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Simona Chiodo Visione o costruzione Nelson Goodman e la filosofia analitica contemporanea

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Simona Chiodo

Visione o costruzioneNelson Goodmane la filosofia analiticacontemporanea

Chiodo S.
Visione o costruzione
Queste pagine sono tratte da un volume pubblicato da LED Edizioni Universitarie. Cliccando su questo frontespizio si accede alla pagina web dedicata al volume.

I

SOMMARIO

Ringraziamenti

Introduzione

I Gnoseologia della costruzione1. Le «parole senza un mondo» (p. 13) – 2. La genesi dell’irrealismo delNovecento statunitense (p. 23)

II Sy’mbolon e diábolos1. Il meccanismo di astrazione (p. 37) – 2. Un simbolo assoluto (p. 45) –3. «L’ippopotamo», «Ulisse» e «Il cavaliere inesistente» (p. 56) – 4. ‘Cat-tiva informazione’ (p. 66)

III Verità superlativa1. «Oggetti teorici» e «fatti artificiali» (p. 71) – 2. L’espressione ontologi-ca della logica (p. 85) – 3. La verità necessaria (p. 90) – 4. «Relativismoradicale»? (p. 98)

IV Verità comparativa1. Il realismo gnoseologico (p. 105) – 2. Oggetto e oggetto epistemico (p.114) – 3. Il relativismo gnoseologico (p. 126) – 4. L’esercizio del limite(p. 131)

V Gnoseologia della visione1. Sintesi, analisi e metafisica: Kant di Vienna e Kant degli Stati Uniti (p.143) – 2. L’errore ideale della verità attuale (p. 165)

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6 SOMMARIO

Conclusione

Nota bibliografica

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7SOMMARIO

Questo studio è il risultato di numerose suggestioni intellettuali, cheprendono avvio dalla mia tesi di dottorato e che qui voglio ricordare.

Essenziale è stata la guida di Elio Franzini, che ha agito da exemplumdell’esercizio filosofico. Il mio grazie va anche a Gabriele Scaramuzza,che è per me, da un decennio, un quotidiano, sottile interlocutore.

A Fernanda Caizzi, Renato Pettoello e Carlo Sini, che ringrazio perl’attenta lettura di queste pagine, devo indicazioni di lavoro preziose.

Determinanti sono stati, inoltre, i soggiorni di studio presso l’Univer-sità di Harvard e i suggerimenti di Israel Scheffler.

Per il dialogo costante che ha seguito lo studio e la scrittura ringrazioChiara Cappelletto, Mauro Carbone, Fabio Del Prete, Giulio Giorello,Luciano Handjaras, Marcello La Matina, Sergio Levi, Maddalena Mazzo-cut-Mis, Carlo Montaleone, Stefano Moriggi, Gianfranco Mormino, An-drea Pinotti, Paolo Spinicci e Paolo Valore.

Infine, questa è per me un’occasione per ricordare, con gratitudineprofonda, colui al quale devo la mia passione per questo orizzonte di pen-siero e per Nelson Goodman in particolare: Franco Brioschi.

RINGRAZIAMENTI

La tradizione filosofica analitica statunitense ha origine da un incontroparticolare: gli autori dell’empirismo logico europeo che, negli Stati Unitidagli anni Trenta, lavorano accanto agli autori del pragmatismo. Gli uni egli altri condividono la tensione alla progressiva divisione dell’orizzontedella verità dall’orizzonte dell’esistenza: l’una ha meccanismi di articola-zione non vincolati all’altra.

La relazione tra verità ed esistenza è quel che la contemporaneitàcontinua a interrogare. Gli autori analitici statunitensi, a cominciare daQuine (che nel 1951 scrive Two dogmas of empiricism), Goodman (chenel 1947 scrive con Quine Steps toward a constructive nominalism) e Sel-lars (che nel 1956 scrive The myth of the given), danno radicalità all’ideache la verità non corrisponda a un meccanismo di convergenza tra l’oriz-zonte logico e l’orizzonte ontologico.

L’irrealismo di Goodman risponde con particolare originalità a unadomanda sul destino della verità in uno scenario gnoseologico che nonconserva aderenza tra verità ed esistenza. La soluzione è che l’orizzontelogico dice la verità dell’orizzonte ontologico che costruisce. L’irrealismosuggerisce una variazione radicale di sguardo: la gnoseologia non è episte-mica, ma è, per così dire, espressiva, perché l’esistenza non è l’oggetto ‘so-pra’ (epí) il quale ‘sta’ (histánai) l’esercizio della verità, ma è l’oggetto chel’esercizio della verità ‘preme’ (premere) ‘fuori da’ (ex) sé. Torna il crite-rio di convergenza tra verità ed esistenza dell’empirismo logico, ma conuna differenza essenziale: l’orizzonte logico dice la verità dell’orizzonteontologico che esprime – che ha autenticità di esistenza essendo costruitodall’articolazione logica della verità.

Passare da una verità epistemica a una verità espressiva significa pas-sare da un soggetto che agisce con un esercizio di visione a un soggetto

INTRODUZIONE

10 INTRODUZIONE

che agisce con un esercizio di costruzione. Se è la visione dell’oggetto afondare l’esercizio gnoseologico del soggetto, il soggetto dice la verità diun oggetto eterogeneo alla propria attività logica. Se è la costruzione del-l’oggetto a fondare l’esercizio gnoseologico del soggetto, il soggetto dicela verità di un oggetto omogeneo alla propria attività logica 1. Nell’uncaso, il risultato corrisponde a una verità comparativa, cioè relativa: la ve-rità è vincolata a una relazione autentica tra due alterità autentiche, dellequali l’orizzonte ontologico agisce sulla legalità dell’orizzonte logico, per-ché l’uno dà fondazione all’altro. Nell’altro, il risultato corrisponde a unaverità superlativa, cioè assoluta: la verità è vincolata a una relazione nonautentica tra due alterità non autentiche, delle quali l’orizzonte ontologi-co non agisce sulla legalità dell’orizzonte logico, perché l’uno non dà fon-dazione all’altro.

L’irrealismo suggerisce che la qualità gnoseologica dei meccanismidiscorsivi artistici sia analoga alla qualità gnoseologica dei meccanismi di-scorsivi scientifici: ciascun discorso con coerenza logica ha valore gnoseo-logico, perché dice la verità dell’esistenza che costruisce, senza conserva-re un’eccedenza tra orizzonte logico e orizzonte ontologico. Le arti nonalludono all’esistenza, ma dicono con saturazione la verità dell’esistenzache costruiscono. L’artista agisce analogamente allo scienziato: l’uno el’altro dicono la verità di oggetti espressi.

È il simbolo il meccanismo gnoseologico radicale sia nelle arti sia nel-le scienze. Il simbolo di una gnoseologia espressiva non unisce alterità ete-rogenee, l’una ‘stando sopra’ l’altra, ma unisce alterità omogenee, l’una‘premendo fuori da’ sé l’altra: un simbolo espressivo dice la verità a pro-posito della propria forma ontologica. E il funzionamento del simbolo èessenziale per analizzare i risultati di un progetto gnoseologico che co-mincia argomentando: «Possiamo avere parole senza un mondo ma nonmondi senza parole» 2. È il simbolo che unisce alterità omogenee a darevisibilità a quel che accade alla relazione non più autentica tra verità edesistenza: in occasione della propria estensione ontologica, la verità dicedell’identità di sé e non dell’identità di altro da sé.

La radicalità dell’irrealismo di Goodman sollecita, tra gli autori dellacontemporaneità statunitense, un variegato dibattito sull’idea di verità inuno scenario gnoseologico che non conserva una relazione di aderenzatra verità ed esistenza. Con Goodman dialogano Carnap (che di Good-

1 Nella tradizione filosofica analitica la nozione di soggetto allude all’esercizio gno-seologico che corrisponde alle «operazioni intellettuali» e, con Goodman, «alle nostrepercezioni, azioni, arti e scienze» registrate dal linguaggio (N. Goodman, I linguaggidell’arte, trad. it. di F. Brioschi, Milano, Il Saggiatore, 1976, pp. 3 e 223).

2 Id., Vedere e costruire il mondo, trad. it. di C. Marletti, Roma - Bari, Laterza,1988, p. 7.

11INTRODUZIONE

man legge A study of qualities, la dissertazione scritta nel 1941) e Quine(che con Goodman lavora a Emerson Hall, il Dipartimento di Filosofiadell’Università di Harvard), ma anche i più giovani Putnam e Davidson,talvolta concentrati su una gnoseologia che è ancora un progetto episte-mico (Putnam), talvolta concentrati su una gnoseologia che non è più unprogetto epistemico (Davidson). È condivisa la volontà di rispondere alquesito che domanda se ancora ci sia e quale sia la relazione tra l’orizzon-te logico e l’orizzonte ontologico, costellando la tradizione filosofica ana-litica statunitense di una varietà di soluzioni che sono un’occasione privi-legiata di ricostruzione dei cardini storici e teorici dello scenario che haorigine dall’incontro tra empirismo logico e pragmatismo. E la tradizioneeuropea dell’empirismo logico, tra l’altro, rinnova negli Stati Uniti unconfronto con la gnoseologia di Kant, al quale tornano alcune tra le os-servazioni degli autori statunitensi che interrogano il destino dell’episté-me nella gnoseologia contemporanea.

Chiodo S.
Visione o costruzione
SEGUE

1. IL MECCANISMO DI ASTRAZIONE

Accordare alle arti un valore gnoseologico analogo alle scienze è suggeri-re che le arti funzionino da simboli. In Languages of art Goodman osser-va: «Per quanto in questo libro siano affrontati alcuni problemi che ri-guardano l’arte, l’orizzonte in cui esso si muove non coincide strettamen-te con quello che di solito si considera il campo dell’estetica. […] Lo sco-po è quello di impostare una teoria generale dei simboli» 1. Con «simbo-lo» Goodman allude a un meccanismo «affatto generale e neutro», checomprende «lettere, parole, testi, quadri, diagrammi, mappe, modelli, ecosì via» 2. Ma il meccanismo «affatto generale» conserva una specificitàcostante:

L’uso dei simboli al di fuori del bisogno immediato ha come fine lacomprensione […]. Lo scopo primario è la cognizione, e l’utilità co-municativa dipende interamente da esso. La simbolizzazione, dunque,va giudicata fondamentalmente dal fatto che serva più o meno beneallo scopo cognitivo: dalla sottigliezza delle sue discriminazioni e dallaappropriatezza delle sue allusioni; dal modo come opera nell’afferrare,esplorare e informare il mondo; da come analizza, classifica, ordina eorganizza, da come concorre alla formazione, manipolazione, conser-vazione e trasformazione della conoscenza. Le considerazioni sullasemplicità e sulla sottigliezza, sul potere e sulla precisione, sulla portatae sulla selettività, sulla familiarità e sulla novità, sono tutte rilevanti e

II

SY’MBOLON E DIÁBOLOS

1 N. Goodman, I linguaggi dell’arte, trad. it. di F. Brioschi, Milano, Il Saggiatore,1976, p. 3. Corsivo mio.

2 Ibidem.

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spesso si trovano in reciproca concorrenza; il loro peso è relativo ai no-stri interessi, alla nostra informazione, e alla nostra ricerca. 3

«Nell’esperienza estetica le emozioni funzionano cognitivamente» 4 perchéle arti funzionano attraverso un meccanismo simbolico esercitato affer-rando, esplorando e informando del mondo. Interrogare il valore gnoseo-logico delle arti costringe ad analizzare l’esercizio simbolico degli oggettid’arte.

Goodman lavora all’idea di un simbolo con capacità gnoseologica at-traverso due vie 5: l’una arriva da Peirce e Morris 6, l’altra dalle osservazio-ni di Langer a proposito di Cassirer 7. L’una è quella del pragmatismostatunitense, che dirige l’indagine ontologica a un’analisi del segno. Conil pragmatismo, lo studio dei segni surroga l’ontologia: identificare unmeccanismo segnico è surrogare un’interrogazione a proposito della qua-lità ontologica di un oggetto. L’altra è quella dell’analisi trascendentaledell’attività espressiva dell’uomo. Filosofia delle forme simboliche di Cas-sirer argomenta che l’uomo è un animal symbolicum che dà espressionealla propria attività spirituale attraverso il mito, il linguaggio, le scienze ele arti, diretto con progressività a una distanza dal mondo con la quale,per via di un meccanismo simbolico, acquisisce una facoltà gnoseologicache fa «percorrere una via nuova, la via della […] vita teoretica o riflessi-va, la quale gradatamente e senza interruzioni […] conduce ad una nuo-va concezione del mondo oggettivo» 8. Langer, che legge attentamente

3 Ivi, p. 217.4 Ivi, pp. 208-209.5 Che è Goodman a riconoscere: «Non ignoro affatto i contributi che filosofi come

Cassirer, Peirce, Morris e la Langer hanno dato alla teoria dei simboli» (ivi, p. 4).6 Cfr., in particolare, C.S. Peirce, The essential writings, Amherst, Prometheus

Books, 1998 e C.W. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni, a cura di F. Rossi-Lan-di, Torino, Paravia, 1963.

7 Il riferimento è, in particolare, a E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche(1923-29), trad. it. di E. Arnaud, Firenze, La Nuova Italia, 1988. Cfr., inoltre, Id., Sim-bolo, mito e cultura, a cura di D.P. Verene, trad. it. di G. Ferrara, Roma - Bari, Laterza,1985. Cassirer migrò negli Stati Uniti nel 1941.

8 Ivi, p. 176. Ma nelle arti «non concettualizziamo il mondo, bensì lo percettualiz-ziamo» (ivi, p. 189), perché «l’arte e l’artista […] non vivono in un mondo di concetti,e neppure in un mondo di percezioni sensoriali, ma hanno un regno loro proprio […].È un mondo non di concetti ma di intuizioni; non di esperienza sensoriale, ma di con-templazione» (ivi p. 190). Cassirer riconosce alle arti un’articolazione simbolica, mariconosce ad altro orizzonte la capacità di dare un’oggettivazione dell’esperienza delmondo: alla simbolizzazione scientifica, che eredita dal mito un’interpretazione dell’u-niverso non teoretica o causale ma fisiognomica e dalle arti un’oggettivazione intuitivae immediata. E che assolve, infine, il proprio destino di comprensione logica del mon-do: «L’uomo sviluppa una serie di linguaggi scientifici in cui ciascun termine viene de-finito in maniera chiara e univoca, ed in cui diviene possibile descrivere le relazioni

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Cassirer, conclude, analogamente, che «nessun simbolo è esente dall’uffi-cio della formulazione logica, della concettualizzazione che veicola: perquanto semplice, o per quanto grande, sia il suo messaggio, esso è un si-gnificato, e quindi un elemento di intellezione» 9.

Un simbolo unisce, per tradizione etimologica 10. Unendo, costringeall’idea che ci siano almeno due alterità anteriori a sé: un oggetto e unaparola, ad esempio. Goodman dice che il simbolo è un meccanismo cheallude a qualcosa 11. E Langer parla della capacità di relazione per argo-mentare il valore gnoseologico del simbolo 12. A proposito di un’esecuzio-ne musicale (di un oggetto d’arte, cioè di un simbolo), Langer domandase occorre che un musicista, per commuovere il proprio uditorio, siacommosso o se, al contrario, occorre che non lo sia 13: l’esecuzione musi-cale è espressione di uno stato proprio o è un meccanismo di rinvio ad al-tro da sé? Langer conclude che l’esecuzione musicale allude a un’espres-sività logica, contro una teoria autoespressiva: «i nostri contrappunti emanipolazioni armoniche non hanno nulla dell’abbandono espressivo diun ‘Ki-yi’ o di un ‘How-how’ indiano, del primitivo lamento funebre ne-niante, delle selvagge grida sincopate delle tribù africane» 14. Un’esecu-

IL MECCANISMO DI ASTRAZIONE

oggettive delle idee e la concatenazione delle cose. Egli procede dai simboli verbali im-piegati nel linguaggio ordinario ai simboli dell’aritmetica, della geometria, dell’algebra,a quei simboli che troviamo nelle formule chimiche. Si tratta di un passo decisivo nelprocesso di oggettivazione» (ivi, pp. 188-189).

9 S.K. Langer, Filosofia in una nuova chiave. Linguaggio, mito, rito e arte, trad. it. diG. Pettinati, Roma, Armando, 1972, p. 134. Con un esempio dall’orizzonte delle arti:«se la musica ha qualche significatività, questa è semantica, non sintomatica: si tratta diun ‘significato’ non tale da funger da stimolo per evocare emozioni, né da segnale che loannunzi; se la musica ha un contenuto emotivo, lo ‘ha’ nello stesso senso che il linguag-gio ‘ha’ il suo contenuto concettuale; cioè, simbolicamente» (ivi, p. 281).

10 Derivando dal prefisso greco sy’n (‘insieme’) unito al verbo bállein (‘gettare’):symbállein.

11 Goodman, I linguaggi dell’arte cit., p. 217: «La simbolizzazione […] va giudicata[…] dalla sottigliezza delle sue discriminazioni e dalla appropriatezza delle sue allusio-ni».

12 Cfr., ad esempio, Langer, Filosofia in una nuova chiave cit., pp. 134-135: «Nessunsimbolo è esente dall’ufficio della formulazione logica, della concettualizzazione che vei-cola: per quanto semplice, o per quanto grande, sia il suo messaggio, esso è un significa-to, e quindi un elemento di intellezione. Tale riflessione invita a riprendere in esame econ aspettative del tutto diverse, l’intero problema dei limiti della ragione, la molto di-scussa vita del sentimento e il grande argomento controverso della attualità e verità, co-noscenza e saggezza, scienza e arte». Ancora: «La razionalità è l’essenza della mente e latrasformazione simbolica è il suo processo elementare; perciò è un errore fondamentalericonoscersi solo nel fenomeno del ragionamento sistematico» (ivi, p. 136).

13 È, nell’un caso, la posizione di Bach e, nell’altro, la posizione di Busoni a propo-sito della relazione tra lo stato emotivo dell’artista e l’effetto sull’uditorio. Cfr. ivi, p.287.

14 Ivi, p. 279.

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zione musicale non è autoespressione: non è un’occasione di estrinseca-zione di sé. In particolare, un’esecuzione musicale non corrisponde a unacondizione di emotività che, incontrando un’occasione di forma, dia a séespressione: non è l’espressione di un’emozione che sia, per così dire,estroflessa. «La pura autoespressione non richiede forma artistica»15.Che un risultato autoespressivo non sia arte suggerisce sia che non è unsimbolo sia qual è la qualità essenziale di un’espressione che è un simbo-lo: c’è un simbolo se c’è un meccanismo articolato tra alterità – c’è unsimbolo se un’alterità è unita (symbállein) a un’altra.

Di Wagner Langer ricorda la celebre chiosa: «Ciò che la musicaesprime è eterno, infinito e ideale; non esprime la passione, l’amore o ildesiderio del tale o del tal altro, in questa o quella occasione, ma la pas-sione, l’amore o il desiderio in sé» 16. Un’esecuzione musicale esprime nonuna «passione» ma la «passione». C’è, ancora, unione tra alterità: con la«passione», accade che in una «passione» agisca un meccanismo di astra-zione, che, astraendo un particolare dalla «passione» singolare, al partico-lare dà una qualità universale, passando da una «passione» alla «passio-ne», che unisce il particolare dell’una alla qualità di ciascuna «passione»singolare. L’espressione di sé è simbolo, cioè arte, se è data attraverso unadistanza allungata tra una «passione» (propria) e la «passione» (espres-sa). C’è arte se c’è la «passione», c’è «catarsi emotiva» 17, al contrario econ Langer, se c’è una «passione». La distinzione sta nel meccanismo diastrazione, per via del quale ‘da’ (ab) un oggetto è ‘tratto’ (travhere) qual-cosa, dell’oggetto, che dall’oggetto, infine, sia altro. Hanslick, citato daLanger, ricorre a un’idea analoga 18: la musica è espressione di sé autosi-gnificando sé e continuando, tuttavia, a significare, alludendo ad altro dasé con il ricorso a un meccanismo simbolico che stabilisce la distanza ne-cessaria a fare dell’esecuzione musicale non una strategia di estrinsecazio-ne di sé, ma una strategia di elaborazione di sé. La distinzione tra una di-namica di estrinsecazione e una dinamica di elaborazione sta, ancora, nelmeccanismo di astrazione, che, etimologicamente, indica la distanza tra sée qualcosa di sé, alludendo all’idea di «separare mentalmente nell’oggettodato qualche proprietà particolare per considerarla separatamente»19. Larelazione tra l’«oggetto dato» e «qualche proprietà particolare» dell’«og-getto dato» è il risultato di un meccanismo di astrazione: astrarre è separa-re, separare è distinguere alterità, distinguere alterità è dare condicio di re-

15 Ibidem.16 Ivi, pp. 285-286.17 Ivi, p. 279. Cioè, «le leggi della catarsi emotiva son leggi naturali, non artistiche»

(ibidem).18 Cfr., in particolare, ivi, p. 303.19 Questa la definizione da vocabolario.

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lazione (una relazione che, con Hanslick, è articolata tra sé e qualcosa disé). L’esecuzione musicale che è simbolo agisce dicendo qualcosa a pro-posito di sé: non estrinseca sé, ma, con astrazione, elabora sé – e non dicequalcosa a proposito di un oggetto che sia, anteriormente all’esecuzionemusicale, altro da sé.

Il lavoro di Langer, che del simbolo e delle arti argomenta la capacitàdi significazione, cioè di astrazione, disegna una parabola che assottiglia,tuttavia, la capacità gnoseologica del simbolo artistico, dallo studio Philo-sophy in a new key del 1942 a Feeling and form del 1953 e a Problems ofart del 1957. Nel quale domanda: «A quale scopo serve l’opera d’arte – ladanza, l’immagine dinamica virtuale? Per esprimere le idee di immediata,sentita vita emotiva che sono proprie del suo creatore. Per esprimere di-rettamente che cosa è il sentimento» 20. E conclude: «Le forme del senti-mento e le forme dell’espressione discorsiva sono logicamente incom-mensurabili» 21. La divaricazione è data dall’immediatezza che caratteriz-za l’«opera d’arte», separando le strategie di simbolizzazione artistica dal-le strategie di simbolizzazione «discorsiva». Problems of art sigilla unasensibile riduzione della capacità di astrazione accordata al simbolo arti-stico in Philosophy in a new key, compromettendo il valore gnoseologicodell’oggetto d’arte: «esprimere direttamente» non dà legalità a una rela-zione che unisce l’«oggetto dato» a «qualche proprietà particolare» del-l’«oggetto dato». L’immediatezza riconosciuta all’«opera d’arte» torna al-l’estrinsecazione di sé, sospendendo l’elaborazione di sé: l’«opera d’arte»di Problems of art riduce, con la propria capacità di astrazione, il propriovalore gnoseologico.

Ma la riduzione alla quale Langer destina la capacità gnoseologicadel simbolo artistico indica qual è il meccanismo compromesso: c’è in-commensurabilità tra un’articolazione simbolica artistica e un’articolazio-ne simbolica scientifica se c’è difetto di astrazione – se c’è, cioè, difetto direlazione. Il simbolo sottintende una dinamica di astrazione che separadall’«oggetto dato» «qualche proprietà particolare» dell’«oggetto dato»,generando alterità. Con Problems of art Langer conclude, contro il sim-bolo artistico, che c’è un autentico esercizio gnoseologico se c’è una di-stanza sufficiente, non accordata dal simbolo artistico, tra due alterità ri-gorosamente distinte. Ancora, per consentire un meccanismo gnoseologi-co occorre «separare» «nell’oggetto dato qualche proprietà particolare»:occorre una distinzione per dare, infine, un’unione (sy’mbolon) che siauna relazione autentica.

IL MECCANISMO DI ASTRAZIONE

20 S.K. Langer, Problemi dell’arte. Dieci conferenze filosofiche, trad. it. di M. Attar-do Magrini, Milano, Il Saggiatore, 1962, p. 20.

21 Ivi, p. 96.

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E, ancora, un meccanismo gnoseologico è vincolato a una tensionediretta all’universale, superando il particolare: «separare» «nell’oggettodato qualche proprietà particolare per considerarla separatamente» èorientare «qualche proprietà particolare» dalla particolarità all’universali-tà, considerando la «proprietà particolare» in sé e non in un contesto sin-golare. La migrazione dalla particolarità all’universalità va da un articoloindeterminativo (una «passione») a un articolo determinativo (la «passio-ne»: la «passione» «in sé», con Wagner). Il simbolo, che esercita un mec-canismo di astrazione, allude all’universale, non al particolare. E un og-getto d’arte, agendo da simbolo, non dice di un particolare.

Ma l’«opera d’arte» di Langer è, infine, «immediata», riducendo pro-gressivamente la distanza tra l’«oggetto dato» e «qualche proprietà parti-colare» dell’«oggetto dato». Langer conclude, analogamente a Cassirer22,che l’«opera d’arte» esercita un meccanismo simbolico che non distinguecon sufficienza un’alterità dall’altra, non essendo conservata una distanzasufficiente tra un’alterità e l’altra. Il simbolo artistico è, con Cassirer econ Langer, altro dal simbolo scientifico, perché non è articolata con suf-ficienza la distanza (la distinzione) tra le alterità che attraverso il simbolosono unite l’una all’altra (symbállein).

Goodman eredita suggestioni a proposito della capacità gnoseologicadel simbolo da una seconda tradizione: il pragmatismo, che, da Peirce eda James, continua con Art as experience di Dewey 23, distingue tra lin-guaggi artistici e linguaggi discorsivi, osservando, dei linguaggi artistici, lamancata attitudine ad agire autenticamente da simboli, essendo costruitisenza conservare una distanza sufficiente dagli oggetti ai quali alludono(«lo scienziato opera con simboli, parole e segni matematici. L’artista

22 Cassirer osserva in Simbolo, mito e cultura cit., p. 175: «La mia tesi è che l’interoprocesso che possiamo descrivere con le parole ragione, appercezione o riflessione, im-plica l’impiego costante di simboli, simboli mitici o religiosi, simboli verbali, artistici,scientifici». Ma la distinzione tra simbolo artistico e simbolo scientifico è chiara: «L’uo-mo sviluppa una serie di linguaggi scientifici in cui ciascun termine viene definito inmaniera chiara ed inequivoca, ed in cui diviene possibile descrivere le relazioni oggetti-ve delle idee e la concatenazione delle cose. Egli procede dai simboli verbali impiegatinel linguaggio ordinario ai simboli dell’aritmetica, della geometria, dell’algebra, a queisimboli che troviamo nelle formule chimiche. Si tratta di un passo decisivo nel processodi oggettivazione» (ivi, pp. 188-189). Al contrario: «In arte non concettualizziamo ilmondo, bensì lo percettualizziamo» (ivi, p. 189), «l’arte e l’artista hanno da risolvere unproblema completamente diverso. Essi non vivono in un mondo di concetti, e neppurein un mondo di percezioni sensoriali, ma hanno un regno loro proprio. […] È un mon-do non di concetti, ma di intuizioni; non di esperienza sensoriale, ma di contemplazio-ne» (ivi, p. 190).

23 Cfr. J. Dewey, L’arte come esperienza, presentazione di C. Maltese, Firenze, LaNuova Italia, 1951.

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pensa con la qualità dei mezzi stessi con i quali lavora, e i termini stannocosì vicini all’oggetto che egli produce da confondersi con esso»24). Learti non costruiscono simboli, perché del simbolo non c’è la condicio sinequa non: il meccanismo di astrazione, cioè di distinzione di alterità daunire. Accade, ad avviso di Dewey, che l’artista pensa «con la qualità deimezzi stessi con i quali lavora»: lavorando con la materia emotiva, la ma-teria emotiva contamina il meccanismo di funzionamento dell’oggettod’arte. All’arte corrisponde non una materia emotiva, ma un’articolazioneoperativa emotiva: l’emozione «seleziona il materiale e ne dirige l’ordinee la disposizione. Ma non è ciò che viene espresso» 25. Diversamente acca-de con Goodman: «nell’esperienza estetica le emozioni funzionano cogni-tivamente» 26. Quale sia la materia alla quale allude un oggetto d’arte è ir-rilevante per la determinazione della qualità gnoseologica con la qualeagisce. È essenziale, al contrario, che il meccanismo di funzionamento diun oggetto d’arte non sia emotivo, ma logico – separando, con astrazione,alterità da unire. Goodman conserva una distinzione tra la materia allaquale pensiamo e il meccanismo attraverso il quale pensiamo (tra «whatwe think of» e «what we think in» 27).

Goodman eredita dalla tradizione del pragmatismo l’idea che i mec-canismi attraverso i quali pensiamo e attraverso i quali documentiamo diaver pensato agiscano per via di un criterio convenzionalistico: un sogget-to diretto con esercizio gnoseologico a un oggetto non ricorre a meccani-smi linguistici che traducono l’oggetto con congruenza, ma stabilisce, trail meccanismo linguistico e l’oggetto, un vincolo arbitrario. Goodman de-finisce il simbolo un particolare meccanismo linguistico che, con allusio-ne arbitraria, agisce conservando una capacità gnoseologica attraverso ladistanza tra le alterità che unisce. Il simbolo è un’operazione di unioneche sottintende una dinamica di astrazione e che unisce, infine, per via diun criterio convenzionalistico. Non c’è, tra il simbolo e l’oggetto al qualeil simbolo allude, alcuna relazione di corrispondenza costretta dalla qua-lità dell’oggetto. I meccanismi linguistici che alludono a un oggetto sonoarbitrariamente costruiti: quel che dicono a proposito di un oggetto nonsottintende la capacità del simbolo di tradurre la qualità dell’oggetto. Èsufficiente, affinché ci sia un simbolo, che il meccanismo linguistico dicostruzione del simbolo assolva criteri di coerenza arbitraria, che è una

IL MECCANISMO DI ASTRAZIONE

24 Ivi, p. 22.25 Ivi, p. 84.26 Goodman, I linguaggi dell’arte cit., pp. 208-209.27 Cfr., ad esempio, Id., Of mind and other matters, Cambridge (Mass.), Harvard

University Press, 1984, p. 27: «Il cavolo al quale pensiamo non è composto di lettere,mentre la parola ‘cavolo’ attraverso la quale pensiamo non ha alcun odore».

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coerenza tra la qualità linguistica del simbolo e i criteri che, del simbolo,stabiliscono lo stile di costruzione.

E c’è simbolo se c’è condicio sine qua non di unione (di relazione),cioè se c’è una dinamica di distinzione tra alterità che conservano distan-za l’una dall’altra. L’idea di alterità di Goodman registra un meccanismosui generis analogo all’idea di alterità di uno scenario idealistico: l’alteritàche è data dall’astrazione, cioè dal «separare» «nell’oggetto dato qualcheproprietà particolare per considerarla separatamente», è la «proprietàparticolare» dell’«oggetto dato». L’alterità di Goodman ha genesi dal-l’«oggetto dato», essendo omologa all’«oggetto dato». Goodman costrui-sce un simbolo vincolato a non altro che al requisito essenziale di costru-zione di un simbolo: il simbolo di Goodman è il risultato di un meccani-smo di astrazione (di distinzione), in un «oggetto», di una «proprietà par-ticolare» dell’«oggetto» dall’«oggetto». L’alterità data è omologa all’altra,essendo data dall’altra attraverso un «separare» e, infine, un «conside-rar[e] separatamente». Goodman, alludendo a un’alterità, non allude adalcunché che sia altro da quel che, per via di un’unione simbolica, incon-tra. Al contrario, il simbolo di Goodman unisce alterità delle quali l’una èarticolata dall’altra. Goodman apre e chiude un simbolo attraverso unmeccanismo di astrazione: il simbolo è quel che unisce un «oggetto» auna «proprietà particolare» dell’«oggetto» – dall’«oggetto» distinta, madell’«oggetto» propria.

Di uno scenario idealistico Goodman conserva l’idea che il funziona-mento del simbolo suggerisce che esiste, tra un’alterità e l’altra, identità:un simbolo unisce un «oggetto» a una «proprietà particolare» dell’«og-getto». Ma di uno scenario idealistico Goodman non conserva l’idea chela dinamica di relazione tra un’alterità e l’altra è diretta, con progressivitàlogica, da un’idea di alterità a un’idea di identità: l’identità tra l’una alte-rità e l’altra non è conclusa, ma è data. L’identità non è un risultato, mauna condicio sine qua non: il simbolo di Goodman non conclude, ma do-manda, che l’una alterità sia articolata dall’altra. Il simbolo non dice chel’‘altro’ è l’‘io’, ma dice che, essendo l’‘altro’ l’‘io’, con l’‘altro’ è visibilel’identità dell’‘io’: con una «proprietà particolare» dell’«oggetto» è visibi-le l’«oggetto» (con un’estensione dell’‘io’ è visibile l’identità dell’‘io’).L’«irrealismo» di Goodman allude a un esercizio gnoseologico che ha lacapacità di dire di sé attraverso altro da sé, sottintendendo (e non conclu-dendo) che l’altro da sé sia un’estensione di sé.

Diversamente da coloro dai quali eredita l’idea di un simbolo che agi-sce da meccanismo gnoseologico, Goodman conserva la distanza tral’una e l’altra alterità: un simbolo costringe a sottintendere un meccani-smo di astrazione, conservato sia nelle scienze sia nelle arti. C’è distinzio-ne tra un meccanismo di simbolizzazione scientifica e un meccanismo di

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simbolizzazione artistica («le arti e le scienze operano – inventando, ap-plicando, interpretando, trasformando, manipolando – con sistemi sim-bolici che […] si differenziano in certi modi specifici» 28), ma l’analogiasuggerisce che sono, l’uno e l’altro, esercizi gnoseologici autentici: conGoodman, un oggetto d’arte, agendo da simbolo, documenta, di sé, la ca-pacità di dire il vero.

2. UN SIMBOLO ASSOLUTO

Ad avviso di Goodman, un simbolo denota o esemplifica. Se denota, agi-sce da predicato, descrivendo 29 l’oggetto al quale allude. Se esemplifica,sottintende un possesso figurato, letteralmente o metaforicamente. E, seesemplifica metaforicamente, esprime. «Il dipinto Arrangement in blackand grey denota la madre di Whistler, mentre esemplifica una tavolozzadi ombre di grigio» 30. Arrangement in black and grey denota una donnaed esemplifica letteralmente un colore. Ma l’esemplificazione è sia lette-rale sia metaforica:

Sulla facciata di San Miniato al Monte poco fuori Firenze, RudolphArnheim scrive che essa ‘esprime la proprietà di essere un oggetto in sécircoscritto che si regge […] sul suolo; ma simboleggia anche la lottadella mente dell’uomo per conservare la propria integrità contro l’in-tromissione di forze esterne’. Nel mio vocabolario la facciata esemplifi-ca la prima (letterale) proprietà ed esprime la seconda (metaforica) pro-prietà. 31

UN SIMBOLO ASSOLUTO

28 Id., I linguaggi dell’arte cit., p. 222. Con più precisione: «Con questo non inten-diamo obliterare la distinzione fra arte e scienza. Le dichiarazioni di unità indissolubile– fra le scienze, fra le arti, fra le arti e le scienze insieme, o in seno all’umanità – tendonocomunque a orientare l’attenzione sulle differenze. Quanto vengo sottolineando è chequi le affinità sono più profonde, e la differentia significativa è diversa, di quanto spessosi suppone. La differenza fra arte e scienza non è quella fra sentimento e fatto, intuizio-ne e inferenza, diletto e deliberazione, concretezza e astrazione, passione e azione, me-diatezza e immediatezza o verità e bellezza, ma semmai una differenza nel predominiodi certe caratteristiche specifiche dei simboli» (ibidem).

29 Goodman ricorre sia ai termini «descrizione» («description») e «descrivere»(«describe») sia ai termini «rappresentazione» («representation») e «rappresentare»(«represent»). Cfr., ad esempio, ivi, pp. 25-26. In questo lavoro il ricorso è al primo ter-mine, «descrizione» (e «descrivere»).

30 C.Z. Elgin, Introduction, in The philosophy of Nelson Goodman, vol. III: NelsonGoodman’s philosophy of art, New York, Garland, 1997, p. XIV. Il riferimento è al ce-lebre dipinto di James Abbot McNeil Whistler Arrangement in black and grey. The ar-tist’s mother (1871), conosciuto anche con il nome Whistler’s mother. Il dipinto (olio sutela, 144.3 cm × 162.5 cm) è conservato al Louvre.

31 N. Goodman - C.Z. Elgin, Reconceptions in philosophy and other arts and scien-

46 SY ’ MBOLON E DIÁBOLOS

San Miniato al Monte esemplifica letteralmente una struttura architettoni-ca ed esemplifica metaforicamente un’idea di «integrità»: esprime «inte-grità».

Dei simboli artistici Goodman indica quattro sintomi, che non sono«una condizione necessaria né sufficiente dell’esperienza estetica»32, mache sono frequenti tra i meccanismi di simbolizzazione artistica: la densi-tà sintattica, la densità semantica, la saturazione sintattica e, specialmente,la capacità esemplificativa 33. «La densità, la saturazione e l’esemplificazio-nalità, dunque, sono contrassegni dell’estetico; l’articolazione, l’attenua-zione e la denotazionalità, contrassegni del non estetico»34: un simboloartistico non denota (non denota soltanto), ma esemplifica 35. E l’esempli-ficazione è quel che distingue il mostrare dal dire: mostrare è esemplifica-re, dire è denotare 36. Un simbolo, con Goodman, mostra o dice. Mostracostruendo una relazione con una proprietà posseduta da un oggetto,dice costruendo una relazione con un oggetto: l’esemplificazione vincolaun simbolo a una tra le proprietà possedute dall’oggetto al quale allude,la denotazione vincola un simbolo, almeno in apparenza, all’oggetto alquale allude. Esemplificare non significa alludere a oggetto alcuno.

ces, Indianapolis, Hackett, 1988, p. 30. Il riferimento è a R. Arnheim, The symbolism ofcentric and linear composition, «Perspecte» 20 (1983).

32 Goodman, I linguaggi dell’arte cit., p. 212.33 A proposito dei primi tre sintomi estetici, più dettagliatamente, «la densità sin-

tattica è caratteristica dei sistemi non linguistici, ed è un tratto che distingue gli schizzidalle partiture e dai copioni; la densità semantica è caratteristica della rappresentazio-ne, della descrizione e dell’espressione nelle arti, ed è un tratto che differenzia gli schiz-zi e i copioni dalle partiture; e una relativa saturazione sintattica distingue, fra i sistemisemanticamente densi, quelli più rappresentazionali dai più diagrammatici, i meno daipiù ‘schematici’. Tutti questi tre tratti esigono la massima sensibilità di discriminazione.La densità sintattica e semantica richiede un’attenzione indefinita per determinare il ca-rattere e il referente, una volta dato un segno del sistema; e la saturazione sintattica rela-tiva in un sistema sintatticamente denso richiede uno sforzo di discriminazione analo-go, per così dire, su più dimensioni. L’impossibilità di determinazione finita può porta-re con sé la suggestione dell’ineffabilità tanto frequentemente rivendicata al fatto esteti-co, o ad esso imputata. Ma la densità, lungi dall’essere misteriosa e vaga, è esplicitamen-te definita; e sorge dal bisogno insoddisfatto di precisione assoluta, e al contempo lo so-stiene» (ivi, pp. 212-213).

34 Ivi, p. 214.35 Affinché ci sia artisticità, non è necessario che ci sia ciascun sintomo estetico.

Questo accade anche per l’esemplificazione, che caratterizza, per lo più, un’esperienzaestetica, ma con qualche eccezione. Tuttavia, Goodman marginalizza l’occorrenza dieccezioni, argomentando la frequenza del meccanismo di esemplificazione nel caso del-le arti: «la rappresentazione nelle arti è di rado […] puramente denotazionale» (ivi, p.213).

36 Cfr. ibidem: «Il quarto, e ultimo, sintomo del fatto estetico è il tratto che distin-gue i sistemi esemplificazionali dai denotazionali, e che, combinandosi con la densità,distingue il mostrare dal dire».

47

Un simbolo denota funzionando da predicato che descrive l’oggettoal quale rinvia. X denota Y alludendo a un oggetto (che può essere unparticolare Y reale, numerosi Y reali considerati a uno a uno, nessun Yreale 37). Nell’ultimo caso, il simbolo X è una descrizione con denotazione«nulla» 38, che, tuttavia, non compromette la relazione tra il simbolo el’oggetto: la relazione è stabilita tra il simbolo e una figura-di-Y.

L’uomo che appare nel Paesaggio con cacciatore di Rembrandt non èpresumibilmente una persona reale; egli è precisamente l’uomo che ap-pare nell’incisione di Rembrandt. In altre parole, l’incisione non rap-presenta alcun uomo, ma è semplicemente una figura-di-uomo, e piùesattamente una figura-di-uomo-nel-Paesaggio con cacciatore-di Rem-brandt. 39

Che ci sia denotazione o che ci sia denotazione «nulla», c’è una relazionetra X e Y: nel primo caso, essendo Y reale, la relazione definisce che cosaX descrive, cioè Y; nel secondo caso, essendo Y non reale, la relazione de-finisce quale genere di descrizione è X. Nel primo caso, X definisce Y (X de-finisce qualcosa di altro da sé). Nel secondo caso, X definisce quale generedi descrizione è X (X definisce qualcosa di sé). Una relazione tra un sim-bolo e un oggetto non reale dice qualcosa a proposito del simbolo per viadel quale è data. Un simbolo, almeno in apparenza, dice qualcosa di un og-getto altro da sé nel caso sia una denotazione autentica, cioè non «nulla».

Della denotazione (della descrizione) Goodman osserva l’estraneità auna relazione di somiglianza: «nessun grado di somiglianza è sufficienteper instaurare la relazione di riferimento richiesta. Né la somiglianza ènecessaria per il riferimento; pressoché ogni cosa può stare per pressochéogni altra» 40. L’argomentazione di Goodman è articolata attraverso tre

UN SIMBOLO ASSOLUTO

37 Cfr. ivi, p. 26: «‘Pickwick’, ‘il duca di Wellington’, ‘l’uomo che sconfisse Napo-leone’, ‘un uomo’, ‘un uomo obeso’, ‘l’uomo dalle tre teste’, sono tutte descrizioni-di-uomo, ma non tutte descrivono un uomo. Alcune denotano un uomo particolare, alcu-ne denotano molti uomini uno per uno, e alcune non denotano nulla».

38 Ivi, p. 24.39 Ivi, p. 28. «Inoltre non sono sempre accessibili le informazioni necessarie per sta-

bilire che cosa (ammesso che ci sia qualcosa) è denotato da un quadro. Ad esempio,possiamo non trovarci in grado di dire se una determinata rappresentazione sia multi-pla, come una figura-di-aquila in un dizionario, o fittizia, come una figura-di-Pickwick.Ma dove non possiamo stabilire se una figura denoti o meno qualcosa, possiamo proce-dere solo come se non denotasse nulla […]. I casi di denotazione indeterminata sonoquindi trattati come casi di denotazione nulla» (ibidem).

40 Ivi, p. 11. Ad esempio: «Un dipinto del castello di Marlborough eseguito daConstable è maggiormente simile a qualsiasi altro quadro che non al castello, e tuttaviarappresenta il castello e non un altro quadro» (ivi, p. 10). «Rappresentare» è, con Good-man, «descrivere». La non essenzialità della somiglianza in una relazione denotativa èargomentata citando, tra l’altro, le osservazioni di Ernst Gombrich in Arte e illusione

48 SY ’ MBOLON E DIÁBOLOS

cardini: la somiglianza, diversamente dalla descrizione, è riflessiva (un og-getto somiglia a sé ma non descrive sé) ed è, diversamente, ancora, dalladescrizione, simmetrica (un dipinto descrive un oggetto ma l’oggetto nondescrive il dipinto). Infine, specialmente, una descrizione non è una so-miglianza per via dell’«incapacità di specificare che cosa debba essere co-piato» 41: non essendoci alcun criterio, «nessuna cosa è mai rappresentataspoglia delle sue proprietà o nella pienezza delle sue proprietà»42. De-scrivere (rappresentare) non è imitare. Goodman lavora alla nozione didescrizione sottintendendo una relazione non autentica tra un simbolo eun oggetto: concludere che X non denota Y per via di somiglianza è sug-gerire che la qualità della descrizione X non sia data dalla qualità di esi-stenza di Y. La qualità ontologica di Y è irrilevante.

Non facendo della somiglianza un criterio di descrizione, Goodmannon soltanto suggerisce che sia ingenuo accordare a un paradigma mimeti-co, cioè realistico, la qualità denotativa di un simbolo (Goodman dice cheil realismo è un’abitudine descrittiva condivisa, non un paradigma descrit-tivo che sopravvive, conservato, al variare delle abitudini contestuali43,

(Torino, Einaudi, 1965). Gombrich attacca l’idea di un «occhio vergine» che osserva larealtà e che della realtà dirige, infine, una descrizione somigliante. Goodman aggiungeche l’occhio «seleziona, respinge, organizza, discrimina, associa, classifica, analizza, co-struisce. Non tanto rispecchia, quanto raccoglie ed elabora; e ciò che raccoglie ed ela-bora, esso non lo vede spoglio, come una serie di elementi senza attributi, ma comecose, cibo, gente, nemici, stelle, armi. Non si vede nulla schiettamente o nella suaschiettezza» (Goodman, I linguaggi dell’arte cit., p. 13). Sulla questione cfr., tra l’altro,R.L. Gregory, Occhio e cervello, Milano, Il Saggiatore, 1966 e M.H. Segall - D. Camp-bell - M.J. Herskovits, The influence of culture on visual perception, Indianapolis - NewYork, Bobbs - Merrill, 1966. Per un’analisi psicologica cfr. J.S. Bruner, On perceptualreadiness, «Psychological review» 64 (1957), pp. 123-152 e W.P. Brown, Conceptions ofperceptual defense, «British journal of psychology», Monograph Supplement XXXV,Cambridge, Cambridge University Press, 1961. Contro l’idea argomentata sia da Gom-brich sia da Goodman cfr., in particolare, J.J. Gibson, Pictures, perspective, and per-ception, «Daedalus», 1960 e Id., The senses considered as perceptual systems, Boston,Houghton Mifflin Co., 1966. Cfr., infine, D. Gioseffi, Perspectiva artificialis, Trieste, U-niversità degli Studi di Trieste, 1957 e la recensione di M.H. Perenne in «The art bul-letin» 41 (1959), pp. 213-217.

41 Goodman, I linguaggi dell’arte cit., p. 14.42 Ibidem. Con un esempio: «Un quadro non rappresenta semplicemente x, ma

semmai rappresenta x come un uomo, o rappresenta che x è una montagna, o rappre-senta il fatto che x è un melone. Sarebbe difficile cogliere che cosa possa voler dire ‘co-piare un fatto’ anche qualora esistessero cose quali i ‘fatti’; chiedermi di copiare x comeuna talcosa è un po’ come chiedermi di vendere qualcosa in dono; e dire di copiare chequalcosa è un uomo è mero nonsenso» (ibidem). «Rappresentare», ancora, è, con Good-man, «descrivere».

43 Gli argomenti di Goodman tornano, ancora, alle osservazioni di Gombrich e diGibson a proposito della prospettiva. Cfr. Gombrich, Arte e illusione cit. e Gibson, Pic-tures, perspective, and perception cit.

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diacroniche e sincroniche). Suggerisce anche che in una descrizione reali-stica non ci sia alcunché dell’oggetto ad agire, funzionando da vincolo, sulsimbolo che descrive l’oggetto: Y non agisce a fondazione di X. Infine,«pressoché ogni cosa può stare per pressoché ogni altra» perché il simbo-lo, malgrado alluda ad altro, registrando l’esistenza di una relazione, è suigeneris assoluto, essendo, paradossalmente, sciolto da relazione.

Una relazione, tuttavia, sottintende l’esistenza di due alterità. Se Ynon è un’alterità che agisce a fondazione di X (che dirige la qualità de-scrittiva di X), occorre interrogare i meccanismi di articolazione di questaossimorica, per così dire, relazione assoluta. X descrive Y non somiglian-do a Y: tra X e Y esiste una relazione (X descrive Y) e X non vincola a Yla propria qualità descrittiva. Secondo logica, è necessaria l’esistenza diun termine medio tra X e Y a fondazione di X, dirigendo la qualità de-scrittiva di X. Goodman lavora a un meccanismo di questo genere: a pro-posito del realismo, esso «dipende dalla relazione tra il sistema di rag-gruppamento usato nel quadro e il sistema standard» 44. Dipende dalla re-lazione tra X (il simbolo) e un sistema Z (la tradizione descrittiva condivi-sa da X). X denota con realismo Y se allude a Z, non a Y. Se, cioè, alludea Y per via di Z (per via del repertorio descrittivo convenzionalmenteusato per denotare Y). Un dipinto descrive un oggetto se articola una re-lazione con la tradizione descrittiva dell’oggetto: il dipinto è assoluto,cioè sciolto dall’oggetto (non ha, con l’oggetto, alcuna relazione autenti-ca), ed è relativo al sistema consuetamente usato per alludere all’oggetto(articola, con il sistema consuetamente usato, una relazione). La relazioneresta, ma non tra il simbolo e l’oggetto: per essere un simbolo di Y, oc-corre che X sia in relazione con Z.

Un dipinto è realistico se allude ad altri dipinti, non a oggetti che nonsiano dipinti: un dipinto è realistico per via della tradizione raffigurativaalla quale sceglie di essere coerente, non per via della somiglianza allaqualità di esistenza di un oggetto. Descrivendo, «un quadro seleziona unaclasse di oggetti e contemporaneamente appartiene a una certa classe o acerte classi di quadri» 45: descrivendo, «un quadro seleziona una classe dioggetti» scegliendo di appartenere a una classe di quadri. Che X denotirealisticamente Y dipende dall’aderenza di X a Z (dalla scelta di apparte-nere alla classe dei dipinti che descrivono Y). Non c’è somiglianza, c’èclassificazione. Goodman annota: «rappresentare vuol dire classificare glioggetti piuttosto che imitarli, caratterizzare piuttosto che copiare»46. De-scrivere (rappresentare) non è classificare oggetti, ma è classificare la de-

UN SIMBOLO ASSOLUTO

44 Goodman, I linguaggi dell’arte cit., p. 38.45 Ivi, p. 33.46 Ibidem.

50 SY ’ MBOLON E DIÁBOLOS

scrizione di un oggetto. X non classifica Y denotando Y: X denota Y eclassifica sé, dicendo, di sé, di essere il simbolo di un oggetto.

Una denotazione articolata tra un simbolo e un oggetto non reale èuna denotazione «nulla» e dice qualcosa a proposito del simbolo, non aproposito dell’oggetto non reale al quale allude. Ma tra un simbolo e unoggetto reale accade qualcosa di analogo, perché la specificità di una de-notazione di questo genere non sta in quel che accade tra il simbolo el’oggetto, ma in quel che accade tra il simbolo e il repertorio di simboli aiquali, soltanto, il simbolo allude. Analogamente, non c’è una relazioneautentica tra il simbolo e l’oggetto (non c’è classificazione alcuna tral’uno e l’altro). Diversamente, occorre analizzare che cosa accade tra Y eZ, tra l’oggetto e la tradizione descrittiva dell’oggetto, domandando se, inquesto caso, ci sia una relazione di qualche genere vincolata, infine, a X,cioè al simbolo.

Goodman introduce la nozione di classificazione surrogando la no-zione di imitazione e argomenta a favore, tra l’altro, dell’idea di creazione:«La rappresentazione e la descrizione esigono insomma, per essere effi-caci, invenzione. Entrambe sono fatti creativi»47. Classificare è creare: «Rap-presentando un oggetto, noi non copiamo», ma «otteniamo»48. Un sim-bolo descrive un oggetto se crea un oggetto – un altro oggetto. Un simbo-lo descrive un oggetto se crea un oggetto che, dicendo a quale genere ditradizione descrittiva appartiene, di sé dice, infine, quale genere di ogget-to è. Un dipinto è un simbolo perché dice qualcosa di sé ricorrendo a unsistema raffigurativo condiviso. La relazione articolata da un simbolo chesta «per pressoché ogni altra» cosa è autoreferenziale: c’è relazione, unarelazione tra sé e la propria funzione. X descrive Y, essendo un simbolodi Y, se dà informazioni a proposito di sé per via di un’allusione a Z. Infi-ne, attraverso questo genere di allusione, X dice di sé qualcosa che nondirebbe altrimenti: non soltanto dà visibilità, per così dire, alla propriaesistenza, ma dà qualità alla propria esistenza. Un simbolo, che la denota-zione sia «nulla» o sia autentica, non allude ad alcun oggetto: allude a sé,dando qualità all’identità di sé.

Non allude a un oggetto, anche nel caso l’allusione sia data attraversouna mediazione, ricorrendo alla tradizione condivisa. Ancora: «Possiamoavere parole senza un mondo ma non mondi senza parole»49. Retroce-dendo idealmente alla relazione tra il consolidato sistema denotativo Z el’oggetto Y, non c’è alcunché che somigli a una relazione originaria tra Y

47 Ivi, p. 34.48 Ivi, p. 14.49 Id., Vedere e costruire il mondo, trad. it. di C. Marletti, Roma - Bari, Laterza,

1988, p. 7.

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e un elemento di Z a fondazione della tradizione descrittiva. «La natura èun prodotto dell’arte e del discorso» 50. Y è un «prodotto» di X: l’oggettoal quale, in apparenza, il simbolo rinvia deve la propria esistenza alla de-scrizione articolata e non ha alcuna relazione originaria con il sistema dicodificazione tradizionale, perché non ha alcuna qualità ontologica auto-noma, cioè originaria.

È più chiara, qui, la differenza tra Goodman e un orizzonte idealisti-co (che accorderebbe a Y un’esistenza propria, infine risolta in identità).Goodman lavora a uno scenario irrealistico: l’identità non è il risultatodella risoluzione di un’alterità in un’altra, ma è il risultato della sospen-sione di un’interrogazione a proposito dell’originaria esistenza dell’alteri-tà – che non esiste «senza parole». Un simbolo può dire o può mostrare:dice quando articola una relazione con un oggetto, mostra quando artico-la una relazione con una proprietà posseduta da un oggetto. Nel primocaso il simbolo denota, nel secondo caso il simbolo esemplifica. Nel pri-mo caso il simbolo dice, dicendo di sé: continua a dire (perché esiste unarelazione tra sé e il repertorio al quale ricorre per classificare sé), ma nondice d’altro che di sé.

Tuttavia, non è necessario che ci sia somiglianza per dire a propositodi qualcosa che sia altro da sé: è possibile descrivere un oggetto senza so-miglianza alcuna e senza, tuttavia, che la qualità ontologica dell’oggettosia irrilevante. Ma l’antimimetismo è, specialmente, l’occasione per ana-lizzare, della gnoseologia di Goodman, l’irrealismo: Goodman non rifiutala somiglianza argomentando una dinamica di simbolizzazione che, ad e-sempio, sia vincolata all’astrattismo, ma rifiuta la somiglianza perché nonriconosce all’oggetto al quale il dipinto allude un’esistenza autonoma daldipinto (autonoma dal simbolo).

Esemplificare è manifestare un possesso figurato. Il dipinto Arrange-ment in black and grey denota la madre di Whistler ed esemplifica una ta-volozza di ombre di grigio. A proposito di San Miniato al Monte, la fac-ciata esemplifica letteralmente una struttura architettonica ed esprime,cioè esemplifica metaforicamente, un’idea di «integrità». Esemplifica at-traverso un possesso figurato perché, esemplificando, vincola un simboloa una proprietà, non a un oggetto (autentica o non autentica che sia la re-lazione tra il simbolo e l’oggetto). Il dipinto di una donna descrive unadonna denotando una donna ed esprime tristezza esemplificando tristez-za attraverso una donna triste: nel primo caso il simbolo è diretto a unoggetto, nel secondo caso il simbolo è diretto a una proprietà dell’oggettofiguratamente posseduta dall’oggetto che denota. Il meccanismo è diquesto genere: nell’un caso, X denota Y; nell’altro, X esemplifica A allu-

UN SIMBOLO ASSOLUTO

50 Id., I linguaggi dell’arte cit., p. 35.

52 SY ’ MBOLON E DIÁBOLOS

dendo a una proprietà letteralmente o metaforicamente posseduta da Y.X esemplifica A perché A fa di X un esempio di sé (un’esemplificazio-ne di sé) attraverso Y: Arrangement in black and grey esemplifica tristez-za essendo, della tristezza, un esempio al quale è data visibilità attraver-so la madre di Whistler. La distinzione tra denotazione ed esemplificazio-ne suggerisce che, se occorre alludere non a un oggetto con una formama a un’idea, è necessario ricorrere a un oggetto capace di rendere sé e-sempio dell’idea, costruendo un simbolo: un simbolo (X) che allude aun’idea (A).

Arrangement in black and grey non esprime tristezza attraverso unoggetto triste. Esprime tristezza attraverso un accordo. Il dipinto dà a séqualità, cioè identità, denotando: dice qualcosa di sé dando visibilità allarelazione tra sé e la tradizione denotativa scelta attraverso l’oggetto alquale ricorre e con la quale è coerente. Arrangement in black and grey de-nota la madre di Whistler, cioè dice di sé di essere la descrizione dellamadre di Whistler, scegliendo una precisa consuetudine raffigurativa. Edesprime tristezza non per via della tristezza della madre di Whistler, maper via della tristezza associata alla tradizione descrittiva attraverso laquale dà a sé qualità (identità): esprime tristezza con l’uso del grigio, noncon l’uso della madre di Whistler. È la relazione tra il dipinto e il reperto-rio raffigurativo a dare espressione, non la relazione tra il dipinto e l’og-getto al quale il dipinto ricorre. Arrangement in black and grey esprimetristezza per via d’un accordo tra Z e A: ai toni di grigio corrisponde tra-dizionalmente l’idea di tristezza e il dipinto di una donna in grigio esem-plifica metaforicamente l’idea di tristezza in autonomia dalla condizioneemotiva della madre di Whistler, ma in accordo alle proprietà di consue-tudine associate a un ritratto in toni di grigio. La madre di Whistler è,tutt’al più, un’occasione di forma: che il quadro che ritrae la madre diWhistler esprima tristezza è una circostanza risolta dall’accordo tra Z e A(in occasione di Y).

Esemplificare è indicare un possesso figurato, perché è registrare cheil simbolo possiede alcune proprietà specifiche della tradizione simbolicadi riferimento e non altre, definendo la qualità di sé. Il simbolo di Good-man è, per così dire, l’intersezione tra Z e A, essendo costruito attraversoil possesso di alcune tra le proprietà di Z che sono associate ad A. Arran-gement in black and grey possiede letteralmente toni di grigio e metafori-camente tristezza, perché il grigio è associato alla tristezza. Il simbolo cheesemplifica e che non semplicemente descrive unisce due orizzonti, es-sendo, degli orizzonti, l’intersezione: unisce un repertorio raffigurativo aun’idea per via di un’occasione scelta ad hoc, cioè originale – che noncorrisponde a un riferimento che sia altro dal simbolo.

Goodman unisce dividendo: costruisce simboli dividendo i simboli

53

dagli oggetti ai quali, in apparenza, alludono. Che sia conservata unione(sy’mbolon) è condizione che resta: non c’è simbolo se non ci sono alteri-tà, l’una unita all’altra. Ma che la madre di Whistler sia o non sia triste èirrilevante: un simbolo non istruisce sull’oggetto che denota, ma istruiscesulla qualità di sé. Non dice a proposito della tristezza della madre diWhistler, ma dice a proposito della capacità di sé di dire della tristezza,dando, della tristezza, un esempio.

Un’esemplificazione metaforica è una metafora. Ed è per metafore,per lo più, che l’arte, ad avviso di Goodman, funziona. Il dipinto Arran-gement in black and grey denota la madre di Whistler, esemplifica lette-ralmente una variegata scala di grigi ed è metafora di tristezza. Analoga-mente, la facciata di San Miniato al Monte esemplifica letteralmente unaprecisa struttura architettonica ed è metafora di «integrità». C’è sy’mbo-lon – costruito, tuttavia, da un conflitto:

la metafora caratteristicamente comporta un mutamento non sempli-cemente di sfera, ma anche di regno. Un’etichetta che insieme ad altrecostituisce uno schema è staccata in realtà dal regno originario di quel-lo schema, e applicata per categorizzare e organizzare un regno stra-niero. 51

Il grigio di un quadro non dice alcunché a proposito di un colore. Dicequalcosa a proposito di un’emozione. Tecnicamente, «quando un’etichet-ta ha già la sua denotazione e, sostituendo ciò che esemplifica, ne usurpaun’altra, allora la nuova applicazione è metaforica» 52. Il grigio, che èesempio di un colore, è esempio, infine, di un’emozione, esemplificandouna proprietà, che non possiede letteralmente ma metaforicamente, attra-verso un accordo tra orizzonti diversi e, talvolta, sensibilmente distanti.

Più di una descrizione, una metafora crea: una descrizione crea di-

UN SIMBOLO ASSOLUTO

51 Ivi, p. 67. «Gli spostamenti di sfera che si producono nella metafora, dunque, fi-niscono per rappresentare di solito non una semplice distribuzione di beni di famiglia,ma una spedizione all’estero. Un intero insieme di etichette alternative, un intero appa-rato organizzativo, occupa un nuovo territorio. Ciò che accade è un trasferimento dischema, una migrazione di concetti, un’alienazione di categorie» (ibidem). Nel detta-glio: «Tra le metafore, alcune comportano il trasferimento di uno schema tra regni di-sgiunti. Nella personificazione, le etichette sono trasferite dalle persone alle cose; nellasineddoche, da un regno di classi o totalità, a un regno costituito da loro parti o sotto-classi; nell’antonomasia, dalle cose alle loro proprietà o etichette» (ivi, p. 74). Tuttavia,«non per tutte le metafore i due regni sono disgiunti: a volte un regno s’interseca conun altro, o ne è un’espansione oppure una contrazione. Nell’iperbole, ad esempio, unoschema gerarchico è in realtà dislocato verso il basso. […] Esattamente l’opposto acca-de nella litote, o attenuazione. Un’esecuzione superba diventa discreta, una buona one-sta; le etichette superiori non sono usate, e la parte più bassa del regno resta fuori delladescrizione» (ibidem).

52 Ivi, p. 69.

54 SY ’ MBOLON E DIÁBOLOS

cendo di sé l’identità; una metafora crea analogamente, ma con più origi-nalità. Una metafora apre a una creazione più articolata: «L’energia meta-forica richiede una combinazione della novità con l’appropriatezza, del-l’inaspettato con l’ovvio. La buona metafora dà appagamento nel mo-mento stesso in cui sorprende» 53. Essendo il simbolo vincolato all’inter-sezione tra due orizzonti distinti, l’allusione metaforica crea una relazio-ne, per così dire, difficile: difficile non da trovare, ma da creare. Good-man suggerisce, ricordando Black, che una metafora costruisce una somi-glianza: «Sarebbe più illuminante in alcuni di questi casi dire che la meta-fora crea la somiglianza, piuttosto che dire che essa formula una somi-glianza» 54. Una metafora crea sperimentando un’intersezione tra orizzon-ti distinti e dà visibilità all’occasione di incontro tra l’uno e l’altro – crean-do, con unione, una relazione. La relazione funziona se l’intersezione tragli orizzonti distinti è corretta, cioè aderente ai criteri di articolazione delsimbolo.

Chiedersi perché i predicati si applicano, come effettivamente fanno,metaforicamente, equivale a chiedersi perché essi si applicano, comeeffettivamente fanno, letteralmente. E se in nessuno dei due casi ab-biamo una buona risposta, è forse perché la questione non è reale. Inogni modo, la spiegazione generale del perché le cose hanno le pro-prietà, letterali e metaforiche, che di fatto hanno – del perché le co-se sono come sono – è un compito che preferisco lasciare al cosmo-logo. 55

Interrogare la qualità veritativa di un simbolo, che sia o che non sia unametafora, è altro dall’analisi di una «questione» che sia «reale». Una rela-zione è un simbolo (una metafora, ad esempio) per via del possesso diuna proprietà che, in occasione di una forma data da un oggetto da deno-tare, il simbolo condivide con un’idea: Arrangement in black and grey èun simbolo di tristezza perché, denotando la madre di Whistler, è costrui-

53 Ivi, p. 72. E, tuttavia: «Dal momento che la metafora dipende da fattori transitoricome la novità e l’interesse, ne è comprensibile la mortalità. Con la ripetizione, l’appli-cazione trasferita di uno schema diventa di routine, e non esige più né sollecita alcunaallusione alla sua applicazione di base. Ciò che era nuovo diventa banale, il suo passatocade nell’oblio, e la metafora sbiadisce nella mera verità» (ivi, p. 73).

54 Il riferimento è a M. Black, Metaphor, «Proceedings of the Aristotelian society»55 (1954), pp. 273-294, poi in Models and metaphors. Studies in language and philo-sophy, New York, Cornell University Press, 1962, p. 37 (Modelli, archetipi, metafore,trad. it. di A. Almansi ed E. Paradisi, Parma, Pratiche, 1992). Goodman pensa, inoltre,a I.A. Richards, The philosophy of rhetoric, London, Oxford University Press, 1936(trad. it. La filosofia della retorica, Milano, Feltrinelli, 1968) e a C.M. Turbayne, Themyth of metaphor, New Haven, Yale University Press, 1962.

55 Goodman, I linguaggi dell’arte cit., pp. 71-72.

55

to attraverso una relazione tra i toni di grigio con i quali la descrizionedella madre di Whistler è articolata e l’idea di tristezza. E una relazionedi questo genere è corretta, anzitutto, per via della qualità dell’accordotra l’operazione allusiva alla quale il dipinto ricorre e la tradizione raffi-gurativa alla quale sceglie di appartenere. Qui sta il criterio di correttez-za: Arrangement in black and grey è un simbolo corretto se è corretta larelazione tra i toni di grigio della madre di Whistler e l’idea di tristezza,cioè, anzitutto, se è corretta la relazione tra i toni di grigio della madre diWhistler e il repertorio raffigurativo che vincola tradizionalmente l’usodel grigio all’idea di tristezza. Un simbolo dice di sé di essere un dipintoche fa uso di grigi (con una relazione tra sé e un repertorio raffigurativoche fa uso di grigi) e dice di sé di essere una metafora della tristezza (conun altro grado della relazione: alludendo a un repertorio raffigurativo chefa uso di grigi, allude, infine, all’orizzonte al quale il repertorio raffigura-tivo tradizionalmente è vincolato, cioè all’idea di tristezza). X è metaforadi A perché è in relazione con Z, che è vincolato ad A.

Per la correttezza di X, Y non serve. E analogamente accade per laqualità della verità di X 56. Arrangement in black and grey è vero se è cor-retta la relazione tra il dipinto e il repertorio di grigi vincolato a un’ideache con il grigio non ha a che fare. E Arrangement in black and grey èvero se ha i requisiti che occorrono per essere coerente alla tradizione allaquale, dando qualità (identità) a sé, allude. La verità di un simbolo è datadall’accordo tra l’articolazione singolare del simbolo e il sistema simboli-co al quale allude. Arrangement in black and grey deve documentare, peravere verità, che l’uso che fa del grigio è coerente alla tradizione simboli-ca che all’idea di tristezza vincola il colore grigio. Deve documentare diosservare alcune regole di aderenza logica. Ma un esercizio di originalità,ugualmente, agisce: a condizione che non comprometta l’identità di unsimbolo, l’originalità è una qualità essenziale, perché sollecita la costru-zione di un simbolo particolare, cioè di un particolare (originale) eserci-zio gnoseologico. Un simbolo ha verità se ha la capacità di costruire unmondo altro, ma, per così dire, riconoscibile, per via di un’articolazioneoriginale che aderisce, tuttavia, a una tradizione simbolica che, del sim-bolo, dice quale sia l’identità.

UN SIMBOLO ASSOLUTO

56 La verità è una tra le qualità di un criterio di correttezza. Cfr., specialmente, Id.,Vedere e costruire il mondo cit. Ad esempio: «Nell’accezione di ‘correttezza’ includo,insieme alla verità, tutti quei criteri di accettabilità che non di rado vanno ad integrarsied entrano in competizione con la verità là dove questa si applica, oppure ne prendonoil posto se si tratta di modi di rendere non dichiarativi» (ivi, p. 128). Cioè: «Invece chetentare di sussumere sotto la verità la correttezza descrittiva e rappresentazionale, pen-so sarà meglio sussumere la verità insieme a queste altre nozioni sotto quella generale dicorrettezza di adattamento» (ivi, p. 514).

56 SY ’ MBOLON E DIÁBOLOS

La verità di un simbolo è stabilita dall’accordo tra una particolare so-luzione grammaticale e una grammatica di riferimento. Esemplificare ècostruire una relazione sciogliendo dai criteri di verifica l’oggetto delladenotazione: Arrangement in black and grey non dice alcunché della ma-dre di Whistler. Il simbolo di Goodman unisce (symbállein) e divide (dia-bállein): unisce un’articolazione linguistica d’occasione a uno scenariolinguistico più allargato, divide la verità dell’una e dell’altro dall’oggettooccasionalmente descritto, cioè da una relazione autenticamente episte-mica con un oggetto che esiste anteriormente all’articolazione del simbo-lo. Arrangement in black and grey non dice alcunché della madre di Whi-stler perché dice di un oggetto che esiste ulteriormente a sé, dicendo, in-fine, dell’identità di sé in occasione di un’estensione ontologica di sé. A-gendo da simbolo, un oggetto d’arte dice il vero di sé. Il symbállein apreal diabállein – a un orizzonte, etimologicamente diabolico, regolato da uncriterio di divisione: qualcosa, tra simboli e oggetti autenticamente epi-stemici, è stato ‘gettato attraverso’ a dividere, congedando l’esistenza dioggetti a fondazione della qualità veritativa dei simboli.

3. «L’IPPOPOTAMO», «ULISSE» E «IL CAVALIERE INESISTENTE»

La metafora ‘il regime imperiale è predatorio’ è vera per Goodman e fal-sa per Davidson. È vera per Goodman perché, seguendo Elgin:

Quando definiamo un regime predatorio, riorganizziamo il sistema po-litico servendoci di un termine che letteralmente caratterizza il regnoanimale. Secondo questo genere di riorganizzazione, alcuni regimisono predatori, altri no. Potremmo, naturalmente, definire coniandoun nuovo termine letterale. La metafora fa di più. […] L’applicazionemetaforica attesta un’esemplificazione che associa proprietà mostrateletteralmente e proprietà mostrate metaforicamente. I regimi predatorie gli animali predatori condividono significative caratteristiche – peresempio, l’impiego della forza, il totale possesso della preda e l’incu-rante indifferenza per la sua buona sorte. 57

Ed è falsa per Davidson perché:

L’errore fondamentale […] è quello di pensare che la metafora, oltre alsuo senso o significato letterale, abbia anche un altro senso o significa-

57 C.Z. Elgin, Introduction, in The philosophy of Nelson Goodman, vol. IV: NelsonGoodman’s theory of symbols and its applications, New York, Garland, 1997, p. XVI.Goodman argomenta contro Davidson in Metaphor as moonlighting, nella stessa raccol-ta (pp. 53-58).

57L’«IPPOPOTAMO», «ULISSE» E «IL CAVALIERE INESISTENTE»

to. […] mi baso sulla distinzione fra ciò che le parole significano e ciòper cui vengono usate. Ritengo che la metafora appartenga esclusiva-mente all’ambito dell’uso. 58

Occorre osservare che cosa accade secondo Davidson, attraverso l’esem-pio al quale ricorre: L’ippopotamo di T.S. Eliot 59. Sono sufficienti le pri-me quattro strofe.

L’ippopotamo dall’ampio gropponeRiposa sul ventre nel fango;Per quanto a noi sembri così solidoÈ fatto solo di carne e di sangue.

La carne e il sangue sono deboli e fragili,E suscettibili di attacchi di nervi;Mentre la Vera Chiesa non potrà mai caderePerché si regge sopra una roccia.

I lievi passi dell’ippo possono errareNella loro ricerca di fini materiali,Mentre la Vera Chiesa non deve scomodarsiPer raccogliere i suoi dividendi.

Il potamo non può raggiungere maiIl frutto del mango sul mango;Ma i frutti del melograno e del pescoRistorano la Chiesa fino dall’oltremare.

Non c’è, tecnicamente, metafora alcuna. Tuttavia, è chiara l’allusione: ‘laChiesa è come un ippopotamo’ (con una similitudine) o ‘la Chiesa è un

58 D. Davidson, What metaphors mean, in Elgin (ed.), The philosophy of NelsonGoodman, vol. IV: Nelson Goodman’s theory of symbols and its applications cit., pp. 35-51 (Che cosa significano le metafore, in Verità e interpretazione, trad. it. di R. Brigati, acura di E. Picardi, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 337-360, qui pp. 338-339). Davidsonprecisa la tradizione contro la quale argomenta: «L’idea è condivisa da molti fra coloroche hanno scritto della metafora: si può trovare nell’opera di critici letterari come Ri-chards, Empson e Winters; di filosofi da Aristotele a Max Black; di psicologi da primadi Freud fino a dopo Skinner; e di linguisti da Platone a Uriel Weinreich e GeorgeLakoff» (ivi, p. 338).

59 Raccolta in T.S. Eliot, Opere. 1904-1939, a cura di R. Sanesi, Milano, Bompiani,2001, p. 523. In inglese (The hippopotamus) cfr. ivi, p. 522: The broad-backed hippo-potamus / Rests on his belly in the mud; / Although he seems so firm to us / He is me-rely flesh and blood. // Flesh and blood is weak and frail, / Susceptible to nervousshock; / While the True Church can never fail / For it is based upon a rock. // The hip-po’s feeble steps may err / In compassing material ends, / While the True Church neednever stir / To gather in its dividends. // The ’potamus can never reach / The mango onthe mango-tree; / But fruits of pomegranate and peach / Refresh the Church from oversea.

58 SY ’ MBOLON E DIÁBOLOS

ippopotamo’ (con una metafora). Ma Eliot, malgrado alluda con chiarez-za, non ricorre né all’una né all’altra. Ricorre, tutt’al più, ad alcuni acco-stamenti che, marcando la distinzione, stabiliscono, infine, una relazione:il «mentre» anaforico al terzo verso della seconda e della terza strofa e il«ma» al terzo verso della quarta strofa. Non c’è alcuna metafora e, tutta-via, c’è il risultato di una metafora: Eliot descrive un ippopotamo che «ri-posa sul ventre nel fango», suggerendo, per via di un accostamento av-versativo, cioè ironico, che la Chiesa condivida la condizione dell’ippopo-tamo. Ma che l’ippopotamo riposa «sul ventre nel fango» è vero, che laChiesa riposa «sul ventre nel fango» è falso. E della Chiesa è vero, diver-samente, che «si regge sopra una roccia». È letteralmente vero che l’ippo-potamo sta «nel fango» ed è letteralmente vero che la Chiesa sta «soprauna roccia». Ad avviso di Goodman, che la Chiesa sta «nel fango» è me-taforicamente vero. Ad avviso di Davidson, che la Chiesa sta «nel fango»è falso: se Eliot avesse descritto qualcosa di simile a una Chiesa che «ripo-sa sul ventre nel fango» avrebbe detto qualcosa di falso.

Il quesito va sciolto retrocedendo alla nozione di verità dell’uno edell’altro. Con Goodman, la verità di un simbolo è risolta tra l’articola-zione linguistica scelta ad hoc e il sistema linguistico di riferimento: Eliot(immaginando che la mancata metafora alla quale ricorre in L’ippopota-mo sia un simbolo, cioè suggerendo che esattamente da simbolo agisca)sceglie di costruire un simbolo sui generis, che fa di un ippopotamo l’og-getto di descrizione (di denotazione). Per via di un ippopotamo, che èl’occasione di una forma (l’occasione di visibilità), il simbolo vincola unao più d’una proprietà dell’ippopotamo a un’idea, che è l’idea di corruzio-ne (attraverso il fango) e di instabilità (attraverso un fango fronteggiato,con contrappunto, da una roccia). L’ippopotamo, infine, per via del fan-go, è simbolo di corrotta instabilità (analogamente, la madre di Whistler,per via di un grigio associato a un’emozione, è simbolo di tristezza).

Quel che Davidson non osserva della mancata metafora di Eliot è chela metafora è mancata perché è un’allegoria (che, tuttavia, simbolo resta).Alla Chiesa toccherebbe, fosse Goodman a leggere Eliot, un destino qua-si analogo: la Chiesa è un’occasione denotativa che, associata con accor-gimenti retorici ironici alla stabilità di una roccia, allude a tutt’altro. E in-contra l’ippopotamo, alludendo all’idea della quale l’ippopotamo è sim-bolo: l’ippopotamo è, infine, allegoria della Chiesa, dicendo con verità,della Chiesa, qualcosa di altrimenti non dicibile.

Davidson, al contrario, nel caso avesse riconosciuto l’allegoria, avreb-be concluso che l’allegoria sarebbe stata falsa (che l’allegoria non avrebbeavuto alcuna qualità veritativa). Ad avviso di Davidson, i simboli (le rela-zioni allusive tra orizzonti distinti) non hanno alcun esercizio veritativoautentico: dire che la Chiesa è un ippopotamo è, semplicemente, falso.

59

La nozione di verità di Davidson non apre a un accordo tra un simbolo,la proprietà che manifesta di possedere figuratamente e il repertorio disimboli ai quali è coerente, definendo la qualità di sé. La verità sta altro-ve: la verità è letterale, sottintendendo, al contrario, una relazione artico-lata tra una parola e un oggetto. Che la Chiesa è ‘come un ippopotamo’ èvero, che la Chiesa è ‘un ippopotamo’ è falso: la similitudine è vera, l’alle-goria è falsa (ed è falsa, analogamente, la metafora intermedia, che dicedella Chiesa che è ‘fangosa’ o qualcosa di analogo). È vera una corrispon-denza tra una parola e l’oggetto al quale, letteralmente, la parola allude,malgrado l’oggetto continui a non agire, con Davidson, da riferimentoepistemico autentico, ma da criterio causale.

Quel che accade in una metafora (o in un’allegoria), parafrasando leosservazioni di Davidson, è che è detto qualcosa di utilmente falso attra-verso l’uso, che resta, di relazioni tra parole e oggetti letteralmente vere 60.Se fosse sospesa la verità letterale, cioè la relazione tra la parola e l’ogget-to, non agirebbe alcuna utilità metaforica: accostare la Chiesa al fango at-traverso un animale che nel fango non riposa affatto non solleciterebbeallusione alcuna. Alludere, tuttavia, non è dire. Alludendo non è detto al-cunché di vero: semplicemente, è suggerita una somiglianza – che già c’èe che non è creata con un’allusione simbolica. L’allusione simbolica dàvisibilità alla somiglianza, ma non crea somiglianza alcuna. E, alludendo,il simbolo sottintende che le parole alle quali ricorre stabiliscono relazio-ni vere (letteralmente vere) con gli oggetti dei quali dicono: sottintendeche l’ippopotamo sta veramente «nel fango» e che la Chiesa sta veramen-te «sopra una roccia» (non perché la verità della relazione è epistemica-mente verificata, ma perché questo è stabilito che sia quando un soggettodice a un altro soggetto di un ippopotamo e di una Chiesa: la verità non ètra una parola e un oggetto autenticamente epistemico, ma tra una parolae un oggetto linguistico. Dell’oggetto linguistico, tuttavia, sono causa og-getti non linguistici).

Quel che è, con Goodman, esercizio gnoseologico autentico è, conDavidson, formulazione di un’analogia utile a chiarire, per così dire, coneconomicità. Una metafora (un simbolo) è cognitiva, ad avviso di Good-man, perché dice qualcosa. Ad avviso di Davidson, al contrario, una me-tafora sollecita un confronto tra idee senza dire alcunché. La distinzionesta nel criterio di verità adottato: Goodman immagina parole che verifi-

60 Più precisamente, Davidson argomenta: «Sia che la metafora dipenda o no da si-gnificati nuovi o traslati, certamente essa dipende in qualche modo dai significati origi-nari; una spiegazione adeguata della metafora deve ammettere che i significati primari oordinari delle parole rimangono attivi nella loro ambientazione metaforica» (Davidson,Che cosa significano le metafore cit., p. 341).

L’«IPPOPOTAMO», «ULISSE» E «IL CAVALIERE INESISTENTE»

60 SY ’ MBOLON E DIÁBOLOS

cano il proprio valore di verità attraverso altre parole, Davidson immagi-na parole che verificano il proprio valore di verità attraverso oggetti chesono la causa delle parole. Ancora, c’è una relazione nell’un caso e nel-l’altro, cioè c’è un simbolo: un simbolo dato da una segregazione, nel ca-so di Goodman, che ricorre, nella costruzione di un simbolo, a una divi-sione radicale (diábolos) tra parole e oggetti che esistono «senza parole»(sospendendo, degli oggetti «senza parole», l’esistenza) e, infine, a un’u-nione (sy’mbolon) tra parole e oggetti costruiti da parole (esistendo, glioggetti costruiti da parole, per via delle parole e non altrimenti).

Dicendo qualcosa di vero, un simbolo è una «versione» 61 vera delmondo. È una versione vera di un mondo, perché, in uno scenario gno-seologico costruzionalistico, ciascuna versione vera costruisce il mondodel quale essere vera. Un oggetto d’arte, agendo da simbolo, funzionaanalogamente a una versione del mondo, costruendo un mondo proprio.Ma un oggetto d’arte è, per un osservatore, un oggetto al quale dirigereun esercizio gnoseologico: è un mondo, a propria volta – un mondo daosservare, costruendo, del mondo che è l’oggetto d’arte, una versione.«L’Ulisse è il testo o ci sono tante opere quante sono le versioni corret-te?» 62. Goodman risponde: «L’identità dell’opera resta il testo» 63. Del te-sto sono date numerose letture (numerose versioni) distinte dal testo, es-sendo, ciascuna volta, un altro testo.

L’idea che il testo d’origine sia altro dalle successive versioni del te-sto (l’idea che l’Ulisse di Joyce sia un mondo altro dai mondi ai quali cor-rispondono le letture successive dell’Ulisse) è di un orizzonte gnoseologi-co costruzionalistico: a ciascuna versione è dato un mondo, segregato edesclusivo. Che un testo d’origine sopravviva sorprende: il testo d’origine,analogamente al mondo d’origine, dovrebbe non esserci, esistendo, inesclusiva, le versioni del testo. Dovrebbero esistere tanti Ulisse quantesono le versioni di Ulisse. L’Ulisse originario, non avendo alcuna autono-mia ontologica, non dovrebbe esistere, perché gli Ulisse con un’esistenzaautentica corrispondono rigorosamente alle versioni. Ma Goodman con-clude altrimenti, in questo caso, con un criterio di identità: «L’identitàdell’opera resta il testo» 64. A Goodman non va chiesta una conclusioneirragionevolmente irrealistica, cioè una conclusione che neghi che Joyceabbia scritto l’Ulisse o che sospenda la domanda a proposito della scrit-tura di Joyce dell’Ulisse. All’«irrealismo» gnoseologico di Goodman vachiesta, tuttavia, una conclusione ragionevolmente irrealistica, cioè au-

61 Goodman usa «versione» con frequenza.62 Goodman - Elgin, Reconceptions in philosophy cit., p. 45.63 Ivi, p. 57.64 Ibidem.

61

tenticamente costruzionalistica: Joyce ha scritto l’Ulisse, che non esiste inautonomia dalla versione, data da Joyce o data da altri, che dice che cos’èl’Ulisse. Uno scenario costruzionalistico dovrebbe distinguere tanti Ulissequante sono le versioni corrette di Ulisse: non un Ulisse di meno e nonun Ulisse di più. Ma Goodman, vincolando l’«identità dell’opera» al te-sto, suggerisce che esistano tanti Ulisse quante sono le versioni corrette diUlisse più un Ulisse: l’Ulisse d’origine.

Con un esempio:

Interpretazioni e traduzioni sono esse stesse opere. Ma non sono iden-tiche alle opere che esse interpretano o traducono. Né lo studio diHarry Levin The question of Hamlet, né la traduzione tedesca di Au-gust von Schlegel della tragedia sono Hamlet. Sono opere distinte i cuitesti divergono dal testo di Hamlet e la cui correttezza dipende (tra l’al-tro) dall’accesso al testo che consentono e dalla comprensione che deltesto restituiscono. 65

La distinzione tra un testo e l’altro è vincolata ai criteri che caratterizzanouna gnoseologia della costruzione. Ma Goodman allude a un testo origi-nario (Hamlet), che esiste autenticamente e che determina, persino, laqualità dei testi che traducono o che descrivono Hamlet. Se Hamlet fosseun mondo, probabilmente sarebbe il mondo – qui, se non altro. Ed eser-citerebbe la funzione che ha il mondo in un orizzonte gnoseologico fon-dazionalistico: rispondere, agendo da riferimento epistemico, alle inter-rogazioni che riguardano la propria qualità di esistenza, conservandoun’identità ontologica propria, autonoma dalle versioni che dicono qual èla qualità di esistenza del mondo. E, infine, agire da criterio che verifica,con un attrito ontologico (essendo, il mondo, altro dalle versioni), le ver-sioni che dirigono al mondo la propria tensione epistemica, vincolando laqualità della propria verità alla qualità dell’«accesso» al mondo «che con-sentono» e alla qualità della «comprensione» che del mondo «restitui-scono».

Ma, altrove, accade altro. Intervenendo nel convegno italiano Livellidi realtà 66, con un omaggio a Italo Calvino, Goodman usa una metaforadi Il cavaliere inesistente 67 per definire la qualità della relazione tra ver-sione e mondo:

65 Ivi, pp. 57-58.66 È il citato convegno organizzato da Piattelli Palmarini. Cfr. N. Goodman, Storie

su storie, piani su piani, o la realtà in livelli, in M. Piattelli Palmarini (a cura di), Livellidi realtà, Milano, Feltrinelli, 1984.

67 I. Calvino, Il cavaliere inesistente, in I nostri antenati, Milano, Mondadori, 2004.

L’«IPPOPOTAMO», «ULISSE» E «IL CAVALIERE INESISTENTE»

62 SY ’ MBOLON E DIÁBOLOS

Ser Agilulfo serve da acuta metafora anche per il cosiddetto ‘mondoreale’. Come lui non può essere separato dall’armatura, così un mondoreale non può essere separato dalle versioni. L’armatura può esserecambiata, una nuova versione può rimpiazzarne una vecchia; ma comenon possiamo trovare Ser Agilulfo indipendentemente da tutte le ar-mature, così non possiamo trovare un mondo indipendentemente datutte le versioni. La metafora può essere portata ancora più oltre.Quando Agilulfo muore, la sua armatura si accartoccia al suolo. Ancheuna versione può disgregarsi: cioè imbattersi in difficoltà insormonta-bili e smettere di funzionare. 68

Osservare quel che accade quando muore è essenziale per chiarire l’iden-tità di Ser Agilulfo: morendo, l’armatura che indossa «si accartoccia alsuolo». Ser Agilulfo e la propria armatura esistono sincronicamente o nonesistono affatto. Ma Ser Agilulfo non è di necessità costretto a indossareun’unica armatura nel corso della propria esistenza: «L’armatura può es-sere cambiata». Ma se non c’è alcuna armatura da indossare, il cavalierenon ha esistenza, perché l’esistenza, ancora e con una gnoseologia irreali-stica, è vincolata all’armatura: Ser Agilulfo vincola la propria identità al-l’armatura che indossa. Che sia un’armatura (una versione del mondo) astabilire la qualità ontologica di Ser Agilulfo (del mondo) è un argomentocoerente a una gnoseologia costruzionalistica: il criterio che dà al mondoesistenza e identità è vincolato alla versione che descrive il mondo. Anco-ra: «Possiamo avere parole senza un mondo ma non mondi senza paro-le» 69. Ser Agilulfo muore se non indossa armatura alcuna. È inesistente,se non per via dell’armatura che indossa. L’Ulisse, tuttavia, sopravvivesenza lettura.

Il destino dell’Ulisse solleva interrogazioni sull’identità del cavaliereinesistente, domandando se al variare delle armature indossate sopravvi-va o non sopravviva un criterio di identità (domandando che cosa accadatra una vecchia armatura sfilata e una nuova armatura indossata e se resti,tra l’una e l’altra, qualcuno a sfilare e a indossare armature). Del resto,alle armature è dato variare, ma a Ser Agilulfo resta, ciascuna volta, unnome e non più d’uno, a suggerire che l’identità di Ser Agilulfo sia auto-noma dall’armatura sfilata o indossata. Che allo sguardo di chi osservanon sia visibile cavaliere alcuno se non attraverso un’armatura è altro dalconcludere che non esista cavaliere alcuno se non attraverso un’armatura:in un caso, è riconosciuta l’esistenza di un’alterità ontologica, malgradonon sia sondata se non attraverso le parole che, dell’alterità ontologica,descrivono la qualità di esistenza; nell’altro, il destino di esistenza di un

68 Goodman, Storie su storie cit., p. 117.69 Id., Vedere e costruire il mondo cit., p. 7.

63

oggetto è vincolato con rigorosa necessità all’articolazione delle paroleche, descrivendo l’oggetto, stabiliscono quale sia la qualità dell’esistenzache costruiscono.

L’impasse del cavaliere inesistente di Calvino traduce in uno scenarioestetico alcuni tra i cardini del lavoro di Goodman a proposito dell’ideadi verità, cioè a proposito della relazione tra mondo e teoria. Una teoria,che sia un oggetto d’arte o che sia un modello scientifico, è un simbolo(un’articolazione di simboli) 70. E un modello scientifico condivide conun oggetto d’arte un meccanismo preciso:

L’esemplificazione è centrale ugualmente nella scienza […]. Per costrui-re una prova a favore o contro una teoria, occorre interpretarla comeproprietà esemplificatoria pertinente alla verità o falsità della teoria. Eper costruire un’argomentazione valida o non valida, occorre interpre-tarla come sequenza di asserzioni che esemplificano una struttura lo-gica. 71

E Goodman ricorda che l’esemplificazione, frequente nell’arte, è tutt’alpiù un sintomo assiduo dell’artistico: non sufficiente e non necessario,cioè non esclusivo dell’arte. Un modello scientifico, analogamente a unoggetto d’arte, esemplifica – esemplifica per argomentare la propria veri-tà. La differenza tra simbolo estetico (artistico) e simbolo scientifico staaltrove: «La densità, la saturazione e l’esemplificazionalità, dunque, sonocontrassegni dell’estetico; l’articolazione, l’attenuazione e la denotaziona-lità, contrassegni del non estetico» 72 (con eccezioni: non soltanto l’esem-plificazionalità agisce altrove, ma, ancora, ciascuno dei sintomi non è dinecessità visibile in un simbolo dell’uno o dell’altro genere). Le qualitàdel simbolo artistico (densità sintattica, densità semantica, saturazionesintattica e attitudine esemplificativa) non sono esclusive. Tuttavia, di-stinguono, per lo più, il simbolo artistico dal simbolo non artistico (dalmodello scientifico): un simbolo artistico per lo più esemplifica (letteral-mente e metaforicamente) e per lo più è denso. Essendo denso, ha unastruttura non notazionale 73. E se le capacità richieste da un sistema nota-

70 Con omogeneità e disomogeneità. Ricordando alcune osservazioni a propositodella specificità del simbolo artistico: «La differenza fra arte e scienza» è risolta «nelpredominio di certe caratteristiche specifiche dei simboli» (Id., I linguaggi dell’arte cit.,p. 222), che alludono, nel caso dell’arte, ai sintomi estetici dei quali è stato detto.

71 Goodman - Elgin, Reconceptions in philosophy cit., p. 20.72 Goodman, I linguaggi dell’arte cit., p. 214.73 Cfr. ivi, in particolare il capitolo sulla teoria della denotazione. Un sistema sim-

bolico notazionale è distinto, anzitutto, dall’«indifferenza-di-carattere fra gli esemplaridi ogni carattere» (ivi, p. 115). «Il secondo requisito perché uno schema sia notazionaleè […] che i caratteri siano finitamente differenziati o articolati» (ivi, p. 118). E, da unpunto di vista semantico, occorre che i sistemi «siano non ambigui», all’interno di una

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zionale sono «la non-ambiguità, la disgiunzione e la differenziazione sin-tattica e semantica» 74, un sistema non notazionale, cioè artistico, è per lopiù ambiguo, ridondante e, specialmente, non congruente: un sistemanon notazionale non dà alcuna relazione che non sia variabile. Non allu-de a simboli che uniscono alterità vincolate con rigore l’una all’altra. Ar-rangement in black and grey esemplifica letteralmente una composizionein toni di grigio ed esemplifica metaforicamente (esprime) un’emozione.Ma né tra la donna dipinta e i toni di grigio né tra la donna dipinta el’emozione è stabilita una relazione non variabile (costante): consueta,tutt’al più, ma agevolmente variabile 75. La celebre equazione ‘E = mc2’, alcontrario, allude a una relazione non variabile (costante) tra l’energia e lamassa di un corpo. La madre di Whistler dipinta in toni di grigio non al-lude ad alcuna relazione non variabile (costante) che vincoli la madre diWhistler dipinta in toni di grigio all’emozione espressa in Arrangement inblack and grey. Tuttavia, Arrangement in black and grey non soltanto èvero: essendo vero, è assolutamente vero, malgrado sia vero sui generis.

Quando Goodman lavora al costruzionalismo, continua a osservareun criterio essenziale di verità: il criterio di non contraddizione. «La solu-zione è questa: versioni conflittuali, se vere, sono vere in mondi diversi.Un mondo in cui la terra si muove non è un mondo in cui la terra è fer-ma» 76. Versioni in conflitto sono vere, autenticamente vere, se non viola-no il criterio di non contraddizione, essendo vera, ciascuna, di un mondoproprio. Il «relativismo» di Goodman (il «relativismo radicale» del qualeGoodman parla in Ways of worldmaking 77) è autentico soltanto in appa-renza: che sia riconosciuta esistenza a uno o a infiniti mondi, di ciascunmondo è vera non più d’una versione. E una versione, essendo vera dinon più d’un mondo, è assolutamente vera. È vera con esclusività e consaturazione del mondo che descrive. Il «relativismo radicale» di Good-man accorda un’illimitata densità di versioni non attraverso una riduzio-ne dell’ambizione assolutistica della verità, ma attraverso un meccanismodi divisione: il criterio di non contraddizione non è violato in uno scena-

«relazione di congruenza […] invariante» (ivi, p. 128). «L’ultimo requisito di un siste-ma notazionale è la differenziazione semantica finita» (ivi, p. 132).

74 Ivi, p. 135.75 Langer osserva qualcosa di questo genere a proposito del simbolo musicale, che è

un simbolo «inconsumato», non sottintendendo una relazione necessaria tra sé e il pro-prio oggetto di riferimento: «L’articolazione è la sua vita, non l’asserzione […]. La verafunzione del significato, che richiede contenuti permanenti, non è adempiuta, dato chemai si compie esplicitamente l’assegnazione ad ogni forma di uno piuttosto che un altropossibile significato» (Langer, Filosofia in una nuova chiave cit., p. 307).

76 Goodman - Elgin, Reconceptions in philosophy cit., p. 50.77 Goodman, Vedere e costruire il mondo cit., p. VIII.

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rio gnoseologico che costruisce versioni vere, ciascuna, di un mondo al-tro, segregato da ciascun altro mondo. Goodman non toglie vigore allanozione di verità ricorrendo al «relativismo»: al contrario, dà vigore allanozione di verità ricorrendo alla segregazione. Il «relativismo radicale»allude a uno scenario ontologico e logico atomizzato: esistono infinitimondi, ciascun mondo essendo diviso dal destino di esistenza e di veritàdi ciascun altro.

È per questa via che Goodman riconosce alle arti un valore gnoseolo-gico autentico: un oggetto d’arte è una versione di un mondo che, co-struendo un mondo, dice, del mondo che costruisce, la verità – una veritàautentica, non essendo violato il criterio di non contraddizione. Il dipintoArrangement in black and grey è vero perché è vero dell’emozione cheesprime. L’equazione ‘E = mc2’ è vera perché è vera del mondo descrittodalla teoria della relatività di Einstein. L’uno e l’altra sono veri essendoveri, ciascuno, con logica propria. Se c’è verità, c’è verità, sui generis, as-soluta. È questo quel che accade, malgrado il «relativismo radicale» delquale parla Goodman, in uno scenario gnoseologico irrealistico.

Che ci sia densità, con Arrangement in black and grey, o che ci sia ar-ticolazione, con l’equazione ‘E = mc2’, un simbolo vincola al meccanismodi esemplificazione un criterio essenziale di verità: un simbolo è vero seesemplifica la correttezza della relazione tra sé e il sistema linguistico diriferimento. Che sia un dipinto o che sia un’equazione, un simbolo, e-semplificando, vincola la propria qualità veritativa a una strategia autore-ferenziale, cioè intrateorica: descrive un oggetto dicendo di sé e verifica laverità di quel che dice ricorrendo a criteri che dirigono relazioni tra paro-le (relazioni articolate tra sé e il proprio sistema linguistico di riferimen-to). Il mondo al quale le parole alludono è un mondo creato da paroleche costruiscono un orizzonte ontologico proprio, non un mondo che, al-tro da quel che del mondo è detto, ha una qualità di esistenza autonomae agisce, per via della propria autonomia ontologica, da riferimento epi-stemico, determinando la qualità della verità delle parole. C’è epistéme sec’è un diábolos a fondare un sy’mbolon, non viceversa: c’è epistéme se au-tentiche alterità ontologiche sono unite attraverso una relazione simboli-ca, non se accade di «separare» da un «oggetto» «qualche proprietà par-ticolare» dell’«oggetto» «per considerarla separatamente». L’epistéme do-manda una relazione autentica (articolata tra alterità eterogenee), nonuna relazione non autentica (articolata tra alterità omogenee). L’epistémenon domanda, semplicemente, un meccanismo di astrazione, che è il mec-canismo dal quale è dato il simbolo di Goodman. La gnoseologia di Good-man non è epistéme, perché non c’è alcun sy’mbolon che agisce unendo al-terità autentiche (eterogenee), ma c’è un sy’mbolon che, per via dell’omo-geneità tra l’«oggetto» e «qualche proprietà particolare» dell’«oggetto»,

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dice, della «proprietà particolare» dell’«oggetto», qual è l’identità (Arran-gement in black and grey, per via dell’omogeneità tra sé e la tradizioneraffigurativa alla quale allude, dice, di sé, qual è l’identità). Il sy’mbolon diGoodman, che dice dell’identità di sé in occasione di una forma, nonapre all’epistéme, dicendo di altro da sé, ma apre a un sovraffollato oriz-zonte di versioni e di esistenze atomiche, nel quale le versioni sono veredelle esistenze atomiche che costruiscono.

4. ‘CATTIVA INFORMAZIONE’

La disponibilità ad accettare innumerevoli versioni alternative delmondo vere, o corrette, a volontà, non significa che ogni cosa va egual-mente bene, che un racconto lungo è per forza un buon raccontoquanto uno breve, che le verità non si distinguono più dalle falsità. 78

A proposito del proprio «relativismo radicale», Goodman sollecita confrequenza, tuttavia, la conservazione di un criterio di distinzione tra quelche è vero e quel che è falso: sono accordabili più versioni del mondo seciascuna versione è vera di un mondo. Un oggetto d’arte, che è una ver-sione del mondo vera, essendo vera di un mondo proprio, agisce, malgra-do conservi meccanismi di articolazione particolari, analogamente a unmodello scientifico.

Feyerabend, contro il quale Goodman argomenta in Reconceptions inphilosophy and other arts and sciences 79, condivide con Goodman l’ideache le descrizioni artistiche e le descrizioni scientifiche abbiano una capa-cità veritativa analoga. Tuttavia, al proprio lettore dice: «forse vorrestesentire la verità. Se è questo ciò che volete, […] forse dovreste trovarvialtrove: ma giuro sulla mia vita che non saprei dirvi dove esattamente»80.Contro Goodman, Feyerabend lavora a uno scenario gnoseologico «anar-chico» 81: non accade che non vi siano regole affinché ci sia verità, ma le

78 Ivi, p. 111.79 In Goodman - Elgin, Reconceptions in philosophy cit., pp. 51-52, Goodman os-

serva: «Ad avviso di filosofi come Rorty, Kuhn e Feyerabend, perdere il mondo orientaa uno scetticismo che non distingue tra che cosa è vero e che cosa è falso e indirizza lescienze e la ricerca a un’oziosa conversazione. A nostro avviso, il rifiuto delle nozioninon convincenti di un mondo dato e di una verità discesa dal mondo dato accrescel’importanza della distinzione tra versioni corrette e versioni non corrette. Possiamo co-struire versioni a volontà, ma la costruzione di versioni corrette e non corrette (di mon-di, dunque) […] richiede abilità e attenzione».

80 P.K. Feyerabend, Ambiguità e armonia, a cura di F. Castellani, Roma - Bari, La-terza, 1998, p. 18.

81 Dal celebre Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza,

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regole sono tanto agevolmente surrogabili da condurre «l’anarchico epi-stemologico» a non avere «alcuno scrupolo a difendere anche l’asserzio-ne più trita o mostruosa» 82. Ed è questo il casus che dà legalità all’acco-stamento della qualità veritativa di un oggetto d’arte alla qualità veritativadi un modello scientifico 83: nell’un caso e nell’altro, non c’è verità che siaqualcosa più di «una tradizione fra le tante» 84.

Con il costruzionalismo di Goodman, Feyerabend condivide l’ideache il soggetto gnoseologico eserciti, sui generis, una facoltà di costruzione:

Essendo nel mondo, non ci limitiamo a imitare e a costruire eventi, mali ricostruiamo mentre li imitiamo, mutando di conseguenza ciò che sisuppone siano gli oggetti stabili della nostra attenzione. Tale comples-sa interazione tra ciò che è e le attività (individuali e sociali) che porta-no a ciò che è detto essere rende impossibile separare la ‘realtà’ dallenostre opinioni nel modo che pretendono i realisti. 85

trad. it. di L. Sosio, prefazione di G. Giorello, Milano, Feltrinelli, 2003, pp. 24-25:«L’anarchismo epistemologico differisce sia dallo scetticismo sia dall’anarchismo politi-co (religioso). Mentre lo scettico considera ogni opinione ugualmente buona, o ugual-mente cattiva, o desiste completamente dal dare tali giudizi, l’anarchico epistemologiconon ha alcuno scrupolo a difendere anche l’asserzione più trita o mostruosa. Mentrel’anarchico politico o religioso vuole abolire una certa forma di vita, l’anarchico episte-mologico può desiderare di difenderla, perché egli non ha alcun sentimento eterno difedeltà, o di avversione, nei confronti di alcuna istituzione o ideologia. Come il dadai-sta, al quale assomiglia assai più che non somigli all’anarchico politico, egli ‘non soltan-to non ha un programma, ma è contro tutti i programmi’, anche se in qualche occasionesarà il più rumoroso fra i difensori dello status quo o fra i suoi oppositori: ‘per essereveri dadaisti, si dev’essere antidadaisti’. […] Il suo passatempo favorito consiste nelconfondere i razionalisti inventando ragioni convincenti a sostegno di dottrine irragio-nevoli. Non c’è alcuna opinione, per quanto ‘assurda’ o ‘immorale’, che egli si rifiuti diprendere in considerazione o in conformità con la quale si rifiuti di agire, e nessun me-todo è considerato indispensabile. L’unica cosa alla quale egli si opponga fermamente eassolutamente sono gli standard universali, le leggi universali, le idee universali come‘Verità’, ‘Ragione’, ‘Giustizia’, ‘Amore’ e il comportamento che esse implicano, anchese egli non nega spesso sia una buona politica agire come se tali leggi (tali standard, taliidee) esistessero e se egli credesse in esse».

82 Ivi, p. 24.83 Analogamente, la tradizione pragmatistica, che argomenta una nozione di verità

vincolata a uno scenario gnoseologico antifondazionalistico, accosta i risultati gnoseolo-gici delle arti e delle scienze. Cfr., ad esempio, Dewey, ricordato anche da Rorty (R.Rorty, Conseguenze del pragmatismo, trad. it. di F. Elefante, Milano, Feltrinelli, 1986,pp. 37-38): «Il pragmatismo […] considera la scienza un genere letterario, ribaltando laquestione, la letteratura e le arti campi d’indagine, allo stesso titolo dell’indagine scien-tifica».

84 P.K. Feyerabend, Addio alla ragione, trad. it. di M. D’Agostino, Roma, Arman-do, 1990, p. 57.

85 Id., Conquista dell’abbondanza. Storie dello scontro fra astrazione e ricchezza del-l’essere, trad. it. di P. Adamo, Milano, Cortina, 2002, p. 151.

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Infine, «non si aggiungono […] fatti a fatti già esistenti, ma tutti i fattivengono sostituiti da fatti di tipo completamente diverso. Abbiamo unmutamento qualitativo» 86. L’analogia con il costruzionalismo di Good-man sta nell’idea che le «opinioni» sui «fatti» contaminino i «fatti»87 eche il variare delle «opinioni» non sia, per così dire, l’aggiustamento diuno scenario, ma la migrazione da uno scenario a un altro. La variazionenon agisce con l’aggiunta di un elemento nuovo agli elementi vecchi. È laqualità dello scenario a variare: varia la qualità ontologica dello scenarioosservato, perché l’aggiunta di elementi nuovi contamina con radicalità laqualità degli elementi vecchi. Ma, ad avviso di Feyerabend, a una costru-zione sui generis è unito un esercizio gnoseologico che «imita» gli «even-ti»: la costruzione interviene accanto alla tensione a distinguere, malgra-do il risultato non dia rigore alcuno, «tra ciò che è e le attività (individua-li e sociali)» (tra «la ‘realtà’» e l’esercizio gnoseologico del soggetto). Lavariazione da alcune «opinioni» ad altre non costringe a una variazioneontologica radicale. La non attualità di una distinzione tra «opinioni» e«fatti» («eventi») non dirige a «fatti» (a «eventi») che esistono «senza pa-role». Dirige, diversamente, a «fatti» (a «eventi») dei quali non è data ve-rità che sia rigorosa, essendo assolutamente vera relativamente a un og-getto. Di un oggetto (che è il risultato del «costruire», ma anche la genesidell’«imitare») non è data verità rigorosa perché dell’oggetto è data piùd’una verità, l’una in conflitto con l’altra, essendo l’una vera di un ogget-to che non è radicalmente altro dall’oggetto del quale è vera l’altra. Ilpluralismo ontologico di Goodman, che distingue con radicalità sia l’unaverità dall’altra sia l’un oggetto dall’altro, suggerisce che le variazioni ve-ritative e ontologiche siano sincroniche: ciascuna verità è vera di un og-getto che esiste sincronicamente agli oggetti dei quali sono vere le altreverità. Le variazioni veritative e ontologiche non violano il criterio di noncontraddizione, registrando verità e oggetti in conflitto logico e ontologi-co, perché il pluralismo ontologico di Goodman divide sia l’una veritàdall’altra sia l’un oggetto dall’altro. La sincronicità veritativa e ontologicache non viola il criterio di non contraddizione è argomentata da Good-man e non da Feyerabend perché Feyerabend non sospende con analogaradicalità l’idea che, «senza parole», esista quel «che è» (una «‘realtà’»che non sia integralmente congruente alle «opinioni»).

Il pluralismo ontologico di Goodman costringe a una nozione di veri-

86 Id., Scienza come arte, introduzione di M. Pera, Roma - Bari, Laterza, 1984, p.174. Cfr. T.S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, trad. it. di A. Carugo,Torino, Einaudi, 1978.

87 Da qui l’idea di uno scienziato «opportunista» (cfr. Feyerabend., Scienza comearte cit.).

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tà più rigorosa: Goodman non può «difendere anche l’asserzione più tri-ta o mostruosa». Feyerabend, al contrario, riduce il rigore veritativo diuna teoria a proposito della «‘realtà’» attraverso una storicizzazione dellanozione di verità, analogamente a Kuhn. Le infinite variazioni veritativesono, per lo più, storiche: a proposito di «fatti» che non variano con laradicalità con la quale variano i mondi di Goodman, variano infinite veri-tà, per lo più diacronicamente. Con Feyerabend, è l’infinita variazionedelle verità, più radicale della variazione dei «fatti», a dissolvere l’idea diuna verità rigorosa, che non viola il criterio logico di non contraddizione.Goodman, al contrario, vincola al meccanismo di segregazione veritativae ontologica la conservazione del criterio logico di non contraddizione,che continua a distinguere tra quel che è vero e quel che è falso: il «relati-vismo radicale» di Goodman è un «irrealismo» gnoseologico che conti-nua ad accordare esclusività alla nozione di verità.

Riconoscere a un oggetto d’arte un valore gnoseologico analogo aquello di un modello scientifico è il risultato di due meccanismi diversi: illicenziamento di una nozione rigorosa di verità, con Feyerabend; la con-servazione di una nozione rigorosa di verità, con Goodman. Nell’un caso,la capacità gnoseologica delle arti è analoga a quella delle scienze essen-do, l’una e l’altra, non esclusive a sufficienza. Nell’altro, la capacità gno-seologica delle arti è analoga a quella delle scienze essendo, l’una e l’altra,dirette a un orizzonte ontologico proprio, del quale essere vere con esclu-sività. Ma resta, nell’un caso e nell’altro, lo scioglimento di una relazioneautentica tra una teoria e un oggetto e tra una teoria e l’altra: ad avviso diFeyerabend, l’una è sciolta per la non adeguatezza epistemica della teoriae l’altra è sciolta per l’incommensurabilità tra le teorie; ad avviso di Good-man, l’una è sciolta per l’anteriorità della teoria all’oggetto e l’altra èsciolta per la segregazione tra le teorie (ancora, infine, per l’incommensu-rabilità tra le teorie). Nell’un caso, l’incommensurabilità agisce compro-mettendo l’idea di verità: «forse vorreste sentire la verità. […] forse do-vreste trovarvi altrove: ma giuro sulla mia vita che non saprei dirvi doveesattamente» 88. Nell’altro, conservando l’idea di verità con il pluralismoontologico: «La soluzione è questa: versioni conflittuali, se vere, sonovere in mondi diversi» 89. Analogamente, nell’un caso e nell’altro, è la re-lazione tra alterità autentiche a essere sospesa: dubitando della capacitàepistemica di una teoria, in un caso; estinguendo l’esistenza di un mondod’origine condiviso che agisce da criterio epistemico, nell’altro. Con Fe-yerabend e con Goodman, è la qualità epistemica della relazione a esserecongedata.

88 Id., Ambiguità e armonia cit., p. 18.89 Goodman - Elgin, Reconceptions in philosophy cit., p. 50.

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90 Diabállein allude, tra l’altro, a un’articolazione dell’idea di ‘divisione’, passandoall’idea di ‘cattiva informazione’ (cfr. oi diabállontes, ‘coloro che dicono il falso’) e, infi-ne, all’idea di ‘maldicenza’, di ‘inganno’ e di ‘calunnia’. Alla ‘cattiva informazione’, che,informando a proposito di sé e non di altro da sé, surroga la verità, allude anche la de-scrizione che Giovanni (8, 44) dà del diavolo: «il diavolo […] non perseverò nella veri-tà; perché in lui non c’è verità; quando mentisce parla di quel che gli è proprio».

Archiviata la qualità epistemica della relazione tra esercizio gnoseolo-gico e oggetto, che la verità restituita da una teoria sia rigorosa o non siarigorosa, una teoria misura la propria qualità veritativa per via di sé (pervia dei propri criteri gnoseologici). Goodman suggerisce che l’idea di ve-rità sia conservata con più rigore in uno scenario gnoseologico che conpiù radicalità misura la propria qualità veritativa attraverso criteri nonepistemici: la verità è più rigorosa se è, per così dire, più artificiale, essen-do divisa (diabállein) da un’interrogazione a proposito di un orizzonteontologico anteriore all’orizzonte logico. Agendo in uno scenario gnoseo-logico non epistemico, la verità più rigorosa è la verità più artificiale che,dicendo il vero a proposito di un oggetto altro, in apparenza, da sé (Y),dice il vero di sé (X). La divisione dell’orizzonte logico da un orizzonteontologico anteriore all’orizzonte logico è diretta (può essere diretta) auna nozione di verità che è vera di sé e che è epistemicamente falsa: l’eser-cizio del diabállein arriva (può arrivare) alla ‘cattiva informazione’ di ‘co-loro che dicono il falso’ (oi diabállontes) 90, perché dicono il vero con falsaepistéme.

Chiodo S.
Visione o costruzione
SEGUE