Simone Ferrari, Nota sul rapporto fra abuso d’ufficio e falsità ideologica

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Invero, nel caso in esame la macchina risultava certifi- cata come conforme alla normativa antinfortunistica e la violazione della distanza minima tra il condotto traspor- tatore contenente la coclea e l’apertura dell’apparecchio era accertabile solo smontando lo stesso. Ora, non e ` pensabile che un datore di lavoro debba smontare tutti i macchinari «omologati», che introduce nell’azienda, al fine di individuare eventuali vizi di co- struzione fonti di danno alle persone. Non si comprende poi l’assunto secondo il quale il datore dovrebbe «appo- sitamente accertarsi che il costruttore abbia sottoposto la macchina a tutti i controlli rilevanti per accertarne la re- sistenza e l’idoneita ` all’uso»: un accertamento dell’accer- tamento alquanto illogico. Piu ´ in dettaglio, la fabbricazione — sinonimo di costru- zione — attiene al momento di materiale esecuzione di un progetto e segna il passaggio dalla fase dell’ideazione a quella della messa in opera. I fabbricanti devono garan- tire la rispondenza delle macchine, degli impianti, delle attrezzature di lavoro alle disposizioni legislative e rego- lamentari vigenti in materia di sicurezza: infatti essi, avendo dato attuazione al progetto dell’opera, produ- cono un bene inevitabilmente destinato ad essere im- messo sul mercato 7 ). Cosı ´, il fabbricante si assume la responsabilita ` della si- curezza intrinseca della macchina, ma non della sicurezza della stessa in uso in un determinato luogo di lavoro, che puo ` dipendere da fattori ambientali, organizzativi, pro- cedurali 8 ). Tra l’altro, prima dell’entrata in vigore del D. P. R. n. 459 del 1996 («Regolamento per l’attuazione delle di- rettive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/ CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni de- gli Stati membri relative alle macchine »), l’acquirente era tenuto ad eseguire sulla macchina, prima di metterla in servizio, una serie di controlli tesi a verificarne la rispon- denza ai requisiti di sicurezza, assumendosi la responsa- bilita ` della scelta operata. La nuova normativa ha invece maggiormente responsabilizzato il costruttore: « pertanto l’acquirente puo ` legittimamente omettere accurati con- trolli sulla macchina potendo fare affidamento sulla di- chiarazione di conformita ` rilasciata dal costruttore. L’uti- lizzatore non puo ` comunque ritenersi esente da colpa nei casi in cui la macchina, pur essendo marcata CE, appaia manifestamente inadeguata dal punto di vista della sicu- rezza» 9 ). Ragionando diversamente, si esce dall’ambito della re- sponsabilita ` colposa per entrare in quello della responsa- bilita ` oggettiva. In una prospettiva piu ´ rispettosa dei principi di colpe- volezza e di ragionevolezza, si e ` deciso che il datore di lavoro o il responsabile della sicurezza hanno l’obbligo di consegnare ai dipendenti macchinari e utensili provvisti di ogni opportuno, efficace dispositivo antinfortunistico e devono percio ` apportare tutte le modifiche necessarie per il loro sicuro funzionamento; tuttavia il diretto e prin- cipale destinatario della regola che impone l’adozione delle cautele e ` il costruttore, sicche ´ non e ` imputabile alla responsabilita ` del datore di lavoro un incidente verifica- tosi nonostante la perfetta corrispondenza del macchina- rio, come fornito dal costruttore, alle regole di preven- zione antinfortunistica secondo le prescrizioni di sicu- rezza delle norme comunitarie in materia (principio affermato in relazione all’art. 77 D. P. R. n. 547 del 1955 con riferimento ad un trapano a turbina al quale solo dopo il verificarsi dell’incidente era stato aggiunto un meccanismo a pedale come dispositivo di consenso per la sua messa in funzione) 10 ). Del resto, quanto al dovere di presenza costante del datore di lavoro e dei soggetti a questi equiparati, la giu- risprudenza di legittimita ` ha applicato il principio se- condo il quale ad impossibilia nemo tenetur, «concreta esplicazione del principio generale di ragionevolezza e di esigibilita ` della prestazione. ... tale obbligo va inteso nel senso che i soggetti tenuti debbono assicurare, piu ´ che la presenza fisica che non e ` in se ´ necessariamente idonea a garantire la sicurezza dei lavoratori, la “gestione” oculata dei luoghi di lavoro mediante l’aver posto in essere tutte le misure imposte normativamente (informazione, forma- zione, attrezzature idonee e presidi di sicurezza), nonche ´ ogni altra misura idonea, per comune regola di prudenza e di diligenza, a garantire la sicurezza nei luoghi di lavo- ro» 11 ). Pare invece esatta l’asserzione presente nella pronuncia in epigrafe secondo cui l’attivita ` posta in essere dal lavo- ratore, pur imprudente, deve ritenersi connessa e neces- sitata dall’esigenza produttiva specifica, con la conse- guenza che non si tratta di attivita ` abnorme, eccezionale e imprevedibile ai fini dell’interruzione del nesso causale. Sul punto si e ` recentemente sottolineato che, siccome le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tute- lare il lavoratore anche in ordine a incidenti i quali pos- sono derivare da sua negligenza, imprudenza o imperizia, la responsabilita ` del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo di adottare le misure di preven- zione puo ` essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che pre- senti i caratteri dell’eccezionalita ` , dell’abnormita `, del- l’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile. « Peraltro, in ogni caso, nel- l’ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o inidoneita ` delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilita ` del datore di la- voro, puo ` essere attribuita al comportamento del lavora- tore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla man- canza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di sif- fatto comportamento» 12 ). Simone Ferrari Cassazione penale,VSezione, 9 novembre 2005 (dep. 13 dicembre 2005), n. 2151 — Foscarini Pre- sidente —Vessichelli Relatore —Baglione P. M. (diff.). — Bernardi, ricorrente. Abuso di ufficio — Falsita ` ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici — Rapporti — Sussidiarieta ` (C. p. artt. 323, 479). 7 )Soprani, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, Milano, 2001, 135. 8 )Tacconi, Le responsabilita ` penali in materia di sicurezza sul lavoro, Torino, 2003, 111. 9 )Tacconi, Le responsabilita ` penali in materia di sicurezza sul lavoro, cit., 112. 10 ) Cass., Sez. III, 14 marzo 1997, Barreri, in Cass. Pen., 1998, 2463. 11 ) Cass., Sez. IV, 26 ottobre 2004, Storino, cit. 12 ) Cass., Sez. IV, 14 gennaio 2005, Schifilliti, in Guida al Dir., 2005, 24, 91; Id., Sez. IV, 3 novembre 2004, Volpi, ibid., 15, 100; App. Bologna, Sez. I, 13 gennaio 2004, ivi, 2004, 23, 97. DIRITTO E PROCEDURA PENALE 2150

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Invero, nel caso in esame la macchina risultava certifi-cata come conforme alla normativa antinfortunistica e laviolazione della distanza minima tra il condotto traspor-tatore contenente la coclea e l’apertura dell’apparecchioera accertabile solo smontando lo stesso.

Ora, non e pensabile che un datore di lavoro debbasmontare tutti i macchinari «omologati», che introducenell’azienda, al fine di individuare eventuali vizi di co-struzione fonti di danno alle persone. Non si comprendepoi l’assunto secondo il quale il datore dovrebbe «appo-sitamente accertarsi che il costruttore abbia sottoposto lamacchina a tutti i controlli rilevanti per accertarne la re-sistenza e l’idoneita all’uso»: un accertamento dell’accer-tamento alquanto illogico.

Piu in dettaglio, la fabbricazione — sinonimo di costru-zione — attiene al momento di materiale esecuzione diun progetto e segna il passaggio dalla fase dell’ideazionea quella della messa in opera. I fabbricanti devono garan-tire la rispondenza delle macchine, degli impianti, delleattrezzature di lavoro alle disposizioni legislative e rego-lamentari vigenti in materia di sicurezza: infatti essi,avendo dato attuazione al progetto dell’opera, produ-cono un bene inevitabilmente destinato ad essere im-messo sul mercato7).

Cosı, il fabbricante si assume la responsabilita della si-curezza intrinseca della macchina, ma non della sicurezzadella stessa in uso in un determinato luogo di lavoro, chepuo dipendere da fattori ambientali, organizzativi, pro-cedurali8).

Tra l’altro, prima dell’entrata in vigore del D. P. R.n. 459 del 1996 («Regolamento per l’attuazione delle di-rettive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni de-gli Stati membri relative alle macchine»), l’acquirente eratenuto ad eseguire sulla macchina, prima di metterla inservizio, una serie di controlli tesi a verificarne la rispon-denza ai requisiti di sicurezza, assumendosi la responsa-bilita della scelta operata. La nuova normativa ha invecemaggiormente responsabilizzato il costruttore: «pertantol’acquirente puo legittimamente omettere accurati con-trolli sulla macchina potendo fare affidamento sulla di-chiarazione di conformita rilasciata dal costruttore. L’uti-lizzatore non puo comunque ritenersi esente da colpa neicasi in cui la macchina, pur essendo marcata CE, appaiamanifestamente inadeguata dal punto di vista della sicu-rezza»9).

Ragionando diversamente, si esce dall’ambito della re-sponsabilita colposa per entrare in quello della responsa-bilita oggettiva.

In una prospettiva piu rispettosa dei principi di colpe-volezza e di ragionevolezza, si e deciso che il datore dilavoro o il responsabile della sicurezza hanno l’obbligo diconsegnare ai dipendenti macchinari e utensili provvistidi ogni opportuno, efficace dispositivo antinfortunisticoe devono percio apportare tutte le modifiche necessarieper il loro sicuro funzionamento; tuttavia il diretto e prin-cipale destinatario della regola che impone l’adozionedelle cautele e il costruttore, sicche non e imputabile allaresponsabilita del datore di lavoro un incidente verifica-tosi nonostante la perfetta corrispondenza del macchina-rio, come fornito dal costruttore, alle regole di preven-zione antinfortunistica secondo le prescrizioni di sicu-rezza delle norme comunitarie in materia (principio

affermato in relazione all’art. 77 D. P. R. n. 547 del 1955con riferimento ad un trapano a turbina al quale solodopo il verificarsi dell’incidente era stato aggiunto unmeccanismo a pedale come dispositivo di consenso per lasua messa in funzione)10).

Del resto, quanto al dovere di presenza costante deldatore di lavoro e dei soggetti a questi equiparati, la giu-risprudenza di legittimita ha applicato il principio se-condo il quale ad impossibilia nemo tenetur, «concretaesplicazione del principio generale di ragionevolezza e diesigibilita della prestazione. ... tale obbligo va inteso nelsenso che i soggetti tenuti debbono assicurare, piu che lapresenza fisica che non e in se necessariamente idonea agarantire la sicurezza dei lavoratori, la “gestione” oculatadei luoghi di lavoro mediante l’aver posto in essere tuttele misure imposte normativamente (informazione, forma-zione, attrezzature idonee e presidi di sicurezza), noncheogni altra misura idonea, per comune regola di prudenzae di diligenza, a garantire la sicurezza nei luoghi di lavo-ro»11).

Pare invece esatta l’asserzione presente nella pronunciain epigrafe secondo cui l’attivita posta in essere dal lavo-ratore, pur imprudente, deve ritenersi connessa e neces-sitata dall’esigenza produttiva specifica, con la conse-guenza che non si tratta di attivita abnorme, eccezionale eimprevedibile ai fini dell’interruzione del nesso causale.

Sul punto si e recentemente sottolineato che, siccomele norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tute-lare il lavoratore anche in ordine a incidenti i quali pos-sono derivare da sua negligenza, imprudenza o imperizia,la responsabilita del datore di lavoro e, in generale, deldestinatario dell’obbligo di adottare le misure di preven-zione puo essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo inpresenza di un comportamento del lavoratore che pre-senti i caratteri dell’eccezionalita, dell’abnormita, del-l’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alleprecise direttive organizzative ricevute, che sia del tuttoimprevedibile o inopinabile. «Peraltro, in ogni caso, nel-l’ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall’assenza oinidoneita delle misure di prevenzione, nessuna efficaciacausale, per escludere la responsabilita del datore di la-voro, puo essere attribuita al comportamento del lavora-tore infortunato, che abbia dato occasione all’evento,quando questo sia da ricondurre, comunque, alla man-canza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate,sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di sif-fatto comportamento»12).

Simone Ferrari

Cassazione penale, V Sezione, 9 novembre 2005(dep. 13 dicembre 2005), n. 2151 — Foscarini Pre-sidente — Vessichelli Relatore — Baglione P. M.(diff.). — Bernardi, ricorrente.

Abuso di ufficio — Falsita ideologica commessa dalpubblico ufficiale in atti pubblici — Rapporti —Sussidiarieta (C. p. artt. 323, 479).

7) Soprani, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, Milano,2001, 135.

8) Tacconi, Le responsabilita penali in materia di sicurezza sullavoro, Torino, 2003, 111.

9) Tacconi, Le responsabilita penali in materia di sicurezza sullavoro, cit., 112.

10) Cass., Sez. III, 14 marzo 1997, Barreri, in Cass. Pen., 1998,2463.

11) Cass., Sez. IV, 26 ottobre 2004, Storino, cit.12) Cass., Sez. IV, 14 gennaio 2005, Schifilliti, in Guida al Dir.,

2005, 24, 91; Id., Sez. IV, 3 novembre 2004, Volpi, ibid., 15, 100;App. Bologna, Sez. I, 13 gennaio 2004, ivi, 2004, 23, 97.

DIRITTO E PROCEDURA PENALE2150

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Atteso il carattere sussidiario e residuale del reato diabuso d’ufficio, quale desumibile dall’esplicita riserva, con-tenuta nell’art. 323 c. p., che «il fatto non costituisca unpiu grave reato», deve ritenersi che qualora la condottaaddebitata si esaurisca nella commissione di un fatto qua-lificabile come falso ideologico in atto pubblico, solo di talereato l’agente dovra rispondere, e non anche dell’abusod’ufficio, da considerare assorbito nell’altro, nulla rile-vando in contrario la diversita dei beni giuridici protettidalle due norme incriminatrici (nella specie l’imputato, inqualita di vigile urbano, aveva compilato in due distinteoccasioni altrettanti verbali di contravvenzione contenentiattestazioni ideologicamente false, cosı arrecando intenzio-nalmente ai contravvenuti — soggetti coinvolti in una litecivile con la propria consorte — un danno ingiusto consi-stente nell’intimazione di pagamento della relativa san-zione) (1).

Omissis. — Come piu volte affermato da una parte dellagiurisprudenza di questa Corte, atteso il carattere sussi-

diario e residuale del reato di abuso d’ufficio, quale desumibiledalla esplicita riserva, contenuta nell’art. 323 cod. pen., che «ilfatto non costituisca piu grave reato», deve ritenersi che qua-lora la condotta addebitata si esaurisca nella commissione di unfatto qualificabile come falso ideologico in atto pubblico, solodi tale reato l’agente debba rispondere, e non anche dell’abusod’ufficio, da considerare assorbito nell’altro, nulla rilevando incontrario la diversita dei beni giuridici protetti dalle due normeincriminatrici (Sez. 5a, 19 maggio 2004, Piccirillo, rv. 228681;Sez. 5a, 21 ottobre 1998, D’Asta, rv. 211928).

Ulteriori decisioni hanno valorizzato poi il carattere sussidia-rio della incriminazione ex art. 323 cod. pen. prima e dopo lariforma effettuata con L. 16 luglio 1997, n. 234, per escludere ilconcorso formale di tale reato con quello, piu grave, di turbataliberta degli incanti (Sez. 6a, 28 aprile 1999, Merlo, rv. 214121;Sez. 6a, 11 dicembre 2002, Galliteli, rv. 224679) o di interesseprivato del curatore fallimentare (L. Fall. art. 228) (Sez. 5a, 1febbraio 1984, Reale, rv. 163636).

Esiste invero un diverso orientamento, secondo cui il delittodi falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pub-blico e quello di abuso di ufficio offendono beni giuridici di-stinti; il primo, infatti, mira a garantire la genuinita degli attipubblici, il secondo tutela la imparzialita ed il buon andamentodella pubblica amministrazione. Pertanto, mentre tra gli stessipuo addirittura sussistere nesso teleologico (in quanto il falsopuo essere consumato per commettere il delitto di cui all’art.323 cod. pen.) la condotta dell’abuso di ufficio certamente nonsi esaurisce in quella del delitto di cui all’art. 479 cod. pen., necoincide con essa (Cass., Sez. 5a, 5 maggio 1999, Graci, rv.213777; Sez. 5a, 1 dicembre 2000, Palmegiani, rv. 215587; Sez.6a, 30 gennaio 2001, Pasino, n.m.; Sez. 6a, 3 aprile 2000, Pia-nese, n.m.).

Ritiene pero il collegio di aderire al primo indirizzo che ap-pare il piu conforme alla interpretazione letterale dell’art. 323cod. pen. e alla volonta del legislatore che lo concepı.

Sotto il secondo profilo e da rammentare lo scopo della pro-gressiva modifica dei reati contro la pubblica amministrazionee stato quello di contenere la proliferazione delle incrimina-zioni non basate su un consistente tasso di tipicita del fatto,attribuendo proprio alla fattispecie sussidiaria del reato diabuso di ufficio una configurazione legata a connotati di attua-lita e concretezza della condotta piuttosto che sbilanciata versoattivita atipiche e apprezzate essenzialmente in ragione deldolo specifico anziche, come e oggi, del dolo diretto o intenzio-nale.

Sotto il primo profilo si osserva, poi, che l’art. 323 cod. pen.,nella formulazione dovuta alla L. 16 luglio 1997 n. 234 (per quelche qui interessa analoga a quella dovuta alla L. 26 aprile 1990,n. 86), contiene la clausola di salvaguardia («Salvo che il fattonon costituisca piu grave reato...») alla quale, seguendo l’oppo-sto orientamento, si finirebbe per non dare alcuna efficacia, conuna interpretazione parzialmente abrogatrice del precetto.

In altri termini l’opposto orientamento compie una opera-zione interpretativa della clausola non condivisibile quando laritiene funzionale ad evitare la doppia incriminazione «soltan-to» nell’ambito dei fatti penalmente rilevanti posti in essere «ai

danni della pubblica amministrazione», ossia lesivi del mede-simo bene giuridico. Cosı facendo, infatti, finisce per attribuirealla clausola in esame un parametro che non le e proprio.

La clausola invero e espressiva come detto del criterio di sus-sidiarieta o consumazione e cioe della volonta del legislatore diritenere assorbita l’una previsione normativa (art. 323 cod.pen.) in quella piu grave di volta in volta ravvisabile, sul pre-supposto della mancanza di interesse ad una duplice punizioneper la omogeneita dei principali scopi perseguiti dai due pre-cetti.

Una risalente ma utile giurisprudenza ricorda che la consun-zione (o sussidiarieta) si ha quando per identita, se non del pre-ciso bene giuridico tutelato, degli scopi prevalenti perseguitidalle norme concorrenti, lo scopo della norma che prevede unreato minore sia chiaramente assorbito da quello relativo ad unreato piu grave, il quale esaurisca il significato antigiuridico delfatto, sicche appaia con evidenza inammissibile la duplicita ditutela e di sanzione in relazione al principio di proporzione trafatto illecito e pena che ispira il nostro ordinamento (Sez. 5a, 9marzo 1981, Fontana, rv. 148693).

Affermare che tale criterio opera soltanto in presenza di pre-cetti che tutelano il medesimo bene giuridico significa attribuireal criterio di sussidiarieta un limite che e stato ritenuto proprio,semmai, del diverso principio di specialita (v. Sez. un., 21 aprile1995, La Spina), criterio normativo generale di risoluzione delconcorso apparente fra norme, basato su parametri del tuttodifferenti e assai piu rigorosi tra i quali, appunto, la identitadelle situazioni di fatto regolate.

Il criterio di sussidiarieta, di elaborazione giurisprudenziale,non poggia necessariamente sul detto presupposto ed e anco-rato, a monte, ad una valutazione del legislatore riguardante lasingola ipotesi normativa, valutazione che e sottratta al sinda-cato dell’interprete, se non nella prospettiva di un ipoteticocontrasto con precetti di rango superiore. — Omissis.

(1) La sentenza che si annota e incentrata sui rap-porti fra l’abuso d’ufficio ed il falso ideologico in

atti pubblici.Sul punto, si registra un contrasto giurisprudenziale.Invero, secondo un primo e piu recente orientamento

interpretativo, atteso il carattere sussidiario e residualedel reato di abuso d’ufficio, quale desumibile dalla espli-cita riserva, contenuta nell’art. 323 c. p., che «il fatto noncostituisca piu grave reato», deve ritenersi che, qualora lacondotta addebitata si esaurisca nella commissione di unfatto qualificabile come falso ideologico in atto pubblico,solo di tale reato l’agente debba rispondere, e non anchedell’abuso d’ufficio, da considerare assorbito nell’altro,nulla rilevando in contrario la diversita dei beni giuridiciprotetti dalle due norme incriminatici1).

Va al riguardo ricordato che le clausole di riserva sonoproposizioni attributive d’un valore residuale alla normache le contiene, con frasi del tipo «se il fatto non e pre-visto come reato da altra disposizione di legge», «se ilfatto non costituisce un piu grave reato», «fuori dei casiindicati nel tale articolo», «fuori dei casi di concorso nelreato», «fuori dei casi del tal reato». Orbene, ciascuna diqueste clausole prevede che fra le norme concorrenti lascelta si concentri sulla norma indicata nella clausola,mentre la norma contenente la clausola trovera applica-zione solo quando non sussistono gli estremi per appli-care la norma indicata. Le clausole di riserva sono anchedenominate clausole di sussidiarieta espressa, perche lanorma che le contiene e sussidiaria rispetto ad un’altra, inquanto applicabile allorche non lo e l’altra, detta «sussi-diata». Le clausole di riserva vengono distinte in deter-minate (quando la norma sussidiata e individuata inmodo specifico: per es. «fuori dei casi indicati nel talearticolo»), relativamente indeterminate (quando lanorma sussidiata e individuata per categorie: per es. «se ilfatto non costituisce un piu grave reato») e assoluta-mente indeterminate (quando la norma sussidiata e indi-

1) Cass., Sez. V, 19 maggio 2004, Piccirillo, in C.E.D. Cass., 228681.

2151DIRITTO E PROCEDURA PENALE

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viduata con un rinvio privo di qualsivoglia indicazionespecifica: per es. «se il fatto non e previsto come reato daaltra disposizione di legge»)2).

Se cosı e, si puo agevolmente affermare che l’art. 323c. p. contiene una clausola di riserva relativamente inde-terminata.

In particolare, la legge n. 234 del 1997 ha circoscrittol’incriminazione al fatto del pubblico ufficiale che, in vio-lazione di norme di legge o di regolamento (il richiamo alquale e di dubbia costituzionalita: cfr. S. Vinciguerra,Non tutte le riforme sono migliorative: il nuovo art. 323c.p., in Giur. It., 1998, 1021), procura intenzionalmenteun vantaggio patrimoniale a se o ad altri (od un dannoingiusto), salvo che il fatto non costituisca un piu gravereato. Con l’avverbio «intenzionalmente», correlato alverbo «procura», la lettera della legge intende che la vo-lonta deve essere diretta proprio a cagionare l’evento. Laratio dell’incriminazione e pertanto circoscritta ad unaviolazione di norme da parte del pubblico ufficiale chenon sia gia punita con una sanzione piu grave, in quantostrumentale ad un evento patrimoniale penalmente ille-cito, escludendo cosı da censura l’attivita amministrativain quanto meramente affetta da vizi di legittimita. Per-tanto, nel limite in cui l’abuso si ritenga commesso con lacondotta di falso in atto pubblico che integra un reatopiu grave, vi e assorbimento e non concorso formale direati3).

La decisione che si annota aderisce a tale indirizzo, inquanto lo ritiene conforme all’interpretazione letteraledell’art. 323 c. p. ed alla volonta del legislatore.

In quest’ordine di idee, altre sentenze hanno eviden-ziato il carattere sussidiario del delitto di abuso d’ufficio,escludendo il concorso formale di tale reato con quello,piu grave, di turbata liberta degli incanti4).

Esiste poi un diverso orientamento secondo cui il reatodi abuso d’ufficio non e assorbito da quello di falso ideo-logico, perche la clausola di consunzione contenuta nellaparte iniziale dell’art. 323 c. p. vale non solo in quanto visia una completa riproduzione degli elementi costitutividel reato di abuso in quelli di un’altra fattispecie penalepiu grave, ma anche a condizione che il reato piu graveleda la sfera di interessi della p.a.5).

Piu in dettaglio, l’argomentazione e la seguente: «Il de-litto di falso ideologico commesso da pubblico ufficialein atto pubblico e quello di abuso di ufficio offendonobeni giuridici distinti; il primo, infatti, mira a garantire lagenuinita degli atti pubblici, il secondo tutela l’imparzia-lita ed il buon andamento della p.a. Pertanto, mentre tragli stessi ben puo sussistere nesso teleologico (in quanto ilfalso puo essere consumato per commettere il delitto dicui all’art. 323 c. p.) la condotta dell’abuso di ufficio cer-tamente non si esaurisce in quella del delitto di cui all’art.479 c. p., ne coincide con essa» (fattispecie in cui la falsaattestazione da parte del tecnico comunale in ordine allasussistenza dei presupposti legittimanti l’assunzione dilavori di somma urgenza, aveva reso possibile il conferi-mento dell’incarico a determinati soggetti privati, conloro vantaggio patrimoniale e con vantaggio non patri-

moniale per gli amministratori, consistente nell’allarga-mento del consenso elettorale)6).

L’assunto non convince, poiche le clausole di riservastanno a dimostrare che assorbimento si ha anche tranorme rubricate sotto oggettivita giuridiche eterogenee,diverse cioe per qualita e non solo per grado: cio sta asignificare che in tali casi la norma prevalente ha, inrealta, un’oggettivita giuridica complessa, comprensivaanche del bene tutelato dalla norma soccombente, e chele ipotesi criminose da essa contemplate hanno carattereplurioffensivo. Sicche il disvalore del reato assorbenteesaurisce anche il disvalore del reato assorbito7).

In realta non e neppure esatta l’affermazione della Cas-sazione secondo cui il delitto di falso ideologico com-messo da pubblico ufficiale in atto pubblico mira a ga-rantire la genuinita degli atti pubblici.

Come e noto, infatti, nell’ipotesi prevista dall’art. 479c. p. l’atto, che il pubblico ufficiale redige nell’esercizio diuna funzione certificatoria, e genuino ma non veridico,perche contiene dichiarazioni difformi dal vero. A diffe-renza delle ipotesi di falsita materiale, il pubblico ufficialeagisce in presenza delle condizioni che lo legittimano aun esercizio attuale del potere documentale; ma egli fa uncattivo uso di tale potere, nella misura in cui appuntocontravviene all’obbligo di attestare il vero8).

In dottrina, nel medesimo senso della sentenza che siannota v. Romano, I delitti contro la pubblica ammini-strazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Milano, 2002, 278.Contra, Fiandaca, Musco, Diritto penale, Parte spe-ciale, cit., 249, secondo i quali la fattispecie di cui al-l’art. 323 c. p. possiede un ruolo sussidiario rispetto afatti abusivi, che integrino nel contempo gli estremi di«piu gravi» delitti contro la pubblica amministrazione;di Martino, in Bondi, di Martino, Fornasari,Reati contro la pubblica amministrazione, Torino, 2004,262; Benussi, Il nuovo delitto di abuso di ufficio, Padova,1998, 192.

Introdotta in questi termini gia nell’art. 323 di cui allariforma del 1990 e conservata identica nella norma at-tuale, la clausola e diversa da quella dell’art. 323 origina-rio, che escludeva il delitto di abuso ogni volta che il fattofosse preveduto come reato da una (qualunque) «parti-colare disposizione di legge» (e infatti l’abuso era dettoallora «innominato»). Percio, a quel tempo l’abuso ve-niva addebitato all’agente solo se la sua condotta non rea-lizzasse comunque anche un altro delitto o contravven-zione; ora, invece, l’abuso «cede» non gia di fronte aqualsiasi reato, ma soltanto di fronte ad un reato sanzio-nato con una pena piu elevata9). A ben vedere, infatti, iproblemi del concorso tra l’abuso d’ufficio ed eventualialtri reati sono dominati tutti dalla clausola, contenutanell’art. 323 c. p., che il fatto non costituisca un piu gravereato10). In sostanza, l’interpretazione secondo cui laclausola in parola vale solo a condizione che il reato piugrave leda la sfera di interessi della p.a. non puo esserecondivisa, come mette in rilievo anche la sentenza anno-tata, secondo la quale tale orientamento sarebbe anchecontrario alla volonta del legislatore.

2) Vinciguerra, Diritto penale italiano, I, Padova, 1999,535.

3) Cass., Sez. V, 21 ottobre 1998, D’Asta, in C.E.D. Cass., 211928.4) Cass., Sez. VI, 11 dicembre 2002, Gallitelli, in C.E.D. Cass.,

224679: «Atteso il carattere sussidiario del reato di abuso di ufficio,deve escludersi il concorso con il reato piu grave di turbata libertadi incanti, soprattutto quando vi e assorbimento del primo nel se-condo a causa della coincidenza delle condotte»; Id., Sez. VI, 28aprile 1999, Merio, ivi, 214121.

5) Cass., Sez. VI, 30 gennaio 2001, Pasino, in Cass. Pen., 2002,1010.

6) Cass., Sez. V, 5 maggio 1999, Graci, in Cass. Pen., 2000, 2240;conf. Id., Sez. V, 1o febbraio 2000, Palmegiani, in C.E.D. Cass.,215587.

7) Mantovani, Diritto penale, Parte generale, 4a ed., Padova,2001, 493.

8) Sul punto, v. Fiandaca, Musco, Diritto penale, Parte speciale,I, 3a ed., Bologna, 2002, 581; Antolisei, Manuale di diritto penale,Parte speciale, II, 14a ed., Milano, 2003, 106.

9) Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., 276.10) Pagliaro, Principi di diritto penale, Parte speciale, I, 9a ed.,

Milano, 2000, 265.

DIRITTO E PROCEDURA PENALE2152

Page 4: Simone Ferrari, Nota sul rapporto fra abuso d’ufficio e falsità ideologica

Peraltro, puo accadere che per singoli fatti concreti siritenga applicabile la norma sull’abuso d’ufficio e nonquella sul falso ideologico: «Il reato di falsita ideologicain atti pubblici e configurabile anche con riguardo ad attidispositivi o negoziali della p.a. qualora questi, oltre acontenere una manifestazione di volonta, si riferisconoad una precisa situazione, della cui esistenza fanno indi-rettamente fede. Tale situazione e necessariamente pre-supposta quando il provvedimento non puo essere ema-nato senza la sua ricorrenza: l’atto stesso allora di per serigenera un affidamento su quest’ultima. Quando invecel’adozione del provvedimento risulta rimessa dalla leggead apprezzamento cosı discrezionale per cui non sonostate determinate preventivamente le situazioni che pos-sono causarlo, occorre che testualmente l’atto enunci ilpresupposto della sua emanazione onde fare pubblica-mente fede dell’esistenza di tale presupposto» (afferman-do siffatti principi la Corte di cassazione ha escluso laricorrenza del reato di falso ideologico in una deliberacomunale di variazione degli indici di fabbricabilita nellaquale non si attesta alcuna mendace situazione atta a suf-fragarla, non essendo d’altro canto lo stesso condizionatodalla legge alla ricorrenza di specifici determinati presup-posti; nella specie l’assenza di interessi pubblici atti a le-gittimare la variazione e stata ritenuta rilevante ai finidella ricorrenza del reato di abuso d’ufficio)11).

Simone Ferrari

Cassazione penale, V Sezione, 17 ottobre 2005 (dep.29 novembre 2005), n. 43338 — Lattanzi Presi-dente — Dubolino Relatore — Galati P. M. (parz.diff.). — P. M. in c. Rimi e altro, ricorrente.

Giudice di pace — Impugnazioni — Appello del pub-blico ministero — Sentenze di proscioglimento perreati puniti con pene alternative — Criterio di indi-viduazione di tali reati — Riferimento alle pene ap-plicabili dal giudice di pace — Necessita — Riflessisul diritto di impugnazione — Fattispecie in tema dilesioni personali volontarie (C. p. p. art. 576; D. Lgs.28 agosto 2000, n. 274, art. 36).

Ai fini della individuazione dei reati puniti con penaalternativa, avverso i quali, in caso di proscioglimento, puoproporre appello il pubblico ministero, ai sensi dell’art. 36,1o comma, seconda parte, D. Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, e,conseguentemente, ai sensi dell’art. 576 c. p. p., per i soliinteressi civili, anche la parte civile, occorre far riferimentonon alla pena originariamente prevista dalla norma incri-minatrice, ma a quella irrogabile dal giudice di pace. (Inapplicazione di tale principio, la Corte ha annullato con

rinvio la sentenza con la quale il tribunale aveva dichiaratoinammissibili gli atti di appello che la parte civile, per i soliinteressi civili, e il pubblico ministero avevano propostoavverso la sentenza con la quale il giudice di pace avevaprosciolto l’imputato dal reato di lesioni personali volonta-rie) (1).

Omissis. — ... che con sentenza del giudice di pace diAlcamo in data 19 febbraio 2004 venne dichiarato non

doversi procedere a carico di RIMI Giuseppe in ordine al reatodi lesioni volontarie in danno di Meo Giuseppe per difetto diquerela;

— che avverso detta sentenza proposero appello tanto la pro-cura della Repubblica in Trapani quanto la costituita parte ci-vile;

— che il tribunale di Trapani, sez. distaccata di Alcamo, in-vestito dei gravami, con sentenza del 24 settembre 2004, li di-chiaro entrambi inammissibili, convertendo, peraltro, quelloproposto dal pubblico ministero in ricorso per cassazione e di-sponendo quindi la trasmissione degli atti a questa Corte;

Diritto: — che la ritenuta inappellabilita della sentenza delgiudice di pace e stata fondata dal tribunale sull’osservazioneche l’art. 36, comma 1, del D.L.vo 28 agosto 2000 n. 274 limitala possibilita di appello del pubblico ministero avverso sentenzedi proscioglimento alla sola ipotesi che queste siano state pro-nunciate per reati puniti con pena alternativa, laddove il reatodi lesioni volontarie e punito soltanto con pena detentiva;

— che tale argomentazione non appare condivisibile, allaluce del principio gia affermato da questa Corte, ed al quale ilcollegio ritiene debbasi prestare adesione, secondo cui: «Ai finidella individuazione dei reati puniti con pena alternativa, av-verso i quali, in caso di proscioglimento, puo proporre appelloil P.M., ai sensi dell’art. 36, comma primo, seconda parte,D.Lgs. 28 agosto 2000 n. 274 e, conseguentemente, ai sensi del-l’art. 576 cod. proc. pen., per i soli interessi civili, anche la partecivile, occorre far riferimento non alla pena originariamenteprevista dalla norma incriminatrice ma a quella irrogabile dalgiudice di pace» (Cass. V, 24 gennaio-3 marzo 2005 n. 8321,P.C. in proc. Laudone, RV 230688, relativa anch’essa, al pari diquanto si verifica nel caso di specie, ad un addebito di lesionipersonali volontarie);

— che pertanto, dovendosi ritenere ammissibile l’appelloproposto dal pubblico ministero e, per l’effetto, ai sensi dell’art.576 c. p. p., anche quello proposto dalla parte civile, va annul-lata senza rinvio la sentenza del tribunale di Trapani, sezionedistaccata di Alcamo, e va disposta la restituzione degli atti almedesimo tribunale per la decisione sugli appelli di cui e statoinvestito. — Omissis.

(1) In tema di appellabilita delle sentenze diproscioglimento emesse dal giudice di pace

Il problema dell’appellabilita delle sentenze di proscio-glimento emesse dal giudice di pace continua ad esseresottoposto al vaglio della Corte di cassazione. La que-stione nasce dalla circostanza che l’art. 36, 1o comma,D. Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, nella versione originaria,attribuiva al pubblico ministero la facolta di proporre ap-pello contro le sentenze di condanna ad una pena diversada quella pecuniaria e contro le sentenze di prosciogli-mento relative a reati puniti con pena alternativa1). L’art.36, 1o comma, D. Lgs. n. 274/2000 costituiva attuazionedell’art. 17, lett. n), L. 24 novembre 1999, n. 468, ove si

11) Cass., Sez. VI, 22 ottobre 1996, Salvadori, in Cass. Pen., 1997,3016.

1) Pertanto, risultano inappellabili le sentenze di condanna apena pecuniaria e quelle di proscioglimento per reati puniti conla sola pena pecuniaria. Poiche l’art. 36, 1o comma, D. Lgs. n. 274/2000 non indica alcuna formula di proscioglimento, deve repu-tarsi appellabile anche la sentenza di non doversi procedere perparticolare tenuita del fatto di cui all’art. 34, 3o comma, D. Lgs.n. 274/2000, se riferentesi a un reato sanzionato con pena al-ternativa. Sul punto v. Relazione al D. Lgs. 28 agosto 2000 «Dispo-sizioni in materia di competenza penale del giudice di pace», in Dir.Giust., 2000, 31, 63-64; in dottrina cfr. M. Bargis, Impugnazioni,

in AA. VV., Il giudice di pace nella giurisdizione penale, a cura diG. Giostra e G. Illuminati, Torino 2001, 306; P. Canevelli, Impu-gnazioni ed esecuzione, in Dir. Pen. Proc., 2001, 2, 152; G. Fi-delbo, Giudice di pace (nel dir. proc. pen.), in Dig. Disc. Pen., IIAgg., Torino 2004, 303-304; F. Lazzarone, sub art. 36, in AA.VV., Giudice di pace e processo penale, dir. da M. Chiavario ed E.Marzaduri, Torino 2002, 361; V. Santoro, Doppio binario sulregime delle impugnazioni, in Guida al Dir., 2000, 38, 129; G.Spangher, Le impugnazioni, in AA. VV., Il giudice di pace. Unnuovo modello di giustizia penale, a cura di A. Scalfati, Padova2001, 375, secondo il quale «tra le decisioni inappellabili del pub-blico ministero va inquadrata anche la sentenza predibattimentaleex art. 469 c.p.p.».

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