) Bokovikov, Aleksaiidr Aleksaiidrovii:

20) Boroclaev, Valerii Vasil'evii:

presideiite dell'Assernblea popolare del Dagestan presiderite della Durnri dell'oblast' di Sinoleiisk capo dell'aminiiiistazione dell'oblast' di Kostroina presidente dell'Inguscezia capo dell'amininistrazioiie dell'okrug autorionio di Agiii-Bur.iat presidente della Duina dell'okrug autonoino di Janial-Nenec capo dell'ainininistrazione dell'oblast' eli Archaiigelsk capo dell'amininistrazione dcll'oblast' di Bqiarisk presidente della Duiiia dell'oblast' di T,jumen' capo dell'ainininistrazioiie dell'okrug autonoino USI'-Orda Bur.iat presidente del Consiglio Legislativo del Kraj di Krasriodar presideiite dell'Asseinblea dell'Oblast' dell' Aiiiur goveriiatore dell'oblast' di Leiiingrado capo dell'amininistrazioiie dell'oblast' di Saratov presideiite del Parlaniento della Tyva

capo dell'amministrazione dell'oblast' di Kainciatka presidente della Duma dell'oblast' di Kurgan

presidente della Duma dell'oblast' di Novgorod presiderite del Suglan legislativo dell'okrug autonoino di Eveiikia presideiite dell'Asseinblea dei Rappresentanti clell'Oblast' eli Astracliaii'

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Parlamento

2 1) ByFkov, Anclrej IvanoviE presidente della Duma clell'Oblast' eli Kostroina

22) Captynov, Valerij Ivanovii; presidente dell'Assemblea di stato, capo clella Repubblica eli Altai

23) Cetiil, Ivaii Vasil'eviE presidente del Consiglio Legislativo dell'Okrug autonomo cli Koini-Pemjak

24) Cub, Vladimir FedoroviE capo dell'amniinistrazioiie dell'Oblast' di Rostov

25) Davydov, Viktor FecloroviF presiclente della Duma clell'Oblast' di Celjabinsk

26) Derevjanko, Viktor Vasil'eviE presidente clella Duina dell'Oblast' di Tula 27) Des.jatnikov, Vasilij Alekseevii; capo dell'aniininistrazione dell'Oblast' di

Kirov 28) D'jaEenko, Vladiinir capo ilell'aniininistrazioiie clell'Oblast'

Nikolaevit clell' Ainur 29) Diarimov, Aslaii Alievi? presidente clell'Adygeya (cla gennaio 1992) 30) Elagin, Vladimir Vasil'eviE capo ilell'amininistrazioiie dell'0blast' eli

Orenburg 3 1 ) ErmaFenko, Stanislav presidetite del Coiisiglio Legislativo clel Kraj

Vasil'evii; di Krasno,jarsk 32) Farchutdinov, Igor' PavloviC governatore dell'Oblast' cli Sachaliii 33) Fedorov, Nikolaj Vasil'eviE presiclente ilella Ciuvascia 34) Filipenko, Aleksanclr capo dell'an~ininistrazione dell'Okrug

Vasil'evic' autonomo di Chanty-Mansi 35) Galazov, Achsarbek presidente clell'Ossezia clel nord

ChadiimurzaeviE 36) GluSeiikov, Anatolij capo clell'amministrazione dell'Oblast' eli

Egorovic' Smolensk 37) GorjaFev, Jurij FroloviE capo dell'amministrazione clell'Oblast' eli

Ul'jaaovsk 38 ) Grigor'ev, Valerij Nikolaevic' presidente dell'Asseniblea Legislativa

clell'Oblast' di Orenburg 39) Guivin, Anatolij PetroviE capo dell'ainininistrazioiie clell'Oblast' eli

Astrachan' 40) Igumiiov, Gennaclij capo clell'aininiiiistrazione delllOblast' eli

VjaEeslavoviE Perm' 4 1) Il'juiniiiiov, Kirsaii presideilte della Kalinykia

Ni kolaeviC 42) Isakov, Nikolaj Aleliseevi? presiclente clell'Asseinblea clei Deputati

dell'Oblast' cli Archangelsk

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Elezioni

43 j ISaev, Viktor Ivanovii: capo dell'ainniinistrazioiie del Kra-i di Chabarovsk

44) ISinuratov, Muniiirais presidente del Parlameiito clell' Assemblea di MiligalieviE stato del BaSkortostaii

45) Ivaiiov, Igor' Vladimirovi? presidente ~Iell'Assemblca popolare della ~ara~aevo-Cerkessia

46) Ivanov, Vasilij Vasil'evic' presidente dell'Asseiiiblea Legislativa dell'oblast' di Leniiigrado

47) Keckin, Valerij AlekseeviE presiderite dell'Asseinblea di stato della Mordovia

48) Charitonov, Aleksaiidr PetroviE presicleiite della Duma dell'Oblast' di Saratov 49) Charitonov, Evgenij capo dell'animiiiistrazioiie del Kraj

MichqjloviE di Krasriodar 50) Cliubiev, Vlacliinir Islaniovi? capo clella ~ara~aevo-Cerkessia 5 I ) Chutaiiov, Leoiiid presidente dell' Assemblea Legislativa

Aleksaiidrovi? dell'okrug autoiioino di Ust'-Orda Buriat 52) Kisljuk, Michail Rorisovic capo dell'aininiiiistrazione dell'oblast' di

Keinerovo 53) Kokov, Valerij MuchaiiiedoviE presidente della Kabardino-Balkaria 54) Koinarov, Evgei1i.i BorisoviC capo dell'arniiiiiiistrazione dell'Oblast' di

Murinansk 55) Koiiiarovskij, Jurij Vladiiiurovi? capo dell'ammiiiistrazioiie dell'okrug

autonomo dei Neiicy 56) Korolev, Oleg Petrovii: presidente dell'Asseinblea dei Deputati

dell'Oblast' di Lipeck 57) KorSunov, Lev AleksandroviC capo dell'ainiiiiiiistra~ione del Kra.j di Altai 58) Kosikov, Michail FilippoviE presidente della Duma dell'Oblast' di Rjazan' 59) Ko~~alev, Aleksandr JakovleviE capo dell'aininiiiistrazioiie delllOblast' di

Voronei 60) Koval'skij, Leon Iosifovic presidente della Duriia dell'Oblast' di Sainara 61) Kovljagin, Anatolij Fedorovic capo dell'ainmiiiistrazione dell'oblast' di

Penza 62) Kozeradskij, Anatolij presidente dell' Assemblea Legislativa

AleksandroviE dell'oblast' di Niiiiij Novgorocl 63) Kravcov, Jurij Anatol'evi? presidente dell'Asseinblea Legislativa di San

Pietroburgo 64) Kress Viktor Melchiorovi? capo dell'ainininistrazione dell'oblast' di

Tomsk 65) Kurbatov, Vladiiiiir Nikolae\iC presideiite dell' Assemblea Legislativa

dell'oblast' di Tver'

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Parlamento

66) Larionov, Egor MichajloviC

67) LeuSkin, Sergej Geniiacl'evii:

68) Lichacev , Vasi1i.j Nikolaevii: 69) Liseckij, Petr IvaiioviC

70) Lisicyn, Anato1i.j IvanoviC 71) I,uikov, Jurij Michajlovii: 72) Magomedov, Magomedali

MagomedoviC 73) Maksimov, Konstaritiri

NikolaeviC 74) Mal'cev, Boris Alekseevii: 75) MarCenko, Petr Petrovii.

76) MaSkovcev, Michail Borisovii:

77) MatoCkin, Jurij Senienovii:

78) Merkulov, Gennadij KonstaritinoviC

79) MerkuSkin, Niko1a.j IvaiioviC 80) Micha,jlov, Viktor Grigor'evii:

81) Micheev, Michail Aleksanclrovic

82) Mucha, Vitalij PetroviC

83) Narolin, Michail Tichonovi?

84) Nazarov, Aleksandr Viktorovii:

85) Nazdratenko, Evgenij IvanoviC 86) Nedelin, Geiinaclij PavloviC

87) Neelov, Jurij Vasil'evii:

88) Nemcov, Boris EfimoviC 89) Nikolaev, Michail EfimoviC 90) Noiikov, Jurij AbramoviC

presidente della Cainera della Repubblica dell'Assemblea eli stato clella Jakuzia capo clell'aiiin~inistrazione clell'Okrug autonomo dei Kor.jaki presiderite clel Consiglio di stato clel Tatarstaii presiclente clella Duina clell'Oblast' di Magadan governatore clell'Oblast' eli Jaroslavl' Sindaco di Mosca presidente clel Consiglio di stato clel Dagestan

presidente clel Parlainento clella Kalmucchia

presidente della Duma delllOblast' di Toinsk capo dell'amministrazione del Kr.1 di Stavropol' presidente clell'Assemblea Legislativa dell'Oblast' eli Kariiciatka capo dell'aininiiiistrazione clell'Oblast' eli Kaliningrad capo dell'ammiiiistrazione clell'Oblast' eli Rjazan' capo della Mordovia capo dell'amministrazione dell'Oblast' di Magadan presiclente clella Durna dell'Oblast' di Kirov

capo dell'aminiiiistraziorie clell'Oblast' eli Novosibirsk capo clell'arnmiiiistrazione dell'Oblast' eli Lipeck capo dell'amministrazione dell'Okrug autonoino clei Ciukci governatore clel Kraj clel Primorie capo clell'ammiriistrazione clell'Okrug autonomo di Taiinyr (Dolgano-Neriec) capo clell'amministrarione clell'Okrug di Jainal-Nenec governatore dell'Oblast' di Ni2iii.i Novgorod presielente clella Jakuzia governatore delllOblast' di Irkutsk

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Elezioni

9 l ) Ooriak, Serig-ool IIiziiikoviE

92) Osniaev, Aniin AchiiiedoviE

93) Ozerov, Viktor AlekseeviE 91) Pariiiov, V.iaEeslav SeiiieiioviE

95) Petrov, Vladimir IvanoviE

96) Pi\.iieiiko, Valentina Nikolaeviia

97) Platonov, Vladiinir Micha.jloviE 98) Platov, Vladimir Ignat'eviE 99) Pliev, Ruslaii Sultanovic'

100) Poclgorriov, Niko1a.i MichqjloviE

l O l ) Polciaev , Leonid KoiistaiitinoviE

102) Polu.janov Nikola.1 AnclrceviE

103) Ponasov, Stepan NikolaeviE 104) Popov, Aleksandr Vasil'evic'

105) Potapov, Leonicl Vasil'evic' 106) Povoclyr', Sergqi

AleksandroviE 107) Prusak, Michail Micha.jloviE

108) Piatiiickij, Juri.1 Georgievi? 109) Rabtlaiiov, Vladiinir

RabdaiioviE 1 1 O ) Rachiinov, Murtaza

GubaidulloviE 1 1 1 ) Rokeckij, Leonid JulianoviE

1 12) Rossel, Eduard ErgartoviE 1 13) R,jabov, Aleksandr IvanoviE

I 14) Iqabuchin, Sergcj NikolaeviE

presidente, capo della Tyva

presideiite del Consiglio Supreino clella Cecenia presidente della Duina del Kraj di Chabarovsk presideiite del Parlainerito dell'ossezia del nord presidente del Governo della Repubblica degli Altai presidente della Cainera dei rappresentanti dell'Asseinblea Legislativa della Karelia presiderite della Duina di Mosca governatore dell'oblast' di Tver' presidente dell' Assemblea popolare - Parlamento dell'Iiiguscezia governatore dell'Oblast' di Vologda

capo dell'ainministrazione dell'Oblast' di 011isk capo dell'aminiiiistrazioiie dell'okrug autoiioino di Koini-Perni.jak presidente della Duma dell'Oblast' di Brjansk presidente dell'Assernblea Legislativa dell'Oblast' di Rostov presideiite del Govenio della Bur.jatia presidente della Durna dell'okrug autonomo dei Ciukci capo dell'ainministrazioiie dell'oblast' di Novgorod presideiite della Duina dell'oblast' di Kursk presidente della Duina dell'Okrug autonomo di Agili-Bur-jat presidente del BaSkortostaii

capo dell'aininiiiistrazioiie dell'oblast' di Tjumen' governatore dell'Oblast' di Sverdlovsk capo dell'amministrazione dell'oblast' di Tainbov presideiite dell' Assemblea Legislativa dell'Oblast' di Ul'janovsk

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Parlamento

115) Salov, Evgenij Ivanovic'

116) Sapiro, Evgeni.j Saulovic'

117) SavCenko, Evgeiiij StepanoviC

118) Saiinov, Pavel AleksaiidroviC

119) Seliverstov, Jurij Ivanovic'

120) Semeriov, Michail Innokent'eviC

121) Semergei, Leonid Vasil'eviC

122) Sevr.jugin, Nikolaj Vasil'evic' 123) Sabariov, Ivan MichajloviC

124) Sabunin, Ivan PetroviC

125) Sainiiev, Mintiiiier SaripoviC 126) Sinatov, Jurij Anisimovic'

127) StygaSev, Vlaclimir Nikolaevic'

128) SurCanov, Valeiitin SergeeviC

129) Suteev, Vasilij IvanoviC

130) Sniirnov, Anatolij Anatol'eviC

13 1) Smirnov, Evgenij AleksandroviC

132) SobCak, Anatolij AleksandroviC

133) Sobolev, Aiiatolij NikolaeviC

134) Sobranin, Sergej Semeiiovic'

135) Solov'ev, Vadim Pavlovi?

136) Spiridonov, Juri.1 AlekseeviC

presiclerite clel Consiglio di stato dell'Adyge.ja presidente clell' Asseinblea Legislativa dell'oblast' di Perm' capo clell'ammiiiistrazione dell'Oblast' eli Belgorocl presidente clella Durna dell'oblast' eli Murmansk presiclente clella Duina dell'oblast' di Belgorod presidente clell'Hural clel popolo eli Burjatia

presidente della Duma clell'Oblast' di Volgograd governatore clell'Oblast' cli Tula presidente clella Duina clell'Oblast' eli Voronei capo dell'arnministrazioiie dell'Oblast' cli Volgograd presiclerite clel Tatarstaii presidente dell' Asseinblea clei deputati dell'Oblast' eli Pskov presidente del Consiglio Supreino della Chakasija presidente del Consiglio di stato clella CiuvaSia capo dell'amministrazioiie tlell'Oblast' di Kursk presidente dell'Asseniblea eli stato della repubblica di Mari-El presiclente clel Consiglio clei ministri della Chakasia sindaco di San Pietroburgo

capo dell'arnininistrazioiie dell'oblast' eli Kurgaii presidente della Duma clell'okrug autonomo eli Khanty-Mansi capo clell'amministrazione clell'Oblast' eli Celjabinsk capo della Repubblica eli Korni

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137) Stepaiiov, Viktor NikolaeviE 138) Stroev, Egor SemenoviE 139) Suclakov, Gurij Vasil'evi?

1-10) Sudareiikov, Valerij Vasil'eviE

14 1 ) Surganov, VsaEeslav SergeeviE

142) Surikov, Aleksandr Aleksaiidrovi?

1-13) Suvorov, Aleksandr Sergeevi?

144) Sycev, Aiiato1i.i PavloviE

135) Tichoinirov, Vladimir Nikolaevi?

146) Titov, Konstantin AlekseeviC

137) Torlopov, Vladimir AleksaritlroviE

118) Tuleev Ainan GurniroviE (Ainangeldy MoldagazyeviE)

149) Tunianov, Vladislav Nikolaevi?

1 50) T.jaZelov Aiiato1i.i StepanoviE

15 I ) Ustjugov, Valerij NikolaeviE

152) Variiavski,i, Vladiinir AlekseeviE

153) Vavilov, Stanislav VlatlimiroviE

154) VeEkasov, Jurij IvanoviE

155) Vederiiikov, Vladiinir PavloviE

156) VerSiiiiii, Pavel Nikolaevi?

157) Viiiogradov, Nikolaj VlacliiniroviE

presidente del Cioverrio della Karelia capo dell'ainininistraziorie dell'Oblast' di Ore1 presidente dell'Assemblea legislativa dell'oblast' di Vologda presideiite dell'Assemblea legislativa dell'oblast' di Kaluga presidente della Duma dell'Oblast' di Sverdlovsk presideiite dell' Assemblea legislativa del kraj degli Altai presidente della Dun~a dell'okrug autonomo dei Kor,jaki presideiite del Consiglio dei deputati dell'oblast' di Novosibirsk presideiite dell'Asseinblea legislativa dell'oblast' di Ivanovo capo dell'arnministrazione dell'oblast' di Samara presideiite del Consiglio di stato della Repubblica di Komi presidente dell'Asseinblea legislativa dell'oblast' di Keinerovo capo dell'arnministrazione dell'oblast' di Pskov capo dell'aniiniiiistrazione dell'oblast' di Mosca presidente della Duina dell'Oblast' di Kaliiiingrad presidente dell' Assemblea legislativa dell'Oblast' di Oinsk presidente dell'Asseinblea legislativa dell'okrug autonomo del Birobidian presideiite dell' Assemblea legislativa dell'Oblast' di Penza presidente della Duina del Priinorie

presidente del Consiglio di stato del governo dell'Udinurtia presidente dell' Assemblea legislativa dell'Oblast' di Vladiinir

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Parlamento

158) ViSnjakov, Vitalij presidente della Iluma clell'Oblast' di cita Evgeii'eviE

159) Vlasov, Juri.j Vasil'eviE capo dell'ariiiiiiiiistrazione dell'Oblast' cli Vladiinir

160) Volkov, Aleksaiidr presiclente clel Consiglio di stato AleksanclroviE dell'Uclmurtia

161) Volkov, Nikolai Micha.jloviC capo clell'amrninistrazione dell'Okrug autonomo clel Birobidian

162) Voloclin, Nikolaj Anclreevii: presiclente della Durna dell'Oblast' di Orel 163) Voroncov, Aleksej AlekseeviC presiclente della Duma clell'Oblast' di Mosca 164) V.juEeiskij, VjaEeslav presidente dell' Assemblea clei deputati

AlekseeviE clell'Okrug autonomo dei Nericy 165) Jakimov, Anatolij MichajloviE capo dell'amministraziorie dell'okrug

autonomo degli Evenki 166) Zabejvorota, Aleksanclr presidente clella Duma dell'Okrug autonomo

IvanoviE eli Tairnyr 167) Zavgaev, Doku GapuroviE capo clella Cecenia 168) Zelent, Ivan ZigmuncloviE presidente dell'Assernblea legislativa

dell'Oblast' cli Irkutsk 169) iahoev, Machiiiud NaziroviE presiclente clel Consiglio clei rappresentanti

clel Parlamento clella Kabarclino-Balkarija 170) Zotin, Vlaclislav Maksiinovi? presidente, capo del goveriio della

Repubblica eli Mari-El 17 1) Zubov, Valerij Michqjlovii: capo dell'ainministrazione del Kraj di

Krasn~jarsk

Fonti: Kossi.jskaja gazeta, 23 jaiivarja 1996, Moskva Novqja gosudarstvennaja Duma nakanune perv0.j sessii, Informacionno-ekspert-

naja gruppa, "Panorama", 10 janvarja 1996, Moskva

A clrrcl cli Piero Nlrssio

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Piero Cric,-ola

UN DIPLOMATICO RUSSO IN MONGOLIA ALL'ALBA DEL XX SECOLO

La carr iera diplomatica di Ivàn JàkovleviE Koròstovetz (Kiev, 1862-Parigi, 1932) è contrassegnata da un'attiva partecipazione e da un'attenta osservazione della politica russa in Estreno Oriente, alla fine del XIX e all'ini7io dei XX secolo. L'Asia fu l'oggetto del maggiore interesse nel suo curscrs honoriinz da Pietroburgo a Lisbona, da Parigi a Londra, da New York e Portsmouth, a Port Arthui; a Pechino, a Urga, a Teheran.

Negli anni 1890-94 lo troviamo in Cina, con funzioni di secondo segretario della 1,ega~ione russa a Pechino. Affascinato da quell'antica civiltà e curioso dei sistemi di educazione ed amministrazione, nonché dell'economia, della filosofia e della religione dei Cinesi, Korostovetz ne scrisse in vari articoli comparsi su riviste russe dell'epoca e poi raccolti in volume sotto il titolo K i t a j q ~ i iclz cii~ilizacijn (I Cinesi e la loro civiltà), ed. Peterburg 1898. Promosso poi capo dipartimento del17Estremo Oriente presso il Ministero degli esteri, egli venne nominato nel 1899 commissario diplomatico nell'amministrazione del Kuantung (una regio- nc cinese data in affitto alla Russia), che era retta dal vice-ammiraglio Evgeni,j IvanoviE Alekseev, comandante delle forze terrestri e navali russe in Estremo Oriente. Durante la rivolta degli xenofobi Boxers (Yihetuan), che negli anni 1900-01 insanguinò la Cina e costrinse le Potenze europee 4u un piede di difesa, Korostovetz ne lasciò testimonianza in uno scritto, Rn~si ja na Dul'rzem Vostoke (La Russia nell'Estremo Oriente), pubblicato solo nel 1922 a Pechino, dov'egli viveva in esilio dopo la Rivoluzione russa del 1917.

Nel 1904, chiamato dal ministro, conte Serge.i Jul'eviE Witte, a par- tecipare come suo segretario ai negoziati col Giappone, dopo la sfortunata conclusione della guerra, accompagnò lo statista in America, alla firma del Trattato di Pace, avvenuta a Portsmouth, con I'intermediazione del Presidente Theodore Roosevelt, il 5 settembre 1905. Anche di tale inis- sione Korostovet7 riferì ampiamente, su incarico del Witte, in un Diario, pubblicato poi nel 1918 nella rivista storica russa Bjlloe (Il passato). Nel

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1920 ne usciva in volume la traduzione inglese, a Londra, col titolo Pre- Wcir Diplomnc?l, the R~isso-Japariese ProOlenz. Trenty signecl rrt Portsnzo~rth, USA, 1905, Diani 0j'J.J. Korostovetz, mentre il testo russo vedrà la luce a Pechino nel 1923, sotto il titolo Stranica iz istorii nrsskoj cliplonicitii. R~issko-,j~iponskie peregovonl v Portsm~lte il 1902 g. (Una pagina di storia della diplomazia russa. I negoziati russo-giapponesi a Portsmouth nel 1905).

Nominato nel 1908 inviato straordinario e ministro plenipotenzia-

. , rio russo a Pechino, Korostovetz vi rimase sino all'autunno 191 1, dimo- strando grande senso di responsabilità ed abilità diplomatica. Richiamato a Pietroburgo, al Ministero degli Esteri, veniva designato nell'agosto 1912 come plenipotenziario ad Urga (l'attuale Ulan Bator) per le trattati- ve col governo ed i principi mongoli, dopoché il paese si era proclamato indipendente dalla Cina, in vista della firma di un Accordo politico e di un Protocollo commerciale con quel paese. Del viaggio e delle vicende della sua missione Korostovetz tenne un diario, che costituì la base di un'opera pubblicata in tedesco a Berlino nel 1926, Vorl Cirzggis Khcrii crir Soi.r.ietrep~iDlik. Eirle krirze Geschichte cler Morlgolei Lrrzter Besonder-er Ber~icksichtig~rrlg cler Neuesterl Zeit (Da Gingis chan alla Repubblica sovietica. Breve storia della Mongolia con una particolare rassegna dei tempi recenti). Però esso non venne pubblicato in russo, nonostante che l'autore l'avesse approntato per la stampa. Dopo la morte di Korostovetz il dattiloscritto, con numerose correzioni e aggiunte di suo pugno, rimase con altre carte paterne al di lui figlio, F1avi.i Ivanovic', che nei primi anni '50 era passato a vivere in Australia. Invano egli sperò di pubblicare i l diario, anche solo nell'elaborazione fattane in inglese, perché i suoi sforzi non furono coronati da successo. Consegnato poi ad un amico,un russo- cinese, nella speranza che si trovasse l 'occasione di darlo alle stampe,anche questo progetto fallì per la sopravvenuta morte del detto amico e solo ad Ol'ga Bakic', redattore-capo della rivista Ro.ssijeirze i1 Acii ( I Russi in Asia), che si pubblica dal 1954, presso il Centro di studi sulla Russia e l'Europa Orientale dell'università di Toronto (Canada), toccherà la ventura di adempiere finalmente al voto di Korostovetz, di suo figlio e clell'amico, che nalle tante vicissitudini dell'emigrazione avevano potuto salvare quelle preziose memorie.

Il diario consta di 68.1 pagine scritte a macchina (ne mancano sei) e porta in fondo la data: "1 9 15, Carskoe selo". Per la cortese autorizzazione ricevuta dalla Rivista canadese succitata, che vivamente ringraziamo, insieme ai nipoti del diplomatico, Sylva e Steno Strazzeri, ne viene qui pubblicata la prima parte, edita nel n0l, autunno 1994, alle pagine 1.13- 249. Nella traduzione italiana si è fatto luogo a qualche "taglio", per non

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appesantire troppo il testo, già di per sé un po' prolisso. Ciò non toglie che, cone constaterà i l leltore, il diario contiene delle pagine di grande interesse, lo stile è sciolto e vivace e l'occhio spazia su quel lontano Paese con una libertà e ampiezza di vedute, da fàrci pensare talvolta alle narrazioni degli antichi viaggiatori in Oriente.

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Dirrrio

Ivnn Korostovet;

NOVE MESI IN MONGOLIA

(Diario di un plenipotenziario russo a Urga dall'agosto 1912 al mag- gio 1913)

Nel dicembre 191 1, poco dopo i l mio ritorno da Pechino, dove ero ambasciatore dal 1908, mi capitò di conversare due volte col ministro degli affari esteri Sergèi Dmìtrievit Sazonov sulla situazione in Cina. Là era appena incominciata la rivoluzione, e a Pietroburgo ancora non aveva- no deciso come comportarsi di fronte a un tale avvenimento. (Queste con- versazioni si ripetettero in gennaio, in quanto) Sazonov s'interessava del mio punto di vista sulla situazione cinese e sui possibili mutamenti politi- ci in quel paese. Io espressi l'opinione che il movimento rivoluzionario assumesse un carattere prolungato, che fosse possibile i l rovesciamento della dinastia e la presa di potere di Juan' Si-Kai, i l più ambizioso ed energico personaggio fra quanti io colà conoscevo, o persino che la Cina si spezzasse in due parti, il nord e il sud, con l'avvento nel sud di una repubblica, ma che in genere il periodo di turbolenze dovesse per\istere a lungo in Cina, a prescindere dalla forma di governo.

Quando i l discorso cadde sulla questione mongola e sui nostri rap- porti coi mongoli, che poco tempo prima avevano proclamato la loro indi- pendenza', mi espre\si a favore dell'appoggio della stessa e dell'oflèrta ai mongoli di un aiuto morale e materiale. Mi riferii ai miei precedenti rap- porti da Pechino e indicai i l pericolo che la Cina venisse a trovarsi in immediata propinquità con la Siberia, al posto dell'attuale Mongolia con la sua scarsa (pacifica) popolazione di pastori. Alla domanda di Sazonov come poter ottenere una tale indipendenza e soprattutto il suo riconosci- mento da parte della Cina, senza ina\prire i rapporti e provocare azioni di guerra, io proposi di presentare nuovamente in forma più categorica, e persino ricorrendo alla coerci~ione, quelle richieite che per mia stessa ini- ziativa erano state presentate a Pechino nel settembre e ottobre, e precisa- mente: la conservazione nella Mongolia Esterna (cluella confinante con la Russia) del precedente secolare regime amministrativo e del governo dei

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Principi, i l divieto d'introdurre nel paese truppe cinesi, l'insediamento di guarnigioni permanenti e l'interruzione di ogni colonizzazione cinese.

Il ministro replicò che tali condizioni erano già state proposte al governo cinese, a mio mezzo, a Pechino, che i cinesi le avevano decisa- mente respinte e non volevano neppure prenderle in considerazione. Egli era perciò convinto dell'inutilità delle nuove insistenze e inoltre che i mongoli, a suo parere, fossero incapaci di autogovernarsi e non aprezzas- sero punto i passi fatti in loro favore. La realizzazione pratica di un tale programma avrebbe condotto soltanto a uno scontro con la Cina e in genere avrebbe inasprito i rapporti. "Tutto ciò, - osservava Sazonov, - avrà un carattere di avventura, darà luogo a enormi sacrifici per il gover- no e ci alienerà l'occidente, dove sono concentrati i nostri principali inte- r e ~ ~ Alla fin fine, quando i n~ongoli avranno scoperto la loro completa incapacità all'autonomia, ci toccherà di stabilire un protettorato o persino di annettere la Mongola settentrionale, ciò che non farà che indebolire la nostra posizione in Europa. La Russia non ha bisogno di nuovi ingrandi- menti di terre, in quanto non è in grado neppure di ben governare l'attuale \uo territorio".

Inoltre il ministro prese a giudicare n~olto duramente la mia azione nella questione dell'Urjanchaj. Questa, a suo dire, prima di me non esiste- va, ed io l'avevo inventata, traendo in inganno il Ministero e l'opinione pubblica russa. "Il territorio dell'Urjanchaj, - osservò Sazonov, - nono- stante le vostre dimostrazioni sulla discutibilità dei confini, appartiene senza dubbio ai cinesi. I dati e le carte da voi presentate vennero per mio ordine confrontati con gli atti e le carte dell'Archivio di Stato dal funzio- nario Belokurov, anzi risulta che l'attuale confine, stabilito dal trattato del 1727, che passa per la catena del Sajan e lascia a sud il territorio dell'Urjancha.j, è i l vero confine tra la Russia e la Cina. Belokurov ha pro- vato che il territorio del1'Urjancha.j non è mai stato nostro e che non esiste alcun motivo di discussione sui confini".

Io replicai al Ministro che raccomandando di occupare, o meglio di . delimitare i confini del territorio dell'Urjancha.j, mi ero basato non già su

considerazioni storiche o geografiche, ma solo politiche. L'ostilità della Cina, manifestatasi dopo la guerra col Giappone, la sua violazione dei trattati e la volontà di espellerci dalla Manciuria settentrionale, infine le misure persecutorie contro i coloni russi nel territorio dell'Urjancliaj, ci aievano dato sufficiente motivo di richiamarci all'indeterminatezza del confine, riconosciuta dagli stessi cinesi, e di cercare di fàre di quel territo- rio un "cuscinetto", o per lo meno di stabilire uno speciale regime politico per i coloni e i cercatori d'oro russi, angariati dall'amministrazione cine- \e. S'intende che in questo caso io tenevo conto dei nostri interes5i e che

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dal materiale esistente in forma di carte, di precedenti e di trattati avevo preso solo quello che corrispondeva al nostro vantaggio, interpretando a nostro profitto tutte le reticenze e le contraddizioni. Inoltre alla fine gli stessi cinesi, cioè i ministri, affatto all'oscuro della geografia della Mongolia Occidentale e del Turkestan cinese, e della questione dei confi- ni, avevano cominciato a dimostrarsi titubanti nelle loro affermazioni. [...l

[Un'altra conversazione col ministro ebbe luogo nel gennaio 1912, dopo il mutamento politico a Pechino, il rovesciamento della dinastia e la proclamazione della repubblica, però questa volta Sazonov sembrò vede- re con maggior favore il riconoscimento dell'autonomia mongola. Korostovetz ebbe allora due colloqui sui predetti argomenti anche col presidente del consiglio dei ministri, Vladimir Nikolaevi? Kokovcev, al quale manifestò le stesse opinioni espresse nelle conversazioni avute con Sazonov. A f ine lugl io 19 12 Korostovetz venne a sapere che a Pietroburgo i l suo consiglio di giungere a un trattato coi Principi mongoli era stato preso in considerazione dal Governo e che egli era indicato come la persona più adatta per questa missione.]

Partii da Pietroburgo con la ferrovia transiberiana via Vologda. Mi accompagnavano soltanto i figli e la figlia, nonché un funzionario del Ministero degli affari esteri, A, I. Kuchnov. Alla stazione, prima della partenza del treno, comparve il segretario della misione cinese, mandato probabilmente ad accertare se partivo per l'Est. L'ambasciatore cinese aveva infatti poco prima interpellato il Ministero riguardo alle voci sulla mia missione ad Urga. Gli era stato risposto ch'io mi trovavo a N i z ~ a e che non mi era stato affidato alcun incarico.

(I1 nostro viaggio sino a Irkut5k si svolse felicemente). Ci impie- gammo sei giorni. Fra i passeggeri si trovava la moglie di un uomo d'affari, industriale dell'oro di Kjachta, Lus'nikov, un'attraente biondina che nel corso del viaggio c'intrattenne cantando romanze zingaresche. Saputo che ero diretto a Kjachta, mi propose di fermarmi in casa loro, prevenenclomi che gli alberghi locali erano cattivi. I1 secondo binario della ferrovia siberiana è in corso di costruzione; a mio parere, è questo un argomento più persuasivo delle note diplomatiche, ai fini del successo delle trattative con cinesi e giapponesi.

A Irkutsk mi venne incontro il mio vecchio compagno di Port Arthur, El'tekov, che aveva funzioni d'impiegato del Ministero degli affa- ri esteri presso il generale governatore di Irkutsk. Mi comunicò che per ordine ricevuto da Pietroburgo mi avrebbe accompagnato a Urga. Io mi

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fermai nel miglior albergo di Irkutsk, il "Centrale" (abbastanza pulito, ma rumoroso, con ristorante), del solito tipo russo, cioè alquanto sporco, chiassoso, senza bagno, ma con palcoscenico di teatro e orchestra. Feci visita al generale governatore Kn.jazev e al vice-comandante militare, generale Ebelov. Comunicai a entrambi il testo dell'accordo proposto ai mongoli e le istruzioni ricevute. Kn.jazev mi fece un'ottima impressione come di un uomo intelligente, competente e attivo: egli dimostrò interesse alla mia missione e si disse favorevole all'idea dell'autonomia della Mongolia sotto il protettorato della Russia.

Ebelov ai parve un uomo (assai) mediocre, poco al corrente della nostra politica in Estremo Oriente e, in particolare, della questione mon- gola. Avendo appreso da un telegramma giunto già ad Irkutsk che i cinesi concentravano truppe nella Mongolia Occidentale e si preparavano ad attaccare Kobdo, io avvertii Ebelov che, con ogni probabilità, avremmo dovuto inviare un reparto nella Mongolia Occidentale, soprattutto se a\.essimo concluso l'accordo coi mongoli e ci fossimo impegnati a difen- derli dalla Cina: che un tale reparto avrebbe dovuto essere preparato in tempo, onde intervenire prima dei geli e prevenire l'arrivo dei cinesi almeno a Ul.jasuta.i, distante mille verste da Urga. Ebelov rispose che in assenza del comandante delle truppe, generale Ebert, non si riteneva auto- rizzato a fare alcuna promessa, ma che personalmente era convinto dell'impossibilità di una tale campagna non solo durante l'inverno, ma neppure in ottobre o novembre, data la mancanza di approvvigionamenti lungo i l cammino, la difficoltà di procurarsi foraggio e vettovaglie, la severità del clima e (in generale le più diverse difficoltà), ecc., e che in questo senso ne avrebbe riferito al comandante. Altrettanto poco simpati- camente Ebelov rispose alla mia richiesta di procurargli fucili e mitraglia- trici per i mongoli, anche pagandoli. I1 colloquio con Ebelov dimostrò cli'io non trovavo la necessaria assistenza da parte delle nostre forze armate. I1 suo atteggiamento nei confronti dell'affare di Stato affidatomi mi ricordò i l soggiorno mio a Port Arthur nel 1899-1901 e i miei scontri coi generali Stessel, Bazi1evski.i e gli altri funzionari militari dell'Estremo Oriente, che si erano ostinati a non riconoscere i funzionari civili e la loro attività.

Irkutsk S una città pittoresca, specialmente bello è il lungofiume del poderoso e ricco d'acque Angara, ma è mal costruita e sporca, come la maggior parte delle nostre città. Durante la mia permanenza a Irkutsk il 14 e 15 settembre il tempo era bello e fresco e ci toccò indossare un soprabito da mezza stagione. I1 15 settembre partii con El'tekov su un treno locale per la città di Verchneudinsk, dove giungemmo il mattino del giorno dopo. Questa cittadina, posta sul fiume Selenga, non presenta

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nulla di notevole: grandi vie non selciate, coperte di uno spesso strato di sabbia, basse case fatte di tronchi di legno (del tipo solito in Siberia). La maggioran~a della popolazione è formata di burjati. Mentre bevevamo il tè in un (piuttosto) misero albergo, i l "Sibir"', i l capo del distretto, al quale avevo presentato il mio passaporto di corriere diplomatico, ci mandò due tarantc~s', attaccati a trojke di cavalli. Di qui una strada posta- le porta a K.jachta. Sebbene all'imbarcadero fosse ancorato i l piroscafo "Rabotnik", che si preparava a partire due giorni dopo, io decisi di non servirmene temendo le fermate e gli arenamenti nelle secche.

Lasciata Verchneudinsk, attraversammo il Selenpa su un traghetto e proseguimmo abbastan~a velocemente per terreni ondulati, dove cresce- vano cespugli e bassa bo5caglia. Quel giorno percorremmo circa 80 ver- ste. I cavalli burjati, anche se di piccola statura, sono veloci e resistenti. Pernottammo nel villaggio di Obukum in una angusta e piuttosto sporca stazione di posta. Nella stanza grande dormiva la maestra del villaeg' i o e anche un'altra donna. Noi ci sistemammo là. Io quasi non dormii a causa dell'afa, delle pulci e delle cimici. Partimmo all'alba e viaggiammo tutto il giorno, cambiando i cavalli, con fermate più prolungate solo presso il lago Gusin e a Selenginsk, centro del nostro lamato burjato. L'Oltrebajkal in genere è un paese assi pittoresco: monti, boschi e piccoli fiumi, poche la paludi. I villaggi dei "vecchi credenti" e dei burjati hanno un aspetto più che decente e sono ben costruiti. I burjati incontrati lungo la strada, a piedi o in calessini (hanno un'aria di persone civili), dànno l'impressione di essere più civili dei nostri contadini. Per il tipo e il modo di fare essi (sono simili ai nostri ) ricordano i nostri finlandesi.

Giunti a Kjachta di notte, noi dapprima passammo dai LuSnikov, ma senza bussare, ci dirigemmo all'abitazione del commissario di frontie- ra, colonnello Chitrovo, a me noto ancora dai tempi di Pechino e della Manciuria, dov'egli prestava servizio nella guardia d'0ltreamiir a Charbin, espletando (nello stesso tempo) funrioni di nostro agente per la Mongolia. Risulto che ci aspettava ed aveva persino preparato la cena. Chitrovo si ritiene un conoscitore dei mongoli ed è persuaso che la rivolu- zione in Mongolia e il suo distacco dalla Cina siano avvenuti per sua influenza. E' un gran chiacchierone, e il mio arrivo provocò fiumi di elo- quenza sul tema dei nostri compiti in Mongolia. Tra l'altro, egli comunicò che da Urga era giunta notizia che l'inviato cinese Najantu (del quale si è già fatto cenno) ( 4 sforza di farsi ricevere) cerca di arrivare ad Urga per delle trattative e che i ministri mongoli e persino Chutuchta cominciano a tendere verso un riavvicinamento alla Cina. Soprattutto esita i l primo ministro principe Sain-Noin. Così l'intluenza ru\sa, a sentire Chitrovo, perderà terreno di fronte agli intrighi cinesi.

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Mentre, a quanto pare, noi non sosteniamo i nostri partigiani, per esempio, Dalailia e Chajsan. Sono costoro i mongoli clic fecero parte della deputazione inviata a Pietroburgo nel 191 1, per chiedere al Governo russo la protezione contro la Cina.

Kjachta è composta della città russa e cinese. Nella prima vi sono larghe vie lastricate, belle case di pietra e una nobile cattedrale con una preziosa iconostasi di marmo, molto oro, argento e pietre preziose.

, Mentre la cinese Majmaten, dove vivono i mercanti cinesi, governati dal loro anziano, è una cittaduzza piuttosto sporca e squallida. A due verste da Kjachta sorge un'altra città, Troickosavsk, che è il centro dell'ammini- \trazione russa, relativamente ben costruita e bella. Qui vi sono grandi caserme, occupate da considerevoli reparti di truppa.

Durante i l mio soggiorno a Kjachta si presentò a me una deputazio- ne di ministri mongoli, che mi diedero i l benvenuto e mi offrirono un chrr- rltrh (sciarpa di seta che i mongoli si scambiano negli incontri ufficiali). A Troicko\avsk dovemmo rifornirci di oggetti casalinghi. Io acquistai pure una casca da bagno in ~ i n c o , perché un tale lusso non esiste ad Urga. Fumino in visita dai LuSnikov. Sono vecchi abitanti di Kjachta e aristocra- tici. I1 padre si fece una fortuna col commercio del tè. I figli continuano in tale attività e inoltre si occupano di indwtria aurifera e di allevamento di cavalli. Il vecchio M.A. LuSnihov, molto intelligente e simpatico, ci fornì interessanti particolari sulle locali condiliioni di vita, sulla situazione del nostro commercio e sulle relazioni con la Mongolia. Quando il discorso cadde sul nostro console Ljub6, LuSnikov prese a criticare la sua condotta, che pareva diretta contro lo spirito d'iniziativa russo. Egli era cvidente- mente scontento di Ljub6, perché costui aveva rifiutato i l suo appoggio alla richiesta di concessione di una miniera d'oro in Mongolia, dando la preferenza (per ordine di Pietroburgo) alla società di sfruttamento aurifero Mongolor. I l direttore di quest'ultirna, un energico suddito russo, di nome Grot, era partito da Urga poco prima del mio arrivo, non volendo ricono- scere, a quanto pare, i l nuovo governo mongolo.

Lasciamilio K.jachta il 19 settembre, al mattino, in un grande tarcirt- t o ~ , con attacco alla mongola. Alle stanghe è stata legata una pertica (dcrnlr!j~(r), sotto la quale si piazzano dei mongoli a cavallo e l'attaccano all'arco anteriore della sella, appoggiandola al ventre. Due altri mongoli a cavallo tengono le estremità delle redini, legate alle punte della pertica, e aiutano a tirare nei tratti in salita o a sostenere in quelli in discesa. Non c'è cocchiere, e i nostri bagagli sono imballati in serpa. Con noi viaggia

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un interprete del consolato, allievo della scuola di Urga, a cavallo. Inoltre mi sono fatto dare da Chitrovo un suo giovane servitore, che è stato spe- dito su un biroccino con la roba. A fianco del tLirnntcrs, davanti e dietro, galoppano due decine di mongoli di scorta, cambiandosi durante i l tragit- to. Mi accompagna un drappello di cosacchi al comando di un urjìrtlrlik?.

Per gli uomini che guidano la carrozza dev'essere dura impresa. Inoltre essi rischiano continuamente di venire storpiati e persino la vita, se il cavallo s'inciampa e il cavaliere cade sotto il pesante equipaggio o sotto il clcimrzjirr: Nonostante ciò, l'umore dei miei cavalieri è tutt'altro che triste, spesso echeggiano risate e volano scherzi. Avanti cento saien'" galoppa Czangin ( i l capo dell'iirrorz, ci02 della stazione di posta o del tra- gitto fra due stazioni), avvertendoci a segni sugli ostacoli e accidentalità del terreno. Il tarcuztcis procede senza badare alla strada, che del resto non esiste, e senza fermarsi dinanzi ai massi e ai piccoli canali. I cavalieri, nei loro chalcity5 colorati, bizzarri berretti guarniti di pelliccia di volpe, e con stivali grossi e larghi (giir~ily) dai bordi rivoltati, presentano uno spettaco- lo non poco pittoresco, rimandando l'immaginazione ai tempi antichi delle invasioni tartare o dell'emigrazione dei popoli. Fra i galoppanti vi sono anche delle donne, dall'aspetto piuttosto attraente. Esse sono al lavoro con lo stesso zelo e bravura degli uomini.

Questa folle corsa per i monti e le steppe della Mongolia lascia un'inclelebile impressione per la rapidità del movimento, la bellezza dei luoghi e (infine, persino per un certo) rischio, fiacchi oltre ai continui sobbalzi e forti scossoni che fanno saltare i passeggeri quasi all'altezza di un arSin 6 è facile capovolgersi e finire in un burrone. Da Kjachta a Urga ci sono circa 300 verste, divise in 12 stazioni:Gelannur, Ibicyk, Iro, Kultungol, Urmukta.j, Baingol, Chara, Chur,jumtu, Batyrczak, Chuncal, Burgu1ta.j e Kuj. Noi attraversammo i fiumi Iro e Chara, affluenti del Selenga, e due volte ci fermammo a pernottare in jurte di grosso feltro piantate appositamente per il nostro arrivo dal governo mongolo. Analoghe jurte erano state preparate per le soste diurne. I1 pavimento di assi era coperto di tappeti e giacigli, in un angolo di solito c'era un basso tavolino con focacce di kunz?ls 7 secco e una brocca di tè di tavoletta. Ad una mezza versta dalla jurta ci vengono incontro i capi delle locali stazio- ni di posta e si mettono ginocchioni: e, fatto un profondo inchino dinanzi alla carrozza che passa, montano a cavallo e si uniscono alla cavalcata. Dinanzi alla jurta avviene i l secondo solenne incontro degli anziani locali.

I,e prime cento verste della strada si stendono per un terreno abba- stanza montuoso, in parte coperto di boschi, indi si procede attraverso alture spoglie e larghe vallate. Intorno alle jurte delle stazioni di posta pascolano mandrie di cavalli, dei quali due decine sellati, legati e con

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pastoie alle zampe, preparati per noi. I cavalli sono piccoli, arruffati e di brutto aspetto, ma molto resktenti. Quasi ad ogni stazione il procedimen- to per la monta in sella dei mongoli è accompagnato da lotte tra cavalli e cavalieri, in quanto gli animali scalciano, s'impennano e malvolentieri si lasciano montare. Se al mongolo non riesce di mettersi in sella e il cavallo lo sbatte a terra, tra i presenti si diffonde un riso bonario. I1 mongolo, come se niente fosse, cerca di rimontare in sella, ciò che di solito gli rie- sce. I cavalieri e i cavalli mongoli si danno il cambio ad ogni stazione. Io compiangevo i nostri cosacchi che cambiavano sì i cavalli, ma non aveva- no il tempo di riposare, perché le soste erano molto brevi, non più di un quano d'ora. Noi facemmo solo due "grandi alt" per la colazione a mez- zogiorno e poi per il tè fra le 4 e le 5.

Di giorno il sole scotta, ma durante la notte si va sotto zero e noi ci coricavamo nei giacigli vestiti, imbacuccandoci nelle coperte. I1 punto più difficile fu il valico di Charadoban, un'alta catena di monti coperta di boschi. La strada, assai ripida e cosparsa di sassi, diventa molto peggiore in discesa, per via dei fitti cespugli e dei pantani. Viaggiare era così mala- pcvole ch'io salii a piedi verso il crinale, e poi montai a cavallo. Ma non fu meglio, giacché stare seduto su una sella mongola, stretta e dura, con corte staffe, è un martirio.

Per I'lirrorz, cioè i l tragitto, pagai da 10 a 15 rubli, data la lunghez- za e difficoltà del percorso. Di solito si pagano tre rubli, ma dovetti darne 3 e 4 volte tanto, per i l numero dei vetturali e dei cavalli, messi a mia disposizione per ordine di Chutuchta. Si dice che abbiano raccolto sino a mille cavalli. Tutto il viaggio, contando le mance, costò circa 200 rubli. Somma notevole, considerata la distanza di 300 verste e che eravamo solo tre e con poco bagaglio.

Lungo la strada s'incontrano delle carovane di sarlyki (buoi muschiati) e cammelli sotto i basti e attaccati a bassi birocci. A Urga e a U1jasuta.i importano tessuti, zucchero, vasellame, oggetti di ferro e spezie, mentre da Urga vengono espostati cuoi, lana, pellicce e altri prodotti grez- zi. Al confine si svolge un attivo commercio di legname, fieno, selvaggi- na e pesce, importati dalla Mongolia in Russia. Assai spesso capitano qui dei viaggiatori russi in rnrri~iras e telegig: sono mercanti e rappresentanti di ditte commerciali. Essi viaggiano senza fretta sempre con gli stessi cavalli, facendo tappe per nutrirli e per il riposo. Ad alcune verste da Urga, durante i l cambio dei cavalieri, sotto il clanlrzjur uno dei cavalli s'impuntò, fece cadere i l mongolo, (e a seguito di una mossa brusca) la stanga si ruppe e bisognò fermarsi e ripararla.

A Urga giungemmo i l 21 settembre. Quando stavamo avvicinando- ci alla città, ci vennero a dare i l benvenuto alcuni funzionari mongoli, che

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mi offrirono un cltaclak d'onore, a nome di Chutuchta. A cinque verste dalla città incontrammo dei ministri mongoli, i l personale del consolato e i rappresentanti della colonia russa, raccolti\i presso delle tende colorate. Qui fu preparato i l solito banchetto alla mongola per accogliere gli o5piti: dolci, focacce di kumys secco e tè. Dopo i reciproci saluti e lo scambio di cortesie io dichiarai ai ministri mongoli che ero stato mandato per delle trattative col loro governo e li invitai a favorire quel giorno stesso al con- solato. Qui comparce l'inevitabile fotografo, che ci ritrasse tutti.

I Dopo aver ringraziato per l'accoglienza e salutata la scorta co5ac- ca, sedetti in vettura con Ljubà e mi diressi al consolato. Lungo la strada passammo per la stessa città di Urga, per i l bazar, accanto al quartiere dei mercanti russi e riuscimmo all'aperto, per una via che conduceva alla seconda borgata russa e alla città cinese di MajmaEen. Giungemmo al consolato circa a me~zogiorno.

L'edificio del consolato è a due piani, di legno, del tipo caserma, intonacato e verniciato di bianco, con due jligel'9 separati ai lati e degli annessi, di grossi tronchi, per i wrvizi.

Tutte le costruzioni sono vetuste e trascurate. Non lontano dal con- solato sorgono alcune misere casette e delle caserme per le scorte e gli ufficiali. Circonda i l consolato un piccolo fossato e un baluardo, costruito nel 1900, quando si temevano disordini. Dinanzi all'edificio principale del consolato c'è un'aiuola dove crescono erbacce, con dei sentieri battuti che l'attraversano. I1 sito per esso venne scelto dal conte N.P. Ignat'ev, cluando passò nel 1859 per Urga, diretto a Pechino, dove era stato coman- dato in qualità d'inviato straordinario. I1 nostro primo console ad Urga fu un burjato del1701trebajkal, SiSmarev, che ricevette cluest'importante cari- ca g ra~ ie alla protezione del generale-governatore della Siberia Orientale, Murav'ev-Amurskii. SiSmarev era stato accanto a Murav'ev al tempo della stipulazione da parte sua del noto trattato di Aigun, in qualità di interprete. (In forza di tale trattato, concluso nel 1858 appunto dal Murav'ev, la Cina aveva ceduto alla Russia la riva sinistra del fiume Ainur e consentito alla navigazione e al commercio dei russi sui fiumi Amur, Ussuri e Sungari). Con una certa abilità da maneggione, SiSmarev aveva saputo meritarsi la fiducia di Murav'ev e da lui passò ad Ignat'ev, che lo raccomandò al Ministero degli affari esteri, quando sorse il proble- ma dell'apertura di un consolato a Urga sulla base dell'accordo di Pechino. Capitato a Urga, questo (incolto) burjato lasciò la sua impronta si1 tutta la susseguente attività del consolato russo, che purtroppo era lungi dal corris~ondere sempre ai nostri interessi in Mongolia. (L'unico) serio merito di SiSmarev era la sua conoscenza della lingua mongola, dei costumi, degli u\i e del carattere dei inongoli. Purtroppo queste conoscen-

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ze vennero da lui poco utilizzate per rafforzare l'influenza e gli interessi russi.

L'aspetto esterno degli edifici del consolato era abbastan~a pittore- \co, per i monti che si elevavano tutt'intorno ad essi. Specialmente bella era la catena montuosa di Rogdo-Ola ( i l Monte sacro), coperta di boschi. Ai suoi piedi scorre rapido il Tola, dal quale gli abitanti attingono l'acqua. Non vi sono pozzi in città, e poiché tutte le sue immondczze finiscono nel

. Tola, la qualità dell'acqua è molto (sospetta) cattiva. I1 consolato si distin- gue per la sua estrema sporcizia, accumulatasi durante lunghi anni di sog- giorno dei nostri incolti funzionari. Le camere sono degli autentici cimi- ciai. l,e cimici si sono fatti dei nidi nei muri, e in nessun modo ora le si può cacciar via. Io passai nell'ufficio principale solo una notte e il giorno dopo, per salvarmi dal]: cimici, mi trasferii nelfligel', dove vive il drago- inanno del consolato, SCerbaCev, che è in pensione. Insieme a me si tra- sferì anche El'tekov.

Subito al mio arrivo consegnai a I,.jubà i l testo russo dell'Accordo e del Protocollo e gli ordinai di tradurli in mongolo. Poi indiri7zai una let- tera di saluto a Chutuchta con la noti7ia del mio arrivo e la preghiera di ricevermi in udienza. Durante il giorno ebbi la visita del presidente del cc~nsiglio dei ministri, principe Sain-Noin, uno dei più intluenti, padrone di un grosso choSiirz (principato). Sain-Noin-chan è un giovane mongolo di 35 anni, con un'espressione del viso simpatica, un po' femminea. Egli si comporta con grande dignità e tatto. Una larga klrrnzu color arancio coperla di ricami e un alto berretto mongolico, guarnito di pelliccia e ornato di penne di pavone (segno di dignità principesca) e di nastri rossi di raso, gli confcriscono un aspetto imponente. Sain-Noin ha fama di opportunista, che vuole conservare buoni rapporti sia coi russi che coi cinesi e non ha fiducia né negli uni né negli altri.

Presa conoscenza del progetto di trattato, Ljubà lo trovò vantaggio- so per i mongoli. Egli pensa che bisognerebbe inoltre arrogarsi il diritto di costruire delle ferrovie e una rete telegrafica e di dare ai consoli la possi- bilità di servirsi delle comunicazioni postali, cioè degli urtori. A suo pare- re i mongoli. probabilmente, condizioneranno il loro consenso alla forni- tura da parte nostra di armi e alla concessione di un prestito. Senza dub- bio Ljubà conosce i mongoli e la Mongolia, dove ha trascorso molti anni del suo servizio (dei quali dieci anni a Urga, come segretario e gerente del consolato). Negli ultimi tempi è m t o console nella città di Sarasume nella Mongolia Occidentale. Indubbiamente è un uomo intelligente, anche se si è un po' "mongolizzato" in fatto di bisogni ed abitudini. Inoltre Ljubà, come quelli che hanno vissuto a lungo in un certo ambiente, nutre una serie di preconcetti riguardo ai mongoli, al loro ruolo e al rapporto

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che con essi hanno la Russia e la Cina. Così, al pari di Si~marev, egli non ritiene i mongoli capaci di vita e progresso statale autonomo e pensa che sia destino della Mongolia di venire assorbita ed assimilata dalla Cina. Gli ultimi avvenimenti, cioè i l distacco dalla Cina e il suo volgersi verso il protettorato della Russia, gli sembrano una casualità, e non l'insorgere di una coscienza nazionale. Egli, come Si~marev, è un convinto partigia- no della Cina e trova impensabile una concorrenza tra russi e cinesi e che a noi rimanga solo di andarcene dalla Mongolia

Fra i russi L,jubà non è popolare a causa dell'eccessivo formalismo dimostrato in vari problemi interessanti i nostri sudditi, per esempio, la proprietà di terre, le concessioni, ecc. Egli venne allontanato da Charbin, dove aveva funzioni di console generale per delle malversazioni (sebbene queste fossero state commesse da un usciere addetto al vice-consolato), peraltro a lui non imputabili. I1 processo si trascina sino ad oggi e di cesto nuoce all'autorità e alla posizione di L.jubà in quanto rappresentante russo. Nelle relazioni sociali egli è un piacevole ed arguto conversatore.

22 settembre. Familiarizzatomi con l'ambiente e saputo che in Mongolia Occidentale ci si poteva aspettare un attacco dei cinesi contro Kobdo, dove non c'era che un modestissimo reparto di mongoli e una piccola scorta di cosacchi, io mandai un telegramma al ministro con la proposta di trasferire colà da Urga 200 cosacchi e un plotone armato di mitragliatrici, e al loro posto di richiamare da Troickosavsk i l reggimento di Verchneudinsk. I1 comandante della scorta cosacca, l'esaiill0, dichiarò che per sua personale esperienza era ben possibile una campagna autun- nale di un piccolo reparto di cavalleria contro Kobdo, ma richiedeva l'approvvigionamento della carovana con del foraggio, giacché stava già venendo meno la pastura e i mongoli non potevano fornire né fieno né avena. Qualcosa disse i l generale Ebelov, che pure tanto si era opposto all'invio di un nostro reparto.

Nell'esaminare insieme a L,jubà il testo definitivo del17Accordo e del Protocollo io decisi di aggiungere un articolo sul diritto della Russia ed aprire dovunque in Mongolia dei consolati (diritto che era contestato dalla Cina). Aggiunsi anche un articolo che i mongoli non potessero vio- lare o modificare i l nostro Accordo, se in seguito ne avessero concluso uno con la Cina. Ciò fu da me fatto per prevenire i tentativi dei mongoli di concertarsi coi cinesi. [...l

Il segretario del consolato, Popov, occupa i l piano inferiore dell'edificio. Sua moglie, una donna assai giovane, si è lagnata per le

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dure condizioni di vita, la difficoltà di approvvigionamenti e in genere dei riiòrnimenti del necessario, e per la sporcizia. Anch'essi sono divorati dalle cimici, alle quali non ci si può sottrail-e. Andai a visitare gli alloggi degli ufficiali e le caserme. Gli ufficiali della scorta Kejzer, Rezuchin e Krasnov occupano due piccole izbe, d'aspetto ben poco attraente.

I sofiitti sono sostenuti da puntelli, le pareti fatte di tronchi, dovun- que stufe che funzionano male. Tutto ciò ricorda piuttosto un porcile che delle abitazioni umane. I cortili sono sudici, pieni di letame non spalato e di mucchi di iinmondizie. Sì, non è esigente l'uomo russo.

La prima riunione dei ministri mongoli ebbe luogo nella sala da ricevere del consolato, con la partecipazione di L.jubà, di Popov, di El'tekov ed essendo inte~prcte il burlato Cerempylov, in servizio al con- solato. Dicono ch'egli si valga di tale sua posizione per prendere tangenti dai mongoli e dai russi e inoltre che (pratica l'usura) fa prestiti ai principi e ai mongoli solvibili ad alti interessi. (Non garantisco la veridicità di quanto sopra. In ogni caso egli mantiene oggi un bel tenore di vita).

Chitrovo, tra l'altro, ini consigliò di mandarlo via e in tutti i casi di non valermi dei suoi servigi, proponendomi i l suo interprete personale, un certo Mal'cov. Ljuuh, senza negare la tendenza di Cerempylov all'avidità di denaro, afferma che quel burjato gode di grande influenza tra i nobili mongoli e persino presso lo stesso Chutuchta e che non lo si dovrebbe

, allontanare. Inoltre che non ci sono altri inteipreti e ci si deve per neces- sità servire di Cerempylov, nonostante la sua non bella reputazione e cat- tiva conoscenza della lingua russa.

Alla prima riunione erano presenti i sovranominati (presidente del consiglio dei ministri) Sain-Noin-chan, i l ministro degli affari esteri Chandavan, il ministro degli interni Dalama (questi due avevano fatto parte della nota deputazione recatasi a Pietroburg~ nel 19 1 l), il ministro delle finanze TuSetu-chan (diretto discendente di Cingis-chan), il ministro della giustizia Erdenivan Namsara.j e i l ministro della guerra Dala.jvan. Questo primo Gabinetto mongolo era stato formato subito dopo la dichia- razione d'indipendenza della Mongolia e da allora la sua composizione non era cambiata. I1 predecessore di Sain-Noin, come yrenlier; era stato Crasaktu-chan, che pare fosse stato avvelenato per le sue segrete intese coi cinesi. E' questo i l modo usuale in Mongolia per eliminare gli alti dignitari caduti in disgrazia.

Dopo i saluti di benvenuto io spiegai ai principi riuniti che il Governo russo aveva sempre avuto un occhio benevolo verso la Mongolia e dato in passato molte prove della sua simpatia per quel popolo. Attualmente, di fronte alla difficile situazione in cui versa, la Russia è pronta a venire incontro ad essa non solo col consiglio, ma coi fatti. Se i

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mongoli ne vogliono approfittare, debbono accettare la propwta del Governo russo riguardo alla conclusione di un trattato. Un tale atto non soltanto rafforzerebbe in modo tangibile i legami tra Russia e Mongolia, ma, essendo un riconoscimento indiretto della sua autonomia e legitti- mità, sotto un profilo giuriclico darebbe lustro alla sua posizione interna- zionale. Spiegai poi ch'ero stato inviato in missione con lo speciale fine di proporre un tale accordo e che la scelta era caduta su di me perché nel corso della mia ambasciata a Pechino (ancor prima della rivoluzione cine- se avevo avuto degli interessi) mi ero interessato degli affari della Mongolia. Su mia proposta il consolato generale aveva preso le parti di Chutuchta nel suo conflitto con un rivale, su mia insistenza erano state fornite armi ai mongoli e rafforzata la scorta al consolato e infine il nostro Governo aveva accolta la deputazione mongola venuta a Pietroburgo nel 191 1. Speravo dunque che i mongoli apprezzassero i miei sforzi a pro dell'autonomia da loro conseguita e avessero piena fiducia nelle mie parole. Dopodiché consegnai ai principi i testi in mongolo dell' Accordo e del Protocollo, pregandoli di prendere visione del loro contenuto.

Dalama a nome dei suoi colleghi rispose che il governo mongolo apprezzava assai l'atteggiamento benevolo della Russia e ringraziava per l'attenzione dimostrata nell'invio di uno speciale plenipotenziario. I Mongoli erano pronti a stringere un accordo con la Russia, ma avrebbero prima desiderato esaminare le condi7ioni proposte e chiarire come un tale accordo poteva riflettersi nelle loro relazioni con la Cina. Inoltre essi rite- nevano assai importante giungere all'indipendenza e alla riunione non solo della Mongolia Esterna o Chalcha, ma pure della Mongolia Interna, giacché il destino di quest'ultima stava altrettanto a cuore al governo mongolo. Io risposi che avevo incarico di condurre delle trattative per quella parte della Mongolia che di fatto si era staccata dalla Cina ed aveva riconosciuto i l potere civile di Chutuchta. Quanto alla Mongolia Interna, essa poteva in un secondo tempo aderire all'accordo, quando la posizione della Mongolia Esterna fosse stata regolarizzata e stabiliti dei rapporti con la Cina. Allora Dalama dichiarò che in genere i mongoli si trovano in una posizione difficile, in quanto anche la Cina intende strin- gere un accordo, e che erano state Patte loro delle ben precise proposte dal principe Najantu, desideroso di venire a Urga a intavolare delle trattative a nome del governo cinese.

Io replicai che un tale paragone era fuori luogo. Se un accordo con la Cina fosse avvenuto, la Mongolia sarebbe diventata una parte della Cina stessa e inoltre una parte in condizione di vassallaggio, e non solo non avrebbe ottenuto un7indipenclenza esterna, ma neppure un'autonomia interna. Se ora i cinesi corteggiano i mongoli e cercano con promesse e

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donativi di attirarli dalla loro parte e allontanarli dalla Russia, è solo allo scopo di sottomettere poi definitivamente la Chalcha. Mentre la Russia, proponendo un accordo alla Mongolia, agisce così non solo per gli antichi vincoli di amicizia che la legano ad essa, ma per un senso di sopravviven- za. I,a Russia preferisce avere come vicino una pacifica (politicainente ed economicamente), debole (ed ainica) Mongolia, che non una (potente, ambiziosa) organizzata Cina dai molti milioni d'abitanti, giacché in caso di sottomissione della Mongolia ne deriverebbe una sua colonizzazione forzata, (la costruzione di fortezze, l'invio di guainigioni, in una parola) la sua trasformazione in una piazza d'armi militare. Tutto ciò esige delle contromisure da parte della Russita, ed ecco perché noi preferiaino fare della Mongolia uno Stato autonomo, un "cuscinetto", che possa servire da antemuralc per la nostra debole e poco abitata frontiera contro la penetra- zione cinese. Noi desideriamo non la sottomissione della Mongolia, ma la sua indipendenza, cioè esattamente l'opposto di ciò che si prefigge la Cina, ed ecco perché i l paragone fra la nostra proposta e quella cinese è (cluanto meno) fuori luogo. Le mie parole fecero effetto sui mongoli, che promisero di riferire tutta la questione a Cl~utuchta. Così finì il mio primo abboccan~ento coi principi. Io ne trassi un'impressione piuttosto favore- vole, ma prevedevo che le trattative sarebbero state difficili.

Qui si trova un certo Moskvitin, che ha funzioni di consigliere presso il governo mongolo. Già allievo della scuola di traduttori di Urga, egli ha vissuto a lungo in Mongolia, dove si occupava di attività commer- ciali. (Questa scuola ha sede presso il consolato di Urga ed è mantenuta a spese del Ministero degli esteri: vi si studiano le lingue mongola, cinese e manciù). Ora egli si dà da fare per ottenere dal goveino mongolo la con- cessione all'apertura nel paese di una banca di emissione. Suoi soci d'affari sono i signori Juferov e Zavojko, che fanno conto sull'appoggio di capitalisti francesi. A suo dire, i mongoli sono lusingati dalla nostra proposta di concludere un accordo, ma questa l i ha colti di sorpresa. Inoltre temono che nel passo da noi fauo si celi un qualche perfido pro- getto e che noi tendiamo loro un agguato. Egli pensa che i membri più a\sennati del governo e lo stesso Chutuchta sapranno ben riconoscere il vantaggio della nostra proposta e giungeranno all'accordo, ma di sicuro contratteranno.

Nel corso della giornata feci con Ljubà alcune visite ai membri del governo mongolo. I1 più conversevole mi parve il ministro degli esteri Chandavan. Non c'è dubbio ch'egli sia per l'accordo con la Russia e con- tro i l mantenimento di un qualsiasi legame con la Cina. Chandavan, accanto alla jui-ta nella quale ci ricevette, possiede una casa di legno a due piani, di un'architettura larnbicceata. Egli ha vissuto a Pietroburgo e a

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Diario

Pechino, ha visto un po' di inondo e si vanta dei suoi legami e conoscen- ze.

Dalams (il ministro degli interni) è un monaco magro, sbarbato, indossa una keste gialla tla lama, con una calotta in capo. Ci accolse in una jurta riccamente ornata di tappeti, con un grande altare dinanzi all'entrata, addobbato di oggetti del culto lamaico. Dopo le solite frasi banali sul viaggio e la salute, Dalama portò il discorso sull'accordo, ripe- tendo che la Mongolia vuole essere autonoma e non darsi in braccio né alla Russia né alla Cina. Questi sembra il più intelligente e attivo di tutti i membri dell'attuale governo, se così si possono chiamare i nomadi primi- tivi da me visitati, che si sono attribuiti i grossi titoli di ministri. Dalsma, stimandosi un patriota e un nazionalista, a quanto si dice, non ha simpatia per noi e conduce una politica a due facce, intendendosi anche coi cinesi. Egli è noto per la sua lotta coi principi e col lamato, ritenendo la preva- lenza di queste due classi un male per la Mongolia. Per la sua lotta coi lama l'hanno persino chiamato $olnzus, cioè creatura del demonio. I mini- stri ci offrirono tè di tavoletta, kcrrrzy5 e dolciumi, mentre il ministro della giustizia Namsarajvan, un mongolo atletico, di larghe spalle, stappò in nostro onore una bottiglia di champagne. Egli dichiarò apertamente che l'accordo con la Russia era indispensabile alla Mongolia, se essa non vuole cadere sotto il potere della Cina. L'opinione di Namsarajvan ha il suo peso perché egli (si vede spesso con) gode delle simpatie di Chutuchta. Anche lui possiede una casa di legno, nella quale però non abita. I1 più giovane è il ministro della guerra Dalajvan che, secondo l'opinione generale, non s'interessa della sua specialità, ma per contro è un bravo tiratore d'arco e un esperto ricamatore su canovaccio; non ha più di 20 anni. Molto simpatico è i l ministro delle finanze TuSetuvan, un mongolo alto, non bello, dal volto butterato dal vaiolo. Egli vive peggio di tutti i suoi colleghi, in una piccola jurta, in un ambiente di puro stile mongolico. Dicono che è molto onesto e disinteressato, e per questo gli è stata affidata l'amministrazione del Tesoro.

A lui è sottoposta la direzione delle dogane di cui è capo Susutaj, un mongolo-charazin che proviene da Barga e cui è affidata la tassazione delle merci cinesi.

Moskvitin, al quale diedi incarico di tastare il terreno, comunicò che nell'esame del nostro Accordo si è verificata una battuta d'arresto. Non c 'è ancora stata une riunione e in genere, a quanto pare, \otto l'influenza del partito dei filocinesi si deciderà di aggiornare la questione. Dalama è il più agitato tra i principi e insiste di presentare nuove richieite alla Russia. Così, secondo lui, nel17Accordo si dovrà dire che la Russia riconosce l'indipendenza della Mongolia. Nel progetto da me presentato

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non c'è un tale riconoscimento, ma la parola "indipendenza" è sostituita da quella di "autonon~ia". Dalama vuole pure che nel Protocollo venga incluso un articolo per il quale i russi, che partecipano ad imprese coin- merciali coi cinesi, non godano delle esenzioni del commercio in franchi- gia. Queste esenzioni, secondo i l nostro progetto, sono concesse a tutti i ruusi: è evidente che i mongoli temono, non senza fondamento, che i cine- si, entrando in accordi e in società coi russi, possano sotto la loro bandie-

i ra commerciare essi pure in regime di franchigia. In genere, al dire di Moskvitin, Dalama è in grado di mettere un freno alle faccenda con le sue as tu~ie , e perciò la cosa migliore sarebbe allontanarlo dalle trattative. Ljubà pensa che al momento ciò è impossibile, giacché dalla parte di Dalaina ci sono molti principi, il clero e gli intimi dello stesso Chutuchta.

24 settembre. Urga, in mongolo Da-chure, occupa un'area abba- stanza estesa ed è formata da alcuni quartieri: i l mongolo, il cinese e il russo. I monasteri e i kunlirrzi si trovano nella parte centrale, più elevata della città. Meglio di tutti vivono i cinesi: le loro case, costruite secondo l'uso tradizionale, formano delle vie abbastanza diritte. Gli edifici dei mongoli, e talora delle semplici jurte, sono circondati da una staccionata di tronchi di pino appuntiti. I russi si sono stabiliti in casette di legno, con coperture di Serro. I cinesi hanno tetti di tegole. Per allogare i l consolato vennero asegnate ai ru,si zone della città costituenti due parti dell'area di Urga. In seguito però una parte di queste zone venne dai russi rivendu- ta ai cinesi e in tal modo invece di un agglomerato tutto russo, com'era previsto, si è formata una popolazione di tipo misto, nella quale i proprie- tari e gli affittuari russi sono mescolati con cine\i e mongoli. La maggior parte dei negori non ha insegne. Ora ad Urga sono coinparsi molti artigia- ni russi. Di alberi c in genere di vegetazione non se ne parla, se non si conta un giardinetto nella casa di un ex-cinzbarz mancese. [. . .] Qua e là si vedono dei ponti di legno, gettati sopra piccoli avvallamenti e fossati dove scorrono dei rii fangosi, che si trasformano in torrenti durante le piogge estive. La carne si vende al zcrchadjlr, una piazza maleodorante,

' per la quale scorre un torrentello sudicio di immondizie. Il bestiame viene macellato per la strada e nei cortili nel modo più primitivo. I1 commercio della carne è in mano agli ebrei. I russi vivono nella sporcizia e nell'igno- ranm, di cimici ce n'è dappertutto. I mongoli vivono anch'essi nel sudi- ciume, ma senza cimici, che sono sostituite da altri insetti.

I ministeri e gli altri uffici pubblici mongoli sono allogati negli ex- jarn~ni cinesi. I mongoli hanno una polizia che assicura l'ordine pubblico percorrendo tutta la città in ogni parte. Soprattutto viene perseguita l'ubriachezza. I colpevoli sono fustigati oppure portano al collo dei gio- ghi. Le punizioni corporali sono le più diverse, per esempio la battitura

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sulle guance con guanti di pelle, la sospensione per le dita ovvero sopra una pentola di acqua bollente. I cinesi conservano il loro servizio postale da Kjachta a Urga attraverso Kalgan sino a Pechino. In tutte queste loca- lità vi sono degli uffici postali cinesi dove presta servizio del personale cinese e mongolo. La trasmissione delle lettere e dei messaggi postali è svolta con cura. Più di una volta io mi sono valso della posta cinese per ricevere oggetti e provviste alimentari da Pechino. Tutto andò alla perfe- zione.

I mongoli hanno un aspetto simpatico. La maggior parte di essi sono agili, asciutti, di pelle scura, gioviali, con tratti del viso regolari (senza strabismi) e con voce melodiosa. Fra le donne vi sono delle bellez- ze quasi di tipo europeo. Gli uomini portano delle vestaglie (terlik) e dei piccoli berretti con nastri. L'abito estivo consiste in due vestaglie, fatte di shantung o altra stoffa leggera. 1,a camicie 5ono di tela grezza di cotone. La maggior parte indossa delle pellicce di color giallo o bianco. [. . .] I1 costume mongolo è comodo e pittoresco, specialmente pratiche sono le larghe e lunghe maniche che permettono di non portare guanti, i l che è molto importante dato i l clima rigido e il continuo andare a cavallo. D'inverno usano pantaloni di pelliccia, larghi stivali con le punte rial~ate. I,e donne sono vestite come gli uomini, le maritate indossano vestaglie di broccato con alte spalline e complicati copricapi, ornati di argenti, coralli e turchesi.

Gli spostamenti avvengono a cavallo, per cui su un solo animale spesso stanno tre persone, una dietro l'altra. I carri (ctrby) mongoli, usati per trasporto di merci, sono a due ruote con grosse assi: vi sono attaccati dei lanosi ~arlyki senza corna. Oltre all'nr-bn viene usato il carro cinese (telega) al quale sono attaccati muli e cavalli. [ . . . l I mongoli agiati e i principi hanno carrozze e vetture acquistate in Russia. Alcuni hanno per- sino cavalli russi.

I mongoli si comportano ora (in apparenza) da persone piuttosto indipendenti, senza mostrare alcun segno di deferenza o di omaggio. Non così avveniva sotto il regime dei cinesi.[. ..l

VI

Conversando con Moskvitin e con I,.juha io espressi loro il mio punto di vista riguardo alle trattative imminenti, affinché essi nel caso lo comunicassero ai principi. Anzitutto in Russia, in generale, poco si sa della Mongolia, né ci si interessa (della crisi in atto) dei suoi destini. Perciò sono assai pochi (nell'ambiente del governo e della società russa) quelli che hanno a cuore un accordo separato coi mongoli, ritenendolo un

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errore e preferendo ad esso un accordo con la Cina (perché essa non per- dona alla Russia la perdita della Mongolia). Da noi si pensa che un accor- do coi mongoli può non solo inasprire i rapporti con la Cina, ma impedire la conclusione di un'intesa wlla questione mancese, ritenuta assai più importante. La disposizione favorevole ai mongoli delle sfere governative di Pietroburgo può mutare in con5eguenm di un qualsiasi avvenimento in Europa o nei Balcani. Infine i cinesi, sapendo che noi conduciamo delle trattative a Urga, possono cercare di distogliere la Russia dalla Mongolia e a questo scopo offrirci serie concessioni. In vista di tutte queste possibi- lità i mongoli non dovrebbero temporeggiare e fare ogni sforzo per accor- darsi al più presto coi russi.

Con El'tekov andanno a Kuren' (una modifica della parola mongo- la k~tr-e, cioè monastero, la denominazione consueta di Urga) per acquisti. Piatti e oggetti casalinghi 5ono indispensabili, perché nella casetta in cui siamo sistemati non c'è nulla se non le nude pareti. Si dovette persino comprare della carta bianca per incollarla ai muri e al soffitto, e vetri per le finestre e oggetti per riparazioni. La grande pia7za del mercato, coperta cli mucchi di letame e di ogni genere di lordure, 2 attorniata da basse casette di tipo cinese e siberiano e ingombra di baracconi, cabine, barac- che, jurte e tende, dove stanno i mercanti. Qui si trovano mandrie di cavalli, cammelli e pecore e capre in quantità, per essere vendute.

Entrando in Kuren' si vedono sulle piazze piccole garitte con tet- toia di color rosso. Sotto di esse sono poste delle ruote per la preghiera a forma di grandi tamburi, as~icurate su pali verticali. Chi vuole pregare ai'l'erra la maniglia e fa ruotare il tamburo, muovendovisi attorno. Ogni giro corrisponde a una preghiera. A giudicare dal numero dei tamburi e degli oranti, cioè di quanti si attaccano alle maniglie, i mongoli sono assai devoti. La devozione si manifesta anche nel pellegrinaggio dai chosilnjl a Urga, per rendere omaggio a Chutuchta e ai monasteri. Talvolta l'intero cammino viene fatto a piedi e consiste in inchini 5ino a teira. S'intende che i l pellegrinaggio comporta notevoli spese, provocate soprattutto dalle oblazioni a pro dei monasteri e del clero. Anche a Kuren' i cinesi occupa- no un quartiere separato. A quanto pare, gli avvenimenti politici non hanno avuto riflessi sulla situazione degli abitanti cinesi di Urga, che con- tinuano a godere di piena libertà e immunità e come un tempo sfruttano l'ignoranza dei mongoli. Questi ultimi vanno per il mercato o soli o in gruppi, vendendo prekalentemente pelli, ma anche oggetti dell'artigianato mongolo: tazze <li legno, selle, bardature, ecc. Fra i mercanti non poche \ano le donne. I cinesi commerciano nelle botteghe merci sia cinesi che russe ed europee. Però essi si sono adeguati ai gusti e alle esigenze dei mongoli, più che j nostri iiiercanti. In inano loro si è concentrato, per

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esempio, il commercio degli oggetti religiosi buddisti, delle ruote della preghiera, del vasellame. Essi fabbricano pure tazze sacre, incensieri, tamburi, sonagli per le liturgie, clonlbv (brocche per il tè di tavoletta), ecc. Le stoffe di carta, di colore a7zurro e grigio (c~ljatzba), con le quali i mon- goli si cuciono gli abiti, costituiscono insieme al tè il principale articolo d'importa~ione cinese. E' sufficiente anche uno sguardo di sfuggita ai negozi cinesi e ai loro spaziosi magazzini per capire che i cinesi hanno un ruolo direttivo nel commercio di Urga e probabilmente della Mongolia.

4 Io visitai alcuni negozi russi, che commerciano in manifatture, piatti smaltati e di ferro e derrate coloniali. I padroni sono dei commessi di ditte di Irkutsk, Verchneudinsk e K.jachta. Da poco ha aperto anche una società d'esportazioni di Mosca, che commercia in manifatture. Conversando con alcuni mercanti venni a sapere che le importazioni russe negli ultimi tempi sono aumentate in conseguenza dei rapporti di ostilità fra Mongolia e Cina e dell'interruzione del commercio cinese. I cinesi temono delle azioni militari e così hanno ridotto i l numero delle carovane da Kalgan. Inoltre i mongoli con la dichiarazione d'indipendenza hanno stabilito un tributo del 5 % sulle merci cinesi, che viene percepito nella dogana qui installata sulla piazza. Se i russi dimostrassero un maggiore spirito d'iniziativa e solidarietà, potrebbero approfittare di questa circo- stanza e prendere nelle loro mani il commercio di Urga. Ma una tale con- siderazione, a quanto pare, poco interessa ai nostri gretti mercanti dell'oltrebajkal, che tendono soprattutto a fare maggiori guadagni, senza sforzi per conquistare i l mercato. Le cose che mi erano necessarie le tro- vai nei negozi cinesi.

Il rappresentante della società dell'industria aurifera Mongolor, Pokrovskii, mi rifornì di alcune sedie viennesi, di un buffet e di tappeti: grande gentilezza da parte sua, giacchS i l consolato era privo di mobilia e ad Urga, salvo dei panchetti cinesi, non si trova nulla da comprare. Pokrovskij occupa l'unica casa in pietra (grande, a due piani) di Urga, a una mezza versta dal consolato, sulla strada per la cinese MajmCen. La casa è stata costruita da un certo architetto olandese, qui accompagnato dall'ex-direttore delle miniere Grot (che io avevo conosciuto a Pechino ancora negli anni '90). Grot, che prima prestava servizio nella dogana marittima cine\e, aveva allora ricevuto da quel governo la concessione per lo sfruttamento dell'oro nelle due province (a.jmaki) della Chalcha. Dapprima lo sfruttamento era stato mal condotto e l'affare era già quasi in fase di liquidazione (ci avevano rimesso, principalmente, i capitalisti belgi, ma non poco anche i russi). Peraltro in seguito, grazie al reperimen- to di un ricco filone aurifero, le azioni della compagnia si ripresero ed oggi, al dire di Pokrovskii, non vanno male.

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Secondo quanto riferisce I,jubà, l'ufficio telegrafico cinese a Mqjmacen è sempre in funzione, tenendosi in contatto con Pechino e comunicando tutto ciò che avviene a Urga. I mongoli si sono già rivolti a lui per consiglio, proponendo, di arrestare i telegrafisti e distruggere la linea, ma L.jubà li ha trattenuti dall'attuare tale intenzione. Peraltro egli non vede altro modo d'interrompere l'attività dei cinesi. Io spiegai che siccome si tratta di una linea anglo-danese, iinpadronirsene provochereb-

, be la protesta non solo dei cinesi, ma pure degli inglesi e dei danesi e che non è nei nostri interessi consentire alla distruzione del telegrafo, anche s t opera dei mongoli, giacché noi siamo privi di comunicazioni con Pechino e saremmo oggetto di un biasimo generale, senza dire delle con- seguenze materiali. A mio parere, si deve attendere la firma dell'Accordo, dopodiché si potrà permettere ai mongoli di mettere le mani sul telegrafo, in quanto bene statale cinese e, dichiarandolo di proprietà mongola, pas- sarlo sotto la nostra direzione, giacché costoro non hanno né gli uomini, né la capacità di far funzionare un tale strumento. Naturalmente noi sosti- tuiremo ai telegrafisti cinesi dei russi, e i guadagni saranno ripartiti secon- do le circostanze.

Ricevuto un telegramma da Pechino inviato da Krupen5ki.i 11, che informa di aver prevenuto il governo cinese che non sarà da noi tollerata alcuna azione punitiva contro i Mongoli interni nei pressi della Fei-rovia Orientale Cinese. Questo è bene, perché dimostra ai principi che noi siamo effettivamente intenzionati a difenderli e interveniamo anche a favore dei Mongoli interni. Una risposta altrettanto favorevole fu data alla mia richiesta d'invio di reparti da Urga a U!jasutqi. E' evidente che a Pietroburgo continua a doininare una disposizione d'animo favorevole alle decisioni.

[Segue una lunga e dettagliata descrizione, corredata di dati, sull'attuale situazione in Mongolia, sul suo governo, ripartizioni territo- riali e amministrative, l'economia e la finanza del paese.]

25 settembre. Stamane è venuto il dirigente della cancelleria del Ministero degli affari esteri di qui, Cerendortivi, ed ha comunicato le variazioni che i mongoli vorrebbero apportare al progetto del nostro Accordo. Anzitutto essi vogliono che noi riconosciamo e dichiariamo la piena indipendenza esterna della Mongolia, cioè, in altre parole, la revoca della sovranità della Cina. Essi vogliono del pari che Chutuchta venga chiamato Bogdo-chan, cioè sovrano secolare, affinché in Mongolia, in qualità di rappresentante russo, venga nominato un ambasciatore, e non un console, e da parte loro abbiano il diritto di nominare un ambasciatore a Pietroburgo. Ancora sono pronti a rinunciare al diritto di tenere un pro- prio esercito, che, secondo loro, non è necessario, una volta che i russi

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assumano il compito di difenderli. La richiesta più importante dei mongoli è però l'estensione del trat-

tato, e di conseguenza anche degli obblighi russi (non solo alla Mongolia Esterna, ma anche) a quella Interna, ai territori dei Tumeti, di Cachar, di Barga, di Kobdo e di Ucjancha,j. Inoltre essi desiderano che nell'accordo venga detto che la frontiera russo-mongola si conservi senza mutamenti e che sia chiarito che i russi che arrivano in Mongolia siano obbligati a prendere il passaporto. Per quanto riguarda l'accordo commerciale, i ministri mongoli, a quanto pare, lo considerano soddisfacente.

La sera è giunto Moskvitin, che era stato pure messo al corrente delle variazioni progettate dai mongoli. A siio parere, le si deve rifiutare, altrimenti costoro cominceranno a presentare sempre nuove richieste. Secondo i gi2rnali cinesi ricevuti da Pechino, stanno arrivando ad Urga i l principe di Cachar e il principe Uda.i per indurre i mongoli a riconciliarsi con la Cina.

26 settembre. Oggi, in compagnia di El'tekov e di Popov, mi recai a cavallo a visitare le ex-caserme cinesi (a 7 verste dal consolato), ora occupate da ceriki (soldati) mongoli, istruiti dal nostro esairl Vasil'ev. In principio va n'erano circa 800, ma ora non sono più di 200, gli altri sono stati inviati a Kobclo per l'azione militare contro i cinesi. Le caserme sono situate ai piedi del monte e occupano una larga vallata, che scende verso i l fiume Tola dal corso sinuoso, che qui tònna alcuni rami. La località, in generale, venne scelta felicemente dai cinesi, solo è un peccato che non vi sia vegetazione e che il fiume sia troppo lontano.

A giudicare dalle dimensioni e dal numero delle caserme, i cinesi si preparavano a dislocare qui non meno di una divisione. Evidentemente Pechino era intenzionata a farla finita in via definitiva con l'indipendenza mongola. Per fortuna della Russia e della Mongolia la rivoluzione cinese arrestò tutti questi ambiziosi disegni, e le cawrme cinesi sono ora occupa- te da soldati mongoli e dai nostri istruttori. Esse 3ono fatte di terra battuta, a un solo piano, i corpi di fabbricato \aranno dieci o dodici. In ogni edifi- cio vi qono alcune (una decina) camere singole, ognuna per 2-4 uomini, a giudicare dal numero dei krrnoi~v (panchette di mattoni, che i cinesi usano come letti e stufe e che si riscaldano dal di dentro).

Le scuderie sono vaste e ben costruite. L'eraul Vasil'ev occupa una casetta separata, predisposta per i l comandante cinese ed ora adattata alle nostre esigenze, cioè vi sono state collocate delle finestre con intelaiature e vetri (al posto di quelle di carta), pavimenti e soffitti di legno e stufe russe.

Quando giungemmo all'accantonamento, il nostro iirjaclrzik stava

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istruendo le reclute mongole nella marcia a piedi. I mongoli, in cenci, nei loro tul~rl>?ll2 e pesanti stivali marciavano goffamente, cercando di andare al pasqo ed erano impacciati nelle voltate.

I comandi venivano dati in mongolo. A cavallo sono belli e pieni di grazia, ma a piedi fanno una brutta (ridicola) figura. La maggior parte di essi camminano un po' gobbi, in parte a causa del dover vivere nelle jurte, dove non si può stare diritti, e per entrarvi bisogna andare quasi car- poni per una bassa porticina, in parte per la grande diffusione delle malat- tie reumatiche, provocate dalle cattive condizioni sanitarie e dall'alimen- tazione carnea.

L'e~aul Vasil'ev mi mostrò le caserme, occupate dai suoi ceriki. Qui tutte le parti in legno erano state divelte: i mongoli se ne erano

serviti come combustibile, erano rimasti solo i muri e i tetti. Al dire di Va\il'ev, tutti i suoi sforzi per insegnare ai mongoli

anche solo qualche uso civile si erano infranti contro l'indole selvaggia dei nomadi, abituati a vivere nella steppa in seno alla natura fra i loro armenti. Così, le bacinelle smaltate da lui acquistate erano state subito gettate via e fatte a pezzi, gli asciugamani lacerati [.. .l . I1 reclutamento dei ceriki è impresa ardua, prima di tutto perché i giovani mongoli si con- gedano a malincuore dalle autorità dei loro cl?oSiiny, che preferiscono mandare vecchi o minorenni. Inoltre fra quelli tenuti al servizio militare si contano molti affetti da sifilide o che soffrono di reumatismi o di malattie agli occhi. Per trascuratezza sono assai diffuse le malattie delle pelle, molte reclute hanno piaghe alle gambe e sul corpo. I1 nostro istruttore si lagnava con me che il governo mongolo poco si cura dei giovani militari, è spilorcio nell'erogare denaro e in genere non si interessa della loro i<ti-uzione. Il ministro della guerra Dala,jvan (sembra che) neppure una volta abbia visitato le caserme e ignora del tutto la sezione degli istruttori rursi. Ad onta di un tale disinteressamento da parte dei mongoli, Vasil'ev cerca di dare corso all'incarico affidatogli e si dispiace di non poterlo estendere e porlo su base più razionale. A suo giudizio, i mongoli sono dei cavalieri nati, ma dei cattivi fantaccini, fiacchi, e non sanno cammina- re per colpa anche delle calzature. Dopo la visita alle caserme andammo a bere il tè in casa di Vasil'ev. Feci conoscenza con sua moglie e con la moglie dell'esaul Dozorov, che era venuta a trovarla. E' evidente che le signore si annoiano in questi deserti e rimpiangono Troickosavsk e Irkutsk.

Io mandai al Ministero un telegramma esponendo i desideri dei inongoli e con la preghiera di notificarmi se posso scendere a compro- messi sulle questioni di second'ordine e quali proposte dei mongoli si possano ritenere accoglibili.

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Diario

Ricevuto un telegramma dal generale governatore di Irkutsk, infor- mante che il comandante delle truppe, generale Ebert, trova irrealiz~abile i l mio progetto di mandare il reggimento di Verchneudinsk a Uljasutaj per I'insufficenza di foraggio e le difficoltà del percorso. A quanto pare, quel- li dello Stato Maggiore cercano di tirare per le lunghe la faccenda sino all'inverno, nella speranza che la spedizione venga annullata. Si dice che più di tutti si dà da fare il comandante del reggimento, colonnello von VeterStrand (che io conobbi ancora nel 1900 a Port Arthur, quando era nello Stato Maggiore del comandante in capo, vice ammiragl io Alekseev), il quale non vuole abbandonare il suo angolino a Troickosavsk e teme i disagi di una campagna. E' possibile che lo Stato Maggiore di Irkutsk resti della sua idea, ma per liberarmi da ogni responsabilità per i l futuro, io spedii un telegramma al Ministero chiedendo di indurre il dica- stero della guerra ad affrettare la spedizione. Per maggior chiarezza garantii che i mongoli avrebbero fornito i mezzi di trasporto, che a U1jasuta.j ci sono vettovaglie e foraggio a yf f ic ien~a , avvertendo che se i cinesi a primavera si fossero mossi verso Sarasume e Kobdo, noi avrem- mo perduto la Mongolia Occidentale. [. . .]

Dal Ministero giunse un telegramma a proposito della proposta di Juferov di organizzare una banca cl'einissione mongola a Urga. Mi si chiede se è necessaria una tale banca, e se sì, se non si può proporre ai mongoli di chiedere un pre\tito presso tale nuovo istituto, che nel proget- to di Juferov dovrebbe servire a finanziare il commercio russo in Mongolia. Moskvitin è qui come rappresentante di Jutèrov. E' poco pro- babile che l'idea piaccia ai mongoli, tanto più che i l denaro è necessario subito, mentre per le nostre lungaggini l'istituzione della banca richiederà ancora alcuni mesi. Io ritengo che non possiamo rifiutare il prestito, il quale inoltre anche per noi è auspicabile, come primo passo per affermare la nostra influenza in Mongolia. [. . .]

Ho fatto conoscenm clel medico del consolato, Cybiktarov, un tipi- co burjato di Kjachta, dagli occhi stretti e dai larghi zigomi.

I1 dottore con la sua numerosa famiglia occupa un'ala del consola- to, proprio di fronte a me. Egli è il medico dell'ospedale russo, istituito alcuni anni fa e che vive dei sussidi della nostra missione diplomatica a Pechino. Non ha che dieci letti e vi si accolgono persone di tutte le nazio- nalità. Racconta che i mongoli, sofferenti di malattie interne, di rado \i rivolgono a un dottore straniero e preferiscono farsi curare dai loro lama empirici, che si servono di farmaci tibetani. Anche alla corte di Chutuchta non si ha fiducia nella medicina europea e i l primo medico di corte è un lama tibetano. [. . . ] Il nostro dottore ha pure un ambulatorio, dove vengo- no a farsi curare per malattie agli occhi, piccole lesioni, piaghe, ascessi,

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ecc. A suo dire, fra i mongoli sono molto diffuse la sifilide e i l vaiolo, che si trasmettono facilmente a causa dell'aminassatnento nelle jurte e dell'assenza di qualsiasi misura di precauzione.

Com'è noto, i mongoli non seppelliscono i morti, ma li portano nei dintorni, di solito sui declivi dei monti circostanti e li depongono al suolo, dove l i divorano i cani, che d'ktinto si raccolgono presso le jurte dove ci sono degli ammalati e poi seguono i funerali insieme ai parenti. Va detto

' l che l'impressione che se ne ricava è ripugnante. Secondo il dottore, sul campo della morte vengono portati anche dei morenti, che non si vuole lasciare nelle jui-te, dove disturbano i vivi. Vengono seppelliti solo i nobili e i lama. Grazie all'asciuttezza dell'aria e del suolo i cadaveri spesso non si decompongono e si mummificano. I dintorni di Urga sono coperti di ossa e di crani di morti.

Mandai a Pietroburgo un telegramma con la richiesta di trasferire i 100.000 rubli oro promessi da Kokovcev, perché Chutuchta li possa distribuire ai principi. Si dice che Dalama e Sain-Noin non accetteranno denaro, e perciò ho telegrafato che mandino dei donativi.

27 settembre. Per oggi era fissata l 'udienza ufficiale presso Chutuchta. Oltre al personale del consolato io invitai Moskvitin, gli uffi- ciali della scorta e un capitano dello Stato Maggiore generale, Tonkich, qui ospite, ben conosciuto dai inongoli. Al mattino venne Dala.jvan e comunicò che l'udienza era rimandata per la malattia di Chutuchta.

Mandai un telegramma a Pietroburgo spiegando che l'Accordo non può essere concluso coi 4 maggiori principi della Chalcha, in quanto i rappresentanti del potere sono Chutuchta, che ha titolo di reggente secola- re. e i l governo mongolo, rappresentato dal ministero col principe Sain- Noin a capo. Inoltre nella composizione del gabinetto è entrato il principe TuSetuvan. Gli altri principi della Chalcha si trovano nelle loro province; fra di essi vi sono dei vecchi decrepiti e dei minorenni, che neppure sono in grado di venire ad Urga. Per giunta il nostro interesse non consiste nel mantenimento di una poligarchia in Mongolia, ma nella sua unificazione e nel raftòrzamento del potere centrale di Chutuchta, i l cui beneficio è stato riconosciuto da tutte le stirpi principesche. Altrimenti noi non avre- mo di fronte un responsabile, col quale condurre le trattative.

Finora il tempo è stato soleggiato e chiaro, anche se freddo. Ma ora già da due giorni soffia un forte vento, ed è caduta la neve. L'aria qui è molto secca e trasparente, è probabile a causa dell'altezza. Ho avuto un colloquio col già citato (direttore) rappresentante della xocietà Mongolor,

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Pokrovskij. Anch'egli si è lagnato per la mancanza di una banca, che si è sentita soprattutto dopo la crisi patita dalla banca cinese e l'interruzione del commercio cinese. Tale mancanza limita (fortemente) le operazioni delle ditte commerciali russe e della societ3 Mongolor, che necessita di denaro per pagare gli operai della miniera. Inoltre Pokrovskij si augura che venga aumentato il numero degli uffici postali fra Troickosavsk e Urga e stabilito un più stretto collegamento fra le due località. (Credo che) ciò sia ottenibile, dato che i denari per gli uffici supplementari si potrebbero procurare sopprimendo la posta (leggera) fra Urga e Kalgan, che aveva un senso, essendo stata istituita per precedenti accordi con la Cina, prima della costruzione della Ferrovia siberiana e della Cina Orientale, essendo allora l'unico mezzo terrestre di comunicazione fra la Russia e Pechino.

Essa costa al Tesoro 20.000 rubli all'anno. Mentre, al dire del nostro mastro di posta, la spedizione della corrispondenza per questa via è quasi cessata. [. . .]

28 settembre. Oggi ebbe luogo la mia udienza presso Chutuchta. Verso le 5 i mongoli mandarono una lettiga e giunse Chandavan col seguito. Le lettighe sono del solito tipo cinese, inoltre alle sue sbarre sono state attaccate delle grosse pertiche. Quando sedetti nella lettiga (Ljubà la rifiutò e preferì andare in carrozza), sotto le sbarre s'infilarono quattro cavalieri, che afferrarono l'estremità dell'arco della sella (come se si trat- tasse di una carrozza) e si mossero dapprima al passo, e poi ad un trotto serrato. Chandavan era con me nella lettiga, mentre i l personale del con- solato ed El'tekov andarono in carrozza. Quasi nessuno scossone, ma bisogna tenersi in equilibrio: se uno dei cavalli inciampa o cade, è proba- bile che la lettiga si rovexi. Ci accompagnava una scorta di cosacchi e numerosi cavalieri mongoli. Lungo la strada erano allineati dei ceriki mongoli a cavallo, armati di lance, che indossavano svariate uniformi di un nuovo modello mongolico: larghe vestaglie di color azzurro e grigio e turbanti, molto simili agli abbigliamenti che un tempo avevano i soldati cinesi. Presso il palazzo di Chutuchta stava una folla di mongoli e di russi, venuti ad assistere al raro spettacolo dell'arrivo del primo amba- sciatore russo.

All'ingresso delle jurte di legno dorato ci vennero incontro i mini- stri e ci condussero nel cortile, e poi nella grande jurta tappezzata di panno, nel centro della quale ardeva un grande braciere. Qui ci togliem- mo i cappotti e procedendo accanto ad un gruppo di chamby (prelati), di c o r E e di sojborz~ (alto clero), di lama e di clnniri (cortigiani), e poi nella seconda jurta e per un passaggio coperto, entrammo nella terza jurta, notevolmente ampia, del pari tappezmta di rosso. Nel mezzo fiammeg-

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giava un grande braciere, il cui tubo passava attraverso un orifizio centra- le rotondo nell'alto della jurta. In un angolo, su un podio a mo' di trono, sotto un baldacchino, sedeva su cinque fini cuscini variopinti, a gambe incrociate, Chutuchta, o come lo designano ora "Enzen-chan", in una klirrnn gialla ricamata (mongola) e in berretto di pelliccia, adorno con una pallina brillante (in capo). (Ai lati) erano seduti in cerchio Sain-Noin- chan, Dalama e alcuni principi. Gli altri ministri e numerosi lama dal volto raso, in vesti rosso scuro e gialle, stavano in piedi a una certa distanza.

Entrando nella jurta ( i l nostro interprete) Cerempylov mi consegnò un chcrd~rk (asciugamano lungo e stretto), che i mongoli e i tibetani si scambiano nelle occasioni ufficiali d'incontri o di presentazioni e che io offersi a Chutuchta (facendo un profondo inchino). Questi a sua volta mi consegnò un consimile chadak, ma di color bianco. Al che io pronunciai un breve indirizzo di saluto a nome del mio Sovrano e del governo russo. L'interprete tradusse le mie parole, così come la risposta di Chutuchta, che si congratulò per il mio arrivo ad Urga. Egli ha una voce sorda, e parla molto lentamente. Dopo di lui il ministro degli affari esteri mi mostrò il podio, coperto di cuscini, a dieci passi dal trono, sul quale sedet- ti, e al mio fianco, su altrettanti podii più bassi, sedettero L.jubà e gli altri che mi accompagnavano. Chutuchta ha un viso piuttosto pieno (rotondo), abbronzato, non privo di piacevolezza. (Purtroppo) gli occhi erano coperti da grandi occhiali scuri, ch'egli porta per la sua debolezza di vista, si dice che abbia un'albugine. Intanto all'ingresso della jurta si verificò un movi- mento, e i lama portarono dei bassi tavolini, sui quali posero dei dolci mongoli e cinesi, delle noccioline, delle caramelle, dei datteri e dello zuc- chero russo, come pure delle tazzine d'argento con tè di tavoletta.

Quando tutto fu disposto, io mi alzai e pronunciai un breve discor- \o, che Cerempylov tradusse in mongolo. Ad ogni mia frase Chutuchta rispondeva con la solita approvazione mongola "Czaa" e un cenno del

C capo. Io dissi ch'ero venuto in Mongolia per incarico del (mio) Sovrano e del governo russo, per intavolare delle trattative col governante e col popolo mongolo. La Russia aveva sempre sostenuto la Mongolia e ne avevo preso le parti di fronte alla Cina ed ora dava una nuova prova della sua benevolenza, riconoscendone l'autonomia. Intanto cercavamo d'indurre la Cina a riconoscere una tale autonomia e a mantenere il regi- me interno della Mongolia. Purtroppo i nostri sforzi non erano stati coro- nati dal successo, e la Cina respinse tutte le proposte, insistendo sulla completa dipendenza da essa del popolo mongolo come di un vassallo. In vista di ciò il governo russo ha dovuto riconoscere che il mezzo migliore per aiutare la Mongolia a consolidare la sua identità e a difendere la sua

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indipendenza non poteva che essere la conclusione di un accordo con essa. Un tale accordo era stato oggetto di studio alcuni mesi fa, ma certi motivi ne avevano ritardato la realizzazione.

L'accordo con la Russia è estremamente vantaggioso per la Mongolia, alla quale è assicurata la difesa dai nemici esterni, l'autonomia interna e la conservazione del regime storico e nazionale. Esso è stato ponderato con ogni cura e studiato dal governo russo negli interessi dei mongoli e ratificato dallo Tzar Bianco, e pertanto non richiede modifiche. (Se i mongoli contestassero l'utilità dell'accordo proposto provochereb- bero la disapprovazione del governo russo a Pietroburgo e inoltre la bene- vola disposizione attualmente esistente potrebbe cambiare. In vista di che) il Governo russo spera che Enzen-chan nella sua inesauribile sagget- za sappia apprezzare la situazione e accolga le proposte fatte. In conside- razione delle eccezionali circostanze del momento attuale ogni indugio nella soluzione del problema può avere le più spiacevoli conseguenze per la Mongolia e pertanto chiedo a Enzen-chan di prescrivere ai suoi ministri (il più in fretta possibile) di procedere d'urgenza all'esame dell'accordo proposto.

(Questo discorso, da me pronunciato a fraG staccate, fu tradotto da Cerempylov in mongolo, dopodiché) Chutuchta con voce dolce rispose che ringraziava per i l saluto dello Tzar Bianco (Cagan Batyr') e per i sen- timenti da me espressi a di lui nome, che è ben conscio della necessità per la Mongolia di conservare buoni rapporti con la Russia, che crede nella benevolenza del governo russo e desidera entrare con esso in rapporti contrattuali, che possano riuscire parimenti vantaggiosi a entrambe le parti e salvaguardino l'indipendenza della Mongolia e del popolo mongo- lo da attentati esterni. Egli prescriverà ai principi ed ai ministri di proce- dere senza indugio all'esame delle condizioni dell'accordo.

Dopo questo discorso mi si avvicinarono alcuni lama, che deposero su un tavolino due pelli di zibellino e alcune pezze di seta, dei biscotti mongoli a tòrma di mano (le dita del Buddha), dei pacchetti di bastoncini da fumo e un astuccio con delle collane di ambra e di agata. Gli stessi doni vennero deposti davanti ai miei compagni. Fatto un (profondo) inchino, al quale Chutuchta rispose con un cenno del capo, uscimmo dalla jurta. Dopo l'udienza mi venne offerto un pranzo al Ministero degli affari esteri. Esso consisteva in un intero montone lessato, in un antipasto alla russa e in dolciumi russi e cinesi. Come bevande figuravano la vodka, varie specie di k ~ i m ~ ~ s , i l tè di tavoletta e lo champagne. (Ci offrirono anche del pane bianco e nero). I1 pranzo fu servito in modo assai primiti- vo, soprattutto il montone, dal quale gli ospiti tagliavano dei p e ~ z i coi loro coltelli (ogni mongolo porta un coltello alla cintura in un apposito

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astuccio) e li mangiavano senza aiuto di forchette. Del resto, per me e i miei compagni erano stati posti a disposizione dei piatti e delle forchetle. I principi ui comportavano (amabilmente e con garbo) con grande dignità. Cliandavan dichiarò che il trattamento era semplice, ch'essi non conosce- vano le raffinatezze del servizio e dell'etichetta occidentale, ma che di cuore ci convitavano e speravano che da ora in poi la Russia e la Mongolia sarebbero state legate da vincoli indissolubili di amicizia e di reciproci interessi.

29 settembre. La mattina andai a cavallo alle giA citate caserme cinesi, ora occupate dai militari mongoli, istruiti dall'esciul Vasil'ev, che ci fece assistere a degli esercizi di marcia e tenne una lezione di ippica. I cavalieri indossavano dei tirl~rpj1 (e dei berretti di pelliccia) cenciosi e sporchi di unto, ma si muovevano con ordine e bravura. I cavalli erano magri ed esauriti. Al dire di Vasil'ev, i mongoli non ne hanno cura, li nutrono male e l i fanno correre senza pietà (andando la notte a Ma.jmaEen, la città cinese distante cinque verste).

Sulla via del ritorno passammo per Majmaeen. E' una linda cittadi- na, abitata da mongoli confuii coi cinesi, che del resto ora sono pochi, ed ha un aspetto desolato, molte botteghe sono chiuse. I cinesi che vengono in Mongolia non portano con sé i familiari, ma spesso si sposano con delle mongole, ciò che non è difficile fare, data la libertà dei rapporti qui vigenti. A MajmaCen vivono molte di queste famiglie mongolo-cinesi. I meticci, nati da questi matrimoni misti, assomigliano di più ai cinesi che ai mongoli. Molti cinesi sono così attaccati alle loro mogli mongole che {e le portano con sé in Cina. Lo stile delle costruzioni è come quello di Kuren': i cortili sono attorniati da alti steccati di tronchi, qui si trovano jurte e ,fcinp cinesi di mattoni crudi, con tetti di tegole. Intorno alla città c'è un muro di argilla e alcune porte (yajlocr) cinesi in legno. Nella via principale ci sono case di tipo semieuropeo, tra cui la Banca Da.jcin, sotto la guardia dei nostri cosacchi.

Moskvitin ha comunicato che domani i mongoli manderanno il controprogetto dell'Accordo, in cui si parla dell'inclusione della Mongolia Interna. Al dire di Moskvitin, ciò è stato fatto sotto l'influenza di Dalama e di vari principi, che si dichiarano in genere contro l'avvicina- mento a noi russi, evidentemente per l'azione dei cinesi. E' mia intenzio- ne fare opera di persuasione sugli intimi di Chutuchta. Ljubà affiderà la cosa a Cerempylov, che gode d'influenza a corte. Dicono che molti prin- cipi sono suoi debitori.

A proposito, Cerempylov consegnò (oggi) ai mongoli a mio nome i doni portati da Pietroburgo. A Chutuchta offrii due grandi vasi d'argento e un bacino con brocca d'argento per le abluzioni: alla consorte del

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Bogdo-chan poi un grande specchio in cornice d'argento. In ricambio Chutuchta mi mandò due piatti con dolciumi mongoli e biscotti.

Da Pechino ricevute da Krupenskij cattive notizie sulle energiche azioni militari dei cinesi nel Su.juanEen presso Kukuchoto. E' stato colà designato come czjan-cz.jun (cioè comandante delle truppe) un energico generale per le azioni contro la Chalcha. A sua disposizione sono stati po\ti 8000 soldati della guardia e 4 reggimenti di truppa regolare con mitragliatrici. I cinesi stanno pure prendendo delle misure per difendere il territorio dell'Altaj. In genere la Cina sembra intenzionata con le minacce a indurre i mongoli della Chalcha a riconoscere la sua autorità alle condi- zioni proposte da Juan Si-kai.

Oggi mandai la risposta al telegramma di Pietroburgo riguardo la proposta di Juferov d'istituire una banca di emissione mongola (nel senso dell'opportunità della stessa).

Spiegai che l'assenza di un ente di credito a Urga - esclusa la banca cinese, che emette banconote prive di garanzia, - si ritlette sfavorevol- mente sul commercio russo, senza dire di altri inconvenienti cti carattere quotidiano che i russi risentono. A quanto pare, a Pietroburgo non simpa- t iz~ano con l'idea di una banca russo-mongolica e forse non hanno fidu- cia negli iniziatori dell'affare.

30 settembre. (Oggi) i mongoli hanno mandato la risposta al nostro progetto di Accordo. (Essi vi hanno introdotto alcune essenziali correzio- ni e aggiunte). I1 progetto è sostanzialmente mutato, a dire il vero si tratta di un nuovo accordo.

(La parte prima, introduttiva, del nostro progetto è stata del tutto cambiata). Nel contro-progetto mongolo si dice che "la Mongolia si è liberata del giogo cinese e si è dichiarata stato indipendente sotto la guida del suo Bogdo-chan. La Russia per prima ha riconosciuto questa indipen- denza e si è impegnata a difenderla". In seguito si parla dell' "eterna ami- cizia fra i due governi", del1'"immutabilità delle frontiere", della "nomina ad Urga di un plenipotenziario, che dovrà occuparsi di affari commerciali, e di consoli nelle città mongole. Mentre la Mongolia manderà in miscione a Pietroburgo uno speciale rappresentante". Si dice pure che i russi non possono viaggiare in Mongolia senza uno speciale passaporto. Inoltre i mongoli hanno mescolato i testi dell'Accordo politico e commerciale facendo dei due un quirl meclium. Nel progetto dell'Accordo commerciale essi hanno introdotto delle modifiche per noi svantaggiose rifiutando il diritto da loro in precedenza riconosciuto che i russi acquistassero terre in proprietà, esercitassero commerci di scambio (non con denaro), conclu- dessero affari a credito (giacché pare che i russi umilino i mongoli), e che i funzionari russi avessero diritto di servirsi degli ~lrron (posta statale a

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cavallo) in quantità illimitata. Un tale diritto veniva limitato a cento uomini e a 30 cammelli al mese su una data distanza.

Nella redazione di questi progetti i mongoli, da notizie private, si erano valsi di un manuale di diritto internazionale del Bljunc'li (edi~ione cinese) e di una raccolta di trattati, ma si erano anche basati sui consigli di mongoli che avevano vissuto in Cina ed erano conoscitori della storia politica degli ultimi tempi. Redigendo l'introduzione al nostro Accordo politico è chiaro che i mongoli tendevano a ricevere da noi la promessa del riconoscimento da parte della Russia della "indipendenza esterna dello Stato mongolo", non accontentandosi del riconoscimento da noi proposto del1"'autonomia interna della Chalcha". Essi vogliono che quest'atto esprima decisamente la loro liberazione dalla sovranità cinese e i l diritto nascente da essa dell'intromissione della Cina negli affari di governo della Mongolia. Per meglio assicurare un tale risultato essi ave- vano introdotto nel loro progetto la delibera di eleggere Chutuchta come autocrate secolare "Enzen-chan", riconosciuto dalla Russia. Dopo aver letto il progetto, vidi che non era neppure possibile studiarlo, tanto esso era lontano dalle istruzioni datemi e dalle nostre proposte.

Intanto da Sazonov giunse un telegramma nel quale, come preve- devo, mi si permettevano le più insignificanti digresioni dal testo primi- tivo, come il nostro consenso alla nomina ad Urga di un residente, ma non di un plenipotenziario, e ai mongoli si concedeva di mandare un'amba- sciata a Pietroburgo, ma solo dopo la conclusione dell 'Accordo. Nell'Accordo commerciale poi venivano ammesse modifiche (solo in parte) di second'ordine. Dichiararioni sul Governo mongolo e sulla Mongolia Interna venivano del tutto omesse.

Alla riunione odierna erano presenti tutti i principi e Ce-cen-chan, giunto a Urga di recente dal suo u,jn~cik. Cominciai la conversazione dichiarando che non potevo trasmettere al mio governo il progetto mon- golo, in quanto esso mutava del tutto il senso e il contenuto del nostro Accordo e conteneva in sé delle impreviste delibere mentre io avevo i poteri solo di esaminare il progetto del nostro Accordo, approvato dal Consiglio dei ministri e ratificato dal Sovrano. I1 Governo russo, conti- nuavo, non recede dai punti menzionati in questo affare e citai gli argo- menti contenuti nel telegramma di Sazonov, rinforzandoli con delle consi- derazioni generali e con gli analoghi esempi storici dell'Egitto e del Marocco, che godono di autonomia interna.

Spiegai poi che l'unificazione della nazionalità non si raggiunge di colpo, ma mediante un lento processo storico e una lotta, spesso di lunga durata, per I'indipendenra, anzi mi riferii al caso degli Stati balcanici. Sino ad oggi, continuai, molte nazionalità non sono unificate e fanno

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parte di altri Stati, per esempio, l'Austria, nella cui con~posizione entrano slavi ed ungheresi: o la Turchia, della compagine della quale fanno parte numerose na7ioni cristiane, e infine, com'è noto, tutto 1'Oltreba.ikka è popolato da burjati, cioè da una branca della razza mongola. Perciò, se i principi mongoli aspirano ad ottenere l'unificazione di tutta la Mongolia, dovranno probabilmente fare la guerra non $010 alla Cina, ma anche alla Russia, giacché non è facile che noi acconsentiamo a cedere spontanea- mente I'Oltrebqjkal.

Sain-Noin replicò che tutto ciò è molto persuasivo, ma che i mon- goli vogliono un'effettiva e non fittizia indipendenza. Al tempo della deputazione mongola a Pietroburgo nell'agosto 19 11, i ministri russi le avevano dato delle assicurazioni positive nel senso di una piena autono- mia, cioè indipendenza della Mongolia, e i l ministro delle finanze Kokovcev aveva consigliato francamente di riunire tutta la Mongolia, e non la sola Chalcha. Mentre le nostre attuali condizioni paiono al governo mongolo del tutto insoddisfacenti. Lasciare in vigore la sovranità cinese corrisponde al ripristino del potere clella Cina, alla sottomissione e divi- sione in due parti della Mongolia, l'una con segni apparenti d'indipen- denza e l'altra predestinata ad essere inghiottita dalla Cina. Noi siamo convinti, aggiungevano i principi, che non un solo patriota mongolo si rassegnerebbe ad una tale falsa soluzione della questione. Con particolare durezza sosteneva questa opinione Dalama insistendo sull'impossibilità di rinunciare alla Mongolia Interna e sul fatto che ora la Mongolia è uno Stato indipendente e deve concludere l'accordo su principi d'indipenden- za. Io osservai che delle promesse fatte alla deputazione a Pietroburgo nulla mi era noto, ma se queste erano state fatte, lo furono non a proposito della conclusione di un accordo russo-mongolico, del quale allora non si parlava, ma nel senso della promessa di un supporto diplomatico contro la Cina onde indurla ad astenersi da misure repressive contro i mongoli in genere. Certo, la Russia avrebbe voluto concludere un accordo anche con la Mongolia Interna, ma le circostanze politiche non l'hanno permesso ecl io non ho il potere di esaminare il suddetto problema. Se la Chalcha riu- scirà a concludere l'accordo con la Russia, le sarà poi più facile intendersi coi principi della Mongolia Interna. Nella primavera del presente anno noi abbiamo infatti dichiarato di riconoscere l'autonomia della Mongolia e di essere pronti a garantirne la difesa contro la Cina, ma tale dichiara- zione esige una conferma, che può essere ottenuta dal proposto Accordo. Ora io desidero sapere se il governo mongolo è intenzionato a concludere un tale Accordo o se preferiwe conservare i l regime precedente.

Dalama di nuovo ripeti che la Mongolia non può consentire alla nostra proposta, che consolida la dipendenza dalla Cina. I mongoli pretè-

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rixono combattere coi cinesi e difendere i loro diritti, e se ciò non riu- scirà loro, condivideranno la sorte della Mongolia del sud cioè rimarran- no vassalli di Pechino. Constato, - io notai -, che la Mongolia preferisce la sottomissione alle Cina, alla nostra proposta di liberazione dalla dipen- denza dalla Cina e che essa, a quanto pare, sta già intavolando trattative con Pechino.

Dalama con enfasi dichiarò che era meglio per tutti i mongoli di . perire insieme piuttosto che permettere che il paese si disgregasse e che la

Chalcha conquistasse la libertà a spese della sottomissione del sud e dcll'est. Poi egli prese a dire che il nostro Accordo non offrjva alla Mongolia dei seri vantaggi, ma che, secondo alcuni, era un passo occulto verso i l protettorato e la sua trasformazione in una Buchara o in una Corea, che in vista di ciò conveniva pensarci su, con chi era più vantag- gioso stipulare accordi, se coi cinesi o coi russi. "Giacché i Mongoli non desiderano punto passare dalla servitù cinese a quella russa, ma aspirano ad una completa libertà dalla schiavitù. Mentre i russi non vogliono che si discuta l'accordo, ma esigono l'accettazione senza obiezioni di tutte le condizioni da loro stilate". E perciò egli ritiene che "sia meglio attendere l'ai-rivo dell'inviato cinese Na.jantu e mettersi al corrente delle sue propo- st: e poi scegliere ciò che è più vantaggioso per i mongoli, altrimenti i russi, cogliendo l'occasione della ingenuità degli stessi, potrebbero forse imporre loro un ancor più gravoso giogo".

Poi Dalama prese a ripetere che la Russia vuole ingannare la Mongolia e abbandonarla alla Cina, che i mongoli sono poveri ed igno- ranti, che hanno bisogno di aiuto, ecc. Irritato al massimo dal tono provo- catorio e dalle pretese di Dalama, che erano a quanto pare condivise dagli alti-i, io osservai seccamente che ero stato mandato ad Urga non per con- trattare o rivaleggiare con l'inviato cinese e che se questi fosse stato qui accolto, io avrei subito interrotto ogni trattativa e me ne sarei andato. E poiché Dalama continuava nelle sue secche obiezioni, io, non essendo in grado di padroneggiare la mia irritazione, afferrai il progetto mongolo di accordo che stava sul tavolo dinanzi a me e, sgualcendolo, lo buttai in un angolo della stanza. Poi, alzatomi, dichiarai ai principi che dopo le ingiu- rie recate al mio governo non volevo più colloquiare con loro e affidavo al console generale la condotta delle trattative. Dopodiché me ne andai a casa, senza salutare nessuno. Poco dopo vennero a trovarmi El'tekov e Moskvitin, comunicandomi che la inia uscita aveva prodotto sui principi una penosa impressione. Dalama ripeteva che io avevo offeso Chutuchta, perché nel progetto di accordo c'era la sua (firma) sigla. Gli altri principi erano turbati e non sapevano che fare. Io incaricai Moskvitin di spiegare ai principi che il inio comportamento era stato provocato dall'impertinen-

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za di Dalama, che aveva accusato il governo russo d'inganno e perfidia, ma che ero pronto a, continuare le trattative a condizione che ad esse non prendesse parte quel ministro.

(rorztinira)

(Trcrcluzione cl~rll'origincrle nrsso (li Piero Crrzzola)

NOTE

1) I1 l o dicembre 191 1 i Cinesi vennero cacciati e la Mongolia Esterna, con capitale Urga, fu proclainata indipenclente, avendo per capo il Khutucltu (Buddha viven- te).

2) Carrozza cla viaggio. 3) Sottufficiale clelle truppe cosacche. 4) Antica misura di lunghezza, pari a in, 2, 134. 5 ) Vestaglie, caffettani usati dai popoli asiatici. 6) Antica mimra di lunghezza, pari a m. 0,71 7) Latte ferinentato di cavallo o cammella. 8) Carro tla viaggio. 9 ) Ali di un eclificio, cl~j~niclrrric~s. 10) Capitano delle truppe cosacche. 11) I. N. Krupenskij era succeduto a Korostovetz alla Lxgazione russa a

Pechino nel 1912. 12) Pellicce cli montone.

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Liica Agretti

L'ESTONIA DALLA PREISTORIA ALL'INDIPENDENZA (1918)

Dcillci preistoria ill la conqlii~ta retle,ta Scarse sono le notizie riguardanti la Baltia in generale, e l'Estonia

in particolare, per tutto i l periodo precedente l'anno Mille. Si può comun- que affermare con buona sicurezza che i primi progenitori degli Estoni, tribù nomadi ugrofinniche rappresentanti della cosiddetta "cultura della ceraniica a pettine", giunsero nelle zone settentrionali degli odierni Paesi Baltici verso i l 3500 a.C. Essi parlavano una lingua che si può considerare la base dell'Estone e del Suomi, diversificatisi in tempi assai più recenti.

Se si aggiunge che le ondate migratorie successive e secoli di dominazioni straniere non hanno sostanzialmente modificato questa par-

1

lata e che buona paste delle popolazioni finniche ha finito per venire assi- milata da quelle indoeuropee, si potrà ben capire quale importanza rivesta per gli Estoni la propria lingua.

La zona dell'odierna Estonia venne solo sfiorata dalle migrazioni successive: le popolazioni indoeuropee portatrici della "cultura della cera- mica a cordicelle", e più cpeciticamente della cosiddetta "cultura del lito- rale"', progenitrici degli altri popoli Baltici, si stabilirono verso il 2000 a.C. nelle zone limitrofe assimilando più o meno velocemente le popola- zioni finniche (la Latgallia, nell'odierna Lettonia orientale, perse il pro- prio carattere finnico solo nel 500 d.C. e alcuni villaggi livoni resistettero in Curlandia - Lettonia occidentale- fino alla seconda Guerra Mondiale), ma venendo esse stesse assimilate in Finlandia ed Estonia.

Anche la migrazione degli Slavi orientali verso i l Baltico, avvenuta nel VI sec. d.C., si fermò prima di arrivare all'Estonia, col risultato di comprimere solamente e circoscrivere ulteriornlente la zona abitata dai protoestoni; diversa, anche in questo caso, fu la sorte di altre popolazioni finniche, quali i Voti, i Vepsi e i Careli che, sebbene non totalmente -le Icro lingue sopravvivono a tutt'oggi -, vennero gradualmente assimilati da questi progciiitui-i dei Russi. E' ancora importante osservare che il con- fine etnolinguistico dell'E4tonia non è più mutato, dopo la migra~ione degli Slavi, fino ai giorni nosui.

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Gli Estoni mantennero l'indipendenza fino al XIII secolo, nono- stante ripetuti scontri con le popolazioni dell'area: le maggiori battaglie vennero combattute contro Danesi e Svedesi, a partire dal IX sec. I Vichinghi, a parte la costruzione di qualche avamposto fortificato, trala- sciarono invece perlopiù l'Estonia concentrando i loro sforzi nell'avanza- ta verso il Mar Nero. Intorno al Mille il principato di Kiev incominciò una guerra contro gli Estoni che si protrasse per più di centotrent'anni senza risultati apprezzabili, segnando anzi cocenti sconfitte per i Russi.

Gli Estoni stessi si dedicarono a incursioni nei territori nemici, arri- vando fino in Danimarca e distruggendo, nel 1187, la allora capitale della Svezia, Sigtuna.

Verso il 1200 l'Estonia contava circa 150.000 abitanti: la struttura socioeconomica era assai semplice e priva di organizzazione gerarchica: il nucleo fondamentale della società era la fattoria familiare, in cui convi- vevano vari gradi di parentela. Più fattorie formavano i l villaggio, gover- nato dagli anziani.

La religione consisteva in un misto di animismo e culto degli ante- nati, non esistevano sacerdoti e la moltitudine di dei e spiriti, unita alla varietà dei riti (i morti potevano essere indifferentemente sepolti o crema- ti), formava un pantheon eterogeneo destinato a riflettersi anche nella società.

I1 territorio era diviso in federazioniz: un gruppo di villaggi forma- va un kihelkoncl, che aveva soprattutto una funzione difensiva contro le scorribande esterne, essendo provvisto di una o più roccaforti in cui met- tere al riparo persone e bestiame. I1 capo del kihelkond, scelto tra gli anziani dei diversi villaggi, non aveva potere coercitivo e si limitava a proporre agli uomini (non esisteva una nobiltà e quindi tutte le persone libere erano uguali) ciò che avrebbe rappresentato l'interesse comune.

Vari kihelkond venivano riuniti a formare uno degli otto m~i~lkond in cui l'Estonia era divisa: questi ultimi fungevano invece da base orga- nizzativa per le scorribande all'estero. Alla guida di questi distretti veniva nominato uno dei capi dei kihelkond federati, per un periodo indefinito. Non esisteva un ulteriore grado organizzativo: i rappresentanti degli otto maakond si incontravano ogni tanto per discutere ed eventualmente con- certare azioni comuni, ma la figura di un leader nazionale non sorse mai tra gli Estoni; il che, se da una parte garantiva uno status di uguaglianza per la maggior parte della popolazione, fece sì che l'avvento di nuovi e più potenti avversari, i Tedeschi, facesse infine capitolare l'Estonia.

La coriqliistri e la clonzinazior?e tec1e.scci Le radici della conquista tedesca dell'Estonia risiedono principal-

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Agretti

mente, anche secondo Taageperal, nella mancata cristianizzazione dell'area baltica allorquando anche la Russia venne convertita, attorno al 1000, e nel fallimento della 111 Crociata, alla fine del XII secolo.

I principi tedeschi, sconfitti da Saladino in Terrasanta, si rivolsero vcrso E\t quando i l Papa denominò la zona baltica, l'unica non ancora cristianizzata ad Ovest del Volga, "terra di Maria", dando così via libera ad una Crociata di conversione: nel 1201 il vescovo Alberto si insediò nel villaggio di Riga, in I,ivonia, e diede vita all 'Ordine dei Cavalieri Portaspada (Frutres rililitiue Cl~risti, 1202 o 1203) per proteggere le mis- sioni di evangelizzazione. L'Ordine riscosse molto successo tra i Tedeschi desiderosi di rivincita, la Livonia e la Lalgallia vennero quindi sottomesse in breve tempo e la capitale fu stabilita a Riga. Più complicata fu la con- quista dell'Estonia, intrapresa nel 1208 e protrattasi per vent'anni: gli E\toni, sotto la guida di Len~bitu, capo di un maakond, resistettero grazie atl ai-ioni concertate, ma la mancanza di unità, alla lunga, si fece senlire: 1,embitu cadde nel 1217 e i Danesi, sotto la guida del re Valdemar 11, attaccarono l'Estonia a Nord nel 1219, distruggendo Lindanisa (ossia "seno di Linda", la moglie del milico KalevJ), la capitale degli estoni5, ed edificando al suo posto la "fortezza dei Danesi", Taan-linn, che sarebbe diventata l'odierna Tallinn.

Chiusi nella morsa di due eserciti, gli Estoni persero la loro indi- pendenza nel 1224, e la conquista dell'isola di Saaremaa nel 1228 pose fine alle ultime resistenze. L'Estonia si trovò così diviw: la parte setten- trionale rimase sotto i l controllo dei Danesi, quella meridionale fu affidata ai Cavalieri Portaspada.

Raun6 spiega così la sconfitta degli Estoni: "I1 fallimento della resi- 4tenra e5tone si può imputare a tre fattori principali: la superiorità nume- rica degli eserciti invasori, la supremazia militare e tecnologica dei Tedeschi e dei Danesi, e l'assenza di un potere politico centralizzato in E\tonia, causa di un'insufficiente mobilitazione e dell'assenza di qualsiasi alleanza con Stati stranieri".

I,a vittoria tedesca segnò I'inirio di tempi bui per la popolazione rurale estone: le venne imposto un sistema feudale di modello germanico, con i villaggi sottoposti alle proprietà dei vassalli del l 'ordine dei Portaspada o dei vescovi. I proprietari terrieri erano una variegata accolita di Cavalieri Portaspada, di avventurieri tedeschi delle più svariate origini e di pochi capovillaggio estoni che si germani7zarono rapidamente.

Nei primi tempi buona parte degli uomini liberi estoni rimase tale, ma tributi vessatori e obblighi di vario genere verso i conquistatori erose- so le condizioni economiche e giuridiche dei contadini finché questi non si trovarono ridotti in uno stato di totale schiavitù.

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Nel 1343 un'insurre~ione degli Estoni rovesciò il controllo danese su Tallinn ma l'intervento dei Portaspada, nel frattempo accorpati al170rdine Teutonico, soffocò la rivolta. Al re di Danimarca non rimase altro che vendere, nel 1346, la propria parte di Estonia, sulla quale fatica- va a tenere il controllo, ai Cavalieri, cosicché tutta la regione si trovò unita, sotto il nome di Livonia.

Le condizioni di vita dei contadini continuarono a peggiorare: le tasse in natura aumentarono fino a raggiungere, nel 1550, i l 25% del rac- colto, le continue guerre tra feudatari e quelle contro Russi e Svedesi li vedevano regolarmente inquadrati in truppe ausiliarie mandate allo sbara- glio; inoltre, i miglioramenti nell'agricoltura furono poco rilevanti. Di contro, le città si svilupparono sotto la guida dei mercanti tedeschi e si aggregarono alla Lega Anseatica.

E' importante sottolineare che mancò quasi del tutto la germani7- zazione dei territori sottoposti all'ordine Teutonico: i Tedeschi rimasero una piccola minoranza, quantificabile attorno al 5Q, anche se occupavano tutti i gradini più alti della scala sociale; una delle cause che fermò i l pro- cesso di trasferimento di masse popolari tedesche ad Est fu la resistenza della Lituania, che si formò in Stato indipendente nel 1236, tagliando così ogni comunicazione di terra tra la Prussia e la 1,ivonia.

Anche la cristianizzazione della zona rimase un fenomeno alquanto superficiale, giacché i rituali in latino o in tedesco precludevano la parte- cipazione del volgo, che continuò così a coltivare le proprie credenze pagane, intrecciandole ai culti cristiani "imposti".

La nettissima separazione, anche linguistica, tra élite tedesca e popolazioni autoctone, sommata anche all'isolamento geografico di que- sta parte dei possedimenti del170rdine Teutonico, fece sì che con il passa- re degli anni la posizione della Livonia si indebolisse notevolmente: dopo il 1400, la potenza di Russia, Svezia e del Regno Lituano-Polacco crebbe molto, e il successo della Riforma luterana in una zona governata da un ordine religioso cattolico (successo dovuto anche all'uso delle lingue locali nelle funzioni), rese chiaro che i Cavalieri, in Livonia, non avevano molto futuro di fronte alle pressioni esterne.

Difatti, mentre nel 1535 veniva stampato il primo libro in lingua estone, un catechismo luterano, iniziavano i preparativi per l'invasione, che avvenne nel 1558, da parte dei Russi.

La guerra livonica continuò fino al 1583 ed ebbe esiti disastrosi per la popolazione: solo 100.000 dei 250.000 abitanti della zona sopravvisse- ro alle battaglie, alle carestie e alle pestilenze.

La parte settentrionale dell'Estonia si sottomise nel 1561 al Regno di Svezia, mentre nel resto del Paese si combattevano Polacchi, Danesi,

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Agrutti

Russi, Tedeschi e ribelli estoni. Nel 1583 la situazione si era un po' defi- nita: Svedesi a Nord, Polacchi a Sud, Danesi sull'isola di Saaremaa.

Le guerre continuarono fino al 1629, anno in cui il Regno di Svezia estese i propri dorninii fino alla Daugava, nell'odierna Lettonia: l'Estonia si trovava così di nuovo riunita sotto un'unica dominazione, e la cessione, nel 1645, di Saaremaa alla Svezia completò il quadro.

In sintesi, pare lecito affermare che la dominazione tedesca si risol- se in quattro secoli di sfruttamento coloniale arzte litternnl, senza alcun tipo di contributo culturale reale:

"Dopo la disperata insurrezione del 1343- 1345, gli Estoni scompa- rirono dalle cronache coine se non esistessero più, se non sotto il generico nome di U~zcleutsche (non tedeschi) [...l Si rimane perplessi nel trovare una sola personalità culturale di origine livonica del periodo pre-Iiiforma [...l La principale innovazione che i Tedeschi apportarono fu indiscutibil- mente la schiavitù"7.

La clonliriazione sl~eclese L,a conquista dell'Estonia da parte del Regno di Svezia avvenne,

come si è visto, in più fàsi, dal 1561 al 1645: il periodo svedese viene ricordato, nella tradizione orale estone, come il più florido, ma non tanto per l'effettiva tranquillità o per il miglioramento delle condizioni di vita, quanto per il confronto con le dominazioni precedente e successiva.

Innanzi tutto i l controllo svedese portò all'unificazione religiosa della zona sotto la confessione luterana, e questo aiutò a cementare il sen- timento nazionale estone: inoltre ci fu un notevole sviluppo delle strutture \colastiche: nel 1632 venne fondata l'università di Tartu, la seconda ncll'Europa orientale dopo quella di Vilnius. Venne dedicata una certa attenzione anche all'istruzione di base, con l'apertura di scuole elementari per i figli dei contadini, gest i te anche da personale finlandese. Chiaramente l'impatto sociale di queste strutture fu limitato, ma non si può sottovalutarne l'importanza.

Di contro, le condizioni della popolazione rurale non migliorarono quanto sperato: la minaccia russa ad Est era troppo vicina perché gli sve- desi si alienassero l'appoggio della nobiltà baltotedesca, che, perso i l potere politico, si batteva per mantenere i propri privilegi socioeconomi- ci. I tentativi di ridurli, e di codificare nel Vake~zDiicl? diritti e doveri dei contadini, si risolsero perlopiù in mere dichiarazioni d'intenti.

Le guerre livoniche e le pestilenze che, come visto, avevano drasti- camente ridotto la popolazione, lasciarono disabitate molte fattorie e addirittura proprietà fondiarie. Le fattorie vennero rapidamente accorpate ai fondi di proprietà, riducendo ulteriormente le quote destinate ai conta-

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dini; i fondi "liberi" vennero dichiarati proprietà della Corona e da questa girati a nobili svedesi o locali.

La mancana di manodopera tèce sì che, nei primi tempi, le condi- zioni dei contadini non peggiorassero, ma quando la popolazione rico- minciò a crescere e le fattorie a funzionare a pieno regime le cose cam- biarono: le corvées vennero raddoppiate così come le tasse in natura, e una legge del 1671 stabilì che i contadini non si sarebbero potuti muovere dal luogo di nascita, anche se rimaneva possibile che venissero venduti separatamente dalla terra che lavoravano.

L'abolizione della schiavitù nelle proprietà fondiarie della Corona di Svezia, nel 1681, non ebbe quasi nessun effetto: ci fu si il riacquisto delle proprietà girate ai nobili mezzo secolo prima, ma fu subito seguito dall'affitto delle stesse ai precedenti proprietari.

Tanto bastò, però, perché i nobili tedeschi si sentissero defraudati di diritti inalienabili, e le voci di una aboli~ione della schiavitù in tutto il territorio del Regno di Svezia li spinsero ad appoggiare la causa dei Russi, estranei loro sotto molti punti di vista (religione, lingua, razza) assai più degli svedesi, ma fermi assertori e difensori della schiavitù.

La guerra tra Russi e Svedesi incominciò nel 1700 e si protrasse fino al 1721. L'Estonia venne conquistata tra il 1704 e i l 1710: anche sta- volta notevoli sofferenze furono patite dalla popolazione civile, aggravate dalla pesantissima carestia degli anni 1695-1697 che aveva azzerato le riserve cli cibo. Le truppe zariste attuarono inoltre, in aggiunta alle razzie e agli omicidi tipici di ogni battaglia vinta, una devastante tattica di terra bruciata espressamente ordinata dallo zar.

La popolazione, che era cresciuta fino a toccare le 350.000 unità, uscì più che dime~zata da questa guerra riducendosi a 150.000 persone; tutti gli abitanti della città di Tartu vennero deportati a Vologda e Kostroma, nella Russia settentrionale, prefigurando così le deportazioni di massa dei Sovieticig.

I1 trattato di pace di Nystadt, nel 1721, pose fine alla dominazione svedese su Estonia, Livonia e Ingria (la regione, abitata da genti finniche, in cui venne fondata nel 1703 San Pietroburgo), aprendo il periodo russo, che sarebbe durato due secoli densi di difficoltà per la popolazione e l'etnia estone.

Un ~~lteriot-e secolo e mezzo (li schinvitìi La vittoria dei Russi segnò un notevole ed ulteriore arretramento

delle condizioni di vita dei ceti rurali estoni (vale a dire della quasi tota- lità della popolazione).

Già durante la guerra, come visto, buona parte della nobiltà balto-

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tedesca era passata con i Russi, e questi, per convincere quella più rilut- tante, non esitarono a promettere una discreta autonomia interna e il ripri- stino di tutti i diritti messi in pericolo dalla Svezia.

Inoltre, il livello culturale dei baltotedeschi era particolarmente alto se rapportato alla media dell'Impero Russo, cosicché si accrebbe notevol- mente anche la loro influenza politica: divennero rispettabili ministri, generali ed ufficiali; in questo li aiutò anche la vicinanza della nuova

t capitale, San Pietroburgo. In parole povere, conobbero il loro momento di maggior splendore centocinquant'anni dopo la fine del loro dominio sull' Estonia.

La schiavitù della gleba toccò quindi il proprio apice verso i l 1750, con contadini venduti al mercato o barattati con cani da caccia: si inco- minciò a diffondere la piaga dell'etilismo, con la sostituzione dei superal- colici al tipico idromele.

Non esisteva industria e lo sviluppo urbano si fermò di colpo: schiacciata dalla vicinanza di San Pietroburgo, Tallinn finì per contare non più di 10.000 abitanti; l'università di Tartu, chiusa nel 1710, non fu riaperta. Continuarono invece i progressi nell'istruzione del popolo: divenne usuale insegnare a leggere ai bambini a casa, e il tasso di analfa- betismo tra i contadini si ridusse progressivamente fino ad essere, verso il 1800, ampiamente al disotto di quello della Russia e della Lituania.

La popolazione si triplicò nel giro di una settantina d'anni, toccan- do le 500.000 unità attorno al 1780.

Dopo il 1750 la situazione cominciò a modificarsi: la pubblicazio- ne, ncl 1739, della Bibbia in estone diede prestigio e codificò la lingua, sancendo la superiorità del dialetto settentrionale su quello meridionale e frenando la frammentazione letteraria. Le idee illuministe e soprattutto romantiche, importate dalla Germania, finirono per modificare orienta- menti radicati nel tempo: le prime portando una critica automatica alle condizioni socioeconomiche dei paesi Baltici, attaccando così le posizioni dci nobili baltotedeschi.

Le seconde, invece, riscoprendo e rivalutando il folklore nazionale di tutti i popoli9, portarono alla nascita di una moda estofila tra i tedeschi.

Nel 1802 venne riaperta, dopo quasi un secolo, l'università di Tartu, e Krist.jan Jaak Peterson ( 180 1 - 1822) fu il primo vero poeta di ori- gine dichiaratamente estone.

La Russia conquistò la Finlandia nel 1809 e, sebbene le avesse concesso una certa autonomia, sorsero subito movimenti per salvaguarda- re l'identità nazionale: questo facilitò contatti più estesi tra Finlandesi ed Estoni.

Nel 1816 vi fu l'abolizione della servitù della gleba in Estonia (nel

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1819 in Livonia), anche se i l provvedimento rimase spesso lettera morta e ci vollero una ventina di anni prima di giungere a risultati appre~zabili. Comunque non fu più possibile vendere esseri umani, i servi liberati ini- ~ i a r o n o ad avere un cognome, imposto loro dai proprietari terrieri in buona parte dei casi (questo spiega la presenza di molti nomi permanici in una popolazione finnica), scelto autonomamente in altri.

Nonostante tutto anche i nobili baltotedeschi ebbero il loro torna- conto: alla liberazione dei servi non corrispose alcuna ridistribuzione delle terre, di cui rimasero gli unici proprietari. Gli affitti i11 natura per la terra lavorata furono iin'ulteriore forma di servitù: i l padrone poteva pre- tendere, con il preavviso di un solo giorno, che i contadini prestassero servizio nelle sue terre come pagamento dell'affitto: questo si verificava immancabilmente nei periodi migliori dell'anno, assicurando buoni rac- colti al proprietario e abbandonando a loro stesse le terre lavorate dai con- tadini. La richiesta di poter pagare un canone in denaro fu presto avanza- ta, anche con rivolte represe nel sangue, ma non venne accolta prima degli anni '50.

Verso il 1860 iniziarono anche le vendite di fattorie ai contadini, grazie ad un sistema di crediti ipotecari trentennali che, uniti alle buone condizioni di mercato per le patate e il lino baltici, rese possibile i l paga- mento delle rate in contanti.

La cultura estone fece passi da gigante in questo periodo: gli estofi- l i fondarono la Societh erudita estone (gelehrte estnixhe Gesellschaft), nel 1838, E. Ahrens cercò di fondare un sistema ortografico-grammatica- le per l'estone e J.F. Wiedemann concentrò i propri studi in campo lessi- cale, creando ed introducendo parecchi neologismilo.

La pubblicazione del Kalevipoeg negli anni 1857-1861 da parte cli F.R. Fahlmann e EII. Kreutzwald segnò i l punto p i ì~ alto della produzione poetica estone: quest'opera, "nonostante i l sottotitolo Eesti rahva enne- muistsed jutud (antichi canti epici del popolo estone), non rapprewnta soltanto un vero gioiello di poesia epica, costruito studiando materiale autentico della tradizione e seguendo il piano del Kalevala finlandese (1835). Essa costituì i l cemento della nazione estone durante tutto il suo Risorgimento e gegnò l'inizio dell'attenzione alla lingua viva del popolo, ossia la rottura con la tradizione della lingua ecclesiastica ."li

Bisogna infatti dire che già dal 1840 i rapporti tra nobiltà baltote- desca e il governo zarista si erano incrinati, a causa dei progetti di unifi- cazione culturale e religiosa dell'Impero, che mettevano in pericolo l'autonomia baltica fino ad allora garantita.

Venne introdotto il russo nell'amministrazione e si cercò di portare le masse popolari fuori dall'orbita culturale tedesca, attuando una campa-

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Agretti

gna di con~ersione al rito ortodosso con la promessa di facilitazioni eco- nomiche per chi avesse acconsentito.

I1 17% dei contadini livoni si convertii?, senza però fruire di alcun beneficio.

Mentre si combattevano per la supremazia culturale nei paesi balti- ci. nessuno tra Russi e Tedeschi prese in considerazione la variabile inter- na, vale a dire la nascita di una cultura nazionale estone che, indipenden- temente dalle scelte di facciata (adesione alla fede ortodossa o luterana), si era già fatta strada nei cuori della gente e sarebbe stata osso durissimo per i Russi decisi a creare uno stato unitario, con un unico credo ed un'unica lingua.

Il I-isveglio clell'iclerztitìl rzcrzionule estone contro la lussificazione Dopo la metà del XIX secolo l'attività culturale estone ebbe

un'accelerazione notevolissima: nacquero i primi settimanali (1857), venne istituito il primo festiva1 canoro ( 1 869), appuntamento poi diventa- to roccaforte tradizionale del nazionalismo culturale estone, sorsero società teatrali ( 1 865). I1 tasso di alfabetizzazione, che già toccava il 905l nel 1850, raggiunse il 96% nel 1897.

La salita al trono di Alessandro 111 Romanov segnò l'inizio di un orientamento assai più slavofilo (1881). Una delle molle di questo mutato atteggiamento fu senza dubbio la unificazione della Germania nel 187 1, con la quale si era creata una grande potenza che avrebbe senza dubbio messo in discussione i l predominio russo in una zona ad alta densità di cultura tedesca. L'ipotesi di una cultura autonoma estone non fu invece presa in considerazione, come L'' 'la accennato.

L'amministrazione delle province baltiche cominciò a venire gesti- ta da russi, in russo. I,o stesso avvenne per la scuola, partendo dalle classi inferiori fino a giungere all'Università di Tartu, seminando sconcerto sia nel corpo insegnante che in quello studentesco, entrambi digiuni di questa lingua: i l livello educativo, chiaramente, all'inizio decrebbe. Vennero sta- bilite punizioni per chi avesse parlato estone, anche fuori dall'orario delle lezioni.

Il tedesco venne così soppiantato dal russo nelle manifestazioni culturali e sociali, perdendo buona parte della propria importanza. Non altrettanto avvenne per l'estone che uscì rinforzato da questi tentativi di a\similazione culturale, che continuarono, anche se in forma meno mar- cata, dopo la salita al trono di Nicola I1 ( 1894).

Un loro risultato fu senz'altro qucllo di staccare gli estoni dall'orbita culturale tedesca, ma anziché farli entrare in quella russa li aLvicinò alla cultura "europea", grazie anche alla vicinanza di una città

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cosmopolita come San Pietroburgo. Intanto la popolazione estone acquisiva posti di sempre maggior

rilievo all'interno della società, e lo sviluppo della nazione procedeva a tappe forzate: dopo il 1860 cominciò l'industrializzazione della rona e ci fu la nascita di reti ferroviarie, telegrafiche e telefoniche.

La rivoluzione del 1905 accelerò ulteriormente lo sviluppo degli eventi: dall'anno successivo fu ripristinato l'uso dell'estone nelle scuole private e nelle scuole elementari statali; un numero sempre maggiore di studenti estoni si iscrisse all'università di Tartu, fino a raggiungere il 184 del corpo studentesco. Si accrebbe l'interesse della stampa per le vicende politiche della regione, nacquero i primi partiti politici, sorsero la Società estone di Letteratura (1907) e il Museo nazionale estone di Tartu, che ricoprirono un ruolo fondamentale nella salvaguardia del patrimonio cul- turale.

In questi anni si affacciarono alla politica Konstantin Pats e Jaan Tonisson, che tanta parte avrebbero avuto nelle vicende del Paese negli anni a venire.

I1 movimento "Noor Eesti" (Giovane Estonia) fu i l portabandiera di un atteggiamento finalmente equidistante sia dal modello tedesco che da quello russo. Molti giovani estoni si iscrissero quindi in università stra- niere, per ampliare i propri orizzonti culturali ma anche per propagandare la causa estone e rendere l'Europa più conscia dell'esistenza di questa nazione e delle sue aspirarioni. La parola d'ordine di questo movimento era infatti : "Siamo estoni, ma vogliamo anche diventare europei !".

Lo scoppio della I Guerra Mondiale interruppe questo processo, ma ormai le basi per l'autonomia erano state poste, tanto che quella che, per i Baltici, era cominciata come una guerra tra tedeschi e russi, si tra- sformò in guerra d'indipendenza.

In verità, le pretese degli estoni nell'anteguerra si limitavano alla richiesta di autonomia culturale e amministrativa: soltanto dopo la disfat-

Timento ta russa del 1917 e il conseguente caos istituzionale il raggiung. dell'indipendenza fu sentito come imperativo. Del resto la situazione

I faceva sì che le probabilità di riuscita di simile tentativo fossero più alte che mai: bisognava solo provarci e l'Estonia, la Lettonia e la Lituania lo fecero.

La I Guerr~i Morzclicrle e Ici corzqcristcr clell'inclipe/lcle~~zcr L'Estonia rimase fuori dai campi di battaglia della guerra fino al

191 8 , mentre la Lituania venne invasa nell'autunno del 19 15 dai Tedeschi, che arrivarono fino alla Daugava, in Lettonia. Gli estoni arruo- lati nell'esercito rarista furono comunque circa 100.000, vale a dire i l

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Agwtti

20% della popolazione maschile: di questi, 10.000 caddero. La Rivoluzione Russa rovesciò la zar nel febbraio del 19 17, e subi-

to Estonia e Lettonia avanzarono richiesta di autonomia presso i l Governo Pro\visorio russo, che acconsentì ad unire l'Estonia e la provincia Iivoni- ca settentrionale di lingua estone in un'unico ente autonomo.

Venne quindi eletto un Consiglio nazionale estone, il Maci1,iiel: e il sindaco estone di Tallinn, Jaan Poska, venne nominato comn~issario della provincia. Si formò anche un reggimento nazionale. Tutto questo avveni- va tra l'aprile e i l maggio del 191 7.

I1 Consiglio rilevò l'amministrazione del Paese il 14 luglio, realiz- zando de facto l'autonomia. Si dichiarò inoltre la massima autorità esto- ne, praticamente una rivendicazione di sovranità. Un atto importante, alla luce dello scontro tra Consiglio e governo bolscevico che sarebbe avve- nuto di lì a poco.

Infatti, dopo la Rivoluzione d'ottobre il Maapaev venne sciolto e il governo mostrò che i desideri della popolazione estone non sarebbero stati accontentati: le grandi proprietà terriere dei baroni baltotedeschi non sarebbero state divise tra i contadini, bensì trasformate direttamente in fattorie collettive. Questo fatto, unito alle v io len~e nei confronti della Chiesa, fece assai scendere i l prestigio dei bolscevichi in Estonia.

Nonostante tutto, però, visto che la guerra con la Germania prose- guiva e le truppe tedesche erano avanzate fino ad occupare Saareinaa, fu proposto loro di accettare una dichiarazione d'indipendenza che avrebbe probabilmente tolto l'Estonia dal prosieguo della guerra. In cambio, essi avrebbero mantenuto il governo del Paese: una solu~ione vista con favore dallo stesso L,eninl', ma che fu rifiutata dai bolscevichi estoni.

Dopo i l fallimento dei negoziati russo-tedeschi le truppe del Reich spazzarono via le scarse forze dell'Armata Rossa in Estonia ed entrarono in Tallinn il 25 febbraio 1918: il giorno prima, un Comitato di Salvezza Nazionale aveva dichiarato l'indipendenza del Paese e istituito un gover- no presieduto da Pats, che fu quindi internato in un campo di concentra- mento tedesco nell'odierna Bielorussia.

I1 trattato di Brest-1,itovsk (3 marzo 191 8) prevedeva che i Tedeschi presidiassero con un corpo di polizia l'Estonia e la Livonia "fin quando la sicurezza non potesse dirsi sufficientemente garantita dalle isti- tii7ioni locali e da un ordinamento statale definitivo"l4; in realtà essi cer- carono di annettersi i due Paesi iniziando una radicale politica di germa- nizzazione e ristabilendo i privilegi feudali della nohiltà baltica.

La sconfitta della Germania, nel novembre dello stesso anno, rese la situazione ancora più caotica: secondo il dettato dell'armistizio i tede- schi avrebbero dovuto ritirarsi da1l1Estonia e la Livonia per escere sosti-

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tuiti da truppe dell'lntesa, ma queste non furono mai inviate, cosicché i primi non se ne andarono. I governi provvi5ori non avevano controllo sul territorio, c i bolscevichi cominciarono a vedere la possibilità di rientrare in possesso della regione baltica. Infatti il 22 novembre attaccarono Narva e la occuparono la settimana seguente.

Cominciava così la guerra d'indipendenza estone: all'inizio i risul- tati furono quasi nulli, a causa della scarsa organiz7alione dei comandi e del governo. I russi avanzarono rapidamente in tutto il territorio e verso la fine dell'anno avevano conquistato più di due terzi delllEstonia, giungen- do a soli 30 Km. da Tallinn, e solo il provvidenziale invio di una squadra britannica impedì la conquista della capitale.

I1 nuovo anno segnò invece l'inizio di una potente riscossa estone, che portò in un mese alla riconquista di tutto il territorio nazionale: comandante supremo delle truppe estoni era il generale Johan Laidoner, formatosi nell'esercito zarista, e l'apporto di volontari finlandesi, svedesi e danesi fu di grande supporto anche morale ai soldati baltici, così come quello della Marina Britannica che impedì ai bolscevichi qualunque azio- ne via mare.

I1 ritorno di Konstantin Pats dalla prigionia e il suo reinsediamento al governo diede ulteriore impulso alla causa estone, che si vide impegna- ta, durante il 1919, su due fronti: ad Est contro i sovietici, a Sud contro la Divisione di Ferro del generale tedesco von der Goltz e la Balti5che Lcinclesw-ehr, che cercavano di impedire la formazione di governi comuni- sti negli Stati baltici annettendoli alla Germania.

La Divisione di Ferro, stanziata in Curlandia, aveva sino ad allora combattuto contro l'Armata Rossa per il possesso della Lettonia, anch'essa dichiaratasi indipendente nel 19 18. Quando però, conquistata Riga, rovesciò i l governo democratico presieduto da K. Ulmanis e si diresse verso l'Estonia, dovette accettar battaglia nei pressi di Cesis (Wenden) dalle truppe volontarie lettoni e dall'esercito estone, uscendone sconfitta, il 23 giugno 19 19. Questo giorno, oltre a restituire la Lettonia al proprio governo, segnò un momento particolare nella storia dell'Estonia, \imboli~zando la fine clel dominio nobiliare baltotedesco sul Paese dopo settecento anni, tanto che fu dichiarato, in seguito, "giorno della Vittoria".

Intanto la guerra contro la Russia sovietica continuava, e andò avanti fino alla fine del 1919 senza sostanziali mutamenti di fronte anche perché, una volta raggiunti i propri confini, l'Estonia cercò più la fine della guerra che ampliamenti territoriali; infine, il 3 1 dicembre fu firmato l'armistizio.

Il trattato di pace di Tartu, firmato il 2 febbraio 1920, segnò i l primo riconoscimento (le ilrie della Repubblica d'Estonia, che ora com-

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prendeva anche la parte di lingua estone della 1,ivonia (regione divisa tra le repubbliche estone e lettone senza alcun contrasto), parte della provin- cia di Pskov abitata da genti estoni e un inigliaio di Kmq. oltre il fiume Narva a Nord-est. Nel trattato, la Russia sovietica rinunciava "volontaria- mente e per sempre"1s ad ogni pretesa sull'Estonia.

Durante la guerra erano state tenute le elezioni per l'Assemblea Costituente (aprile 1919), che confermò ed integrò con la "Dichiarazione di sovranità ed indipendenza dell'Estonia" il primo annuncio del febbraio 19 I8 ( l9 maggio 191 9), e adottò importanti misure di politica interna.

I1 raggiungimento dell'indipendenza coronò i tentativi degli estoni in maniera lusinghiera, segnando un momento fondamentale nello svilup- po della coscienza e dell'orgoglio nazionale, tanto che a sessantacinque anni di d i s t an~a Roos poteva affermare che "la vittoria nella Guerra d'Indipendenza ha avuto un impatto straordinario e ineguagliato sul nazionalismo estone. Era stata a lungo sognata e profetiz~ata poeticamen- te, a tutt'oggi è l'avvenimento più formidabile nella storia dell'Estonia e continua ad ispirare i sentimenti di tutti i patrioti estoni."l6

NOTE

1) Caratteristiche della cultura del litorale erano, oltre alla ceramica a cordicel- le, le asce da coinbattiinento in pietra dalla forma di nave (cfr. P.U. Dini, L'anello balti- co, Marietti 1991 pg. 29 e R.Taagepera, Estonia: Return to Independence, Westview PI-ess, Boulder C 0 1993, p. 13)

2) Sull'organizzazione sociale dell'Estonia in cluesto periodo, Taagepera, op.cit. pp. 14-16

3) R. Taagepera, cit., pp. 16- 17 4 ) Kalev è il rnitico eroe estone, un gigante di origine ~einidi\~ina autore di

: iiiiprese leggendarie trainaildate nella tradizioiie orale e infine raccolte nel 1861 da F.R. Kreutzwald (vero noine V.R. Ristinets) nel Kcileiilioeg, poema initologico in 20 canti e 18.000 versi che è diventato I'epopea nazionale degli estoni.

5 ) La leggeiida vuole che l'odierna bandiera danese sia discesa dal cielo inentre la battaglia cruciale contro gli Estoni era sul punto di venir perduta: questo segno divino cliede ai Danesi la forza per ribaltare le sorti della guerra.

6) Toivo U. Raun, Estonia arid Estoniaris, Staiiford, Ca.; Hoover 1987-1991; trad. nostra

7) R. Taagepera, op. cit., pp. 20, 22-23, trad. nostra 8 ) Ibidem, pag. 26

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9) Nel 1787 Herder pubblicò "Stiminen der V6lker in Lieclern" che conteneva otto canzoni popolari estoni.

10) Per una maggiore elencaziorie cli questi contributi culturali, veclasi Diiii. op.cit., pp. 63-65

11) Ibidem, pag.77 12) Taagepera, op.cit. p. 31 13) Ibidern, p. 43 14) 13 Dini, op. cit., pag. 98 15) Aarand Roos: "Estonia - a nation iinconquered", Estonian World Council,

inc., Baltimore MD, 1985 pag. 21 16) Ibidem, p. 21, tracl. nostra.

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Quando lo scorso anno se ne è andata, Teresa Aristarco (proprio nell'anniversario della morte di Guido Aristarco, di cui era stata moglie e principale collaboratrice lungo l'arco di una vita in comune)l, avevo rillettuto sul fatto che non fosse facile parlare di lei: perché, per un verso, discorrendo di Teresa, si diceva ancora di Guido: mentre, per un altro verso, così facendo, si avvertiva di farle un qualche torto. Di omessa attenzione.

E' vero. Teresa aveva scelto di vivere fino in fondo la parte della non invadente e tuttavia stimolante redattrice prima, condirettrice dopo, di "Cinema Nuovo": ed era la bravissima organizzatrice "in seconda" di convegni e incontri di tipo seminariale, di corsi didattici e di interventi culturali sul cinema, i più diversi. Da un altro lato, però, lei aveva testa e volontà sue proprie. Pensava e ripensava i l cinema, l'arte del film, con la niassinia indipendanza: indimenticabili, per me, le interminabili, istrutti- vi4sime discussioni con i l marito e con altri (registi, critici, insegnanti, amici comuni ecc.), dopo aver visto o rivisto un film insieme. Ed era spesso lei ad incoraggiare o a xoraggiare, a valorizzare o invalidare con argutezza e combattività non poche delle scelte operative del gruppo di "Cinema Nuovo" ...

C'era poi i l lato della di~ulgazione, i l lato didattico della cosa. Ed io h o avuto modo di lavorare in più occasioni con Teresa nel corso di dibattiti con studenti e docenti di scuole medie, in occasione della intesta- zione della scuola "Chaplin" di Roma, in situazioni di aggiornamento di professori, di ali'abetizzazione cinematografica ecc. E, appunto, utilizza- vamo con profitto i l volume di T. Aristarco e N. Orto. Lo schenno rliclatti- co. UII erperinlerzro (li aIf(iOetizzazio~ze c i n e n z ~ i t o r i c nella scuola cl~~ll'oOl~ligo, Bari, Dedalo, 1980. E ne conversavamo criticamente, anche.

Per esempio, su Chaplin (Il circo, Il nlonello, Tenlpi nlorlerrii), o su Zavattini-De Sica ( L ~ l d r i di biciclette), ovvero su Le avi~enture di Pinocchio (PrikljuCeni.ja Buratino) di BabiCenko e Ivanov-Vane. Il dibat- tito, del resto, il dibattito tra la componente degli esperti di cinema e la componente scolastica (studenti, insegnanti, genitori), è l'elemento carat- teristico di quel libro. Ne darei un esempio, citando dal capitolo s~ill'AIrXsnr~clr Neivskij (1938) di EjzenStejn:

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«Chi comincia? Alunno - Secondo i l mio punto di vista il film è molto interessante.

Solo una cosa non mi è piaciuta, il sonoro e il parlato, perché la pellicola era rovinata: inoltre io ho già visto i l film sul canale di Capoclistria e mi sono accorto che qui sono stati tagliati molti pezzi, tra i quali alcuni che riguardano la battaglia sul lago: quando poi i teutoni sprofontlano nell'acqua si passa subito al campo lungo sul paese.

- Sulla città, la stessa che all'inizio vediamo distrutta dai cavalieri teutonici. Anche in tale sequenza c'è un particolare che nella nostra copia non vediamo. La città è in fiamme, un vecchio viene preso, legato e bru- ciato, poi vediamo i servi dei cavalieri prendere un bambino; in questa copia manca però la parte in cui lo stesso bambino viene buttato sul fuoco. Ci sono molti tagli, vi basti pensare che nell'eclizione originale il film dura centoundici minuti, mentre la proiezione di questa mattina è durata meno di novanta minuti. I1 sonoro e la musica in particolare sono tra le cose più belle del film, ma non avete potuto valutarli proprio per le cattive condizioni della pellicola. A volte non si riusciva neppure a sentire le parole.

Alunno - Quanclo apparivano i soldati normali erano piccoli. Questo significa qualcosa?

- Intanto mi piace che tu dica i soldati normali: poi, prima di risponderti, vorrei sapere se t i riferisci ai soldati russi o a tutti.

Alunno - Non tutti, quelli vestiti di bianco che avevano un elmo con una croce in mezzo per vedere.

- La tua osservazione C molto giusta. Questi soldati sono piccoli perché visti dalla visuale dei loro padroni, cioè dei cavalieri teutonici che dominano su di loro. I soldati sono poi piccoli, naturalmente, anche nei campi lunghi; il regista usa cluesto tipo di inquadratura per far vedere una massa enorme di soldati teutonici rispetto al numero modesto dei soldati russi.

Alunno - Perché prima della battaglia sul lago si vede il cielo che da scuro diventa un po' più chiaro, e poi appare Alessandro?

- I1 cielo scuro indica che è notte, poi si schiarisce, arriva l'alba e inizia la battaglia. L'insistenza su questo cielo può anche voler significare il senso di attesa che precede la battaglia, così che anche lo spettatore abbia, attraverso la lettura delle immagini, la sensazione dello scorrere lento del tempo, dell'attesan?.

E così via di seguito, approfondendo temi e problemi concernenti, strada facendo, la musica, gli spazi e i rapporti fra gli elementi visivi in gioco, il punto cli vista dei personaggi e quello del regista, le angolazioni dall'alto e dal basso, la peculiarità dell'inquadratura, le sequenze più belle

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Teresa Arislolro

meno belle, la simbologia e.jzenStejniana, le procedure seguite dai disegni preparatori alla resa cinematografica, la relazione realtà-immaginazione, i significati impliciti c quelli espliciti delle diverse soluzioni visive, le fonti culturali e poetiche (Shakespeare in specie), la dimensione morale e quel- la estetica del discorso filmico in questione, la scelta del ritmo di sequen- za e la struttura complessiva dell'opera, i tagli voluti e quelli non voluti, i nessi tra la storia e la politica, la rosa dei sentimenti rappresentati via via, la distinzione tra scenografia e scenario (soggetto, sceneggiatura), la sog- gettività del giudizio e l'obiettività del fatto critico, la genericità e la spe- cificità dell'approccio al film, le ragioni della "tentralità" e i meccanismi della ricostruzione scenica, lo specifico filmico e quello teatrale, i limiti espressivi del teatro, il presente e il passato in relazione reciproca ed insieme distinti, gli "spazi" e i "tempi" del film, i tipi umani, il messaggio dell'autore tra contenuto e forma, i l linguaggio del regista (il suo lessico, la sua grammatica e sintassi), la "logica" insomma di E,jzenStejn, e la sua filosofia della pace e della guerra ecc. ecc.

Sergej M. EjzenStejn, che in Lo schei-iilo cliclnttico, per bocca di Teresa Aristarco, fa dunque scuola: e che, non a caso, finisce con l'avere I'iiltima parola (o quasi). Ecco:

«Aristarco - L'anno scorso abbiamo proiettato in questa scuola La corc~zara Potenzkirz. Un genitore avverso alla proiezione di questo film, è venuto a controllare e alla fine uscendo ha detto: "Avete fatto bene, è un bel film". Intendo dire che è difficile negare l'evidenza delle cose, a meno che non si sia in malafede. E' difficile, a esempio, sostenere che Aleksanzclr Nevskii falsi la storia o sia un film di parte. Caso mai ricorda un episodio che molti vorrebbero dimenticare. Noi invece dobbiamo \apere tutto, e così i ragazzi che di fronte alla conoscenza dei problemi, dei fatti storici, devono essere liberi di esprimere il loro giudizio. A noi spetta solo il compito di fornire gli strumenti necessari. Io credo che prima delle parti ci siano le idee: idee che nascono confortate dal rag' riona- mento. Se uno non è d'accordo (questo, secondo me, è lo scopo per il quale ci troviamo qui) dice "non sono d'accordo" e argomenta. Al di là delle parti quindi non ci abbracciamo, ma in un paese civile si discute. E discutere cosa vuol dire? Vuol dire appunto articolare un certo discorso e portare pezze d'appoggio all'argomentazione. Ora se siamo d'accordo con quanto sosteneva la professoressa [Giovanna] Speroni, dobbiamo dire che in quello che abbiamo fatto, che avete fatto, 2 importante spingere i ragazzi a ragionare, a vedere i film con i propri occhi. Fare un corso di alfabetizzazione (non a caso abbiamo detto alfabetizzazione) significa appunto insegnare l'alfabeto del cinema, le parole cinematografiche, affinché il ragazzo abbia gli strumenti per poter "leggere". Se il regista fa

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una relazione tra due inquadrature, vuol dire una certa cosa che il film dice. I1 ragazzo legge le immagini e capisce le idee del regista; poi può anche non condividerle. L'importante è che sia in grado di capire. Ma qui ci sono molti ragazzi, sentiamo anche il loro parere.

Fabio Zambenedetti (alunno) - Dopo questo corso di alfabeti~za- zione cinematografica siamo riusciti a distinguere i film di cassetta, che ci vogliono condizionare, dai film seri, che ci fanno riflettere. Abbiamo imparato inoltre a non lasciarci trascinare dalla trama, ad a n a l i ~ ~ a r e le immagini, anzi le relazioni di immagini.

Cristina Torretta (alunna) - Io penso che il corso sia servito a farci capire i film e di conseguenza i sentimenti che l'autore vuole esprimere attraverso le scene. Prima non riuscivo a intuire il significato di alcune inquadrature, mentre adesso molte le capisco quasi perfettamente.

Cinzia Orlando (alunna) - Credo che questi incontri mi siano servi- ti per poter apprezzare un film, per poter capire e giudicare quello che i l regista ci comunica.

Fulvio Roversi (alunno) - I1 corso è stato importante perché ci ha insegnato a non lasciarci condizionare dai programmi televisivi e dal cinema. I1 prossimo anno vorrei analizzare alcuni telefilin per ragazzi e paragonare i nuovi film kvesterrz, come Solclaro Blu, con i weyteriz tradi- zionali, in cui gli indiani siano messi sempre dalla parte dei cattivi e i bianchi dalla parte dei buoni.

Preside - A questo punto, \e non ci sono altri interventi, penso si possa concludere. Mi auguro che i l p ros imo anno la sala, in analoga occasione, sia piena. Questo significherà che molti genitori avranno capi- to effettivamente l'importanza di quello che stiamo facendo»'.

Nicolir Siciliani ile C111?1is

NOTE

1) Guiclo e Teresa Aristarco si sono spenti, rispettivamente, 1'1 1 settembre 1996 e il 16 settembre 1997. Su Guiclo, acl un anno dalla morte, cfr. "Slavia", luglio-settein- bre 1997, pp. 45-61.

2) T. Aristarco - N. Orto, op. cit., pp. 174-75. 3) Ibidein, pp. 212- 13.

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Rubriche

SCHEDE

A Russiarz Aclvocate of Peace: Vasilii Malinoijskii (l 765-1814), by Paola Ferretti , University of Rome "La Sapienza", Dordrecht l BostonILondon, Kluwer Academic Publishers, 1998, pp. 254, S.P.

Già in un precedente, pregevole contributo (Vasi1i.i F. Malinovski.i, Rrigion~inlento sulla ycice e siilla guerl-ci, a cura di P. Ferretti, Napoli, LiguoriIDipartimento di Filosofia e Politica del171stituto Universitario Orientale, 1990), l'autrice aveva avuto la buona idea di far conoscere anche in Italia, con la collaborazione di Daniele Archibugi, il pensiero e l'opera del. filosofo ed educatore Ma1inovski.i: un intellettuale russoleuro- pco scii gerzeris, vissuto tra gli ultimi trentacinque anni del secolo XVIII ed il primo quindicennio del XIX; un originale seguace di Jean-Jacques Rousseau, Jeremy Bentham e specialmente Immanuel Kant: un convinto fautore del progetto Grande Europa "casa comune", soprattutto in forza di fondamenti etno-linguistico-culturali suoi propri: e dunque l'artefice di un progetto pedagogico rivoluzionario, che se eserciterà la sua influenza, immediatamente, su Aleksandr S. PuSkin, avrà pure un suo peso nella for- mazione del pacitista Lev N. Tolsto,j, risultando alla fine - nella dimensio- ne del tenzpo grcincle teorizzato da Michail M. Bachtin - una sorta di sicu- ra maieutica della non guerra nel "qui" e nell"'ora" che ci concerne, e che dovrebbe riguardarci in prospettiva. In questo senso, i l pedagogismo di Ma1inovski.i non è solo un elemento esperienziale, tecnico-professionale e propositivo-ideale accanto agli altri che gli appartengono (egli fu diplo- matico, pubblicista, organizzatore culturale, direttore del liceo di Carskoe

, Sclo). Quel suo pedagogismo è anche qualcosa di più intrinseco e perva- sivo, un che di organicamente costitutivo: sicché fa davvero bene la Ferretti a costruire il suo libro, "the first monograph on Malinovekii", come una sorta di continuativa, stratificata e crescente approssimazione al "pedagogue". Dal principio alla fine della ricerca, ciclicamente e compiu- tamente.

A partire dall'lrzrroelcrcio~ze, infatti, le "tre distinte identità" mali- novski,jane di uomo di scuola, di diplomatico in carriera, e di filosofo e politico della pace nell'Europa di Napoleone Bonaparte e Michail I. Kutuzov, trovano un accordo preciso, da un lato nella formazione morale

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e intellettuale dell'uomo, da un altro lato negli sviluppi teoretico-pratici dell'originalità d'approccio ai "modelli", alla "tradizione", alle "fonti": e, quindi, per un verso, nei contenuti esplicitamente educativi delle ipotesi avanzate dal Malinovskii rit'ormatore sociale, per iin altro verso nelle forme d'innovazione pedagogico-didattica, fatte valere istituzionalmente nella scuola da lui diretta. Basti pensare, a questo proposito, al1 'azione intrapresa sul terreno della programmazione e dei programmi, delle sin- gole discipline e dell'interdisciplinarità, degli insegnanti e degli studenti,

Y. dei metodi e nel merito: la storia e la geografia: le lingue sovranazionali, nazionali, locali e l'economia; il diritto e la statistica, l'igiene e la salute, un'ecologia della mente, diresti, e del corpo: le scienze della natura e quelle della cultura; la ginnastica e la manualità: l'arte e le arti: e le lettu- re libere ed obbligate, quelle disinteressate, interessanti, direttamente e10 indirettamente "utili", dunque produttive di cultura generale, di intelligen- za critica, effettiva capacità di scelte respon5abili ...

Non a caso, del reito, la Ferretti dà spazio, tra i collaboratori più significativi di Malinovskii a Carskoe Selo, ad Aleksandr P. Kunicyn, insegnante straordinario e sperimentalista del diritto, attentissimo alla questione contadina (ben più avanti di John Keating in Dead Poets S o c i e ~ ) . Certo: se, inaugurandosi nell'ottobre del 181 1 il priino anno di attività del Liceo, svolse un di5corso che fece colpo per i l tono audace, e perché coinvolgeva immediatamente gli studenti nei propositi del suo insegnamento a base, appunto, di rispetto sociale della legge e di "sense of civic responsability as a primary characteristic of future public ser- vants", non disgiunto dallo studio dei bisogni, delle neces\ità, delle urgenze del popolo russo (cfr. pp. 186-87). Il tema della giustizia come tema dei temi.

Di più (ma si tratta di un iiz priinis) è lo spessore internazionale, ed internazionalistico, di Malinovskii, che monograficamente vien fuori u parte obiecti, e nondimeno da parte di chi se ne occupa in questo libro. A Russian Aclvoct~te of Pence esce non per niente come 156" titolo nella prestigiosa col lana "Archives internat ionales d 'his toire des

1 idéesfl/"International Archives of the Histoty of Ideas", fondata da P. Dibon e R. H. Popkin ed attualmente diretta da S. Hutton (altri referenti scientifici J. E. Force, C. Lauersen, J.F. Rattail, F. Duchesneau, A. Gabbey, T. Gregory, J. D. North, M. J. Petry, J. Popkin. Th. Verbeek). Ed è cura della Ferretti (che, anche a questo riguardo ha meritato il giusto apprezzamento di autorevoli slavisti quali Anthony Cross, autore della Prefilzione, e di altri specialisti di importanti università e istituzioni scien- tifiche) render conto nei giusti modi tecnici delle varie procedure d'inda- gine via via seguite. Di modo che il lettore può rendersi effettivamente

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ragione. grado a grado, di n~otivazioni e interessi di ricerca, dei processi informativi e formativi in atto di chi studia in rapporto a quelli dell'autore studiato. delle opportune prese di distanza storico-critiche al di la delle tenta~ioni dell"'attualitià", delle utilizzazioni reali della ricca bibliografia e delle ulteriori posiibilità d'uso della medesima, e dunque dei risultati ottenuti a questo ole a quell'altro livello d'approccio. In tal senso la peda- gogia dello autore indagato produce i suoi effetti, come si diceva più sopra, nei tempi lunghi. Ed in prospettiva, visto che la Ferretti, nelle Concl~itioni, si rimette in gioco rilanciando le tematiche acquisite nel pre- sente "stato dell'arte" (anzitutto per suo merito): e promette supplementi d'analisi, a livello delle fonti prossime e meno prossime (letterarie, filoso- fiche, selipiose, di esperienza ecc.). E sarà contestualnientel'altra faccia della medaglia, cioè l'allargarsi e l'approfondirsi dei sondaggi sul terreno della foi-tuna-recezione-incidenza delle idee di Malinov5ki.i in Russia, in Europa e magari fuori, a valorizzare a pieno le pur valide acquisi~ioni scientifiche fin qui ottenute. Tutto il resto, gli aspetti meno noti della bio- grafia e della vicenda malinovskijana sui diversi piani, la delicatezza e la complessità di certe questioni lessicali come specchio di specifici ambiti

I ideologici, e, di nuovo, la prospettiva pedagogico-formativa ed il portato didattico-educativo - tutto questo, ed altro, è assai più che un invito a

I curioiare nella bisaccia dello storico: è una messa a punto genetica, scien- titicamente intrigante, di attività di laboratorio produttive del "nuovo". Ecl, oltretutto, in senso antipedagogico. L'ulteriorità della ricerca come antipedagogia.

Si pensi a questo proposito alla originale posizione di Malinovski-i (una collocazione oggettikamente ultrascoinoda) nella controversia tra "\lavofili", e "occidentalisti": ed alla anticonformistica controprova della invenzione di un pensiero ideal-realistico "altro", fonte di una pedagogia che "non c'è". E sono, assieme al resto, utili, qui, le osservazioni della Ferretti, per es. sull'atteggiamento di Nikolaj M. Karamzin: questione Ièmminile a parte, "the approach of N. Karamzin to the problem of peace is quite controversial", con quel che segue, a p. 129, sulla solo momenta- nea influenza di Malinovskij al tempo del loro incontro in Inghilterra. Sennonché, è a lungo scadere di tempo che si potrà misurare e valutare la ~~oi ir i i della lettura etnolinguistica (interculturale) malinovskijana, tra categorie della "differenziazione" e progetti di "integrazione". Avere po\to seriamente il problema del comprendere quei ragionamenti sulla pace e sulla guerra, accanto ad altri sulla società, sulla lingua, sulla scuo- la, sulla cultura ecc. , ed il tentare di comprenderli come faceva Malinovskij, senza andare oltre i limiti della sua comprensione (bachti- nianamente parlando), - è i l primo dei meriti di questa monografia. Cui

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seguono gli altri: in tema di ricostruzione dei contesti e storia della criti- ca, come ristabilimento di testi e duttili aperture interpretative, ben oltre gli attuali punti d'arrivo.

Nicolcr Siciliani cle Cumis

Sergio A. Rossi, Itcrlia & Russia: clc~lla cooperc~cione ecorzornicn alla partnership strategica. Libro bianco sui rcrpporti conzmercicrli, jìfinnrz- ziari e ir~dcrstricrli, prefaz. di E. Scammacca del Murgo, Milano, I1 Sole 24 Ore 1998, pp. 143.

L'A., specialista di \tudi economico-finanziari nell'ambito dei rap- porti italo-russi dell'ultimo decennio, presenta in due parti (Lei rifornlci nrsscr cill'inicio clel 1998 e I rcrpporti politici e comnlercicrli (le1 1991-98) un argomento di viva attualità che non potrà non interessare quanti, opera- tori economici e studiosi o anche semplici turisti, hanno con la Russia d'oggi rapporti d'interesse. Vengono successivamente presi in esame: il bilancio del 1996, lo stato dell'economia nel 1997, con l'inizio della ripre- sa, la produzione industriale, i redditi della popolazione, la privati~zazio- ne, il commercio estero, la resistenza del rublo e della Borsa alla crisi finanziaria del Sud-Est asiatico, nonché le previsioni per l'anno corrente. E' poi inquadrato il sistema politico russo negli anni 1993-97, col modello Iasin dei 4 "cerchi concentrici" dell'economia e i principali gruppi d'inte- resse economico e finanziario-industriali. Ancora si esamina i l sistema sociale in rapida evolu~ione, coi nuovi "ricchi" e "poveri", una debole classe media e un esercito di piccoli proprietari terrieri e ci si domanda: dove sono i soldi dei russi? Mentre si vede nelle Regioni i nuovi protago- nisti, impersonati nei loro governatori. Nella 2" parte l'A. dà conto dei rapporti 1991-98, a cominciare dal trattato d'amicizia del 1994 al piano d'azione, scioltosi con la visita di Prodi a Mosca e col contratto della FIAT e l'accordo sul contenzioso finanziario, mentre pure si riferisce sulla visita di El'cin in Italia e sui rapporti commerciali, ripresisi nel 1995, ma entrati in crisi, quanto all'export russo, nel 1996-97, e sulla politica economica italiana (investimenti FIAT, Rreda, Merloni, Parmalat, FATA, STET, ENI, ecc.). Al testo segue un'appendice di documenti (il trattato di amicizia e cooperazione, l'accordo sulla promozione degli investimenti, la conven- zione per evitare doppie imposizioni di imposte e un estratto dal piano di azione delle relazioni del gennaio 1998). L'opera è raccomandabile per la serietà e approfondimento delle tematiche trattate.

Piero Cazcola

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Alberto Asor Rosa, Genlrs italicwn. Saggi s~rlla iclentitd letternriu itrrlicrizcr ire1 corso clel tenzpo, Torino, Einaudi, pp. 8 16, L. 54.000.

Parafrasando l'autore in un luogo significativo di questo libro, dove egli si rifà (tra l'altro) ad " alcune intuizioni teoriche ed analitiche di Viktor B. Sklovskii" (p. 162), si potrebbe subito dire che un'opera (non solo e non tanto un testo) come G e n u ~ itrrlicunz si caratterizza innanzitutto per la sua "forma" e "struttura". Ognuno dei microcosmi saggistici, che compongono i singoli capitoli e paragrafi del Libro, è inserito a sua volta in un organi\mo più vasto, che è saggio e5so ste5so e, al medesimo tempo, artificio per rendere possibile e attivare I'as5etto monografico in .fieri. Che va ben al di là del lavoro di chi scrive, e si completa e perfezio- na, e forse addirittura si giustifica, per intervento del lettore. In questo senso, se da un lato è il concetto stesso di "cornice" a dover esser messo in discussione, da un altro lato è il tema della "genesi" quello che più importa. I1 feeclback è costitutivamente essenziale, e fonda e rifonda for- mativamente, illimitatamente, l'indagine. Spiega difatti Asor Rosa, in conclusione, sulla "nuova critica" (ma è solo l'inizio, uno degli inizi pos- sibili: un fuor d'opera - diresti - non sottoposto ad "Indice dei nomi", e quindi aperto ad infinite indicizzazioni onomastiche): «è del tutto eviden- te per me che "il processo critico" indicato potrebbe essere utilmente per-

' corso dal punto d'arrivo per tornare al punto di partenza, ottenendo pro- : babilmente gli stessi risultati. Dal "publico" al1'"origine": non sarebbe, in

questo caso, un percorso ~ to r i co lineare ma una sorta di retro-azione conoscitiva, che parte dalle conclusioni ultime del processo effettivo. Mentre non c'è, mi pare, un solo esempio critico concreto che possa suf- fragare la fondatezza di questa procedura, vediamo che in pratica questo è euttanlente ciò che avviene nei processi di fruizione che della letteratura del passato si compiono al presente. E' escluso, mi pare, che la grandissi- ma maggioranza dei lettori contemporanei si metta al tavolino per rico- struire d'ogni opera a cui s'accosta I'idealtipo di "percorso critico da me delineato: essa comincia con la fruizione più elementare e ai-riva faticosa- mente ad intuire cosa c'è all'originee (pp. XVII-XVIII).

Di qui la valenza esplicitamente antropologicrr, e peclagogicn, dell'operazione critica e dell'opzione retroattivante. E nondimeno, allora, i l valore dell'itinerario "filosofico" proposto: da Italo Calvino a Dino Campana, a Carlo Michelstaedter, a Carlo Collodi, a Giovanni Verga, a Paolo Sarpi, a Francesco Guicciardini, a Giovanni Boccaccio, alle idee di "fondazione del laico" e di "canone delle opere". Ragion per cui clesinit ecl irzcipit si saldano (di Jean Piaget e Michail M. Bachtin c'è più traccia di quanto trasparentemente non si veda per interposto autore, a p. 781); ed

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il cerchio si chiude, appunto, sull'immagine di «un "ponte" verso i l terzo millennio», ragionando dei "classici" e della "prospettiva della fine del Novecento" (dalle pp. 789 sgg. alle pp. 28 sgg.). I clcasici, con o senza le virgolette, su cui Asor Rosa produce una sperimentazione concettuale ardita, spregiudicata, ed insieme assai qualitativa, "alta" in proporzione della sua "elementarità" (e dunque anche quantitativamente rilevante): «L'altra faccia di questo aspetto della questione è che i l "classico" rappre- senta oggettivamente un modo d'essere della cultura occidentale, a cui l'a da perno anche il tipico rapporto fra cultura alta e cultura bassa, fra ideali umanistici intesi in senso lato e ideali umanistici commi\urati concreta- mente alle identità e ai valori di una classe determinata» (p. 10). L'intrec- cio dei significati di "classe" e "classico" è essenziale.

Puntualmente stimolanti, pertanto (una volta fuori delle ottiche "o direttamente hegeliane o di matrice hegeliana"), il riferimento a Gyorgy 1,ukacs (a p. 16 e cfr. p. 625 e 678): la sottolineatura della imprevedibile "carica anticipatrice" del1'"intuizione collodiana di fare di un poten~iale ragazzo un burattino", che rinvia ad Aleksandr A. Blok e a Vsevolod E. Mejerchol 'd (cfr. pp. 6 12- 13): la recezione come "rilevante" in Michelstaedter della "congiun~ione" Diogene-Lev N. Tolstoi (p. 627): e l'indicazione dell'importanza del nesso Campana-Sergei A. Esenin (p. 683), e tra lo stesso Campana e Andrej Belyi ed il c i ta to Blok: «Esperimenti di questo tipo mi farebbero pensare, - al di là dei limiti delle mie conoscenze linguistiche, - a certi grandi poeti e scrittori russi tra Ottocento e Novecento, quali, ad esempio, Andre.j Belyj e Aleksandr Blok. Ne sapeva qualcosa Campana? Qualche luce forse si potrebbe fare, quando fosse chiarito l'enigma di quei versi incastonati in un brano della Notte [. . .] di cui Campana laconicamente informò il Pariani: "Li scrisse un poeta russo, un poeta del tempo dei RomanoW'» (p. 734). Occorre pro- babilmente riprendere le mosse dal "Russo" che, nella chiave del ritratto e dell'autoritratto, Campana "incontra" variamente nei Ccrilri Orjici (19 14). E, allo stesso Blok, forse, dei Versi iraliai~i (1909) ... Anche per Calvino d'altra parte si pone il problema: quanto contano per lui, non solo Bachtin, ma pure Nikolaj V. Gogol', Ivan S. Turgenev, Nikolaj S. Leskov (cfr. a p. 780)? Tutta una ricerca da fare.

Nicolu Siciliani [le C~imis

S1cii)ica Tergesrinn, 5, "Slav.janskie jazyki i perevod", Atti del con- vegno, Pecs (Ungheria), 28-29 aprile 1995, a cura di L.jiliana AviroviC e Ludmilla Zecchini, Padova, Ed. CI,.E.U.P., 1997, pp.469.

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I1 volume raccoglie gli atti del convegno SI~li$nnske jn,-?.ki i yere- i ~ o d tenutosi a Pecs (Ungheria) nell'aprile 1995, organizzato dall'istituto di filologia slava dell'Univer\ità Janus Pannonius e dalla Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori dell'università degli Studi di Trieste.

I tre ampi capitoli che compongono il volume riproducono le altrettante sezioni nelle quali si strutturava il convegno: 1 ) La tradu~ione

, artistica: 2) Linguistica e traduzione: 3) L'insegnamento della tradulione. Gli autori dei quarantacinque interventi rappresentano dieci paesi:

Austria, Ungheria, Italia, Lettonia, Nuova Zelanda, Polonia, Russia, Slovacchia, Stati Uniti, Ucraina.

Transferre necesse est: in questa sentenza lo studioso ungherese Zoltan Medve sintetizza i l desiderio di comunicare le conoscenze, quale attributo umano fondamentale che si manifesta già nella Bibbia, molto prima dell'edificazione della Torre di Babele. Con la comparsa della scrit- tura la trasmissione delle conoscenze da orale diviene scritta, l'uomo a poco a poco impara a trionfare sulle forze della natura, trasformandole, e fondando in tal modo la propria cultura: l'insieme dei valori spirituali e materiali. Dclla cultura è parte la letteratura, cioè la creazione di opere letterarie, che si Sanno immediatamente oggetto del desiderio di comuni- care le conoscenze. Di qui la naturale tendenza a rendere accessibile la letteratura mondiale a tutti i popoli e a tutte le nazioni, tendenza che può attualizrarsi soltanto attraverso la traduzione. In ogni epoca la storia della letteratura testimonia l'arricchimento apportato da ogni opera tradotta. Come già affermava Ortega y Gasset, la letteratura straniera, lontana nel tenipo o nello spazio, assume i l carattere di n~odello e diviene l'unico possibile viaggio assoluto nel tempo.

Lo studioso americano Henry R. Cooper Jr. si softèrnia sulle origi- ni dell'attività di traduzione del inondo slavo, quindi sulle figure dei monaci Cirillo e Metodio, ai quali ormai da lungo tempo viene attribuita la paternità della versione slava delle Sacre Scritture. In seguito ad uii'approfondita analisi dei grandi monumenti medievali che descrivono la vita e gli atti di Cirillo e Metodio, Cooper giunge ad un'inattesa quanto argomentata conclusione: non Cirillo, né Metodio, bensì i successori dei due fratelli moravi tradussero la Bibbia.

Una copiosa serie di interventi è dedicata alla complessità della tra- diizione letteraria. Gli studiosi Komarov e Pischloger - provenienti rispet- tivamente dall'ungheria e dall'Austria - compiono una circostanziata analisi comparativa fra i l romanzo Moskilrr - Perli&i del russo Erofeev e le traduzioni ungherese e tedesca. Analoghe fra loro le conclusioni: i l contenuto del testo originale è stato sostanzialinente mantenuto, la forma

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è invece andata perduta. E' infatti impossibile riprodurre nella tradu~ione l'esatta collocazione di ogni termine all'interno della frase, l'intonazione, così come il valore numerologico ricorrente in certe scelte lessicali, o ancora il significato criptico di certe lettere presenti soltanto nell'alfabeto cirillico.

Istvàn Baloghve Marianna Sorés si soffermano sulle difficoltà di resa dei romanzi di Cingiz A.jtmatov: sullo stesso argomento interviene la studiosa Viktoria Lebovics, che analizza alcuni interessanti errori di tra- duzione causati da atti di censura inconsciamente compiuti dal traduttore.

Con un'esposizione precisa e chiara Sandor Vegvari affronta la complessa problematica della versione ungherese delle opere di Isaac Babel'. La narrazione di Babel' è infatti caratterizzata da una straordina- ria ricchezza di strati linguistici, da un'irripetibile originalità di mezzi sti- listici e procedimenti. L'autore del saggio ricorda che il pensiero di uno scrittore può essere ricreato soltanto riproducendo la peculiarità della lin- gua artistica impiegata, e in tale opera di ricreazione dell'originale risiede tutta la gravosa responsabilità del traduttore, che, con il suo lavoro, offre ad altri popoli un ricchissimo patrimonio culturale. Specie particolare della traduzione artistica è la versione poetica. Mària Barota analizza la traduzione di Rilke (Friihling uncl Nc~l?r) della lirica di Fofanov Vesrza i ìzoc". Rilke modifica con libertà, apporta variazioni al più laconico testo di Fofanov, aggiunge parole.

Si tratta dunque di una traduzione libera: rievocando I'insegnamen- to di un grande poeta-traduttore ungherese di inizio secolo, Dezsò Kosztolàny, la studiosa afferma che la traduzione poetica, a differenza dunque di quella prosastica, non è una riproduzione bensì una produrio- ne.

Alcuni interventi considerano poi aspetti più specifici della versio- ne artistica, quali ad esempio la difficoltà di resa dei proverbi, che nella dissertazione di V.A. Fedoszov vengono definiti come espressione della linguistica popolare, o la comprensione del ruolo e del significato del calco nella versione della lingua d'arrivo (N.S.Malova): o ancora l'approccio alla metafora, che all'interno del testo assume un importante ruolo nel processo di risignificazione (Gribnev).

11 primo contributo riguardante le traduzioni dell'area slavo-meri- dionale che si ritrova in questi Atti, è di AgneS Prodan (Et~dre A& Izn~arskom jeziku, pp.27-34) e tratta la traduzione dall'ungherese al croato di poesie di Endre Ady, pubblicate da Josip Krleia (Osijek 1977). L'Autrice loda la scelta di poesie (in totale 5 l), alcune note, altre no, la buona traduzione, rispettosa delle forme più caratteristiche della lingua originale.

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Manja Pir.jeve (PreSenlov rorzet po italijansko pp. 129- 138) ana- l i ~ z a poi le traduzioni italiane del sonetto O Vrba, srefizrr, clrcìga iws clouicrck, dal ciclo Sonetje rzerrefe (pubblicato nel 1834), del più grande poeta sloveno, Franc PreSern, ad opera di Luigi Salvini (1951), di Bartolomeo Calvi (1959) e di Francesco Husu ( 1979), e non ne prende altre in considerazione, perché proprio in queste ravvisa diversi modi di traduzioni letterarie.

St.jepan Blaietin tratta nel suo contributo (Noi~ela M i r o s l r r ~ ~ ~ KrIe.2~ "Bitka kotl Bistrice Lesne " u prijei~ocl~i Zolrana Cscrke, pp. 159- 166) della traduzione della nota novella krleiiana in ungherese, analizzando minu- ziosamente sia l'originale che la sua traduzione, che giudica abbastanza valida, pur criticandone l'uso di arcaismi e provincialismi.

Mari.ja MitroviC nel suo contributo Preilorfjer!je clr(ìnze ~u sroclrlih jeriktr. Krititki i kkr!ji2e1~no-istorijski aspekt (pp.419-430), prende in consi- derazione tutte le traduzioni dalle varie lingue slavo-meridionali che fino al 199 1 erano lingue dei popoli jugoslavi e cioè: i l serbocroato, lo sloveno e i l macedone. Essa inlende dimostrare in quali periodi questa o quella opera drammatica era più appetita dal pubblico dei lettori e degli spettato- ri e quanto in esse fosse intraducibile e quanto poteva essere omesso. Con questo saggio l'Autrice introduce un progetto di studio parallelo delle produ~ioni teatrali nelle predette lingue a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso e sino al 199 1.

Gicrliu Baseliccr, Ljiljana Barzjanin

Giosuè Calaciura, Mul~rctri-rze, Milano, Baldini e Castoldi. 1998, pp. 160, L. 18.000.

Ha probabilmente ragione Goffredo Fofi nel sottolineare il fatto che "Mrrlac~rrrze è un romanzo sulla mafia", che però "non somiglia a nessun altro libro sulla mafia" (cfr. i l risvolto di copertina). Anche io lo ho letto così: come un intervento diverso, fuori "norma". Ed ho provato a $piegarmi il perché. Ma non sono riuscito ad andare oltre questi due rilie- vi: uno d'ordine testuale, e cioè I'iterazione dell'irzcipit lungo l'arco di tutto i l racconto: "Non eravamo più niente" (p. 5), "Non eravamo più niente signor giudice" (pp. 13, 16, 18, 28, SO), "Non eravamo più niente sin dalla wttimana di Natale signor giudice" (p. 58: e vedi quindi le diver- se altre varianti, alle pp. 63, 71, 76, 85, 106, 118, 129, 135, 141, 146, 148). L'altro r i l ie~o, di carattere interpretativo: che in realtà, ben al di là del romanzo che leggiamo, ce ne è un altro, nella filigrana del primo, di

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Sclzecle

cui noi stessi siamo gli autori. Non più Calaciura, ma noi, i suoi lettori. Ed addirittura nel senso che, se l'io narrante di Mcflacclnle perde via via sempre più consistenza nella reiterata evocazione del suo "noi" (=,"nien- te"), l'io leggente guadagna strada costruendosi una identità di connivente attivo, una fisionomia di partecipe fruitore del "servizio" di mafia. In altri termini, se "loro" rzori sorlo yiil niente ora estinguendosi ora esplodendo come "colpevoli", noi non lo siamo di meno, in quel "niente", come parti in gioco. Nessuno è innocente. De tefi~birln rzrir-mrur. Potremo uscirne?

E difatti che c'entra la mafia, ma la mafia è tutto, qui, quando i l protagonista, tra l'altro, dichiara per noi alle pp. 127-28: "Signor giudice, erano i russi in missione di fuga dalle infinità sconfortanti delle loro terre glaciali e brulle che svendevano cimeli sulle coperte dove loro stessi dor- mivano sui marciapiedi, i simboli del sogno bolscevico con le spillette dell'ordine di L,enin, i santini degli eroi del lavoro nelle onorificenze del primo maggio, in una sfilata d'accattonaggio misero contendendo gli spazi dell'esposizione dove pisciano i cani ai senegalesi colorati che ven- devano monete fuori corso del tempo della colonizzazione, ai masai nudi con un solo cesto di tapioca, ai commercianti delle geografie più povere del pianeta che avevano da vendere solo i figli come schiavi e i loro stessi organi, i reni, le pupille degli occhi, il pisello per fare pipi e il cuore per intero o a pezzi ma solo se l'offerta era da prendere in considerazione, e persino agli arabi che non avevano proprio niente e guardavano la televi- sione nelle osterie del vino caricato con le autocisterne del gasolio e si inventavano da se stessi i dialoghi delle telenovelas come gli piaceva cli più perché non capivano neanche una parola.

Avevano scelto l'occidente semplice e il capitalismo frainteso e alla buona delle nostre parti per finire a contrattare centesimi in quei vico- li marci d'urina di mercati veloci e caduchi.

Ma i russi, accanto alle lenti d'ingrandimento degli agenti del Kgb e alle babbucce col pelo dei loro inverni da era glaciale, ci vendevano i kalashnikov buoni per le ammazzatine a ventaglio e altre armi cecoslo- vacche del Patto di Varsavia. E per l'ansia di fuga avevano appreso rapi- damente il dizionario delle regole del mercato e ci truffavano armi che non valevano il costo della pallottola perché ci esplodevano fra le mani benché all'apparenza sembrassero in piena efficienza sin dall'alba dell'invasione di Praga perché le avevano ripulite col grasso delle loro balene artiche e con la paraffina per impagliare i loro morti del Cremlino, ma fallivano ogni tentativo d'imboscata e si inceppavano nel momento meno opportuno.

Non avevamo cuore di ammazzarli con bastonate di punizione per- ché avevano negli occhi la tristezza più profonda che avessimo mai visto,

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lo stupore di disillusione e la beffa di essere nati comunisti, l'illuminazio- ne della certezza amara che non esisteva al mondo un inondo più giusto, benché lo cercassero vagando con viaggi clandestini da un continente all'altro con gli occhi ai-sossati dal sonno e il raffreddore cronico del loro inverno perenne.

Signor giudice erano più desolati e disperati dei poveri nostrani che si segnavano la croce quando toccavano le prime e ultime mille lire della giornata attaccati agli stracci della loro vita di angustie con la fede della sola sopravvivenza, con la tenacia di ogni loro cellula, lasciando sul mondo soltanto la macchia d'umidità del loro sudore".

Più che romanzo, quest'opera romanzesca "prima", dopo averla letta una volta, mi propongo di rileggerla di nuovo, come una autobiogra- fia morale. Un'autobiografia individuale e collettiva. Traqmrente, rivela- tiva. Elettrizzante. Come una torpedine, diresti.

Nicola Siciliani de Culnis

Witold Gombrowicz, Uncr giovinezza i n Polonin, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 2 19, L. 32.000

La giovinezza di Witold Gombrowicz coincide col periodo fra le due guerre e ci viene raccontata in questi ~r*sponznienia col tono beffardo e lo sguardo lungimirante di un osservatore straordinariamente accorto della vita propria e altrui. L'inconfondibile romanziere, autore di Fer(Iycli~rke, Porriogrufia, Cosnlo ..., lo scrittore che rappresenta il meglio dclla modernità in letteratura, non delude nemmeno in veste di memoria- l i m , di narratore di sé e della Polonia. I suoi ricordi sono focalizzati sul rapporto conllittuale fra l'io autobiografico, un individuo libero, anarchi- co, dissacratore, prepotentemente critico, e la cultura del proprio paese, in quegli anni soggetta a trasformazioni irrefrenabili sul piano della vita sociale e artistica.

Proveniente da una famiglia di nobili di campagna. Gombrowicz racconta di essersi scontrato dapprima con I'isrealtà della tradizione arti- stocratica che sopravviveva nella provincia polacca e poi con l'assurdità dei sistema educativo d'allora, basato sulla trasmissione di un sapere rigi- do e mortificante: "Non riuscivo a capire come mai la cultura, l'istruzione e l'educazione falsificas\ero l'uomo, mentre l'anall'abetismo risultasse così positivo". Quel sapere soffocante egli lo avrebbe ritrovato nurr niigliorato, nella sua inutilità, nella Polonia comunista, quella Polonia alla quale continuava a guardare nel momento della stesura dei ricordi: i primi

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anni Sessanta (allora risiedeva in Argentina, rimastovi suo malgrado fin dallo scoppio della seconda guerra mondiale).

Ma il mondo cui Gombrowiez dedica maggior s p a ~ i o non è quello della scuola o della famiglia, bensì quello dei circoli letterari, degli scrit- tori e della Ool?èwle del tempo, sebbene egli sia stato uno scrittore e un bohémien spesso schivo, sui yeneris. Si trattava di un mondo che, pur inebriandosi dell'atmosfera rivoluzionaria che giungeva dalle contempo- ranee avanguardie europee, voleva al tempo stesso porsi come variante profondamente 'polacca' di quello Zeitgeist. L'autore crea un'immagine potente e veritiera della cultura polacca di fronte all'Europa. Lui stesso ammette che l'Europa era entrata nella sua coscienza inavvertitamente come un'entità cui si doveva tendere e nello stesso tempo come un'alte- rità da combattere. Ma Gombrowicz racconta di come non si sia lasciato invischiare in nessuna fazione intellettuale, in nessuna concezione del inondo. Indagava l'Europa attraverso la Polonia e la Polonia attraverso l'Europa senza lasciarsi irretire dai luoghi comuni che mettevano a con- fronto le due culture. Una di esse, la Polonia, era inestirpabilmente conta- minata da una componente asiatica che ne determinava l'arretratez~a agli occhi dell'occidente.

In Wsponlnienrzi~~ polshie (che in italiano hanno per titolo Urzci gio- vinezza iri Polotzia) Gombrowicz afferma più volte di essere un individua- lista, di non essere attratto dai problemi della società, di non essere un ammiratore della bellezra e delle 'grandi opere'. Assumeva spesso una posizione d'indolenza, di noia e d'indifferenza nei confronti delle com- plesse tematiche oggetto di riflessione da parte degli intellettuali. Eppure, solo da quella posizione avrebbe potuto attingere la forza e la creatività per indagare il reale in maniera assolutamente innovativa e per scrivere, alle soglie della maturità, un capolavoro come Ferclyclirrke ( 1 937).

Gombrowicz non tollerava l 'a t teggiamento di superiorità dell'uomo di cultura e avrebbe coluto fin clall'epoca della sua giovinezza adoperarsi affinché "nella cultura, non solo l'inferiorità [venisse] creata dalla superiorità, ma anche la superiorità dall'inferiorità". Il faicino di questi ricordi sta anche, al di là della godibilità estetica che dà la loro let- tura, in una serpeggiante e spietata critica, della cultura, la quale conserva ancor oggi il suo valore.

Tullio De Mauro, Prinlcr pecyonn singolare pcissclro yrossitilo indi- c a t i ~ ~ ~ , Roma, Bulzoni, 1998, pp. 172, L. 22.000

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E' "Lev Vygotskii (messo all'indice dallo stalinismo)" (p. 143) uno degli cr~ictores-accendistorie (per dirla con Gianni Rodari) di questo libro autobiografico: e lo è Vygotskij, accanto a Giuseppe Lombardo Radice, a Don Milani, a Celestin Freinet e allo stesso Rodari: accanto ad Antonio Gramsci, oltre che a Benedetto Croce e a Ludwig Wittgenstein ... ed occorrerebbe dire a lungo, qui, di Ferdinand de Saussure e di Karl Wilhelm von Humboldt, di Antonino Pagliaro e di Guido Calogero, e di una decina di altri "Maestri": tra i quali, anche, Niko1a.j S. Trubeck0.i e Roman Jakobson. Nikolqj Lenin e Lev D. Tr0cki.j sono "fonti" della .fonte-Gramsci. Il titolo del volume tuttavia, nella sua semplicità elemen- tare, informa delle complessità del risultato: un racconto del "sé" in diret- ta, con l'avvertenza di un "sembra ieri" e con i l sottinteso che "non è tutto", che l'autobiografia di autobiografie è solo indicativa e rimanda a ben altri testi. Per esempio, volendone citare uno soltanto, al recentissimo Ai linziti clel ling~raggio. Krghezca, sigrzificato e storia, a cura di Federico Albano Leoni, Daniele Gambarara, Stefano Gensini, Franco Lo Piparo, Raffaele Sinlone, Roma-Bari, Laterza, 1998: una raccolta di saggi appun- to "in onore di Tallio De Mauro per il suo sessantacinquesimo complean- no", che vale subito a spiegare il senso "oggettivo" dell'operazione in Pi-inzcr persorza sirzgol~ire e al papsato pros~inlo irzclicatiilo. Ma davvero, nell'opera di De Mauro, sono tutti e solo questi gli scritti di tipo autobio- grafico? Vanno bene, orientativamente, i quindici capitoli, e la premessa, che fanno i l libro: "Gianni Rodari: perché è stato tanto ignorato (1980)", "1,ucio 1,ombardo Radice (1983)", "Laterza e gli studi di linguistica 1985)", "E scelsi glottologia (1989)", "Guido Calogero maestro di dialo- go ( 1986)", "The World Looked Wonderful ( 199 1 )", "La nascita della Società di Linguistica Italiana ( 199 l)", "Salvatore Battaglia ( l 992)", "Croce, la linguistica e noi (1993)", "Totò, Rodari e il professor De Mauris ( 1993)", "La scuola linguistica romana ( 1994)", "Elena Croce (1996)", "Come non nacque e (cliis crcli~li~nntibus) non morì un marxista teorico in Italia (1996)", "Don Lorenzo secondo Lucio (1997)", "In cam- mino verso Gramsci (1997)". Sennonché, per chi volesse saperne di più, sarebbe ancora necessario qualche supplemento d'indagine: e, per esem- pio, nelle pagine di tanti anni del De Mauro giornalista, del divulgatore scientifico e cronista didattico (su "l'unità", "Paese sera", "L'Espresso" ecc.): nei testi editi ed inediti di politica universitaria, organizzazione cul- turale, direzione editoriale: in lettere aperte, interviste a quotidiani italiani e stranieri, pagine stravaganti (alla maniera di Giorgio Pasquali) ecc.

Di più (ma, questo è già un altro e meno immediato discorso), que- sta autobiografia andrà dedotta dalla "seconda" e dalla "terza" persona del racconto: dalla "pluralità" del parlato: e dall'intreccio del passato

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Schede

17rossimo di un'esperienza con le fonti biografiche ed autobiografiche più remote ed, insieme, con le linee più che "indicative", prospetliche nel pre- sente, al futuro.

In questo senso, davvero (parafrasando René Magritte), ceci il 'est, pris uize nutobiogrcrphie. Toccherà anche ad altri che non sia I'autoare di partire dalla bibliografia di quest'ultimo, per tentarne l'invenzione: e magari rileggendo contestualmente Vygotski.i, e Rodari. E rivisitando Cesare Zavattini, Pier Paolo Pasolini e Totò.

-, 1 Nicol~r Siciliaili (le Ciinlis

Is tvàn Bitskey, Il Collegio gertilnnico-ungar-ico cli Ronza. Contributo olla storia clellu cultrirtr iirzgherese iil etir Dciiocca, Roma, Viella, 1996, pp. 242, L. 40.000

Riprendendo l'antico progetto di Endre Veress, che aveva incomin- ciato ad occuparsi per primo della vicenda interculturale e istitu~ionale del Collegio germanico-ungarico di Roma (e che fin dal 19 17 si era ripro- posto "di scrivere la storia del Collegio dal punto di vista ungherese"), I m à n Bitskey si assegna un compito ancora più ambizioso: "il presente lavoro si prefigge lo scopo di colmare, per quanto sia possibile, questa lacuna, animato dalla convinrione che la conoscenza, molto più dettaglia- ta di quella precedente, delle vicende e dell'attività degli alunni ungheresi che studiarono a Roma potrà arricchire le nozioni intorno alla storia della cultura sia ungherese sia italiana, e potrà dare nuovi impulsi anche alle ricerche sulla storia delle relazioni culturali" (p. XIII).

Ed il disegno, difàtti, attraverso una serie di capitoli e paragrafi che tendono a mostrare la riccherza e la complesrità degli intrecci nei rappor- ti tra studenti ungheresi e Roma, dal tardo medioevo all'età barocca, risulta egregiamente condotto a buon fine. La approssimazioni al tema sono molteplici e varie: e tutte quante insieme vengono dunque ridotte all'unitarietà monografica che interessa: dal passaggio al Rinascimento alla Riforma (e alla Controriforma): dall'ungheria a Roma. e viceversa: dalle difficoltà iniziali alle polemiche, alla stabilizzazione compartecipati- va ungherese nel Collegio: dai tentativi ai risultati, alla vita all'organi~za- zione-espletamento degli studi collegiali: dagli strumenti (diocesi, semi- nari, biblioteche) agli uomini (scrittori, scien~iati artisti - con particolare attenzione alla musica sacra). A proposito dei quali, di particolare interes- se e utilità potrà essere, per ulteriori approfondimenti, l'appendice alla ricerca con l'elenco, in ordine alfabetico, degli alunni unghereri che, con

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certezza, studiarono nel Collegio Germanico e poi nel Collegio unificato, prima del 1782.

Ed è notevole la conclusione circa, in primo luogo, "il carattere peculiare, diverso da quello degli altri istituti di studi superiori, del Collegio Germanico Ungarico. Contrariamente alle università gesuitiche e protestanti, il Collegio estendeva la propria attività ad un solo ambito geografico, l'Europa centro-orientale, e riusciva a creare in quell'area popolata da varie etnie - tedesca, austriaca, ungherese, croata ecc. -, che si estendeva tra il Reno e la Vistola, le Alpi e il Mar Baltico, una cultura ecclesiastica, un clima spirituale quasi omogeneo [...l Tra gli influssi cul- turali il più vigoroso fu senza dubbio quello barocco" (p. 201). Di più, la cultura di Roma, soprattutto per merito del Collegiuni Germanicum Hungaricuin, "fece sentire effetti proficui non solo nelle discipline colle- gate con la teologia, non solo nell'arte ecclesiastica, ma anche nelle varie scienze, nel sistema scolastico, nello studio delle fonti storiche, nella musica, nel teatro ecc. Tutto ciò deve avvertire gli studiosi che accanto alle influenze culturali arrivate dalla Germania e dall'Austria, e spesso sopravvalutate, l'influenza culturale italiana deve essere ritenuta di pri- maria importanza, anche per il fatto che la stessa cultura austriaca ha in parte origine romana" (p. 202).

Di modo che sorge il problema: fino a che punto ed a quale livello, quindi, l'orientamento culturale ungherese, non solo quello del clero,

j verso Roma, riuscì ad influire a sua volta operativamente sui modi d'esse- : re, e nel farsi, del pur direttivo "sellslrs r-onzanirs"?

Nicola Siciliani [le Cunzis

I ~ ~ g o t o k i j , Piaget, Bruner. Coricezioni dello si~illrppo, a cura di Olga Liverta Sempio, Milano, Cortina, 1998, pp. 362, L. 45.000.

Visto nel suo insieme, il volume ha anzitutto tre motivi di interesse. 11 primo sta nel taglio della esposizione della complessa materia psicolo- gico-evolutiva: da un lato, una chiara componente divulgativa: da un altro lato, la evidente capacità degli autori di presentare le diverse questioni nei loro termini problematici aperti. In questo senso, risultano specialmente funzionali la prefazione di Mario Groppo, curatore della collana in cui il libro si situa ("Lo sviluppo psicologico. Modelli e concezioni"): I'intro- duzione di Olga 1,iverta Sempio in tema di "immagini" dell'evolu~ione mentale: e le premesse, della stessa Sempio, alle varie sezioni dell'opera. Vygotskii, Piaget, Bruner, oggetto di spiegazione.

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La seconda ragione caratterizzante, che dà pregio al volume, consi- ste nel fatto che i tre autori esposti a disamina critica siano visti sì in forza dell'approccio co\truttivistico in comune, ma con l'occhio ai loro caratte- ri distintivi: le loro teorie, infatti, intanto sono diventate storicamente un punto di riferimento imprescindibile per chi si occupi di conoscenza, di sviluppo psicologico in teoria e nella pratica educativa, in quanto ciascu- na presenta suoi propri caratteri di originalità. Vygot5ki.i non è Piaget, Bruner è altra cosa sia dal primo che dal secondo: ed è significativo, che

I il saggio iniziale della raccolta curata dalla Sempio sia per l'appunto di Bruner, ed abbia per argomento metodologico la differenza entrando nel merito delle posizioni oppositive dei due grandi ("Celebrare la divergen- za: Piaget e Vygotskii"). Ed in tal senso, senza disfun~ioni interpretative nell'unità della proposta editoriale d'insieme, procedono tanto i contributi vygotskijani di Maria Serena Veggetti e di Vasilii V. Davydov, quanto quelli piagettiani di Paolo Valentini, Maria Anna Tallandini, Gabriele Di Stefano, Antonio Donghi. Di più, gli scritti dello stesso Groppo, di Giuseppe Scaratti, Veronica Ornaghi, Luigi Anolli, Ilaria Grazzani Gavazri, su Bruner, ne ripropongono variamente le istanze differen~iali. Di modo che la concezione storico-culturale dello sviluppo psichico di Vygotskii entra si in relarione con quella genetica di Piaget, ed entrambe stanno a monte delle posizioni su mente e cultura di Bruner: ma tutte e tre le dimensioni evidenziate corrispondono ad altrettante prospettive d'inda- gine sulle evoluzioni della psiche. E fanno bene gli autori delle tre parti del libro a produrre ricchissime bibliogratie separate, che al tempo stesso si integrano reciprocamente: così come risultano di grande utilità gli arricchimenti analitici che attraversano i testi (figure, finestre, note filolo- giche ed esplicative, tabelle, ecc.), e gli indici (dei nomi e tematico) - da cui partire, eventualmente, per ottenere esatti riscontri, riassunti rapidi, indagini trasversali unitarie e dialettiche insieme, lungo tutto l'arco della miscellanea.

I1 terzo nlotivo della bontà di questa impresa collettiva (con i l con- tributo di rappresentanti scientifici dell'Università Cattolica di Milano, della "Sapienza" di Roma, degli Atenei di Padova e Trieste, della New York University, delllAccademia russa per l'educazione, e di rappresen- tanti della professione degli psicologi) consiste nella sua immediata tra- ducibilità in campo educativo: e si segnalano soprattutto numerosi luoghi del volume che trattano utilmente di apprendimento, istruzione, collabo- razione, gioco, comunicazione, interdisciplinarità, autobiografia, transa- zioni, attenrione, memoria, contesto, pedagogia popolare, interiori~zazio- ne ecc. ecc. Inoltre, da questo stesso punto d'osservazione, non è un caso che un argomento squisitamente psicologico quale quello, poniamo, della

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Rubriche

"Zona di sviluppo prossimale" assuma un rilievo pedagogico ben mag- giore del dato tecnico-concettuale vygotskijano (e bruneriano). Basti pen- sare a ciò che osserva la Veggetti in proposito: "Una delle prime idee che Vygotskij espone quando analizza i rapporti tra apprendimento e svilup- po, è l'esigenza di rivalutare l'imitazione in pGcologia, dato che la capa- cità imitativa si basa su capacità intellettive di cui chi imita è già in pos- sesso", così che "la collaborazione è un contesto utile per l'avanzamento delle proprie capacità", per quanto "non tutto si può imitare, ma soltanto qualcosa a cui il bambino è potenzialmente vicino" (p. 62). Segue uno sti- molante riferimento alla Montessori (che Vygotskij apprezza), e la con- clusione (a suo modo "esplosiva"): "Se i processi dello sviluppo non coincidono con quelli dell'insegnamento, ma procedono da questi, evi- dentemente buono è quell'insegnamento che precede lo sviluppo, anzi, scrive Vygotskij: "L'insegnamento stesso risveglia determinati processi interni di sviluppo. Seguire attentamente il sorgere e l'orientamento di queste linee dello sviluppo interiore, che sorgono, appunto, con l'inizio dell'apprendimento scolastico, deve costituire i l compito primario dell'analisi del processo pedagogico" (p. 66). Di qui la giusta attenlione, anche, riservata dalla Veggetti per un verso all'intero corpus delle opere di Vygotskij (di cui è tra i maggiori studiosi a livello interna7ionale): per un altro verso, in particolare, ai lavori vygotskijani del tipo di quella PedagogiCeska.ja psichologija [Psicologia pedagogica] ( 1 926, riedila nel 1991 a Mosca), che ben si collega ad un testo come Ilrorija razi~itija i ~ s - Sich priclliZeskich jìrnkcij [Storia clello s i ~ i l ~ ~ l ~ l ~ o clelle jilnzioni gsic hiche ~lil>er.iori] (1930-3 1, con una successiva, tormentata fortuna in Russia, e, noto, in parte in Italia per merito della stessa Veggetti): e dunque al suc- cessivo, fondamentale, MvSlenie i re?' [Pensiero e ling~raggio] (1934 e 1928), di cui in italiano esi\tono due traduzioni, l'ultima delle quali inte- grale e comparata tra le due edizioni russe).

Nicolci Siciliani (le C~imis

Guido D'Aniello, Ai~clrea Torre. La i~ita e le opere. Volume I e Volume I1 con Appendici, Casalvelino ScaloISalerno, Galzerano, 1997, pp. 464 + 580, S. p.

L'opera, ricca di documenti e di informazioni, con due preziosi indici dei nomi e dei luoghi, pone meritoriamente il problema dello studio di una personalità come quella di Andrea Torre: giornalista di grido, di fama anche internazionale nei primi decenni del Novecento: e uomo poli-

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Schede

tico e di cultura, di una certa importanza (nel 1920, per un breve periodo, Su anche ministro dell'istruzione). I1 D'Aniello è del reito non solo prodi- go di notizie, transunti, elenchi, testi, dati e dati su una quantità di fronti d'indagine; ma, pure, non è avaro di indicazioni di lettura. E fornisce sicure prospettive di approfondimento, e di ricerca del nuovo.

Così, per fare qualche esempio, a p. 32 del primo volume egli pone obiettivamente il problema del rapporto Torre-1,ev To1sto.j: "I.. .] Leone Tolsto.j, l'originale espressione della Russia contemporanea che pensa e

.l 1

soffre, ha fondata la scuola Yasna-Poliana [sic], dove eiperimenta il suo metodo di assoluta libertà educativa". Ed è un Torre, questo che scrive, che in tema di "nuova filosofia" sembra alquanto controcorrente rispetto alle idee accademiche sui "ru\\iW nel170ttocento pedagogico italiano.

Ancora. Alle pp. 95 sgg. dello stesso tomo, a proposito del "Patto di Roma" (8-10 aprile 1918), D'Aniello produce un importante clo~sier su "L'Italia e il programma jugo-slavo". Un insieme di documenti, cioè, che per un verso rinviano alla competenza del Torre in fatto di "problema dell'AdriaticoW e di "rapporti italo-slavi" prima e dopo la Grande guerra; per un altro verso, rimandano alla peculiarità della "va l utazione" che ne consegue. Ed, in tal senso, risulta di sicuro interesse I 'incontro-scontro di Torre con il giornalista inglese Henry Wickham Steed, "un esperto dei problemi del17Europa centrale e soprattutto balcanica, che era stato corri- spondente del Tilnes da Roma, dal 1897 al 1902", e "uno dei promotori del Patto di Roma" (di cui D'Aniello pubblica un testo significativo).

Infine, tutto da chiarire - ma i due volumi qui segnalati offrono una notevole messe di spunti di ricerca - il rapporto Torre-Antonio Labriola. E questo, variamente, in tema di "filosofia" e di "universiti e libertà della scienza", di "politica coloniale", di "pace" e "guerra" ecc. ecc.

Aleksandr Blok, I Dodici, Gli Sciti, La Patria, introduzione, tradu- , I zione e note a cura di EridanoBazzarelli, testo russo a fronte, BUR

Poesia, Milano 1998, pp. 338, lire 16.000.

I1 volume comprende alcune raccolte delle poesie di Blok. La scel- ta delle raccolte (e di alcune poesie non comprese nelle raccolte), nonché dei poemi, è stata operata da Eridano Ba~zarelli - uno dei massimi esperti del simbolismo russo - in base a criteri tematici o di composizione o di sotterranee corrispondenze e affinità. Aleksandr Blok, che Bazzarelli con- sidera "il maggior poeta del sin~bolismo russo", è colui che ha visto oltre

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l'apparenza, che ha colto gli sconvolgimenti della storia, che li ha addirit- tura invocati e cantati, e dai quali è stato poi schiacciato. La semplicità della sua poesia è solo apparente: egli è come una polla di acqua pura che si rinnova a ogni lettura, e a ogni lettura ci permette di scoprire ancora altri aspetti del suo mondo. In Blok il linguaggio immediato cela un altro linguaggio, il velame del simbolismo va oltre il simbolismo. E' stato un poeta che ha avuto delle visioni o ha creduto di averle: i l poeta della

i Bellissima Dama, l'eterno femminino, sempre cercato, e sempre sfuggen- te. La ricchezza dei temi di Blok è enorme: i l villaggio russo, Pietroburgo e le sue paludi, la città come "n~ondo terribile", la Donna Angelicata e la donna demonica, la Kussia e la Rivoluzione, la disperazione e, qualche volta, una gioia insperata. Sono qui stati scelti i poemetti La Violetta Nottrrrrlcr, Il Giciidirlo degli U,ignoli, I Dodici, Gli Sciti, e le raccolte di poesie V e r ~ i Itnlicini, La pcitrirr (Rodirz~~), Carì1?erl. E al destino della patria russa sono legati i mondi evocati da I Dodici, poema rivoluzionario scritto nel 1918, e dagli Sciti. All'amore sono dedicate le poesie di C(rn~erz, in cui si intreccia la passione di Blok per la cantante L.jubov' Aleksandrovna Del'mas e la suggestione per il personaggio da lei inter- pretato, la Carmen dell'opera omonima di Bii-et. I Versi Itcrliarli costitui- scono I'espres4ione di un viaggio compiuto da Blok in Italia nel 1909 e sono la dimostrazione della sensibilità di Blok al «mistero» italiano. I due poemetti La VÌolettrr Nottirrrlrr, Il Giarclino clegli U~ignoli , hanno infine in comune un fatto esteriore (o coinpositivo) di essere (o sembrare) due sogni.

Eridano Bazzarelli, slavista tra i più apprezzati in Italia, ha inse- gnato a lungo all'università Statale di Milano.

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Lettere rrl rlirettore

PER CARLO RICCIO, SU PASOLINIIACHMATOVA (in "Slavia" n. 111998)

1

Caro Dino, io avevo raccontato, in un contesto che non lasciava dubbi, di una

pura e semplice circostanza autobiografica, nei suoi limiti: «Scoprimmo così Evgenii AleksandroviE EvtuSenko, ed Anna Andreevna Gorenko, la Achmatova, si può dire, con gli occhi di Pasolini". E' la berità, lo giuro: e la "scoperta", per questa strada (accanto ad altre, di cui pure potrei narra- re), ebbe valore per me, come per qualche mio amico diciottenne o poco più che, nella Catanzaro dei primi anni Sessanta, leggiucchiava "L'Europa letteraria", pasolinizzando e achmatovizzando. Per coine ci riusciva. Certo - parlo solo per me -, se avessi conosciuto allora Carlo Riccio, tutta la mia vita avrebbe avuto una svolta.

Chis5à la faccia del mio profcssore di Italiano (non uno slavista, quindi un'attenuante), sentendomi ripetere del Fussi (mi avrebbe corretto <<fossi»), del Lo Gatto (si dice «i l» gatto), e del Giusti («chi, Giuseppe?»). Scrivevo, anche, sul giornalino del Liceo, "il Sentiero", diretto dal Professore di religione, laicissima persona. E ripenso a quell'articolo in tema di Sesso e letter-rrtirr-a: altro che Moravia, la Achmatova, la Achmatova avrei prew di inira. Meglio, se Riccio mi avesse permesso di usare delle sue idee con quarant'anni di anticipo, avrei tematizzato AAA e PPP, all'incrocio. Di mio, di solo mio, ci avrei messo un po' di storia delle grossolanità idanoviane sul]: poetessa «monaca» e «sgualdrina»:

I visto che le pagine di Andrei A. Zdanov sulla Achmatova, a Catanzaro, avrei potuto trovarle con relativa facilità.

Fossi stato amico di Riccio, poi, nel dicembre del 1964, visto che ero a Roma (iscritto al primo anno di Lettere classiche, alla "Sapienza"), avrei tentato di intrufolarmi al Plaza: e qui, vedendo la Achmatova di per- sona, mi sarei tolto l'ultimo dubbio, (ah, l'incauto!), che i due poeti, EvtuSenko e l'Achmatova, fossero davvero «così differenti e appartenenti a generazioni e scuole diverse». Davvero! L'uno maschio, l'altra femmi- na. O no?

Cavessi conosciuto prima, prima, prima (ripetitivo anch'io, giac-

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Rubriche

ché i l Riccio si ripete volentieri), nella combriccola degli «uccellini» e degli «uccellacci» del '65, tra le comari di Komarovo, avrei voluto essere un colibri nel taschino di Carlo: e avrei detto anch'io la mia, sul più bello, sulla questione del i~orabej. Ma ero troppo fresco della lettura del Passero ~nlirar-in di Leopardi (per la maturità); e con la Achmatova traduttrice del recanatese, il catanzarese chissà che avrebbe fraseggiato di ... strano. Di ancora più strano.

Vive cordialità, Nicola Siciliani rlc Cilnzis

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