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G. Patrizi (Servin – Servizi Integrati Gestionali Ambientali scrl – Ravenna) Sintesi dei risultati dell’indagine idrogeologica, geochimica e geochimico-isotopica sugli acquiferi della Lessinia Progetto finanziato dal programma di iniziativa comunitaria Leader II Progetto Montes - Fondo F.E.O.G.A. – Azione B.6.6. Verona, 7 maggio 2002 Riassunto. Sono presentati sinteticamente i risultati ottenuti con l’esecuzione di un’indagine idrogeologica, geochimica ed isotopica delle acque sotterranee della Lessinia. L’indagine è stata realizzata con i contributi dell’Unione Europea, della Camera di Commercio di Verona, della Comunità montana della Lessinia e della provincia di Verona ed ha permesso di proporre un quadro interpretativo unitario dei sistemi di circolazione dell’area e della distribuzione dei nitrati. Lo studio è iniziato nel dicembre del 1999 ed è terminato nell’ottobre del 2001. L’intero sistema è stato diviso in quattro unità idrogeologiche principali (giurassica, cretacea, eocenica e quaternaria), ciascuna delle quali caratterizzata dal punto di vista della struttura, della litologia, della geochimica delle acque. Il ricorso agli isotopi dell’acque e dell’azoto dei nitrati ha consentito di circoscrivere le aree di alimentazione, i tempi di circolazione e di residenza, le permeabilità delle rocce e, soprattutto, di motivare in modo abbastanza circostanziato le sorgenti da cui provengono i nitrati. Infine, per consentire l’attivazione di politiche di risanamento e l’identificazione degli interventi più urgenti che possono essere realizzati, è stato predisposto sia il bilancio idrologico dell’intero sistema dei Lessini, sia il bilancio di massa dei nitrati. Se ne è ricavato che i nitrati che escono dal sistema attraverso il ciclo idraulico superficiale e sotterraneo ammontano a circa 2000 tonnellate/anno, la maggior parte delle quali di origine biologica/zootecnica. In ordine al grado di compromissione delle acque sotterranee in Lessinia, si è concluso che si tratta di una situazione in equilibrio che, fortunatamente, nell’ultimo decennio non ha dato segnali di aumento nella massa residente di nitrati. Infatti, a causa della grande capacità di ricambio delle acque dovuta alla velocità di circolazione e alla permeabilità molto elevate, il sistema reagisce molto bene all’elevato carico di nutrienti che viene generato in Lessinia. Vi sono quindi buone possibilità di ottenere risultati molto positivi sul versante del risanamento applicando politiche ambientali adeguate (sistemazione degli impianti di collettamento dei reflui civili, migliore applicazione e rispetto delle norme di conduzione degli allevamenti e dello spandimento agronomico, identificazione delle sorgenti di contaminazione nei punti “caldi” e interventi circoscritti per la realizzazione di soluzioni definitive). G. Patrizi (Servin – Servizi Integrati Gestionali Ambientali scrl – Ravenna) www.servin-c.it Verona, 7 maggio 2002 Sintesi dei risultati dell’indagine idrogeologica, geochimica e geochimico-isotopica sugli acquiferi della Lessinia Pagina 1 di 31

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G. Patrizi

(Servin – Servizi Integrati Gestionali Ambientali scrl – Ravenna)

Sintesi dei risultati dell’indagine idrogeologica, geochimica e geochimico-isotopica sugli acquiferi della Lessinia

Progetto finanziato dal programma di iniziativa comunitaria Leader II

Progetto Montes - Fondo F.E.O.G.A. – Azione B.6.6.

Verona, 7 maggio 2002

Riassunto. Sono presentati sinteticamente i risultati ottenuti con l’esecuzione di un’indagine idrogeologica, geochimica ed isotopica delle acque sotterranee della Lessinia. L’indagine è stata realizzata con i contributi dell’Unione Europea, della Camera di Commercio di Verona, della Comunità montana della Lessinia e della provincia di Verona ed ha permesso di proporre un quadro interpretativo unitario dei sistemi di circolazione dell’area e della distribuzione dei nitrati. Lo studio è iniziato nel dicembre del 1999 ed è terminato nell’ottobre del 2001.

L’intero sistema è stato diviso in quattro unità idrogeologiche principali (giurassica, cretacea, eocenica e quaternaria), ciascuna delle quali caratterizzata dal punto di vista della struttura, della litologia, della geochimica delle acque.

Il ricorso agli isotopi dell’acque e dell’azoto dei nitrati ha consentito di circoscrivere le aree di alimentazione, i tempi di circolazione e di residenza, le permeabilità delle rocce e, soprattutto, di motivare in modo abbastanza circostanziato le sorgenti da cui provengono i nitrati.

Infine, per consentire l’attivazione di politiche di risanamento e l’identificazione degli interventi più urgenti che possono essere realizzati, è stato predisposto sia il bilancio idrologico dell’intero sistema dei Lessini, sia il bilancio di massa dei nitrati. Se ne è ricavato che i nitrati che escono dal sistema attraverso il ciclo idraulico superficiale e sotterraneo ammontano a circa 2000 tonnellate/anno, la maggior parte delle quali di origine biologica/zootecnica.

In ordine al grado di compromissione delle acque sotterranee in Lessinia, si è concluso che si tratta di una situazione in equilibrio che, fortunatamente, nell’ultimo decennio non ha dato segnali di aumento nella massa residente di nitrati. Infatti, a causa della grande capacità di ricambio delle acque dovuta alla velocità di circolazione e alla permeabilità molto elevate, il sistema reagisce molto bene all’elevato carico di nutrienti che viene generato in Lessinia. Vi sono quindi buone possibilità di ottenere risultati molto positivi sul versante del risanamento applicando politiche ambientali adeguate (sistemazione degli impianti di collettamento dei reflui civili, migliore applicazione e rispetto delle norme di conduzione degli allevamenti e dello spandimento agronomico, identificazione delle sorgenti di contaminazione nei punti “caldi” e interventi circoscritti per la realizzazione di soluzioni definitive).

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I N D I C E

1. INQUADRAMENTO E INDAGINI .................................................................................................................. 3

2. RIFERIMENTI METODOLOGICI.................................................................................................................. 3

2.1. GLI ISOTOPI STABILI DELL’ACQUA .................................................................................................................. 3 2.2. L’OSSIGENO18 ED IL DEUTERIO...................................................................................................................... 4 2.3. IL TRITIO........................................................................................................................................................ 5 2.4. L’AZOTO15.................................................................................................................................................... 5

3. SISTEMA INFORMATIVO .............................................................................................................................. 5

4. ANALISI DEL SISTEMA .................................................................................................................................. 6

4.1. CARTOGRAFIA GEOLOGICA............................................................................................................................. 6 4.2 CARTOGRAFIA IDROGEOLOGICA ..................................................................................................................... 7 4.3. MODELLO CONCETTUALE............................................................................................................................... 8

5. FLUSSO E CIRCOLAZIONE ........................................................................................................................... 8

5.1. PERMEABILITÀ E TEMPI DI RESIDENZA ............................................................................................................ 8 5.2. MODELLO DI CORRELAZIONE OSSIGENO18/ALTITUDINE ................................................................................ 10 5.3. CORRELAZIONE PIOGGE/PORTATE................................................................................................................. 17 5.4. CIRCOLAZIONE GENERALE ........................................................................................................................... 20

6. SINTESI STRUTTURALE .............................................................................................................................. 21

6.1. SCHEMA PROPOSTO...................................................................................................................................... 21 6.2. IL CIRCUITO CARSICO E LA GEOCHIMICA DELLE ACQUE ................................................................................. 22 6.3. IL BILANCIO IDROLOGICO ............................................................................................................................. 23

7. I NITRATI ......................................................................................................................................................... 24

7.1. LA DIFFUSIONE DI NITRATI IN LESSINIA ........................................................................................................ 24 7.2. IL BILANCIO DI MASSA DELL’AZOTO ............................................................................................................. 25 7.3. LE ORIGINI DEI NITRATI ................................................................................................................................ 25

8. CONCLUSIONI: SOLUZIONI E INTERVENTI.......................................................................................... 27

BIBLIOGRAFIA........................................................................................................................................................ 28

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1. Inquadramento e indagini

Le indagini descritte di seguito sono state progettate per migliorare le conoscenze del sistema di circolazione sotterranea dei Lessini, a nord di Verona; questo scopo di carattere generale è stato integrato con la necessità di valutare l’entità della presenza dei nitrati in questi corpi idrici e, se possibile, identificarne la provenienza per poter suggerire le azioni da svolgere e le politiche da intraprendere per iniziare un percorso virtuoso di risanamento dell’area.

Le indagini sono durate circa due anni (dicembre 1999 – ottobre 2001) e sono state basate sul rilievo di alcuni parametri sperimentali sul campo (portata della sorgente, pH, temperatura) e sull’acquisizione di una elevata quantità di campioni d’acqua, campioni sui quali sono stati poi determinati gli isotopi stabili dell’acqua (ossigeno18, deuterio e tritio ) e le principali caratteristiche geochimiche del fluido (anioni, cationi e metalli pesanti).

Per verificare le caratteristiche della diffusione dei nitrati, è stato determinato anche l’azoto15, che consente di risalire alle principali caratteristiche delle fonti di contaminazione. Questo, a sua volta, è stato verificato determinando, nei casi di dubbio maggiore, l’attività dell’ossigeno18 nella molecola dei nitrati.

La rete di monitoraggio è stata costruita con un primo censimento dei punti d’acqua disponibili (207 quelli verificati in totale), che al termine del primo anno di attività ha consentito di stabilizzare la rete definitiva costituita da 80 punti.

La rete è stata completata con l’installazione di 8 stazioni per la raccolta dell’acqua di pioggia a quote diverse.

La base di dati che è stato possibile costituire con questa attività ha la consistenza mostrata nella tabella che segue.

Variabili Determinazioni Portata, pH e temperatura sul campo 1259 Composizione isotopica 18O 1608 Composizione isotopica di 15N 259 Composizione isotopica 18O nei nitrati 11 Attività di Deuterio 162 Attività di Tritio 143 Catoni e anioni 456 Metalli pesanti 456

Consistenza della base di dati

L’immagine che segue, infine, riporta la posizione dei punti della rete definitiva nel

piano geografico.

2. Riferimenti metodologici 2.1. Gli isotopi stabili dell’acqua

In linea di massima, i segnali che si possono utilizzare per la classificazione delle acque e dei corpi idrici sono quello idrologico, che è certamente il più antico e consiste nel rilievo della portata fluida in funzione del tempo e quello chimico, che consiste nel rilievo della chimica di base del fluido (anioni, cationi, metalli ecc.) e di taluni traccianti di origine artificiale, tipicamente i nitrati.

In anni più recenti, a questi si è aggiunta la possibilità di utilizzare un segnale di tipo isotopico, che si affida alla presenza di isotopi stabili degli elementi che sono alla base della

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costituzione dell’acqua, idrogeno e ossigeno, e rileva quindi la presenza di ossigeno18, deuterio e tritio. A questi si associano, a seconda della natura della contaminazione oggetto di interesse, altri isotopi come l’azoto15 in questo caso o altri ancora.

Poiché nessun sistema è perfetto o anche solo decisivo in tutti i casi, si cerca in genere di utilizzare l’insieme dei tre metodi, approfondendo maggiormente l’uno o l’altro in funzione del caso e degli obiettivi.

Brevemente, l’ossigeno18 consente di risalire alla quota di ricarica isotopica delle acque attraverso la dipendenza del processo di frazionamento isotopico dalla temperatura e quindi dall’altitudine; il deuterio ha il medesimo comportamento dell’ossigeno18 e viene utilizzato per controllare la qualità dei dai e dei risultati, soprattutto quando vi sono forti possibilità di evaporazione e quindi maggiore labilità nell’interpretazione dei dati di ossigeno18.

Il tritio, invece, è un tracciante, nel senso che si valuta la quantità di tritio presente in atmosfera, e quindi al momento delle precipitazioni, per confrontarla con quella riscontrata nell’acqua sotterranea al momento del campionamento; in questo modo il tritio si presta, entro certi limiti, a valutare l’età dei fluidi con età non superiore ad alcune decine d’anni.

L’azoto15, infine, viene utilizzato per tentare di identificare l’origine della contaminazione; in questo caso si valuta la maggiore o minore affinità dell’azoto15 nei nitrati con quello atmosferico, che è la materia prima utilizzata per produrre le sostanze azotate alla base dei fertilizzanti chimici che si usano in agricoltura.

2.2. L’ossigeno18 ed il deuterio

Il ruolo dell’ossigeno18 è quello di fornire indicazioni sulla quota altimetrica a cui è avvenuta l’infiltrazione; la tesi è che esiste una dipendenza significativa tra la temperatura di una pioggia la momento della caduta al suolo ed il tenore in ossigeno18, quest’ultimo espresso in riferimento ad un tenore standard fissato convenzionalmente al livello del mare, che rappresenta la quota zero di riferimento. Inoltre, dato che il tempo di residenza del fluido entro la roccia tende a smorzare il segnale iniziale, si può usare il grado di oscillazione del segnale in uscita per valutare l’entità del percorso.

Se si considera che vi è anche una dipendenza significativa tra la temperatura e la quota altimetrica, allora è possibile generalizzare una relazione tra il contenuto in ossigeno18 e la quota cui la pioggia precipita ed inizia il processo di infiltrazione nel sottosuolo. Senza entrare nel merito dei meccanismi che favoriscono o impediscono l’arricchimento in ossigeno18, basti dire che la tecnica di utilizzazione del dato isotopico in questo caso consiste: (i) nel calcolare la legge che descrive la dipendenza ossigeno18/quota delle aree di alimentazione e (ii) applicare questa legge al dato rilevato presso la sorgente o il pozzo di interesse per stabilire la quota di infiltrazione di quell’acqua e quindi la posizione approssimativa a cui si origina il circuito.

Poiché si tratta di una legge lineare, fondamentalmente essa si esprime attraverso il gradiente isotopico, che indica la variazione di ossigeno18 in funzione della quota altimetrica e si ottiene predisponendo un certo numero di pluviometri a quote diverse. Poiché la dipendenza primaria è tra ossigeno18 e temperatura, per avere un gradiente isotopico significativo, e quindi utile, è necessario prima di tutto che nell’area di studio vi sia un gradiente termico significativo, tale quindi da produrre nell’acqua di pioggia un frazionamento isotopico altrettanto significativo.

Il ruolo del deuterio è tendenzialmente di controllo nel quadro di utilizzazione dell’ossigeno18; infatti esiste una dipendenza diretta tra i due isotopi che consente di verificare la qualità dei dati di ossigeno18.

In certi casi, inoltre, gli scostamenti possono essere significativi di particolari situazioni, ad esempio di evaporazioni intense per fatti climatici ed atmosferici.

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2.3. Il tritio

Il tritio viene utilizzato come un tracciante: poiché è stato liberato in atmosfera in grandi quantità negli anni delle esplosioni nucleari (attorno al 1965 è stata largamente superata la soglia delle 2000 unità) e poiché le esplosioni sono eventi ben collocati nel tempo, il tritio presente nelle acque di precipitazione è stato usato come segnale di ingresso per valutare l’analogo segnale in uscita nelle acque sotterranee.

Oggi, il segnale di ingresso è molto più debole e si colloca attorno alle 5 – 20 unità in media, ma può essere utilizzato per stimare l’età di un fluido sotterraneo e, di conseguenza, per valutare la velocità di transito tenendo conto della concentrazione all’inizio del circuito, di quella alla fine e della legge di decadimento del tritio stesso.

Sia l’ossigeno18, sia il tritio hanno lo stesso limite metodologico quando si tratta di calcolare rispettivamente la quota di infiltrazione e l’età dell’acqua; infatti, in entrambi i casi ci si basa sulla differenza tra il segnale di ingresso e quello di uscita, come si è già detto, ma poiché non è noto a priori il ritardo di fase tra i due segnali, vi è un’incertezza di fondo che si traduce in una difficoltà applicativa. Dal punto di vista numerico, cioè delle equazioni che si utilizzano, le relazioni implicano una non linearità che, diversamente da quanto accade in altri casi, non può essere risolta in modo approssimato, ad esempio per via iterativa (questi aspetti sono meglio descritti più avanti).

L’uso di valori medi del segnale di ingresso, ad esempio utilizzando serie storiche molto consistenti, non risolve in realtà il problema; in pratica è solo possibile applicare il metodo nel solo contesto dell’intervallo di tempo durante il quale si dispone dei dati: se, come nel caso in esame, si dispone di un periodo di osservazione di due anni, allora diventa difficile la stima di eventi con ritardo superiore.

2.4. L’azoto15

L’azoto15 viene utilizzato per discriminare l’origine delle contaminazioni a nitrati; la tesi consiste nella capacità di discriminare tra l’azoto prettamente atmosferico che viene fissato per produrre sostanze di sintesi (es. i concimi per l’agricoltura), da quello che invece subisce processi di tipo eminentemente biologico, legati alla nitrificazione e denitrificazione delle sostanze organiche (es. le deiezioni di tutti i tipi).

Il limite del metodo risiede nella effettiva capacità di risoluzione, dato che fasi entrambe le fasi di nitrificazione e denitrificazione possono in realtà produrre risultati molto simili in termini di azoto15; una risposta a questo problema è nella determinazione dell’ossigeno18 presente nella molecola di nitrato sotto esame.

3. Sistema informativo

Tutta l’informazione acquisita nel corso dello studio è stata supportata con un sistema informativo che consente di accedere ai dati e alle informazioni da essi derivate sia in modo alfabetico, quindi con un approccio del tipo DBMS classico, sia con l’approccio GIS (Geographic Information System) attraverso l’identificazione nello spazio geografico delle entità informative di interesse.

Gli ambienti di sviluppo utilizzati sono tra i più diffusi: Access (nella versione di MS Office 2000) e ArcView; ArcView, in particolare, è in grado di accedere alle strutture di dati in ambiente Access e di garantire quindi la trasparenza e la portabilità del contenuto.

Le principali funzionalità di questo ambiente di lavoro sono le seguenti:

− interrogazione del sistema su uno o più dei livelli informativi importati, in base agli attributi in esame;

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− elaborazioni statistiche;

− layout dei risultati.

Al di là di questi aspetti più strettamente legati alla gestione del database, significativi soprattutto in un’ottica di lungo periodo, è importante sottolineare che la realizzazione del GIS ha consentito di elaborare un numero molto elevato di ipotesi strutturali prima di decidere per la versione qui presentata.

Attraverso la capacità del GIS di operare per strutture e sottostrutture, è stato possibile mettere a confronto i dati derivasti dalla cartografia geologica con tutti gli altri disponibili (chimismo, isotopi, clima, morfologia, cavità ecc.) e derivati nel corso dello studio (tempi di transito, permeabilità, quote di infiltrazione possibile ecc.).

In questo modo, ogni tentativo di portare a “sistema” le unità idrogeologiche/strutturali è stato seguito da un lavoro abbastanza lungo ed impegnativo di confronto e di validazione dei risultati analizzandoli sotto tutti i possibili punti di vista, con l’obiettivo di rendere il modello concettuale adottato quanto più coerente con l’intero insieme di informazioni.

Si è trattato dunque della fase più intensa di attività e che ha avuto una durata di molti mesi; è tuttavia evidente, che in questa sede è opportuno mostrare solo gli elaborati definitivi, rinunciando del tutto a proporre il percorso analitico seguito per arrivare al risultato definitivo.

4. Analisi del sistema 4.1. Cartografia geologica

La lista delle formazioni su cui si è deciso di porre l’attenzione per schematizzare il modello idrogeologico concettuale è la seguente:

− formazioni del Quaternario: alluvioni dell’alta pianura e dei fondovalle, detriti di falda, detriti e coperture legati a movimenti franosi recenti;

− formazioni dell’Eocene: calcari a nummolites, tufi e basalti;

− formazioni del Cretaceo: scaglia rossa;

− formazioni del Cretaceo-Giurassico: biancone

− formazioni del Giurassico: rosso ammonitico veronese, calcari oolitici di San Vigilio, calcari grigi di Noriglio, complesso dolomitico indifferenziato;

− formazioni del Trias: dolomia principale

A questi tipi principali vanno poi aggiunti altri litotipi, quali ad esempio certe ialoclastiti, che hanno spessori dell’ordine della decina di metri, che svolgono la funzione di acquicludo di alcuni acquiferi eocenici nelle pendici a nord di Negrar e che non sono stati riportati in cartografia.

Allo stesso modo, in cartografia non è stata riportata la distinzione in sottofacies dei calcari di Noriglio e del biancone: nel primo caso si tratta delle facies dolomitizzate, molto frequenti ad esempio in val Squaranto e in val Pantena, che rappresentano variazioni laterali delle formazioni principali, e riguardano soprattutto la possibilità di un diverso tracciamento geochimico dell’acqua più che un fatto idrostrutturale vero e proprio legato alle formazioni, e di questo si è tenuto conto in sede di interpretazione del dato analitico. Nel secondo caso, si tratta delle facies prevalentemente argillose e marnose poste al tetto e al letto del biancone (il cenomaniano, per esempio), dato che l’aggregazione non modifica il quadro interpretativo proposto.

Per quello che riguarda l’assetto strutturale, si rimanda alla bibliografia specializzata; basta qui ricordare che la monoclinale è moderatamente inclinata da nord a sud e partecipa ai graben dell’area alto veneta. L’area è stata interessata da diverse fasi tettoniche di tipo distensivo complicate da effetti di basculamento; questo assetto è descritto nella Carta Geologica d’Italia e numerosi Autori ne hanno riproposto la schematizzazione anche successivamente (Sauro, 1978; Artoni, 1989; Artoni & Rebesco, 1990; Zampieri, 1995; Zampieri & Gandini, 1997).

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4.2 Cartografia idrogeologica

Dal punto di vista dell’idrogeologia, i motivi dominanti da tenere in considerazione, oltre alle sequenze stratigrafiche, sono:

− gli abbassamenti/rialzamenti reciproci dei blocchi che costituiscono la struttura fondamentale; queste variazioni strutturali sono tali da mettere in comunicazione sistemi acquiferi altrimenti separati e, viceversa, separare porzioni di serbatoi aventi la stessa genesi formazionale;

− la maggiore intensità della tettonica nell’alta val Pantena;

− la fase di erosione che ha interessato le formazioni più recenti, Cretacico ed Eocene, e che ha messo a nudo la serie giurassica;

− il processo di dolomitizzazione che ha interessato i calcari giurassici.

In particolare, l’insieme degli ultimi tre processi ha favorito la formazione di un sistema carsico molto sviluppato, sede della circolazione idrica più significativa dell’area. Processi simili, anche se più limitati data la minore estensione delle formazioni, si sono poi ripetuti nei calcari eocenici, tanto che anche nell’area di Fumane e di Negrar vi è un carsismo intenso sede di circolazione idrica sotterranea.

Per approcciare un modello concettuale dell’idrogeologia dei Lessini, è necessario tenere conto degli aspetti sommariamente richiamati al paragrafo precedente e che si possono riassumere in due chiavi di lettura principali:

− l’una è di tipo più strettamente litostratigrafico e consente di delineare le unità idrogeologiche in base alla permeabilità prevalente in ciascuna formazione. In tal caso, si possono aggregare nella stessa unità idrogeologica una o più formazioni tendenzialmente impermeabili (l’acquicludo, alla base) ed una o più formazioni tendenzialmente permeabili (l’acquifero, al tetto);

− l’altra è riguarda la tettonica che, in associazione con gli eventi morfogenetici, ha favorito la formazione del carsismo e quindi uno sviluppo molto maggiore del consueto della circolazione idrica verticale.

Questo schema consente di discriminare tra i sistemi calcarei giuresi (dolomie, complesso calcareo indifferenziato, calcari di Noriglio, calcari di S. Vigilio, talvolta il rosso ammonitico) e, limitatamente ad alcune zone, i calcari eocenici, in cui la seconda chiave di lettura è nettamente dominante; le altre formazioni presenti nell’area seguono invece più maggiormente la prima chiave di lettura secondo la quale la circolazione è dominata dalla presenza di acquicludi che hanno una certa continuità per l’assenza di vistosi fenomeni di carsificazione. In questo caso la circolazione avviene secondo i campi di fratture, i bacini di alimentazione sono più piccoli e frammentati, le riserve regolatrici tendenzialmente basse. Questo tipo di circolazione interessa sia la serie cretacica, sia le formazioni di origine vulcanica.

Entro questo schema vanno poi ricompresi alcuni casi di dettaglio, ad esempio l’eventuale circolazione per risalita lungo faglia (sempre che nell’acquifero vi sia pressione sufficiente) e i serbatoi contenuti nei “camini” vulcanici che costellano le valli centrali della Lessinia e che sono stati aggregati in una stessa unità, mentre le vulcaniti della Lessinia orientale (la val d’Alpone) e della Lessinia occidentale (l’area di Fumane) sono state riferite ad altre due unità autonome.

Dal punto di vista della circolazione idrica, negli acquiferi che rispondono alla prima chiave di lettura prevale il flusso orizzontale e la lunghezza dei circuiti dipende dall’estensione degli acquicludi che ne formano la base; per quelli più strettamente legati al carsismo la circolazione verticale è molto significativa, anche se comunque si deve ammettere la presenza di un acquicludo basale che regge l’acquifero.

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4.3. Modello concettuale

L’analisi ha consentito di tracciare il quadro delle modalità di flusso attraverso i sistemi idrogeologici che caratterizzano la Lessinia: questi sono stati ricondotti a cinque sistemi che, pur distinti geologicamente, sono a volte in connessione dal punto di vista idraulico e partecipano del più generale sistema di afflusso/deflusso che vede:

− gli afflussi costituiti essenzialmente dalle precipitazioni;

− i deflussi costituiti dalle uscite attraverso le sorgenti e attraverso il sistema degli alvei superficiali.

Se dal lato degli afflussi lo schema è semplice, dato che ad oggi non vi sono dati di fatto per ipotizzare altre fonti di ricarica, dal lato dei deflussi vi sono anche situazioni più complesse e, ad oggi, non ben note per quello che riguarda le modalità di dettaglio; infatti, la presenza di vasti campi fratturati e di un carsismo molto sviluppato permettono il contatto idraulico tra sistemi geologicamente distinti e permettono intensi fenomeni di reinfiltrazione. Quest’ultimo aspetto è significativo soprattutto per quello che riguarda le acque che, dopo un percorso sotterraneo più o meno prolungato, vengono a giorno attraverso le sorgenti, percorrono un altro tratto in superficie e, attraverso il fondo degli alvei di fondovalle, tornano di nuovo in profondità per scorrere negli acquiferi alluvionali che collegano le acque sotterranee della Lessinia a quelle dell’alta pianura Veronese.

Sistema Sottosistema Chiave di lettura Permeabilità prevalente Giurassico Tettonica/morfogenetica Fratture e carsismo Cretaceo Stratigrafica/sedimentaria Fratture

Calcareo Stratigrafica/sedimentaria Fratture e carsismo Vulcanico della val d’Alpone Stratigrafica/magmatica Porosità primaria e fratture Vulcanico di Fumane Stratigrafica/magmatica Porosità primaria e fratture

Eocenico

Vulcanico dei camini Stratigrafica/magmatica Porosità primaria Quaternario Stratigrafica/sedimentaria Porosità primaria

5. Flusso e circolazione 5.1. Permeabilità e tempi di residenza

La circolazione dell’acqua sotterranea dei Lessini è caratterizzata da alta permeabilità e da bassi tempi di residenza del fluido nel mezzo roccioso. Si tratta dunque di circuiti veloci con tassi di rinnovamento che, sulla base delle informazioni disponibili, possono essere valutati nell’ordine di 2-4 mesi, 6 al massimo; inoltre, anche i fatti meteorici più intensi tendono a fluire con velocità elevata a causa della circolazione di tipo carsico, i cui tempi di risposta sono ancora più brevi, dell’ordine dei giorni o delle ore a seconda dei casi. Il tritio ha fornito anche alcune stime di tempi leggermente più lunghi, dell’ordine di 1 o 2 anni, ed è possibile che siano legati alla presenza di acque basali, molto limitate in quantità, che meglio appaiono al termine dei cicli di esaurimento.

Poiché gli effetti delle esplosioni termonucleari sono pressoché esauriti, la presenza di tritio nell’atmosfera e nella pioggia oggi è tornata su valori molto bassi (il decadimento è molto veloce) ed il riferimento alla massa iniziale non è sufficiente per sviluppare dei calcoli di tipo diretto; è invece possibile usare una relazione del tipo (Celico, 1990):

)log()693.0/( 02/1 CCTt −=

con:

− t = tempo trascorso − T1/2 = tempo di dimezzamento del tritio − C0 = contenuto iniziale in trizio − C = contenuto in trizio nell’acqua di interesse

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Poiché il contenuto iniziale in trizio C0 non è noto a priori, dato che non è noto in anticipo l’istante di tempo cui fare riferimento, il termine C0 per consuetudine viene assimilato all’acqua di pioggia; l’evidente non linearità dell’equazione limita quindi la possibilità di utilizzare il metodo solo ai casi in cui lo sfasamento nel tempo è contenuto. Infatti, le dipendenze dal tempo sono le seguenti:

))(),(( 000 ttCtCft ∆+=∆

e l’applicazione può essere valida solo se l’intervallo di tempo (∆t) considerato è piccolo per poter effettivamente assimilare l’acqua del campione di pioggia all’acqua iniziale del processo di scorrimento sotterraneo. In ogni caso, l’intervallo deve essere compreso entro il periodo di osservazione disponibile.

In figura sono riportati i diagrammi di alcune serie di osservazioni eseguite fin dal periodo di massima attività del tritio. Poiché oggi l’attività è di quasi tre ordini di grandezza inferiore, il metodo trova, almeno per quello che riguarda le acque sotterranee, maggiori difficoltà applicative rispetto al passato.

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Genova Hof-hohensaas Odense Orleans Vienna

Evoluzione del tritio nelle precipitazioni (fonte: IAEAA, Global Network of Isotopes in Precipitation - GNIP)

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Lessini

Genova Vienna

Osservazioni di tritio nei Lessini e negli osservatori di Genova e Vienna (fonte: IAEAA, Global Network of Isotopes in Precipitation - GNIP)

Per quello che riguarda i risultati, in certi casi è stata trovata una buona coerenza con le dimensioni dei circuiti identificate attraverso l’ossigeno18; per questi è stato possibile ottenere anche una stima della velocità di deflusso applicando le distanze dedotte attraverso il calcolo della quota di ricarica isotopica e, ipotizzando un gradiente medio dell’ordine dello 0.5 %, anche il coefficiente di permeabilità.

I valori più elevati non sono del tutto coerenti con quanto emerge dall’analisi di tipo idraulico, ma si spiegano con le imprecisioni metodologiche e con la possibilità di campionare talvolta, al termine dei cicli di esaurimento, acque residuali che provengono da distanze maggiori con tempi necessariamente più lunghi.

Stima Tempo (anni)

Velocità di deflusso (km/anno)

Coefficiente di permeabilità

(m/s) Media 1.0 1.9 1.2⋅10-02 Minima 0.2 0.2 1.3E-03 Massima 2.0 5.6 3.6E-02

Tempo di residenza e velocità di flusso

5.2. Modello di correlazione ossigeno18/altitudine

L’alimentazione è esclusivamente verticale, da pioggia, dato che non vi è alcuna evidenza di connessione con altri sistemi idrici sotterranei o con corpi idrici superficiali posti a quote adeguate; ne segue che l’idrologia del sistema è regolata dagli eventi meteorici e, a meno del rallentamento dovuto al mezzo roccioso, ne segue la stessa evoluzione. Quest’ultima è stata decritta con le serie delle osservazioni di ossigeno18 sulle acque di pioggia e su quelle sotterranee; da queste serie è stato elaborato un modello di correlazione tra l’ossigeno18 e la quota di ricarica isotopica, utilizzato per stimare appunto la quota apparente di ricarica delle sorgenti in osservazione.

La presenza di ossigeno18 nelle acque sotterranee dipende dalle caratteristiche dell’acqua di pioggia che costituisce l’inizio del circuito, dalle modalità con cui avviene il

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passaggio dall’atmosfera al sottosuolo e dal percorso sotterraneo seguito dall’acqua; la composizione dell’acqua di pioggia dipende a sua volta dalla temperatura al momento della precipitazione, perché è in definitiva la temperatura la variabile di controllo fondamentale del processo di frazionamento isotopico. Dato che la temperatura risente a sua volta dell’altitudine, in linea generale si può utilizzare l’ossigeno18 per risalire alle condizioni alle quali è avvenuta la precipitazione e quindi all’altezza di ricarica isotopica, che non è tuttavia necessariamente coincidente con la quota reale di infiltrazione dell’acqua.

Per verificare la qualità del monitoraggio è stato effettuato il confronto con i dati degli osservatori ufficiali di Vienna e di Genova mantenuti nel database dello IAEA di Vienna (International Atomic Energy Agency), il IAEAA, Global Network of Isotopes in Precipitation - GNIP, che IAEA consente di consultare e di utilizzare.

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Monti Lessini

Genova Vienna

Raffronto delle osservazioni di 18O nei Lessini con gli osservatori di Genova e Vienna (fonte: IAEAA, Global Network of Isotopes in Precipitation - GNIP)

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δD

Ossigeno18 e deuterio per le stazioni di Vi(fonte: IAEAA, Global Network of Isotop

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Vienna Genova Lessini

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enna, di Genova e dei Lessini es in Precipitation - GNIP)

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L’attività dell’ossigeno18 è condizionata da una caratteristica climatica particolare dei Lessini, il basso gradiente termico. Dai dati sperimentali ottenuti dal Servizio Meteorologico Regionale, infatti, si è trovato che nel 2000 l’escursione termica media è stata di appena 4 gradi per oltre 1000 metri di dislivello sulla base delle 5 stazioni termopluviometriche disponibili nella zona. Di queste, quella di Boscochiesanuova è posta a circa 1300 metri di quota, quella più bassa a circa 200.

Nel corso del lavoro, sono stati applicati due approcci: dapprima la stima è stata realizzata nelle condizioni maggiormente vicine a quelle climatiche medie, quindi utilizzando l’equazione con una relazione ossigeno18/altitudine ottenuta con le medie ragguagliate, ottenendo tuttavia scarsi risultati.

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18O

Media aritmetica Media ragguagliata

Modelli medi ossig

Successivamente, sono stati identificati i mocon il grado di dettaglio necessario, selezionando trrispondono alle condizioni termicamente più adatte: ctemperatura, riportate nel diagramma che segue, il essere minimo a gennaio e massimo d’estate, in agointermedio tra questi due estremi. Inoltre, le osservaraffrontate con quelle delle acque sotterranee che, prima fascia di sottosuolo, consentono comunque draffronto mostra che in estate, come del resto preveminore di quella dell’atmosfera e rende l’evaporazmascherare il segnale isotopico che interessa.

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y = -0.0018x - 5.105 R2 = 0.76

y = -0.0015x - 5.997 R2 = 0.78

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)

eno18/quota

delli di dettaglio maggiore, più coerenti a le osservazioni disponibili quelle che ome si vede infatti dalle osservazioni di gradiente termico dei Lessini tende ad sto, mentre negli altri mesi l’assetto è zioni termiche in atmosfera sono state

pur non del tutto rappresentative della i avere un quadro abbastanza utile; il dibile, la temperatura nel sottosuolo è ione un fattore prevalente e tale da

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Evoluzione mensile del gradiente termico tra le stazioni di Boscochiesanuova e Marano

Utilizzando in combinazione i due modi di inquadrare la temperatura, si possono trarre le seguenti considerazioni:

− il gradiente termico maggiore, dell’ordine di almeno 4 gradi e più, si stabilisce in primavera, a marzo, e termina in autunno, ad ottobre. Questo è quindi il periodo più favorevole all’identificazione di un modello locale coerente (area grigia nella figura precedente);

− l’inversione termica tra atmosfera e sottosuolo, invece, si ha indicativamente nei mesi da maggio a ottobre e questo secondo periodo forma un’altra “finestra” entro cui trovare il periodo ottimo cercato. Le tre figure che seguono riportano alcuni esempi di sorgenti dei Lessini.

Il risultato è che la finestra di tempo entro la quale il metodo può rispondere abbastanza bene è limitata al periodo marzo-aprile, quando il gradiente termico in quota è di almeno 4 gradi ogni 1000 metri circa e quando non si ha ancora l’inversione termica tra atmosfera e sottosuolo.

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Marano di Valpolicella Sorgente SO076

Temperatura atmosferica e temperatura dell’acqua sotterranea

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°C)

S. Giovanni Ilarione Sorgente SO063

Temperatura atmosferica e temperatura dell’acqua sotterranea

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°C)

Grezzana Sorgente SO050

Temperatura atmosferica e temperatura dell’acqua sotterranea

In definitiva, nelle serie dei dati disponibili sono stati identificati i periodi più coerenti con un frazionamento isotopico adatto ad essere utilizzato in un contesto di elevato dettaglio: questi periodi sono quelli primaverili, dato che è in tali momenti che il gradiente isotopico in altitudine è abbastanza elevato da innescare il frazionamento e, d’altra parte, l’evaporazione estiva ed autunnale non è ancora tale da rendere prevalente l’arricchimento per evaporazione. I modelli così identificati sono mostrati nella figura seguente.

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y = -0.0027x - 3.1 R2 = 0.97 12 maggio 2000

y = -0.0015x - 7.6 R2 = 0.72 13 marzo 2001

y = -0.0035x - 7.3 R2 = 0.78 14 aprile 2001

Modelli locali ossigeno18/quota

La successiva figura, invece, riporta a titolo di confronto la retta (in rosso) che identifica il possibile modello globale, quello cioè che coincide abbastanza bene con una situazione media dell’Italia settentrionale, ed uno di quelli locali (in blu); si vede bene che il modello medio si colloca sopra i valori delle osservazioni disponibili di ossigeno18 nei pozzi e nelle sorgenti, mentre quello locale è sotto. Ciò significa che il modello globale è rappresentativo di acque più calde di quelle osservate e non può quindi dare una risposta utile in questo caso. Per contro, il modello locale è posto correttamente ad un livello termico inferiore e quindi tale da rendere i risultati applicativi coerenti con l’area di lavoro.

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pluviometri sorgenti pozzi

Y = -0.0015x – 5.9 (modello medio)

Y = -0.0035x – 7.3 (modello locale)

Osservazioni di ossigeno18 disponibili e modelli interpretativi

Ancora in termini metodologici è opportuno tenere presente altri due aspetti:

− le sorgenti carsiche più note e di maggiore interesse (Montorio e Cazzano) sono evidentemente connesse anche con le zone di ricarica più alte e, prendendo alla lettera i risultati dell’applicazione del modello dedotto con l’ossigeno18, la quota di tali zone sarebbe dell’ordine dei 1900-2000 metri.

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Si deve tuttavia tenere conto che il modello quota/ossigeno18 è un qualcosa di molto semplificato e che viene applicato con una correlazione lineare la cui validità statistica non è molto elevata; in particolare, il pluviometro più alto è posto a 1300 m sul mare e, almeno in teoria, i risultati numerici che si estendono troppo oltre questo valore limite non dovrebbero essere presi in considerazione. Per questo motivo, in tabella si è preferito indicare per questi due punti d’acqua una quota genericamente maggiore di 1600-1800 metri, che è già molto al di fuori del campo di validità dei dati;

− la posizione dei pluviometri, come si è visto, è fondamentale, dato che la legge che se ne ricava esprime gli effetti di un gradiente termico e che tale gradiente altro non è che l’esito della morfologia del terreno. Per questo motivo, è evidente che la caratterizzazione di un’area di ricarica dovrebbe essere basata su dati ottenuti in quella specifica area, altrimenti il metodo o non funziona o produce risultati sconcertanti. Ad esempio, le ipotesi che vogliono l’acqua di Montorio provenire (tutta o in parte) da aree ben più lontane e più a nord-est dello spartiacque settentrionale dei Lessini, devono essere verificate ponendo i pluviometri proprio in tali zone e non nelle vallate della Lessinia. Solo in questo modo si può certificare l’ipotesi;

− sempre per quello che riguarda la posizione dei pluviometri, essi sono stati collocati con l’intento sia di intercettare il gradiente termico maggiore, sia di fornire un modello interpretativo utilizzabile, mediamente, sul numero più alto possibile di punti d’acqua. Per ottenere un’analisi di elevatissimo dettaglio, invece, bisognerebbe piazzare gli strumenti all’inizio e alla fine di ciascun versante di alimentazione, in modo che soprattutto i circuiti locali possano essere posti in relazione con le fenomenologie tipiche del versante che è loro proprio. Tuttavia, questo dettaglio è solo apparente, dato che scendendo nel dettaglio della morfologia al contempo si scende nel dettaglio climatico ed i gradienti di temperatura, sempre più locali, diventano modesti ed il metodo tende ad essere non più utilizzabile.

Queste considerazioni sono fondamentali per comprendere i risultati dell’esplorazione e, soprattutto, per rendersi conto del perché spesso la quota di ricarica isotopica calcolata con l’ossigeno18 non trova poi riscontro con l’assetto morfologico e geometrico dei corpi idrici e delle scaturigini.

Detto questo, i risultati ottenuti, sul piano del riscontro idrogeologico, sono abbastanza soddisfacenti ed è stato possibile verificare che i circuiti più localizzati, quelli per esempio tipici del biancone, sono ricaricati dai bacini idrografici di appartenenza, mentre le sorgenti carsiche mostrano nettamente il segnale della ricarica da bacini posti a quote molto maggiori.

Si è trovato che le quote calcolate sono coerenti nella maggior parte dei casi con il versante più prossimo alla scaturigine. Alcuni modelli invece mostrano talvolta che la ricarica può avvenire per la medesima sorgente anche da quote diverse e per distanze maggiori, coerenti con lo sviluppo longitudinale di molte vallate e con taluni valori più elevati di tempo di transito calcolati con il tritio. In questo caso, è quindi facile schematizzare un doppio sistema di deflusso, l’uno con un percorso più breve che coincide con il versante della sorgente, l’altro più lungo che coincide con l’assetto longitudinale della valle, ma comunque coerente con il piano di scorrimento generale della monoclinale calcarea che caratterizza i Lessini.

Tutte queste osservazioni sono state compendiate nella tabella seguente, che riporta in sintesi i risultati in termini di escursione altimetrica (differenza tra la quota della sorgente e la quote di ricarica isotopica calcolata) e la distanza corrispondente (distanza tra la sorgente e l’isoipsa più vicina corrispondente alla quota di ricarica isotopica), con l’esclusione delle sorgenti carsiche.

Valore Escursione

(m) Distanza

(km) Escursione

(m) Distanza

(km) Minimo 40 0.1 52 0.3 Massimo 450 5.4 690 6.2 Medio 160 1.3 380 3.2

Escursioni altimetriche e distanze

Alcune considerazioni sono poi legate all’andamento delle serie di ossigeno18 nel tempo; anche in questo caso, infatti, le sorgenti carsiche (Montorio, Cazzano, Mezzane) mostrano un segnale tipico di circuiti veloci, dato che mostrano oscillazioni superiori a 0.5 unità di ossigeno18.

Altre sorgenti, invece, alimentate da circuiti più lenti hanno segnali più smorzati anche se appartengono a sistemi più superficiali e accade che le oscillazioni più contenute (0.3 – 0.4 unità di ossigeno18) sono maggiormente frequenti nell’eocene vulcanico, caratterizzato da permeabilità presumibilmente più basse.

La particolare struttura di questi acquiferi, e soprattutto la presenza del carsismo, tende a rovesciare la logica che in genere si tende ad utilizzare per schematizzare il flusso sotterraneo: infatti, i circuiti posti altimetricamente più in basso sono in genere considerati più lenti e quindi con segnali più smorzati, dato che a volte la maggiore profondità coincide con un maggior tempo di transito e viceversa. La Lessinia, come del resto tutti i complessi carsici, sfugge a questo tipo di schematizzazione, dato che lo sviluppo maggiore del carsismo coincide proprio con i serbatoi più profondi, che in questo caso sono anche i più veloci ed i meno soggetti allo scambio acqua-roccia. Ne segue che è più facile trovare segnali da circuiti “profondi” nelle vulcaniti superficiali piuttosto che nelle aree con vasti campi di fratture e carsismo, anche se posti a quote più basse.

5.3. Correlazione piogge/portate

Per caratterizzare la circolazione sotto il profilo strettamente idraulico si è fatto riferimento ai dati di pioggia del Servizio Meteorologico Regionale e ai dati di portata fluida rilevati nel corso del monitoraggio.

La prima considerazione riguarda i limiti da attribuire all’analisi: infatti, il dato pluviometrico è stato acquisito su base giornaliera, quindi con la massima possibile disaggregazione, mentre il monitoraggio delle sorgenti è stato eseguito su base mensile.

Le figure riportano alcuni esempi del lavoro di ricerca delle correlazioni piogge/portate mediante l’identificazione dei cicli di esaurimento delle sorgenti e le verifiche di congruità con i tempi di residenza identificati con il trizio. Non tutti i casi indagati si sono dimostrati utili a questo scopo, soprattutto per la piccola portata dei punti d’acqua e per le caratteristiche del deflusso, che spesso non può essere apprezzato con osservazioni di dettaglio mensile.

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Analisi delle serie piogge/portate

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Analisi delle serie piogge/portate

Identificati i periodi di esaurimento, è stato possibile calcolare l’immagazzinamento dei serbatoi con l’equazione di Mallet. Trattandosi, tuttavia, di sorgenti di piccole dimensioni, il campo di variabilità è contenuto ed i periodi di esaurimento non superano i 4 mesi in media; ugualmente, i bacini hanno una capacità di immagazzinamento poco elevata, dell’ordine di poche migliaia di metri cubi.

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Sistema Valore Esaurimento

(giorni) Immagazzinamento

(m3) Flusso basale

(l/s) minimo 70 1000 0.01

massimo 147 9000 0.09 Giurassico media 106 3000 0.04 minimo 61 1000 0.01

massimo 195 17000 1.10 Cretacico media 106 4700 0.17 minimo 49 2000 0.00

massimo 140 18000 0.70 Eocene calcareo media 109 5500 0.16 minimo 46 3000 0.08

massimo 141 16000 1.10 Eocene vulcanico media 91 8800 0.36

Tempi di esaurimento ed immagazzinamento

5.4. Circolazione generale

Il percorso che segue l’acqua durante il deflusso, una volta a contatto con il suolo, è quindi:

− superficiale, secondo il reticolo di drenaggio principale e secondario;

− sotterraneo, secondo il sistema di drenaggio sotterraneo a sua volta basato sulla permeabilità primaria per porosità (alluvioni e altri depositi recenti di rocce sciolte, comprese talune vulcaniti), sulla porosità secondaria per fratturazione e per carsismo (rocce di matrice calcarea, talune vulcaniti). Si può ipotizzare anche un certo deflusso per porosità primaria in alcuni calcari, ma, dato lo sviluppo della circolazione per fratturazione e carsismo, si tratta certamente di volumi trascurabili.

Il decorso del flusso è complicato da fenomeni di reinfiltrazione, tipici delle aree carsiche, dato che il reticolo di drenaggio superficiale è spesso intercettato da quello sotterraneo attraverso le doline, gli inghiottitoi, le fratture, i camini vulcanici. In questi casi, l’alimentazione non è più di tipo verticale diretto, ma avviene dopo un percorso superficiale più o meno lungo.

La direzione di deflusso prevalente è, in generale, da nord a sud, con poche varianti dato che anche le lineazioni tettoniche cui è spesso associato il carsismo deviano poco da questa direzione; dato che è necessario ipotizzare anche la presenza di condotti carsici longitudinali associati a quelli verticali (che altrimenti rigurgiterebbero), vi è la possibilità che in questo modo siano rese possibili direzioni di flusso non parallele alle vallate principali.

Gli acquiferi, schematicamente, rispondono a questi requisiti principali:

− in termini di frequenza, le sorgenti sono presenti soprattutto nelle formazioni più recenti, laddove l’erosione non è arrivata alla base del biancone o del rosso ammonitico; in questi casi, la funzione di acquicludo del rosso ammonitico/cenomaniano e della scaglia è rimasta tale da consentire la formazione di falde poste a quote più alte rispetto alla circolazione carsica. Tuttavia le portate sono modeste, dato che il biancone è, secondo letteratura, meno interessato dal carsismo e più spesso permeabile per fratturazione; a ciò si somma la superficie effettivamente disponibile per l’alimentazione dei bacini che alimentano il cretaceo, molto discontinuo a causa dell’effetto combinato della tettonica e dell’erosione;

− in termini di portata, le sorgenti maggiori sono quelle collegate alla circolazione più veloce e più intensa del carsismo e dei campi fratturati di maggiori dimensioni. Si tratta delle ben note emergenze di Montorio, di Cazzano, di Fumane, che portano a giorno il deflusso che avviene attraverso il basale giurassico, cui partecipano le dolomie basali, il complesso dolomitico indifferenziato e, quando

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sufficientemente tettonizzati e carsificati, i calcari di S. Vigilio e di Noriglio e i lembi del rosso ammonitici tettonizzati delle valli centrali e settentrionali.

Tutto il deflusso trova poi recapito alla base del sistema, che è costituito dalla copertura alluvionale posta lungo i fondovalle e lungo l’orlo della pianura; la connessione avviene attraverso le formazioni calcaree permeabili recenti e non recenti e attraverso la reinfiltrazione dei corsi d’acqua che solcano i fondovalle, il cui alveo è spesso sospeso rispetto alla quota dell’acquifero alluvionale, che può esserne così ricaricato. Per questo stesso motivo è possibile anche la reinfiltrazione dell’acqua che proviene dalle sorgenti carsiche dato che, una volta recapitate nel sistema di drenaggio principale, possono essere nuovamente drenate e riportate in falda più a valle.

I sistemi carsici sono almeno due; quello idraulicamente più sviluppato appartiene alle serie calcaree basali e interessa soprattutto i Lessini centrali, l’alta valle di Illasi, il bordo esterno del sistema in sinistra Adige. L’altro è legato invece alle serie calcaree eoceniche dell’area di Fumane e di Negrar, il cui acquicludo è costituito dalla scaglia rossa e dalla facies marnoso-argillosa al tetto del biancone. In questa zona vi sono anche acquiferi di interesse costituiti dalle vulcaniti, il cui acquicludo è formato da un livello impermeabile di ialoclastiti.

6. Sintesi strutturale 6.1. Schema proposto

Per sintetizzare queste considerazioni, si è fatto riferimento ad uno schema che tenta di tenere conto sia della circolazione più caratterizzata dal carsismo, sia di quella legata alle successioni stratigrafiche, sia alla morfologia e alla posizione geografica dei bacini. I Lessini, infatti, possono essere visti come un unico contenitore, il cui limite sotterraneo di monte segue grosso modo lo spartiacque superficiale e che può essere ripartito:

− in un settore orientale corrispondente alla val d’Alpone, dominato dalla presenza di un motivo tettonico fortemente caratterizzante e dalla massiccia presenza di vulcaniti e basalti. Questo settore è limitato a nord dal thrust di Marana, ad ovest dalla faglia di Castelvero, ad est dalla valle del Chiampo, mentre il basamento idraulico è dato dalla serie dei calcari cretacei; qui le sorgenti sono abbastanza numerose, le portate poco elevate, le acque caratterizzate da una certa maggiore abbondanza di ferro e magnesio;

− in un settore centro-settentrionale, dominato dalle serie calcaree triassiche e giurassiche ed esteso in superficie fin dagli affioramenti di dolomia principale a nord dello spartiacque principale. In superficie lo sviluppo si interrompe in corrispondenza degli affioramenti della serie cretacica: ove questa è stata erosa affiorano il giura ed il trias ed hanno preso sviluppo i sistemi carsici maggiori. La morfologia di questo sistema richiama una mano rovesciata, le cui dita corrispondono alla valle d’Illasi, alla valle di Mezzane, alla val Squaranto, alla val Pantena, alla valle di Fumane. Il deflusso avviene in parte per drenaggio lungo i fondovalle, ove il contatto idraulico è possibile, e attraverso le sorgenti carsiche. Oltre questa linea il sistema entra in pressione, dato che non vi sono altre possibilità, più a valle, di un deflusso, almeno per quanto è noto;

− in un settore centrale e meridionale, dominato dal biancone, dai calcari eocenici e da alcune formazioni vulcaniche. Le sorgenti sono frequenti e di bassa portata nel biancone, mentre il carsismo eocenico ripete, più in piccolo, il motivo dominante del sistema giurassico.

Lo schema è completato dagli acquiferi, numerosissimi, contenuti nei camini vulcanici che costellano da sud a nord tutti i Lessini centrali; si tratta di serbatoi in genere di modeste dimensioni, formati da piroclastiti e sabbie vulcaniche più o meno cementate, che raccolgono sia l’acqua di pioggia che si infiltra direttamente, sia quella che proviene dal dilavamento delle pendici circostanti. Ogni serbatoio è separato dagli altri e, presumibilmente, non partecipa alla circolazione generale, salvo la possibilità di un percolamento verso i sistemi calcarei sottostanti.

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Per classificare le acque e le sorgenti è stata adottata la ripartizione con i sistemi idrogeologici descritti; questi sistemi (giurassico, cretacico, eocenico e quaternario) sono relativamente indipendenti tra loro, salvo il quaternario attraverso il quale avviene il deflusso sotterraneo di uscita in connessione con il più esteso sistema della pianura dell’Adige. Le questioni di maggior rilievo, dato che sono più sfuggenti, riguardano il sistema giurassico, il cui carsismo, pur evidente negli effetti, è relativamente poco noto sul piano idraulico, dato che i condotti di maggiore interesse idraulico sono evidentemente i meno esplorati per la presenza dell’acqua. Quelli esplorati ricalcano molto spesso l’assetto dei lineamenti tettonici e sono certamente indizio della presenza di condotti suborizzontali rilevanti.

6.2. Il circuito carsico e la geochimica delle acque

La geometria è tale che l’alimentazione di sorgenti come Montorio deve essere spiegata con la presenza di condotti sub-orizzontali la cui direttrice può essere sia nord-sud, sia da nord-est verso sud-ovest; la decisione non è semplice, dato che sia la quota di alimentazione, sia il segnale geochimico sono compatibili con l’alta val Squaranto e con la val d’Illasi. Per quello che riguarda la quota il calcolo indica oltre 1800 m, quindi la val Squaranto sembrerebbe più attinente, dato anche che le incisioni delle valli sull’altro versante dei Lessini sono abbastanza incise fino a quote parecchio più basse. Anche il segnale geochimico non è decisivo in termini assoluti, dato che la presenza del magnesio, tipica del sistema giurassico, può essere ascritta sia alle dolomie basali, sia alle diffusissime facies dolomitizzate dei calcari della val Squaranto e delle altre valli centrali.

La caratterizzazione geochimica delle acque sotterranee risente della sostanziale omogeneità delle rocce madri e del breve tempo di residenza dell’acqua nei serbatoi.

Il basso tempo di residenza delle acque nei serbatoi dipende sia dalla velocità elevata nei percorsi più lunghi ove prevalgono carsismo e fratturazione, sia dalla brevità dei percorsi ove invece la permeabilità è più ridotta per il minor sviluppo delle fratture. In entrambi i casi, il segnale geochimico è sempre molto tenue e ciò che si riesce a discriminare è:

− un percorso di tipo calcareo puro, con prevalenza di carbonato di calcio e quantità modeste o trascurabili di ferro, magnesio, zolfo;

− un percorso di tipo dolomitico, con quantità più significative di magnesio;

− un percorso di tipo vulcanico con quantità più significative di ferro e magnesio.

I dati analitici sono stati esaminati con il metodo di Piper, che utilizza gli anioni ed i cationi organizzandoli in un diagramma multiplo, costituito da due diagrammi triangolari ed uno romboidale: tutti i punti ricadono nel primo quadrante, tipico delle acque bicarbonato-alcalino-terrose, con un elevato contenuto di Calcio + Magnesio e bicarbonati e presenza variabile di solfati.

Mg

C a

Na + K

+

Ca + M

gS

O4

+ C

l

SO

4

HC

O3

C l0100

0

100

100

0

0

100

100

0

0

100

100100

0

0

100 100

0

0

Diagramma di Piper

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L’omogeneità geochimica si vede anche dai diagrammi delle concentrazioni osservate per gli ioni più comuni in funzione della quota; come si vede, vi sono una dispersione abbastanza elevata all’origine e una certa tendenza all’arricchimento dalle acque poste alle quote più elevate verso quelle poste più in basso, ma le variazioni non identificano un’evoluzione spinta, a confermare la velocità di flusso ed il basso tempo di residenza dell’acqua nel mezzo roccioso.

0

10

20

30

40

50

60

0 500 1000 1500 2000

Quota (m slm)

Mg2+

(mg/

l)

Ione Magnesio in funzione della quota del punto d’acqua

La distribuzione delle variabili chimico-fisiche nel piano geografico ricalca questa stessa evoluzione, salvo situazioni del tutto particolari; queste si vedono particolarmente bene con l’analisi delle isoterme, che identificano alcuni punti particolari all’uscita dei fondovalle che coincidono abbastanza bene con le maggiori anomalie in termini di nitrati.

6.3. Il bilancio idrologico

Per concludere sulle risorse idriche in quanto tali, è stato costruito il bilancio idrologico di prima approssimazione; in assenza di osservazioni dirette sui torrenti e sulle sorgenti maggiori, è stato necessario ricorrere ad alcuni ipotesi per restringere il campo di validità dei risultati. Dal punto di vista strutturale il problema non è complesso, dato che il deflusso avviene comunque al termine dei fondovalle o attraverso le alluvioni, o attraverso il reticolo di drenaggio; il problema maggiore, nel definire le grandezze in gioco è proprio il deflusso superficiale per tutti i motivi già detti, quindi le perdite dagli alvei verso la falda alluvionale e le reinfiltrazioni.

L’assenza di dati sperimentali si è fatta sentire soprattutto in questa fase ed è stato necessario far ricorso ad altre ipotesi ancora, sempre comunque nei limiti del ragionevole e delle esperienze documentate nella letteratura disponibile sull’argomento.

Il risultato si compendia in una disponibilità media di risorsa dell’ordine dei 50 m3/s, 15 dei quali defluiscono attraverso le alluvioni, 30 lungo gli alvei e 5 circa dalle sorgenti di Montorio.

Per calcolare il bilancio idrologico dell’area e, su questo, impostare la stima del carico di nitrati trasportato, sono state necessarie alcune ipotesi e alcune schematizzazioni.

Il bilancio idrologico è stato fissato sulle sezioni di chiusura delle valli montane allo sbocco in pianura, in modo da poter calcolare le portate in uscita, con l’ipotesi che in questo modo sia possibile calcolare sia il flusso sotterraneo vero e proprio, sia tutte le reinfiltrazioni di acque provenienti dai bacini sotterranei di monte.

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Per quello che riguarda lo sviluppo del calcolo, in tabella è riportata, a titolo di esempio, la schematizzazione adottata per la parte che riguarda la stima dell’infiltrazione con un’ipotesi di pioggia minima.

Sistemi idrogeologici

Afflussi minimi (mm)

Superfici (km2)

Evaporazione (%)

Infiltrazione (m3/sec)

Giurassico 1200 376 10 13 Cretacico 1200 235 30 6 Eocene calcareo 1200 562 20 17 Eocene vulcanico 1400 87 20 3 Quaternario 1000 196 20 5 Totali - 1456 - 44

Afflussi e infiltrazione (ipotesi di pioggia minima)

Lo schema generale di circolazione adottato prevede che tutta l’acqua che non esce dal bacino sotto forma di evaporazione defluisce a valle attraverso i percorsi sotterranei e superficiali e deve necessariamente passare o attraverso gli sbocchi di Montorio, o attraverso le sezioni di deflusso in corrispondenza delle alluvioni, o attraverso gli alvei superficiali. Si trascura il deflusso alla testata degli spartiacque tra una sezione e l’altra.

Stimate le grandezze principali, si è tentato di discriminare tra il deflusso sotterraneo vero e proprio da quello superficiale applicando l’equazione di Darcy alle sezioni di deflusso delle alluvioni di fondovalle.

La tabella riporta i risultati ottenuti in funzione delle ipotesi di afflusso massimo e minimo utilizzate e per due ipotesi di altezza della sezione bagnata delle alluvioni; si vede che il deflusso totale può essere stimato tra i 40 ed i 54 m3/s, con una quota pari a circa il 40-50 % a carico del deflusso sotterraneo.

Ipotesi Deflusso

totale (m3/s)

Dalle alluvioni (m3/s)

Da Montorio (m3/s)

Dagli alvei

(m3/s) Afflusso minimo 40 20 5 15 Afflusso minimo 40 10 5 25 Afflusso massimo 54 20 5 29 Afflusso massimo 54 10 5 39

Stima dei termini del deflusso

7. I nitrati 7.1. La diffusione di nitrati in Lessinia

Nei Lessini e nell’alta pianura veronese i nitrati sono ubiquitari con concentrazioni minimali in alta montagna, di media entità (15-30 mg/l) nelle pendici più basse e concentrazioni massime nei fondovalle e nella piana a nord di Verona.

Le origini sono per lo più organiche, quindi riconducibili sia a fatti naturali, sia a scarichi fognari, sia a fonti zootecniche. Un gruppo di campioni abbastanza significativo fa pensare anche alla presenza diffusa di concimi di sintesi, e per questo è stato necessario integrare le analisi previste inizialmente con la determinazione dell’ ossigeno18 della molecola dei nitrati che, più costoso come metodo, consente tuttavia maggiore capacità di discriminazione.

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Il trend evolutivo è all’equilibrio ed è mostrato sia dai dati storici disponibili in letteratura, sia dai risultati del monitoraggio realizzato nel corso di questo studio.

Sempre per ridurre il problema in termini quanto più possibile schematici, l’area di studio può essere divisa in due parti:

− l’una, che comprende la maggior parte dei Lessini e quindi le parti alte e mediane delle vallate, mostra concentrazioni relativamente basse, generalmente inferiori ai 10-20 mg/l, quindi significative di una contaminazione diffusa, ma limitata negli effetti;

− l’altra che interessa una fascia estesa della pianura a nord di Verona ed alcune località nella parte più bassa delle valli, in cui è evidente la presenza di fenomeni di contaminazione più intensa, alcuni dei quali raggiungono i 60-80 mg/l, con segnalazioni in letteratura fino a 100 mg/l.

In entrambi i casi, la circolazione veloce di grandi masse d’acqua consente il rinnovamento rapido e lo smaltimento efficace di un carico anche elevato. Ne segue che in sinistra Adige non vi sono segnali di aggravamento e che l’assetto appare abbastanza in equilibrio.

7.2. Il bilancio di massa dell’azoto

Per quantificare le grandezze principali è stato impostato anche il bilancio di massa dell’azoto nelle acque superficiali e sotterranee ed il risultato mostra che si può valutare, sempre in prima approssimazione, che il carico totale veicolato a valle è dell’ordine delle 2000 tonnellate all’anno. Di queste, circa il 65% circa può essere associato all’uso delle deiezioni zootecniche come fertilizzante, il 20 % al carico di origine civile, il 10 a fonti di origine artificiale e un 5 % all’attività del suolo.

In questo contesto, le sorgenti di Montorio meritano un cenno particolare, dato che da esse transitano qualcosa come 700-800 t/anno di nitrati, che sono pari ad oltre un terzo di tutto il carico veicolato dall’intero sistema dei Lessini; ne seguono alcune evidenti considerazioni:

l’apparente buona qualità delle acque di Montorio è dovuta esclusivamente alla portata elevata e quindi alla forte diluizione, dato che il carico totale trasportato (che pure è stato stimato utilizzando ipotesi di tipo minimale) è decisamente molto elevato;

utilizzando l’azoto come tracciante, appare altrettanto evidente che Montorio deve raccogliere acque provenienti da un bacino di alimentazione molto ampio, la cui superficie non è certo inferiore a quella già stimata per via idrologica da Sorbini et al. (1993);

tenendo conto della particolare struttura tettonica delle valli, già più volte ricordata, e dell’assetto delle principali cavità carsiche documentate attraverso l’archivio mantenuto dalla Regione Veneto, è possibile concludere con una certa sicurezza che le sorgenti carsiche sono alimentate da una combinazione delle tre direttrici tettonico/carsiche principali, che sono quella NW-SE, quella N-S e quella NE-SW, con contributi di portata fluida difficili da determinare tra loro, ma certamente tutti significativi.

7.3. Le origini dei nitrati

L’altra questione fondamentale che è stata affrontata nel corso dello studio riguarda le origini dei nitrati nelle acque sotterranee della Lessinia. Per questo motivo, il monitoraggio ha riguardato anche la determinazione dell’azoto15, attraverso il quale è possibile, entro certi limiti, verificare le origini delle sostanza da cui derivano i nitrati.

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I dati relativi all’azoto15 sono stati integrati con alcune determinazioni dell’ossigeno18 della molecola dei nitrati per precisare meglio alcune situazioni di non immediata interpretazione.

I risultati sono mostrati in cartografia e consentono di stabilire che la maggior parte delle acque è contaminata con nitrati di origine organica, sia umana che animale, ma che sono presenti anche alcune situazioni in cui è stata riscontrata la presenza di azoto di sintesi, quindi presumibilmente legato all’uso di fertilizzanti artificiali. Le acque di Montorio sono contaminate, ad esempio, proprio con nitrati di provenienza artificiale, presumibilmente i fertilizzanti chimici; la stessa situazione è stata verificata per alcune delle sorgenti poste al bordo dei fondovalle e per una sorgente di alta quota.

L’azoto15 è stato indagato perché ha una certa capacità di consentire l’identificazione della provenienza dei nitrati; la discriminazione avviene in base al grado di impoverimento/arricchimento rispetto all’azoto dell’atmosfera che, come in altri casi di utilizzazione degli isotopi stabili, costituisce il sistema di riferimento.

L’interpretazione tuttavia non è sempre immediata, dato che i processi di nitrificazione e denitrificazione che avvengono nel suolo tendono a sovrapporre e talvolta a modificare le classi di discriminazione per la complessità dei fenomeni che vi hanno luogo. Per questo motivo, anche nella letteratura specializzata non è possibile trovare uno schema di riferimento valido in generale e si deve adattare l’esperienza al caso di studio.

Una breve sintesi delle possibilità di discriminare l’azoto15 secondo alcuni Autori è riportata in tabella; in linea di principio, l’azoto15 tende ad allontanarsi dalla composizione atmosferica, che è il livello di riferimento e quindi vale zero, quanto più l’origine è lontana dai processi che consumano azoto atmosferico. Poiché i concimi agricoli prodotti per sintesi consumano azoto atmosferico come materia prima, si assume che variazioni contenute rispetto allo standard di riferimento siano da correlare appunto a questo tipo di sorgente, mentre valori più alti siano da imputare invece a sorgenti di tipo organico.

Tra queste classi, in teoria, non vi è modo di disaggregare ancora, dato che le deiezioni civili e zootecniche non hanno diversa origine o composizione; si assume invece che se le deiezioni vengono utilizzate per la fertilizzazione, allora sono possibili fenomeni di concentrazione dell’azoto15 a seguito del processo di volatilizzazione che avviene sul campo. Per questo motivo, si assume che valori elevati di azoto15 siano segnale di concimi organici deposti al suolo, quindi di origine zootecnica, dato che quelli umani non vengono mai usati a questo scopo.

Oltre a questo schema generale, tuttavia, sono da tenere presenti anche i processi di nitrificazione che avvengono nel sottosuolo che possono dar luogo a segnali in contraddizione con i precedenti, tanto da far trovare talvolta anche valori negativi, quindi inferiori al contenuto atmosferico di riferimento.

Per l’azoto organico non esiste una classificazione di tipo universale e le classi con cui viene ripartito l’azoto15 sono caratterizzate da molta soggettività, prova ne sia la sovrapposizione tra una classe e l’altra che inevitabilmente ne segue, come si vede dalla tabella.

Provenienza Minimo Massimo Fertilizzanti -3 +7 Azoto organico con presenza di ammoniaca +3 +9 Deiezioni in senso lato +7 +20 Deiezioni volatilizzate +10 +22

Schematizzazione delle fonti di nitrati in base all’attività di azoto15

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8. Conclusioni: soluzioni e interventi

L’indagine ha mostrato che i Lessini hanno una capacità molto elevata di smaltire il carico organico loro imposto da una densità produttiva ed insediativa altissima, prova ne sia che il trend dei nitrati è orientato all’equilibrio da diversi anni. Ad una vulnerabilità di per sé elevata, data la molto elevata permeabilità che caratterizza sia i circuiti carsici, sia i circuiti fratturati, si associano precipitazioni molto intense che defluiscono rapidamente per via superficiale e per via sotterranea, quindi con un effetto di diluizione, sui nitrati, altrettanto elevato.

In definitiva, i Lessini offrono circostanze molto favorevoli agli insediamenti, dato che tali condizioni generali evitano l’accumulo di nitrati nel suolo e nelle acque, accumulo che renderebbe molto più problematico il bilancio globale e spingerebbe al rialzo il trend evolutivo. Posto che l’Amministrazione deve porsi l’obbiettivo del risanamento, o al minimo quello del raggiungimento di traguardi di qualità migliore, vi è tutto lo spazio di manovra necessario per conseguire risultati significativi dal punto di vista del risanamento ambientale.

Trattandosi di una situazione all’equilibrio, è evidente che è possibile ottenere risultati significativi con relativamente pochi sforzi; infatti, se nel bilancio delle masse (acqua e nitrati) che producono le concentrazioni sopra descritte i termini restano mediamente costanti nel tempo, vuol dire che è sufficiente diminuire anche di poco il carico organico per innescare un trend virtuoso, dato che il rapporto tra la massa di soluto (che cala) e quella del deflusso (tendenzialmente costante) favorisce la diminuzione progressiva delle concentrazioni ed il lavaggio degli acquiferi.

Il risultato si ottiene con azioni finalizzate al contenimento delle fonti, tenendo conto che si possono schematizzare come segue:

− zootecnia: immette nitrati nel circuito idrico a causa delle perdite che avvengono nell’ambito immediato delle aziende durante la gestione ordinaria dell’attività e che avvengono per lo sbilancio dell’azoto nelle pratiche di spandimento agronomico. Infatti è evidente che una certa presenza di nitrati nelle acque è legata al fatto che non tutto il nitrato messo a campo viene consumato dalla vegetazione per la crescita o ceduto in atmosfera per volatilizzazione;

− scarichi civili: immettono nitrati per inefficienza o rottura degli impianti, sia collettivi come le reti fognarie dei centri abitati, sia individuali come le vasche Imhoff dei nuclei non serviti;

− agricoltura: immette nitrati per eccesso del dosaggio dei concimi chimici, ma in questa sede non è stato possibile riuscire a discriminare questa possibilità dalle altre per tentarne una quantificazione definitiva.

Le forme di intervento devono essere precise e mirate nei casi evidenti di concentrazioni forti e ben localizzate, mentre è necessario ricorrere piuttosto a politiche e ad indirizzi di pianificazione nei casi in cui, tipico quello degli allevamenti, il gran numero delle aziende e le modalità di gestione delle deiezioni non possono essere controllate e risolte caso per caso. Le situazioni che dipendono dall’efficienza degli impianti igienici rientrano invece in un quadro di controllo e di ammodernamento delle infrastrutture, da realizzare a scala comunale o mediante interventi specifici nei casi puntuali che dipendono da situazioni specifiche.

Per quello che riguarda gli allevamenti, i suggerimenti che possono orientare ad un miglioramento significativo e ad una politica di salvaguardia più efficace possono essere:

− la migliore applicazione delle norme che regolano l’uso agronomico delle deiezioni animali, che può portare ad una riduzione molto significativa del carico di nitrati in uscita, forse anche nell’ordine del 40 o 50 %;

− la disincentivazione all’insediamento degli impianti zootecnici nelle aree di affioramento della dolomia principale, nella presunzione che questa corrisponda ad una zona significativa di alimentazione della parte più bassa del circuito idrico sotterraneo. Anche se le acque di sfioro, come ad esempio quelle di Montorio, non

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mostrano concentrazioni elevate, può essere certamente opportuna qualche misura di salvaguardia; infatti, se è vero che l’acquifero giurassico dalla linea delle sorgenti carsiche in poi entra in pressione, il trasporto di massa viene nei fatti impedito, dato che la maggior parte del flusso è quello che sgorga dalle sorgenti vere e proprie. E’ tuttavia possibile per una certa quantità di nitrati il trasporto per diffusione e dato che si tratta in questo caso di una porzione di acquifero difficilmente rinnovabile, le precauzioni sono certamente auspicabili.

− l’incentivazione a forme di conduzione degli allevamenti più rispettose del contesto ambientale, ad esempio con l’istituzione di percorsi di Agenda 21 Locale da specializzare verso obiettivi di qualità dell’acqua legati a forme di razionalizzazione e miglioramento degli impianti;

− la possibilità di rilasciare le autorizzazioni a nuovi insediamenti zootecnici sulla base del conseguimento di obiettivi di qualità da raggiungere attraverso il miglioramento della conduzione: se il monitoraggio mostra che le azioni di risanamento sono concrete e positive, allora è possibile autorizzare nuove concessioni sulla base di impegni rigorosi di conduzione delle aziende e dell’applicazione di tecnologie compatibili.

Vi sono poi alcune località caratterizzate da pochi punti con concentrazioni elevate; queste possono e devono essere verificate direttamente e nel dettaglio, caso per caso, e per ciascuna di esse devono essere presi i provvedimenti più adatti.

Giocando sul numero ridotto delle situazioni da verificare e da risolvere, si può considerare ragionevolmente fattibile un insieme di interventi da basare su ricognizioni di dettaglio operativo e su soluzioni specifiche; un successo anche parziale di questa politica può produrre effetti ampiamente positivi, dato che va comunque nella direzione della diminuzione dell’apporto totale al sistema idrico sotterraneo.

Bibliografia

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