'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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SIMON BOCCANEGRA

FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA

LA FENICE PER VERDI 2001

Si ringrazia per la collaborazione

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Ritratto di Giuseppe Verdi. (1851).

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SIMON BOCCANEGRA

musica diGIUSEPPE VERDI

PALAFENICE AL TRONCHETTOversione Milano 1881

Venerdì 26 gennaio 2001, ore 20.00, turno ADomenica 28 gennaio 2001, ore 15.30, turno BMartedì 30 gennaio 2001, ore 20.00, turno DGiovedì 1 febbraio 2001, ore 20.00, turno ESabato 3 febbraio 2001, ore 15.30, turno C

versione Venezia, Teatro La Fenice 1857

Venerdì 2 febbraio 2001, ore 20.00, fuori abb.in forma di concerto

FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA

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Edizioni dell’Ufficio Stampadel TEATRO LA FENICE

Responsabile Cristiano Chiarot

Coordinamento musicologico e redazionaleCarlida Steffan

Hanno collaboratoPierangelo Conte, Giorgio Tommasi

Ricerca iconograficaMaria Teresa Muraro

CopertinaTapiro

Pubblicità AP srl TorinoVeNet Venezia

In copertinaGIUSEPPE VERDI

(Roncole di Bussetto, Parma 1813 - Milano 1901)

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SOMMARIO

7LA LOCANDINA

11I LIBRETTI

70SIMON BOCCANEGRA IN BREVE

73STRUTTURA MUSICALE DELL’OPERA

76ARGOMENTO - ARGUMENT - SYNOPSIS - HANDLUNG

95MARCELLO CONATI

UN’OPERA SOLA, DUE DRAMMI DIVERSIGENESI E VICENDE DEL SIMON BOCCANEGRA

135DANIELA GOLDIN FOLENA

SIMÓN BOCANEGRA DA VERDI A PIAVE A BOITO

145MARCO BEGHELLI

DA VENEZIA A MILANOIL LIFTING VOCALE DEI CINQUE PROTAGONISTI

155HAROLD S. POWERS

ANALIZZANDO SIMON BOCCANEGRA

175LAURA MEGNA

SIMONE BOCCANEGRA E IL DOGADO A GENOVA

185CARMELO DI GENNARO

INTERVISTA A ELIO DE CAPITANI

188SIMON BOCCANEGRA ALLA FENICE

195GIUSEPPE VERDI

a cura di MIRKO SCHIPILLITI

219BIBLIOGRAFIA PER IL CENTENARIO

a cura di GILDO SALERNO

227BIOGRAFIE

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Carlo Sala, bozzetto per Simon Boccanegra. Venezia, PalaFenice, gennaio 2001.

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LA LOCANDINA

SSIIMMOONN BBOOCCCCAANNEEGGRRAAmelodramma in un prologo e tre atti (versione definitiva Milano 1881)

libretto di FRANCESCO MARIA PIAVE

con aggiunte e modifiche di ARRIGO BOITO

musica di GIUSEPPE VERDIedizione CASA RICORDI, Milano

personaggi ed interpreti principaliSimon Boccanegra CARLO GUELFI

Maria Boccanegra (Amelia) LUCIA MAZZARIAJacopo Fiesco AYK MARTIROSSIAN

Gabriele Adorno FABIO SARTORIPaolo Albiani MARCO VRATOGNA

Pietro PAOLO RUMETZUn Capitano dei balestrieri DARIO BALZANELLI

Un’ancella di Amelia GISELLA PASINO

regia ELIO DE CAPITANIscene e costumi CARLO SALA

video e assistente regia FRANCESCO FRONGIA

luci FABIO BARETTIN

–––––––– • ––––––––

in forma di concerto prima esecuzione in tempi moderni della partitura originale

SSIIMMOONN BBOOCCCCAANNEEGGRRAAmelodramma in un prologo e tre atti (prima versione Venezia, Teatro La Fenice 1857)

libretto di FRANCESCO MARIA PIAVE

musica di GIUSEPPE VERDIpersonaggi ed interpreti principali

Simon Boccanegra ANTONIO SALVADORIMaria Boccanegra (Amelia) SERENA FARNOCCHIA

Jacopo Fiesco MAURIZIO MURAROGabriele Adorno MAURIZIO GRAZIANI

Paolo Albiani MARCO DI FELICEPietro PAOLO RUMETZ

Un’ancella di Amelia GISELLA PASINO

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maestro concertatore e direttore

ISAAC KARABTCHEVSKYORCHESTRA E CORO DEL TEATRO LA FENICE

direttore del Coro GIOVANNI ANDREOLImaestro del Coro ALBERTO MALAZZI

nuovo allestimento

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direttore musicale di palcoscenico GIUSEPPE MAROTTAdirettore di palcoscenico PAOLO CUCCHI

responsabile allestimenti scenici MASSIMO CHECCHETTOaltro direttore di palcoscenico LORENZO ZANONI

maestri di sala STEFANO GIBELLATO, ROBERTA FERRARImaestri di palcoscenico SILVANO ZABEO, ILARIA MACCACARO

maestro suggeritore PIERPAOLO GASTALDELLOmaestro alle luci GABRIELLA ZEN

capo macchinista VALTER MARCANZINcapo elettricista VILMO FURIANcapo attrezzista ROBERTO FIORIcapo sarta MARIA TRAMAROLLO

responsabile della falegnameria ADAMO PADOVANcapogruppo figuranti CLAUDIO COLOMBINI

scene DECOR PAN (Treviso)attrezzeria RANCATI (Milano), LABORATORIO TEATRO LA FENICE

calzature C.T.C. (Milano) parrucche FABIO BERGAMO (Trieste)

realizzazione contributi video ON AIR (Milano)sistemi video IDEOGRAMMA (Rimini)

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Foto delle prove di Simon Boccanegra. Regia di Elio De Capitani. Venezia, PalaFenice, gennaio 2001.

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Ritratto di Francesco Maria Piave.

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SIMON BOCCANEGRAlibretto in tre atti e un prologo

diFRANCESCO MARIA PIAVE

[con modifiche di GIUSEPPE MONTANELLI]

Venezia, Teatro La Fenice, 1857

IL LIBRETTO

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Foto di Giuseppe Verdi con dedica autografa «All’Amico Checco Maria Piave. Venezia 19 Febbraio 1857».

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Frontespizio del libretto per la prima rappresentazione assoluta di Simon Boccanegra. Venezia, Teatro LaFenice, 12 marzo 1857. (Venezia, Archivio Storico del Teatro La Fenice).

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Prologo

PERSONAGGI ARTISTISIMON BOCCANEGRA, corsaro al servizio della repubblica genovese Giraldoni LeoneJACOPO FIESCO, nobile genovese Echeverria GiusPAOLO ALBIANI, filatore d’oro genovese Vercellini GiacomoPIETRO, popolano di Genova Bellini Andrea

Marinai, popolo, domestici di Fiesco, ec.

Dramma

SIMON BOCCANEGRA, primo doge di Genova Giraldoni LeoneMARIA BOCCANEGRA, sua figlia, sotto il nome di AMELIA Bendazzi LuigiaJACOPO FIESCO, sotto il nome d’ANDREA Echeverria Gius.GABRIELE ADORNO, gentiluomo genovese Negrini CarloPAOLO, cortigiano favorito del doge Vercellini GiacomoPIETRO, altro cortigiano Bellini AndreaUN SERVO DI AMELIA N.N.

Soldati, marinai, popolo, senatori, corte del doge, prigioni e donne africane, ec.

L’azione è in Genova e sue vicinanze, nella prima metà del secolo XIV.

N.B.: Tra il Prologo ed il Dramma passano alcuni lustri.

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PrologoUNA PIAZZA DI GENOVA.

Nel fondo è la chiesa di san Lorenzo, che verrà poi illuminata internamente. A destra delloSpettatore è il palazzo dei Fieschi in marmo, con portone e gran balcone praticabili. Nellafacciata di fianco al balcone è una Immagine, davanti a cui arde un lanternino. Fra il palazzo ela chiesa è una strada. Alla sinistra una casa di povero aspetto; altra più regolare nel fondo. Fratali due case entra una via. Comincia a far notte.

SCENA PRIMA

PAOLO e PIETRO in iscena, continuando un discorso.

PAOLO Che dicesti?… all'onor di primo abate Lorenzin, l'usuriere?…

PIETRO Altro proponiDi lui più degno!

PAOLO Il prode, che da’ nostri Mari cacciava l’african pirata,E al ligure vessilloRese l’antica nominanza altera.

PIETRO Intesi… e il premio?…PAOLO Oro, possanza, onore.PIETRO Vendo a tal prezzo il popolar favore. (si dan la mano; Pietro parte)

SCENA II.

PAOLO solo.

Abborriti patrizii,Alle cime ove alberga il vostro orgoglio,Disprezzato plebeo, salire io voglio.

SCENA III.

DETTO e SIMONE che entra frettoloso.

SIMONE Un amplesso… Che avvenne? – Da SavonaPerché qui m’appellasti?

PAOLO All’alba elettoEsser vuoi nuovo abate?

SIMONE Io?… no.PAOLO Ti tenta

Ducal corona?SIMONE Vaneggi?PAOLO (con intenzione) E Maria?

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SIMONE O vittima innocenteDel funesto amor mio!… Dimmi, di leiChe sai?… Le favellasti?…

PAOLO (additando il palazzo Fieschi) Prigioniera Geme in quella magion…

SIMONE Maria!PAOLO Negarla

Al Doge chi potria?SIMONE Misera!PAOLO Assenti?SIMONE Paolo…PAOLO Tutto disposi… e sol ti chiedo

Parte ai perigli e alla possanza…SIMONE Sia…PAOLO In vita e in morte?…SIMONE Sia.PAOLO S’appressa alcun… T’ascondi…

Per poco ancor, mistero ti circondi. (Simone entra in chiesa, Paolo s’appoggia alpalazzo dei Fieschi in modo da essere illuminato dal lanternino. È notte.)

SCENA IV.

PAOLO, PIETRO, Marinari, Artigiani.

PIETRO All’alba tutti qui verrete?CORO Tutti.PIETRO Niun pei patrizii?…CORO Niuno. – A Lorenzino

Tutti il voto darem.PIETRO Venduto è a’ Fieschi.CORO Dunque chi fia l’eletto?PIETRO Un prode.CORO Sì.PIETRO Un popolan…CORO Ben dici… ma fra i nostri

Sai l’uom?PIETRO Sì.CORO E chi? Risuoni il nome suo!PAOLO Simone Boccanegra. (avanzandosi)CORO Il Corsar?PAOLO Sì… il Corsaro all’alto scranno…CORO È qui?PAOLO Verrà.CORO E i Fieschi?PAOLO Taceranno. (Chiama tutti intorno a sè; quindi, indicando il

palazzo de’ Fieschi, dice loro con mistero:)L’atra magion vedete?… de’ Fieschi è l’empio ostello,

Una beltà infelice geme sepolta in quello;Sono i lamenti suoi la sola voce umanaChe risuonar s’ascolta nell’ampia tomba arcana.

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CORO Già volgono più lune, che la gentil sembianzaNon allegrò i veroni della romita stanza;Passando ogni pietoso invan mirar desia La bella prigioniera, la misera Maria.

PAOLO Si schiudon quelle porte solo al patrizio altero,Che ad arte si ravvolge nell’ombre del mistero…Ma vedi in notte cupa per le deserte saleErrar sinistra vampa, qual d’anima infernale.

CORO Par l’antro de’ fantasimi!… Oh qual terror!…PAOLO (Si vede il riverbero d’un lume) Guardate,

La fatal vampa appare…CORO Oh ciel!…PAOLO V’allontanate.

Si caccino i demonii col segno della croce…All’alba.

CORO Qui.PIETRO Simon.CORO Simone ad una voce. (partono)

SCENA V.

FIESCO esce dal palazzo, che chiude da fuori, scordando la chiave nella toppa; poi Donne e Servi a tempo.

FIESCO A te l’estremo addio, palagio altero,Freddo sepolcro dell’angiolo mio! …Né a proteggerti io valsi!… Oh maledetto!…E tu, Vergin, soffristi (volgendosi all’Immagine)Rapita a lei la virginal corona?…Ma che dissi!… deliro!… ah mi perdona! (s’inginocchia)

Il lacerato spirito Del misero vegliardoDi più crudele spasimoEra segnato al dardo. –Il serto a lei de’ martiriPietoso il cielo diè…Resa al fulgor degli angeli,Prega, Maria, per me

(S’odono lamenti dall’interno del palazzo.)DONNE È morta!… È morta!… a lei s’apron le sfere!…

Mai più!… mai più non la vedremo in terra!…UOMINI Miserere!… miserere!… (Al suono di lugubre marcia Donne in lutto e Domestici

escono dal palazzo, attraversano la scena e spariscono.)

SCENA VI.

DETTO e SIMONE che allontanandosi dalla chiesa si dirige verso FIESCO.

SIMONE Suona ogni labbro il mio nome. – O Maria,Forse in breve potrai

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Dirmi tuo sposo!… alcun veggo!… chi fia?FIESCO Simon?…SIMONE Tu!FIESCO Qual cieco fato

A oltraggiarmi ti traea?…Sul tuo capo io qui chiedeaL’ire vindici del ciel.

SIMONE Padre mio, pietade imploroSupplichevole a’ tuoi piedi…Il perdono a me concedi…

FIESCO Tardi è omai –SIMONE Non sii crudel.

Sublimarmi a lei speraiSopra l’ali della gloria,Strappai serti alla vittoriaPer l’altare dell’amor.

FIESCO Io fea plauso al tuo valore,Ma le offese non perdono…Te vedessi asceso in trono…

SIMONE Taci…FIESCO Segno all’odio mio

E all’anatema di DioÈ di Fiesco l’offensor.

SIMONE Pace…FIESCO No – pace non fora

Se pria l’un di noi non mora.SIMONE Vuoi col sangue mio placarti? (gli presenta il petto)

Qui ferisci…FIESCO Assassinarti?… (ritirandosi con orgoglio)SIMONE Sì, m’uccidi, e almen sepolta

Fia con me tant’ira…FIESCO Ascolta:

Se concedermi vorraiL’innocente sventurataChe nascea d’impuro amor,Io, che ancor non la mirai,Giuro renderla beata,E tu avrai perdono allor.

SIMONE Nol poss’io!FIESCO Perchè?SIMONE Rubella

Sorte lei rapì…FIESCO Favella?SIMONE Del mar sul lido tra gente ostile

Crescea nell’ombra quella gentile;Crescea lontana dagli occhi miei,

Vegliava annosa donna su lei.Di là una notte varcando, solo

Dalla mia nave scesi a quel suolo.Corsi alla casa… n’era la porta

Serrata, muta!

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FIESCO La donna?SIMONE Morta.FIESCO E la tua figlia?…SIMONE Misera, trista,

Tre giorni pianse, tre giorni errò;Scomparve poscia, nè fu più vista,

D’allora indarno cercata io l’ho.FIESCO Se il mio desire compir non puoi,

Pace non puote esser tra noi!Addio Simone!… (gli volta le spalle)

SIMONE Coll’amor mioSaprò placarti.

FIESCO (freddo senza guardarlo.) No.SIMONE M’odi.FIESCO Addio. (va alla chiesa e si ferma sui gradini della

porta.)SIMONE Oh de’ Fieschi implacata, orrida razza!…

E tra cotesti rettili nasceaQuella pura beltà?… Vederla io voglio…Coraggio! (dà 3 colpi alla porta) Muta è la magion de’ Fieschi?Dischiuse son le porte!…Quale mistero!… entriam. (entra nel palazzo)

FIESCO (dai gradini della chiesa) T’innoltra e stringiGelida salma.

SIMONE (comparisce sul balcone) Nessuno!… qui sempreSilenzio e tenebra!… (stacca il lanternino dalla Immagine, ed entra; s’ode un gridopoco dopo) Maria!… Maria!!

FIESCO L’ora suonò del tuo castigo…SIMONE (esce dal palazzo atterrito) È sogno!…

Sì; spaventoso, atroce sogno il mio!…VOCI Boccanegra!… (lontane)SIMONE Quai voci!VOCI (più vicine) Boccanegra!SIMONE Eco d’inferno è questo!…

SCENA VII.

DETTI, PAOLO, PIETRO, Marinai, Popolo d’ambo i sessi, con fiaccole accese.

CORO Doge il popol t’acclama!SIMONE Via fantasmi!PAOLO Che di’ tu?SIMONE Paolo!… Ah!… una tomba…PAOLO Un trono! …FIESCO (Doge Simon?… m’arde l’inferno in petto! …)CORO Viva Simon, del popolo l’eletto!!! (s’alzano le fiaccole, le campane suonano a stormo…

Tamburi ec. ed alle grida “Viva Simone” cala il sipario.)

Fine del Prologo.

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Atto PrimoPALAZZO DE’ GRIMALDI FUORI DI GENOVA.

Salotto di passaggio con porta nel fondo e largo poggiuolo, fuor del quale si vedrà la campagna ed ilgolfo di Genova. Una porta a sinistra mette alle stanze interne, altra alla destra dà in vari saloni.Qualche tempo dopo l’alzata del sipario albeggia.

SCENA I.

AMELIA sola, seduta presso il poggiuolo.

I.Come in quest’ora bruna

Sorridon gli astri e il mare!Come s’unisce, o luna,All’onda il tuo chiaror!…Amante amplesso pareDi due virginei cor!

II.Ma gli astri e la marina

Che pingono alla menteDell’orfana meschina?…La notte atra, crudel,Quando la pia morenteSclamò: – Ti guardi il ciel.

III.O altero ostel, soggiorno

Di stirpe ancor più altera,Il tetto disadornoNon obliai per te!…Solo in tua pompa austera Amor sorride a me. (È giorno)

Spuntò il giorno!… Ei non vien!… Forse sventura…Forse altro amor!… No, nol consenta Iddio!…L’alma mel dice!… Ei m’ama! È il fido mio.

VOCE Cielo di stelle orbato, (lontana)Di fior vedovo prato,È l’alma senza amor.

AMELIA Ciel!… la sua voce!… È desso!…Ei s’avvicina!… oh gioia!…«Tutto m’arride l’universo adesso!…»

VOCE Se manca il cor che t’ama, (più vicina)Non empiono tua bramaGemme, possanza, onor.

AMELIA Il palpito deh frena,O cara innamorato,In questo dì beato,No, non vorrei morir.

Ad iride somiglia

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La dolce sua parola,Che in terra puote sola Calmare i miei sospir.

SCENA II.

DETTA e GABRIELE dalla destra.

AMELIA Ti veggo alfin – Perché sì tardi giungi?GABRIELE Perdona, o core… I lunghi indugi miei

T’apprestano grandezza…AMELIA Pavento…GABRIELE Che?AMELIA L’arcano tuo conobbi…

A me il sepolcro appresti,Il patibolo a te!…

GABRIELE Che pensi?AMELIA Io amo

Andrea qual padre, il sai;Pur m’atterrisce… In cupaNotte non vi miraiSotto le tetre volte errar soventePensosi, irrequieti?

GABRIELE Chi?AMELIA Tu, e Andrea,

E Lorenzino e gli altri…GABRIELE Ah taci… il vento

Ai tiranni potria recar tai voci!Parlan le mura… un delator s’ascondeAd ogni passo…

AMELIA Tu tremi?…GABRIELE I funesti

Fantasmi scaccia?…AMELIA Fantasmi dicesti?

Vieni a mirar la cerulaMarina tremolante;Là Genova torreggiaSul talamo spumante;Là i tuoi nemici imperano,Vincerli indarno speri…Ripara i tuoi pensieriAl porto dell’amor –

GABRIELE Angiol che dall’empireo Piegasti a terra l’ale,E come faro sfolgoriSul tramite mortale,Non ricercar dell’odioI funebri misteri;Ripara i tuoi pensieriAl porto dell’amor.

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AMELIA (s’appressa alla finestra:)Ah!..

GABRIELE Che mai fia?AMELIA Vedi quell’uom?… qual’ombra

Ogni dì appar.GABRIELE (va alla finestra) Forse un rival?…

SCENA III.

DETTI, un SERVO ch’entra dalla destra, quindi PIETRO dalla parte stessa.

SERVO Del DogeUn messaggier di te chiede.

AMELIA S’appressi.SERVO (esce)GABRIELE Chi sia veder vogl’io… (va per uscire)AMELIA (fermandolo) T’arresta.PIETRO (inchinandosi ad Amelia) Il doge

Dalle caccie tornando di SavonaQuesta magion visitar brama.

AMELIA Il puote. (Pietro parte)

SCENA IV.

GABRIELE ed AMELIA.

GABRIELE Il doge qui?AMELIA Mia destra a chieder viene.GABRIELE Per chi?AMELIA Pel favorito suo. – D’Andrea

Vola in cerca… Affrettatevi… preparaIl rito nuzial… mi guida all’ara.

AMELIA E GABRIELE

Sì, sì dell’ara il giubiloContrasti il fato avverso,E tutto l’universoIo sfiderò con te.

Di casto amore il palpitoÈ del destin più forte;Vivranno oltre la morteIn noi l’amor, la fé. (Amelia parte dalla sinistra.)

SCENA V.

GABRIELE va per uscire dalla destra, e incontra ANDREA.

GABRIELE (Propizio giunge Andrea!)ANDREA Sì mattutino

Qui?

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GABRIELE A dirti…ANDREA Che ami Amelia.GABRIELE Tu che lei vegli con paterna cura

A nostre nozze assenti.ANDREA Se umìl sua culla fosse?GABRIELE Umìle!!… una Grimaldi?…ANDREA No – la figlia

Dei Grimaldi morì tra consacrateVergini in Pisa. Un’orfana raccoltaNel chiostro il dì che fu d’Amelia estremoEreditò sua cella…

GABRIELE Ma come dei GrimaldiAnco il nome prendea?…

ANDREA De’ fuoruscitiPerseguia le ricchezze il nuovo doge;E la mentita Amelia alla rapaceMan sottrarle potea. –

GABRIELE L’orfana adoro.ANDREA Di lei se’ degno!GABRIELE A me fia dunque unita.ANDREA In terra e in ciel. – Ma non rallenti amore

La foga in te de’ cittadini affetti. (squillo di tromba)GABRIELE Il Doge vien – Partiam – Benché la fama

Ti dica estinto, ei ravvisar potria Fiesco in Andrea…

ANDREA S’appressa ora fatale;Già noi de’ Guelfi aspettaIl convegno forier della vendetta.

GABRIELE Paventa, o perfidoDoge, paventa! …D’un padre io vendicoL’ombra cruenta.

ANDREA Paventa, o perfidoDoge, paventa! …Mi chiede vindiceLa figlia spenta. (escono dal fondo)

SCENA VI.

Il suono delle trombe s’avvicina ognor più, finché dalla destra entra il DOGE seguito da PAOLO,PIETRO, Cacciatori, Guardie; AMELIA viene dalla sinistra con alquante DAMIGELLE.

DOGE Il nuovo dì festivo (a Paolo)Chiede presente alla cittade il doge. –Di qua partir convien.

PAOLO Quando?DOGE Allo squillo

Dell’ora. (ad un cenno il Corteggio s’avvia dalla destra.)PAOLO (da sè guardando Amelia) (Oh qual beltà!) (via)

(Ad un cenno d’Amelia le Damigelle rientrano a sinistra.)

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SCENA VII.

AMELIA e il DOGE.

DOGE Favella il dogeAd Amelia Grimaldi?

AMELIA Così nomata sono.DOGE E gli esuli fratelli tuoi non punge

Desio di patria?AMELIA Possente… ma…DOGE Intendo…

A me inchinarsi sdegnano i Grimaldi…Così risponde a tanto orgoglio il doge… (le porge un foglio)

AMELIA (leggendo) Che veggo!… il lor perdono?DOGE E denno a te della clemenza il dono.

Dinne, perché in quest’eremoTanta beltà chiudesti?Del mondo mai le fulgideLusinghe non piangesti?Il tuo rossor mel dice…

AMELIA T’inganni, io son felice…DOGE Agli anni tuoi l’amore…AMELIA Ah mi leggesti in core!

Amo uno spirto angelicoChe ardente mi riama…Ma di me acceso, un perfidoL’or dei Grimaldi brama…

DOGE Paolo!AMELIA Quel vil nomasti!…

E poiché perdonastiAi non fratelli miei,Dirò chi son…

DOGE Chi sei?AMELIA Orfanella il tetto umile

M’accogliea d’una meschina,Dove presso alla marinaSorge Pisa…

DOGE In Pisa tu?AMELIA Grave d’anni quella pia

Era solo a me sostegno;Io provai del ciel lo sdegno,Involata ella mi fu.

Colla tremola sua manoPinta effigie mi porgea,Le sembianze esser diceaDella madre ignota a me.

Mi baciò, mi benedisse,Levò al ciel, pregando, i rai…Quante volte la chiamaiL’eco sol risposta diè.

DOGE (Se la speme, o ciel clemente, (da sè)

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Ch’or sorride all’alma mia,Fosse sogno!… estinto io siaDella larva al disparir!)

AMELIA (Come tetro a me dolenteS’appressava l’avvenir!)

DOGE Dinne… alcun là non vedesti?AMELIA Uom di mar noi visitava…DOGE E Giovanna si nomava

Lei che i fati a te rapir?…AMELIA Sì.DOGE E l’effige non somiglia

Questa? (trae dal seno un ritratto, lo porge ad Amelia, che fa altrettanto)AMELIA Uguali son!…DOGE Maria!…AMELIA Il mio nome!…DOGE Sei mia figlia.AMELIA Io…DOGE M’abbraccia, o figlia mia.AMELIA Padre, padre il cor ti chiama!

Stringi al sen Maria che t’ama.DOGE Figlia!… a tal nome palpito

Qual se m’aprisse i cieli…Un mondo d’ineffabiliLetizie a me riveli;Qui un paradiso il teneroPadre ti schiuderà…

Di mia corona il raggioAureola tua sarà

AMELIA Padre, vedrai la vigileFiglia a te sempre accanto;Nell’ora malinconicaAsciugherò il tuo pianto…Non di regale orgoglioL’effimero splendor,

Mi cingerà d’aureolaIl raggio dell’amor.

DOGE Ma sì teneri affetti a me, bersaglioA patrizio livor, mostrar non lice.

AMELIA Io nel mistero ancor vivrò felice. (accompagnata dal Doge fino alla soglia, entra nellastanza a sinistra.)

SCENA VIII.

DOGE e PAOLO dalla destra.

PAOLO Che rispose?DOGE Rinunzia ogni speranza.PAOLO Doge, nol posso!…DOGE Il voglio. (entra nelle stanze di Amelia.)PAOLO Il vuoi!… scordasti che mi devi il soglio?

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SCENA IX.

PAOLO e PIETRO dalla destra.

PIETRO Che disse?PAOLO A me negolla.PIETRO Che pensi tu?PAOLO Rapirla.PIETRO Come?PAOLO Sul lido a sera

La troverai solinga…Si tragga al mio naviglio;Di Lorenzin si rechiAlla magion.

PIETRO S’ei nega?PAOLO Digli che so sue trame,

E presterammi aita…Tu gran mercede avrai…

PIETRO Ella sarà rapita. (escono da opposte parti.)

SCENA X.

VASTA PIAZZA DI GENOVA.

Di fronte è il porto con legni pavesati. Più lontano a destra veggonsi colline con castelli e palazzi. Adestra e sinistra, ricchi fabbricati sostenuti da fughe d’archi con balconi ornati a festa, dai qualileggiadre donne assistono alla solennità. Nel fondo a destra è una larga via; a sinistra ampiascalea per cui salesi a grandioso palazzo; presso alla bocca d’opera è un palco riccamenteaddobbato. Si festeggia l’anniversaria ricorrenza dell’incoronazione di Boccanegra.

All’alzar della tela la piazza è innondata da popolo d’ogni ordine che lietamente vi si aggira,portando bandiere, palme, verdi rami, e cantando il seguente Coro, finché giungono il DOGE e laCorte.

CORO GENERALE

CORO I A festa! (incontrandosi)CORO II A festa, o Liguri…

Splende sereno il giorno!TUTTI Già cinque lustri corsero

Che d’ogni gloria adornoSiede Simon sul trono! …

CORO I A festa! …CORO II Udite!TUTTI Un suono

Di giubilo dal mar! … (tutti vanno al mare)CORO Sull’arpe, sulle cetere (da lontano avvicinandosi)

Tempriam soavi accenti…L’eco di tanto giubiloPartin sull’ale i venti…

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(Arriva una barca con Giovanette in festivi abbigliamenti.)Nembi di mirto e fioriTra festeggianti coriCopran la terra e il mar.

(Scendono a terra e vanno ad incontrare il DOGE, che seguito dai Senatori, da PAOLO, PIETRO e dallasua corte viene dalla scalea, e va a prender posto sul destinato palco, mentre il Popolo conentusiasmo lo accoglie, e le Dame dalle finestre agitano bianchi lini, e gettano fiori sul suopassaggio.)

TUTTI Viva Simon!.. di GenovaAmor, sostegno e gloria;Tu sei di guerra il fulmine,Il sol della vittoria!Delle tue gesta il gridoAl più remoto lidoVa ripetendo il mar.

(Il DOGE seduto, compariscono Prigioni e Donne africane, che formano gruppi e danze di carattere, mentre si canta:)

UOMINI Prode guerrier, qui sfolgoriNe’ ludi il tuo valore.

DONNE Intreccia, o figlia d’Africa,La danza dell’amore…

TUTTI Letizia di caroleAgguagli i rai del soleChe scherzano col mar.

(La comune gioia è improvvisamente interrotta da grida.)VOCI Tradimento! (interne)CORO Quai grida!…VOCI (interne e più presso) Tradimento!

SCENA X

DETTI e GABRIELE ch’entra con pugnale sguainato, seguito da FIESCO e da alcuni Servi.

DOGE Chi sei tu che brandisci il pugnale?GABRIELE Qui prorompo tua infamia a scoprir.

Accoglienza tradivi ospitale,Festi Amelia a’ tuoi sgherri rapir.

DOGE Forsennato!GABRIELE M’oltraggi.DOGE Tu menti.GABRIELE Osi Adorno nomar menzognero?FIESCO (Vien – l’impresa de’ Guelfi cimenti.) (a Gabriele a parte)CORO Qual si svolge improvviso mistero! (tra loro)DOGE Ov’è Amelia? (piano a Paolo)PAOLO Nol so. (piano al Doge)DOGE La tua vita (come sopra)

Pagherà, se lei tosto non rendi.PAOLO Doge!… (come sopra)DOGE (a Gabriele) Tu che la vergin difendi

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Va… t’assolvo…GABRIELE Rifiuto… qui sto;

E alla Ligure gente t’accuso…A me ardisci parlar di perdono?…Un pirata s’asside sul trono…Sì, costui vergin casta involò.

ANDREA (Ah sei perduto!) (piano a Gabriele)GABRIELE Il Doge è infame…ANDREA (come sopra a Gabriele) Cessa.DOGE Folle!…

SCENA XII.

DETTI ed AMELIA, che viene frettolosa dalla destra.

AMELIA Il doge è innocente…TUTTI Amelia!… dessa!!AMELIA (Egli è salvo!… o ciel respiro! (fissando Gabriele)

Lo perdea l’ardente affetto…Dal periglio il mio dilettoIo col pianto involerò.)

DOGE (Ella è salva! alfin respiro! (fissando Amelia)Per due volte l’alma miaSì bell’angelo smarria,Per due volte il ritrovò!)

GABRIELE (Ella è salva! alfin respiro! (fissando Amelia)Come fulmine il mio brandoSulla fronte del nefandoRapitore piomberà.)

PAOLO E PIETRO (Ella è salva!… a sue promesse (tra loro)Fu Lorenzo mentitore!…Maledetto traditore,Duro fio ne pagherà.)

ANDREA E CORO (Ella è salva!… ma chi osava (tra loro)Oltraggiar quel vergin fiore?Maledetto il traditore!…Per lui taccia in cor pietà.)

DOGE Amelia, di’ tu come fosti rapita,E come al periglio potesti campar.

AMELIA Nell’ora soave, che all’estasi invitaSoletta men givo sul lito del mar.Mi cingon tre sgherri, m’accoglie un naviglio…

CORO Orror!AMELIA Soffocati non valsero i gridi…

Io svenni, e al novello dischiuder del ciglioLorenzo in sue stanze presente mi vidi…

CORO Lorenzo!AMELIA Mi vidi prigion dell’infame!

Io ben di quell’alma sapea la viltà.Al doge, gli dissi, fien note tue trame,

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Se a me sull’istante non dai libertà.Confuso di tema, mi schiuse le porte…Salvarmi l’audace minaccia poteo…

CORO Al vile Lorenzo la morte, la morte!AMELIA Non egli è di tanto misfatto il più reo;

Io, salva, promisi serbargli la vita.DOGE Ch’ei viva, ma tosto da Genova in bando.GABRIELE Or noma l’iniquo che t’ebbe rapita…AMELIA Al doge dirollo…CORO A tutti…DOGE Comando,

Tacete! TUTTI Giustizia, giustizia tremenda,

Gridiam palpitanti di sacro furor.Del ciel, della terra l’anatema scendaSul capo esecrato del vil traditor! (Quadro e cade la tela.)

Fine dell’Atto Primo

Giuseppe Bertoja, Palazzo de’ Grimaldi fuori di Genova. Bozzetto per il Simon Boccanegra (Atto I). Primarappresentazione assoluta al Teatro La Fenice di Venezia, 12 marzo 1857. (Venezia, Museo Correr).

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Atto SecondoPALAZZO DUCALE IN GENOVA.

Ricco salone. Alla sinistra una porta che dà sul foro. Vicino al prosceno un’uscio nascosto. Alladestra un’uscio che mette alle sale interne. Nel fondo un lungo e largo terrazzo, fuor del quale sivede la piazza Doria. A mezza scena a destra seggiolone, tavola coll’occorrente per iscrivere.

SCENA I.

PAOLO e PIETRO.

PAOLO (a Pietro, traendolo verso il terrazzo.)Quei due vedesti?

PIETRO Sì.PAOLO Li traggi tosto

Qui prigionieri per l’adito ascoso,Che questa chiave schiuderà.

PIETRO T’intesi.

SCENA II.

PAOLO solo.

PAOLO O doge ingrato!… ch’io rinunci AmeliaE i suoi tesori?… fra tre dì a me il bando?A me cui devi il trono?…Tre giorni troppi alla vendetta sono.

SCENA III.

DETTO, ANDREA e GABRIELE dalla destra fra soldati, che ad un cenno di PAOLO si ritirano.

FIESCO Prigioniero in qual loco mi trovo?PAOLO Nelle stanze del doge, e favella

A te Paolo.FIESCO Tal nome m’è nuovo.PAOLO Io so il nome che celasi in te.

Tu sei Fiesco.FIESCO Che parli?…PAOLO Al cimento

Preparasti de’ Guelfi la schiera?FIESCO Io…PAOLO Ma vano fia tanto ardimento!

Questo doge, abborrito da meQuanto voi l’abborrite, v’appresta

Nuovo scempio…

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FIESCO Mi tendi un agguato.PAOLO Un agguato?… Di Fiesco la testa

Il tiranno segnata non ha?…Io t’insegno vittoria. –

FIESCO A qual patto?PAOLO Trucidarlo qui, mentre egli dorme…Fiesco Osi a Fiesco proporre un misfatto?PAOLO Tu rifiuti?FIESCO Sì.PAOLO Stolido: – Va.FIESCO (parte dalla destra; Gabriele fa per seguirlo, ma è arrestato da Paolo.)

SCENA IV

PAOLO e GABRIELE.

PAOLO Udisti?GABRIELE Vil disegno!PAOLO Amelia dunque mai tu non amasti?GABRIELE Che dici?PAOLO È qui.GABRIELE Qui Amelia!…PAOLO E del vegliardo

Segno è alle infami dilettanze.GABRIELE Astuto

Dimon, cessa…PAOLO (corre a chiuder la porta.)GABRIELE Che fai?PAOLO Da qui ogni varco t’è conteso. – Ardisci

Il colpo… O sepolturaAvrai fra queste mura. (parte frettoloso dalla sinistra porta, che si chiude dietro.)

SCENA V

GABRIELE solo.

O inferno!… Amelia qui!… L’ama il vegliardo!…E il furor che m’accendeM’è conteso sfogar!… Tu m’uccidestiIl padre… tu m’involi il mio tesoro…Trema, iniquo… già troppa era un’offesa –Doppia vendetta hai sul tuo capo accesa.

Sento avvampar nell’animaFurente gelosia;Tutto il suo sangue spegnerneL’incendio non potria;S’ei mille vite avesse,Se mieterle potesseD’un colpo il mio furor,

Page 33: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

Non sarei sazio ancor.Che parlo! … Ohimè! … deliro! …Piango! … pietà, gran Dio, del mio martiro! …

Pietoso cielo, rendila,Rendila a questo core,Pura siccome l’angeloChe veglia al suo pudore;Ma se una nube impuraTanto candor m’oscura,Privo di sue virtù,Ch’io non la vegga più.

SCENA VI.

DETTO ed AMELIA dalla sinistra.

AMELIA Tu qui?…GABRIELE Amelia!AMELIA Chi il varco t’apria?GABRIELE E tu come qui?AMELIA Io…GABRIELE Ah sleale.AMELIA Ah crudele!…GABRIELE Il tiranno ferale…AMELIA Il rispetta…GABRIELE Egli t’ama…AMELIA D’amor

Santo…GABRIELE E tu?AMELIA L’amo al pari…GABRIELE E t’ascolto,

Né t’uccido?AMELIA Infelice!… mel credi,

Pura io sono…GABRIELE Favella…AMELIA Concedi

Che il segreto non aprasi ancor.GABRIELE Parla – in tuo cor virgineo

Fede all’amante rendi –Il tuo silenzio è funebreVel che su me distendi.Dammi la vita o il feretro,Sdegno la tua pietà.

AMELIA Sgombra dall’alma il dubbio…Santa nel petto mioL’immagin tua s’accoglieCome nel tempio Iddio.No, procellosa tenebraUn ciel d’amor non ha. (s’ode uno squillo)

AMELIA Il Doge vien – Scampo non hai – T’ascondi!

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Page 34: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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GABRIELE No.AMELIA Il patibol t’aspetta.GABRIELE Io non lo temo.AMELIA Nell’ora stessa teco avrò morte…

Se non ti muove di me pietà.GABRIELE Di te pietade?… (tra se) (Lo vuol la sorte…

Si compia il fato… Egli morrà…)AMELIA (nasconde Gabriele sul terrazzo.)

SCENA VII.

AMELIA e il DOGE, ch’entra dalla destra leggendo un foglio.

DOGE Figlia?AMELIA Sì afflitto, o padre mio?DOGE T’inganni…

Ma tu piangevi.AMELIA Io…DOGE La cagion m’è nota

Delle lagrime tue… Già mel dicesti…Ami; e se degno fiaDi te l’eletto del tuo core…

AMELIA O padre,Fra’ Liguri il più prode, il più gentile…

DOGE Il noma.AMELIA Adorno…DOGE Il mio nemico!AMELIA Padre!…DOGE Vedi qui scritto il nome suo?… congiura

Coi Guelfi…AMELIA Ciel!… perdonagli!…DOGE Nol posso.AMELIA Con lui morrò…DOGE L’ami cotanto?AMELIA Io l’amo

Di pura inestinguibil fiamma. O al tempioCon lui mi guida, o sopra entrambi cadaLa scure del carnefice…

DOGE O crudeleDestino! O dileguate mie speranze!Una figlia ritrovo; ed un nemicoA me la invola… Ascolta:S’ei ravveduto…

AMELIA Il fia…DOGE Forse il perdono

Allor…AMELIA Padre adorato!…DOGE Ti ritraggi –

Attender qui degg’io l’aurora…AMELIA Lascia

Page 35: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

Ch’io vegli al fianco tuo…DOGE No, ti ritraggi…AMELIA Padre! …DOGE Il voglio…AMELIA (entrando nella segreta) Gran Dio! come salvarlo? (annotta.)

SCENA VIII.

DOGE e GABRIELE nascosto.

DOGE Doge! – Ancor proveran la tua clemenzaI traditor?… No, di paura segnoFora il perdono… Ahimè la mente oppressa… (siede)Stanche le membra… ciel!… mi vince il sonno…Oh Amelia… ami… un nemico… (s’addorme)

GABRIELE (entra con precauzione, s’avvicina al Doge e lo contempla.)Sento ritegno?… È riverenza o tema?…Vacilla il mio voler?… Tu dormi, o veglio,Del padre mio carnefice, tu mioRival… Figlio d’Adorno! … la paternaOmbra ti chiama vindice… (brandisce un pugnale e va per trafiggere il Doge; maAmelia rientrata va rapidamente a porsi tra esso ed il padre.)

SCENA IX.

DETTI ed AMELIA.

AMELIA Insensato!Vecchio inerme il tuo braccio colpisce?

GABRIELE Tua difesa mio sdegno raccende.AMELIA Santo, il giuro, è l’amor che ci unisce,

Né alle nostre speranze contende.GABRIELE Che favelli?…DOGE (destandosi) Ah!…AMELIA Nascondi il pugnale,

Vien… ch’ei t’oda…GABRIELE Prostrarmi al suo piede?DOGE (entra improvvisamente tra loro, dicendo a Gabriele:)

Ecco il petto… colpisci, sleale!GABRIELE Sangue il sangue d’Adorno ti chiede.DOGE E fia ver?… Chi t’aprì queste porte?AMELIA Non io.GABRIELE Niun quest’arcano saprà.DOGE Il dirai fra tormenti…GABRIELE La morte,

Tuoi supplizi non temo.AMELIA Ah pietà!DOGE Ah quel padre tu ben vendicasti,

Che da me contristato già fu…

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Page 36: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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Un celeste tesor m’involasti…La mia figlia…

GABRIELE Suo padre sei tu!!!Perdono, Amelia – Indomito

Geloso amor fu il mio…Doge, il velame squarciasi…Un assassin son io…Dammi la morte; il ciglioA te non oso alzar.

AMELIA (Madre, che dall’empireo Proteggi la tua figlia,Del genitore all’animaMeco pietà consiglia…Ei si rendea colpevoleSolo per troppo amor.)

DOGE (Deggio salvarlo e stendere La mano all’inimico?Sì – pace splenda ai Liguri,Si plachi l’odio antico;Sia d’amistanze italiche Il mio sepolcro altar.)

CORO All’armi, all’armi, o Liguri, (interno)Patrio dover v’appella -Scoppiò dell’ira il folgore;È notte di procella.

Le Guelfe spade cinganoDi tirannia lo spalto -Del coronato veglio, Su, alla magion, l’assalto.

AMELIA Quai gridi?… (corre alla finestra)GABRIELE I tuoi nemici…DOGE Il so.

AMELIA S’addensaIl popolo.

DOGE (a Gabriele) T’unisci a’ tuoi…GABRIELE Che pugni

Contro di te?… mai più.DOGE Dunque messaggio

Ti reca lor di pace e di perdono…GABRIELE Teco a pugnar ritorno,

Se la clemenza tua non li disarmi.DOGE Questo è il tuo premio. (accennando Amelia)AMELIA Oh padre!VOCI All’armi!GABRIELE E DOGE All’armi!GABRIELE (esce e cade la tela.)

Fine dell’Atto Secondo

Atto Terzo

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Giuseppe Bertoja. Bozzetto di interno (forse non realizzato) per il Simon Boccanegra. Prima rappresenta-zione assoluta al Teatro La Fenice di Venezia, 12 marzo 1857. (Venezia, Museo Correr).

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Scena come nell’Atto Secondo. Le tende sono tirate sui veroni del fondo. Una lucerna arde sulla tavola.

SCENA I.

Il DOGE entra dalla sinistra seguito da GABRIELE, PAOLO, PIETRO, SENATORI, Scudieri, Paggi, ec. ec.

SENATORI Doge, a’ tuoi passi è scortaIl sol della vittoria;Fronda di nuova gloriaAggiungi ai colti allor.

POPOLO Fra i procellosi nembi (dalla piazza)Delle fraterne offese,Doge, per te s’accese,Astro serenator.

DOGE Brando guerrier nella mia destra splende;La vostra quel della giustizia impugni. (poi a Gabriele)Tu vieni al tempio, ove alla tua prodezzaDegna mercè t’aspetta.

PIETRO (a Paolo a parte) Fa cor, tutto disposi.PAOLO Alfin l’ora suonò della vendetta! …

(Tutti, meno Paolo, escono dalla destra.)

SCENA II.

PAOLO, poi FIESCO dalla sinistra.

CORO Dal sommo delle sfereProteggili, o Signor;

Di pace sien foriereLe nozze dell’amor.

PAOLO Oh mio furor!… perduta io l’ho per sempre!…(apre la porta ed introduce FIESCO, cui dice:)Io la promessa tenni – Ecco le stanzeDel doge… E i tuoi ch’esser dovean qui tecoOve sono?

FIESCO Nol so… Fuggian…PAOLO Fuggiamo

Noi pur…FIESCO Fuggir!…PAOLO Se complice alla morte

Del doge qui segnato esser non vuoi?FIESCO La morte!… Che dicesti?….PAOLO Veleno ardente…FIESCO Infame!PAOLO Vendicati

Siam tutti…FIESCO Orror!… va’… fuggi.

Page 39: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

PAOLO E tu?FIESCO Qui resto.PAOLO Io co’ tuoi riederò. (esce dalla sinistra.)

SCENA III.

FIESCO solo.

FIESCO Simon, non questaVendetta io chiesi – D’altra fine degnoEri… Al sospetto di cotanta infamiaSaprà sottrarmi morte… (si ritira nel fondo.)

SCENA IV.

DETTO e DOGE, seguito da PIETRO dalla destra.

DOGE M’ardon le tempia – Un fuoco io sentoSerpeggiar per le vene… Alle marineAure il veron dischiudi.

PIETRO (alza le tende, e si vede la piazza illuminata.)DOGE Qual fulgore?PIETRO La tua vittoria il popolo festeggia.DOGE Chi turbar degli estinti osa la pace?

E schernisce ai caduti?… Va’ – comando –Questa luce s’estingua. (Pietro esce dalla sinistra.)

SCENA V.

DOGE e FIESCO nel fondo.

DOGE Oh refrigerio! … la marina brezza! …Il mare!… il mare!… quale in rimirarloDi glorie e di sublimi rapimentiMi si affaccian ricordi! – Il mare!… il mare!…Perché in suo grembo non trovai la tomba?

FIESCO Era meglio per te! (avvicinandosi)DOGE Chi osò inoltrarsi?…FIESCO Chi te non teme.DOGE (verso la destra chiamando:) Guardie?FIESCO Invan le appelli…

Non son qui i sgherri tuoi –M’ucciderai, ma pria m’odi…

DOGE Che vuoi?FIESCO Delle fauci festanti al barlume

Cifre arcane, funebri vedrai –Tua sentenza la mano del numeSopra queste pareti vergò.

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Di tua stella s’eclissano i rai;La tua porpora in brani già cade;Vincitor fra le larve morraiCui la tomba tua scure negò.(I lumi cominciano a spegnersi nella piazza, per modo che

allo spirare del Doge non ne arderà più alcuno.)DOGE Quale accento?FIESCO Lo udisti un’altra volta.DOGE Fia ver? – Risorgon dalle tombe i morti?FIESCO Non mi ravvisi tu?DOGE Fiesco!…FIESCO Simone,

I morti ti salutano!DOGE Gran Dio!…FIESCO Compiuto alfin di quest’alma è il desio!FIESCO Come fantasima

Fiesco t’appar,Antico oltraggio A vendicar.

DOGE Di pace nunzio Fiesco sarà,Suggella un angelo Nostra amistà.

FIESCO Che dici?DOGE Un tempo il tuo perdon m’offristi…FIESCO Io?DOGE Se a te l’orfanella concedea

Che perduta per sempre allor piangea. –In Amelia Grimaldi a me fu resa,E il nome porta della madre estinta.

FIESCO Cielo!… perché mi splende il ver sì tardi?DOGE Piangi?… Perché da me volgi gli sguardi?FIESCO Piango, perché mi parla

In te del ciel la voce;Sento rampogna atroceFin nella tua pietà.

DOGE Vien, ch’io ti stringa al petto,O padre di Maria;Balsamo all’alma miaIl tuo perdon sarà.

FIESCO Ahimé! morte sovrasta… un traditoreIl velen t’apprestò.

DOGE Tutto favella,Il sento, a me d’eternità…

FIESCO CrudeleFato!

DOGE Ella vien…FIESCO Maria…DOGE Taci, non dirle…

Anco una volta benedirla voglio. (s’abbandona sul seggiolone.)

SCENA ULTIMA

Page 41: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

DETTI, MARIA, GABRIELE, SENATORI, Paggi con torcie, Scudieri, ec. ec.

MARIA Chi veggo!… (vedendo Fiesco)DOGE Vien…GABRIELE (Fiesco!)MARIA (a Fiesco) Tu qui!DOGE Deponi

La meraviglia – In Fiesco il padre vediDell’ignota Maria, che ti diè vita.

MARIA Egli?… Fia ver?…FIESCO Maria!…MARIA Oh gioia! Dunque

Gli odii funesti han fine!…DOGE Tutto finisce, o figlia…MARIA Qual ferale

Pensier t’attrista sì sereni istanti?DOGE Maria, coraggio… A gran dolor t’appresta…MARIA Quali accenti! Oh terror! (a Gabriele)DOGE Per me l’estrema

Ora suonò! (sorpresa generale.)MARIA e GABRIELE Che parli?…DOGE Ma l’Eterno

In tue braccia, o Maria,Mi concede spirar…

MARIA e GABRIELE (cadendo a’ pie’ del Doge) Possibil fia?…DOGE (sorge e imponendo sul loro capo le mani solleva gli occhi al cielo, e dice:)

Gran Dio li benediciPietoso dall’empiro;A lor del mio martiroCangia le spine in fior.

MARIA No non morrai, l’amoreVinca di morte il gelo,Risponderà dal cieloPietade al mio dolor.

GABRIELE O padre, o padre, il senoFuria mi squarcia atroce…Come passò veloceL’ora del lieto amor!

FIESCO Ogni letizia in terraÈ menzognero incanto,D’interminato pianto Fonte è l’umano cor.

CORO Sì – piange, piange, è vero,Ognor la creatura;S’avvolge la natura,In manto di dolor!

DOGE Senatori, sancite il voto estremo. – (i Senatori s’appressano)Questo serto ducal la fronte cinga Di Gabriele Adorno. –Tu, Fiesco, compi il mio voler… Maria!!! (spira)

MARIA e GABRIELE Oh padre! … (s’inginocchiano davanti al cadavere)

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Page 42: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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FIESCO (s’avvicina al verone circondato da’ Senatori e Paggi, che alzano le fiaccole:)Genovesi! … In GabrieleAdorno il vostro Doge or acclamate. –

VOCI (dalla piazza) No – Boccanegra!!!FIESCO È morto…

Pace per lui pregate! …(Esclamazione generale; lenti e gravi tocchi di campana; Fiesco e i Senatoris’inginocchiano; cade la tela.)

FINE

Giuseppe Bertoja, Palazzo Ducale di Genova. Bozzetto per il Simon Boccanegra (Atto II e III). Prima rappre-sentazione assoluta alla Fenice di Venezia, 12 marzo 1857. (Venezia, Museo Correr).

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Arrigo Boito che collaborò con Verdi al rifacimento del libretto di Simon Boccanegra per la versionemilanese al Teatro alla Scala (1881).

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IL LIBRETTO

SIMON BOCCANEGRAmelodramma in un prologo e tre atti

diFRANCESCO MARIA PIAVE

[con aggiunte e modifiche di ARRIGO BOITO]

Milano, Teatro alla Scala, 1881

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SIMON BOCCANEGRA

PPeerrssoonnaaggggii

Prologo

SIMON BOCCANEGRA, corsaro al servizio della Repubblica genovese baritono

JACOPO FIESCO, nobile genovese bassoPAOLO ALBIANI, filatore d’oro genovese bassoPIETRO, popolano di Genova baritono

Marinai, Popolo, Domestici di Fiesco ecc.

Dramma

SIMON BOCCANEGRA, primo Doge di Genova baritonoMARIA BOCCANEGRA, sua figlia, sotto il nome

di AMELIA GRIMALDI sopranoJACOPO FIESCO, sotto il nome d’ANDREA bassoGABRIELE ADORNO, gentiluomo genovese tenorePAOLO ALBIANI, cortigiano favorito del Doge bassoPIETRO, altro cortigiano baritonoUN CAPITANO dei balestrieri tenoreUN’ANCELLA di Amelia mezzosoprano

Soldati, Marinai, Popolo, Senatori, Corte del Doge ecc.

L’azione è in Genova e sue vicinanze intorno alla metà del secolo XIV.N.B. Tra il Prologo ed il Dramma passano 25 anni.

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PROLOGO

Una Piazza di Genova.Nel fondo, la chiesa di San Lorenzo. A destra, ilpalazzo dei Fieschi, con gran balcone; nel murodi fianco al balcone è un’Immagine, davanti acui arde un lanternino; a sinistra altre case. Va-rie strade conducono alla piazza. È notte.

SCENA PRIMA

PAOLO e PIETRO in iscena, continuando undiscorso.

PAOLO

Che dicesti?… all’onor di primo abateLorenzin, l’usuriere?…

PIETRO

Altro proponiDi lui più degno!

PAOLO

Il prode, che da’ nostriMari cacciava l’african pirata,E al ligure vessilloRese l’antica rinomanza altera.

PIETRO

Intesi… e il premio?…

PAOLO

Oro, possanza, onore.

PIETRO

Vendo a tal prezzo il popolar favore.

(si dan la mano; Pietro parte.)

SCENA SECONDA

PAOLO solo.

Aborriti patrizi,Alle cime ove alberga il vostro orgoglio,Disprezzato plebeo, salire io voglio.

SCENA TERZA

Detto e SIMONE che entra frettoloso.

SIMONE

Un amplesso… Che avvenne? – Da SavonaPerché qui m’appellasti?

PAOLO

(misteriosamente)All’alba eletto

Esser vuoi nuovo abate?

SIMONE

Io?… no.

PAOLO

Ti tentaDucal corona?

SIMONE

Vaneggi?

PAOLO

(con intenzione)E Maria?

SIMONE

O vittima innocenteDel funesto amor mio!… Dimmi, di leiChe sai? Le favellasti?…

PAOLO

(additando il palazzo Fieschi)Prigioniera

Geme in quella magion…

SIMONE

Maria!

PAOLO

NegarlaAl Doge chi potria?

SIMONE

Misera!

PAOLO

Assenti?

Page 47: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

SIMONE

Paolo…

PAOLO

Tutto disposi… e sol ti chiedoParte ai perigli e alla possanza…

SIMONE

Sia…

PAOLO

In vita e in morte?

SIMONE

Sia.

PAOLO

S’appressa alcun… T’ascondi…Per poco ancor, mistero ne circondi.

(Simone s’allontana. Paolo si trae in dispartepresso il palazzo dei Fieschi.)

SCENA QUARTA

PAOLO, PIETRO, Marinai e Artigiani.

PIETRO

All’alba tutti qui verrete?

CORO

Tutti.

PIETRO

Niun pei patrizi?…

CORO

Niuno. – A LorenzinoTutti il voto darem.

PIETRO

Venduto è ai Fieschi.

CORO

Dunque chi fia l’eletto?

PIETRO

Un prode.

CORO

Sì.

PIETRO

Un popolan…

CORO

Ben dici… ma fra i nostriSai l’uom?

PIETRO

Sì.

CORO

E chi?… Risuoni il nome suo?…

PAOLO

(avanzandosi)Simone Boccanegra.

CORO

Il Corsar?

PAOLO

Sì… il Corsaro all’alto scranno…

CORO

È qui?

PAOLO

Verrà.

CORO

E i Fieschi?

PAOLO

Taceranno.

(Chiama tutti intorno a sé; quindi, indicando ilpalazzo de’ Fieschi, dice loro con mistero:)

L’altra magion vedete?… de’ Fieschi è[l’empio ostello,

Una beltà infelice geme sepolta in quello;Sono i lamenti suoi la sola voce umanaChe risuonar s’ascolta nell’ampia tomba arcana.

CORO

Già volgono più lune, che la gentil sembianzaNon allegrò i veroni della romita stanza;Passando ogni pietoso invan mirar desia

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Page 48: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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La bella prigioniera, la misera Maria.

PAOLO

Si schiudon quelle porte solo al patrizio altero,Che ad arte si ravvolge nell’ombre del mistero.Ma vedi in notte cupa per le deserte saleErrar sinistra vampa, qual d’anima infernale.

CORO

Par l’antro de’ fantasmi!… Oh qual orror!…

PAOLO

Guardate,(si vede il riverbero d’un lume)La fatal vampa appare…

CORO

Oh ciel!…

PAOLO

V’allontanate.Si caccino i demoni col segno della croce…All’alba.

CORO

Qui.

PAOLO

Simon.

CORO

Simone ad una voce.

(partono)

SCENA QUINTA

FIESCO esce dal palazzo.

(rivolto al palazzo)A te l’estremo addio, palagio altero,Freddo sepolcro dell’angiolo mio!…Né a proteggerti io valsi!… Oh maledetto!… (volgendosi all’Immagine)E tu, Vergin, soffristiRapita a lei verginal corona?…Ma che dissi!… deliro!… ah, mi perdona!

Il lacerato spiritoDel mesto genitore

Era serbato a strazioD’infamia e di dolore.Il serto a lei de’ martiriPietoso il cielo die’…Resa al fulgor degli angeli,Prega, Maria, per me.

(s’odono lamenti dall’interno del palazzo)

DONNE

È morta!… È morta!… a lei s’apron le sfere!…Mai più!… mai più non la vedremo in terra!…

UOMINI

Miserere!… miserere!…

(varie persone escono dal palazzo e, traversandomestamente la piazza, s’allontanano)

SCENA SESTA

Detto e SIMONE che ritorna in scena esultante.

SIMONE

Suona ogni labbro il mio nome. – O Maria,Forse in breve potraiDirmi tuo sposo!… * Alcun veggo!… chi fia?

(*scorge Fiesco)

FIESCO

Simon?

SIMONE

Tu!

FIESCO

Qual cieco fatoA oltraggiarmi ti traea?…Sul tuo capo io qui chiedeaL’ira vindice del ciel.

SIMONE

Padre mio, pietade imploroSupplichevole a’ tuoi piedi…Il perdono a me concedi…

FIESCO

Tardi è omai.

Page 49: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

SIMONE

Non sii crudel.Sublimarmi a lei speraiSovra l’ali della gloria,Strappai serti alla vittoriaPer l’altare dell’amor!

FIESCO

Io fea plauso al tuo valore,Ma le offese non perdono…Te vedessi asceso in trono…

SIMONE

Taci…

FIESCO

Segno all’odio mioE all’anàtema di DioÈ di Fiesco l’offensor.

SIMONE

Pace…

FIESCO

No, – pace non foraSe pria l’un di noi non mora.

SIMONE

Vuoi col sangue mio placarti?(gli presenta il petto)Qui ferisci…

FIESCO

(ritraendosi con orgoglio)Assassinarti?…

SIMONE

Sì, m’uccidi, e almen sepoltaFia con me tant’ira…

FIESCO

Ascolta:Se concedermi vorraiL’innocente sventurataChe nascea d’impuro amor,Io, che ancor non la mirai,Giuro renderla beata,E tu avrai perdono allor.

SIMONE

Nol poss’io!

FIESCO

Perché?

SIMONE

RubellaSorte lei rapì…

FIESCO

Favella.

SIMONE

Del mar sul lido fra gente ostileCrescea nell’ombra quella gentile;Crescea lontana dagli occhi miei,Vegliava annosa donna su lei.Di là una notte varcando, soloDalla mia nave scesi a quel suolo.Corsi alla casa… n’era la portaSerrata, muta!

FIESCO

La donna?

SIMONE

Morta.

FIESCO

E la tua figlia?…

SIMONE

Misera, trista,Tre giorni pianse, tre giorni errò;Scomparve poscia, né fu più vista,D’allora indarno cercata io l’ho.

FIESCO

Se il mio desire compier non puoiPace non puote esser tra noi!Addio, Simone…

(gli volge le spalle)

SIMONE

Coll’amor mioSaprò placarti.

FIESCO

(freddo, senza guardarlo)No.

48

Page 50: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

49

SIMONE

M’odi.

FIESCO

Addio.

(s’allontana, poi si arresta in disparte adosservare)

SIMONE

Oh de’ Fieschi implacata, orrida razza!E tra cotesti rettili nasceaQuella pura beltà?… Vederla voglio…Coraggio!(va alla porta del palazzo e batte tre colpi)Muta è la magion de’ Fieschi?Dischiuse son le porte!…Quale mistero!… entriam.

(entra nel palazzo)

FIESCO

T’inoltra e stringiGelida salma.

SIMONE

(comparisce sul balcone)Nessuno!… qui sempre

Silenzio e tenebra!…(stacca il lanternino della Immagine, ed entra;si ode un grido poco dopo)

Maria!… Maria!…

FIESCO

L’ora suonò del tuo castigo…

SIMONE

(esce dal palazzo, atterrito)È sogno!…

Sì; spaventoso, atroce sogno il mio!

VOCI

(da lontano)Boccanegra!…

SIMONE

Quai voci!

VOCI

(più vicine)Boccanegra!

SIMONE

Eco d’inferno è questo!…

SCENA SETTIMA

Detti, PAOLO, PIETRO, Marinai, Popolo d’ambo isessi, con fiaccole accese.

PAOLO e PIETRO

Doge il popol t’acclama!

SIMONE

Via fantasmi!

PAOLO e PIETRO

Che di’ tu?…

SIMONE

Paolo!… Ah!… una tomba…

PAOLO

Un trono!

FIESCO

(Doge Simon?… m’arde l’inferno in petto!…

CORO

Viva Simon, del popolo l’eletto!!!

(s’alzano le fiaccole, le campane suonano a stor-mo… tamburi ecc… ed alle grida «Viva Simone»cala il sipario.)

Page 51: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

50

ATTO PRIMO

Giardino de’ Grimaldi fuori di Genova.Alla sinistra, il palazzo; di fronte, il mare.Spunta l’aurora.

SCENA PRIMA

AMELIA osservando l’orizzonte

Come in quest’ora brunaSorridon gli astri e il mare!Come s’unisce, o luna,All’onda il tuo chiaror!Amante amplesso pareDi due verginei cor!

Ma gli astri e la marinaChe pingono alla menteDell’orfana meschina?…La notte atra, crudel,Quando la ria morenteSclamò: ti guardi il ciel.

O altero ostel, soggiornoDi stirpe ancor più altera,Il tetto disadornoNon obliai per te!…Solo in tua pompa austeraAmor sorride a me.

(è giorno)S’inalba il ciel, ma l’amoroso cantoNon s’ode ancora!…Ei mi terge ogni dì, come l’auroraLa rugiada dei fior, del ciglio il pianto.

UNA VOCE

(lontana)Cielo di stelle orbato,Di fior vedovo prato,È l’alma senza amor.

AMELIA

Ciel!… la sua voce!… È desso!…Ei s’avvicina!… oh gioia!…«Tutto m’arride l’universo adesso!…»

UNA VOCE

(più vicina)

Se manca il cor che t’ama,Non empiono tua bramaOro, possanza, onor.

AMELIA

Ei vien!… l’amorM’avvampa in senE spezza il frenL’ansante cor!

SCENA SECONDA

Detta e GABRIELE dalla destra.

GABRIELE

Anima mia!

AMELIA

Perché sì tardi giungi?

GABRIELE

Perdona, o cara… I lunghi indugi mieiT’apprestano grandezza…

AMELIA

Pavento…

GABRIELE

Che?

AMELIA

L’arcano tuo conobbi…A me il sepolcro appresti,Il patibolo a te!…

GABRIELE

Che pensi?

AMELIA

Io amoAndrea qual padre, il sai;Pur m’atterrisce… In cupaNotte non vi miraiSotto le tetre volte errar soventeTorbidi, irrequïeti?

GABRIELE

Chi?

Page 52: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

51

AMELIA

Tu, e Andrea,E Lorenzino, ed altri…

GABRIELE

Ah taci… il ventoAi tiranni potria recar tai voci!Parlan le mura… un delator s’ascondeAd ogni passo…

AMELIA

Tu tremi!…

GABRIELE

I funestiFantasmi scaccia!

AMELIA

Fantasmi dicesti?Vieni a mirar la cerulaMarina tremolante;Là Genova torreggiaSul talamo spumante;Là i tuoi nemici imperano,Vincerli indarno speri…Ripara i tuoi pensieriAl porto dell’amor.

GABRIELE

Angiol che dall’empireoPiegasti a terra l’ale,E come faro sfolgoriSul tramite mortale,Non ricercar dell’odioI funebri misteri;Ripara i tuoi pensieriAl porto dell’amor.

AMELIA

(fissando a destra)Ah!

GABRIELE

Che mai fia!

AMELIA

Vedi quell’uom?… qual ombraOgni dì appar.

GABRIELE

Forse un rival!

SCENA TERZA

Detti, un’ANCELLA, quindi PIETRO.

ANCELLA

(entrando)Del Doge

Un messagger di te chiede.

AMELIA

S’appressi.

(l’Ancella esce)

GABRIELE

(va per uscire)Chi sia veder vogl’io…

AMELIA

(fermandolo)T’arresta.

PIETRO

(inchinandosi ad Amelia)Il Doge,

Dalle cacce tornando di Savona,Questa magion visitar brama.

AMELIA

Il puote.

(Pietro parte)

SCENA QUARTA

GABRIELE ed AMELIA.

GABRIELE

Il Doge qui?

AMELIA

Mia destra a chieder viene.

GABRIELE

Per chi?

AMELIA

Pel favorito suo. – D’AndreaVola in cerca… T’affretta… va’… prepara

Page 53: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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Il rito nuzïal… mi guida all’ara.

(a 2)

Sì, sì dell’ara il giubiloContrasti il fato avverso,E tutto l’universoIo sfiderò con te.Innamorato anelitoÈ del destin più forte;Amanti oltre la morteSempre vivrai con me.

(Amelia entra nel palazzo)

SCENA QUINTA

GABRIELE va per uscire dalla destra e incontraANDREA .

GABRIELE

(Propizio giunge Andrea!)

ANDREA

Sì mattutinoQui?…

GABRIELE

A dirti…

ANDREA

Che ami Amelia.

GABRIELE

Tu che lei vegli con paterna curaA nostre nozze assenti?

ANDREA

Alto misteroSulla vergine incombe.

GABRIELE

E qual?

ANDREA

Se parloForse tu più non l’amerai.

GABRIELE

Non teme

Ombra d’arcani l’amor mio! T’ascolto.

ANDREA

Amelia tua d’umile stirpe nacque.

GABRIELE

La figlia dei Grimaldi!

ANDREA

No – la figliaDei Grimaldi morì tra consacrateVergini in Pisa. Un’orfana raccoltaNel chiostro il dì che fu d’Amelia estremoEreditò sua cella…

GABRIELE

Ma come de’ GrimaldiAnco il nome prendea?…

ANDREA

De’ fuoruscitiPerseguia le ricchezze il nuovo Doge;E la mentita Amelia alla rapaceMan sottrarle potea.

GABRIELE

L’orfana adoro!

ANDREA

Di lei sei degno.

GABRIELE

A me fia dunque unita?

ANDREA

In terra e in ciel!

GABRIELE

Ah! tu mi dài la vita.

ANDREA

Vieni a me, ti benedicoNella pace di quest’ora,Lieto vivi e fido adoraL’angiol tuo, la patria, il ciel!

GABRIELE

Eco pia del tempo antico,La tua voce è un casto incanto;Serberà ricordo santoDe’ tuoi detti il cor fedel.

Page 54: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

53

(squilli di trombe.)Ecco il Doge. Partiam. Ch’ei non ti scorga.

ANDREA

Ah! Presto il dì della vendetta sorga!

(partono)

SCENA SESTA

DOGE, PAOLO e seguito, poi AMELIA dal palazzo.

DOGE

Paolo.

PAOLO

Signor.

DOGE

Ci spronano gli eventi,Di qua partir convien.

PAOLO

Quando?

DOGE

Allo squilloDell’ora.(ad un cenno del Doge il corteggio s’avvia dalladestra)

(Oh qual beltà!)

SCENA SETTIMA

AMELIA e il DOGE.

DOGE

Favella il DogeAd Amelia Grimaldi?

AMELIA

Così nomata io sono.

DOGE

E gli esuli fratelli tuoi non pungeDesio di patria?

AMELIA

Possente… ma…

DOGE

Intendo…A me inchinarsi sdegnano i Grimaldi…Così risponde a tanto orgoglio il Doge…

(le porge un foglio)

AMELIA

(leggendo)Che veggo!… il lor perdono?

DOGE

E denno a te della clemenza il dono.Dinne, perché in quest’eremo

Tanta beltà chiudesti?Del mondo mai le fulgideLusinghe non piangesti?Il tuo rossor mel dice…

AMELIA

T’inganni, io son felice…

DOGE

Agli anni tuoi l’amore…

AMELIA

Ah mi leggesti in core!Amo uno spirto angelicoChe ardente mi riama…Ma di me acceso, un perfido,L’ôr de’ Grimaldi brama…

DOGE

Paolo!

AMELIA

Quel vil nomasti!… E poiché tantaPietà ti muove dei destini miei,Vo’ svelarti il segreto che m’ammanta…Non sono una Grimaldi!…

DOGE

Oh ciel… chi sei?…

AMELIA

Orfanella il tetto umíleM’accogliea d’una meschina,Dove presso alla marinaSorge Pisa…

Page 55: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

54

DOGE

In Pisa tu?

AMELIA

Grave d’anni quella piaEra solo a me sostegno;Io provai del ciel lo sdegno,Involata ella mi fu.Colla tremola sua manoPinta effigie mi porgea,Le sembianze esser diceaDella madre ignota a me.Mi baciò, mi benedisse,Levò al ciel, pregando, i rai…Quante volte la chiamaiL’eco sol risposta die’.

DOGE

(da sé)(Se la speme, o ciel clemente,Ch’or sorride all’alma mia,Fosse sogno!… estinto io siaDella larva al disparir!)

AMELIA

Come tetro a me dolenteS’appressava l’avvenir!

DOGE

Dinne… alcun là non vedesti?…

AMELIA

Uom di mar noi visitava…

DOGE

E Giovanna si nomavaLei che i fati a te rapir?…

AMELIA

Sì.

DOGE

E l’effigie non somigliaQuesta?

(trae dal seno un ritratto, lo porge ad Amelia,che fa altrettanto)

AMELIA

Uguali son!

DOGE

Maria!…

AMELIA

Il mio nome!…

DOGE

Sei mia figlia.

AMELIA

Io…

DOGE

M’abbraccia, o figlia mia.

AMELIA

Padre, padre il cor ti chiama!Stringi al sen Maria che t’ama.

DOGE

Figlia!… a tal nome io palpitoQual se m’aprisse i cieli…Un mondo d’ineffabiliLetizie a me riveli;Qui un paradiso il teneroPadre ti schiuderà…Di mia corona il raggioLa gloria tua sarà.

AMELIA

Padre, vedrai la vigileFiglia a te sempre accanto;Nell’ora malinconicaAsciugherò il tuo pianto…Avrem gioie romiteNote soltanto al ciel;Io la colomba miteSarò del regio ostel.

(Amelia accompagnata dal padre fino allasoglia, entra nel palazzo; il Doge la contemplaestatico mentre ella si allontana)

SCENA OTTAVA

DOGE e PAOLO dalla destra.

PAOLO

Che rispose?

Page 56: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

55

DOGE

Rinuncia a ogni speranza.

PAOLO

Doge, nol posso!…

DOGE

Il voglio.

(entra nelle stanze d’Amelia)

PAOLO

Il vuoi!… scordasti che mi devi il soglio?

SCENA NONA

PAOLO e PIETRO dalla destra.

PIETRO

(entrando)Che disse?

PAOLO

A me negolla.

PIETRO

Che pensi tu?

PAOLO

Rapirla.

PIETRO

Come?

PAOLO

Sul lido a seraLa troverai solinga…Si tragga al mio naviglio;Di Lorenzin si rechiAlla magion.

PIETRO

S’ei nega?

PAOLO

Digli che so sue trame,E presterammi aita…Tu gran mercede avrai…

PIETRO

Ella sarà rapita.

(escono.)

SCENA DECIMA

Sala del Consiglio nel Palazzo degli Abati.Il DOGE, seduto sul seggio ducale; da un lato, do-dici Consiglieri nobili; dall’altro lato, dodici Con-siglieri popolani. Seduti a parte, quattro Consolidel mare e i Connestabili. PAOLO e PIETRO stannosugli ultimi seggi dei popolani. Un Araldo.

DOGE

Messeri, il re di Tartaria vi porgePegni di pace e ricchi doni e annunziaSchiuso l’Eusin alle liguri prore.Acconsentite?

TUTTI

Sì.

DOGE

Ma d’altro votoPiù generoso io vi richiedo.

ALCUNI

Parla.

DOGE

La stessa voce che tuonò su Rienzi,Vaticinio di gloria e poi di morte,Or su Genova tuona. – Ecco un messaggio(mostrando uno scritto)Del romito di Sorga, ei per VeneziaSupplica pace…

PAOLO

(interrompendolo)Attenda alle sue rime

Il cantor della bionda Avignonese.

TUTTI

(ferocemente)Guerra a Venezia!

DOGE

E con quest’urlo atroceFra due liti d’Italia erge Caino

Page 57: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

La sua clava cruenta! – Adria e LiguriaHanno patria comune.

TUTTI

È nostra patriaGenova.

(tumulto lontano)

PIETRO

Qual clamor!

ALCUNI

D’onde tai grida?

PAOLO

(balzando e dopo essere accorso al verone)Dalla piazza de’ Fieschi.

TUTTI

(alzandosi)Una sommossa!

PAOLO

(è sempre alla finestra, lo ha raggiunto Pietro)Ecco una turba di fuggenti.

DOGE

Ascolta.(il tumulto si fa più forte)

PAOLO

(origliando)Si sperdon le parole…

VOCI INTERNE

Morte!

PAOLO

(a Pietro)È lui?

DOGE

(che ha udito ed è presso al verone)Chi?

PIETRO

Guarda.

DOGE

(guardando)Ciel! Gabriele Adorno

Dalla plebe inseguito… accanto ad essoCombatte un Guelfo. A me un araldo.

PIETRO

(sommesso)(Paolo,

Fuggi o sei côlto.)

DOGE

(guardando Paolo che s’avvia)Consoli del mare,

Custodite le soglie! Olà, chi fuggeÈ un traditor.

(Paolo confuso s’arresta)

VOCI

(in piazza)Morte ai patrizi!

CONSIGLIERI NOBILI

(sguainando le spade)All’armi!

VOCI

(in piazza)Viva il popolo!

CONSIGLIERI POPOLANI

(sguainando le spade)Evviva!

DOGE

E che? voi pure?Voi: qui!! vi provocate?

VOCI

(in piazza)Morte al Doge.

DOGE

(ergendosi con possente alterezza; sarà giuntol’araldo)(Morte al Doge? Sta ben. – Tu, araldo, schiudiLe porte del palagio e annuncia al volgoGentilesco e plebeo ch’io non lo temo,Che le minacce udii, che qui li attendo…Nelle guaine i brandi.

(ai Consiglieri, che ubbidiscono)

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Page 58: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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VOCI

(in piazza)Armi! saccheggio!

Fuoco alle case!

ALTRE VOCI

Ai trabocchi!

ALTRE

Alla gogna!

DOGE

Squilla la tromba dell’araldo… ei parla…(una tromba lontana. Tutti stanno attenti ori-gliando. Silenzio)Tutto è silenzio…

UNO SCOPPIO DI GRIDA

Evviva!

VOCI

(più vicine)Evviva il Doge!

DOGE

Ecco le plebi!

SCENA UNDICESIMA

Irrompe la folla dei popolani, i Consiglieri ecc.ecc., molte donne, alcuni fanciulli, il DOGE,PAOLO, PIETRO. I Consiglieri nobili sempre divisidai popolani. ADORNO e FIESCO afferrati dalpopolo.

POPOLO

Vendetta! vendetta!Spargasi il sangue del fiero uccisor!

DOGE

(ironicamente)Quest’è dunque del popolo la voce?Da lungi tuono d’uragan, da pressoGrido di donne e di fanciulli. – Adorno,Perché impugni l’acciar?

GABRIELE

Ho trucidatoLorenzino.

POPOLO

Assassin!

GABRIELE

Ei la GrimaldiAvea rapita.

DOGE

(Orror!)

POPOLO

Menti!

GABRIELE

Quel vilePria di morir disse che un uom possenteAl crimine l’ha spinto.

PIETRO

(a Paolo)(Ah! sei scoperto!)

DOGE

(in agitazione)E il nome suo?

GABRIELE

(fissando il Doge con tremenda ironia)T’acqueta! il reo si spense

Pria di svelarlo.

DOGE

Che vuoi dir?

GABRIELE

(terribilmente)Pel cielo!

Uom possente tu se’!

DOGE

(a Gabriele)Ribaldo!

GABRIELE

(al Doge, slanciandosi)Audace

Rapitor di fanciulle!

ALCUNI

Si disarmi!

Page 59: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

GABRIELE

Empio corsaro incoronato! muori!(divincolandosi e correndo per ferire il Doge)

SCENA DODICESIMA

AMELIA e detti.

AMELIA

(entrando ed interponendosi fra Gabriele e ilDoge)Ferisci!

DOGE

Amelia!

TUTTI

Amelia!

AMELIA

O Doge… ah, salva…Salva l’Adorno tu.

DOGE

(alle guardie che si sono impossessate di Ga-briele per disarmarlo)

Nessun l’offenda.Cade l’orgoglio e al suon del suo doloreTutta l’anima mia parla d’amore…Amelia, di’ come tu fosti rapitaE come al periglio potesti scampar.

AMELIA

Nell’ora soave che all’estasi invitaSoletta men givo sul lido del mar.Mi cingon tre sgherri… m’accoglie un naviglio.

POPOLO

Orror!

AMELIA

Soffocati non valsero i gridi.Io svenni e al novello dischiuder del ciglioLorenzo in sue stanze presente mi vidi…

TUTTI

Lorenzo!

AMELIA

Mi vidi prigion dell’infame!Io ben di quell’alma sapea la viltà.Al Doge, gli dissi, fien note tue trame,Se a me sull’istante non dài libertà.Confuso di tema, mi schiuse le porte…Salvarmi l’audace minaccia potea…

TUTTI

Ei ben meritava, quell’empio, la morte.

AMELIA

V’è un più nefando che illeso qui sta.

TUTTI

Chi dunque?

AMELIA

(fissando Paolo che sta dietro un gruppo dipersone)

Ei m’ascolta… discerno le smorteSue labbra.

DOGE E GABRIELE

Chi è dunque?

POPOLANI

(minacciosi)Un patrizio.

NOBILI

(come sopra)Un plebeo.

POPOLANI

(ai nobili)Abbasso le spade!

AMELIA

Terribili gridi!

NOBILI

(ai popolani)Abbasso le scuri!

AMELIA

Pietà!

DOGE

(possentemente)Fratricidi!!!

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Page 60: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

59

Plebe! Patrizi! PopoloDalla feroce storia!Erede sol dell’odioDei Spinola dei D’Oria,Mentre v’invita estaticoIl regno ampio dei mari,Voi nei fraterni lariVi lacerate il cor.Piango su voi, sul placidoRaggio del vostro clivo,Là dove invan germogliaIl ramo dell’ulivo.Piango sulla mendaceFesta dei vostri fior,E vo gridando: pace!E vo gridando: amor!

AMELIA

(a Fiesco)(Pace! lo sdegno immensoNascondi per pietà!Pace! t’ispiri un sensoDi patria carità.)

PIETRO

(a Paolo)(Tutto fallì, la fugaSia tua salvezza almen.)

PAOLO

(a Pietro)(No, l’angue che mi frugaÈ gonfio di velen.)

GABRIELE

(Amelia è salva, e m’ama!Sia ringraziato il ciel!Disdegna ogn’altra bramaL’animo mio fedel.)

FIESCO

(O patria! a qual mi serbaVergogna il mio sperar!Sta la città superbaNel pugno d’un corsar!)

CORO

(fissando il Doge)Il suo commosso accentoSa l’ira in noi calmar;Vol di soave vento

Che rasserena il mar.

GABRIELE

(offrendo la spada al Doge)Ecco la spada.

DOGE

Questa notte solaQui prigione sarai, finché la tramaTutta si scopra. – No, l’altera lamaSerba, non voglio che la tua parola.

GABRIELE

E sia!

DOGE

(con forza terribile)Paolo!

PAOLO

(sbucando dalla folla, allibito)Mio Duce!

DOGE

(con tremenda maestà e con violenza semprepiù formidabile)

In te risiedeL’austero dritto popolar, è accoltoL’onore cittadin nella tua fede:Bramo l’ausiglio tuo… V’è in queste muraUn vil che m’ode e impallidisce in volto,Già la mia man l’afferra per le chiome.Io so il suo nome… È nella sua paura.Tu al cospetto del ciel e al mio cospettoSei testimon. – Sul manigoldo impuroPiombi il tuon del mio detto:(con immensa forza)Sia maledetto! e tu ripeti il giuro.

PAOLO

(atterrito e tremante)Sia maledetto… (Orror!)

TUTTI

Sia maledetto!!!

Page 61: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

ATTO SECONDO

Stanza del Doge nel Palazzo Ducale in Genova.Porte laterali. Da un poggiolo si vede la città.Un tavolo: un’anfora e una tazza. – Annotta.

SCENA PRIMA

PAOLO e PIETRO.

PAOLO

(a Pietro, traendolo verso il poggiolo)Quei due vedesti?

PIETRO

Sì.

PAOLO

Li traggi tostoDal carcer loro per l’andito ascoso,Che questa chiave schiuderà.

PIETRO

T’intesi.

(esce)

SCENA SECONDA

PAOLO solo.

Me stesso ho maledetto! E l’anatèmaM’insegue ancor… e l’aura ancor ne trema!Vilipeso… reiettoDal Senato e da Genova, qui vibroL’ultimo stral pria di fuggir; qui libroLa sorte tua, Doge, in quest’ansia estrema.Tu, che m’offendi e che mi devi il trono,Qui t’abbandonoal tuo destinoIn quest’ora fatale…(estrae un’ampolla, ne vuota il contenuto nellatazza)Qui ti stillo una lenta, altra agonia…Là t’armo un assassino.Scelga morte sua viaFra il tosco ed il pugnale.

SCENA TERZA

DETTO, FIESCO e GABRIELE dalla destra, condottida PIETRO, che si ritira.

FIESCO

Prigioniero in qual loco m’adduci?

PAOLO

Nelle stanze del Doge, e favellaA te Paolo.

FIESCO

I tuoi sguardi son truci…

PAOLO

Io so l’odio che celasi in te.Tu m’ascolta.

FIESCO

Che brami?

PAOLO

Al cimentoPreparasti de’ Guelfi la schiera?

FIESCO

Sì.

PAOLO

Ma vano fia tanto ardimento!Questo Doge, aborrito da meQuanto voi l’abborrite, v’apprestaNuovo scempio…

FIESCO

Mi tendi un agguato.

PAOLO

Un agguato?… Di Fiesco la testaIl tiranno segnata non ha?…Io t’insegno vittoria.

FIESCO

A qual patto?

PAOLO

Trucidarlo qui, mentre egli dorme…

FIESCO

Osi a Fiesco proporre un misfatto?

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Page 62: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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PAOLO

Tu rifiuti?

FIESCO

PAOLO

Al carcer ten va.

(Fiesco parte dalla destra; Gabriele fa per se-guirlo, ma è arrestato da Paolo)

SCENA QUARTA

PAOLO e GABRIELE.

PAOLO

Udisti?

GABRIELE

Vil disegno!

PAOLO

Amelia dunque mai tu non amasti?

GABRIELE

Che dici?

PAOLO

È qui.

GABRIELE

Qui Amelia?

PAOLO

E del vegliardoSegno è alle infami dilettanze.

GABRIELE

AstutoDimon, cessa…(Paolo corre a chiuder la porta di destra)

Che fai?

PAOLO

Da qui ogni varco t’è conteso. – ArdisciIl colpo… O sepolturaAvrai fra queste mura.

(parte frettoloso dalla porta di sinistra, che sichiude dietro)

SCENA QUINTA

GABRIELE solo.

O inferno! Amelia qui! L’ama il vegliardo!E il furor che m’accendeM’è conteso sfogar!… Tu m’uccidestiIl padre… tu m’involi il mio tesoro…Trema, iniquo… già troppa era un’offesa,Doppia vendetta hai sul tuo capo accesa.

Sento avvampar nell’animaFurente gelosia;Tutto il suo sangue spegnerneL’incendio non potria;S’ei mille vite avesse,Se mieterle potesseD’un colpo il mio furor,Non sarei sazio ancor.

Che parlo!… Ohimè… deliro…Piango!… pietà, gran Dio, del mio martiro!…

Pietoso cielo, rendila,Rendila a questo core,Pura siccome l’angeloChe veglia al suo pudore;Ma se una nube impuraTanto candor m’oscura,Priva di sue virtù,Ch’io non la vegga più.

SCENA SESTA

Detto ed AMELIA dalla sinistra.

AMELIA

Tu qui?…

GABRIELE

Amelia!

AMELIA

Chi il varco t’apria?

GABRIELE

E tu come qui?

AMELIA

Io…

GABRIELE

Ah, sleale!

Page 63: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

AMELIA

Ah crudele!…

GABRIELE

Il tiranno ferale…

AMELIA

Il rispetta…

GABRIELE

Egli t’ama…

AMELIA

D’amorSanto…

GABRIELE

E tu?

AMELIA

L’amo al pari…

GABRIELE

E t’ascolto,Né t’uccido?

AMELIA

Infelice!… mel credi,Pura io sono…

GABRIELE

Favella…

AMELIA

ConcediChe il segreto non aprasi ancor.

GABRIELE

Parla – in tuo cor virgineoFede al diletto rendi –Il tuo silenzio è funebreVel che su me distendi.Dammi la vita o il feretro,Sdegno la tua pietà.

AMELIA

Sgombra dall’alma il dubbio…Santa nel petto mioL’immagin tua s’accoglieCome nel tempio Iddio.No, procellosa tenebra

Un ciel d’amor non ha.(s’ode uno squillo)Il Doge vien. Scampo non hai. T’ascondi!

GABRIELE

No.

AMELIA

Il patibol t’aspetta.

GABRIELE

Io non lo temo.

AMELIA

Nell’ora stessa teco avrò morte…Se non ti move di me pietà.

GABRIELE

Di te pietade?… (tra sé) (Lo vuol la sorte…Si compia il fato… Egli morrà…)

(Amelia nasconde Gabriele sul poggiolo)

SCENA SETTIMA

Detta e il DOGE, ch’entra dalla destra leggendoun foglio.

DOGE

Figlia!…

AMELIA

Sì afflitto, o padre mio?

DOGE

T’inganni…Ma tu piangevi.

AMELIA

Io?

DOGE

La cagion m’è notaDelle lagrime tue… Già mel dicesti…Ami; e se degno fiaDi te l’eletto del tuo core…

AMELIA

O padre,Fra’ Liguri il più prode, il più gentile…

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Page 64: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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DOGE

Il noma.

AMELIA

Adorno…

DOGE

Il mio nemico!

AMELIA

Padre!…

DOGE

Vedi qui scritto il nome suo?… congiuraCoi Guelfi…

AMELIA

Ciel!… perdonagli!…

DOGE

Nol posso.

AMELIA

Con lui morrò…

DOGE

L’ami cotanto?

AMELIA

L’amoD’ardente, d’infinito amor. O al tempioCon lui mi guida, o sovra entrambi cadaLa scure del carnefice…

DOGE

O crudeleDestino! O dileguate mie speranze!Una figlia ritrovo; ed un nemicoA me la invola… Ascolta:S’ei ravveduto…

AMELIA

Il fia…

DOGE

Forse il perdonoAllor…

AMELIA

Padre adorato!

DOGE

Ti ritraggi…Attender qui degg’io l’aurora…

AMELIA

LasciaCh’io vegli al fianco tuo…

DOGE

No, ti ritraggi…

AMELIA

Padre!…

DOGE

Il voglio…

AMELIA

(entrando a sinistra)(Gran Dio! come salvarlo?)

SCENA OTTAVA

Il DOGE e GABRIELE nascosto.

DOGE

Doge! ancor proveran la tua clemenzaI traditori? Di paura segnoFora il castigo. – M’ardono le fauci.(versa dall’anfora nella tazza e beve)Perfin l’onda del fonte è amara al labbroDell’uom che regna… O duol… la mente è

[oppressa…Stanche le membra… ahimè… mi vince il sonno(siede)Oh! Amelia… ami… un nemico…

(s’addormenta)

GABRIELE

(entra con precauzione, s’avvicina al Doge e locontempla)

Ei dorme!… qualeSento ritegno?… È reverenza o tema?…Vacilla il mio voler?… Tu dormi, o veglio,Del padre mio carnefice, tu mioRival!… Figlio d’Adorno!… la paternaOmbra ti chiama vindice.

Page 65: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

64

(brandisce un pugnale e va per trafiggere ilDoge, ma Amelia, che era ritornata, varapidamente a porsi tra esso e il padre)

SCENA NONA

Detti e AMELIA.

AMELIA

Insensato!Vecchio inerme il tuo braccio colpisce?

GABRIELE

Tua difesa mio sdegno raccende.

AMELIA

Santo, il giuro, è l’amor che ci unisce,Né alle nostre speranze contende.

GABRIELE

Che favelli?…

DOGE

(destandosi)Ah!

AMELIA

Nascondi il pugnale!Vien… ch’ei t’oda…

GABRIELE

Prostrarmi al suo piede?

DOGE

(entra improvvisamente fra loro, dicendo aGabriele)Ecco il petto… colpisci, sleale!

GABRIELE

Sangue il sangue d’Adorno ti chiede.

DOGE

E fia ver?… chi t’apria queste porte?

AMELIA

Non io.

GABRIELE

Niun quest’arcano saprà.

DOGE

Il dirai fra i tormenti…

GABRIELE

La morte,Tuoi supplizi non temo.

AMELIA

Ah pietà!

DOGE

Ah, quel padre tu ben vendicasti,Che da me contristato già fu…Un celeste tesor m’involasti…La mia figlia…

GABRIELE

Suo padre sei tu!!!Perdono, Amelia. Indomito,Geloso amor fu il mio.Doge, il velame squarciasi…Un assassin son io…Dammi la morte; il ciglioA te non oso alzar.

AMELIA

(Madre, che dall’empireoProteggi la tua figlia,Del genitore all’animaMeco pietà consiglia…Ei si rendea colpevoleSolo per troppo amor.)

DOGE

(D’egg’io salvarlo e stendereLa mano all’inimico?Sì, pace splenda ai Liguri,Si plachi l’odio antico,Sia d’amistanze italicheIl mio sepolcro altar.)

CORO INTERNO

All’armi, all’armi, o Liguri,Patrio dover v’appella.Scoppiò dell’ira il folgore,È notte di procella.Le guelfe spade cinganoDi tirannia lo spalto;Del coronato veglio,Su, alla magion, l’assalto.

Page 66: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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AMELIA

(corre al poggiolo)Quai gridi?

GABRIELE

I tuoi nemici…

DOGE

Il so.

AMELIA

(sempre alla finestra)S’addensa

Il popolo.

DOGE

(a Gabriele)T’unisci a’ tuoi…

GABRIELE

Ch’io pugniContro di te?… mai più.

DOGE

Dunque messaggioTi reca a lor di pace,E il sole di domaniNon sorga a rischiarar fraterne stragi.

GABRIELE

Teco a pugnar ritorno,Se la clemenza tua non li disarmi.

DOGE

(accennando Amelia)Sarà costei tuo premio.

GABRIELE E AMELIA

O inaspettata gioia!

AMELIA

O padre!

DOGE E GABRIELE

(snudando le spade)All’armi!

Page 67: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

ATTO TERZO

Interno del Palazzo Ducale.Di prospetto, grandi aperture dalle quali siscorgerà Genova illuminata a festa: in fondo, ilmare.

SCENA PRIMA

UN CAPITANO dei balestrieri, con FIESCO, dalladestra, poi dalla sinistra PAOLO in mezzo alleguardie.

GRIDA

(interne)Evviva il Doge!

ALTRE GRIDA

Vittoria! Vittoria!

CAPITANO

(rimettendo a Fiesco la sua spada)Libero sei: ecco la spada.

FIESCO

E i Guelfi?

CAPITANO

Sconfitti.

FIESCO

O triste libertà!(a Paolo)

Che?… Paolo?!Dove sei tratto?

PAOLO

(arrestandosi)All’estremo supplizio.

Il mio demonio mi cacciò fra l’armiDei rivoltosi e là fui côlto; ed oraMi condanna Simon; ma da me primaFu il Boccanegra condannato a morte.

FIESCO

Che vuoi dir?

PAOLO

Un velen…, più nulla io temo,

Gli divora la vita.

FIESCO

(a Paolo)Infame!

PAOLO

Ei forseGià mi precede nell’avel!…

CORO INTERNO

(Dal sommo delle sfereProteggili, Signor;Di pace sien foriereLe nozze dell’amor.)

PAOLO

Ah! orrore!!Quel canto nuzïal, che mi persegue,L’odi?… in quel tempio Gabriele AdornoSposa colei ch’io trafugava…

FIESCO

(sguainando la spada)Amelia?!

Tu fosti il rapitor?!… Mostro!!

PAOLO

Ferisci.

FIESCO

(trattenendosi)Non lo sperar; sei sacro alla bipenne.

(le guardie trascinano Paolo fuori di scena)

SCENA SECONDA

FIESCO solo.

Inorridisco!… no, Simon, non questaVendetta chiesi, d’altra meta degnoEra il tuo fato. – Eccolo… il Doge. AlfineÈ giunta l’ora di trovarci a fronte!

(si ritira in un angolo d’ombra)

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Page 68: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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SCENA TERZA

Il DOGE: lo precede il CAPITANO con un trom-bettiere, FIESCO in disparte.

CAPITANO

(al verone)Cittadini! per ordine del DogeS’estinguano le faci e non s’offendaCol clamor del trionfo i prodi estinti.

(esce seguito dal trombettiere)

DOGE

M’ardon le tempia… un’atra vampa sentoSerpeggiar per le vene… Ah! ch’io respiriL’aura beata del libero cielo!Oh refrigerio!… La marina brezza!…Il mare!… il mare!… quale in rimirarloDi glorie e di sublimi rapimentiMi si affaccian ricordi! il mare!… il mare!…Perché in suo grembo non trovai la tomba!…

FIESCO

(avvicinandosi)Era meglio per te!

DOGE

Chi osò inoltrarsi?…

FIESCO

Chi te non teme…

DOGE

(verso la destra chiamando)Guardie?

FIESCO

Invan le appelli…Non son qui i sgherri tuoi –M’ucciderai, ma pria m’odi…

FIESCO

Che vuoi?

(i lumi della città e del porto cominciano aspegnersi)

FIESCO

Delle faci festanti al barlumeCifre arcane, funebri vedrai.

Tua sentenza la mano del numeSovra queste pareti vergò.

Di tua stella s’eclissano i rai;La tua porpora in brani già cade;Vincitor fra le larve morraiCui la tomba tua scure negò.

DOGE

Quale accento?

FIESCO

Lo udisti un’altra volta.

DOGE

Fia ver? – Risorgon dalle tombe i morti!

FIESCO

Non mi ravvisi tu?

DOGE

Fiesco!

FIESCO

Simone,I morti ti salutano!

DOGE

Gran Dio!…Compiuto è alfin di quest’alma il desio!

FIESCO

Come fantasimaFiesco t’appar,Antico oltraggioA vendicar.

DOGE

Di pace nunzioFiesco sarà,Suggella un angeloNostra amistà.

FIESCO

Che dici?

DOGE

Un tempo il tuo perdon m’offristi…

FIESCO

Io?

Page 69: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

DOGE

Se a te l’orfanella concedeaChe perduta per sempre allor piangea.In Amelia Grimaldi a me fu resa,E il nome porta della madre estinta.

FIESCO

Cielo!… perché mi splende il ver sì tardi?

DOGE

Piangi?… Perché da me volgi gli sguardi?…

FIESCO

Piango, perché mi parlaIn te del ciel la voce;Sento rampogna atroceFin nella tua pietà.

DOGE

Vien, ch’io ti stringa al petto,O padre di Maria;Balsamo all’alma miaIl tuo perdon sarà.

FIESCO

Ahimè! morte sovrasta… un traditoreIl velen t’apprestò.

DOGE

Tutto favella,Il sento, a me d’eternità…

FIESCO

CrudeleFato!

DOGE

Ella vien…

FIESCO

Maria…

DOGE

Taci, non dirle…Anco una volta benedirla voglio.

(s’abbandona sopra un seggiolone)

SCENA ULTIMA

Detti, MARIA, GABRIELE, Senatori, Dame, Gentil-uomini, Paggi con torce ecc. ecc.

MARIA

(vedendo Fiesco)Chi veggo!…

DOGE

Vien…

GABRIELE

(Fiesco!)

MARIA

(a Fiesco)Tu qui!

DOGE

DeponiLa meraviglia – In Fiesco il padre vediDell’ignota Maria, che ti die’ vita.

MARIA

Egli?… Fia ver?

FIESCO

Maria!…

MARIA

Oh gioia! DunqueGli odii funesti han fine!…

DOGE

(grave)Tutto finisce, o figlia…

MARIA

Qual feralePensier t’attrista sì sereni istanti?

DOGE

Maria, coraggio… A gran dolor t’appresta…

MARIA E GABRIELE

Quali accenti! oh terror!

DOGE

Per me l’estremaOra suonò!

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Page 70: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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(sorpresa generale)

MARIA E GABRIELE

Che parli?…

DOGE

Ma l’EternoIn tue braccia, o Maria,Mi concede spirar…

MARIA E GABRIELE

(cadendo ai piedi del Doge)Possibil fia?…

DOGE

(sorge e, imponendo sul loro capo le mani,solleva gli occhi al cielo e dice:)Gran Dio, li benediciPietoso dall’empiro;A lor del mio martiroCangia le spine in fior.

MARIA

No, non morrai, l’amoreVinca di morte il gelo;Risponderà dal cieloPietade al mio dolor.

GABRIELE

O padre, o padre, il senoFuria mi squarcia atroce…Come passò veloceL’ora del lieto amor!

FIESCO

Ogni letizia in terraÈ menzognero incanto;D’interminato piantoFonte è l’umano cor.

DOGE

T’appressa, o figlia… io spiro…Stringi… il morente… al cor!…

CORO

Sì, – piange, piange, è vero,Ognor la creatura;S’avvolge la naturaIn manto di dolor!

DOGE

Senatori, sancite il voto estremo –(i Senatori s’appressano)Questo serto ducal la fronte cingaDi Gabriele Adorno –Tu, Fiesco, compi il mio voler… Maria!!!

(spira)

MARIA E GABRIELE

(s’inginocchiano davanti al cadavere)Oh padre!

FIESCO

(s’avvicina al verone circondato da’ Senatori ePaggi, che alzano le fiaccole)

Genovesi!… In GabrieleAdorno il vostro Doge or acclamate.

VOCI

(dalla piazza)No – Boccanegra!!!

FIESCO

È morto…Pace per lui pregate!…

(lenti e gravi tocchi di campana. Tutti s’in-ginocchiano.)

Page 71: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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Le due versioni del Simon Boccanegra – ri-salenti, rispettivamente, al 1857 e al 1881 –offrono la possibilità d’un interessante raf-fronto tra la prima maturità artistica di Ver-di e la sua tarda fase creativa.La versione del ’57 fu il penultimo fruttodella collaborazione con Francesco MariaPiave (conclusa nel 1862 dalla Forza deldestino), già autore di numerosi librettiverdiani fra i quali Ernani, Rigoletto e Tra-viata. La genesi del Simon Boccanegra ven-ne dalla proposta per una nuova operaavanzata a Verdi dalla dirigenza del TeatroLa Fenice nella primavera 1856. Fu Verdi ascegliere il soggetto, mutuandolo dal dram-ma omonimo scritto nel 1843 dal dramma-turgo spagnolo Antonio García Gutiérrez,al cui repertorio aveva già attinto col Tro-vatore. Quasi naturale fu il ricorso, per lastesura del libretto, a Piave (impiegato, nelmedesimo periodo, come direttore di pal-coscenico del teatro veneziano), il cui ruo-lo fu prezioso anche come intermediariocol Teatro veneziano e con gli ambientidella censura. Al controllo sulla prepara-zione del libretto Verdi dovette attendere dalontano, essendo costretto a Parigi da vicis-situdini legali; fu così che, all’insaputa diPiave, si avvalse anche della collaborazio-ne di Giuseppe Montanelli, patriota italianoesule nella capitale francese in seguito allacondanna ai lavori forzati a vita per la par-tecipazione ai moti toscani del ’49.L’esito della prima rappresentazione (12marzo 1857) fu infelice. In una lettera allacontessa Maffei, Verdi stesso lo paragonò aun precedente, clamoroso, insuccesso ve-neziano: «Il Boccanegra ha fatto a Veneziaun fiasco quasi altrettanto grande che quel-lo della Traviata. Credeva di aver fattoqualcosa di passabile, ma pare che mi sia

sbagliato». A differenza di Traviata, tutta-via, al Boccanegra non arrise in seguitouna piena riabilitazione: non ne risultò in-fatti complessivamente migliore l’acco-glienza nel resto d’Italia. Trionfò a ReggioEmilia e Napoli, piacque a Roma, crollò aFirenze e Milano. Le osservazioni della cri-tica presente alla “prima” veneziana rias-sumono le principali perplessità suscitate:la «Gazzetta privilegiata di Venezia» af-fermò essere la musica del Boccanegra«troppo grande e severa», insomma «diquelle che non fanno subito colpo», non daultimo perché caratterizzata da una «tintalugubre». Quest’ultima osservazione trovòeco in altre voci, tutte rispettose del genioverdiano, ma che lamentavano eccessive«oscurità», «severità» ed «astrusità armoni-che». Circolò persino una voce – con ogniprobabilità infondata – che riferiva d’unaorganizzatissima claque ostile facente capoa Meyerbeer…Che Verdi, con le sue scelte musicali, aves-se frustrato radicate aspettative del pubbli-co, è fin troppo evidente; e tuttavia nessunose ne chiese, in fondo, il perché: la tramadel Simone inscena una vicenda impernia-ta sulla tragica disumanità dell’odio politi-co, della sete di potere, del desiderio di ven-detta e della ragion di stato. La carenza, inquest’opera, di leggiadria e di epidermicapiacevolezza è immediata conseguenza diquesto fondamentale aspetto del testo: achiunque riconosca la primarietà della ra-gione drammaturgica – vale a dire la cen-tralità, per l’ideazione musicale, deglieventi presentati in scena – la «tinta» oscu-ra della musica verdiana sarebbe dovutaapparire come una necessità non meno cheassoluta.Verdi restò affezionato al Boccanegra, ma

SIMON BOCCANEGRA IN BREVE

Page 72: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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non fu impermeabile alle perplessità delpubblico: il suo atteggiamento verso questolavoro mantenne qualche ambivalenza, ri-scontrabile nelle espressioni ironico-affet-tuose ad esso riservate («Gli ho voluto benecome si vuol bene al figlio gobbo», «Tavolozoppo», «gambe storte«, «cane ben bastona-to»). Significativo è che, in vista del succes-sivo Ballo in maschera, accantonasse per«soverchia monotonia» progetti di lavoricaratterizzati da «punti di scena interessan-tissimi, ma senza varietà», con «una cordasola, elevata […] ma pur sempre la stessa»;eppure il “caso” Boccanegra rimase perVerdi un capitolo non completamente chiu-so: fu Giulio Ricordi, nel 1879, a proporrel’idea d’una revisione, suscitando sulle pri-me il netto rifiuto del compositore («ho ri-cevuto […] un grosso pacco che suppongouna partitura di Simone! Se […] verrete a S.Agata di qui a sei mesi, un anno, due, tre,ecc. la troverete intatta come me l’avetemandata. Vi dissi […] che detesto le coseinutili»).Convinto d’aver terminato la propria car-riera creativa, Verdi riteneva «meglio finirecoll’Aida e colla Messa [il Requiem, del1874] che con un arrangement»… Già dal1880, tuttavia, era alle prese col nuovo Si-mone. Trattandosi della prima collabora-zione con Boito (il librettista degli ultimidue capolavori verdiani), la revisione rap-presentò fra l’altro una sorta di prova gene-rale in vista di Otello, il cui libretto, frattan-to, Verdi aveva ricevuto (ma senza accetta-re di prender alcun impegno).Nel tempo trascorso fra le due versioni gran-di cambiamenti erano intervenuti tanto nel-la concezione verdiana quanto nella storiadell’opera europea: Wagner aveva esploratola possibilità d’un dramma musicale non

più articolato nelle strutture organizzate eregolari della “scena”, ma in forme aperteespanse ad unità strutturali corrispondentiagli atti. Non molto dissimile, sotto questoaspetto, era stata anche l’evoluzione di Ver-di, maturata anche grazie alle nuove espe-rienze nel genere del grand-opéra con DonCarlos (1867) e Aida (1871). Tutto ciò nonpoteva non riflettersi anche sulla revisionedel Boccanegra, la cui struttura originariarientrava nel canone della tipica articolazio-ne in forma chiusa del melodramma italia-no dell’Ottocento, e la cui rielaborazione,per contro, mirò in primis alla continuità deldiscorso musicale.Nel dettaglio, il più vistoso intervento ebbeluogo nella seconda parte del primo atto:qui inni e danze vennero sostituiti dalla tor-va scena del Consiglio e dall’impressionan-te episodio della maledizione di Paolo.Complessivamente l’intervento comportò ta-gli, sostituzioni (il giuramento fra Adorno eFiesco, ad esempio, venne sostituito dallabenedizione di quest’ultimo), e anche mo-difiche nella strumentazione, nella cui arteVerdi s’era nel frattempo molto raffinato,soprattutto in forza dell’esperienza con idue citati grand-opéra.La nuova versione esordì con grande suc-cesso il 24 marzo 1881 alla Scala di Milano.Nonostante la felice accoglienza, la fortunadi quest’opera non fu, nemmeno nella nuo-va veste, immediata e unanime: la definiti-va rinascita e consacrazione del Simone èstoria del Novecento; storia che – può forsesorprendere – prese le mosse negli anniTrenta in Germania e di là si trasmise aipalcoscenici italiani ed internazionali.

(GIANNI RUFFIN)

Page 73: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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Frontespizio della partitura di Simon Boccanegra. (Venezia, Archivio Storico del Teatro La Fenice).

Page 74: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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Venezia 1857

SSIIMMOONN BBOOCCCCAANNEEGGRRAALibretto in tre Atti e un Prologo di FRANCESCO MARIA PIAVE

[con modifiche di GIUSEPPE MONTANELLI]musica di GIUSEPPE VERDI

PPRROOLLOOGGOO

11.. PPrreelluuddiioo 22.. RReecciittaattiivvoo,, RRaaccccoonnttoo ee CCoorroo dd’’IInnttrroodduuzziioonneeScena I «Che dicesti?… all’onor di primo abate»Paolo, PietroScena II «Aborriti patrizi» PaoloScena III «Un amplesso… Che avvenne? – Da Sa-vona» Paolo, SimoneScena IV «All’alba tutti qui verrete?» Paolo, Pietro, Marinai, Artigiani22aa.. RRaaccccoonnttoo ddii PPaaoolloo «L’atra magion vedete?»Paolo, Coro33.. RReecciittaattiivvoo ee RRoommaannzzaa FFiieessccooScena V «A te l’estremo addio, palagio altero» eRomanza «Il lacerato spirito» Fiesco44.. RReecciittaattiivvoo ee DDuueettttoo SSiimmoonnee -- FFiieessccooScena VI «Suona ogni labbro il mio nome»SimoneDuetto «Simon?… – Tu! – Qual cieco fato» Fiesco, Simone55.. SScceennaa ee CCoorroo--FFiinnaallee«Oh de’ Fieschi implacata, orrida razza!» SimoneScena VII «Doge il popol t’acclama!» Paolo, Pietro, Simone, Fiesco, Marinai, Popolo

AATTTTOO PPRRIIMMOO

66.. SScceennaa ee CCaavvaattiinnaa AAmmeelliiaaScena I e Cavatina «Come in quest’ora bruna»Amelia

STRUTTURA MUSICALE DELL’OPERAa cura di GILDO SALERNO

Milano 1881

SSIIMMOONN BBOOCCCCAANNEEGGRRAAMelodramma in un Prologo e tre Atti di FRANCESCO MARIA PIAVE

[con aggiunte e modifiche di ARRIGO BOITO]musica di GIUSEPPE VERDI

PPRROOLLOOGGOO

11.. IInnttrroodduuzziioonnee,, SScceennaa ee CCoorrooScena I «Che dicesti?…all’onor di primo abate»Paolo, PietroScena II «Aborriti patrizi» PaoloScena III «Un amplesso… Che avvenne? – Da Sa-vona» Paolo, SimoneScena IV «All’alba tutti qui verrete?» Paolo, Pietro, Marinai, Artigiani11aa.. RRaaccccoonnttoo ddii PPaaoolloo «L’atra magion vedete?»Paolo, Coro22.. AArriiaa FFiieessccooScena V Aria« A te l’estremo addio, palagio alte-ro… Il lacerato spirito» Fiesco33.. DDuueettttoo SSiimmoonnee -- FFiieessccooScena VI «Suona ogni labbro il mio nome»SimoneDuetto «Simon?… – Tu! – Qual cieco fato» Fiesco, Simone44.. SScceennaa ee CCoorroo--FFiinnaallee«Oh de’ Fieschi implacata, orrida razza!» SimoneScena VII «Doge il popol t’acclama!» Paolo, Pietro, Simone, Fiesco, Marinai, Popolo

AATTTTOO PPRRIIMMOO

55.. [[IInnttrroodduuzziioonnee ee]] AArriiaa AAmmeelliiaaScena I e Aria «Come in quest’ora bruna» Amelia«Cielo di stelle orbato - Ei vien!..l’amor»

Page 75: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

«Cielo di stelle orbato» Gabriele (da fuori), Amelia66aa.. CCaabbaalleettttaa «Il palpito deh frena» Amelia77.. DDuueettttoo AAmmeelliiaa -- GGaabbrriieelleeScena II e Duetto «Ti veggo alfin – Perché sì tardigiungi?… Vieni a mirar la cerula» Amelia, GabrieleScena III «Del Doge/ Un messagger» Servo, Amelia, Gabriele, PietroScena IV «Il Doge qui? – Mia destra a chieder vie-ne… Sì, sì dell’ara il giubilo» Gabriele, Amelia88.. DDuueettttoo ee GGiiuurraammeennttoo GGaabbrriieellee –– AAnnddrreeaa ((FFiiee--ssccoo))Scena V e Duetto «Propizio giunge Andrea!» Gabriele, Andrea88aa.. GGiiuurraammeennttoo «Paventa, o perfido» Gabriele, Andrea99.. SScceennaa ee DDuueettttoo SSiimmoonnee--AAmmeelliiaaScena VI «Il nuovo dì festivo» Simone, PaoloScena VII e Duetto «Favella il Doge/ ad AmeliaGrimaldi?…..Dinne, perché in quest’eremo» Simone, Amelia«Figlia!…a tal nome palpito» Simone, Amelia1100.. SScceennaa ee DDuueettttoo PPiieettrroo -- PPaaoollooScena VIII «Che rispose? – Rinunzia ogni spe-ranza» Simone, PaoloScena IX «Che disse? – A me negolla» Pietro, Paolo1111.. FFiinnaallee II..1111aa.. CCoorroo ddii PPooppoolloo ee BBaarrccaarroollaaScena X «A festa! – A festa, o Liguri!» Coro1111bb.. IInnnnoo aall DDooggee «Viva Simon!…di Genova»Tutti1111cc.. BBaallllaabbiillee ddii CCoorrssaarrii AAffrriiccaannii ccoonn CCoorroo «Pro-de guerrier, qui sfolgori» Uomini, Donne, Tutti1111dd.. SScceennaa ee SSeesstteettttoo Scena XI «Chi sei tu che brandisci il pugnale?» Simone, Gabriele, Fiesco, Paolo, Pietro, CoroScena XII «Il Doge è innocente!…» e Sestetto«(Egli è salvo!…o ciel respiro!)» Amelia e Detti1111ee.. RRaaccccoonnttoo ddii AAmmeelliiaa ee SSttrreettttaa «Nell’ora soave che all’estasi invita» Amelia e Detti«Giustizia, giustizia tremenda» Tutti

74

Gabriele, Amelia

66.. DDuueettttoo AAmmeelliiaa -- GGaabbrriieelleeScena II e Duetto «Anima mia! – Perché sì tardigiungi?… Vieni a mirar la cerula»Gabriele, AmeliaScena III «Del Doge/ Un messagger» Ancella, Amelia, Gabriele, PietroScena IV «Il Doge qui? – Mia destra a chieder vie-ne… Sì, sì dell’ara il giubilo» Gabriele, Amelia77.. SScceennaa ee DDuueettttoo GGaabbrriieellee –– AAnnddrreeaa ((FFiieessccoo))

Scena V e Duetto «Propizio giunge Andrea!…Vieni a me, ti benedico» Gabriele, Andrea

88.. SScceennaa ee DDuueettttoo SSiimmoonnee--AAmmeelliiaaScena VI «Paolo. – Signor.» Simone, PaoloScena VII e Duetto «Favella il Doge/ ad AmeliaGrimaldi?…..Dinne, perché in quest’eremo» Simone, Amelia«Figlia!…a tal nome palpito» Simone, Amelia99.. SScceennaa ee DDiiaallooggoo PPiieettrroo -- PPaaoollooScena VIII «Che rispose? – Rinunzia ogni spe-ranza» Simone, PaoloScena IX «Che disse? – A me negolla» Pietro, Paolo1100.. FFiinnaallee II:: SScceennaa ddeell CCoonnssiigglliioo..

Scena X «Messeri, il re di Tartaria» Simone, Patrizi, Plebei, Paolo, Pietro

1100aa.. SSoommmmoossssaaScena XI «Vendetta! Vendetta!»Detti, Popolo, Gabriele, FiescoScena XII «Ferisci! – Amelia!…» Amelia e Detti

1100bb.. RRaaccccoonnttoo ddii AAmmeelliiaa«Nell’ora soave che all’estasi invita»Amelia e Detti1100cc.. PPeezzzzoo dd’’aassssiieemmee«Plebe! Patrizi! – Popolo» Simone, Detti1100dd.. MMaalleeddiizziioonnee««Paolo! –Mio Duce!» Simone, Detti

AATTTTOO SSEECCOONNDDOO

Page 76: 'Simon Boccanegra' Programma di Sala

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AATTTTOO SSEECCOONNDDOO

1122.. SScceennaa ee DDuueettttoo PPaaoolloo –– AAnnddrreeaa ((FFiieessccoo))Scena I «Quei due vedesti?», Paolo, PietroScena II «O doge ingrato!…», Paolo

Scena III «Prigioniero in qual loco mi trovo?»Paolo, Andrea (Fiesco)1133.. SScceennaa eedd AArriiaa GGaabbrriieelleeScena IV, «Udisti? –Vil disegno!» Paolo, GabrieleScena V e Aria «O inferno! Amelia qui…Sentoavvampar nell’anima…Pietoso cielo, rendila»Gabriele1144.. SScceennaa ee DDuueettttoo AAmmeelliiaa ee GGaabbrriieelleeScena VI «Tu qui?…– Amelia!» e Duetto «Parla –in tuo cor virgineo» Amelia, Gabriele1155.. SScceennaa ee SSooggnnoo ddeell DDooggeeScena VII «Figlia!… – Sì afflitto, o padre mio?»Simone, AmeliaScena VIII «Doge! – Ancor proveran la tuaclemenza?» Simone, Gabriele1166.. SScceennaa,, TTeerrzzeettttoo ee CCoorroo.. FFiinnaallee IIII«Insensato! / Vecchio inerme… Perdono, Amelia»Simone, Amelia, Gabriele, Coro

AATTTTOO TTEERRZZOO

1177.. CCoorroo dd’’ IInnttrroodduuzziioonnee

Scena I e Coro «Doge, a’ tuoi passi è scorta» Senatori, Popolo, Simone, Pietro, Paolo

1177aa..CCoorroo nnuuzziiaallee ee SScceennaa «Dal sommo delle sfere» Coro, Paolo, Fiesco1188.. SScceennaa ee DDuueettttoo SSiimmoonnee -- FFiieessccooScena III «Simon, non questa / vendetta io chiesi»FiescoScena IV «M’ardon le tempia» Simone, Pietro, FiescoScena V e Duetto «Oh refrigerio!… la marinabrezza!… Delle faci festanti al barlume» Simone, Fiesco1199.. SScceennaa ee QQuuaarrtteettttoo.. FFiinnaallee IIIIIIScena ultima «Chi veggo!… – Vien… – (Fiesco!)»Simone, Fiesco, Maria (Amelia), Gabriele, CoroQuartetto «Gran Dio, li benedici» Simone, Fiesco, Maria (Amelia), Gabriele, Coro

1111.. SScceennaa ee RReecciittaattiivvoo PPaaoollooScena I «Quei due vedesti?», Paolo, PietroScena II «Me stesso ho maledetto!» Paolo1122.. SScceennaa ee DDuueettttoo PPaaoolloo –– AAnnddrreeaa Scena III «Prigioniero in qual loco m’adduci?»Paolo, Andrea (Fiesco)1133.. SScceennaa eedd AArriiaa GGaabbrriieelleeScena IV, «Udisti? –Vil disegno!» Paolo, GabrieleScena V e Aria «O inferno! Amelia qui…Sentoavvampar nell’anima…Pietoso cielo, rendila»Gabriele1144.. SScceennaa ee DDuueettttoo AAmmeelliiaa ee GGaabbrriieelleeScena VI «Tu qui?…– Amelia!» e Duetto «Parla –in tuo cor virgineo» Amelia, Gabriele1155.. SScceennaa ee TTeerrzzeettttoo--FFiinnaallee IIIIScena VII «Figlia!… – Sì afflitto, o padre mio?»Simone, AmeliaScena VIII «Doge! – Ancor proveran la tuaclemenza?» Simone, GabrieleScena IX e Terzetto «Insensato! / Vecchio inerme… Perdono, Amelia»Simone, Amelia, Gabriele, Coro

AATTTTOO TTEERRZZOO

1166.. [[IInnttrroodduuzziioonnee]].. SScceennaa ee RReecciittaattiivvoo PPaaoolloo eeFFiieessccoo ccoonn CCoorrooScena I «Evviva il Doge!» Capitano, Paolo, Fiesco«Il mio destino mi cacciò fra l’armi» PaoloCoro nuziale «Dal sommo delle sfere» Coro, Paolo, Fiesco1177.. SScceennaa ee DDuueettttoo SSiimmoonnee -- FFiieessccooScena II «Inorridisco!…no, Simon» FiescoScena III «Cittadini! Per ordine del Doge… M’ar-don le tempia» Capitano, Simone, Fiesco

Duetto «Oh refrigerio!… la marina brezza!…Delle faci festanti al barlume» Simone, Fiesco

1188.. SScceennaa ee QQuuaarrtteettttoo--FFiinnaalleeScena ultima «Chi veggo!… – Vien… – (Fiesco!)»Simone, Fiesco, Maria (Amelia), Gabriele, CoroQuartetto «Gran Dio, li benedici» Simone, Fiesco, Maria (Amelia), Gabriele, Coro

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PPRROOLLOOGGOO

Una piazza di Genova. Il filatore d’oro Pao-lo Albiani – che coltiva un segreto desideriod’elevazione sociale – propone a un popo-lano genovese di nome Pietro l’elezione aDoge di Simone Boccanegra, prode difen-sore della repubblica contro i pirati africani[«Che dicesti?…all’onor di primo abate»].Successivamente Paolo incontra Boccane-gra e lo convince ad accettare l’elezione, ri-cordandogli la dolorosa condizione dell’a-mata Maria Fiesco (che a Boccanegra hadato una figlia): Maria vive segregata nelpalazzo del padre, Jacopo Fiesco, fiero op-positore all’idea del matrimonio con Boc-canegra [«Un amplesso… Che avvenne? –Da Savona»]. Nella notte, Pietro convince imarinari e gli artigiani ad acclamare dogeSimone, impietosendoli con l’immaginesofferente di Maria Fiesco [Racconto Paolo:«L’atra magion vedete?»]. Jacopo Fiesco,uscendo dal proprio palazzo, ov’è appenaspirata la figlia [Recitativo e Romanza Fie-sco: «Il lacerato spirito»], incontra Simone.Questi, ignaro della morte dell’amata, im-plora perdono a Fiesco, il quale si dichiaradisposto a concederglielo solo in cambiodella nipote. Boccanegra oppone di non po-ter esaudire tal desiderio, essendogli statarapita la figlia. Fiesco, di conseguenza, ne-ga la possibilità della pace [Recitativo eDuetto Simone – Fiesco: «Simon!… – Tu! –Qual cieco fato»]. Simone entra nel palazzoove crede di poter incontrare l’amata e nescopre invece il cadavere. Ancora sconvol-to, viene acclamato Doge dal popolo [Scenae Coro Finale: «Doge il popol t’acclama! –Via fantasmi!»].AATTTTOO PPRRIIMMOO

Venticinque anni dopo, Palazzo Grimaldi,presso Genova. Amelia (la figlia perduta diSimone e Maria) attende il gentiluomo Ga-briele Adorno, suo amato [Scena e CavatinaAmelia: «Come in quest’ora bruna»]. Orga-nizzatore della congiura è anche Andrea, iltutore di Amelia (che la giovane ritiene ilproprio padre) sotto il cui nome si nascon-de Jacopo Fiesco. Amelia è preoccupata peril grave rischio che corrono i due uomini,animati da intenzioni sovversive contro ilDoge Simone Boccanegra [Duetto Amelia –Gabriele: «Vieni a mirar la cerula»]. Andreaspiega a Gabriele Adorno che Amelia nonappartiene al casato dei Grimaldi, essendouna semplice trovatella. Secondo la suaopinione, il Doge avrebbe messo gli occhisulla giovane per acquisire le ricchezzedella famiglia. Gabriele manifesta ad An-drea il proprio amore per Amelia; i due giu-rano vendetta contro il Doge, che proprionello stesso momento si presenta a palazzoGrimaldi, annunziato da uno squillo ditromba [Duetto e Giuramento Gabriele –Andrea (Fiesco): «Paventa, operfido/Doge»]. Simone vi s’è recato al finedi perorare l’amore di Paolo Albiani per lagiovane, ma all’incontro con Amelia ne ri-conosce l’identità: ella è la figlia avuta daMaria Fiesco e misteriosamente scomparsa[Scena e Duetto Simone – Amelia: «Dinne,perché in quest’eremo»]. In seguito a talericonoscimento, Boccanegra intima a Paolodi rinunciare alla giovane. Dopo aver ricor-dato a Boccanegra d’essere l’artefice dellasua ascesa al soglio genovese, Paolo Albia-ni medita il rapimento d’Amelia [Scena eDuetto Pietro – Paolo: «Che disse? – A menegolla»].

ARGOMENTO VERSIONE 1857

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In piazza, a Genova. Il popolo festeggia trainni e balli i cinque lustri della reggenza diBoccanegra [Coro di Popolo e Barcarola: «Afesta! – A festa, o Liguri!». Inno al Doge: «Vi-va Simon!… di Genova». Ballabile di Corsa-ri Africani con Coro: «Prode guerrier, quisfolgori»], ma improvvise grida turbano lafesta: brandendo il pugnale, Gabriele Ador-no accusa il Doge d’aver fatto rapire Ame-lia. Mentre Gabriele lo incalza, Simone in-tuisce l’accaduto e chiede ragione a Paolo,che nega tutto. D’improvviso sopraggiungeAmelia, suscitando lo stupore generale[Scena e Sestetto: «(Egli è salvo… o ciel re-spiro!)»]; la giovane denuncia d’essersi ri-svegliata, dopo il rapimento, in casa di Lo-renzo (l’usuraio amico di Paolo cui que-st’ultimo, venticinque anni addietro, avevapensato per la candidatura a Doge primad’avanzare il nome di Simone). Interrogatasul mandante del rapimento, Amelia ac-consente di dirlo solo al Doge mentre tuttiinvocano “giustizia tremenda” sul traditore[Racconto Amelia e Stretta: «Giustizia, giu-stizia tremenda»].

AATTTTOO SSEECCOONNDDOO

Genova, palazzo ducale. Paolo cerca d’aiz-zare alla vendetta contro Boccanegra Jaco-po Fiesco e Gabriele Adorno [Scena e Duet-to Paolo – Fiesco: «Prigioniero in qual locomi trovo?»] [Scena ed Aria Gabriele: «Sentoavvampar nell’anima»]. Quest’ultimo in-contra Amelia, che protesta la propria pu-rezza ma non svela il segreto che la uniscea Simone [Scena e duetto Amelia – Gabrie-le: «Parla – in tuo cor virgineo»]. Giungen-do (mentre Gabriele si nasconde), quest’ul-timo comprende che sua figlia preferiscemorire insieme all’amato Gabriele – attesodal patibolo essendone stata scoperta lacongiura – piuttosto che abbandonarlo alsuo fato. Nonostante l’afflizione e gli affan-ni, il Doge si addormenta [Scena e Sognodel Doge: «Figlia!… – Sì afflitto, o padremio?»]. Gabriele avanza per ucciderlo, mad’improvviso Amelia s’interpone, proteg-gendo il corpo di Boccanegra, che si sve-glia. Nella concitazione che segue, Simone

svela la natura del rapporto che lo lega adAmelia; allo stupore attonito e all’indecisio-ne dei tre si sostituisce il rumore d’un tu-multo di piazza; si tratta dei guelfi, corsi al-le armi contro il Doge. Quest’ultimo bene-dice l’amore dei due giovani. Adorno, chenon intende più combattere Simone, inter-cede per la pace [Scena e Terzetto con Co-ro: «Perdono, Amelia - Indomito»].

AATTTTOO TTEERRZZOO

Palazzo ducale. I senatori e il popolo festeg-giano la vittoria di Boccanegra, che hasventato la congiura [Coro d’Introduzione:«Doge, a’ tuoi passi è scorta»]. Rivolto a Ga-briele, il Doge gli dà appuntamento al tem-pio, dove riceverà il meritato premio; in di-sparte Pietro e Paolo s’intendono: l’ora del-la vendetta è prossima. Un coro nuziale au-menta il furore di Paolo, che comprended’aver perduto per sempre Amelia; avvici-natosi a Fiesco, Paolo gli suggerisce di spa-rire dalla circolazione, confidandogli d’a-ver vendicato tutti avendo avvelenato Boc-canegra. Fiesco inorridisce [Coro nuziale eScena: «Dal sommo delle sfere»]. Seguito daPietro, il Doge avanza, già in preda al malo-re, e viene avvicinato da Fiesco, che si fa ri-conoscere. Mentre le luci, poco a poco, sispengono, Simone riesce ad ottenere il per-dono dell’antico rivale, svelandogli d’averritrovato, in Amelia, la figlia che ritenevaperduta [Scena e Duetto Simone – Fiesco:«Delle faci festanti al barlume»]. A quest’ul-tima, sopraggiunta insieme a GabrieleAdorno, il Doge morente indirizza la pro-pria benedizione, nominando il giovanesuo successore. La morte sopraggiunge,inesorabile, fra la costernazione generale[Scena e Quartetto: «Gran Dio, li benedici»].

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Filippo Peroni, figurini per Simon Boccanegra (Simone e Maria nel finale dell’atto I). Milano, Teatro allaScala, 1859. (Milano, Museo Teatrale alla Scala).

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PPRROOLLOOGGOO

Una piazza di Genova, verso la metà del ‘300.Fervono le lotte fra patrizi e plebei per l’e-lezione del nuovo Doge.Un ambizioso plebeo, Paolo Albiani, confi-da al popolano Pietro di voler sostenere lacandidatura di Simon Boccanegra [«Che di-cesti?…all’onor di primo abate»] – un cor-saro al servizio della repubblica genovese –nella speranza di poter ottenere da questipoteri e ricchezza [«Abborriti patrizi»].Giunge Simone, angosciato perché da tem-po non ha notizie di Maria – la donna ama-ta dalla quale ha avuto una figlia – che ilpadre Jacopo Fiesco tiene prigioniera nelsuo palazzo per impedirle di sposare Boc-canegra. Paolo convince Simone ad accet-tare la candidatura (una volta eletto Doge,il padre non potrà più negargli Maria) echiede di essergli vicino nella lotta per laconquista del potere. Simone accetta [«Unamplesso… Che avvenne? - Da Savona»].Pietro chiede al popolo di votare per Bocca-negra. [«All’alba tutti qui verrete?»]. Paolorivela che dal palazzo dei Fieschi sonogiunti i lamenti di una giovane donna [Rac-conto Paolo: «L’atra magion vedete?»] e tut-ti osservano impauriti che da tempo Marianon è apparsa ai balconi e che solo il padre,un’ombra minacciosa e sinistra, si aggiranelle vuote sale. Jacopo Fiesco esce scon-volto dal palazzo: Maria è morta; voci la-mentose cantano il suo miserere [Aria Fie-sco: «Il lacerato spirito»]. Sopraggiunge Si-mone, ignaro della morte di Maria, e sup-plica Fiesco di perdonarlo e concedergliMaria, ma l’inflessibile patrizio, ora più chemai fermo nel suo odio mortale per il cor-

saro, fa balenare una speranza di perdono,a patto che Simone gli affidi la figlia di Ma-ria. In preda a una profonda angoscia, Boc-canegra rivela che la bambina, affidata aun’anziana nutrice in un lontano paese, èda tempo misteriosamente scomparsa.Ogni speranza di pace tra i due rivali svani-sce; Fiesco si allontana e rimane in dispar-te ad osservare [Duetto Simone - Fiesco:«Simon!…-Tu! - Qual cieco fato»]. Simone,esasperato, decide di entrare nel palazzoper cercarvi Maria. Poco dopo giunge il suogrido disperato – Maria! Maria! – al quale sisovrappongono, in un tragico contrasto,lontane voci di esultanza: il popolo accla-ma il nuovo Doge, Simon Boccanegra [Sce-na e Coro Finale: «Doge il popol t’acclama!- Via fantasmi!»].

AATTTTOO II

Giardino dei Grimaldi, fuori Genova.Sono passati venticinque anni.Una giovane donna, Amelia Grimaldi, ri-corda confusamente un passato dolorosomentre attende l’arrivo dell’uomo che ama,il nobile Gabriele Adorno, che giunge can-tando una canzone d’amore [Aria Amelia:«Come in quest’ora bruna»]. La fanciulla sidice preoccupata per la vita del giovane,che sa coinvolto in una congiura patriziacontro il Doge “plebeo”, assieme all’uomoche si prende cura di lei – il nobile AndreaGrimaldi (sotto questo nome si cela JacopoFiesco, creduto morto da Simone) – e a Lo-renzino, un plebeo segretamente vendutosiai patrizi. Giunge Pietro e annuncia che ilDoge desidera visitare il palazzo dei Gri-

ARGOMENTO VERSIONE 1881

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maldi. Amelia, turbata, avverte Gabrieleche Simone chiederà la sua mano per il fa-vorito, Paolo Albiani, e lo supplica di affret-tare le loro nozze [Duetto Amelia - Gabrie-le: «Vieni a mirar la cerula»]. Rimasto solocon Gabriele, Andrea gli rivela l’oscura ori-gine di Amelia, un’orfanella che, raccoltanel convento dove era morta la vera figliadei Grimaldi, ne ha assunto il nome [Scenae Duetto Gabriele - Andrea (Fiesco): «Vienia me, ti benedico»]. Entra il Doge, con Pao-lo e il suo seguito, e si rivolge ad Amelia of-frendo pace alla casata dei Grimaldi e chie-dendole di parlargli di sé. La fanciulla con-fessa di essere desiderata dal perfido Paolo,che aspira ad impossessarsi delle ricchezzedei Grimaldi, e narra la sua storia di pove-ra trovatella, suscitando nel Doge un cre-scente interesse. Simone la incalza con lesue domande e le mostra un ritratto dellafiglia Maria: dalla reazione di Amelia il Do-ge capisce che lei e Maria sono in effetti lastessa persona. Commosso per aver ritro-vato la figlia perduta, l’abbraccia tenera-mente e la rassicura: non verrà data in spo-sa contro la sua volontà [Scena e Duetto Si-mone - Amelia: «Dinne, perché in quest’e-remo»]. Allontanatasi la fanciulla, Simoneordina a Paolo di rinunciare a lei. Paolo al-lora, furente per l’ingiunzione del Doge,stabilisce assieme a Pietro di rapire Ameliaservendosi dell’aiuto di Lorenzino, che tie-ne in suo potere, essendo a conoscenza delsuo tradimento a favore dei patrizi [Scena eDialogo Pietro - Paolo: «Che disse? - A menegolla»].

Sala del Consiglio Il Doge chiede il parere dei suoi consigliericirca la guerra con Venezia; sensibile all’e-sortazione di pace del Petrarca, vorrebbeevitarla, ma trova la violenta opposizionedi Paolo e dei suoi Consiglieri [«Messeri, ilre di Tartaria»]. Dalla piazza giungono iclamori di un tumulto. Simone si affacciaad un balcone e scorge Gabriele Adorno in-seguito dai plebei. Temendo di essere sco-perto quale organizzatore del rapimento,Paolo cerca di uscire dalla sala, ma il Dogeordina che tutte le porte siano chiuse. I rap-presentanti del popolo e della nobiltà stan-

no per venire alle armi, dalla piazza giungeil grido di “Morte al Doge!”. Simone ordinadi aprire le porte per far entrare i conten-denti e ascoltare le loro ragioni. La folla ir-rompe, Gabriele e Andrea sono agguantatidai popolani, che chiedono vendetta perl’assassinio di Lorenzino [Sommossa:«Vendetta! Vendetta!»]. Gabriele dichiara diaverlo ucciso perché aveva tentato di rapi-re Amelia e dice che, prima di morire, Lo-renzino ha confessato di essere stato spintoal crimine da “un uom possente”. Il giova-ne patrizio fa intendere di sospettare delDoge e si slancia verso di lui per ucciderlo.Ma viene fermato da Amelia, che si frappo-ne fra lui e il padre e racconta di esser statarapita da tre sgherri, di essere svenuta e diessersi risvegliata nella casa di Lorenzino[Racconto Amelia: «Nell’ora soave che al-l’estasi invita»]. Poi “fissando Paolo”, dice dipoter riconoscere il vile mandante del suorapimento. Scoppia un tumulto, plebei epatrizi si accusano a vicenda; Simone inter-viene con parole accorate a placare gli ani-mi, chiedendo pace e concordia per il suopopolo [Assolo Simone e Pezzo d’assieme:«Plebe! Patrizi! - Popolo»]. Gabriele si con-segna a lui offrendogli la sua spada, che ilDoge rifiuta prima di rivolgersi, “con forzaterribile”, a Paolo, di cui ha intuito la colpe-volezza. Dopo aver affermato che il tradito-re è presente, Simone impone all’Albiani diunirsi alla comune esecrazione del vile.Paolo, inorridito, è costretto a maledire sestesso. Tutti i presenti gridano minacciosa-mente “Sia maledetto!” [Maledizione: «Pao-lo! - Mio Duce!»].

AATTTTOO IIII

Stanza del Doge nel Palazzo Ducale di Ge-nova.Paolo, bandito da Genova, prima di partireper l’esilio, vuole vendicarsi dell’uomo cheun tempo ha fatto salire al trono dogale.Dopo aver versato un veleno nella tazza diSimone [Scena e Monologo Paolo: «Me stes-so ho maledetto!»], convoca Gabriele e An-drea e chiede a quest’ultimo di colpire ilDoge nel sonno. Il nobile Fiesco rifiuta di

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compiere un atto così sleale [Duetto Paolo -Andrea (Fiesco): «Prigioniero in qual locom’adduci?»]. Paolo non desiste: insinua inGabriele il sospetto che Amelia si trovi nel-le stanze del Doge, vittima delle sue turpiattenzioni [Scena ed Aria Gabriele: «Sentoavvampar nell’anima»]. Giunge Amelia etenta invano di convincere Gabriele dellapurezza dei sentimenti che la legano a Si-mone, senza rivelargli però di esserne fi-glia [Scena e Duetto Amelia - Gabriele:«Parla - in tuo cor virgineo»]. All’arrivo diBoccanegra, ella nasconde il giovane sulbalcone e implora il padre di concedere aGabriele il suo perdono. Simone, perplesso,chiede di rimanere solo. Versa dell’acquanella tazza, la beve e si assopisce. Gabrielegli si avvicina per ucciderlo, ma ne è impe-dito dal ritorno di Amelia che, ancora unavolta, si frappone fra i due e supplica il gio-vane di riporre il pugnale. Il Doge, risve-gliatosi, sfida Gabriele a colpirlo, gli chiedei nomi dei complici e lo accusa di averglirubato la figlia. In tal modo Gabriele cono-sce la verità sul vero legame che unisce Si-mone ad Amelia/Maria [Scena e Terzetto:«Perdono, Amelia - Indomito»]. Si odonovoci concitate: i cospiratori stanno assalen-do il palazzo. Il Doge incarica Gabriele dicomunicare loro le sue proposte di pace. Ilgiovane obbedisce e si dice deciso a torna-re – se non verrà ascoltato – per combatte-re al fianco del Boccanegra, che gli concedela mano della figlia [Finale II: «Quai gri-di?…- I tuoi nemici…»].

AATTTTOO IIIIII

Interno del Palazzo Ducale.La rivolta è fallita, i congiurati patrizi (aiquali si era unito, per sete di vendetta, Pao-lo) sono stati sconfitti. Prima di essere con-dotto al patibolo, Paolo rivela che un velenosta per uccidere Simone. Il lieto coro nuzia-le che giunge di lontano fa inorridire il tra-ditore: egli confessa a Fiesco – che l’ascoltasconvolto – di essere stato il rapitore diAmelia [Scena e Recitativo Paolo con Coro:«Il mio destino mi cacciò fra l’armi»]. Simo-ne – in preda a un misterioso affanno, pri-

mo sintomo del veleno propinatogli da Pao-lo – cerca refrigerio respirando sul balconel’aria del mare, che gli ricorda le glorie pas-sate. All’improvviso gli si avvicina Fiescoche, nell’annunciargli la morte imminente,si fa riconoscere come il suo antico rivale,poi celatosi sotto il nome di Andrea Grimal-di. Il Doge risponde ai suoi propositi di ven-detta rivelandogli che Amelia è la figliascomparsa di Maria, che a sua volta era lafiglia di Jacopo Fiesco. La commozione in-vade il vecchio patrizio che, troppo tardi,comprende l’inutilità del suo lungo odio ecede all’abbraccio di Simone. Fiesco, accet-tando commosso il gesto di rappacificazio-ne del Doge morente, gli rivela che un tra-ditore lo ha avvelenato [Scena e Duetto Si-mone - Fiesco: «Delle faci festanti al barlu-me»]. Entrano Amelia e Gabriele, seguitidalla corte dogale. Simone invita la figlia ariconoscere in Fiesco il padre di Maria, be-nedice i due innamorati e muore, dopoaver proclamato Gabriele Adorno nuovoDoge di Genova [Scena e Quartetto: «GranDio, li benedici»].

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Alfredo Edel, figurino per Simon Boccanegra, (Simone nel prologo e Amelia nell’atto I). Milano, Teatro allaScala, 1881. (Milano, Archivio Storico Ricordi).

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PPRROOLLOOGGUUEE

Une place de Gênes, vers la moitié du XIVe siècle.Les luttes entre les patriciens et le peuplebattent leur plein pour l’élection du nou-veau Doge. Un plébéien ambitieux, PaoloAlbiani, confie à Pietro, homme du peuple,qu’il veut soutenir la candidature de SimonBoccanegra – corsaire au service de la Ré-publique de Gênes – dans l’espoir d’obtenirde ce dernier pouvoirs et richesses. Simonarrive, angoissé car il y a longtemps qu’iln’a plus de nouvelles de Maria – la femmeaimée dont il a eu une fille – que son pèreJacopo Fiesco garde prisonnière dans sonpalais pour l’empêcher d’épouser Boccane-gra. Paolo convaint Simon d’accepter lacandidature (devenu Doge, le père de Ma-ria ne pourra lui refuser sa fille) et deman-de de le suivre dans sa lutte à la conquêtedu pouvoir et dans sa gestion. Simon ac-cepte. Pietro demande au peuple de voterpour Boccanegra [Introduzione, Scena eCoro: «Che dicesti?… all’onor di primo aba-te»]. Paolo révèle que les plaintes d’une jeu-ne femme ont été entendues dans le palaisFieschi [Racconto Paolo: «L’atra magionvedete?»], et tous observent que, depuislongtemps, Maria n’est plus apparue auxbalcons de sa maison et que seul son père,une ombre menaçante et sinistre, déambu-le dans les salles vides. Jacopo Fiesco sortbouleversé du palais: Maria est morte; desvoix plaintives chantent son miserere [AriaFiesco: «Il lacerato spirito»]. Simon arrive etsupplie Fiesco de lui pardonner et de luidonner Maria, mais le patricien inflexible,plus que jamais déterminé dans sa haînemortelle pour le corsaire, laisse entrevoir

un espoir de pardon, à condition que Simonlui confie la fille de Maria. En proie à uneprofonde angoisse, Boccanegra révèle quel’enfant, confiée à une vieille nourrice dansun pays lointain, a depuis longtemps dispa-ru mys – térieusement. Tout espoir de paixdisparaît: Fiesco s’éloigne et, caché, restepour observer [Duetto Simone – Fiesco: «Si-mon!… – Tu! – Qual cieco fato»]. Simon,exaspéré, décide d’entrer dans le palaispour y chercher Maria. Peu après, l’on en-tend son cri désespéré – “Maria! Maria!” –en contraste tragique avec les voix d’exul-tation: le peuple acclame le nouveau doge,Simon Boccanegra [Scena e Coro Finale:«Doge il popol t’acclama! – Via fantasmi!»].

AACCTTEE II

Jardin Grimaldi, dans les environs de Gênes.Vingt–cinq ans ont passé. Une jeune fem-me, Amelia Grimaldi, se rappelle confuse-ment un passé douloureux tandis qu’elleattend l’arrivée de l’homme qu’elle aime, lenoble Gabriele Adorno, qui arrive en chan-tant une chanson d’amour [Aria Amelia:«Come in quest’ora bruna»]. La jeune filledit être inquiète pour la vie du jeune hom-me, dont elle sait qu’il participe à uneconjuration patricienne contre le Doge“plébéen”, ainsi que l’homme qui l’a élevée– le noble Andrea Grimaldi – (c’est sous cenom que se cache Jacopo Fiesco, que Si-mon croit mort) et que Lorenzino – unplébéien vendu aux patriciens.Pietro arrive et annonce que le Doge désirevisiter le palais Grimaldi. Amelia, troublée,avertit Gabriele que Simon demandera sa

ARGUMENT

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main pour son favori, Paolo Albiani, et lesupplie de hâter leurs noces [Duetto Ame-lia – Gabriele: «Vieni a mirar la cerula»].Resté seul en compagnie d’Adorno, Andrealui révèle l’obscure origine d’Amelia, uneorpheline qui, recueillie au couvent où étaitmorte la veritable fille de Grimaldi, en apris le nom. Andrea bénit l’amour des deuxjeunes gens [Scena e Duetto Gabriele – An-drea (Fiesco): «Vieni a me, ti benedico»]. LeDoge entre avec Paolo et sa suite, et s’a-dresse à Amelia, offrant la paix à la maisonGrimaldi et lui demandant de lui parlerd’elle–même. La jeune fille avoue que leperfide Paolo la désire, qu’il aspire a pren-dre possession des richesses des Grimaldi,et narre son histoire de pauvre orpheline,suscitant chez le Doge un interêt croissant.Simon la presse de questions et lui montreun portrait de Maria, semblable à celui quela jeune fille possède de sa mère. Pris d’uneprofonde émotion, Simon reconnaît enAmelia la fille qu’il avait perdue, il l’em-brasse tendrement et la rassure: elle ne se-ra pas mariée contre sa volonté [Scena eDuetto Simone – Amelia: «Dinne, perché inquest’eremo»]. La jeune fille s’étant eloi-gnée, Simon invite Paolo à renoncer à elle.Paolo décide d’enlever Amelia avec l’aidede Lorenzino qu’il tient en son pouvoir,connaissant bien les trames secrétes desconspirateurs [Scena e Dialogo Pietro –Paolo: «Che disse? – A me negolla»].Le Doge demande l’avis de ses Conseillersquant à la guerre contre Venise; sensible àl’exhortation à la paix de Pétrarque, il vou-drait l’éviter, mais il se heurte à la violenteopposition de Paolo et de ses conseillers[«Messeri, il re di Tartaria»]. On entend dela place le bruit d’un tumulte. Simon sortsur un balcon et découvre Gabriele Ador-no, suivi de plébéiens. Craignant d’être dé-couvert, Paolo essaie de sortir de la salle,mais le Doge ordonne que toutes les portessoient fermées. Les représentants du peu-ple et de la noblesse s’apprêtent à prendreles armes, on entend de la place le cri “Mortau Doge!”. Simon ordonne d’ouvrir les por-tes pour faire entrer les adversaires etécouter leurs raisons. La foule fait irrup-tion, les plébéiens saisissent Gabriele et

Andrea et demandent vengeance pour l’as-sassinat de Lorenzino [Sommossa: «Ven-detta! Vendetta!»]. Adorno déclare qu’il l’atué parce qu’il avait enlevé Amelia et ditque, avant de mourir, Lorenzino a avouéavoir été poussé au crime par un “hommeinfluent”. Le jeune patricien fait compren-dre qu’il suspecte le Doge et s’élance verslui pour le tuer. Mais Amelia l’arrête, semet entre lui et son père et raconte qu’elle aété enlevée par trois hommes d’armes,qu’elle s’est évanouie et qu’elle s’est réveil-lée dans la maison de Lorenzino [RaccontoAmelia: «Nell’ora soave che all’estasi invi-ta»]. Puis, “fixant Paolo”, elle dit pouvoir re-connaître le vil mandant de son enlève-ment. Un tumulte éclate, plébéiens et patri-ciens s’accusent les uns les autres; Simonintervient pour apaiser les esprits avec sonprestige, demandant paix et concorde pourson peuple [Assolo Simone e Pezzo d’assie-me: «Plebe! Patrizi! – Popolo»]. Gabriele serend à lui en lui offrant son épée, que le Do-ge refuse avant de s’adresser “avec une for-ce terrible” à Paolo, dont il a compris la cul-pabilité. Apres avoir affirmé que le traîtreest présent, Simon impose à Albiani de serallier à la commune exécration du vil cou-pable. Paolo, horrifié, est contraint de semaudire. Tous les présents crient et susur-rent de façon menaçante “Qu’il soit mau-dit!” [Maledizione: «Paolo! – Mio Duce!»].

AACCTTEE IIII

Appartement du Doge dans le Palais Ducal de Gênes.Paolo, banni de Gênes, veut avant de partiren exil se venger de l’homme qu’il a fait au-trefois monter sur le trône. Après avoir ver-sé du poison dans la tasse de Simon, il con-voque Gabriele et Andrea et demande à cedernier de frapper le Doge durant son som-meil. Le noble Fiesco refuse d’accomplirun acte aussi déloyal [Scena, MonologoPaolo: «Me stesso ho maledetto!» e DuettoPaolo – Andrea (Fiesco): «Prigioniero inqual loco m’adduci?»]. Paolo ne renoncepas: il insinue en Gabrie]e le soupçon qu’A-melia se trouve dans les appartements du

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Doge, victime de ses attentions abjectes[Scena ed Aria Gabriele: «Sento avvamparnell’anima»]. Amelia arrive, et tente envain de convaincre Gabriele de la puretédes sentiments qui la lient à Simon, sanstoutefois lui revéler son secret [Scena eDuetto Amelia – Gabriele: «Parla – in tuocor virgineo»]. Lorsque le Doge arrive, ellecache le jeune homme sur le balcon et im-plore son père d’accorder son pardon àAdorno. Simon est perplexe et demande àrester seul. Il verse de l’eau dans sa tasse, laboit et s’assoupit. Gabriele s’approche delui pour le tuer, mais il en est empêché parle retour d’Amelia qui, une fois de plus, semet entre les deux et supplie le jeune hom-me de cacher son poignard. Mais le Doge,réveillé, défie Adorno de le frapper, lui de-mande le nom de ses complices et l’accusede lui avoir volé sa fille. C’est ainsi que Ga-briele apprend la vérité sur la naissanced’Amelia [Scena e Terzetto: «Perdono,Amelia – Indomito»]. On entend des voixagitées: les conspirateurs sont en traind’assaillir le palais. Le Doge charge Gabrie-le de porter ses propositions de paix auxconspirateurs. Le jeune homme obéit et sedéclare décidé à revenir – si on ne l’écoutepas – pour combattre aux côtés de Bocca-negra, qui lui accorde la main de sa fille[Finale II: «Quai gridi?…– I tuoi nemici…»].

AACCTTEE IIIIII

Dans le Palais Ducal.La révolte a échoué, les conjurés ont perdu.Avant d’être conduit sur l’échafaud, Paolorévèle qu’un poison va tuer Simon. Lechoeur joyeux de la noce que l’on entendau loin fait trembler le traître: il avoue àFiesco – qui l’écoute avec bouleversement– qu’il est l’auteur de l’enlèvement d’Ame-lia [Scena e Recitativo Paolo con Coro: «Ilmio destino mi cacciò fra l’armi»]. Simon,en proie à un malaise mystérieux, chercheà se refraîchir en respirant sur le balconl’air de la mer, qui lui rappelle ses gloirespassées. Tout à coup, Fiesco s’approche delui et, lui annonçant la mort imminente, sefait reconnaître. Le Doge répond à ses pro-

pos de vengeance en lui révélant qu’Ameliaest la fille disparue de Maria. L’émotion en-vahit le vieux patricien qui, trop tard, com-prend l’inutilité de sa longue haîne et cèdeau geste d’affection de Simon. Fiesco dit àBoccanegra qu’un traître l’a empoisonné[Scena e Duetto Simone – Fiesco: «Delle fa-ci festanti al barlume»]. Amelia et Gabrieleentrent, suivis de la cour ducale. Simon in-vite sa fille à reconnaître en Fiesco le pèrede Maria, bénit les deux amoureux etmeurt, après avoir proclamé Gabriele Dogede Gênes [Scena e Quartetto: «Gran Dio, libenedici»].

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Alfredo Edel, figurino per Simon Boccanegra, (Paolo Albiani nel prologo e Gabriele Adorno nell’atto I e II).Milano, Teatro alla Scala, 1881. (Milano, Archivio Storico Ricordi).

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PPRROOLLOOGGUUEE

A square in Genoa, around the middle of the 14th century.The struggle between the patricians andplebeians over the election of the new Dogeis at its height. Paolo Albiani, an ambitiousplebeian, confides in Pietro, a commonman, that he wants to support the candi-dacy of Simone Boccanegra [«Che dice-sti?…all’onor di primo abate»], a privateerin the service of the Genoese government,in the hope of gaining power and richness[«Abborriti patrizi»]. Simone arrives. He isanguished because he has not had news ofMaria, the woman he loves and with whomhe has had a child, for some time. Maria’sfather, Jacopo Fiesco, is holding her priso-ner in his palace in order to prohibit herfrom marrying Simone. Paolo convinces Si-mone to accept the candidacy (as once he iselected Doge, Maria’s father will unable todeny her to him). Paolo asks Simone to per-mit him to stay close to him during thestruggle for power and it’s subsequent ma-nagement. Simone accepts [«Un amples-so…Che avvenne? – Da Savona»]. Pietroasks the people to vote for Boccanegra [«Al-l’alba tutti qui verrete?»]. Paolo reveals thata young woman’s cries have been heardcoming from the Fiesco palace [RaccontoPaolo: «L’atra magion vedete?»], andeveryone fearfully observes that Maria hasnot appeared on the balconies of her homefor some time and that only her father, a th-reatening and sinister shadow, has beenseen moving through the empty rooms. Ja-copo Fiesco comes out of the palace deran-ged. Maria is dead; mournful voices lamenthis misery [Aria Fiesco: «Il lacerato spiri-

to»]. Simone arrives and implores Fiesco toforgive him and to bestow Maria to him.The inflexible patrician, who is more reso-lute than ever in his mortal hate for the pri-vateer, sparks a hope of forgiveness on thecondition that Simone entrusts Maria’schild to him. Prey to a profound anguish,Boccanegra reveals that the child, entru-sted to an elderly nurse in a distant coun-try, has been mysteriously missing for so-me time. Every hope of peace vanishes:Fiesco distances himself and remains apartobserving [Duetto Simone – Fiesco: «Si-mon!…–Tu! – Qual cieco fato»]. Simone,exasperated, decides to enter the palace tofind Maria. Shortly after, his desperatescream, “Maria! Maria!”, is heard. It is intragic contrast to the distant, exultant voi-ces of the people acclaiming the new Doge,Simone Boccanegra [Scena e Coro Finale:«Doge il popol t’acclama! – Via fantasmi!»].

AACCTT II

In the Grimaldi garden outside Genoa.Twenty–five years have passed. A youngwoman, Amelia Grimaldi, confusedly re-calls her painful past while she awaits thearrival of the man she loves, the noblemanGabriele Adorno [Aria Amelia: «Come inquest’ora bruna»]. He arrives singing a lovesong. The girl says she is preoccupied forthe young man’s life as she knows that he isinvolved in a patrician plot against the ‘ple-beian’ Doge, along with the man who hasraised her – the nobleman Andrea Grimal-di (whose name hides the identity of Jaco-po Fiesco, who Simone believes to be dead)

SYNOPSIS

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– and Lorenzino, a plebeian who has soldhimself to the patricians. Pietro arrives andannounces that the Doge wishes to visit theGrimaldi Palace. Troubled, Amelia warnsGabriele that Simone intends to ask for herhand for his favourite, Paolo Albiani, andshe begs him to hurry their marriage[Duetto Amelia – Gabriele: «Vieni a mirarla cerula»]. Left alone with Adorno, Andreareveals to him the obscure origins of Ame-lia, an orphan taken from the convent whe-re Grimaldi’s real daughter died and givenhis name. Andrea blesses the youths’ love[Scena e Duetto Gabriele – Andrea (Fie-sco): «Vieni a me, ti benedico»]. The Dogeenters with Paolo and his attendants. Headdresses Amelia offering peace to the Gri-maldi home and asks her to tell him aboutherself. The girl confesses that she is desi-red by the perfidious Paolo, who aspires toseize the Grimaldi wealth. As she tells ofher poor orphan background, she provokesa growing curiosity in the Doge. He pressesher with questions and shows her a portraitof Maria, which is identical to the one thegirl possesses of her mother. Profoundlymoved, Simone recognizes Amelia as hislost daughter. He embraces her tenderlyand reassures her that she will not be givenin marriage against her will [Scena e Duet-to Simone – Amelia: «Dinne, perché in que-st’eremo»]. Distancing himself from thegirl, Simone asks Paolo to renounce her.However Paolo, who knows the secret plotof the conspirators well decides to kidnapAmelia with the help of Lorenzino, who isin his service [Scena e Dialogo Pietro – Pao-lo: «Che disse? – A me negolla»].

Council Chambers.The Doge asks his advisers’ opinion aboutthe war with Venice. He is sensitive to Pe-trarch’s exhortation for peace and wouldlike to avoid war, but he is violently oppo-sed by Paolo and his advisers [«Messeri, ilre di Tartaria»]. Clamours of an uproar canbe heard from the square. Simone appearson the balcony and sees Gabriele Adornofollowed by the plebeians. Afraid of beingdiscovered, Paolo tries to leave the roombut the Doge orders all the doors to be clo-

sed. The representatives of the people andthe nobility are about to come to arms; theshout “Death to the Doge” is heard from thesquare. Simone orders the doors to openedto allow the contenders to enter and to beable to listen to their reasons. The crowdbreaks in, Gabriele and Andrea are seizedby the people who seek to revenge Lorenzi-no’s assassination [Sommossa: «Vendetta!Vendetta!»]. Adorno declares to have killedLorenzino because he kidnapped Ameliaand states that, before dying, Lorenzinoconfessed to be pushed to the crime by “unuom possente”. The young patrician makesit understood that he suspects the Doge andflings himself at him to kill him. He is stop-ped by Amelia, who comes between himand her father. She explains that she waskidnapped by three gypsies, that she fain-ted and reawoke in Lorenzino’s house[Racconto Amelia: «Nell’ora soave che al-l’estasi invita»]. Then, “glaring at Paolo,”she states that she can recognize the vilecommissioner of her kidnapping. A tumultbreaks out, plebeians and patricians accuseone another; Simone intervenes to calmtheir spirits with his authority, asking forpeace and harmony among his people [As-solo Simone e Pezzo d’assieme: «Plebe! Pa-trizi! – Popolo»]. Gabriele gives himself upto the Doge by offering him his sword. TheDoge refuses before turning, with a ter-rifying strength, to Paolo, who he has un-derstood to be to blame. After having con-firmed the traitor’s presence, Simone or-ders Albiani to join in the common execra-tion of the coward. Horrified Paolo is con-strained to execrate himself. Everyone pre-sent shouts and insinuates menacingly Heis damned” [Maledizione: «Paolo! – MioDuce!»].

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AACCTT IIII

In the Doge’s chambersof the Ducal Palace in Genoa.Banned from Genoa, Paolo wants to reven-ge the man he once helped rise to the Do-ge’s throne before leaving in exile. Afterpouring a poison in Simone’s cup [Scena eMonologo Paolo: «Me stesso ho maledet-to!»], he sends for Gabriele and Andrea andasks the latter to strike the Doge in hissleep. The noble Fiesco refuses to complywith such a foul act [Duetto Paolo – Andrea(Fiesco): «Prigioniero in qual loco m’addu-ci?»], but Paolo does not stop. He evokes inGabriele the suspicion that Amelia can befound in the Doge’s chambers, and is a vic-tim of his shameful attentions [Scena edAria Gabriele: «Sento avvampar nell’ani-ma»]. Amelia arrives and tries in vain toconvince Gabriele of the pureness of hersentiments for Simone without revealingher secret [Scena e Duetto Amelia – Gabrie-le: «Parla – in tuo cor virgineo»]. Upon thearrival of the Doge, the young girl hides onthe balcony and begs her father to pardonAdorno. Simone is perplexed and asks to beleft alone. He pours water in the cup, drinksit, and dozes off. Gabriele approaches himto kill him but is impeded by the return ofAmelia who, once again, comes betweenthe two and beseeches the youth to hide thedagger. However, reawakening, the Dogechallenges Adorno to strike him. He askshim the names of his accomplices and ac-cuses him of having stolen his daughterfrom him. In this way Gabriele learns thetruth about Amelia’s birth [Scena e Terzet-to: «Perdono, Amelia – Indomito»]. Agitatedvoices are heard: the conspirators are as-sailing the palace. The Doge entrusts Ga-briele to carry his peace proposals to theconspirators. The youth obeys and promi-ses to return to fight at Boccanegra’s side ifthe conspirators do not listen to him. TheDoge offers him his daughter’s hand [Fina-le II: «Quai gridi?…– I tuoi nemici…»].

AACCTT IIIIII

Inside the Ducal Palace.The revolt has failed, the conspirators havebeen defeated. Before being led to the gal-lows, Paolo reveals that Simone is about tobe killed by a poison. The joyful marriagechorus, which can be heard in the distance,horrifies the traitor: he confesses to Fiescoto have been Amelia’s kidnapper. Fiesco li-stens disturbed [Scena e Recitativo Paolocon Coro: «Il mio destino mi cacciò fra l’ar-mi»]. Mysteriously breathless, Simoneseeks relief breathing the ocean air on thebalcony, which reminds him of past glo-ries. Suddenly Fiesco approaches him, an-nouncing his imminent death and revea-ling his own identity. The Doge responds tohis propositions of revenge by revealing tohim that Amelia is Maria’s lost daughter.Emotion overcomes the old patrician who,too late, understands the futility of his longhatred and yields to Simone’s embrace. Fie-sco tells Boccanegra that a traitor has poi-soned him [Scena e Duetto Simone – Fie-sco: «Delle faci festanti al barlume»]. Ame-lia and Gabriele enter, followed by the Do-ge’s cortege. Simone asks his daughter torecognize Fiesco as Maria’s father, blessesthe two lovers and, after having proclaimedGabriele Doge of Genoa, dies [Scena eQuartetto: «Gran Dio, li benedici»].

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Filippo Peroni, figurino per Simon Boccanegra (Ja-copo Fiesco nel prologo). Milano, Teatro alla Scala,1859. (Milano, Museo Teatrale alla Scala).

Alfredo Edel, figurino per Simon Boccanegra, (Ja-copo Fiesco nel prologo). Milano, Teatro alla Scala,1881. (Milano, Archivio Storico Ricordi).

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VVOORRSSPPIIEELL

Ein Platz in Genua gegen Mitte des 14.Jahrhunderts.Auf Grund der bevorstehenden Dogenwahlwüten Kämpfe zwischen Patriziern undPlebejern . Einer der Plebejer, Paolo Albia-ni, vertraut seinem GesinnungsgenossenPietro an, daß er die Kandidatur SimonBoccanegras – einem Korsaren im Diensteder Republik Genua – unterstützen wird[«Che dicesti?…all’onor di primo abate»],da er hofft durch diese Geste Reichtum undMacht zu erhalten [«Abborriti patrizi»]. Si-mone tritt ein, besorgt, weil ihn schon seitlanger Zeit keine Nachricht von Maria derGeliebten und Mutter seiner Tochter – er-reicht hat. Maria wird von ihrem Vater Ja-copo Fiesco im Vaterhaus in schmachtvol-ler Gefangenschaft gehalten, um so dieHeirat mit Boccanegra zu verhindern. Pao-lo versucht Simone zu überzeugen dieWahl anzunehmen (als Doge gewählt,kann der Vater ihm die Hand Marias nichtmehr verweigern), er wird ihm bei demKampf um die Macht behilflich sein. Simo-ne willigt ein [«Un amplesso…Che avven-ne? – Da Savona»]. Pietro bittet das Volk fürBoccanegra zu stimmen [«All’alba tutti quiverrete?»]. Paolo berichtet, daß er aus demPalast der Fieschi das Jammern einer jun-gen Frau vernommen hat [Racconto Paolo:«L’atra magion vedete?»]. Alle bemerkenvoller Angst, daß man Maria schon seit lan-gem nicht mehr auf dem Balkon ihres Hau-ses gesehen hat, und das nur der drohendeund unheimliche Schatten des Vaters inden verlassenen Sälen umhergeht. Verstörtverläßt Jacopo Fiesco sein Haus: Maria isttot; klagende Stimmen singen das Miserere

[Aria Fiesco: «Il lacerato spirito»]. Simonetritt hinzu und bittet Fiesco um Versöh-nung und um die Hand Marias. Der uner-bittliche Patrizier, mehr denn je voller töd-lichen Hasses gegenüber dem Korsaren,gibt vor Simone zu verzeihen, wenn er ihmdas Kind, das Maria dem Plebejer geborenhat, aushändigt. Simone gibt besorgt zu,daß das Kind, in einem fernen Land einerPflegerin anvertraut, auf mysteriöse Weiseentführt wurde . Jede Hoffnung auf Versöh-nung schwindet dahin [Duetto Simone –Fiesco: «Simon!…–Tu! – Qual cieco fato»].Fiesco entfernt sich. Verbittert beschließtSimone in den Palast einzudringen um Ma-ria zu suchen. Kurz darauf hort man seinenverzweifelten Ruf Maria ! Maria ! – der ineinem tragischen Kontrast zu den jubeln-den Stimmen des Volkes steht das demneuen Dogen, Simon Boccanegra, huldigt[Scena e Coro Finale: «Doge il popol t’accla-ma! – Via fantasmi!»].

LL..AAKKTT

Garten der Grimaldis,außerhalb Genuas.Fünfundzwanzig Jahre sind verstrichen.Im Garten ihres Hauses erwartet AmeliaGrimaldi den von ihr geliebten Mann, denEdelmann Gabriele Adorno, der ein Liebe-slied singend eintrifft [Aria Amelia: «Comein quest’ora bruna»]. Das junge Mädchenist besorgt über das Leben des Geliebten,den sie in eine Verschwörung der Patriziergegen den Dogen, den Plebejer, zusammenmit dem Adeligen Andrea Grimaldi (inWirklichkeit der von Simone tot– geglaubteJacopo Fiesco) und Lorenzino – ein sich

HANDLUNG

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den Patriziern verkaufter Plebejer –verwickelt weiß. Pietro kündigt an, daß derDoge den Wunsch aussgesprochen hat denPalast der Grimaldi zu besuchen. Ameliaist besorgt und unterrichtet Gabriele, daßSimone um ihre Hand für seinen Gün-stling, Paolo Albiani, anhalten wird.Sie bit-tet ihn die Hochzeit zu beschleunigen[Duetto Amelia – Gabriele: «Vieni a mirarla cerula»]. Mit Adorno allein geblieben,enthüllt Andrea ihm die bescheideneHerkunft Amelias; eine Waise die in demKloster aufgenommen wurde in dem dieleibliche Tochter der Grimaldis starb unddie dann den Namen der Verstorbenen an-nahm. Andrea segnet die Liebe der jungenLeute [Scena e Duetto Gabriele – Andrea(Fiesco): «Vieni a me, ti benedico»]. Der Do-ge erscheint mit seinem Gefolge und in Be-gleitung Paolos. Er bietet dem Hause Gri-maldi den Frieden an und bittet Amelia dieGeschichte ihres Lebens zu erzählen. Siegesteht ihm, daß der hinterhältige Paolo einAuge auf sie geworfen hat, aber nur um inden Besitz der Grimaldischen Güter zukommen. Amelia erzählt ihr Leben als ar-me Waise und erweckt im Dogen ein im-mer größer werdendes Interesse. Simonebedrängt sie mit Fragen und zeigt ihr einBild von Maria. Das gleiche Bild besitzt au-ch das junge Mädchen. Simone erkennt inihr die verlorene Tochter, umarmt sie undversichert, daß sie niemals gegen ihrenWillen verheiratet werde [Scena e DuettoSimone – Amelia: «Dinne, perché in que-st’eremo»]. Er gibt Paolo zu verstehen, daßjede Hoffnung auf Amelias Hand umsonstsei. Paolo beschließt mit Hilfe Lorenzinos,der ihm hörig ist, Amelia gewaltsam zuentführen [Scena e Dialogo Pietro – Paolo:«Che disse? – A me negolla»].

Senatssaal Der Doge bittet seine Ratsherren um ihreMeinung über den Krieg mit Venedig. Erselbst, gedenk der Aufforderungen zumFrieden Petrarcas, möchte ihn verhindern,stößt aber auf den Widerstand Paolos unddessen Berater [«Messeri, il re di Tartaria»].Lärm erhebt sich auf der Straße und dringtin den Saal. Simone begibt sich auf den

Balkon und erblickt, verfolgt vom Pöbel,Gabriele Adorno. In der Angst entdeckt zuwerden versucht Paolo den Saal zu verlas-sen, aber der Doge ordnet an alle Türen zuverschließen. Die Vertreter der Adels – undVolks –parteien beginnen zu kämpfen;während man von der Straße den Ruf: “Toddem Dogen” hört. Simone ordnet an dieTüren zu öffnen und die streitenden Par-teien eintreten zu lassen um die Ursachedieses Streites zu erfahren. Die Massestürmt herein, Gabriele und Andrea, dieum Vergeltung für den Tod Lorenzinos bit-ten, werden vom Volk umringt [Sommos-sa: «Vendetta! Vendetta!»]. Adorno bekenntihn getötet zu haben weil er Ameliaentführte. Sterbend habe dieser versichert,Handlanger eines mächtigeren Mannesgewesen zu sein. In der Annahme der Dogehabe seine Hand im Spiel, will sich der jun-ge Patrizier auf ihn stürzen um ihn zu tö-ten. Amelia wirft sich zwischen ihn undden Vater und erklärt, von drei Schergenentführt und im Hause Lorenzinos wiederaufgewacht zu sein [Racconto Amelia:«Nell’ora soave che all’estasi invita»]. Istaber sicher den feigen Auftraggeber zukennen. Ihr Blick streift Paolo. Neuer Streitentbricht zwischen Patriziern und demVolk. Simone versucht die Streitenden zurVernunft zu bringen und bittet um Friedenund Eintracht [Assolo Simone e Pezzo d’as-sieme: «Plebe! Patrizi! – Popolo»]. Gabrieleunterwirft sich und bietet ihm sein Schwertan, das der Doge zurückweist, bevor er sichvoller Zorn an Paolo wendet, in dem au-cher den Missetäter ahnt. Er verpflichtetAlbiani an der gemeinsamen Verfluchungdes Verbrechers teilzunehmen. Mit beben-der Stimme muß Paolo sich selbst verflu-chen. Alle Anwesenden raunen drohend“sei er verflucht!” [Maledizione: «Paolo! –Mio Duce!»].

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22..AAKKTT

Zimmer des Dogen im Dogenpalast von Genua.Paolo, verbannt aus Genua, will sich andem Mann rächen, dem er geholfen hatden Thron des Dogen zu besteigen. Erschüttet ein Gift in den Trinkbecher Simo-nes [Scena e Monologo Paolo: «Me stessoho maledetto!»]. Hierauf läßt er Gabrieleund Andrea kommen und sucht den letzte-ren zum Mord am Dogen anzustiften. Fie-sco lehnt ab [Duetto Paolo – Andrea (Fie-sco): «Prigioniero in qual loco m’adduci?»].Paolo läßt nicht ab von seinem Vorhaben.Durch den Hinweis Amelia sei die Geliebtedes Dogen geworden entfacht er in Gabrie-le die Eifersucht [Scena ed Aria Gabriele:«Sento avvampar nell’anima»]. Amelia ver-sucht vergebens Gabriele von den Gefüh-len die sie an Simone binden zu überzeu-gen. Ohne ihm jedoch ihr Geheimnis zuenthüllen [Scena e Duetto Amelia – Gabrie-le: «Parla – in tuo cor virgineo»]. Der Dogenaht. Amelia versteckt den Jüngling undbittet den Vater, Adorno zu vergeben. Simo-ne ist überrascht und bittet allein gelassenzu werden. Er trinkt aus dem Becher undschläft ein. Gabriele nähert sich ihm, umihn zu töten, wird aber durch das EintretenAmelias gestört, die ihn bittet den Dolchwegzustecken. Der Doge erwacht und for-dert Adorno heraus. Er fragt nach den Na-men seiner Komplicen und beschuldigtihn, ihm seine Tochter geraubt zu haben.Auf diese Weise erfährt Gabriele AmeliasAbkunft [Scena e Terzetto: «Perdono, Ame-lia – Indomito»]. Man hört erregte Stim-men: die Verschwörer greifen den Palastan. Gabriele wird vom Dogen beauftragtden Meuterern seine Friedensvorschlägezu unterbreiten. Der junge Mann erfülltden Auftrag und ergreift die Partei Bocca-negras, der ihm die Hand seiner Tochterverspricht [Finale II: «Quai gridi?…– I tuoinemici…»].

33..AAKKTT

Im Dogenpalast.Der Aufstand ist niedergeschlagen worden.Bevor Paolo zur Richtstätte schreitet, of-fenbart er, daß ein schleichendes Gift Si-mone verzehrt. Die fröhlichen Hochzeit-sgesänge aus der Ferne, lassen den Verrä-ter erschauern. Er enthüllt Fiesco, daß erAmelia entführt habe [Scena e RecitativoPaolo con Coro: «Il mio destino mi cacciòfra l’armi»]. Simone schleppt sich auf denBalkon in die kühle Nachtluft, die ihn anvergangene Heldentaten erinnert. Plötzlichsteht ihm Fiesco gegenüber, der ihm denbaldigen Tod ankündigt und sich zu erken-nen gibt. Der Doge antwortet ihm, daßAmelia die verschollene Tochter Mariasist. Der alte Patrizier ist erschüttert, er be-greift nun, zu spät, die Zwecklosigkeit sei-ner Rache. Er umarmt Simone und bietetihm die Freundeshand. Fiesco eröffnetBoccanegra, daß er durch die Hand einesVerräters vergiftet wurde [Scena e DuettoSimone – Fiesco: «Delle faci festanti al bar-lume»]. Amelia und Gabriele treten mitdem Gefolge des Dogen ein. Simone bittetseine Tochter in Fiesco den Vater Mariasanzuerkennen. Nachdem er Gabriele zumDogen von Genua ernannt hat, segnet erdie Liebenden und stirbt [Scena e Quartet-to: «Gran Dio, li benedici»].

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Giuseppe Verdi in una fotografia di Nadar. (Parigi, Archivio Nadar).

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PPrreeaammbboollooAnche Verdi, a dispetto dell’enorme popo-larità acquistatasi sin dalle prime opere(quanto meno a partire dal Nabucco), ebbei suoi “anni bui”, e precisamente al volgerdel nuovo secolo, in patria più che altrove,e in specie nel giudizio della critica togata.Solo il costante favore popolare, ridotto amanifestarsi ormai nei teatri secondari e diprovincia, consentì alle sue opere di so-pravvivere ai margini di un’attività musi-cale ormai imperniata, nei teatri primari,sulle opere di Wagner, di Meyerbeer, diMassenet, di Puccini, della “giovane scuo-la”. Nel fragore patriottardo di tante enfati-che commemorazioni esplose in tutta la pe-nisola in occasione del centenario della na-scita, non mancarono alcune dotte senten-ze che preannunciavano prossima la finedella vita artistica della maggior parte delleopere del maestro. Passarono quasi inav-vertite. Ma non dimenticate. Già nel 1901uno studioso quale Oscar Chilesotti, princi-pe della musicologia italiana di quegli anni,cui Verdi a suo tempo s’era rivolto per ave-re alcune «arie di danza» d’epoca rinasci-mentale per il ballo da aggiungere alla ver-sione francese dell’Otello, nel recensire lanuova edizione del volume di Alfredo Sof-fredini sulle opere di Verdi,1 aveva osserva-to:

Oggi questo volume risente un po’, quan-tunque modificato e ampliato, del tributo diammirazione reso al maestro vivente nelgiornale di casa Ricordi. Sotto un altro pun-to di vista parmi però che l’analisi troppominuziosa degli spartiti verdiani tolga effi-cacia al concetto sui s’ispirava l’autore, l’o-pera del grande artista dovendo piuttosto

essere considerata a tratti larghissimi nellecreazioni geniali che egli ha dato alle sce-ne.2

Dieci anni più tardi il giudizio di Chilesottitrovava un’autorevole replica nella senten-za di Giannotto Bastianelli, il quale, all’in-terno di un discorso mirante a inquadrarel’opera di Mascagni, giudicava l’arte ver-diana:

sempre primitiva nel contenuto sebbenespesso perfetta nella forma, profondamentesensuale, di tinte accecanti, di un senti-mentalismo un po’ barocco, ma spessofranco e sincero; arte che, prossima forseora al suo tramonto, non è destinata del tut-to all’oblio, ma è meritevole di esser fram-mentata da una critica spassionata e rigo-rosa in una specie di florilegio contenentele più belle ispirazioni dei nostri ottocenti-sti […].3

Un altro non meno autorevole critico diquegli anni, Romualdo Giani, nel rimpro-verare alla biografia verdiana di Bragagno-lo e Bettazzi4 le eccessive lodi tributate aVerdi, a confronto di quelle rivolte a Wa-gner, non arretrava dal domandarsi: «chene direste d’un critico tedesco il quale para-gonasse il Cranach a Leonardo e il Klo-pstock a Dante?».5 Qualche anno più tardi,nel commemorare la recente scomparsa diArrigo Boito, un distinto musicista e musi-cologo quale Giacomo Orefice sentenziavaa proposito del Mefistofele, che quest’opera

per aver desunto il suo vigore magnificodall’arte classica, sopravvivrà forse all’ope-ra stessa di Giuseppe Verdi, la quale dell’ar-

MARCELLO CONATI

UN’OPERA SOLA, DUE DRAMMI DIVERSIGENESI E VICENDE DEL SIMON BOCCANEGRA

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te rappresenta – certo più genialmente epersonalmente, ma perciò anche meno uni-versalmente – una fase evolutiva. (Questoconcetto può servire a spiegarci la solidità efreschezza del Mefistofele in confronto, adesempio, del Don Carlos verdiano, che nac-que contemporaneamente).6

Ancora una “perla”: nel recensire un arti-colo commemorativo pubblicato a Perugianel 1913, in cui veniva affermato «che Ver-di vivrà in dieci opere teatrali che hannoun vero e sostanziale valore», Cesare Levisi sentì in obbligo di ridimensionare questaopinione: «forse dieci saranno troppe! perrammentare opere verdiane che non senta-no già di troppo le ingiurie del tempo, si ar-riverebbe a mala pena a sei».7 Le sei piùbelle opere di Verdi è per l’appunto il titolo,divenuto fin troppo famoso, di uno studio diAndrea Della Corte.8 E mentre in Italia ci siè a lungo baloccati intorno a queste sei ope-re, da almeno vent’anni nei teatri tedeschierano entrati stabilmente in repertorio, e avele spiegate, opere come Macbeth, LuisaMiller, Simon Boccanegra, Vespri siciliani,Don Carlo, capolavori tutti che sulle sceneitaliane faranno capolino solo dopo la se-conda guerra mondiale. Dopo la prima rap-presentazione a Lipsia nel 1925 della Forzadel destino uno fra i più autorevoli criticitedeschi del tempo scrisse: «Verdi è per noitedeschi, per così dire lo Shakespeare del-l’opera». A quel tempo in Italia nessunoavrebbe osato scrivere tanto.Oggi, invece, è tutto un coro… E del mae-stro di S. Agata si eseguono anche gli scartie si propongono musiche che egli desideròsi dessero alle fiamme… Il fatto è che i giu-dizi nel corso degli ultimi cinquant’anni sisono ormai capovolti e nessuno più dubitaormai dell’appartenenza di Verdi alla ri-stretta schiera dei geni universali. E di ungenio universale tutto offre interesse: l’uo-mo, il suo carattere, il suo stile di vita, i suoirapporti sociali, le sue lettere, la sua operaartistica soprattutto. «Niente che riguardiun grande è irrilevante», scrisse Schönbergin un suo saggio giovanile su Mahler.Quanto più aumenta e si estende l’interessedel pubblico e quanto più viva e approfon-

dita si viene facendo l’attenzione degli stu-diosi, tanto maggiore interesse riscuotononon solo le opere cosiddette “minori”, maanche le composizioni giovanili sopravvis-sute al rogo cui l’autore le aveva condanna-te per disposizione testamentaria, gli ab-bozzi, le prime stesure, le versioni accanto-nate, i fogli d’album, le poche musiched’occasione, i brani aggiunti. A scavare inquesta direzione si comprende meglio l’ar-te del compositore, si rivela più a fondo ilsuo magistero musicale e drammaturgico,si scoprono pagine immeritevoli di oblio. Èinfatti a questa ricerca che si devono, fral’altro, la riscoperta di un capolavoro rima-sto ignorato per oltre cent’anni, lo Stiffelio –che la Fenice di Venezia ha riproposto inuna memorabile stagione, 1985-86, affian-candolo al suo rifacimento, l’Aroldo – e dipagine ignorate della prima versione delDon Carlo – che ancora la Fenice ha ripro-posto per la prima volta nell’autunno del1973. Le prime versioni di Macbeth, Forzadel destino e Simon Boccanegra non sonopiù un mistero per il pubblico e per gli stu-diosi, e appaiono ormai non di rado sullescene in Italia e all’estero.Per l’appunto il Simon Boccanegra ritornaora a Venezia affiancato a quella prima ver-sione che proprio alla Fenice ebbe il suobattesimo nel marzo del 1857. Ma questo ri-torno non vuole essere solo un tributo com-memorativo al genio nell’anno centenariodella morte. Fra tutte le prime versioni diopere verdiane, quella del Simone rivesteun significato del tutto particolare, signifi-cato rimasto in ombra dopo la radicale re-visione effettuata ventiquattro anni dopo,tanto più in ombra posta com’è fra lo splen-dore musicale della cosiddetta “trilogia ro-mantica”, che lo precede, e quello di Unballo in maschera, che lo segue. Opera spe-rimentale quant’altre mai, con essa Verdiimprime una sorta di accelerazione nel-l’impiego degli strumenti compositivi escenici. Come tale il primo Simone esprimeuna svolta decisiva della drammaturgiaverdiana. Nel far propri taluni aspetti delgrand opéra, ma anche nel sondare la com-plessità narrativa del teatro recitato, nell’e-splorare nuove soluzioni scenografiche (in

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particolare nell’uso dei praticabili e neglieffetti di luce)9 e nel perfezionare la tecnicastrumentale alla ricerca di nuovi impastitimbrici, l’autore sembra orientarsi verso il“romanzo cantato”. È comunque la svoltache conduce ai capolavori dell’età di mez-zo, da Un ballo in maschera all’Aida. Ria-scoltare la primitiva versione del Simoneaiuta a comprendere assai meglio l’evolu-zione stilistica che sta appunto fra la “trilo-gia romantica” e quei capolavori. Ma aiutaanche a capire il senso della revisione cheVerdi affronterà ventiquattro anni più tardicon la collaborazione di Arrigo Boito.

MMaarrzzoo 11885566Nel marzo 1856, ritempratosi dalle faticheaffrontate per Les vêpres siciliennes, anda-ti in scena all’Opéra di Parigi nel luglio del-l’anno precedente, Verdi riprende l’attivitàcon rinnovate energie accingendosi a nuo-vi progetti e a riesaminarne di vecchi: lacomposizione di Re Lear, il cui libretto do-po l’improvvisa morte di Cammarano10 egliaveva affidato alle cure di AntonioSomma,11 e soprattutto il rifacimento delloStiffelio e della Battaglia di Legnano,12 duespartiti che giacevano ormai inutilizzati nelmagazzino dell’editore Ricordi, e che ora ilcompositore intendeva richiamare in vitaadattandone la musica a soggetti che nonincontrassero i rigori delle censure. Nellostesso tempo egli era in trattative con alcu-ni teatri, in particolare con il teatro in S.Carlo di Napoli13 e con la Pergola di Firen-ze.14

Il 27 di quel marzo nella villa del maestro aS. Agata arriva Francesco Maria Piave,espressamente invitatovi da Verdi per lavo-rare al rifacimento dello Stiffelio.15 Il poetaperò vi giunge anche in veste di plenipo-tenziario, recando infatti con sé una letterariservata del Presidente del Teatro La Feni-ce di Venezia, G. B. Tornielli, con la qualegli viene affidato l’incarico di avviare letrattative con Verdi al fine di convincerlo asottoscrivere un contratto per un’operanuova da rappresentarsi in quel teatro nel-la ventura stagione di carnevale e quaresi-ma:

Nella circostanza, ch’ella si reca a Bussetola Presidenza intende di mettere a contri-buzione il suo attaccamento per questoTeatro. [...] Valendosi dell’amicizia, che lalega al distinto maestro veda ella di deter-minarlo ad accordare a questo Teatro lapreferenza. – Gli rappresenti il piacere chefarebbe al pubblico, all’impresa, ed allaPresidenza un tale favore, e procuri di otte-nerne una risposta impegnativa a brevissi-mi termini. – [...].16

Piave non perde tempo e affronta subitol’argomento. Verdi, che un anno prima ave-va declinato un’analoga richiesta del teatroveneziano,17 questa volta non si oppone,nonostante che per quella stessa stagionel’impresa del teatro, costituita dai fratelliLuciano ed Ercole Marzi, avesse già scrit-turato il maestro Petrella, pure per un’ope-ra nuova.18

Ma è solo alla metà di maggio che, tramon-tate le trattative con la Pergola e rinviato aepoca più propizia il contratto di Napoli perun possibile Re Lear, il compositore è nellacondizione di sottoscrivere l’impegno perla sua quinta opera veneziana19 (aveva ini-ziato alla Fenice nel 1844 con Ernani, cuiavevano fatto seguito Attila nel 1846, Rigo-letto nel 1851 e Traviata nel 1853), a condi-zione tuttavia di sottoscrivere il contratto,come in passato, direttamente con la Presi-denza della Fenice anziché con l’impresa, edi far aggiungere alla compagnia di canto –già comprendente, quali artisti primari, laprima donna Luigia Bendazzi, il tenoreCarlo Negrini, il baritono Leone Giraldonie il basso Giuseppe Echeverria – «alcunebuone parti comprimarie»20 qualora l’argo-mento della nuova opera lo avesse richie-sto.Sull’argomento che Verdi avrebbe trattatoper la quinta opera nulla traspare, dai docu-menti sinora noti, fino alla data del 31 luglioallorché, a poche ore dalla partenza per Pa-rigi, Verdi informa Piave: «Credo di avertrovato il sogetto per Venezia e da Parigi timanderò il programma».21 Ma è solo da unbrevissimo accenno contenuto in coda auna successiva lettera a Piave, del 23 agosto

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da Parigi, riguardante il rifacimento delloStiffelio,22 che finalmente si apprende il tito-lo dell’argomento: Simon Boccanegra.23 Sitratta di un argomento ricavato da un dram-ma rappresentato a Madrid nel 1843 e ispi-rato al personaggio storico del primo dogedella repubblica di Genova, di cui era auto-re ancora quel Antonio García Gutiérrez,coetaneo di Verdi (1813-1884), il cui lavorogiovanile El Trovador aveva fornito al com-positore, tre anni prima, la materia dram-matica del Trovatore, opera che stava or-mai dilagando su tutti i teatri europei. ComeVerdi fosse giunto alla scelta di un argo-mento mai pubblicato prima d’allora in ita-liano e per quale via gli fosse noto il dram-ma spagnolo resta ancora un problema irri-solto, la documentazione finora nota nonrecando precise informazioni in proposito;per ora si può solo supporre, come suggeri-sce Julian Budden, che la compagna delmaestro, Giuseppina Strepponi, ne avesseapprontato la traduzione.24 A Parigi è Verdistesso che stende il programma della nuovaopera; più esattamente si tratta del «librettoin prosa»,25 conforme un metodo di lavoroda lui già adottato in precedenza con Piave,almeno sin dai tempi del Macbeth, e che inseguito applicherà anche con Somma perUn ballo in maschera e con Ghislanzoni perAida, 26 al librettista riservando solamente ilcompito di tradurre la prosa del “program-ma” in versi musicabili. Nelle intenzioni diVerdi il viaggio a Parigi avrebbe dovutoconservare un carattere strettamente priva-to in quanto riguardava solo alcuni «affarisia di casa, di mobili etc. etc.»27 (ma infineavrebbe soprattutto riguardato il processoche egli aveva intentato all’impresario delTeatro Italiano di Parigi, Toribio Calzado,accusato di rappresentare le sue opere sen-za pagare i diritti d’autore, 28 processo dalquale sarebbe uscito perdente29): «Verdi vie-ne a Parigi, ma il Maestro resta in Italia»aveva scritto a Escudier alla vigilia dellapartenza.30

Le incombenze parigine non distolgonotuttavia il compositore dall’impegno vene-ziano: già alla fine di agosto, rispettando itermini contrattuali, spedisce alla Presi-denza della Fenice il «libretto in prosa» del-

la nuova opera per l’approvazione dellaPresidenza stessa e per l’autorizzazionedella censura,31 e frattanto tramite Piavesollecita per il personaggio di Paolo Albianila scrittura, come da contratto, di un «gran-de comprimario Baritono che sia buon At-tore, e tale che non debba obbligare il Mae-stro a proteste».32 Sorpresa nel ricevere untesto in prosa anziché in versi, la Presiden-za ne chiede spiegazioni. Risponde Verdi il3 settembre a Piave:

A che giova finire entro il mese la poesia diSimon Boccanegra?. La Polizia, e la Presi-denza non hanno un programma abbastan-za disteso? anzi non è un programma, ma ilDramma totalmente fatto. Nel libretto nonvi sarà né un concetto né una parola cam-biata. Cosa importa che per ora sia in prosaod in versi? E, come tu hai osservato benis-simo, questo Simone ha qualche cosa dioriginale, così bisogna che il taglio del li-bretto, dei pezzi etc. etc. sia più originaleche si può. Ciò non può farsi se noi non sia-mo insieme. Sarebbe dumque ora tempoperduto – Dirai a Torniello, al cavalier Tor-niello, all’amico Torniello che stia tranquil-lo, che lasci fare a noi che sappiamo moltobene fare il mestier nostro e che se Eglivuol darsi da fare ve ne è materia e bisognoaltrove. Pensi alle decorazioni ed ai costu-mi. Oh le decorazioni potrebbero essere co-sì belle in questo Simone! [...].33

E ribadisce il 12 settembre:

Torna a scrivere tu stesso in mio nome allaPresidenza che il Simon Bocanegra che ioho mandato in Agosto non è un programma(mi pare che i programmi non si fanno maiin questo modo) ma il libretto come deveessere, come deve essere approvato dallaCensura. – Io ho l’obligo di dare in carne-vale un’Opera pel gran Teatro della Fenice,e questa volta, per fare una novità, conto dimettere in musica un libretto in prosa! Cheti pare?... – Eccomi dumque in perfetta re-gola!... Per ulteriori cambiamenti doman-deremo una seconda approvazione dallaCensura come benissimo dice il Sigr Presi-dente.34

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Frontespizio del «libretto in prosa» di Simon Boccanegra steso da Francesco Maria Piave. (Venezia,Archivio Storico del Teatro La Fenice).

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Inizio dell’atto terzo nel «libretto in prosa» di Simon Boccanegra steso da Francesco Maria Piave. (Venezia,Archivio Storico del Teatro La Fenice).

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Interpretando come una “celia” del compo-sitore la sua intenzione di musicare un li-bretto in prosa «per fare una novità», la Pre-sidenza fenicea prima di accordare la pro-pria approvazione sottomette il libretto al-l’autorizzazione della censura, la quale asua volta si limita ad approvarlo pro forma,riservandosi tuttavia di riesaminarlo «vol-tato in versi lirici» prima di concedere ladefinitiva ammissione.35

Alacremente verseggiato da Piave, il libret-to viene da questi riconsegnato alla Presi-denza il 1° ottobre.36 Ma ben presto Verdiviene coinvolto al Teatro dell’Opéra per lamessinscena del Trovatore, di cui era im-minente la rappresentazione nella tradu-zione francese di Émilien Pacini (Letrouvère) 37 con l’aggiunta di un balletto ealcuni ritocchi alla musica. Insomma va afinire che anche il Maestro si trasferisce aParigi... L’impegno dell’Opéra, con l’inter-minabile corteo di prove che solitamentecaratterizzava gli allestimenti di quel tea-tro, lo vede pertanto costretto a rinviare diqualche mese il suo rientro in Italia (in ot-tobre, fra l’altro, è ospite, con la consorteGiuseppina, di Napoleone III nella residen-za imperiale di Compiègne).38

Le incombenze francesi peraltro non lo di-stolgono dall’impegno veneziano, come ciconferma il carteggio con Piave in quei me-si.39 Tuttavia la lontananza del poeta e lelungaggini della posta rischiano di ritarda-re troppo il lavoro di versificazione del li-bretto: incalzato dal tempo Verdi si rivolge– con scelta tutt’altro che casuale, ma anziben ponderata – a un drammaturgo e uomopolitico toscano, Giuseppe Montanelli, esu-le a Parigi, 40 per la stesura e la sistemazio-ne di alcune scene del Simone.41 Più tardiVerdi se ne scuserà con Piave adducendouno stato di necessità.42 Frattanto Emanue-le Muzio, l’ex allievo di Verdi, da Padovainforma Cerri, segretario della Casa Ricor-di, sulla nuova opera del maestro e in par-ticolare sull’importanza del baritono com-primario, di cui tratteggia (presumibilmen-te sulla scorta di informazioni avute diret-tamente dal compositore) il physique du

rôle:

Per il Boccanera abbisognano una primadonna Soprano vero; nel dramma è giovi-netta di 18 a 20 anni: un tenore piuttostodrammatico: un eccellente baritono, ed unpiù che buon basso; di più un baritonocomprimario, ed un secondo tenore. Inquanto al baritono comprimario deve esse-re molto buono, quantunque non abbia nelopera, ne romanza, ne cavatina, ne aria [...].Deve essere buon attore, e pronunciare as-sai bene e chiaramente! [...] e siccome l’ore-fice Piero [sic] è uno di que’ ricchi popolaniambiziosi, che abatte i Fieschi e fa ellegge-re a primo Doge un uomo oscuro, vedi chepotenza; è ottima cosa il vedere un bel uo-mo, d’aspetto imponente, perché è egli cheraggira tutto il dramma e simboleggia lademocrazia. Boccanera è la lotta fra plebe enobiltà.43

All’indomani della prima rappresentazionedel Trouvère, andato in scena, dopo alcunirinvii, il 12 gennaio del nuovo anno, Verdisi precipita a S. Agata per portare a compi-mento la composizione del Simone,44 e giàai primi di febbraio spedisce a Piave i primipezzi di musica.45 All’incirca in quegli stes-si giorni, inviandogli la versione definitivadel libretto, il compositore rivolge al poetaalcune raccomandazioni per la messa inscena46 che rivelano la grande importanzada lui attribuita ad alcuni aspetti dell’alle-stimento in ordine a taluni effetti musicali edrammatici; in particolare: nel Prologo ilpalazzo Fieschi con balcone praticabile«ben in vista di tutto il publico», nell’Atto Ila vista del mare «luccicante», nell’ultimoAtto i lumi del porto di Genova che «a pocoa poco, l’un dopo l’altro si spengono»:

Cura molto le scene: le indicazioni sono ab-bastanza esatte47 nonostante mi permettoalcune osservazioni = Nella prima scena seil Palazzo di Fieschi è di fianco, bisogna chesia ben in vista di tutto il publico, perché èneccessario che tutti veggano Simonequando entra in casa, quando viene sul bal-cone, e stacca il lanternino: credo d’avercicavato un’effetto musicale che io non vo-

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glio perdere causa la scena - Più desidere-rei che avanti la chiesa di S. Lorenzo vi fos-se un[a] piccola gradinata praticabile di 3. o4. gradini, con qualche colonna le quali ser-virebbero per appoggiare e nascondere oraPaolo ora Fiesco... etc. etc.Questa scena deve avere molto sfondo48

Il Palazzo Grimaldi nel I.° Atto non deveaver molto sfondo.49 In vece d’una finestrane farei diverse fino a terra: una terrazza;metterei una seconda tela di fondo colla lu-na i cui raggi battessero sul mare, che si do-vrebbe vedere dal pubblico: il mare sareb-be una tela luccicante in pendio - etc.Se io fossi pittore fare certamente una bellascena : semplice e di grande effetto. - -Raccomando la scena ultima: Quando il Do-ge ordina a Pietro di schiudere i balconi de-vesi vedere l’illuminazione ricca, larga cheprenda un gran spazio, onde si possano ve-dere bene i lumi che a poco a poco, l’un do-po l’altro si spengono fino a che alla mortedel Doge tutto è nella profonda oscurità. Èun momento, io credo, di gran effetto, e guaise la scena non è ben fatta. Non è neccessa-rio che la prima tela abbia un gran sfondo,ma la seconda, la tela dell’illuminazione de-ve essere ben lontana....50

Il 18 febbraio Verdi è già a Venezia per ini-ziare le prove51 e completare la strumenta-zione. Se l’esecuzione musicale, specie daparte dei cantanti, sembra soddisfare ilmaestro (ad eccezione tuttavia dell’inter-prete del personaggio di Paolo, AlessandroSabbatini, cantante di qualche rinomanzaespressamente scritturato dall’impresa,che Verdi fa sostituire con un altro baritonocomprimario, Giacomo Vercellini),52 nonaltrettanto avviene per alcuni elementi del-l’allestimento, in particolare in fatto di co-stumi e parrucche. Immediatamente dopola prova generale la Presidenza della Feni-ce si riunisce per elevare una protesta uffi-ciale nei confronti dell’impresa Marzi perl’“indegnità” e l’“indecenza” del vestiario.53

Ma ormai non vi era più tempo per rime-diare... È assai probabile che già in quel-l’occasione Verdi facesse adottare dall’or-chestra della Fenice (come un anno più tar-di sicuramente farà al San Carlo di Napoli

per la stessa opera) la disposizione “mo-derna”, vale a dire per famiglie di strumen-ti, riunendo in particolare quegli strumenti– viole, violoncelli e contrabbassi – che so-litamente suonavano “disuniti” ovverosparsi fra gli altri strumenti: l’adozione diuna tale misura si rendeva necessaria perl’accresciuto ruolo concertante di tali stru-menti nella nuova opera del compositore, ein particolare per un passo dei violoncelliche per la ripresa di Reggio Emilia (come sivedrà più avanti) Verdi sarà costretto a mo-dificare in versione facilitata.

MMaarrzzoo 11885577Il Simon Boccanegra va in scena alla Feni-ce il 12 marzo – intervallato dal ballo Bian-chi e Negri, azione coreografica di Giusep-pe Rota – con scene di Giuseppe Bertoja,costumi di Davide Ascoli, diretto da CarloErcole Bosoni e interpretato da LeoneGiraldoni protagonista, Luigia Bendazzi,Carlo Negrini e il basso Giuseppe Echever-ria. L’avvenimento è tale da riscuotere una va-sta eco sulla stampa periodica che non re-stò circoscritta, come di consueto, ai gior-nali teatrali del tempo, ma che si estese an-che ai periodici di arte varie e a molti fogliufficiali, a dimostrazione di quanto acutafosse l’attesa per la nuova opera di Verdi:giornalisti, critici, cronisti, impresari, agen-ti teatrali, maestri di altre città si recaronoespressamente a Venezia: una prassi oggidel tutto consueta, ma che a quel tempo, al-meno in Italia, era si può dire agli inizi.Informava il corrispondente della «Gazzet-ta musicale di Milano»:

La comparsa di quest’opera pareva a tuttiun avvenimento tanto importante per lagloria del nostro paese, a cui pur troppo po-che ne rimangono, che da un mese a questaparte l’era un discorso universale. – Venne-ro forestieri appositamente da Roma, da Ri-mini, da Bologna, da Firenze, da tutte le vi-cine provincie a frotte.54

E fin anche da Londra e da Parigi, come an-notava Giuseppe Rovani sulla «Gazzetta uffi-

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Locandina per la seconda recita di Simon Boccanegra a Venezia, 14 marzo 1857. (Archivio Storico delTeatro La Fenice).

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ciale di Milano».55 A tanta aspettativa contri-buiva il recente prestigio internazionale cheVerdi s’era acquistato con Les vêpres sicilien-nes sulle scene dell’Opéra di Parigi, ch’eraquanto dire il teatro più importante dell’Eu-ropa a quei tempi, regno incontrastato dellefortune di Rossini e di Meyerbeer, e doveinoltre proprio in quei mesi vi stava trionfan-do Il trovatore tradotto in francese. Si sa chel’esito della prima rappresentazione non fumolto felice, nonostante la serata si fosse ini-ziata sotto i più lieti auspici, con applausi alPrologo, alla cabaletta di Amelia e al duettoAmelia – Simone. Ma già nel corso del primoatto l’esito diventa contrastato; come informaAbramo Basevi, al duetto Amelia – Gabriele ilpubblico applaude i cantanti, ma «biasima ilmaestro col zittire». Al Finale dell’atto primo

il pubblico zittì a più riprese. Il second’attotutto passò sotto silenzio. Al terzo poi, stan-chi gli spettatori di tanta noia, s’impazienti-rono, e zittirono a più riprese. [...] Il pubbli-co rise a quest’ultime parole dello spartito

È morto…Pace per lui pregate.56

In totale disaccordo con il giudizio del pub-blico quello di un giovane corrispondentedella «Gazzetta musicale di Milano», desti-nato ben presto a rinomanza e prestigio na-zionali, Filippo Filippi; pervicacementeconvinto delle bellezze e delle novità del Si-mone, ventiquattro anni più tardi, in occa-sione della nuova versione, Filippi ristam-perà tal quale sulla «Perseveranza» la corri-spondenza inviata da Venezia nel lontanomarzo del 1857, facendola precedere da unricordo di quell’avvenimento:

Quando nel marzo del 1857 si diede alla Fe-nice di Venezia il primo Boccanegra nongiacque alla generalità per la semplicissi-ma ragione che la musica in molte partidell’opera segnava un progresso straordi-nario nel compositore, rivelava in lui il fu-turo autore dell’Aida, e, per dir tutto, pre-correva i tempi. Pochi ci furono che la ap-prezzassero al giusto valore, e fra quei po-chi, mi si conceda questo piccolo sfogo d’a-mor proprio, c’ero anch’io; il mio articolo

di allora [...] lo proverà. [...] Venezia in quel-l’epoca, quantunque soffrisse molto del gio-go austriaco, era più che adesso città bril-lante, animata, ed il teatro occupava spe-cialmente la società. Il caffè Florian era fre-quentato da molti capi ameni, da uomini dispirito, d’ingegno [...]; si facevano discus-sioni animatissime sul teatro, e può imma-ginarsi a quante aspettative prima e aquante dicerie dopo diede occasione il Boc-canegra di Verdi; di quel Verdi ch’era giàdivenuto celebre, e a cui i Veneziano dove-vano serbare riconoscenza per le emozionifatte loro provare coll’Ernani e col Rigolet-to, ed anche colla Traviata, quando, dopoaverla fischiata, ebbero la compiacenza dicapirla e di applaudirla.57

Ed ecco come Filippi si esprimeva in aper-tura della sua corrispondenza alla «Gazzet-ta musicale di Milano» all’indomani dellaprima veneziana del Simone:

Il publico lo si dice comunemente rispetta-bile: infatti il publico ha il diritto ad un cer-to rispetto, perché alla sua forza imponentee quasi brutale nulla si può opporre: il tem-po solo è il giudice inesorabile che distrug-ge tutte le aberrazioni passaggere, i capric-ci di questa idra dalle mille teste, che oggiapplaude e domani schernisce, che oggiadora e domani vitupera, che non ricordamai e molto meno riflette o ragiona, ma simodifica sempre a seconda delle impres-sioni fuggevoli, capricciose del momento, esi lascia trascinare alle più opposte manife-stazioni di aggradimento e di biasimo perun cieco impulso, per prevenzione, per ec-cesso di buono o di cattivo umore. – Maquesti giudizi del publico che in faccia a sémedesimo sono tanto rispettabili, e in piaz-za e in teatro, lo sono poi ugualmente quan-do il buon senso individuale, la logica, lacritica li pone al crogiuolo? Oh no davvero![...] Essendo un’impressione complessa,molteplice, variabilissima che influisce su-gli spettatori, avviene che le composizionidi un certo genere, eminentemente belle,sublimi, fine, e specialmente tolte un po’dalle forme abituali, non possono agire di-rettamente e sùbito sul publico, il quale

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non ama di pensare, ed applaude a quei so-li effetti ch’egli al momento crede nuovi,ma che assai di rado lo sono. [...] L’esitodella prima rappresentazione del Boccane-gra fu eguale a quello della Traviata: perl’onore e la gloria dell’illustre compositorenoi desideriamo solamente che quest’operaabbia anche in avvenire le stesse sorti dellaTraviata, quantunque convinti che sotto uncerto punto di vista la sia di molte superio-re. – Quando si pensa con quale aspettazio-ne si attendeva il nuovo lavoro di Verdi, pa-re impossibile che un publico così scelto ecomposto di gente venuta d’ogni paese abella posta s’abbia in teatro messo in unostato d’apatia, d’indifferenza, e specialmen-te di disattenzione, tale da poter dire concoscienza che il Boccanegra non fu nean-che giudicato dal publico perché non lo haascoltato.58

Pericoloso, certamente, avvilire a tal puntoil giudizio del pubblico, quasi che questinon costituisca in effetti una componenteindispensabile dello spettacolo teatrale equasi che ad esso, quale organismo “pen-sante” e “intelligente”, non sia rivolta perl’appunto l’opera d’arte, tanto più se questa,come nel caso delle opere di Verdi, miraesplicitamente al più vasto consenso popo-lare, anche, e soprattutto, se a dispetto del-la critica togata e del parere dei savants. Mala stizza provocata dalle inconsulte disap-provazioni del pubblico veneziano, anchese in parte provocate – come si andava sus-surrando in quei giorni – da una “cabala”ordita in primis nei confronti dell’editoreRicordi, poteva giustificare lo sfogo del gio-vane Filippi, il quale, in fin dei conti, fu unodei pochi, anzi dei pochissimi, a vederegiusto nei pregi dell’opera e a intuire l’evo-luzione stilistica del compositore.Ma per Verdi, che non ama i mezzi termini,si tratta di un «fiasco quasi altrettanto gran-de che quello della Traviata. Credeva diaver fatto qualche cosa di passabile ma pa-re che mi sia sbagliato»: così al napoletanoVincenzo Torelli.59 In termini analoghiscriverà poi, una volta rientrato a S. Agata,a Clarina Maffei e a Luccardi.60 Di chi lacolpa? Non certo dei cantanti, come era sta-

to per la Traviata, almeno questa volta.Tuttavia, leggendo alcuni giornali dell’epo-ca, l’impressione era che al Simone fossearriso il successo. Questa impressione potéderivare dal fatto che molti giornali aveva-no riportato la recensione della «Gazzettaprevilegiata di Venezia», il cui autore, Tom-maso Locatelli, godeva di grande prestigionell’opinione dei contemporanei. Ora, Lo-catelli aveva steso il suo commento solodopo la seconda rappresentazione, al finedi poter esprimere un parere più meditato.E, guarda caso, proprio la seconda rappre-sentazione ebbe applausi tali, con ben di-ciannove chiamante al compositore, da farpensare a un rovesciamento delle sorti del-l’opera se le successive repliche non aves-sero poi confermato, in buona sostanza, ilcontrastato esito della prima sera. Il buonLocatelli, memore del fiasco e della resur-rezione di Traviata, si ritenne in dovere diprecisare che gli applausi della seconda se-ra erano la manifestazione del pubblico ve-neziano, laddove le disapprovazioni dellaprima sera erano da attribuirsi ai forestieri:

[...] il Verdi, o almen la sua opera, ha nonpochi avversari; ma per onore del nostrogentile paese, dobbiamo pur dichiarare checerti segni di sfavore, troppo eloquenti edaperti, non mossero da labbro veneziano.Fu una importazione di fuori.61

Questa affermazione fu la scintilla che ac-cese una polemica che venne tosto a intrec-ciarsi con altra, di segno opposto, suscitatadalla «Gazzetta musicale di Milano», laquale accusava apertamente il pubblico ve-neziano di non aver capito nulla dei pregidell’opera. A Locatelli rispose prontamenteun giornalista dell’«Orfeo», foglio teatraleveneziano di recente fondazione e di effi-mera vita. Costui, che si rivelerà poi esserel’agente teatrale Felice Vianelli,62 sostenneinvece che gli applausi della seconda seraerano “pagati” e provenivano dai numerosiforestieri calatisi precipitosamente da Mi-lano a Venezia in soccorso alle fortune diVerdi e della Casa Ricordi:

È cosa ben naturale che l’editore dopo ave-

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re sborsato così alla cieca, come se fossecerto del fatto suo, un’ingente somma perl’acquisto dello spartito, doveva di conse-guenza fare dei grandi sforzi onde poter daradito al giornalismo, nostrano e forestiero,di scrivere alcunché di favorevole, d’inte-ressante, di piacevole, di lusinghiero sullafortuna del medesimo, ma ci duole in veroil dover manifestare al signor editore chequesta volta ha fatto i conti senza quellabuona lana dell’oste! credeva egli che 2 o300 biglietti sarebbero stati bastevoli perpoter far vedere al mondo artistico e intelli-gente il poco buon senso del pubblico vene-ziano? – Valga a solenne smentita il succes-so della terza rappresentazione, in cui senon è stato più severo il giudizio, non è sta-to al certo più favorevole di quello della pri-ma, sul quale gli si può permettere di fartessere un’infilzata di lodi come si convie-ne… se i fischi glielo permettono.63

Per tutta risposta Tito Ricordi – sebbenecon un ritardo che (come rilevava il criticodella «Fama» di Milano, che aveva riportatol’articolo dell’«Orfeo») non poteva non in-sospettire – pubblicava sulla sua «Gazzetta»una “dichiarazione” in base alla quale eglisi teneva

pronto e disposto di corrispondere un visto-so regalo in denaro per ogni viglietto chesarà provato e giustificato avere io, sia di-rettamente che indirettamente, dato, o pa-gato, o procurato a qualsiasi persona in-giungendole o insinuandole di dovere per-ciò applaudire e sostenere l’opera SimonBoccanegra.

Indubbiamente una certa atmosfera cabali-stica sembrava sovrastare le recite del Si-mone; questa era almeno l’impressione delcorrispondente del «Pirata» di Torino, ilquale dopo la terza sera scriveva, con aper-ta allusione all’accanito concorrente di Ri-cordi, quell’editore Francesco Lucca, con ilquale Verdi aveva da anni troncato ognirapporto:

Non vi celo però che esiste un partito d’op-posizione contro il grande Compositore e il

suo nuovo spartito, capitanato da alcuniMaestri fischiati e alimentato da emissarii econfidenti di lontani Editori, e ciò forse per-ché la storia continui a registrare ne’ suoivolumi, che i forti ingegni furono mai sem-pre perseguitati, e possibilmente oppressi,dagli inetti e dai tristi. Intanto i signori Im-presarii avranno una nuova Opera da pro-durre, e un’Opera che altrove, non attraver-sata da cabale, né contrariata da sciocchefazioni, empirà i loro teatri [...].

È un fatto che l’alto prezzo dei noli che pro-prio in quegli anni Ricordi poneva a condi-zione per le rappresentazioni delle opere diVerdi, giusto nel momento in cui esse era-no fra le più richieste (in particolare Rigo-letto, Il trovatore e Traviata), andava susci-tando forti contrasti nel mondo impresaria-le ed editoriale. D’altro canto i cospicuiprofitti che in quegli anni Verdi si stavaprocurando con le sue opere non mancava-no di suscitare invidie e rancori. È signifi-cativa in proposito una frase d’una letteradi Muzio a Tito Ricordi da Venezia, del 29gennaio 1857, a quaranta giorni dalla “pri-ma”: «Petrella ha egli finito di inventareciarle sopra Verdi?… Egli scrive per niente,però mediante L. 1200 di nolo». Da notareche l’editore di Petrella era per l’appuntoFrancesco Lucca, e che Petrella in queigiorni si trovava a Venezia, ivi incaricato,ancor prima di Verdi, per un’opera nuovada rappresentarsi all’inizio della stessa sta-gione in cui fu dato il Simone, e che egli tut-tavia rinunciò a dare per improvvisa ma-lattia…64 Le fortune finanziarie di Verdiavevano “scioccato” anche un critico dellatempra di Giuseppe Rovani, che così inizia-va la sua corrispondenza alla «Gazzetta uf-ficiale di Milano»:

Il giorno 11 di questo mese, ben si può direche la terra ferma siasi versata in Veneziaattratta dal desiderio vivissimo di sentirviun nuovo lavoro di colui che oggidì tiene ilprimo posto tra i maestri in Italia, e nei duemondi, per diritto di conquista, seppe pene-trare col sistema coloniale dell’Inghilterraapplicato al regno della musica, e primoebbe dalla fortuna il segreto d’innalzare il

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valore metallico delle crome a inaudita ric-chezza. – Quando un lavoro, composto intre mesi, può fruttare centomila lire, mettenel basso mondo, verso colui che sa compirtale miracolo un genere di stima particola-rissimo che è quasi superiore alla stessaammirazione che si ha per l’ingegno. Perqueste cose e per la ragionevole e grandis-sima aspettazione in cui fu messo il pubbli-co rispetto al nuovo lavoro di Verdi, e perl’amore dell’arte ed anche per quello del-l’interesse, è facile dunque a comprendere,che se il teatro della Fenice avesse pur avu-to doppia capacità, appena sarebbe bastatoal numero degli spettatori impazienti, fra’quali ci trovammo anche noi che, trovan-doci per altre incombenze a Venezia, ci af-frettammo al teatro in virtù dell’amore pla-tonico che portiamo all’arte italiana; e fra’quali si trovarono uomini venuti espressa-mente fin da Londra, fin da Parigi non atti-rati però da altra cosa che dal consiglio delsenator Tridenti.65

Alcuni mesi più tardi il tema delle ricchez-ze di Verdi e dell’esosità di Ricordi, poste aconfronto con la miseria di «quel cagnuc-ciaccio» di «Cecco Maria», al secolo France-sco Maria Piave, verrà ripresa dall’appen-dicista della fiorentina «Lanterna di Dioge-ne», il quale si esibirà in una sfuriata diquesto genere:

Il SIMONE del Verdi è Opera da trafficante,e per di più simoniaco. Non è forse un adul-terare per danaro le cose sacre, il venderela divina arte della Musica come adopera inoggi il maestro di Busseto? Egli non è più aquesto modo un gran maestro; è un mer-cante di capperi all’ingrosso. [...] Quanto al-la esecrabile fame dell’oro, secondo la de-nomina il buon Marone, ci sarebbe da ro-vesciare il pellicin del sacchetto. Che bastain oggi esser agiato? Miscee: per esserequalcosa daddovero, bisogna esser riccosfondato. E il maestro Verdi ha capito a me-raviglia questa santa sentenza del secolo, esapientissimamente l’ha messa in pratica.Ove in cento giorni si può guadagnare uncentomila lire, l’Italia diventa un nomeastratto, il sacerdozio delle arti una fando-

nia escita di bocca con uno sbadiglio a unletterato digiuno, il cervello una macchinada zecca. Sfamatevi, dunque, o maestro, evoi eziandio suo coadiutore Tito di Giovan-ni Ricordi, commensale di mascelle doppie,edificatore di sontuose ville su i laghi, e fa-voreggiatore splendido di gazzette [...].Avanti, avanti, il secolo sta per voi, e non èniente vero che la povertà sia stata per gliuomini di gran mente il più bel loro patri-monio, e stimolo ed esca al loro spirito. [...]I miei complimenti, signori, pel vostro ap-petito; ricordivi di quel cagnucciaccio piendi croste che sta sotto la tavola aspettandoqualche minuzzolo, e che vo’ chiamateCecco Maria. Mangino, mangino, signori;prosit, e secondo la mia intenzione.66

E via di questo passo. Come s’è già accenna-to, la seconda rappresentazione viene accol-ta da applausi calorosi. Ma è un fuoco di pa-glia. Alla terza sera ritornano i contrasti. L’o-pera si regge sino al termine della stagioneper altre tre sere, ma l’esito complessivo nonmuta. Dopo la terza rappresentazione, avve-nuta il 15 marzo, Verdi fa ritorno a S. Agata,dove lo raggiungono due lettere di Piave chelo ragguagliano sulle successive recite. Laprima lettera è del 18 marzo:

[...] È dir molto, ma è dir vero, dopo la tuapartenza sono più mona del solito, e credoche non potrò riavermi se non dopo avertiabbracciato a S. Agata. Sto molto solo emolto a casa perché Venezia è ora divenutaun campo di discussioni sul merito del Boc-canegra. Figurati quante coglionerie si di-cono! Ah basta!Avrai letto l’articolo del Padre Tommaso.67

È deciso ch’egli debba far tutto incompleto.Vi sono dentro due o tre gaglioffate da petu-lante ragazzo, e quell’asserzione che le di-sapprovazioni furono importate perché glieroi nelle cui vene scorre il sangue di queitali 14 secoli non hanno fatto che applaudi-re!!! E perché alla terza recita ci fu più fred-do che alla seconda? Peggio per loro… Io liho battezzati villani, il tempo li cresimeràasini. Bisognerà però farne una eccezione,perché la parte sana è ancora sorpresa del-l’avvenuto.68

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Pagina dalla partitura di Simon Boccanegra (Prologo, scena V). (Venezia, Archivio Storico del Teatro La Fenice).

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«Sto molto solo e molto a casa»: c’è da cre-dere che Piave, frastornato dalle critiche edai pettegolezzi al punto da ammalarsi, virimanesse rintanato fino al momento incui, qualche anno dopo, raggiunta l’unitàd’Italia, lascerà Venezia per sempre per sta-bilirsi a Milano… Venezia gli era divenutaormai un campo minato. In una lettera aRicordi del maggio 1857 si firmerà: F. M.Piave da Murano… La sua seconda letteraè del 20 marzo, dopo la quarta rappresenta-zione:

[...] Ieri poi, ristabilita la Bendazzi, fu ripre-so il Boccanegra. I palchi erano tutti, e ca-ramente venduti e vi concorsero circa 600Biglietti. Quanto all’esito fu quello della ter-za recita più un solenne applauso al duetti-no che precede il terzetto ed il terzetto istes-so, come pure al grande quartetto dell’atto3°.Non ti taccio peraltro che vi fu la solita op-posizione sistematica, alquanto inacerbitadalla chiusa dell’articolo di Padre Tomma-so, il quale credette far bene, e come D. De-siderio fece peggio. Miseria, miseria, mise-ria!!! Io però se fossi Ricordi avrei il corag-gio di vendicarmi non acconsentendo pernessun mezzo, che per un tempo almeno, sidessero a Venezia tue opere. Vorrei punirliquesti sciocchi ragazzi, questi beduini inde-centi, questi ciechi che abborrono la luce[...].69

Ragguagli sulle repliche provengono a Ver-di anche dal dottor Cesare Vigna, medicoquant’altri mai cattolico fervente, che scri-vendo il 23 marzo,70 accenna all’«esistenzadi un partito avversario organizzato in pie-na regola» e sostenuto «con dell’oro» da al-cuni «ricchi israeliti, impegnatissimi a so-stenere certo M° Levi (dell’antica tribù)», eintravede nell’insuccesso del Simone «unamano dello stesso Meyerbeer»… Tutta lacolpa, insomma, per questo pio uomo discienza è, al solito, degli ebrei…Le rappresentazioni del Simone ammonta-no in tutto a sei,71 in luogo delle dieci o do-dici su cui la Presidenza fenicea sperava dicontare. I “borderò” degli incassi registra-

no una netta diminuzione, quasi un crollo,dopo la prima recita: alle £ 3.351,50 dellaprima sera fa riscontro una media di £1.780 nelle due successive, e di £ 1.400 cir-ca nelle tre ultime repliche. Il Simone nonritornerà a Venezia se non nella nuova ver-sione, e ciò avverrà alla Fenice il 7 febbraio1885, a quattro anni dalla première scalige-ra.

EEcchhii ddeellllaa ssttaammppaaLa critica manifesta perplessità e qualchesconcerto di fronte all’oscurità dell’azione esoprattutto di fronte ai nuovi aspetti forma-li, alla maggiore importanza dei parlanti edei recitativi accompagnati, al predominiodel canto declamato su quello ornato e allaprevalenza delle combinazioni armonichesulla melodia spiegata, alle novità dellastrumentazione. Due anni più tardi Abra-mo Basevi definirà lo stile del Simone una«quarta maniera» con la quale il composito-re «viene accostandosi alquanto alla musi-ca germanica [per] seguitare le tracce delfamoso Wagner».72 L’azione appare indeci-frabile ai più: un’«arruffata matassa, un in-tricato laberinto» giudicherà più tardi il li-bretto un critico fiorentino73 (e tale per laverità resterà anche dopo le aggiustature diBoito...). A fare le spese dell’insuccesso èsoprattutto il libretto. Un tal Dr. Segré nonsi ritiene dal sentenziare, a un mese dallaprima:

Un Giornalista di questo mondo, pochigiorni sono nomava esimio poeta il signorF. Maria Piave: forse egli intendeva di fareun epigramma.74

Piave – che pure era stato per così dire l’ar-tefice del quinto contratto di Verdi con laFenice, e autore forzato di un libretto il cuiargomento egli non aveva scelto, il cui sce-nario egli non aveva steso, e i cui versi inparte non erano di suo conio – diviene ilprincipale capro espiatorio dell’infelice esi-to del Simone. Del resto mai libretto fustroncato così pesantemente, al limite deldileggio, con toni anche bassamente volga-ri. Perfino Locatelli, vecchio amico di Pia-

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ve, deve contorcersi onde esimersi dall’e-sprimere un parere schietto e sincero:

Quanto a’ versi, non ne discorriamo. In untempo di tanta confusione d’opinioni e digusti [...] in verità non si capisce più nulla:le leggi della critica o le teste degli uominicambiarono, ed io non m’arrischio a profe-rire più nessuna sentenza. Potrei chiamarbuoni i versi del Piave, potrei chiamarli cat-tivi, ed avere torto egualmente. E poi chibada ora alla veste poetica ne’ libretti? [...]La musica conculca la poesia; fa straziodella parola, e purché ne sorga la nota, tan-to fa l’una che l’altra. Quello che è certo èche il poeta presentò al maestro una nuovae varia tela, che il suo dramma ha un certoscenico effetto, e pietosissime situazioni.75

Da parte di Basevi la condanna di «questomostruoso pasticcio melodrammatico, sucui erano fondate tante speranze del mae-stro» è netta:

Io ho dovuto leggere non meno di SEI VOL-TE attentamente questo libretto per capirne,o credere di capire, qualche cosa.76

Tuttavia è proprio il corrispondente del-l’«Italia musicale», il giornale del concor-rente di Ricordi, Lucca, a prendere le difesedi Piave:

Si dice dai più che i versi sono trascurati eantipoetici. A me pare invece che in pochilibretti del Piave v’abbia tanta accuratezzadi stile e tanta abbondanza di versi facili, etalvolta eleganti. Né mancano le situazioni:difetta invece di chiarezza, ché la tela offer-ta al Piave dal dramma di Guttierez eratroppo vasta per poter esser chiusa senzapericolo di soffocazione, nei limiti ristrettidi un dramma per musica.77

Mancanza di chiarezza: un monologo cheaccompagnerà le vicende del primo Bocca-negra per tutto il corso della sua poco piùche decennale esistenza. Fra i pochissimi anon scagliarsi contro il libretto è da annove-rarsi Giuseppe Rovani, il quale, pur lamen-tando che la poesia sia ormai divenuta «vi-

lissima serva della soverchiante sorella»,cioè la musica, non bada più che tanto allaqualità della versificazione, ma rileva piut-tosto le tinte «opportunissime al coloritomusicale» e le «situazioni non refrattarie al-l’espressione drammatica».78 Ed è da anno-verarsi anche Filippi:

Quanto al libro, a leggerlo è un po’ ingar-bugliato, ma a vederlo cogli occhi e vivifi-cato dalla musica aquista interesse, offre si-tuazioni bellissime, è condotto con quellaperizia che il Piave può vantarsi a buon di-ritto di possedere.79

Dal canto suo Niccolò Barozzi se la prendeprima di tutto con Verdi, riproverandolo diaver sempre scelto cattivi poeti, benchébuoni quasi sempre fossero tuttavia gli ar-gomenti:

ispirandosi egli al suo ingegno, rinvenutache ebbe una scena che gli piaceva, la vesti-va di soavissime note senza forse neppur co-noscere le parole che dovevano esprimerlaal pubblico, appoggiato al principio che lamusica è tutto, il libretto niente. Ma il giornodella disillusione è venuto; possa questa es-ser utile al grande maestro, ché ne guada-gnerà molto l’arte e la patria.80

Per il corrispondente del «Pirata» il libretto

dell’inevitabile Piave è un po’ imbrogliato,è un insulto alla grammatica ed alla logica,se vogliamo; ma andatelo a dire, se ne ave-te il coraggio, al Verdi! Come Rossini chemusicava ogni scempiaggine, come Doni-zetti che qualche volta non dava importan-za nessuna ai versi (al punto di farne ei me-desimo), Verdi non bada che alle situazio-ni, e tira un velo sul resto.81

Fra i tanti pettegolezzi sparsisi dopo l’infe-lice esito del Simone anche quello d’essereil vero autore del libretto lo stesso Verdi(un pettegolezzo che pure nasconde, comes’è visto più sopra, una sacrosanta ve-rità…). Se ne fa eco il sullodato Cesare Vi-gna per informarne il compositore appenarientrato a S. Agata:

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Giuseppe Bertoja, Una piazza di Genova. Bozzetto per il Simon Boccanegra (Prologo). Prima rappresenta-zione assoluta al Teatro La Fenice di Venezia, 12 marzo 1857. (Venezia, Museo Correr).

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Sebbene io non vi annetta certa importan-za, avvezzo come sono alle spiritose inven-zioni di questa brava gente, tuttavia ti noti-fico per norma, essersi diffusa la voce, cheil libretto è una tua composizione.82

È nota la risposta, più volte riportata daibiografi, resa da Verdi in data 11 aprile a te-stimonianza della stima e dell’affetto delmaestro per il suo poeta veneziano:

Non ci mancava altro che inventare essereil libretto di mia composizione!!!. Un libret-to che porta il nome di Piave è giudicatod’avvanzo come pessima poesia: ed io fran-camente sarei contento se fossi buono dafare delle strofe come:Vieni a mirar la cerula...................................Delle faci festanti al barlume,ed altre e altre, con tanti altri versi sparsiquà e là. Confesso la mia ignoranza nonson buono da tanto.83

Forse, per porre fine a questi pettegolezzi eristabilire in qualche misura la verità, sa-rebbe stata opportuna da parte del compo-sitore una sua pubblica dichiarazione. Manon era nel carattere di Verdi (e non lo saràmai) ricorrere a questi mezzi. Suo unicomodo di comunicare col pubblico: scrivereopere. E basta. Ma ben al di là della qualitàintrinseca dei versi e della trama aggrovi-gliata e oscura, resta pur sempre il fatto cheil Simone, già nella prima versione, è operafra le più coraggiose ovvero sperimentali diVerdi, fra quelle in cui più si esprime, perdirla con le parole di un cronista dell’epo-ca, la volontà dello stile. Come già con loStiffelio, il musicista compie un ulteriorescarto in avanti che i contemporanei nonsono in grado di seguire. Nel disorienta-mento generale di pubblico e di critica faeccezione il giovane Filippo Filippi, chenon esita a giudicare il Simone una nuovatappa nel progresso artistico di Verdi, anziun nuovo capolavoro, auspicando per essole stesse sorti della Traviata infelicementecaduta alla Fenice e trionfalmente risortaun anno dopo al teatro in San Benedetto:

Il Boccanegra non è lavoro da giudicar sudue piedi [...]. Però non esitiamo punto neldichiarare in faccia a qualsiasi giudizio im-maturo, e appellandoci a quello di tutti iteatri italiani e stranieri in cui sarà applau-dito il Boccanegra, che la è una delle piùbelle composizioni anzi inspirazioni delmaestro Verdi: asseriamo con coscienza econvinzione che il compositore non ha maiin nessuna delle sue opere passate portatal’interpretazione drammatica ad un gradoeguale d’evidenza e di espressione, chegiammai l’istromentale non fu tanto ele-gante, semplice e studiato ad un tempo, ric-co di effetti nuovissimi, imitato a nessungenere né nostrano né oltremontano: asse-riamo che v’ha abbondanza di canti affet-tuosissimi, nuovi, insinuanti, inspirati, eche queste cantilene compongono la mag-gior porzione dell’opera, la quale ha po-chissimi pezzi d’insieme.84

Invece per il prudente Tommaso Locatelliil giudizio rimanse sospeso:

La musica del Boccanegra non è di quelleche ti facciano subito colpo. Ella è assai ela-borata, condotta col più squisito artifizio, esi vuole studiarla ne’ suoi particolari. Daciò nacque che la prima sera ella non fu intutto compresa, e se ne precipitò da alcuniil giudizio [...]. Ciò che può in qualche mo-do spiegare quella prima e sinistra impres-sione, è il genere della musica forse troppograve e severa, quella tinta lugubre che do-mina lo spartito, e il prologo in ispecie.85

Quasi un bollettino di guerra la relazionedel corrispondente dell’«Italia musicale»,organo di Casa Lucca:

[...] emerge chiaro e lampante la poco favo-revole impressione lasciata nel publico no-stro da questa nuova opera del Verdi, laquale se difetta d’immaginazione, è peròsempre lavoro che appalesa l’alto ingegnodel Verdi, e che se non meritava gli applau-si quasi entusiastici del prologo e del primoatto, non meritava neppure i molti zitti,confusi a qualche sibilo e a qualche atto discherno, onde vennero accompagnati il ter-

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zo ed il quarto. [...] Dopo lo spettacolo, pa-reva imminente una guerra civile. Chequestioni accanite! che pareri discordanti!Alcuni trovavano nel Boccanegra una sor-gente di bellezze inesauribile, altri un po-tente sonnifero, i più moderati (ed io sonodel bel numero uno) lo dicevano lavorodotto e conscienzioso, ma privo affatto d’i-spirazione. Meno male che non s’è versatosangue [...].86

E infine le conclusioni di Rovani dopo l’in-successo della prima sera (ma informatosull’effimero successo della seconda sera):

Ma ora per codeste due rappresentazionil’una contro l’altra armata, si riscalda laquestione: in quale delle due sere il pubbli-co sia stato più vicino alla Giustizia? men-tre pende adunque la sentenza finale dicassazione, noi in via di consulto, e conser-vando il diritto di poterci sbagliare [...] noiportiamo opinione che questa [opera] siamagistralmente scritta, ma non ispirata,ma povera di idee, e, quel che più fa senso,destituita di quella dote prima onde il Verdiemerse fra tutti, la felice volontà dello stile;il sistema drammatico vi è portato [...] aquel punto d’esagerazione che la musica,cessando dalle sue vere attribuzioni, si tra-smuta in un’arte ibrida, la quale non è nécarne né psce, e che più del coraggioso pro-posito di trovar nuove vie all’arte, accusa ilbisogno di ajutarsi di artifici mancando ilvigor nativo del sangue.87

PPrriimmaavveerraa 11885577:: llee mmooddiiffiicchhee ppeerr RReeggggiioo EEmmiilliiaaIn primavera l’opera viene riproposta aReggio Emilia nel corso della stagioneinaugurale del nuovo Teatro Municipale,allestita essa pure dai fratelli Marzi, ancoracon Giraldoni protagonista e con la Ben-dazzi; nuovi rispetto a Venezia il tenorePietro Mongini, il basso Gio. Batta Cornagoe il baritono comprimario Carlo Favi.88

Verdi stesso s’incarica di porla in scena, co-gliendo così occasione per apportare alcuniritocchi alla musica e al libretto. Quanto al-la musica il compositore semplifica fra l’al-

tro un movimento difficile di violoncelli eviole, perché, scrive a Ricordi, «questi Istro-menti sono quasi sempre nelle nostre or-chestre razze di cani»89 (il passo sarà tutta-via ripristinato nella versione del 1881 indiversa tonalità).90 Due altri ritocchi ri-guardano le ultime misure del finale del-l’atto II con l’aggiunta di nuovi versi per Si-mone,91 e la replica di uno squarcio nelQuartetto finale dell’opera.92

Più importanti le modifiche introdotte nel-l’allestimento scenico, in particolare nellaprima parte dell’Atto I, che alla Fenice sisvolgeva interamente all’interno del Palaz-zo dei Grimaldi: a Reggio Verdi fa svolgerel’inizio dell’atto (comprendente l’aria diAmelia, il duetto Amelia - Gabriele e ilduetto Gabriele - Fiesco) all’aperto, in ungiardino del palazzo; scrive infatti a TitoRicordi il 27 aprile 1857:

A Reggio si aggiungerà una scena nel prin-cipio del 1.° Atto e si farà un giardino ondetogliere la monotonia di tanti interni: primadi stampare il libretto aspetta dumque le in-dicazioni che ti manderà Piave. Spero che aReggio si cambierà il vestiario perché queldi Venezia era, a mio gusto, detestabile. Mison presa la libertà di proporre a Marzi chetu pagheresti la metà dell’importo dei figu-rini che si farebbero fare di nuovo da Per-roni.93

Otto giorni dopo Piave comunica a Ricordialcune piccole modifiche al libretto e la nuo-va disposizione delle scene, che oltre all’ag-giunta della scena «del giardino» comportaalcune varianti ad altre scene dell’opera.94

Quanto al nuovo vestiario, Perroni provvedea spedire in tutta fretta a Reggio i figurini;purtroppo manca il tempo materiale per far-li realizzare dalla sartoria veneziana; scrivePiave a Ricordi il 2 maggio:

Fu stabilito di rinovare i figurini, ma tornatoa Reggio, Marzi mi convince coi contratti al-la mano, che essendo obbligato di dare allaSartoria le ordinazioni del vestiario 25 gior-ni almeno prima dell’andata in iscena nonc’era il tempo materiale di rifare i figurini aMilano, farli venir qui, poi mandarli a Vene-

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zia perché sieno eseguiti. [...] In ogni modofui da Marzi, il quale mi disse che poiché cisono questi belli figurini, possiamo mandar-li, perché servano di norma a migliorar piùche si potrà quello che non fosse allestito.Noi dunque oggi stesso li spediremo e tucontinua a mandarli di mano in mano chePeroni te ne darà. Se non riusciremo ad uti-lizzarli tutti questa volta potranno servirebenissimo pella riproduzione in qualche al-tro grande teatro.95

E il 15 maggio:

Ho presso di me tutti i figurini che non fu-rono spediti a Venezia, di dove cercherò ri-tirare i già inviati, e poi te li respingerò tut-ti. Verdi è contentissimo di quelli che ha vi-sto.96

Nella città emiliana l’opera va in scena il 10giugno 1857 con le scene Girolamo Magna-ni (lo stesso che ventiquattro anni più tardicurerà alla Scala le scene per la versioneriformata dell’opera):97 l’esito non assumetoni entusiastici, ma il successo è comun-que caloroso, tale da far sperare in una re-surrezione dell’opera. Scrive il compositorea Ricordi dopo la terza recita il 14 giugno:

Il Simone andò bene la prima sera: fù unpoco freddo la seconda; e jeri sera andò be-nissimo.98

La critica, nel rispecchiare gli umori delpubblico, sembra abbastanza favorevole. Ilcorrispondente della «Gazzetta dei teatri»conferma tuttavia trattarsi di opera di nonfacile ascolto:

È da notarsi la differenza tra il bello vera-mente artistico, che ha bisogno di studioper comprenderlo, diverso dal bello popo-lare e di facile intelligenza. Pregio principa-le dell’opera è l’orchestrazione che è origi-nale, e tutta una musica troppo melanconi-ca (colpa del soggetto) dal principio alla fi-ne. [...] L’opera intiera è bella, di una bel-lezza artistica; è ammirabile il lavoro deglistrumenti a corda, esso lascia a desiderareun po’ più di movimento musicale essendo

un velo melanconico in tutta l’opera. Non èpopolare, tanto più che il Verdi ci avevaabituati ad una soverchia facilità, come nelTrovatore e nel Nabucco. Dappertutto bel-lezze e novità artistiche, non bello facile epopolare. S’inganna chi la chiama opera distile tedesco, e sebbene abbia una tintaeminentemente drammatica, non ha nullache fare con Meyerbeer. Vi è canto italiano,cioè condotto ad ispirazione [...].99

Meno positivo, invece, il commento di uncorrispondente dell’«Italia musicale»:

[...] fu trovata questa musica monotona an-zichenò, piena di riminiscenze e priva diquei slanci caratteristici che costituiscono ilbello vero e reale. [...] Forse l’opera più sen-tendola potrà più piacere: ma questo è al-quanto problematico: vedremo in seguito.Quello che è certo si è, che la parte stru-mentale è la più curata e la più studiata, edil Verdi cavò effetti nuovi dall’accoppia-mento di istrumenti diversi. Bellissimo in-vero è l’effetto della musica del sogno. IlVerdi non è più quello delle sue prime ope-re. In quelle v’è forse eccesso, in questa hav-vi difetto di istrumentazione. Forse che ilVerdi vuole creare un nuovo metodo, inizia-re un altro gusto? [...].100

11885577 –– 11885588:: ddaall ffiiaassccoo ddii FFiirreennzzee aaii ssuucccceessssii ddii RRoommaa ee OOppoorrttooPurtroppo, pochi mesi dopo, la sera del 23ottobre, alla Pergola di Firenze il Simone –nonostante interpreti di prestigio quali Gio-vanni Guicciardi, Augusta Albertini e CarloBaucardé che suscitano il pieno favore delpubblico – va incontro a un deciso insuc-cesso che sembra ribadire in proporzioniancor più negative il giudizio decretato dalpubblico veneziano intorno al valore intrin-seco dell’opera. Fu un vero fiasco. Anzi peg-gio. Il pubblico e fin gli stessi interpreti a uncerto punto dell’opera si misero a ridere e asghignazzare rumorosamente, compromet-tendo irreparabilmente una rappresenta-zione che, anche questa volta, era comin-ciata abbastanza favorevolmente, almenofino al duetto Amelia – Gabriele nel primo

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atto. Inutile qui riportare – se non ai fini diuna dilettevole lettura da farsi alle spesedell’opera di Verdi – le tante critiche dei pe-riodici fiorentini e le non meno numerosecorrispondenze dei giornali forestieri: lacondanna è pressoché unanime. Delle risa-te del pubblico, oltre che nelle cronache deltempo, è rimasta testimonianza nell’analisidell’opera contenuta nello Studio sulle ope-re di Verdi di Abramo Basevi,101 analisi cheè in sostanza la somma delle due recensio-ni, veneziana e fiorentina, pubblicate dalmedico livornese sull’«Armonia». Il fattac-cio era accaduto all’inizio dell’Adagio delFinale del primo atto, alle parole «Ella è sal-va», un passaggio che molti commentatorifiorentini definiscono, per la sua veste rit-mica, in stile buffo… Ecco come ne scriveCarlo Lorenzini (proprio lui, il futuro auto-re di Pinocchio) nella sua corrispondenzaall’«Italia musicale»:

Ieri sera il povero Simon Boccanegra è ve-nuto a battere la bocca sulle assi del palcoscenico della Pergola. Il pubblico, invece diprovarne rammarico, si è messo a ridere; opubblico barbaro ed ispietato! [...] Il prologoè passato inosservato. La Claque dispostain bell’ordine nei palchi di quinta fila o nel-le prime panche di platea ha dato qualchesegno di vita, ma poi ha ritirato le corna perla vergogna. Il publico sperava nel primoatto, ma nulla in questo mondo di più falla-ce speranza!... Fra il primo e il secondo ilpublico si è sollevato con uno sbadiglio, te-nuto per due battute. Al finale del secondoatto [sic], alle parole: Ella è salva, si è fattasentire una risata spontanea, universale,granita, la quale ha ricoperto orchestra ecantanti. Il publico che non voleva arrab-biarsi, ha preso la cosa in burletta, ed hafatto bene. [...] In tutta quanta l’opera nonun solo pezzo, non una sola frase, che ri-scuotesse l’uditorio, che rammentasse Ver-di. I pochi applausi che qua e là si fecerosentire, andarono più all’esecuzione, chealla musica. [...]102

In una successiva corrispondenza Lorenzi-ni precisava che

uno dei cantanti (non starò a farvi il nomi-nativo) invece di cantare – Ella è salvacantò a piena gola – Ella è SALVIA (SAL-VIA, erba sedativa, buona per le scottature,decotto, ecc. ecc.). Intanto i noiati e malcon-tenti di platea cantarellavano sottovoce –non è salva – alludendo all’opera, che peri-colava ogni momento più.103

Il nominativo dello spiritoso cantante cuiallude Lorenzini è quello del tenore Bau-cardé, se dobbiamo dare credito al giornalefiorentino «Il Passatempo» che, pur lodan-done i mezzi vocali, lo accusa di pigliarequalche volta le cose «in canzonella»… Ilquale «Passatempo» sigilla la sua lunga, in-terminabile recensione con la seguenteepigrafe:

Boccanegra morì per sempre, si spera, a Fi-renze il giorno suo onomastico SS. Ap. Si-mone e Giuda.104

L’opera si regge per sole quattro sere. Tut-tavia la condanna da parte della critica nonè del tutto unanime. Ad esempio l’appendi-cista dell’«Arte» di Firenze addossa all’ese-cuzione la colpa del naufragio del Simone:

Questo nudo lavoro di Verdi, sebbene nonpossa chiamarsi una delle opere più felicidel celebre compositore, pure ci sembròricco di molte bellezze le quali speriamoche saranno maggiormente intese ed ap-prezzate nelle venture rappresentanze. Delnaufragio di alcuni squarci della musicadel Boccanegra, noi crediamo doversi ap-puntare anco al concertatore Cav. Mabelli-ni il quale avrebbe dovuto lasciare i tempimeno larghi, ed indovinare molti puntid’effetto i quali rimasero soffocati nelle pa-stoie e nello impedimento d’una esecuzio-ne sbiadita ed acciarpata alla carlona.105

Ma è voce quasi isolata. Basevi ritorna aparlare dell’opera da lui già ascoltata a Ve-nezia per ribadire il proprio giudizio attra-verso un commento molto più articolato;troppi recitativi, egli osserva: Verdi vuol for-se seguire le orme di Wagner, «il padre del-la così detta musica dell’avvenire»?

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Del libretto del Piave fu già parlato [...] esiamo lieti di non vederci costretti a torna-re a svolgere questo aborto mostruoso diuna mente sconnessa. Solo diremo, che inquesto libretto apparisce una forma al-quanto insolita dalle parole preparata aipezzi musicali, e pare che il Verdi abbiasciolto il freno al suo Piave, e gli abbia det-to “scrivi quel che vuoi, non ti dar briga dinulla, non badare alla lunghezza de’ recita-tivi, non aver pena per gli adagi, né per gliallegri, né per i duetti ecc.; quel che verrà,verrà: io colla mia musica rimedierò a tut-to”. E Piave non se lo fece dire due volte.Cominciò il libretto con tre scene di recita-tivo: il primo duetto tra Simone e Fiesco lofece a guisa di parlante, non essendovi luo-go né per l’adagio né per l’allegro: il Prolo-go poi finì a modo di recitativo. Gli altri attinon vennero dal poeta trattati molto diver-samente.Noi ci siam domandati quale scopo avesseavuto in animo il Verdi con questa insolitaforma, e ci venne al pensiero, che forse ilmaestro di Busseto volesse, quasi d’un col-po, introdurre in Italia la riforma del Wa-gner, il padre della così detta musica del-l’avvenire. È noto che il Wagner pretendeche il dramma non debba per nulla piegar-si alla musica, e che questa, al contrario,abbia ad assoggettarsi alla poesia, seguen-dola di pari passo, e quasi traducendone leespressioni, o se vuolsi, per colorirle collenote più vivacemente. Addio arie: addioduetti: tutto deve fondersi in una specie direcitativo, o di parlante. [...] Accordiamopossibile, che la riforma Wagneriana rap-presenti la musica dell’avvenire; neghiamoassolutamente che sia la musica del pre-sente. E se havvi arte, che debba esser piùtenera di rendersi grata subito, ella è senzadubbio la musica, massime la teatrale.Nella musica del Simone Boccanegra tro-viamo povertà se non vuol dirsi assenza dibel canto: e quel poco in cui ci abbattiamoci apparisce come una nostra antichissimaconoscenza, la quale per le angustie dell’u-ditore riesce spesso non discara. L’istru-mentale non presenta molta industria; maricercatezza nelle armonie, abuso di pedali,

di scale semitonate, in modo che al cantotocca sovente la parte più meschina. I reci-tativi, così abbondanti in quest’Opera, sonopessimi: i motivi de’ parlanti senza relazio-ne colle parole. Infine quest’Opera, chechiedeva un ingegno coraggioso e robusto,lo trovò audace e fiacco.106

Il fiasco di Firenze apre la stura al manife-starsi dei rancori contro la venalità delmaestro e contro la Casa Ricordi, accusatadi esosità nel prezzo dei noli (assai elo-quente, su tale argomento, la recensionedella «Lanterna di Diogene», più sopra cita-ta, nonché una polemica rinnovata dal re-divivo Vianelli107), e spiana alla critica unacerta tendenza a ridimensionare il valoreartistico delle ultime opere di Verdi:

[...] al nostro teatro della Pergola si ebberotre spartiti di Verdi, la Giovanna di Guz-man, il Simon Boccanegra ed il Trovatore.Il primo e l’ultimo, già conosciuti in Firen-ze, non hanno mestieri di nuovi giudizi:l’uno è una specie di zibaldone alla tedesca,framezzato da qualche motivo italiano, enell’insieme non giustifica la pretensioneche ha di passare per una grand’opera: l’al-tro è un lavoro in gran parte inspirato, malungi dal raggiungere la perfezione delleprime musiche di Verdi [...]. Il Simon Boc-canegra è per ogni rispetto una empietàmusicale [...].108

Ma nel successivo dicembre, all’Apollo diRoma, il Simone, dopo l’esito freddo delleprime due sere (con consueta indisposizio-ne del solito Giraldoni) conquista i favoridel pubblico con un successo crescente,tanto da ottenere numerose repliche. E ri-mane ormai questo, in pratica, il destinodel Simone veneziano: disorientare e an-noiare il pubblico nelle prime sere, per poiconvincerlo gradualmente nelle repliche,fino a scuoterlo, specie nel quartetto finale,unanimemente considerato il brano piùispirato dell’opera. Ancora una volta, tutta-via, nel parere dei corrispondenti teatraliprevalgono le note negative, almeno nelleconclusioni, rispetto a quelle positive. Ilcorrispondente della «Fama» se la prende

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ad esempio con l’abuso di melodie in tonominore:

Simone Boccanegra, musica dottissina, ela-borata con la massima coscienza e con taleossequio al dramma che giunge allo scru-polo, porta con sé una tanta monotonia, eduna tinta così melanconica che rendonol’opera ben lunga, oltremodo pesante enojosa, havvi per soprammercato un abusodi toni minori incredibile; basti il dire chevi sono nell’intero spartito 18 lunghe melo-die tutte in modo minore, il prologo che du-ra 28 minuti, è tutto in minore, solo in finesi risolve in maggiore [...].109

Di analogo parere il corrispondente del purverdianissimo «Trovatore»:

La musica di questo spartito per quantiamano e professano l’arte, sarà stupenda,pel publico sarà sempre fredda, monotona enoiosa. Verdi ha voluto troppo innovare; ilservire al dramma è sempre stato intento diVerdi; qui poi questo intento è spinto all’esa-gerazione, e da questo lato l’opera è perfet-ta: ma perché questo pregio sfolgorasse sa-rebbe stato necessario un bel dramma,quando il libretto di Piave è un aborto de’più deformi. Nella musica si nota un abusodi modo minore: nel prologo, tranne pochebattute d’allegro in fine, tutto in minore: ne-gli altri lunghi tre atti vi sono 18 melodie inminore e non brevi. L’abuso di pianissimomi par soverchio; l’opera è affidata per inte-ro al quartetto, trattato d’altronde con unmagistero sublime. Figurati che la particel-la dei tromboni di tutta l’opera è compostadi tre pagine solamente; il gran largo del fi-nale primo è tutto senza ottoni e via dicen-do. I pezzi aduno ad uno mi paiono bellissi-mi, ma la tinta generale è difettosa: è unquadro dove gli accessori e le parti sonocondotte stupendamente, ma il complessonon risponde e riesce troppo uniforme e fu-nereo.110

Nel maggio del 1858 il Simone varca per laprima volta i confini nazionali per presen-tarsi sulle scene portoghesi di Oporto. E viincontra, finalmente, lontano dai critici

pretenziosi e dalle beghe editoriali e impre-sariali, un successo pieno e senza riserve.Ne scrive, ad esempio, un corrispondentedell’«Arpa» bolognese:

[...] le sorti del Boccanegra di Verdi furono aquesto teatro più avvenurate di quelle d’Ita-lia. Il Boccanegra ebbe successo colossale,piramidale [...] e se la musica piacque mol-tissimo, gli esecutori fecero allo stretto sen-so della parola fanatismo.111

11885588 –– 11885599:: ddaall ttrriioonnffoo ddii NNaappoollii aall ffiiaassccoo ddii MMiillaannooNel novembre 1858 al S. Carlo di Napoli an-cora una volta Verdi, cui l’opera sta eviden-temente molto a cuore, s’incarica, a parzia-le indennizzo della mancata Vendetta indomino (Un ballo in maschera) rifiutata daquella censura,112 di porre in scena il Simo-ne con interpreti quali Filippo Coletti eGaetano Fraschini, con alcune piccole mo-difiche alla partitura e inoltre con una nuo-va disposizione dell’orchestra. Le modifi-che – apportate allo scopo di recare mag-giore effetto ai finali dei primi due atti e dialleviare la tessitura troppo acuta della par-te di Gabriele – riguardano principalmente«un piccolo cambiamento fatto sulla finedell’Adagio del Duetto Atto II che lo abbrac-cia di 4 battute»; l’aggiunta di «alcuni squil-li di tromba nel coro della sommossa» el’aggiunta di una tromba «con squillo ardi-to e sucuro» nella stretta del finale dell’attoI «per fare le note sincopate della cadenza»;una nuova modulazione (facoltativa) allafine della scena che precede l’aria di Ga-briele, onde abbassarla di mezzo tono; unanuova puntatura (pure facoltativa) nelquartetto finale nella parte di Gabriele allafrase «Come passò veloce l’ora» onde evita-re il si bemolle acuto.113 Quanto alla nuovadisposizione dell’orchestra, vale a dire persezioni unite di strumenti (disposizioneche Verdi sperava duratura, ma che saràben presto abbandonata dalla formazionedel San Carlo) lo si apprende da una letterache il maestro alcuni anni più tardi, in vistadella prima rappresentazione napoletanadella rinnovata Forza del destino, rivolgerà

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a Florimo:

Come potete, “per dirvene una” sopportaresianvi ancora le Viole, e Violoncelli fra lorodisuniti? Come può esservi così attaccod’arco, colorito, accento, etc. etc.? Oltre diciò, mancherà il ripieno della massa deglistromenti d’arco. [...] Avran ben riso costì,quando pel Simon Boccanegra io feci riuni-re quelli stromenti!!... Tanto peggio, per chiha riso! E tanto peggio se non han seguitoquel mio consiglio.114

Il periodo di prove e di attesa di quelle gior-nate partenopee ci è tramandato dal pen-nello del caricaturista Melchiorre Delfico,che ha ritratto in gustosissime vignette ilcompositore alle prese con i suoi interpretidurante le prove. Una di quelle caricatureritrae “gli stratagemmi degli amici napole-tani per intrufolarsi alle prove” del Simonea S. Carlo.115 La frenetica attesa che vi era aNapoli per l’ultima opera di Verdi si fa taleche la prova generale si trasforma inun’autentica anteprima. Così ne scriveva ilcorrispondente del «Pirata», Salvatore Agu-glia:

Debbo incominciarvi a dire che la sera del26 novembre a Napoli fu un caso nuovonella storia teatrale. Una intera popolazio-ne era fuori il Teatro. Gli eletti appena en-trarono con biglietti o della Soprintendenzao della Impresa, ma venuto il Principe Rea-le Conte di Siracusa, e veduta quella follaimmensa, ordinò che si aprissero tutte leporte, ed un città fu travasata nell’immensoTeatro; onde possiamo non dirla una provagenerale, sibbene un’affollata rappresenta-zione.116

E dopo la prima rappresentazione:

La mia corrispondenza del 27 novembresulla prova generale del Boccanegra in Na-poli si è verificata a capello nella prima re-cita, anzi con maggior successo. La musica,a gloria de’ Napoletani, ieri sera, con teatroarcipienissimo, ascese all’alto posto chemeritava. Il maestro fu chiamato sedici vol-te fuori, e, contro la legge, sino a tre volte di

seguito. [...]117

All’opera arride dunque un successo benpiù caloroso di quello registrato a ReggioEmilia: «Ieri sera fu la terza recita e il teatroera pieno zeppo: unico e solo termometrodi un successo. Benissimo Fraschini e Co-letti; bene la Fioretti; chiamate a tutti» scri-ve il compositore il 2 dicembre all’amicoLuccardi. 118

Nonostante qualche riserva da parte dellastampa locale, l’entusiastico successo dipubblico delle rappresentazioni napoletane(ben 22 repliche) sembrava aver ristabilitole sorti del Simone, tenuto conto di unapiazza così importante come quella di Na-poli, allorché – proprio nel momento in cuiVerdi si apprestava a varare a Roma Unballo in maschera – giunge come una doc-cia fredda la notizia dell’insuccesso del Si-mone alla Scala di Milano. Il fiasco (poichédi questo si tratta) viene imputato per buo-na parte a una cattiva esecuzione comples-siva, e in particolare all’inadeguatezza delprotagonista (Sebastiano Ronconi, fratellodel ben più celebre Giorgio) e della primadonna, Luigia Bendazzi, rimproverata nel-l’occasione, come narrano le cronache deltempo, di urlare e strillare anziché cantare.Nonostante che nelle successive replichel’opera destasse, al solito, un crescente e in-fine completo successo, questa repentinacaduta al primo incontro con il pubblicomilanese sembra suonare, dopo gli esiti diVenezia e di Firenze, come definitiva con-danna. Condanna che il compositore, redu-ce dallo splendido successo appena ottenu-to a Roma con Un ballo in maschera, scri-vendo a Tito Ricordi il 4 febbraio 1859 ri-fiuta di accettare, interamente addossandol’insuccesso alla cattiva esecuzione e, unavolta tanto, a un pubblico incapace «diascoltare»:

Il fiasco del Boccanegra a Milano dovevaessere, ed è stato. Un Boccanegra senzaBoccanegra, tagliate la testa ad un uomo epoi riconoscetelo se potete! Tu ti meraviglidella sconvenienza del pubblico? A me nonsorprende affatto. Egli è sempre felice,quando può arrivare a far scandalo! [...] Ep-

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pure ad onta di quanto ne possono direamici o nemici, il Boccanegra non è inferio-re a tante altre mie opere più fortunate diquesta, perché per questa abbisogna forseun’esecuzione più finita, ed un pubblicoche voglia ascoltare; trista cosa il teatro!!119

Il successo dell’opera al Teatro Carolino diPalermo (ancora con la Bendazzi), dove siregge per ventiquattro sere non muta la si-tuazione. Nemmeno le rappresentazioni alTeatro Carlo Felice di Genova nell’invernodel 1860, dirette da un musicista di polsoquale Angelo Mariani (e dove, ancora unavolta, il Simone, dopo il disorientamentodella prima sera, conquista gradatamente ifavori del pubblico), e quelle al Teatro Co-munale di Bologna nell’autunno del 1861,pure dirette da Mariani e con Leone Giral-doni nuovamente protagonista (solo unsuccesso “di stima”), riescono a rovesciar-ne le sorti. Il giro del Simone viene pratica-mente riducendosi ai teatri dell’Italia insu-lare (Catania, Messina, Trapani, Marsala) edel centro-sud (Barletta, Lucera, Molfetta,Teramo, L’Aquila, Catanzaro) nonché adalcuni teatri mediterranei (Malta, Corfù),iberici e sudamericani. Perfino a Lisbonal’opera cade, pur con un tenore come Fra-schini, il quale dopo l’esito scrive a Giral-doni, il protagonista veneziano: «Se seguitoa stare in carriera vado ad escludere dal re-pertorio il Boccanegra perché è opera trop-po pericolosa; dopo venti giorni di prove fa-ticosissime l’altra sera siamo andati in isce-na, e si è fatto un mezzo fiasco, o due ter-zi».120

Sommando le impressioni dei cronisti e deicorrispondenti delle varie rappresentazionieffettuatesi del Simone, l’atto che piacquedi meno e che non di rado segnò la cadutadell’opera, fu il secondo. Anche nel primoatto il duetto fra Gabriele e Fiesco, il balla-bile e la stretta del Finale primo, quandonon caddero passarono inosservati. Furonospesso applauditi la romanza del basso nelPrologo, la cavatina di Amelia, l’Adagio nelFinale primo, l’aria del tenore e il terzettonel secondo atto, il duetto fra Simone e Fie-sco nel terzo. I brani quasi ovunque graditial pubblico, anche là dove l’opera cadde,

furono la cabaletta di Amelia (poi espuntanella revisione del 1881), i duetti Amelia –Gabriele e Amelia – Simone nel primo atto,e soprattutto il quartetto finale.

NNoovveemmbbrree 11888800Dopo l’ultima ripresa, avvenuta a Trani neldicembre del 1871, lo spartito del Simonegiace nei magazzini dell’editore inutilizza-to, ma non dimenticato. Qualche anno pri-ma, nel 1864, se n’era ricordato l’impresa-rio francese Bagier, che aveva insistito perrappresentarlo al Teatro Italiano di Parigiinsieme alla recente Forza del destino sottola direzione dello stesso Verdi, ma senza ri-sultato nonostante che a un certo puntodelle trattative il maestro stesse per accon-discendere.121 Se ne ricorda infine l’editoreRicordi: il fiasco del 1859 alla Scala era ri-cordo ancora troppo bruciante per non ten-tare di rimediarvi con un’esecuzione piùsorvegliata. La scrittura del baritono Giral-doni per la stagione scaligera del carnevale1866-67 è l’occasione che consente a TitoRicordi (sono gli anni ruggenti del “quar-tettismo” milanese capitanato dal figlioGiulio e dal giovane Arrigo Boito) di ripro-porre all’impresa del teatro milanese il Si-mon Boccanegra insieme a Un ballo in ma-schera e al nuovo Macbeth, a condizionetuttavia che oltre a Giraldoni vengano«scritturati altri artisti idonei alla interpre-tazione di tali spartiti». Ma di fronte allescelte dell’impresa l’editore ricusa alla Sca-la qualsiasi spartito verdiano, dimostrandocon questa decisione un buon fiuto poichél’opera inaugurale di quella stagione, ilDon Sebastiano di Donizetti, va incontro aun fiasco clamoroso che determina la chiu-sura temporanea del teatro.122

Alla vigilia della prima rappresentazionealla Scala della rinnovata Forza del destinol’editore Ricordi torna alla carica, questavolta nella persona del giovane Giulio, chedirettamente si rivolge a Verdi; questi si li-mita a rispondere (lettera del 24 novembre1868):

Se vi è bisogno di dire qualche cosa sul car-tellone, dite semplicemente che si darà La

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Boito e Verdi durante la collaborazione per Simon Boccanegra. (1881).

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Forza del Destino. Se i cambiamenti riesci-ranno a mia soddisfazione, la si darà coicambiamenti, se no la darete come stà ora,o la scambierete col Simon Boccanegra avostro piacere.123

A partire da questo momento Giulio Ricor-di persegue con tenacia il progetto di ripre-sentare il Simon Boccanegra alla Scala, fos-se pure con qualche ritocco alla partitura eal libretto, nell’intento di cancellare la con-danna decretatagli in quello stesso teatroalcuni anni addietro. Il 15 dicembre 1870,di fronte a una nuova richiesta dell’editoreper l’inserimento dell’opera nel prossimocartellone della Scala il compositore, me-more dell’insuccesso ottenuto in quel tea-tro a causa dell’insufficiente esecuzione delruolo protagonista, si limita a rispondere:

Ho risposto subito con un telegramma perdirvi di dare la Forza del Destino. In quan-to al Boccanegra o Macbet, io sarei pelMacbet nuovo perché non credo avreste unbuon attore pel Boccanegra.124

Nel 1875 Giulio Ricordi ritorna alla carica,ma questa volta Verdi, pur potendo dispor-re di un buon protagonista, si dichiara deci-samente contrario alla ripresa, così moti-vando il proprio rifiuto (lettera del 3 mar-zo):

Voi mi parlate del Boccanegra pel quale visarebbe compagnia eccellente colla Maria-ni e Pandolfini etc. etc., ma l’opera è triste, edi effetto monotono. Delle opere mie vec-chie non vi è da pensare. La sola a cui in-clinerei io sarebbe sempre l’Aida.125

D’altronde in questi anni Verdi sembra lemille miglia lontano dalla tentazione di ri-prendere in mano la penna per scriveremusica e si mostra quindi restìo a ripresen-tare sue opere vecchie, sia pure rimesse anuovo. Con l’Aida (1871) e la Messa da re-quiem (1874) ritiene ormai conclusa la pro-pria carriera di compositore. Ora si limita asorvegliare il cammino dei suoi ultimi la-vori e, ove necessario, a sostenerli andandodi persona a dirigerne l’esecuzione: a Par-

ma, a Napoli, a Parigi, a Londra, a Vienna, aColonia. Dal canto suo Giulio Ricordi daanni insegue con ostinazione un “gran pro-getto”: quello di portare Boito alla collabo-razione con Verdi. Nel 1879 gli riesce final-mente di convincere il poeta padovano ascrivere per il maestro un libretto, anzi un“dramma lirico”, ricavato dall’Otello diShakespeare: il lavoro non dispiace a Verdi,che in dicembre ne fa acquisto, senza tutta-via prendere impegni di sorta.126 Ma difronte alle reiterate richieste dell’editoreper una ripresa del Simon Boccanegra allaScala il compositore nicchia e accampascuse: la compagnia di canto, le aggiustatu-re, l’opportunità...All’inizio della primavera del 1879 – annodecisivo per la definitiva riconciliazione diVerdi con Boito – dopo un colloquio a Ge-nova con il maestro e confidando in qual-che suo vago cenno d’assenso, Giulio s’ar-rischia a spedirgli la partitura del SimonBoccanegra. Risponde il maestro il 2 mag-gio:

Ho ricevuto jeri un grosso pacco che sup-pongo una partitura di Simone!... Se voiverrete a St Agata da qui a sei mesi un’an-no, due, tre, etc. la troverete intatta comeme l’avete mandata. Vi dissi a Genova cheio detesto le cose inutili. È vero che io nonho fatto altro in vita mia, ma vi erano inpassato circostanze attenuanti. Ora nulla dipiù inutile al Teatro che un’opera mia... epoi, e poi, è meglio finire coll’Aida e collaMessa che con un’arrangement...127

Ma con tatto e abilità, confidando anchenella favorevole impressione suscitata inVerdi dal libretto di Otello, consegnatoglida Boito nell’autunno del 1879, Ricordi rie-sce finalmente a vincere la riluttanza delmaestro. Il 19 novembre 1880 l’editore gli sirivolge rinnovando la richiesta di permet-tere la ripresa del Boccanegra alla Scala:

L’Impresa della Scala ci chiede insistente-mente per la prossima stagione il SimonBoccanegra: ed oltre il desiderio vivissimodi far conoscere quest’opera, detta Impresami dice che vi è spinta dal rammentarsi co-

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me e quanto glie ne parlasse il tenore Pa-tierno, che l’aveva eseguita in una riprodu-zione al San Carlo di Napoli128 – Mi ram-mento infatti ch’Ella, ill.e Maestro, mi re-plicò più volte che il Boccanegra da Leimesso in scena al San Carlo vi ottenevacompleto successo – Crede che gli elemen-ti di cui dispone quest’anno la Scala, sienotali da ottenere l’esecuzione ch’Ella può de-siderare?... Voci bellissime le sono tutte:cioè D’Angeri – Tamagno - Salvati - De Re-szké – Ella si rammenterà altresì che diquest’opera si parlò a lungo costì in Genovastessa: anzi, la partitura autografa si trovaancora presso di Lei!... e non so chi mi trat-tenga dal muovere processo al M° Verdi perillecita detenzione di oggetti preziosi!!!!...Ella concluse che doveva: o fare cambia-menti radicali... ed in tal caso tanto valevaper Lei fare un’opera nuova (Dio il voles-se!!): o lasciare il Boccanegra così com’era[...].129

UUnn nnuuoovvoo FFiinnaallee ((llee lleetttteerree ddii PPeettrraarrccaa))..Questa volta Verdi non oppone un rifiutodeciso; benché scettico sul talento di un ba-ritono giovane quale Salvati, risponde aGiulio Ricordi il 20 novembre 1880 dichia-randosi non solo disponibile alla ripresadel Simon Boccanegra rimettendo mano al-la partitura, ma addirittura avanzando con-crete ipotesi per la revisione, ipotesi con-centrate soprattutto sul rifacimento dellaseconda parte dell’Atto I; con la citazionedelle lettere di Petrarca siamo già di frontealla proposta-chiave destinata a sbloccarela situazione e ad avviarla definitivamenteverso l’edizione riformata dell’opera:

O le opere pei Cantanti o i Cantanti per leopere Vecchio assioma che nissun impresa-rio ha mai saputo praticare, e senza del qua-le non vi è successo possibile in Teatro.Avete fatta una buona Compagnia per laScala, ma non adattata pel Boccanegra. – Ilvostro Baritono deve essere un giovine.Avrà voce, talento, sentimento finché vole-te, ma non avrà mai la calma, la compo-stezza, e quella certa autorità scenica indi-spensabile per la parte di Simone. È una

parte faticosa quanto quella del Rigoletto,ma mille volte più difficile. Nel Rigoletto laparte è fatta, e con un po’ di voce e di animasi può cavarsela bene. Nel Boccanegra lavoce e l’anima non bastano.Pel Fieschi ci vorrebbe una voce profonda,sensibile nelle corde basse fino al fa, conqualche cosa nella voce di inesorabile, diprofetico di sepolcrale: cose tutte che nonha la voce un po’ vuota e troppo baritonaledel De Restke. Anche la D’Angeri precisa-mente per la potenza della voce, e dellapersona, non sarebbe a posto per far la par-te di una fanciulla modesta, ritirata, unaspecie di monachella. Credo che la stessaD’Angeri non sarebbe contenta di questaparte.Oltre di ciò lo spartito come si trova non èpossibile. È troppo triste troppo desolante!Non bisogna toccar nulla del Primo Atto, nédell’ultimo e nemmeno, salvo qualche bat-tuta quà e là, del Terzo. Ma bisogna rifareTutto il Second’Atto, e darle rilievo, e va-rietà, e maggior vita. – Musicalmente si po-trebbero conservare La Cavatina della Don-na, il Duetto col Tenore, e l’altro Duetto trapadre e figlia, quantunque vi sieno le Caba-lette!! Apriti o terra! Io però non ho tanto or-rore delle cabalette, e se domani nascesseun giovine che me ne sapesse fare qualche-duna del valore per es. del Meco tu vieni omisera130 oppure Ah perché non possoodiarti131 andrei a sentirle con tanto di cuo-re, e rinuncerei a tutti gli arzigogoli armoni-ci, a tutte le leziosaggini delle nostre sapien-ti orchestrazioni [...].Ma torniamo al Second’Atto. Chi potrebbefarlo? In che modo? Cosa si potrebbe trova-re? Ho detto in principio che bisogna trova-re in quest’Atto qualche cosa che doni va-rietà e un po’ di brio al troppo nero delDramma. Come? per es.:Mettere in scena una Caccia?Non sarebbe teatraleUna festa? Troppo comuneUna lotta coi Corsari d’Affrica?Sarebbe poco divertentePreparativi di guerra o con Pisa, o con Ve-nezia?... A questo proposito mi sovviene didue stupende lettere di Petrarca, una scrittaal Doge Boccanegra, l’altra al Doge di Ve-

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Girolamo Magnani, Una piazza di Genova. Bozzetto per Simon Boccanegra (Prologo). Milano, Teatro allaScala, 24 marzo 1881. (Milano, Museo Teatrale alla Scala).

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nezia132 dicendo loro che stavano per intra-prendere una lotta fratricida, ché entrambierano figli d’una stessa madre l’Italia etc.etc. Sublime questo sentimento d’una Pa-tria Italiana in quell’epoca! – Tutto ciò è po-litico non drammatico; ma un’uomo d’in-gegno potrebbe ben drammatizzare questofatto. Per es:... Boccanegra colpito da questopensiero vorrebbe seguire il consiglio delPoeta: convoca il Senato, ed un Consiglioprivato, ed espone loro la lettera ed il suosentimento... Orrore in tutti, declamazioni,ira, fino ad accusare il Doge di tradimentoetc. etc. La lite viene interotta dal rapimen-to d’Amelia... Dico per dire... Del resto setrovate Voi il modo di aggiustare e di appia-nare tutte le difficoltà che vi ho esposto ioson pronto a rifare quest’Atto.133

Il 24 novembre Ricordi affronta l’argomen-to del “libretto”:

Quanto al libretto, mi sembra ancora più fa-cile il riescire: il più l’ha già fatto Lei... tro-vando l’idea madre, che mi pare magnifica,interessante; per cui non manca più chedargli forma = e proprio l’altro jeri, appenaricevuta la sua, venne Boito da me per suoiaffari, e tra un discorso e l’altro, senza en-trare in particolari od in dettagli, gli doman-dai se, qualora vi fosse un ritocco da fare adun libretto di Verdi, egli poteva occuparse-ne: mi rispose ch’esso è sempre pronto a fa-re tutto ciò che Verdi può desiderare – Edessendo su tale discorso, mi parlò d’altro af-fare.134 Ella mi ordinò di non far più parola,né cenno alcuno sull’affare stesso, ed io homantenuto fedelmente la consegna data!...Ma in battaglia, anche alcuni generali han-no rotto la consegna, e rischiarono il capo,qualora la vittoria non avesse coronato laloro audacia – Rompo la consegna... e speroche in ogni modo Ella non sarà tanto crude-le di chiedere la mia testa: qui è proprio ilcaso di Rigoletto: «Che far di tal testa?....»Boito mi domandò sue nuove, se era a Ge-nova etc. etc: e mi disse: dopo un’ultimamia lettera, non ebbi più notizie del Mae-stro: mi spiacerebbe che Verdi non avesseapprovato alcune mie osservazioni intornoa un cambiamento propostomi, eseguito, e

da Lui approvato:135 interrogato, ho credutodirgli francamente le mie idee, a ciò tantopiù incoraggiato perché da alcune sue paro-le parvemi ch’esso pure in parte le divides-se – Io, in questo tempo, ho studiato e credodi aver trovato qualche cos’altro che do-vrebbe soddisfare le esigenze del Maestro, ela fedeltà al poema - Ma e perché non l’haiscritto al Maestro?... gli chiesi - E siamo lì...Boito teme di rendersi importuno presso diLei... partendo mi replicò ancora esseresempre pronto a fare, disfare, cambiare tut-to ciò che Verdi crederà necessario -Ho creduto farle noto quanto sopra: se hofatto male... eccole la mia testa....136

Di rimando Verdi il 25 novembre, ancorada Genova, insistendo nelle riserve espres-se riguardo alla compagnia di canto e scu-sandosi per il silenzio finora tenuto conBoito in merito ad alcune osservazioni re-lative al libretto di Otello:

Direte a Boito che non ho risposto ancoraalla sua ultima perché e in campagna e quiho avuto un monte di cose da fare. Egli de-ve sapere però che io sono non una, ma duevolte della sua opinione. S’Egli troveràqualche cosa che convenga sotto ogni rap-porto, sarà un momento di felicità, sopra-tutto per me, che ho sempre dubitato (parlomusicalmente) della fine di quell’Atto...137

Il giorno appresso Verdi, ormai quasi per-suaso a lasciar riproporre il Simone con leopportune modifiche, scrive a Ricordi con-sentendo alla ripresa dell’opera, ma senzaobblighi di cartellone, rinnovando le riservesulla compagnia di canto e proponendo peril ruolo protagonista il baritono franceseVictor Maurel, che un anno prima sotto lasua direzione aveva sostenuto il ruolo diAmonasro nella prima rappresentazione diAida in francese all’Opéra di Parigi; accen-nando infine alle modifiche, da apportarsisoprattutto al Finale primo, Verdi ne incari-ca direttamente Boito:

In quanto al libretto, trovata un Idea vasta,grandiosa, varia di forma e di colore per fa-re una Testa di Finale, il resto si riduce a

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poco. Dico Testa perché bisogna conserva-re il racconto d’Amelia di cui cambierei ingran parte la musica, e conserverei moltecose della Stretta specialmente il principio.Non mi pare il caso qui di fare uno dei soli-ti pezzi concertati. Soltanto quando compa-re improvvisamente Amelia farei dire alDoge quattro od otto versi ringraziando ilCielo d’aver salvata la figlia dal disonore.Quattro versi come Boito sa fare per porvisopra alla belle meglio alcune note che ab-biano l’aria d’una larga frase musicale. Laqual frase musicale amerei fosse ripetuta(con cambiamento di qualche parola se oc-corre) in mezzo alla Stretta nel posto oveentrano tanto stupidamente le Arpe. –Ecco tutto; ed ecco un Finale bel e fatto seBoito trova un bel Principio, ed io qualchenota che non sia un controsenso.Ci pensi dumque Boito, e prima di fare i ver-si, mi mandi qualche ventina di righe in pro-sa che basteranno a farmi capire tutto.138

Ricordi risponde il 27 novembre rassicu-rando il maestro:

Boito si mette subito al lavoro, e mi disseche manderà presto il nuovo finale, comelo avrebbe ideato e che si lusinga possa pia-cerle: il che sarebbe una vera consolazioneper lui.139

Boito dal canto suo è già pronto per propor-re modifiche radicali al dramma originale.Accoglie il suggerimento verdiano della«scena del Senato» con la citazione dellelettere di Petrarca, ma a sua volta proponeanche una nuova soluzione: «fondere inun’atto solo i pezzi principali dei due attiintermedii», facendogli seguire «un’atto in-tiero, nuovo, non lungo» ambientatonell’«interno della Chiesa di S. Siro». Nelproporre le modifiche il poeta non si trat-tiene tuttavia dal manifestare alcune serieperplessità sulla solidità dell’intelaiaturadrammatica:

Il dramma che ci occupa – egli concludescrivendo a Verdi l’8 dicembre – è storto,pare un tavolo che tentenna non si sa dache gamba, e, per quanto ci si provi a rin-

calzarlo, tentenna sempre. Non trovo inquesto dramma nessun carattere di quelliche ci fanno esclamare: è scolpito!. Nessunfatto che sia realmente fatale cioè indispen-sabile e potente, generato dalla ineluttabi-lità tragica. Faccio una eccezione pel prolo-go, quello è veramente bello e nella sua cu-pa interezza è forte, solido tenebroso comeun pezzo di basalte. Ma il prologo (sempreparlando della tragedia, da molti e moltianni non ho più avuto occasione di riudirela musica del Boccanegra) il prologo è lagamba diritta del tavolo la sola che poggisolidamente, le altre tre, ella lo sa meglio dime, zoppicano tutte. V’è molto intrigo e nonmolto costrutto. [...] Per correggere un simi-le dramma bisogna mutarlo.S’Ella, Maestro mio, potesse leggere nelmio pensiero [...]. vi leggerebbe una granderipugnanza a ripigliar questo dramma perrappresentarlo, questo dramma esente cosìdi virtù profonde come di pregi leggieri,questo dramma, (a parte il prologo) man-cante di potenza tragica come di teatra-lità.140

Verdi trova «stupendo sotto ogni rapporto»l’atto ideato da Boito nella chiesa di San Si-ro, tuttavia esso lo «impegnerebbe troppo» enon intende quindi sobbarcarsi a tanto la-voro; conviene anche con le sue critiche aldramma: il tavolo è zoppo, però subito ag-giungendo (lettera dell’11 dicembre):

ma, aggiustando qualche gamba, credo, po-trà reggersi. [...] Infine tentiamo, e facciamoquesto Finale col rispettivo AmbasciatoreTartaro, colle lettere di Petrarca etc. etc. etc.Tentiamo, ripeto. Noi non siamo poi tantoinesperti, da non capire, anche prima, cosasarà per succedere sul Teatro. – Se a Leinon pesa, e se ha tempo si metta tranquilla-mente al lavoro. Io intanto guarderò di rad-drizzare quà e là le molte gambe storte del-le mie note, e... vedremo!.141

Boito si accinge al compito di raddrizzarele gambe storte del libretto più per sinceradevozione nei confronti di Verdi che per in-tima convinzione, come appare da una sualettera a Giulio Ricordi del 21 gennaio, cioè

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nel periodo in cui stava per essere resa uf-ficiale la notizia dell’imminente ripresa delrinnovato Simon Boccanegra alla Scala:

Quando l’Impresa della Scala deciderà dipubblicare l’Appendice-cartellone coll’an-nuncio del Boccanegra, bada che né perisbaglio né per indiscrezione dell’impresaaccada che si stampi né il mio nome né ilmio anagramma.142 Sai che ho accettato dipor mano al libretto del Boccanegra perchésono devoto ai desideri del Verdi, sai che fuisempre contrario all’idea di rappresentarequest’opera alla Scala ora, sai che non attri-buisco nessun pregio artistico né letterarioa quelle raffazzonature che feci nel lavorodel povero Piave. Dunque ti prego di vigila-re intorno a ciò: il nuovo Boccanegra devepassare col nome di F. M. Piave puro e sem-plice e il mio nome non deve in nessun mo-do essere aggiunto.143

LLaa nnuuoovvaa vveerrssiioonneeIl lavoro di revisione si svolge nell’arco dicirca due mesi, da dicembre a febbraio, inperfetto accordo fra musicista e poeta (qua-si una prova generale, per Verdi, di un’e-ventuale collaborazione per Otello...).144 Sul-le prime tale lavoro sembra limitarsi a po-che seppure importanti modifiche; scriveinfatti Verdi a Boito il 9 gennaio 1881:

[...] ho pensato tutt’oggi a questo Boccane-gra, ed ecco cosa mi pare, si potrebbe farePasso il Prologo di cui cambierò forse il Pri-mo Rec: e qualche battuta quà e là in or-chestra.Nel primo Atto toglierei nel primo pezzo laCabaletta, non perché sia una Cabaletta, maperché è brutta assai. Cambierei il Preludio,a cui unirei il Cantabile della Donna cam-biando l’orchestrazione e ne farei un pezzounito. Ripiglierei alla fine un movimentod’orchestra del Preludio [...].La Romanza interna del Tenore resterebbetale e quale.Nel Duetto seguente cambierei la formadella Cabaletta ed Ella non avrebbe nulla afare.Nella Scena V tra Fieschi e Gabriele amerei

qualche parola di più nel Rec: [...]. Quelloche a me preme si è, di cambiare il Duettotra Fieschi e Gab: «Paventa o Doge» È trop-po fiero, e non dice nulla. Io amerei inveceche Fieschi, quasi padre d’Amelia, benedis-se i futuri giovani sposi. Potrebbe sortirneun momento patetico che sarebbe un rag-gio di luce fra tanto scuro. [...]Io intanto comincierò a lavorare al Primopezzo di questo primo Atto, se non altro permettermi dans le mouvement prima d’arri-vare al Finale. Io vorrei fare tutto di seguitocome se si trattasse d’un’opera nuova.145

Ma ben presto il lavoro di modifica prendela mano a Verdi e infine allo stesso Boito.Cardine della revisione è la seconda partedell’atto primo: al lungo e farraginoso fina-le, in stile grand opéra, della versione vene-ziana – comprendente coro di popolo, bar-carola, inno al doge, ballabile di corsariafricani, scena e sestetto, racconto di Ame-lia e stretta del concertato – di cui Verdi simostrava soprattutto scontento sotto l’a-spetto strettamente musicale, viene inseritala complessa scena del Senato con la famo-sa citazione dell’appello di Petrarca («il ro-mito di Sorga») e con la maledizione di Pao-lo (il «manigoldo impuro»), uno degli affre-schi più impressionanti di tutto il teatroverdiano. Da questo inserimento conse-guono sempre più numerosi aggiustamentie ritocchi: alcuni brani vengono eliminati(fra cui il pur incisivo duetto «del giura-mento» fra Adorno e Fiesco nella primaparte dell’Atto I, sostituito da una situazio-ne quasi del tutto opposta: la benedizionedi Fiesco), nuove pagine di musica sono ag-giunte, altre vengono modificate nella mu-sica e nella strumentazione. Gran partedella versione primitiva rimane apparente-mente intatta; tuttavia le modifiche e ritoc-chi sono tali da apportare una riorganizza-zione sostanziale del dramma, e non solonell’assetto formale: in tal senso la conce-zione drammaturgica di Verdi segna unanuova svolta, anticipatrice del prossimoOtello, attraverso l’abbandono del pezzochiuso e la ricerca di un discorso musicaleininterrotto che abbracci l’azione dramma-tica da un capo all’altro in un respiro unita-

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Girolamo Magnani, Giardino de’ Grimaldi fuori di Genova. Bozzetto per il Simon Boccanegra (Atto I, 1).(Milano, Museo Teatrale alla Scala).

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Girolamo Magnani, Interno del Palazzo Ducale. Bozzetto per il Simon Boccanegra (Atto III). Milano, Teatroalla Scala, 1881. (Milano, Museo Teatrale alla Scala).

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rio. Per tal modo l’opera di revisione e di ri-facimento viene ad assumere un significatodiverso rispetto alle revisioni di Stiffeliomutato in Aroldo (un’operazione che oggidiremmo di “riciclaggio”) e del nuovo Mac-beth (sostanzialmente un adattamento allascena francese, tant’è che in Italia, anchedopo il 1865, quest’opera veniva frequente-mente rappresentata ancora nella primiti-va versione). Il nuovo Simone rimane pursempre un’opera che narra le vicende di unpotere minacciato (ben prima del Boris Go-dunov di Musorgskij), di lotte fratricide frapatrizi e plebei, di rivalità fra nobili e mer-canti, che scorre fra vendette, tradimenti,rapimenti, pugnali, veleni... Ma la revisio-ne, pur mantenendo gran parte della musi-ca vecchia, lo rende interamente nuovo,nuovo soprattutto per concezione dramma-turgica. Chi voglia avere una misura tangi-bile del genio di Verdi non ha che a porre aconfronto le due versioni: è stupefacentecome in poche settimane egli abbia saputoriplasmare una lavoro vecchio di oltrevent’anni, trasformarlo, ringiovanirlo, con-ferendogli solidità di struttura formale, or-ganicità di pensiero musicale, coerenzadrammatica. Vero è che gli elementi di unanuova drammaturgia musicale erano purpresenti nella primitiva versione: ma noninteramente sviluppati e risolti.Vecchio e nuovo Simone:146 un’opera sola,due drammi diversi.147 La vicenda rimanepur sempre quella di un potere in crisi, dilotte fratricide di nobili e popolani, di anti-chi rancori, di affetti familiari, di gelosie, si-tuazioni tutte che scorrono fra tradimenti,agnizioni, rapimenti, pugnali, veleni, bene-dizioni... Ma la revisione, pur mantenendogran parte della musica vecchia e acco-gliendo tutti quegli aspetti innovativi giàpresenti nella primitiva versione e basatisulla ricorrente interferenza fra recitativo epezzo chiuso (vedi in particolare il Prolo-go), conferisce al dramma un nuovo aspet-to, nuovo soprattutto per concezione melo-drammaturgica.148 I personaggi di Simonee di Fiesco (questa figura di padre-padrone,così ricorrente nel teatro verdiano da Zac-caria a Rigoletto, da Giorgio Germont adAmonasro) assumono ben maggiore com-

plessità psicologica e un rilievo drammati-co ben più incisivo e al tempo stesso piùsfumato. Ancor più rilevante, rispetto allaprima versione, il peso che nella revisioneviene ad assumere la figura di Paolo sottola spinta di un Boito notoriamente inclineverso personaggi mefistofelici e barnabe-schi: la sua dimensione tragica già prefigu-ra quella imminente di Jago.

MMaarrzzoo 11888811Il nuovo Simon Boccanegra va in scena al-la Scala il 24 marzo 1881 diretto da FrancoFaccio, con Victor Maurel protagonista,Francesco Tamagno (tutti e tre saranno poiinterpreti, sei anni più tardi, dell’Otello),Anna d’Angeri ed Edoardo De Reszké. Ilsuccesso è franco, anche se non propria-mente esaltante. L’opera viene ripresa allaScala nel successivo carnevale ancora conMaurel (e Verdi comincerà intanto a pensa-re seriamente all’Otello). Tuttavia il favorepopolare nei confronti delle opere di Verdisembrava essersi fermato all’Aida. Nono-stante il successo scaligero il cammino delrinnovato Simone rimane assai stentato(Vienna nel 1882, Torino, Napoli e Pariginel 1883, Treviso e Alessandria nel 1884,Venezia nel 1885, Modena nel 1888, BuenosAires nel 1889, Madrid e Milano nel 1890,Mantova e Trieste nel 1891) e praticamentesi esaurisce con le rappresentazioni di Ge-nova, Messina, Roma e Brescia nel 1892 euna solitaria ripresa al Regio di Torino nel1899. Si è ormai entrati negli “anni bui”della fortuna di Verdi.È merito precipuo della Verdi-Renaissancetedesca la rinascita e il definitivo recuperoalle scene del Simon Boccanegra: il 12 gen-naio 1930 viene rappresentato a Viennanella versione tedesca approntata da FranzWerfel, fautore in primis della rinascitaverdiana nella Mitteleuropa; quindi subitoa Berlino, Francoforte, Essen, Lipsia, Lu-cerna, Darmstadt, nel 1931 Praga, Ambur-go, Basilea, Zagabria (in croato), Lubecca...Nelle successive stagioni i teatri di linguatedesca fanno a gara nel porlo in scena,spesso con registi e interpreti prestigiosi.Nel 1932 il Simone viene consacrato dalsuccesso internazionale sulle scene del

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Metropolitan di New York sotto la direzionedi Tullio Serafin. L’onda del successo arri-va finalmente anche in Italia: Roma nel1934, Parma nel 1936, Firenze (Maggio Mu-sicale) e Bologna nel 1938. Dopo la guerrail cammino dell’opera riprende nel 1949(28 dicembre) al Teatro Verdi di Trieste eun mese dopo (21 gennaio 1950) alla Feni-ce di Venezia. Da quella data l’opera si èlentamente, ma ormai saldamente stabilitanel repertorio internazionale, rivelandosiper certi aspetti più “attuale” di tanti altrilavori assai più popolari di Verdi. Lo sfondodel mare, con le sue brezze e il suo profu-mo, contribuisce a definire e quasi a illumi-nare le dimensioni entro le quali si svolgeun tema tanto spesso ricorrente nel teatrodi Verdi, dal Nabucco ai Foscari e all’Attila,dalla Luisa Miller ai Vespri e al Don Carlos,ma qui reso ancor più fortemente esplicitodai moltiplicati contrasti di personaggi e disituazioni: la crisi del potere e degli affettifamiliari. Tuttavia gli esiti di tali conflittitrascendono la vicenda stessa e la fine tra-gica del protagonista in quanto costante-mente protesi verso un messaggio di pace edi amore. Messaggio in cui stanno, in granparte, le ragioni dell’“attualità” del SimonBoccanegra di Verdi.

NOTE

1 ALFREDO SOFFREDINI, Le opere di Giuseppe Verdi. Stu-dio critico-analitico, Milano, Aliprandi, 1901.2 «Rivista musicale italiana», VIII, 1901, p. 731.3 GIANNOTTO BASTIANELLI, Pietro Mascagni, Napoli, Ric-ciardi, 1910, p. 6.4 GIOVANNI BRAGAGNOLO – ENRICO BETTAZZI, La vita diGiuseppe Verdi narrata al popolo, Milano, Ricordi,1905.5 «Rivista musicale italiana», XII, 1905, p. 661.6 GIACOMO OREFICE, Arrigo Boito, «Rivista d’Italia», Ro-ma, XXI, 3: 31 luglio 1918, p. 250.7 «Rivista teatrale italiana», XIII, 18: 1914, p. 29.8 ANDREA DELLA CORTE, Le sei più belle opere di Giu-seppe Verdi. Rigoletto - Il trovatore - La traviata - Aida- Otello - Falstaff, Milano, Istituto d’Alta Cultura, [1946].9 Sull’argomento si veda MARCELLO CONATI, Prima lescene, poi la musica..., «Studi Musicali», Roma, XXVI, 2:1997, pp. 519-41; trad. ted. di Paola Riesz: in Verdi-Stu-dien. Pierluigi Petrobelli zum 60. Geburtstag, hsgb. vonSieghart Döhring und Wolfgang Osthoff, unter Mitar-beit von Arnold Jacobshagen, München, G. Ricordi &Co., 2000, pp. 33-57.10 Avvenuta il 17 luglio 1852, nel corso della collabora-zione per il Trovatore.11 Vedi ALESSANDRO PASCOLATO, Re Lear e Un ballo inmaschera: Lettere di Verdi ad Antonio Somma, Città diCastello, Lapi, 1902, pp. 48 sgg.12 Lettera a Cesare De Sanctis del 28 marzo 1856, e let-tera a Vincenzo Luccardi del 6 aprile 1856, entrambe inM. CONATI, La bottega della musica: Verdi e la Fenice,Milano, Il Saggiatore, 1983, pp. 344-45 e 347.13 Lettera del 22 aprile 1856 a Vincenzo Torelli, in I Co-pialettere di Giuseppe Verdi, pubblicati e illustrati daGaetano Cesari e Alessandro Luzio, Milano, 1913, pp.189-90.14 Lettera agli impresari Fratelli Ronzi del 28 marzo1856, ivi, p. 345.15 Lettera a Cesare De Sanctis del 28 marzo 1856, ivi, p.343.16 Lettera del 23 marzo 1856 del presidente Tornielli aPiave, ivi, pp. 342-43.17 Lettera al conte Francesco Mocenigo del 14 gennaio1855, ivi, p. 336.18 Due lettere di Piave a Tornielli del 28 marzo 1856,ivi, pp. 343-44. L’opera espressamente scritta da Petrel-la per quella stagione alla Fenice avrebbe dovuto esse-re la Jone (ivi, p. 378), la cui prima rappresentazioneera prevista per la fine del gennaio 1857, un mese pri-ma cioè dell’opera nuova di Verdi; ma a causa delleproprie cattive condizioni di salute il compositore na-poletano sarà costretto a rinunciarvi chiedendo lo scio-glimento del contratto (ivi, pp. 396-97). Sostituita allaFenice da una ripresa dell’opera Gli ultimi giorni di Su-li di G. B. Ferrari, la Jone avrà la sua prima rappresen-tazione un anno dopo, 26 gennaio 1858, alla Scala diMilano (impresa dei fratelli Marzi) ottenendovi ungrande successo.19 Lettera a Tornielli del 12 maggio 1856, ivi, pp. 363-64.20 Lettera del 12 maggio 1856 al presidente Tornielli,ivi, pp. 363-64.21 Ivi, p. 377.22 Vedi FRANCO ABBIATI, Giuseppe Verdi, Milano, Ricor-

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di, 1959, II, pp. 369-71.23 Ivi, pp. 380.24 JULIAN BUDDEN, Le opere di Verdi, volume secondo:Dal «Trovatore» alla «Forza del destino», Torino,EDT/Musica, 1986, pp. 267-68.25 Ivi, pp. 381-86.26 Vedi per Macbeth la lettera di Verdi a Piave del 4 set-tembre 1846 in F. ABBIATI, op. cit., I, p. 643; per Un bal-lo in maschera una lettera di Somma a Verdi senza da-ta, ma 1858, ivi, II, p. 450; per Aida la lettera di Verdi aGiulio Ricordi del 25 giugno 1870 in I Copialettere, cit.,p. 635.27 Lettera da Venezia del 14 luglio 1856, in M. CONATI,La bottega della musica, cit., p. 377.28 Sull’argomento vedi F. ABBIATI, op.cit., II, pp. 368 sgg.29 In proposito scriverà Verdi a Piave il 31 ottobre1857: «Tu credi che mi possa dar fastidio il processocon Calzado?... Tu sei matto!. Sapevo che si perdeva, soche si perderà ancora in appello [...]. Stà pur tranquillo,giammai processo perduto ha fatto meno dispiacere»(in M. CONATI, La bottega della musica, cit., p. 414, nota33).30 Relativamente al processo contro Calzado vedi lalettera a Piave del 3 settembre da Parigi, in F. ABBIATI,cit., II, a p. 372.31 M. CONATI, La bottega della musica, cit., pp. 381-86.32 Lettera del 28 agosto 1856 del presidente Tornielli aifratelli Marzi, ivi, a p.382.33 Ivi, pp. 382-83.34 Ivi, p. 383.35 Ivi, pp. 384-86.36 Ivi, p. 387.37 Lettera a Piave del 2 ottobre 1856, ivi, pp. 388-89.38 Trafiletto della «France Musicale» del 9 novembre1856, p. 363: «M. Verdi était de retour lundi dernier duchâteau de Compiègne, où il a eu l’honneur de passerhuit jours auprès de LL. MM. l’Empereur e l’Impératri-ce. L’auteur des Vêpres Siciliennes a été l’objet d’uneattention toute particulière de la part de Leurs Maje-stés, qui se sont très-souvent et très-longuement entre-tenues avec lui».39 Lettere a Piave, in M. CONATI, La bottega della musi-ca, cit., pp. 388-89, 391, 393-94.40 Su Montanelli, “copionista” dell’attrice Adelaide Ri-stori e facente parte della cerchia ristretta dell’attoreGustavo Modena, e sulle ragioni intellettuali della suaoccasionale collaborazione con Verdi vedi GERARDO

GUCCINI, La drammaturgia dell’attore nella sintesi diGiuseppe Verdi, in «Teatro e Storia», IV, 7, ottobre 1989,pp. 264-65.41 Sulla collaborazione di Montanelli al libretto del Si-mon Boccanegra vedi il contributo di FRANK WALKER,Verdi, Giuseppe Montanelli e il libretto del «SimonBoccanegra», in Verdi, «Bollettino dell’Istituto di StudiVerdiani», n. 3, 1960, pp. 1767-89.42 Lettera a Piave senza data, forse della prima decadedel febbraio 1857, in M. CONATI, La bottega della musi-ca, cit., p. 401.43 Lettera di Muzio a Cerri del 30 novembre 1856 daPadova, ivi, p.395.44 Del 2 gennaio, da Parigi, è una sua lettera a Ricordiin cui prega l’editore di fargli preparare «la solita cartada musica» (ivi, p.395).45 Lettera del 9 febbraio 1857, ivi, p. 402.

46 Lettera a Tornielli del 12 maggio 1856, ivi, pp. 363-64.47 Riferendosi evidentemente a quanto Piave gli avevascritto in merito alle didascalie di scena.48 Come a dire, nel gergo teatrale del tempo: «a tuttoteatro», nel senso della profondità.49 L’espressione equivale a «scena corta» o piuttosto «amezzo teatro», qui resa necessaria dall’allestimentodella scena successiva, «a tutto teatro», con cambia-mento a vista.50 M. CONATI, La bottega della musica, cit., p. 401.51 Vedi lettera di Muzio a Tito Ricordi del 18 febbraio1857, ivi, p. 403.52 Lettera del presidente Tornielli ai fratelli Marzi del24 febbraio 1857, ivi, p. 406.53 Verbale della Presidenza della Fenice del 10 marzo1857, ivi, p.408.54 «Gazzetta musicale di Milano», XV, 11: 15 marzo1857.55 Numero del 16 marzo 1857.56 «L’Armonia», Firenze, IV, 6: 31 marzo 1857.57 «La Perseveranza», Milano, 25 marzo 1881.58 «Gazzetta musicale di Milano», XV, 11: 15 marzo1857.59 Lettera del 13 marzo 1857, in M. CONATI, La bottegadella musica, cit., p. 408.60 Cfr. F. ABBIATI, op. cit., II, p. 398.61 «Gazzetta previlegiata di Venezia», 16 marzo 1857.62 Stabilitosi a Milano intorno al 1860, Vianelli vi fon-derà la «Rivista teatrale melodrammatica» con annessaagenzia teatrale, dalla quale per molti anni muoveràuna lotta spietata agli interessi di Ricordi e alle nuoveopere di Verdi.63 Articolo riportato in «La Fama del 1857», Milano,XVI, 28: 6 aprile 1857, p. 111.64 Vedi nota 9.65 «Gazzetta ufficiale di Milano», 16 marzo 1857.66 «La Lanterna di Diogene», Firenze, II, 25: 31 ottobre1857, a firma “Marco”.67 Locatelli, appendicista della «Gazzetta previlegiatadi Venezia», più sopra citato.68 F. ABBIATI, op. cit., II, p. 394.69 Ivi, pp. 394-95.70 L’edificante… scritto si può leggere in F. ABBIATI, op.cit., II, p. 395-96.71 Così risulta almeno dai “borderò” serali. In una let-tera a Tito Ricordi del 6 aprile 1857 Verdi accenna tut-tavia a una settima rappresentazione: «Non capiscouna tua frase nella lettera 2 Aprile che parla della 7ma

rapp. del Boccanegra a Venezia: “schiamazzi ridicola-mente colorati di politica”. Fammi il piacere di spie-garmi questa frase!.. come c’entra la politica…» (M. CO-NATI, La bottega della musica cit., p. 415, n. 51).72 ABRAMO BASEVI, Studio sulle opere di Giuseppe Verdi,Firenze, 1859, pp. 264-65.73 «Il Passatempo», Firenze, n. 44 del 31 ottobre 1857, p.173.74 Corrispondenza da Lucca, in «L’Arpa», Bologna, IV,43: 11 aprile 1857, p. 173.75 «Gazzetta previlegiata di Venezia», art. cit.76 «L’Armonia», art. cit.77 «L’Italia musicale», Milano, IX, 22: 18 marzo 1857, p.86.78 «Gazzetta ufficiale di Milano», art. cit.79 «Gazzetta musicale di Milano», art. cit.

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80 «Lo Spettatore», Firenze, III, 13: 29 marzo 1857, p.144.81 «Il Pirata», Torino, XXII, 76: 22 marzo 1857.82 Lettera del 23 marzo 1857, cit. alla nota 61.83 Copia fotostatica presso l’Istituto Nazionale di StudiVerdiani, Parma. Analoghi concetti in difesa di Piaveesprimeva Verdi in una lettera a Tito Ricordi in paridata (11 aprile 1857): «Torelli mi scrive di mandargli illibretto [del Simone]... Egli mi domanda inoltre se lapoesia ne è veramente così orribile come si dice: e pa-re sia opinione universale!! Cosa curiosa! a me pare lapoesia migliore che in tanti altri libretti di Piave. Mabasta che un libretto porti il nome di questo povero dia-volo perché la poesia venga giudicata cattiva, ancheprima di leggerla» (in I Copialettere cit., p. 444).84 «Gazzetta musicale di Milano», art. cit.85 «Gazzetta previlegiata di Venezia», art. cit.86 «L’Italia musicale», art. cit.87 «Gazzetta ufficiale di Milano», art. cit.88 Sulle vicende relative alla rappresentazione del Si-mon Boccanegra nella stagione inaugurale del nuovoTeatro Municipale di Reggio Emilia vedi MARCELLO CO-NATI, Il «Simon Boccanegra» di Verdi a Reggio Emilia(1857). Storia documentata. Alcune varianti alla primaedizione dell’opera, Reggio Emilia, Edizioni del TeatroMunicipale «Romolo Valli», 1984, pp. 129.89 Ivi, p. 41.90 Per un raffronto ravvicinato fra le tre versioni diquesto passo vedi ivi, esempi musicali a pp. 42-44.91 Ivi, pp. 49-51; esempi musicali a pp. 52-58.92 Ivi, pp. 79-80; esempio musicale a pp. 81-83.93 Ivi, pp. 31-32. Perroni, ovvero Peroni, scenografo ecostumista attivo in quegli anni alla Scala di Milano; sudi lui vedi Filippo Peroni, scenografo alla Scala (1849-1867) a cura di NATALIA GRILLI, Museo Teatrale allaScala, Milano, 12 gennaio - 9 febbraio 1985.94 M. CONATI, Il «Simon Boccanegra» di Verdi a ReggioEmilia, cit., pp. 38-39.95 Ivi, pp. 34-35.96 Ivi, p. 47.97 Girolamo Magnani (Fidenza, 1815-1889), uno deimaggiori scenografi italiani dell’Ottocento, attivo so-prattutto al Teatro Regio di Parma, fu molto stimato daVerdi, che lo volle alla Scala per l’Aida nel 1872; sullasua attività e i suoi rapporti con Verdi vedi ora i contri-buti di MAURIZIA BONATTI BACCHINI, Scenografia e teatra-lità nell’opera di Girolamo Magnani e di MARCO CAPRA,Girolamo Magnani scenografo. Cronologia annotata,rispettivamente a pp. 13-53 e 113-34 in Comune di Fi-denza: La civiltà musicale a Parma: Il teatro di Girola-mo Magnani, scenografo di Verdi, Parma, 1989.98 M. CONATI, Il «Simon Boccanegra» di Verdi a ReggioEmilia, cit., p. 79; del medesimo tenore una lettera aVincenzo Torelli del 17 giugno 1857, ivi, p. 80.99 «Gazzetta dei teatri», Milano, XX, 33: 20 giugno 1857,p. 130, a firma E. C.100 «L’Italia musicale», Milano, IX, 47: 13 giugno 1857,p. 187, a firma B.101 Firenze, tip. Tofani, 1859.102 «L’Italia musicale», Milano, IX, 86: 28 ottobre 1857,p. 343.103 Ivi, IX, 87: 31 ottobre 1857, p. 346.104 «Il Passatempo», Firenze, II, 44: 31 ottobre 1857, pp.173-74, a firma “Luca”.

105 «L’Arte», Firenze, VII, 85: 24 ottobre 1857.106 «L’Armonia», Firenze, V, 20: 27 ottobre 1857, pp. 77-79.107 Vedi «L’Eco dei teatri», Firenze, IV, 3: 19 novembre1857.108 Ivi, IV, 6: 12 dicembre 1857, a firma M.109 «La Fama del 1858», Milano, XVII, 1: 4 gennaio1858.110 «Il Trovatore», Torino, V, 2: 6 gennaio 1858, a firmaO.111 «L’Arpa», Bologna, V, 48: 7 giugno 1858, p. 191.112 M. CONATI, Verdi per Napoli, in Il Teatro di San Car-lo: 1737-1987, a cura di Bruno Cagli e Agostino Ziino,Napoli, Electa, 1987, II, p. 248-50.113 Vedi lettera a Tito Ricordi del 30(?) novembre (nonottobre!) 1858, in FEDERICO GHISI, Lettere inedite dall’e-pistolario Verdi-Mazzucato [...], in Associazione Amicidella Scala, Conferenze, 1968-1970, Milano, s. d., pp.168-70.114 Lettera del 23 luglio 1869, in FRANCO SCHLITZER, Ilcarteggio inedito Verdi-Florimo, in «La Rassegna d’Ita-lia», agosto 1946, pp. 28-29.115 Vedila riprodotta fuori testo in ALESSANDRO LUZIO,Carteggi verdiani, Roma, R. Accademia d’Italia, 1935,vol. I, n. 12.116 «Il Pirata», Torino, XXIV, 47: 9 dicembre 1858.117 Ibid.118 I Copialettere di Giuseppe Verdi, cit., p. 556. Vediinoltre lettera a Cesare Vigna, in F. ABBIATI, op. cit., II, p.513.119 I Copialettere di Giuseppe Verdi, cit., pp. 556-57.120 Per un elenco delle rappresentazioni della primaversione del Simon Boccanegra avvenute in Italia e al-l’estero, con relativi interpreti, vedi M. CONATI, La bot-tega della musica, cit., pp. 416-17.121 Vedi F. ABBIATI, cit., II, pp. 744-45, 794, 796; III, pp.44, 61.122 Vedi la «Gazzetta musicale di Milano», n. 2 del 15gennaio 1867, pp. 9-11, contenente un commento diAntonio Ghislanzoni sulla crisi del teatro alla Scala e indifesa di alcune dichiarazioni espresse da Tito Ricordiin una lettera a Leone Fortis del “Pungolo”.123 Autografo presso l’Archivio Ricordi, Milano.124 Autografo presso l’Archivio Ricordi, Milano.125 Autografo presso l’Archivio Ricordi, Milano.126 Vedi Carteggio Verdi-Boito a cura di Mario Medici eMarcello Conati, con la collaborazione di Marisa Casa-ti, Parma, Istituto di Studi Verdiani, 1978, pp. XXVII-XXX.127 Ivi, IV, p. 82.128 Deve trattarsi molto probabilmente della ripresaavvenuta in quel teatro nel novembre del 1864, anchese il suo nome non figura nel cast iniziale di quella ri-presa, che ebbe come interprete della parte di GabrieleAdorno il tenore Ruggero Sirchia; il fatto che il nomedel non ancora trentenne Filippo Patierno non figurinemmeno nei casts delle altre opere date nel corso diquella stagione autunnale (vedi CARLO MARINELLI RO-SCIONI, Il Teatro di San Carlo. La cronologia: 1737 -1987, Napoli, Guida, 19882, pp. 366-67) non escludeuna sua effettiva partecipazione a una delle ultime re-pliche di quella ripresa, che ebbe in tutto sette rappre-sentazioni; nell’edizione del 1858, diretta da Verdi, laparte di Gabriele, dapprima sostenuta da Fraschini, fu

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ripresa poche settimane dopo da Francesco Mazzoleni(vedi CONATI, La bottega della musica, cit., pp. 416-17),il cui nome peraltro non figura nella citata cronologiasancarliana (vedi p. 343).129 Carteggio Verdi-Ricordi : 1880-1881, a cura di PIER-LUIGI PETROBELLI, MARISA DI GREGORIO CASATI, CARLO

MATTEO MOSSA, Parma, Istituto di Studi Verdiani, 1988,p. 68.130 Nel secondo atto della Straniera di Bellini, cabalettadell’aria di Valdeburgo.131 Nel secondo atto della Sonnambula di Bellini, ariadi Elvino.132 Appartenenti alle Familiari: si tratta della lettera ot-tava del libro decimoprimo al Doge di Venezia AndreaDandolo (Padova, 1351) e la quinta del libro decimo-quarto al Doge di Genova Simone Boccanegra (Avigno-ne, 1352). Nella biblioteca di Villa Verdi a Sant’Agata siconservano tuttora i due volumi, appartenuti al mae-stro, delle Lettere di Francesco Petrarca. Delle cose fa-miliari libri ventiquattro. Ora la prima volta volgariz-zate e dichiarate con note da Giuseppe Fracassetti, Fi-renze, Le Monnier, 1863-1864.133 Carteggio Verdi-Ricordi : 1880-1881, cit., pp. 69-71.134 Tacito riferimento all’Otello, che Ricordi non nomi-na rispettando la consegna presa a suo tempo con Ver-di e Boito di mantenere su di esso il massimo segreto elimitandosi ad accennarvi per via di metafore: il cioc-colatte, il moro, ecc.135 Si riferisce al libretto di Otello, e in particolare a un“cambiamento” nel controverso finale dell’Atto III; ve-di lettera di Boito a Verdi del 18 ottobre 1880 in Carteg-gio Verdi-Boito, cit., pp. 4-6.136 Carteggio Verdi-Ricordi : 1880-1881, cit., pp. 74-75.137 Ivi, p. 76.138 Ivi, p. 78.139 Ivi, p. 81.140 Carteggio Verdi-Boito, cit., pp. 7-11.141 Ivi, p. 13.142 Tobia Gorrio, con il quale Boito abitualmente fir-mava i propri libretti per altri compositori.143 PIERO NARDI, Vita di Arrigo Boito, s. l., Mondadori,1942, p. 473.144 Carteggio Verdi-Boito, cit., pp. 6-47, e relative note app. 289-303.145 Ivi, pp. 15-16.146 Per un’analisi delle due versioni dell’opera vedi inparticolare WOLFGANG OSTHOFF, Die beiden «Boccane-gra»-Fassungen und der Beginn von Verdis Spätwerk,in «Analecta Musicologica», Band I., 1963, pp. 70-89.147 Vedi in proposito FRITS NOSKE, The Signifier and theSignified: Studies in the Operas of Mozart and Verdi,Den Haag, M. Nijhoff, 1977, al cap. «Simon Boccane-gra»: one plot, two dramas, pp. 215-40 (trad. it.: Dentrol’opera. Struttura e figura nei drammi musicali di Mo-zart e Verdi, Venezia, Marsilio, 1994, pp. 233-60).148 Per alcuni importanti aspetti dei problemi dramma-turgici affrontati da Verdi con la revisione del Simon Boc-canegra vedi DANIELA GOLDIN, La vera Fenice, Torino, Ei-naudi, 1985, al cap. Il «Simon Boccanegra» da Piave aBoito e la drammaturgia verdiana, pp. 283-334.

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Simonino Boccanegra. Da «Galleria Storica dell’Italia», Firenze, Passigli 1845.

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I Dogi non si addicono a Venezia. Così al-meno avrebbe potuto pensare Verdi: nono-stante il problema ricorrente della censura,il suo rapporto con la Fenice fu lungo efruttuoso, facilitato da amicizie con vene-ziani particolarmente affezionati (tra i qua-li certamente Francesco Maria Piave), ma isoggetti melodrammatici da lui proposti orealizzati con protagonisti appunto dei Do-gi per motivi vari non avevano avuto fortu-na. Ci aveva provato una prima volta neglianni 1843-1844, proponendo I due Foscari,ricavato con eccezionale tempismo da Thetwo Foscari di Lord Byron, autore da luiparticolarmente amato (e fortunatissimonella cultura romantica italiana), appenauscito nella traduzione, della quale dovevaservirsi, di Carlo Rusconi. Motivi di conve-nienza e di dubbia opportunità di quel sog-getto, che metteva in scena personaggi lecui famiglie erano ancora ben presenti aVenezia, convinsero la Presidenza del Tea-tro a rifiutare l’offerta verdiana, che fu allo-ra dirottata verso il romano Teatro Argenti-na. Ambientata sulla sponda italiana oppo-sta, la vicenda del Doge Boccanegra, dellelotte tra plebe e nobiltà genovese che intor-no al Doge ruotavano, divenne accettabile,in vista di una sua realizzazione melo-drammatica, per lo stesso Teatro venezia-no nel 1856; ma come si sa, l’opera fu ac-colta, stando alle parole del compositore,da un sonoro fiasco. Col senno di poi, almomento della sua revisione, lo stesso Ver-di avrebbe riconosciuto che il difetto prin-cipale di quella sua opera consisteva in unasostanziale monotonia, cioè nella scarsavarietà drammatica e forse anche sceno-grafica o spettacolare. Eppure il punto dipartenza era stato un drammaturgo coeta-

neo di Verdi, quell’Antonio García Gutiér-rez che gli aveva già fornito la fonte del suoTrovatore, e dal quale, al di là di ragionipuramente anagrafiche, egli si sentiva cer-to attirato anche per il comune interesseprivilegiato verso la tradizione drammaticafrancese più nuova, quella rappresentatasoprattutto da Victor Hugo. L’ascendenzahughiana era particolarmente evidente nelTrovador, col quale il giovanissimo GarcíaGutiérrez aveva debuttato nel 1835; ma ilSimón Bocanegra, Drama en cuatro Actos,precedido de un Prólogo (val la pena di ri-cordare il sottotitolo che ci permetterà diindividuare lo stretto rapporto di Verdi conl’originale), rappresentato per la prima vol-ta a Madrid il 17 marzo 1843, aveva un al-tro respiro, e, pur lasciando intravedere leorigini drammaturgiche dell’autore, pre-sentava uno sfondo culturale e drammaticopiù ampio di quello sotteso nel drammad’esordio. Frutto di una conoscenza docu-mentaria della storia genovese, la nuovatragedia gutierreziana seguiva con moltaevidenza due filoni tematici ben distinti: levicende individuali, private, del protagoni-sta e degli altri personaggi principali, equelle pubbliche, collettive, della città ma-rinara, con i suoi scontri di classe e le suelotte intestine. Nel Prólogo si presentavanogli antefatti che si sarebbero sviluppati suquei due piani: da una parte, l’amore im-possibile tra il protagonista e una giovane,pur madre di un suo figlio, strappata a luidall’odio del padre, perché di tutt’altraestrazione sociale; dall’altra, le recrimina-zioni di popolani ma anche della classemercantile e artigiana, desiderosa di pren-dere il potere per odio verso i nobili, che in-veste del ruolo politico supremo (“l’alto

DANIELA GOLDIN FOLENA

SIMÓN BOCANEGRADA VERDI A PIAVE A BOITO

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scranno”) il corsaro Simón Bocanegra, fa-cendo leva sul suo amore per Mariana, nel-la prospettiva, destinata ovviamente allafrustrazione, che quella nomina lo avrebbeelevato ad un più alto e più degno rango so-ciale. Nel testo spagnolo le motivazioni chespingono i personaggi minori e poi il prota-gonista, se non alla rivolta, al sommovi-mento politico sono ben esplicite, sì cheavidità, ambizione pura, invidia per la clas-se dominante, e infine ingenuo desiderio diriconoscimento sociale emergono con par-ticolare evidenza perché attribuiti ciascunoa singole, ben individuate figure. Nel corsodei quattro Atti successivi, il cast venivacompletato con l’invenzione di due giovaniamanti, legati per motivi diversi ai protago-nisti “politici”, e di una Julieta, ancella del-la giovane protagonista, destinata però ascomparire poco dopo la sua prima appari-zione. Quanto alla struttura del dramma, lescene si susseguono in modo non semprelogico e lineare, tanto che qua e là si hal’impressione di eventi interrotti senza unareale motivazione, di ripetizione o ridon-danza degli atti, quando non di incompren-sibile articolazione drammatica. Ma piùche la vicenda in sé – che comprende le im-mancabili agnizioni, gli istinti di vendettadestinati ad appagarsi per atti di clemenzadel protagonista, la morte pacificatrice delprotagonista stesso e la giusta punizionedei malvagi –, nel Bocanegra originale (co-me del resto nella maggior parte dei dram-mi gutierreziani) hanno rilievo i dialoghi,la componente verbale, quella che real-mente conferisce una fisionomia distinta aisingoli personaggi, ne delinea nettamente irapporti: saranno stati propri della tradi-zione teatrale iberica quel lessico ricco diimmagini e di metafore, quell’enfasiespressiva, le apostrofi o i lunghi monolo-ghi (veri e propri dialoghi interiori chemettevano allo scoperto, di fronte agli spet-tatori, la psicologia e le lacerazioni affettivepiù intime dei singoli personaggi), ma il te-sto del dramma spagnolo era sicuramentedestinato ad avvincere, fin dalla sua primadiffusione, anche coloro che lo avesserosemplicemente letto, tale la forza evocativa– di situazioni e di sentimenti e persino di

gesti ed espressioni – di quelle parole. E adesse doveva reagire a suo modo Verdi. Si èdetto come il soggetto ‘dogale’ fosse statogià nei programmi destinati dal composito-re al teatro veneziano. Ma molti anni eranopassati ormai da quei Due Foscari byronia-ni, tante opere avevano fatto conoscereVerdi al mondo musicale, e soprattutto tan-to si era arricchito il suo bagaglio culturale,particolarmente drammatico. Quel che egliproponeva alla Fenice nel 1856 era la ver-sione aggiornata – sul piano dei suoi gusti edei suoi interessi – di una storia gotica, am-bientata in una repubblica marinara, connomi che si perpetuavano nella contempo-raneità (Fiesco, Adorno), cioè riconoscibilie plausibili, con scontri che avevano i con-notati delle moderne fazioni politiche (nonpiù soltanto cioè, come nei Due Foscari,scontri tra famiglie sia pur nobili e solo inquanto tali ‘pubbliche’). Il Simón Bocane-gra gliene dava l’occasione, ma quel testopresentava anche opportune affinità con lapiù ampia drammaturgia europea, quellacon cui sentiva ormai una sorta di familia-rità. Nonostante la presenza comune di de-terminati personaggi storici, per sua di-chiarazione, il melodramma che Verdi nericavò non doveva essere accostato allaschilleriana Congiura dei Fieschi. Eppureora ci si chiede se a determinare la sceltadel dramma spagnolo, l’individuazioneprecisa di potenzialità melodrammaticheproprio nel testo gutierrieziano, non siastata, oltre alla familiarità acquisita, fin daitempi del Trovador, col drammaturgo suocoetaneo, la consuetudine di lettura delgrande drammaturgo tedesco, sul quale an-zi si era in parte educato drammaturgica-mente. Verdi aveva frequentato Schiller findalla giovinezza, o meglio, fin dagli annidella formazione, ne aveva presto ridotto idrammi per le scene musicali (Giovannad’Arco, I masnadieri, Luisa Miller), senzadire che qualcuno – librettisti e committen-ti francesi – gli aveva già suggerito, fin dal1850, di dedicarsi alla resa melodrammati-ca del suo Don Carlos. Simón Bocanegranon ripeteva Schiller, non lo plagiava, manel 1856 Verdi era pronto ad interpretaremusicalmente quel pezzo di storia patria

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proprio perché in particolare Schiller gliaveva fatto capire che cos’era un drammastorico, gli aveva dato il gusto per i grandiaffreschi “gotici”, nei quali la fantasia dove-va semplicemente interpretare o approfon-dire la realtà, anche quando alla storia sigiustapponessero invenzioni di pura op-portunità teatrale. Letture critiche degli an-ni iniziali della sua carriera operistica gliavevano del resto insegnato che la storianazionale conteneva in sé il miglior reper-torio drammatico, che vicende più o menorecenti, tali da poter essere ripercorse concredibilità, avrebbero coinvolto gli spetta-tori nel modo più efficace: a Verdi sarà par-so paradossale solo il fatto che a descrivere– e con quale maestria!– vicende italianefossero dei drammaturghi non italiani, masulla produttività anche musicale di quelleinvenzioni non aveva dubbi, tanto da assu-merle sempre con tempestività nei propriprogetti melodrammatici. Fortuna vuoleche proprio per il Simon Boccanegra ri-manga documento della reazione persona-le e della personale rielaborazione verdia-na del dramma originale: per esigenze del-la censura, il compositore inviò al libretti-sta Francesco Maria Piave il libretto in pro-sa della futura opera, si divertì anche a sug-gerire il paradosso che in quell’occasioneavrebbe musicato un testo in prosa: «Tornaa scrivere tu alla Presidenza che il SimonBoccanegra che io ho mandato in agostonon è un programma [cioè, secondo la ter-minologia tecnica verdiana, una sceneg-giatura con indicazione sommaria dei dia-loghi] (mi pare che i programmi non si fac-ciano mai in quel modo) ma il libretto co-me deve essere approvato dalla Censura. Ioho l’obbligo di dare in Carnevale un’operapel Gran Teatro della Fenice, e questa voltaper fare una novità, conto di mettere in mu-sica un libretto in prosa! Che ti pare? Ecco-mi dunque in perfetta regola». Quel librettoin prosa tuttora conservato testimonia lecapacità di riduzione e di adattamento ope-ristico del compositore. Ci testimonia pri-ma di tutto la traduzione diretta (con tuttaprobabilità dello stesso Verdi) del testo spa-gnolo, perché ciò che colpisce è il processodi semplificazione persino drastica delle

scene, col risultato peraltro di una raziona-lizzazione, se così si può dire, della vicen-da, compensata da una eccezionale fedeltàal dialogo: pur ridotte in prosa dagli origi-nali versi, intere sequenze del testo spagno-lo sono quasi traslitterate (e per la maggiorparte resteranno pure nella ulteriore, nuo-va versificazione del libretto), a confermainsieme della sintonia espressiva dei dueautori e della produttività melodrammaticadei versi e del lessico gutierreziani. Si leggail monologo d’entrata di Fiesco nel Prólogo,sc.8:

Por última vezAdiós, altivo palacio,Donde corrió mi niñez,Y en cuyo anchurioso espacioMe sorprendió la vejez.Adios ya, sepulcro frio,En cuyo centro sombrioHoy sólo á morar aciertaMi pobre esperanza muertaY muerto el consuelo mio.Ya aquel ángel soberanoÁ tus balcones no asoma[…]Porque burlando tu amorY hollando tu candidez,Mariana, el vil seductorVertió deshonra y dolorEn mi caduca vejez.

Y ¡en vano fué que guardaraVirgen santa el escondidoCentro que ya no te ampara!¿Por qué dejó que llegara El robador á tu nido?¿Por qué, custodio leal De su candor inocente,Consentiste en nuestro malQue arrancaran de su frenteSu corona virginal?¡Pero ay! ¡perdona! ¡perdona! (Se arrodilla)Por mí… sí, por mi delirioCruel, ¡oh santa Madona!Ha alcanzado otra corona De expiacion y martirio.

E si legga ora la riduzione verdiana:

Fiesco (solo)

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Addio per l’ultima volta, altero palazzo deiFieschi!… Addio freddo sepolcro di quel-l’angelo ch’era la mia sola speranza e mioconforto!! Io non bastai a proteggerti!!…Maledizione sull’infame!… Perché santacustode permettesti che strappassero dallasua fronte la verginal corona? Ahi perdo-na… perdona!… (s’inginocchia). Per miocrudel martiro, santa vergine, ella raggiun-se altra corona d’espiazione!!.. Marianna,nell’alto de’ cieli presso al sacro trono pre-ga per me. (S’odono frattanto voci di la-mento nell’interno)

Dove si noterà il processo di semplificazio-ne a cui l’originale spagnolo è sottoposto(con la frase finale evidentemente aggiuntacome spunto per un’aria che il librettistaversificherà secondo i canoni melodram-matici), senza però che se ne sacrifichino leespressioni fondamentali, quelle che dannoil senso del rapporto di Fiesco con la figliaamata da Simone: un rapporto possessivo,che mescola l’affetto per l’una con il di-sprezzo e il rifiuto per l’altro, che fa co-munque del personaggio un raffigurazioneparticolare di quel rapporto padri-figli cosìben analizzato da Luigi Baldacci, e che èuna costante della drammaturgia verdiana.Così nelle figure di Fiesco e di Simone si èvista la traccia di tanti altri grandi padriverdiani: soprattutto Rigoletto e il Learshakespeariano, tanto vagheggiato dal no-stro compositore e forse abbandonato an-che perché realizzato in altre sue grandi fi-gure paterne. Una paternità desiderata,perduta e riacquistata pervade del resto tut-to il Simon Boccanegra, sia nella versioneoriginale, sia nella versione operistica: per-sino il protagonista si rivolge al proprio an-tagonista Fiesco per ben due volte con l’ap-pellativo di padre (si ricorderà che ancheVioletta chiedeva a Germont: «Qual figliam’abbracciate», Traviata, II 5); e lo stessoSimone, scoprendo la propria paternità,esternerà i suoi sentimenti con espressioniche sono segno di un’affettività estrema:

[…] ¡Hija mia! Á tan sagrado nombrePalpita el corazon de regocijo.¡Ay! Si alguna ventura goza el hombre,

Está encerrada en el amor de un hijo.[…]¡Ángel que Dios me envia! Por ti solaLa dignitad con que me cubro anhelo;Mi corona ducal es tu aureola,Mi cariño inmortal será tu cielo.

(Simón Bocanegra, II 7)

Parole che Verdi manterrà nel suo librettoin prosa (I 7), rendendolo se possibile an-cor più iperbolico, col singolare dantismoimparadisa che conferisce, per così dire,sfumature di religiosità all’affetto paterno:

DogeFiglia! a questo nome palpita il cor di gioia.Se alcun bene imparadisa l’uomo, esso rac-chiudesi nell’amor d’un figlio. Angiol cheDio m’invia per te solo ambisco la dignitàcon cui mi ricopro. La mia ducal corona èla tua aureola, il mio affetto immortal saràil tuo cielo.

In effetti, prima ancora che sul piano nar-rativo o drammatico il testo di García Gu-tiérrez deve aver suggestionato Verdi suquello dei personaggi (faccio notare che nellibretto in prosa l’onomastica riproduce fe-delmente la forma spagnola: Simone Boca-negra, Susana, ecc.). Il cast si apriva con lafigura di

SIMON BOCANEGRA, corsario al serviciode la republica de Génova.

Niente di meglio per suggerire a Verdi unprotagonista emarginato, un eroe trasgres-sivo, fuori dalla società, ma che prevedibil-mente si sarebbe rivelato almeno moral-mente superiore agli altri personaggi, comedel resto si poteva dedurre fin da quel suoessere “al servizio” della repubblica, cioèdella comunità. È vero che nella maggiorparte dei drammi romantici, e pure dei me-lodrammi, il o la protagonista emergonoper una loro relativa diversità rispetto aglialtri personaggi; ma, entro la produzioneverdiana, più che al trovatore Manrico o albandito Ernani e simili paradossalmenteSimon Boccanegra sembra rinviare albuffone Rigoletto, e ancor più alla traviata

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Violetta, perché, a differenza dei primi per-sonaggi, Simone e Violetta non sono porta-tori clandestini o ignari di un ramo di veranobiltà di casta: la loro è nobiltà d’animo,emergono per anticonformismo, per razio-nalità ed altruismo. Oltre ai protagonisti –Simón Bocanegra, Jacobo Fiesco, GabrielAdorno, Susana-Maria –, i personaggi pre-visti nel modello spagnolo delineavanoun’ampio orizzonte economico-sociale: in-sieme col nobile Fiesco, il mercante Loren-zino Buchetto, l’artigiano Paolo, i marinai,tra i quali soprattutto l’ambizioso e avidoPietro; un paesaggio umano che Verdiavrebbe necessariamente semplificato,mantenendo sì gli interpreti principali, mariducendo tutti gli altri personaggi dellafonte spagnola al solo Pietro (che perderàogni connotazione professionale, riducen-dosi a generico “popolano”), caricandoperò di significato drammatico, dotandolodi ulteriori connotazioni per così dire tragi-che, l’altro comprimario, Paolo, che, purprivo di vero rilievo musicale, nelle letteree nelle raccomandazioni di Verdi diventafigura degna di un grande interprete. Nellariduzione operistica viene eliminata anchela figura di Julieta, un po’ ridondante, è ve-ro, anche nell’originale, se non per una ine-dita venatura comica che complicava il ca-st. Ma Verdi, che in quell’occasione nonpensava ad una shakespeariana mescolan-za di generi o di stile, avrà visto in lei solola ripetiziomne di figure di ancelle, che ser-vivano un po’ da buttafuori delle protagoni-ste, già note per esempio dall’Ernani e dalTrovatore. Andrà invece notato che nellacoppia Fiesco – Simone, l’uno implacabile,depositario di un potere che gli viene so-prattutto dal rango, dalla classe di apparte-nenza, l’altro problematico, sensibile agliaffetti più che al potere, Verdi può avere in-travisto figure simili a quelle che divente-ranno il Filippo II e il Marchese di Posa delDon Carlo; così del resto siamo autorizzatia pensare anche per la parallela scelta del-la vocalità, rispettivamente di basso perFiesco e Filippo, e di baritono per Simone eRodrigo. Senza dire che la circostanza stru-mentale che introduce Fiesco nel Prologoha strettissima parentela con quella che in-

troduce l’inconfondibile «Ella giammaim’amò» del Filippo di Don Carlo, 1884, III1).Agli occhi e per la sensibilità artistica diVerdi la storia dogale di García Gutiérrezera decisamente superiore a quella di By-ron per un elemento: l’apparato scenico. Ledidascalie del dramma gutierreziano eranoampie, ricche di dettagli, davano spazio al-la documentazione storica della vicenda einsieme caratterizzavano il milieu sociale eumano entro il quale si muovevano i perso-naggi. Si veda a puro titolo d’esempio la di-dascalia della prima scena del Prólogo:

Una gran plaza de Génova. En el fondo, laiglesia de San Lorenzo, que se iluminaráluégo interiormente. Á la derecha delespectador, el palacio de los Fiescos , figu-rando de mármol, con un gran balcon. Enla fachada se verá una imágen de la Mado-na de Castelnovo, con un farolillo delante,que alumbrará esta parte de la escena. En-tre el palacio y la iglesia quedará la entradade una calle. Á la izquierda, en primer tér-mino, una casa de pobre aparencia, y otramás regular en el fondo, pegada al muro dela iglesia. Entre esas dos casas, quedarátambien una calle. Empieza á caer la tarde.

E questa è la didascalia che Verdi passerà aPiave, il quale non potrà che riprenderecon minimi aggiustamenti le indicazioni, omeglio le volontà, del maestro:

Gran piazza di Genova. Nel fondo la chiesadi S. Lorenzo che verrà poi illuminata in-ternamente. Alla destra dello spettatore ilpalazzo dei Fieschi in marmo con gran bal-cone. Nella facciata una immagine con lan-ternino messo avanti. Fra il palazzo e lachiesa una strada. Alla sinistra, casa di po-vera apparenza; un’altra più regolare nelfondo appoggiata al muro della chiesa. Fraqueste due case vi sarà pure una strada.Comincia a far notte.

Perché il nostro melodrammaturgo condi-videva col drammaturgo spagnolo anchequesta sensibilità scenografica: oggetti,spazi, sfondi e soprattutto luci e colori ven-

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gono indicati nelle loro opere addiritturacon pignoleria (l’uno e l’altro arriverannoad indicare persino gli oggetti che si na-scondono dentro le stanze laterali o dentrogli armadi). Nelle poche lettere rimaste in-dirizzate a Piave sul Simon Boccanegra,Verdi insiste con ostinata intensità sull’a-spetto scenico della sua futura opera, inparticolare su tutto ciò che può rendere vi-sivamente il paesaggio e i giochi di luce, in-dotto forse a questo anche dalle clausolestagionali delle didascalie gutierreziane,che alla fine, come si è visto nell’esempiosopra citato, alludono proprio al momentodella giornata in cui si svolge l’azione. Siveda come, in una lettera al librettista del 5settembre 1856, il compositore immagina-va scene e colori del nuovo dramma, allequali per altro, nella sua fantasia creatrice,aveva già fatto corrispondere azioni, gestied effetti musicali ben precisi:

Cura molto le scene. Le indicazioni sonoabbastanza esatte, non ostante mi permettoalcune osservazioni. Nella prima scena, seil palazzo Fieschi è di fianco, bisogna chesia ben visto da tutto il pubblico, perché ènecessario che tutti veggano Simone quan-do entra in casa, quando viene sul balconee stacca il lanternino: credo di avere avutoun effetto musicale che io non voglio per-dere causa la scena. […] Questa scena deveavere molto sfondo. Invece di una finestrane farei diverse fino a terra, una terrazza,metterei una seconda tela di fondo con laluna, i cui raggi battessero sul mare, che sidovrebbe vedere dal pubblico: il mare sa-rebbe una tela luccicante in pendio. Se iofossi pittore, farei certamente una bella telasemplice e di grande effetto. Raccomando la scena ultima, quando il do-ge ordina a Piero di schiudere i balconi: de-ve vedersi l’illuminazione ricca, larga, cheprende un gran spazio onde si possano ve-dere bene i lumi, che a poco a poco, l’un do-po l’altro, si spengono, fino che alla mortedel Doge, tutto è nella profonda oscurità. Èun momento, io credo, di grande effetto, eguai se la scena non è ben fatta. Non è ne-cessario che la prima tela abbia un gransfondo, ma la seconda, la scena dell’illumi-

nazione, dev’essere ben lontana.

La luna e il suo riflesso sul mare eranoun’esigenza verdiana, che non aveva corri-spettivo nel modello spagnolo. D’altra par-te Piave sapeva che la scena del primo atto,quella a cui si riferivano le raccomandazio-ni di Verdi, nell’originale si svolgeva versol’alba; cosicché nel suo libretto la didasca-lia relativa si concluderà con una sorta didilazione temporale: «Qualche tempo dopol’alzata del sipario albeggia»; in modo dapermettere alla luna e ai suoi riflessi sulmare di entrare, con tutte le loro potenzia-lità liriche oltre che scenografiche, nei ver-si dell’aria di Amelia che apre la stessa sce-na, praticamente con le parole volute dalmusicista:

AMELIA sola, seduta presso il poggiuoloCome in quest’ora bruna

Sorridon gli astri e il mare!Come s’unisce, o luna,All’onda il tuo chiaror!…Amante amplesso pareDi due virginei cor!

(Simon Boccanegra, I 1)

Quanto alle raccomandazioni per la scenafinale, le parole di Verdi non facevano cheriprendere la suggestiva didascalia del cor-rispondente testo spagnolo, messa però en-tro il dialogo finale tra Fiesco e Boccane-gra: «Desde esto momento empiezan á apa-garse las luces de la plaza, de modo que alespirar el Dux, hayan desaparecido com-pletamente.» (Simón Bocanegra, Iv 8). E ilfedele Piave manterrà quelle suggestive in-dicazioni, sottolineando anzi il progressivooscuramento della scena: «(II lumi comin-ciano a spegnersi nella piazza, per modoche allo spirare del Doge non ne arderà piùalcuno.)» (Simon Boccanegra, 1857, III 5) Con una articolazione drammatica e undialogo così ben predisposti dal composito-re, a Piave restava ben poco da fare. Ma isuoi versi piacquero a Verdi che si trovòanche in quell’occasione a difendere il suolibrettista, a difendere addirittura la pater-nità di quel libretto. L’azione seguiva latraccia della fonte spagnola con la parabola

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che nel Prologo prevedeva l’elezione indot-ta a Doge di Simon Boccanegra, l’incontrotra questi e Fiesco, e la morte dell’amata –da Simone – Mariana, senza che il protago-nista potesse rivederla. Nel primo Atto, cheriunisce più scene dell’originale, si assisteall’incontro dei giovani amanti Amelia eGabriele; avviene il reciproco riconosci-mento di padre e figlia (Simone e Susanna– Amelia) e si profila la fatale ostilità a Si-mone di Paolo, fino alla conclusione festo-sa, di anniversario dell’elezione del Doge,interrotta dall’irruzione di Gabriele e poi diAmelia, sfuggita ad un rapimento. Nel se-condo Atto si precisa la congiura per l’eli-minazione del Doge che però, perdonandoGabriele e autorizzando il suo legame conAmelia, se ne conquista l’appoggio nellanuova minaccia guerresca per Genova.Nell’Atto finale si consuma la vendetta diPaolo e si ritrovano Simone e Fiesco, inca-pace però di godere della morte provocatadell’antico nemico. Durante il soggiornoparigino precedente la prima rappresenta-zione veneziana della nuova opera, Verdiebbe modo di sottoporre all’esule GiuseppeMontanelli il libretto di Piave per una revi-sione finale. Che però si svolse come eraavvenuto per l’intervento di Andrea Maffeisul libretto del Mcbeth: ritocchi, diffusi manon sostanziali, ai quali per altro Verdi die-de la forma definitiva con ulteriori suoi in-terventi.L’esperienza del ’57 non mise però la paro-la fine alla riduzione del dramma spagnolo.Fu così che Verdi mise alla prova per la pri-ma volta l’abilità del musicista e poeta Arri-go Boito: la loro intesa fu graduale, non im-mediata. A giudicare anzi dalle prime bat-tute del loro scambio epistolare sul SimonBoccanegra, non si potrebbe immaginareche di lì a poco la loro collaborazioneavrebbe avuto l’esito sorprendente di un’o-pera nuovissima e carica di futuro quale ilFalstaff. Ciò che divide i due autori nel1880, anno dei primi contatti per la revisio-ne del Simon Boccanegra, è soprattutto undiverso senso del teatro e del rapporto colpubblico: Boito avrebbe ritoccato il librettoper dare sì maggiore dinamismo e unanuova varietà musicale e soprattutto sce-

nografica, ma, se avesse realizzato proprioi suoi primi progetti, sarebbe giunto ad ec-cessi di una spettacolarità pacchiana e irra-zionale. Cambiati anche i tempi politici,Verdi pensava semplicemente di aggiorna-re la scena di festa – per altro scena d’ob-bligo nella drammaturgia verdiana, alme-no sin dai primi anni ’50 –, facendone unascena veramente corale e con istanze nuo-ve di fratellanza e di riappacificazione na-zionale, dando al protagonista connotazio-ni che lo facessero somigliare ancor più adun moderno eroe, quale Garibaldi, peresempio. Lo spunto gli era offerto dallapubblicazione delle Familiari del Petrarca,nella traduzione italiana di Giuseppe Fra-cassetti che aveva prestato al poeta un lin-guaggio moderno, risorgimentale e ancorpiù melodrammatico, così da offrire al let-tore Verdi un testo quanto mai attuale e insintonia con la sua espressività. Gli accentidi Petrarca ambasciatore di pace con i Dogidi Venezia e di Genova potevano bene esse-re prestati al rinnovato Simon Boccanegra,che si sarebbe così arricchito di un ruolonon più solo ‘comunale’, ma realmente fe-deralista e nazionale. E il libretto di quell’o-pera subì i ritocchi coi quali ora si ascolta.Wolfgang Osthoff ha ben individuato le no-vità musicali del Simon Boccanegra del1881, che nel complesso realizzano piùesplicitamente spunti già presenti nella pri-ma versione. Ci si può stupire se si consi-dera che dal punto di vista poetico la pennadi Boito si distingue da quella del “povero”Piave per una letterarietà più accentuata,che le sue metafore e le sue perifrasi sonoqua e là tanto incomprensbili da venire si-stematicamente omesse dagli esecutorimoderni (il “romito di Sorga” non può cheessere un più plausibile “Francesco Petrar-ca”, data anche l’equivalenza metrica delledue locuzioni). Sono responsabilità verbaliche non sminuiscono le responsabilità tut-te verdiane della revisione drammatica emusicale dell’opera del 1857. E forse quidobbiamo ancora accogliere i suggerimen-ti di Osthoff che nella scena con tumultodel nuovo Boccanegra vede ancora un’in-fluenza di Schiller. In effetti in quella Con-giura dei Fieschi che Verdi negava fosse al-

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l’origine del suo melodramma di ambienta-zione analoga, e che pure il compositoreaveva visto eseguito in un teatro tedesco(certo senza poterlo capire, data la sua nonconoscenza del tedesco), le scene centrali –nella traduzione forse letta da Verdi – del-l’Atto II si svolgono a partire da Un tumultoche cresce intorno al palazzo. Il Moro fa en-trare il popolo che grida «a morte i Doria».Certo colpisce l’affinità delle circostanzedella scena schilleriana e di quella del Con-siglio del nuovo Simone, dove pure, nellascena 10 dell’Atto I, le didascalie parlano diun tumulto lontano che poi si fa più forte inmezzo al quale si sentono Voci interne chegridano «Morte!». E mi chiedo se un segna-le ulteriore della suggestione di quel testoschilleriano non sia da vedere nel ricorrerefrequente del nome Fieschi, anziché Fiesco,nelle lettere verdiane tarde. Ma sarebbeun’interferenza o una mescolanza di testinon estranea ai processi inventivi di Verdi:basterà ricordare semplicemente l’innestodell’episodio del Wallenstein, ancora diSchiller, entro la Forza del destino ricavatadal Don Álvaro o La fuerza del sino del Du-que de Rivas: in tutti e due i casi, il recupe-ro di scene da testi diversi non si risolvemai nella giustapposizione di elementiestranei, ma nella rappresentazione più ef-ficace di episodi o di situazioni drammati-che, forse non direttamente funzionali l’u-na all’altra e apparentemente non omoge-nee, ma capaci di arricchire lo sfondo dellavicenda principale. Ora nessuno avverteuna forzatura, anche se di per sé non au-tentico, in quell’episodio di normale prassipolitica che precisa il ruolo di Boccanegra eche dimostra pessimisticamente l’inanitàdi ogni iniziativa di pace o semplicementedemocratica. Del resto quell’episodio è so-prattutto un episodio musicale, che traduceun comportamento parossistico, dissenna-to, e che aveva i toni minacciosi di una sor-ta di Dies irae. Così un personaggio italiano e un testo spa-gnolo avevano occupato per tanti anni lamente di Verdi: sua la scelta del soggetto,sua la primordiale riduzione operistica,sua la prima realizzazione melodrammati-ca e la revisione di un’opera realizzata nel

pieno della maturità artistica. Verdi, per ilprincipio della sua rigorosa divisione dellavoro, aveva consegnato il testo relativo amani diverse che si misero al lavoro conprospettive diverse, lasciando però sempreintatto e autonomo il produttivo incontro diVerdi con García Gutiérrez.

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J. Roy, vignetta rappresentante l’ultima scena di Simon Boccanegra. Incisione di Raoul Toché, «Le premiè-res illustrées», Stagione Teatrale 1883-84. Parigi, 1884.

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Francesco Tamagno, primo interprete del ruolo di Gabriele Adorno nel Simon Boccanegra del 1881.

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Su 26 titoli di base che conta il catalogooperistico di Verdi, solo una manciata van-ta un testo unico e fissato una volta per tut-te. Alcune opere, si sa, vennero radical-mente rivisitate dall’autore, che le tra-sformò in nuove partiture assolutamenteautonome sin nel titolo, nonostante la ma-teria drammatica e musicale in comunecon i prodotti di derivazione (è il caso deiLombardi divenuti Jérusalem, e di Stiffeliotrasformato in Aroldo); per altre si trattò diuna tardiva, radicale riscrittura, nell’inten-to d’infondere nuova linfa vitale a testi tan-to amati dal loro autore, quanto ritenutievidentemente imperfetti (Macbeth, La for-za del destino, Simon Boccanegra, DonCarlo), ovvero si assiste a un repentino “ag-giustamento” di singole pagine, sulla scortadell’effetto sortito dalle prime recite (vediLa traviata, Otello, Falstaff). C’è poi il casodegli adeguamenti al gusto parigino (Il tro-vatore e ancora Otello), ovvero italiano(Les vêpres siciliennes divenuti Giovannade Guzman), nonché la pratica di fornire lapartitura di nuove arie, scritte ad hoc pernuovi interpreti, con esiti da ritenersi tutta-via non sostitutivi ma alternativi agli origi-nali, secondo l’uso inveterato nel primo Ot-tocento (ed ecco quindi le opere giovanili:Oberto, Nabucco, Ernani, I due Foscari, At-tila, I masnadieri, ma anche Rigoletto, conun’aria aggiuntiva per Maddalena e la stes-sa Aida, con una sinfonia di nuovo conioper La Scala).Maggiore interesse suscitano nell’ascoltato-re moderno i casi di lievi ritocchi e aggiu-stamenti, per la possibilità di confronti im-mediati e concreti. Ascoltare oggi la primaversione della Traviata – tanto per rimane-re ad un’opera che vide il suo debutto alla

Fenice – è un’esperienza intellettualmentepiacevole e affettivamente frustrante insie-me, per l’effetto straniante che ne deriva: lamente si fa trasportare dalla memoria diuna partitura entrata ormai a far parte delnostro DNA e riceve di tratto in tratto vio-lenti scossoni per quella frase vocale, perquell’accompagnamento strumentale “sco-nosciuti” alle nostre orecchie e al nostrocuore, e che emergono di tanto in tanto adinterrompere un ascolto “consolatorio” nel-la sua rassicurante prevedibilità. La primareazione, quella istintiva, è ogni volta l’im-pressione di trovarsi di fronte a un erroreesecutivo, ad un brusco sterzamento dallarealtà consolidata, come in un sogno in-quietante.Sensazioni analoghe proverà chi si accingaall’ascolto del Simon Boccanegra nella pri-ma, originale versione veneziana, quelladel 1857, dopo aver goduto per anni dellaversione milanese, in auge dal 1881. E l’ef-fetto, a ben vedere, deve essere uguale econtrario a quello provato dai nostri aviquando si trovarono scodellato un nuovoSimone a sostituire quello udito per unquarto di secolo: come una trasmissioneradiofonica disturbata da continue, ripetuteinterferenze, che riguardano tuttavia la so-la musica, spesso la sola linea vocale o l’ac-compagnamento strumentale, ché le parolee le immagini rimangono perlopiù immu-tate.È bello, dunque, osservare il gran vegliardoche “rivede le bucce” a sé stesso, che comeun compositore settecentesco rimette inmusica versi già musicati anni prima, allaricerca di nuovi, più moderni effetti. Al di làdelle implicazioni drammaturgiche e stili-stiche che tutto ciò comporta, c’è da chie-

MARCO BEGHELLI

DA VENEZIA A MILANOIL LIFTING VOCALE DEI CINQUE PROTAGONISTI

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dersi se e quanto l’intervento incida sul pia-no della vocalità, per non dire del contra-rio: vale a dire, se e quanto esigenze vocaliesterne alla partitura abbiano inciso sullapartitura stessa. È innegabile, ad esempio,che – per tornare a La traviata – la parte diGermont sia stata da Verdi integralmenteripensata per un baritono meno acuto diquello chiamato alla prima esecuzione,smussando preordinatamente ogni frase,ogni slancio che si spingesse troppo in alto.Ciò ha in un certo senso incanutito il perso-naggio, anche sul piano meramente spetta-colare, permettendo così di fatto la sua mo-derna interpretazione anche a cantanti se-nescenti. Ebbene: è possibile notare qual-che cosa di simile pure nel passaggio dalSimon Boccanegra veneziano a quello mi-lanese?

La parte vocale che più viene interessatadalla trasformazione è di gran lunga quelladel soprano (Amelia). L’abolizione dellacabaletta «Il palpito, deh, frena», in coda altempo lento della cavatina di presentazionedella primadonna che apre il primo atto,non fu solo un fatto stilistico, in ottempe-ranza al nuovo gusto che bandiva da tempoormai le famigerate cabalette solistiche(ma non certo nei duetti): se il suo valoredrammatico era già in origine pressochénullo, risultando quella pagina specifica uningombrante orpello che nulla aggiungema pone soltanto freno al decorso deglieventi, la sua presenza non era tuttaviainutile dal punto di vista della delineazionevocale del personaggio, che proprio daquella cabaletta veniva inserito di forza nelnovero dei soprani sfogati d’agilità, là doveper sfogato s’intendeva un cantante pro-penso a raggiungere le estreme vette delsuo registro, qui spinto fino al Do5, mentresotto il termine agilità veniva individuatotutto un repertorio di stereotipi vocali fattodi trilli, vocalizzazioni, rapide scale croma-tiche, passaggi picchettati e quant’altros’addiceva a una voce femminile duttile escattante, come doveva essere quella diLuigia Bendazzi, sua prima interprete. Unsemplice sguardo alla linea vocale della pa-gina soppressa (riprodotta all’esempio 1)

può ben rendere l’immagine di siffatta vo-calità.L’abolizione di tale passo eliminò di fattocon un sol colpo di spugna tutto un mondovocale in estinzione, ma che era rimastoassai caro al Verdi veneziano, quello di Er-nani e di Attila, e per certi versi anche di Ri-goletto e della Traviata. L’adeguamento sti-listico portò dunque con sé un ridimensio-namento vocale; non rimaneva allora aVerdi che uniformare il resto della parte so-pranile al nuovo cliché canoro, riconduci-bile piuttosto a quello che in termini mo-derni siamo soliti definire soprano lirico:una via di mezzo fra il soprano leggero, dicui non condivide più il canto d’agilità, néla limitata consistenza vocale, e il sopranodrammatico, cui s’avvicina per tornituratimbrica, senza ricercarne tuttavia gli ec-cessivi ispessimenti sonori. Era questa, piùdell’originale, la voce ideale «per far la par-te di una fanciulla modesta, ritirata, unaspecie di monachella», come la vedeva lostesso Verdi (lettera all’editore Giulio Ri-cordi del 20 novembre 1880), lontana dallavocalità estroversa e combattiva per cui an-dava celebre la Bendazzi, e che per certiversi doveva accomunare anche la nuovainterprete Anna D’Angeri, se proprio inuna recita di Ernani il maestro ne saggiò lecaratteristiche vocali, proferendo infine ilsuo placet.Vale allora la pena di ricordare che nel pro-cesso compositivo dell’ultimo Verdi la scel-ta degli interpreti più indicati al debuttoteatrale veniva effettuata in ultima battuta,in ragione delle necessità imposte dallapartitura testé confezionata, e non si predi-sponeva al contrario più quest’ultima inbase ai cantanti preventivamente scrittura-ti dal teatro, com’era ancora prassi nei pri-mi vent’anni della carriera verdiana. Ciòconsentiva finalmente all’autore di deli-neare musicalmente il personaggio secon-do i giusti tratti psicologici esibiti, piuttostoche in ossequio ai caratteri vocali dei can-tanti predestinati, a tutto vantaggio di un ef-fetto drammatico più confacente.Tolta quella cabaletta, la linea melodicadelle pagine sopranili superstiti poteva co-munque rimanere sostanzialmente identi-

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ca (salvo poche varianti dettate dal nuovoprocesso compositivo), con un taglio deci-sivo, però, alla fascia sopracuta, ricondottaa misura ogni qualvolta (e sono tante) siestendeva nella stesura originale sino al fa-tidico Do5, come nell’urlo straziante chechiudeva l’atto secondo, o richiedeva acro-batismi di grandissimo effetto, come il Sib4richiesto pianissimo e dolcissimo nel duet-to col baritono dell’atto primo.Per contro, lo spostamento del registro me-dio di Amelia verso una vocalità più solidae consistente, permise a Verdi certi affondidi grande risalto nel registro grave, con ef-fetti che diremmo “madrigalistici”: ed eccol’oscurità della notte dipinta con note “scu-re” [es. 2], piuttosto che rimanere vanificatanell’intonazione più neutra della prima ver-sione, come si vede nell’esempio n. 3.Per motivi di rinnovato stile compositivo,ma nuovamente con immediata ricadutasullo stile canoro, vengono anche a sparirele ormai viete cadenze vocalizzate, privedella loro originaria freschezza, del saporeedonistico che avevano mantenuto fino al-l’epoca di Rossini e oltre, quando fungeva-no da vero banco di prova per il gusto per-sonale dell’interprete. Con Donizetti dap-prima, e definitivamente con Verdi, si assi-stette però alla progressiva fissazione di ta-li cadenze, prescritte e imbalsamate unavolta per tutte dall’autore stesso, semprepiù autoritariamente presente nella defini-zione ultima della sua opera, vanificandosiin tal modo la portata originaria e il signifi-cato ultimo di quelle interpolazioni. Laconclusione della cavatina di Amelia perdedunque il suo respiro originario [es. 4], perschematizzarsi in uno spoglio giro armoni-co, come si evince dall’esempio n. 5.L’effetto di scarnificazione si saggia ancorpiù evidente là dove la cadenza, imposta alduetto, era divenuta per Verdi un meroesercizio accademico (come nel duetto so-prano-tenore nell’esempio n. 6), spessod’effetto artificioso, tutt’altro che piacevoleall’ascolto (vedi il quasi risibile passaggioabolito dal duetto soprano-baritono nell’e-sempio n. 7) e tutto questo quando ormai laprassi esecutiva tendeva ad abolirne l’ese-cuzione di sua propria iniziativa, anche in

quelle opere che non erano state soggettead aggiornamento d’autore (vedi l’analogacadenza “a 2”, non meno ostica, per il duet-to fra tenore e soprano nel primo atto del-l’altrettanto veneziano Rigoletto, cadutaben presto in disuso).Anche per il tenore (Gabriele), gran partedelle modifiche derivarono dagli interventidi aggiornamento stilistico. Insieme al so-prano, oltre alla cadenza per il tempo lentodel duetto, la sua parte perde infatti anchela seconda esposizione della successiva ca-baletta (lo si è già accennato: la cabalettacade, ma solo nei brani solistici; rimane in-vece, spesso ridotta all’osso, come tratto sti-listico di molti duetti fin nell’ultimissimoVerdi, ancora in Aida, «Sì, fuggiam da que-ste mura», e in Otello, «Sì, per ciel marmo-reo giuro»!). È vero, molte frasi tenorilivengono riscritte di sana pianta, ma ciò pa-re più la conseguenza del generale proces-so di tornitura della linea vocale, che nonun adattamento alle caratteristiche delnuovo interprete, quel Francesco Tamagnoin cui il Teatro alla Scala aveva trovato, do-po anni d’inutili ricerche, un tenore sicuroe affidabile da tenere stabilmente in cartel-lone. Se è vero infatti che, da quanto ne sap-piamo, questi doveva vantare una vocalitàpiù acuta dell’originario Gabriele venezia-no (un Carlo Negrini d’ugola possente, qua-si baritonale), è altrettanto vero che dettemodifiche non paiono significative dalpunto di vista dell’identità canora del per-sonaggio. L’unico scarto di rilievo giunge dall’aboli-zione del breve giuramento congiunto into-nato da Gabriele e Fiesco a metà dell’attoprimo, là dove al tenore era offerta la possi-bilità (ma con variante alternativa) di scen-dere fino al Si1, nota tipica dei tenori barito-nali di Rossini, e che Verdi stesso ha impie-gato e talora superato per i suoi tenori piùeroici (vedi il Carlo della Forza del destino).Per il resto, sarebbe davvero difficile rintrac-ciare nella nuova partitura i tratti di unascrittura tenorile più leggera, come alcunicommentatori invece vorrebbero.Praticamente immutata la scrittura del bas-so (Fiesco), in una parte che si presentavasin dalle origini di abnormi coordinate vo-

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cali (due ottave piene di estensione), senzatuttavia raggiungere un rilievo drammaticodi vero protagonismo: confermati tutti gliaffondi nel registro grave, le puntature acu-te verso il Fa3 vengono talvolta smussatenella nuova versione, talaltra aggiunte exnovo a dare maggior enfasi all’eloquio. Laprima veneziana registra la presenza diGiuseppe Etcheverry, cantante di limitatafortuna; per la ripresa milanese, avendo la-sciata immutata la parte vocale, Verdi ar-rancò fra non pochi dubbi nella scelta del-l’interprete: «Pel Fieschi ci vorrebbe unavoce profonda, sensibile [cioè ben udibile]nelle corde basse fino al Fa, con qualchecosa nella voce di inesorabile, di profetico,di sepolcrale: cose tutte che non ha la voceun po’ vuota e troppo baritonale del De Re-stke [naturalmente Édouard De Reszke,fratello del più celebre tenore Jean]» (a Ri-cordi, 20 novembre 1880). Cinque giornidopo rincarava la dose: «Mai il De Restke.Sia tutto quello che volete, ma date un’oc-chiata alla scena tra Fiesco e Simone [che]comincia “Era meglio per te…” [nell’attoterzo] e ditemi se quella voce potrà maiavere il carattere voluto» (a Ricordi, 25 no-vembre 1880), e il giorno seguente lanciaval’ultimatum: “De Restke troppo bello, trop-pa bella voce, troppo bravo, troppo trop-po… tutto quello che volete; ma datemi unaltro Fieschi. Datemi un Fa basso, nonm’importa degli acuti, che leverò se sarànecessario, ma un Fa basso” (a Ricordi, 26XI 1880).Come dargli torto: se teniamo fede alle no-te ectoplasmatiche trasmesseci da una re-gistrazione della primissima ora, in cuil’artista polacco interpreta l’aria di Silvanell’Ernani, l’effetto all’orecchio moderno èquello di un tenore “moscio”, più che di unbasso ieratico. Eppure, fu proprio ascoltan-dolo in Ernani (in quella stessa recita scali-gera in cui ebbe modo di saggiare, non vi-sto, l’idoneità di tutti gli artisti destinati alnuovo debutto) che Verdi alfine si convinsedella scelta, rimanendo alfine contento del-la sua prestazione nel ruolo assegnatogli.Giulio Ricordi, del resto, lo aveva avvertito:«Il De Reszke, se è qualche tempo che nonlo sente, ha assai progredito come voce, ed

è sempre in scena magnifico attore» (a Ver-di, 24 novembre 1880). Evidentemente i pa-rametri d’ascolto odierni sono differenti daquelli di un secolo fa: valga per tutti la pre-dilezione che Verdi aveva per la diva delmomento, quell’Adelina Patti passata allastoria come la quintessenza del soprano li-rico-leggero, ma che Verdi consideraval’Aida ideale, pretendendola anche qualeAmelia nella riesumazione del Simon Boc-canegra, a dispetto del cachet eccessivo cheil teatro non poteva permettersi.Analogo discorso si potrebbe ripetere pergli altri interpreti del nuovo Boccanegra te-stimoniatici dai pionieristici dischi a 78 gi-ri: da Francesco Tamagno, destinato a di-venire il primo Otello verdiano della storia(ma alle nostre orecchie non del tutto ade-guato allo spessore di Otello), fino a VictorMaurel, poi creatore di Jago e di Falstaff(cui il disco rende però più disdoro cheonore). Il fatto è che nei primi anni del No-vecento – artefici alcuni artisti del calibrodi Enrico Caruso (tenore), Titta Ruffo (bari-tono) e Fëdor SŠaljapin (basso) – si operòun progressivo inscurimento delle vocimaschili, mutando radicalmente nel pub-blico un gusto d’estrazione ottocentesca,che prediligeva invece timbri più chiari. Latenebra vocale che siamo oggi abituati apercepire in un’opera come Simon Bocca-negra, in cui albergano ben cinque vocimaschili di cui quattro gravi, doveva dun-que avvalersi al debutto di ben altro spes-sore timbrico, anche se già lo stesso autoreavvertiva lo strappo fra la sua concezionesonora e il reale parco vocale all’epoca di-sponibile sul mercato.

I dubbi di Verdi sulla scelta del nuovo bari-tono (Simone) vertevano comunque più suproblemi di natura interpretativa che stret-tamente canora: «Non sono nemmeno d’ac-cordo con voi sul baritono. È impossibileche un artista giovane possa far bene quellaparte» (a Ricordi, 25 novembre 1880); «Avràvoce, talento, sentimento finché volete, manon avrà mai la calma, la compostezza, equella certa autorità scenica indispensabileper la parte di Simone» (a Ricordi, 20 no-vembre 1880). Fortunatamente Maurel, al-

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Il basso Édouard De Reszke, primo interprete del ruolo di Fiesco nel Simon Boccanegra del 1881.

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lora poco più che trentenne, si segnalavaperò almeno per una virtù non meno capita-le nella delineazione di un personaggio qua-le il doge Boccanegra: «Io non ho mai senti-to nissun artista che porti la parola all’orec-chio del pubblico con quella chiarezza edespressione come la porta Maurel. Nissuno,nissuno» (a Ricordi, 26 novembre 1880), equesto nonostante la sua origine francese (adire il vero anche qui, tanta finezza di dizio-ne non parrebbe evincersi dai dischi prodot-ti più di vent’anni dopo, che lo immortalanoquale primo interprete di Falstaff; ma tant’è:dobbiamo credere a Verdi sulla parola, seebbe poi a confermargli la fiducia per le dueultime, capitali opere del suo catalogo).Una delineazione troppo spavalda ed esagi-tata del personaggio principale era venutaa Verdi dal primo interprete veneziano, ilcelebrato Leone Giraldoni, che così ebbeoccasione di ammonire: «Se nella mia mu-sica non vi sono molti vocalizzi, non vi èper questo bisogno di mettersi le mani neicapelli, e smaniarsi come furibondi» (a Gi-raldoni, 9 dicembre 1857). Il contenimento,in una tessitura più centrale, della nuovaparte affidata al doge, più che indicarci unaminore predisposizione di Maurel per lenote acute, come si è solitamente detto, an-drà dunque riletto al contrario come un ri-dimensionamento dell’espansività emoti-va, in linea con l’attenuamento di certa en-fasi, che pare essere un po’ il filo condutto-re dell’intera riscrittura dell’opera, ogni-qualvolta risultino aboliti quei gesti sma-niosi e furibondi, quelle mani perenne-mente fra i capelli, cui la prima stesura fa-cilmente indulgeva.L’operazione è ben visibile sin dal prologodell’opera, quando tutti i personaggi – se-condo il libretto, con venticinque anni dimeno rispetto agli atti successivi – vivonogiustamente di una baldanza che andrà inloro scemando. Per ridurre certe esu-beranze baritonali, ecco dunque Verdiespungere i grandi gesti vocali, le esclama-zioni a piena voce, avvicinando così sem-pre più i toni della musica a quelli dellascena notturna. Pensando alla triste sortedella sua amata, ad esempio, Simone nonesclamerà più con forza [es. 8] bensì con to-

no più intimo e sofferto, sia pur inserito inun contesto musicale pressoché identico[es. 9].Chi farà maggiormente le spese di questainversione di tendenza è il secondo barito-no (Paolo), drasticamente ridotto a recitarepiù di quanto non sia chiamato a cantare:«un Paolo baritono attore soprattutto» (Ver-di a Tito Ricordi, 6 Febbraio 1881). Non po-trà dunque più lanciare proclami ai quattroventi, toccando la punta più acuta della suaestensione – come si vede nell’esempio n.10 – ma dovrà metaforicamente limitarevocalmente le sue ambizioni, accontentan-dosi d’esporle (così lo spartito) «alzando unpo’ la voce ma non troppo» [es. 11].Simili mutamenti di rotta si riscontrano,come detto, in tutto il prologo. Ancora unavolta, ciò che cambia non è tuttavia la di-mensione vocale, ma quella espressiva:questa sovrasta quella, preordinandola,con una coerenza cominciata sin dalla pri-ma versione dell’opera e portata al suo giu-sto compimento nella revisione milanesesenza evidenti strappi, segno di quanto lapartitura fosse moderna e avanzata già alsuo primo apparire.

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Es. n. 8

Es. n. 9

Es. n. 10

Es. n. 11

[redazione degli esempi musicali a cura di Stefano Piana]

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Paul Destez, La Sala del Consiglio, bozzetto per Simon Boccanegra (Atto I, 11). Parigi, Théatre Italien, 1883.Da «Il Teatro Illustrato», gennaio 1884.

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GGeenneerree ddeellllaa ggeenneessii ee ggeenneessii ddeell ggeenneerree

Prima di entrare nel vivo di questo lungostudio mi sembra utile spiegare e giustifi-care il bisticcio che compare nel suo sotto-titolo. Quando il termine “analisi” vieneusato senza particolari specificazioni in re-lazione ad un brano di musica, spesso essoha il significato di illustrazione esemplifi-cativa di un genere musicale di cui il pezzoè espressione caratteristica. Le singole par-ti dell’opera vengono allora spiegate nellaloro relazione reciproca e il fine ultimo èquello di evidenziare l’individualità delpezzo in esame, più precisamente, l’insie-me delle norme che fa da sfondo a quell’in-dividualità (quando tutto non è semplice-mente dato per scontato all’interno del bra-no stesso). Parlando di “genesi del genere”a proposito della scena della Camera delConsiglio nel Simon Boccanegra di Verdi,intendo suggerire che il carattere della sce-na dipende non solo dai suoi rimarchevolicaratteri di singolarità, ma anche dall’im-piego di configurazioni drammatico-musi-cali particolari e non desuete sullo sfondodi una normativa drammatico-musicalegenerale. Un’“analisi genetica del genere”della scena della Camera del Consiglio èdunque un’analisi basata sul rapporto fra lascena e le aspettative, appunto, “generi-che”, consuetudinarie, “normali”, del tea-tro d’opera.

Queste aspettative “generiche” – il giàmenzionato “sfondo di rispetto delle normedrammatico-musicali” – nel nostro casosono ancor più riconoscibili in una scenacomposta un quarto di secolo prima dellaversione a noi nota e dedicata ad una pre-

cedente generazione di spettatori d’operaitaliani: mi riferisco alla prima versione delSimon Boccanegra. Un resoconto delle suc-cessive frasi di elaborazione ed esecuzioneattraverso le quali la scena originale vennetrasformata in quella che conosciamo è ciòche intendo con l’espressione “analisi dellagenesi del genere” riferita alla scena dellaCamera del Consiglio. L’intreccio delle duemodalità di approccio in un’analisi che in-croci considerazioni sulla genesi dell’operae sulla genericità della stessa consenteun’unica interpretazione critica, in cui i ca-ratteri di creazione originale e di rispettodel genere – non più considerate indipen-dentemente – formano non una miscela,quanto piuttosto un vero “composto” conproprietà particolari, allo stesso modo incui le diverse modalità drammatico-musi-cali che formano una creazione teatrale-musicale non costituiscono un mero amal-gama di musica, poesia e dramma, ma uncomposto indissolubile di originali e nuoveproprietà espressive. Appunto l’Opera.

11..La scena della Camera del Consiglio erastata preparata da Giuseppe Verdi e da Ar-rigo Boito come nuovo finale del primo attodi Simon Boccanegra per una ripresa “rin-novata” dell’opera ormai dimenticata, alTeatro alla Scala di Milano, per la stagione1880-81. Verdi aveva composto Simon Boc-canegra originariamente per la stagioneveneziana della Fenice nel 1857. Il librettodel 1857 era una sorta di messa in versi diun dettagliato testo in prosa dialogata, pro-babilmente steso da Verdi stesso. Tale “sel-va drammatica” era a sua volta la riduzio-ne di un dramma spagnolo di Antonio

HAROLD S. POWERS

ANALIZZANDO SIMON BOCCANEGRA*

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García Gutiérrez.1 Come è ben noto l’auto-re del libretto era stato Francesco MariaPiave, salvo alcuni ritocchi, per i quali Ver-di si era avvalso della collaborazione diGiuseppe Montanelli.2 L’opera non era pia-ciuta troppo a Venezia; aveva avuto mag-gior fortuna a Reggio Emilia, più tardi quel-lo stesso anno, e a Roma e a Napoli l’annosuccessivo. Ma aveva fatto invece fiasco aFirenze e alla Scala nel 1859.3 Il remake diSimon Boccanegra per la stagione scaligeradel 1880-81 fu proposto a Verdi da GiulioRicordi dietro istanza dell’amministrazionedella Scala (Lettera datata 19 novembre1880).4 L’intento dei responsabili del teatromilanese era di rafforzare quella che si sta-va presentando come una stagione debolericorrendo ad un’opera di Verdi poco cono-sciuta. L’intento di Giulio Ricordi, d’altraparte, andava ben oltre l’aspetto “commer-ciale”: quanto egli fosse affezionato all’ope-ra è dimostrato dal fatto che una delle sueprime composizioni (l’op. 31) è un “capric-cio” per piano su temi tratti dal Simone.5

In senso lato, la scena della Camera delConsiglio è un finale concertato, così comelo era il finale del primo atto nel 1857. Insenso stretto invece vorrei dimostrare cheessa appartiene ad una specie particolaredi quello stesso genere drammatico-musi-cale. Rappresenta un esempio particolar-mente chiaro di un tipo di Finale concerta-to che era stato creato – per quanto ne so –da Verdi stesso trent’anni prima.Il “Finale interno” nel mezzo dell’opera,molto caratteristico dei melodrammi ro-mantici italiani, – si veda il finale del II attodella Lucia di Lammermoor, o lo stesso fi-nale del I atto del Simon Boccanegra del1857 –, ha luogo, di solito, in uno spaziopubblico animato da un vasto ensemble dicantanti principali e coro. Esso si apre conuna serie di momenti preparatori, a cuifanno seguito una sequenza di quattro mo-vimenti scanditi da un diverso metro poeti-co e sostenuti da diversi tipi di tessituramusicale (sempre in “tempo giusto”). Un’a-zione d’apertura – un primo episodio a ca-rattere “cinetico”, per usare la terminologiadi Philip Gossett6 – introduce il secondomovimento che è un concertato lento e

“statico”. Il terzo movimento è ancora, dinuovo, un episodio a carattere “cinetico”che culmina nella stretta finale (veloce, ma“statica”).Nella modificazione cui Verdi sottoposequesta sezione dell’opera, il movimento fi-nale fu eliminato del tutto: all’episodio “ci-netico” che veniva dopo il concertato lento,seguiva infatti non più la stretta, ma la ca-lata del sipario. Per i primi due esempi di questa nuova spe-cie del “genere Finale concertato”, le inten-zioni di Verdi sono ben documentate. L’eli-minazione della stretta dal “piano” di Sal-vatore Cammarano, che prevedeva un fi-nale convenzionale in quattro movimentiper il primo atto di Luisa Miller, viene det-tagliatamente discusso nella corrisponden-za con lo stesso Cammarano.7 L’elimina-zione della stretta dal Finale in quattro mo-vimenti per il secondo atto del Trovatore(Cammarano era morto da poco), è ancorpiù ampiamente documentata negli abboz-zi del libretto e nella corrispondenza con ilnuovo collaboratore.8 Anche il finale delsecondo atto di Un ballo in maschera do-vrebbe essere considerato un esempio del-lo stesso progetto drammatico-musicale –ormai sperimentato con successo – nelquale si dà un concertato drammatico cuisegue un’azione che non si conclude con lastretta, ma con una rapida discesa del vela-rio.9

Tre ulteriori esempi di questa programma-tica variante verdiana del Finale concertato– ormai assurto a dignità di “genere” – siverificano nel periodo che segue di un ven-tennio il Ballo. Uno di questi è il Finale delterzo atto di Otello; il secondo – come in-tendo dimostrare – è la nuova scena dellaCamera del Consiglio in Simon Boccanegrae il terzo, infine, è il Finale del II atto di Fal-staff (con la scena della cesta e del para-vento).10

In termini di “genere”, la scena della Ca-mera del Consiglio è molto simile al Finaledel III atto di Otello (un finale che nelle suelinee generali Verdi e Boito avevano giàben definito e programmato appunto primadi intraprendere la stesura del nuovo finaleper il Simon Boccanegra).11 Entrambi i Fi-

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nali iniziano con una successione di episo-di ambientati in “pubblico” che culminanoin un’azione violenta su una forte parolascenica: nel primo caso sulle parole e il ge-sto di Otello «A terra! E piangi»; nel secon-do sull’atto dello «sguainar di spade» nellaSala del Consiglio e sull’urlo del Doge «Fra-tricidi!». Ogni parola scenica “lancia” unconcertato lento e statico, introdotto da unodei personaggi principali; segue un altromomento di azione altamente melodram-matica, che culmina in un altrettanto melo-drammatica battuta “da sipario” (rispetti-vamente: «Ecco il Leone» e «Sia maledetto»,quest’ultima prima articolata sottovoce, poigridata).“Geneticamente” parlando, invece, la sce-na della Camera del Consiglio – come, delresto, i Finali di Luisa Miller e del Trovato-re – si è sviluppata direttamente a partiredalla struttura convenzionale in quattromovimenti. Nel caso in questione, il proget-to originario era stato composto e rappre-sentato in teatro, e un importante fram-mento del suo testo originale e della suamusica sopravvive nella scena della Came-ra del Consiglio. Il rapporto “genetico” delprimo atto in quattro movimenti del SimonBoccanegra del 1857 e della scena della Ca-mera del Consiglio del 1881, non è però di-retto, come quello documentabile fra i pro-getti per i Finali quadripartiti in Luisa Mil-ler e Trovatore di Cammarano e i Finaliche Verdi ebbe poi a comporre per quelledue opere non molto più tardi. Durante icirca tre mesi della sua genesi, ampiamen-te documentata, il finale del primo atto delSimon Boccanegra fu smontato “pezzo perpezzo”, e fu soggetto tanto a cambiamenticomplessivi e deliberati quanto a modifichegraduali, quasi inavvertibili. Se alla fine lascena della Camera del Consiglio arrivò asomigliare ad altri Finali concertati verdia-ni senza stretta, non fu in conseguenza diuna singola decisione drammatico-musica-le (come era venuto per i Finali concertatiin Luisa Miller e Trovatore), ma avvennein modo tortuoso e fortuito, per così dire inuna sorta di processo di evoluzione conver-gente. Perciò un resoconto del processocreativo che ha portato alla scena, rifatta

nel 1881, della Camera del Consiglio (quel-la che oggi conosciamo), in altre paroleun’analisi “genetica” di tale scena, è forsel’unico modo possibile ed utile per indivi-duare con maggior chiarezza i suoi attribu-ti drammatico-musicali di “genere”.

22..Il lettore troverà nella Tavola 1 un’analisicomparativo-genetica del Finale del primoatto del 1857 e della scena del Camera delConsiglio del 1881 in due colonne parallele.La Tavola comprende, inoltre, un’esposi-zione riassuntiva dei punti di somiglianza edi differenza dei due Finali, contrassegnaticon vari simboli nella tavola stessa.Grosso modo, l’articolazione drammatica –la successione principale di peripateias – èidentica nei due Finali così come è indicatodai numeri delle scene nei libretti originali.La scena 10 rappresenta una pubblica ma-nifestazione del potere del Doge “non patri-zio” Simon Boccanegra, il baritono prota-gonista, contornato da un entourage di per-sonaggi secondari e cori. Nella scena 11 en-tra il tenore, nel ruolo di Gabriele Adorno,accompagnato dal primo basso, Jacopo Fie-sco, sotto le mentite spoglie di Andrea Gri-maldi. Adorno accusa il Doge di aver tra-mato il rapimento di Amelia Grimaldi. Alculmine del diverbio appare Amelia in per-sona, la primadonna; la scena 12 continuapoi fino alla fine dell’atto. I due Finali han-no però una diversa articolazione musicalenelle due diverse stesure. Ho designato levarie sezioni con espressioni prese a presti-to da riduzioni per voce e pianoforte o da li-bretti contemporanei ai rispettivi Finali.Per il Finale del 1857, i pezzi staccati eranodestinati ad essere “venduti” singolarmen-te, a fascicoli, numerati da 11 a 15, con tito-li che alludevano alla loro forma (“Introdu-zione”, “Scena e aria di...”, “Romanza”,ecc.), o al loro contenuto teatrale. I cinquetitoli che ho utilizzato nella suddivisionedella scena della Camera del Consiglio so-no tratti dal libretto pubblicato da Ricordinel 1881, dove sono segnalati in relazionealla loro forma e al loro contenuto, pur nonessendo pezzi staccati (solo il numero quat-tro avrebbe potuto essere “scannato” – per

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dirla nel gergo dei librai e dei copisti – evenduto singolarmente), e non comparen-do sotto tale designazione in alcuna fontemusicale. Le articolazioni drammatico-musicali così indicate per entrambi i Finalicorrispondono a diversi schemi di versifi-cazione e/o veste musicale.La scena 10 del Finale della versione del1857 comprende quattro strofe di settenari,stese all’ultimo momento da GiuseppeMontanelli e utilizzate da Verdi per alcunicori e balli. La scena 10 del Finale del 1881comincia invece con una breve introduzio-ne orchestrale, dopo la quale l’inizio deldialogo del Doge con il suo Consiglio – inendecasillabi sciolti – è messo in musicacome recitativo, con qualche occasionaleinserzione di isolate frasi liriche. Le battutedi dialogo relative alla sommossa cha haluogo fuori scena e le reazioni dei perso-naggi sul palcoscenico continuano in ende-casillabi sciolti, ma la musica è ora un “Al-legro agitato” (•I = 132, cfr. Es. mus. 1a), inquello stile che Abramo Basevi definiva“parlante armonico”, in cui la continuitàmusicale è affidata all’orchestra mentre lelinee vocali si limitano a declamare il testo.Il ritmo furioso viene interrotto da quelloche rappresenterà il primo climax dram-matico: il Doge ordina ad un araldo di fareentrare la folla, e comanda alle fazioni deipatrizi e dei plebei di rinfoderare le loro ar-mi, mentre l’araldo esce e suona la tromba,rasserenando così il popolino.La scena 11 inizia in entrambi i Finali conl’ingresso di Gabriele Adorno e di JacopoFiesco, e per qualche tempo le due trameconvergono. Nella scena 11 del finale del1857 si verifica però un totale cambiamen-to nel prosieguo dell’azione, infatti al gridodi «Tradimento! Tradimento!», Adorno eFiesco irrompono in scena. Le quattroquartine di dialogo spezzate in decasillabidello scontro di Adorno con il Doge vengo-no musicate in varie specie di “parlanti”,ma sempre in “tempo giusto”. Il dialogoconcitato è interrotto dall’entrata di Ame-lia, che dà l’avvio alla scena 12. Nel sestettodel concertato che segue, il coro e i cantan-ti principali reagiscono all’ingresso ina-spettato della donna, cantando su quartine

di ottonari. Il “tempo di mezzo” del Finaledel 1857 comprende cinque quartine didoppi senari nelle quali si dispiega il rac-conto di Amelia, un assolo tutto narrativocon pochi brevi interventi del coro, in 6/8“Moderato”, (per lo più cantato secondoquello che Basevi chiama «parlante melo-dico», in cui la voce tiene una melodia sul-lo sfondo di una evidenziata continuità or-chestrale).All’inizio della scena 11 nel Finale del 1881,invece, il testo continua con gli endecasilla-bi sciolti sui quali s’era svolta la rivolta fuo-ri scena, mentre la musica ritorna all’“Alle-gro agitato” (•I= 132) ed ai motivi coi qualila rivolta aveva avuto inizio, mentre Ador-no e Fiesco fanno la loro apparizione, tra-scinati dalla folla inferocita. Il successivoscontro fra Adorno e il Doge, l’entrata diAmelia che dà inizio alla scena 12, e il pri-mo sentimento di reazione del Doge nel ve-derla viva, costituiscono un climax dram-matico che si smorza solo per far posto alracconto di Amelia (racconto che nel Fina-le del 1881 segue immediatamente). Lanarrazione della giovane si svolge in cin-que quartine di doppi senari, come nel Fi-nale del 1857. Per le prime quattro quarti-ne, testo e musica sono pressoché identici aquelli del 1857, ad eccezione di qualchedettaglio musicale. Sulla quinta quartina haluogo un’importante svolta nelle linee dellatrama, e la musica ritorna al “tempo pri-mo” (la “musica della rivolta”, cfr. Es. mus.1c e 1b).Nel Finale del 1857 il racconto di Amelia èseguito dalla stretta. La sesta ed ultimaquartina del racconto, in doppi senari, èmessa in musica come un pezzo chiuso,con quel tanto di ripetizioni musicali e te-stuali che convengono ad una sezione “sta-tica”. Nel Finale del 1881 il racconto intro-duce il pezzo lento d’assieme in settenari:le due ottave dell’assolo del Doge – 34 bat-tute –, il famoso «Plebe! Patrizi!», vengonomusicate come se fossero un’aria, ma sen-za ripetizioni testuali, ad eccezione dell’ul-timo verso di ogni ottava. Per l’ensemblesuccessivo – 38 battute – troviamo quattroquartine: Amelia intercede chiedendo pacefra patrizi e plebei, mentre gli altri perso-

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Note esplicative per la Tavola 1

I numeri delle scene sono gli stessi dei libretti per entram-bi i finali. I titoli e i numeri da 11 a 15 per i “pezzi staccati” nel finaledel 1857 sono tratti dalle riduzioni per canto e pianoforte(Ricordi, Escudier, Clausetti). I cinque titoli delle suddivisioni del finale del 1881 sonotratti dalla copertina della prima edizione del libretto (Ri-cordi 1881); i numeri fra parentesi sono aggiunti.

I numeri racchiusi da parentesi quadre denotano funzionidrammatico-musicali: [0] azione preparatoria preparazione[1] tempo d’attacco azione “cinetica” che conduce a[2] movimento lento “statico” concertato[3] “tempo di mezzo” azione “cinetica” che conduce a[4] veloce movimento “statico” stretta. Si noti l’assenza della funzione [4] nel 1881.I versi per l’azione preparatoria del 1857 (scena 10, nume-ri 11, 12, 13) sono di Giuseppe Montanelli; i versi per lequattro parti del Finale (scene 11, 12, numeri 14-15) sonodi Francesco Maria Piave. I versi per il Finale del 1881 so-no di Arrigo Boito. Ecco, in sintesi, la relazione esistente fra il testo di Boito eil finale del 1857:

L’azione preparatoria del 1857 fu completamente scarta-ta e sostituita, come pure il sestetto del 1857. La stretta scom-

parve, pur rimanendo presente il suo tema fondamentale.

La trama è fondamentalmente la stessa – Ador-no accusa il Doge di aver fatto rapire Amelia ma con ag-giustamenti. Musica e testo sono completamente riscritti(es. mus. 1a, 1b).

I primi sedici versi sono identici, con due modi-fiche minori, e la musica è essenzialmente quella del 1857,con revisioni della parte vocale, dell’armonizzazione e del-l’orchestrazione in diversi passaggi. Gli ultimi quattro ver-si prevedono un cambiamento nella trama e una revisionedel testo. Gli ultimi quattro versi vengono musicati con unosviluppo della musica della sommossa (es. mus. 1c).

Trama, testo e musica sono nuovi e l’azionedrammatica, da statica, è diventata “cinetica”. Il tema poe-tico è immutato: “anatéma” nel 1857, “maledizione” nel1881, con una vaga rassomiglianza nelle idee musicali d’a-pertura (Es. mus 3a, 3b).

Mostra le differenti posizioni dei concertati, rispet-tivamente un “sestetto” nel 1857 e un “pezzo d’assieme”nel 1881; mostra anche l’alterata funzione del racconto cheviene invece conservato. Da “tempo di mezzo” lirico [3] inpreparazione di una stretta [4] nel 1857, il Racconto diven-ta nel 1881 la sezione conclusiva di un “tempo d’attacco”multipartito [1c] che introduce un lento concertato [2].

TTaavvoollaa 11Simon Boccanegra, Finale del Primo Atto: confronto delle due versioni

[0]

[1]

[2]

[3]

[4]

11.

12.

13.

14.

15.

11885577

Coro del popolo

Barcarola

Inno al Doge

Ballabile di corsari africani con coro

Scena

Sestetto

Racconto

Stretta

scena 10: azione preparatoria

scena 11: entrata di Adorno

scena 12: entrata di Amelia

11888811

(1) Scena del Consiglio

(2) Sommossa

[Sommossa]

(3) Racconto

(4) Pezzo d’assieme

(5) Maledizione

[0]

[A]

[B] [1]

[C]

[2]

[3]

(X)

X

X

X{

{{

{

}

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160

TTaavvoollaa 22Storia genetica della Scena della Camera del Consiglio

11..

Finale originario 1857

azione preparatoria

Giubileo d’argento del Doge

entrata di Adorno

Scena

entrata di Amelia

Sestetto

Racconto

Stretta

22..

Corrispondenza Verdi - Ricordi20 nov. (scene 10 - 11) 26 nov. (scena 12)

[1,2] il Doge nel Consiglio

[2] il Doge richiede al Consigliola pace con Venezia

[3] il Consiglio rifiuta la pacecon Venezia e accusa il Doge

[1] Lettera di Petrarca che invocapace tra Genova e Venezia

[4] interrotta dal rapimento diAmelia

[5] X “no” al concertato

[6] Doge: 4 o 8 versi per una

[7] larga frase musicale

[3] come prima (con qualche cambiamento musicale)

[4] stesso inizio con un[8] ritorno successivo alla larga frase musicale

scena 10:

scena 11:

scena 12:

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33..

Abbozzo in prosa di Boito8 dicembre

[1] Una donna attende fuori

[2] Re di Tartaria

Il Doge richiede al Consiglio la pace con Venezia

Il Consiglio rifiuta la pace

[3] Lungo assolo del Doge che comprende le parti dellalettera di Petrarca XIV, 5

[4] La perorazione viene interrotta:i plebei sono a pro, i patrizi contro la pace. Reciproco antagonismo fra patrizi e plebei

[5] Adorno racconta delrapimento e accusa il Doge

[6] Ira dei patrizi

[7] La donna viene fatta entrarein scena

[8] Qualche verso per il Doge

[9] Come prima

[come prima]

44..

[prima versificazione25 dicembre ca.]

Una donna attende fuori

Re di Tartaria

Il Doge richiede al Consiglio la pace con Venezia

Il Consiglio rifiuta la pace

Il Consiglio viene interrotto dallegrida fuori scena dellasommossa antipatrizia. Patrizi eplebei brandiscono le loro spade

Un araldo viene invitato aintrodurre in scena la folla

Adorno ha ucciso Lorenzino

Adorno racconta del rapimentoaccusa il Doge

La donna viene introdotta

(2 versi)

come prima ma termina conreciproche accuse di patrizi eplebei: entrambi brandiscono leloro armi.

“Plebei, Patrizi! Popolo ...... E vo gridando pace ... ”con quartina per il coro

“... Sia maledetto!”

55..

Verdi - Boito28 dicembre - 15 febbraio (i numeri si riferiscono al 28 dic./ 9 gen.)

1.

2. Il Doge legge la lettera diPetrarca riguardo alla pace fraGenova e Venezia

Il Doge rammenta la “patriacomune” di Genova e Venezia(15 / 18 gennaio)

La folla irrompe, il Dogecommenta (5 / 7 febbraio)

egli attacca il Doge

1.3 X Amelia si interpone

[4]

con concertato (24 / 31 gennaio, 2 febbraio)

[4] ✓

161

X

X

(X){

}

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naggi partecipano con sentimenti diversiall’evolvere della situazione. In questo con-certato formale c’è naturalmente una con-siderevole quantità di ripetizioni musicali etestuali. Nella sezione conclusiva del Fina-le del 1881, (la “maledizione”) nella quale ilDoge impone a Paolo un’auto-maledizione,viene impiegato un metro spesso presentenei libretti di Boito a partire dal 1868. Sitratta di un metro che combina i caratteridei versi sciolti e di quelli lirici: versi impa-risillabi di differente lunghezza, spesso conenjambement, ma sempre rimati, sono rag-gruppati in strofe di varia lunghezza e se-condo vari schemi di rime.12 La veste musi-cale assume questi stessi caratteri di flessi-bilità.Il momento cardine fra i due Finali e ilpunto cruciale nel confronto dei “generi”che ho qui cominciato, è il racconto diAmelia, il resoconto del suo rapimento edella sua fuga, pressochè identico in en-trambe le versioni dell’opera. Il rapportofra i due Finali dall’inizio fino all’ultimomomento della narrazione di Amelia puòessere così riassunto. In primo luogo, adeccezione della presenza del Doge nellasua veste politica, all’inizio le due scenenon hanno nulla in comune. In secondoluogo, l’azione delle scene 11 e 12, fra l’in-gresso di Adorno e il racconto di Amelia, èfondamentalmente identica, anche se mu-sica e testo sono diversi. In terzo luogo, il fi-nale del 1857 prevede un “numero chiuso”fra l’entrata di Amelia ed il suo racconto,un numero chiuso dotato delle consuete ri-petizioni di musica e testo. Il finale del1881, invece, presenta soltanto una rispostaimmediata (di soli due versi) da parte degliastanti, seguita da altri due versi nei quali ilDoge allenta la tensione drammatica e la-scia partire il racconto.In entrambi i Finali, la narrazione di Ame-lia rappresenta un momento introduttivo alpezzo in forma chiusa che segue. Ma, oltreal fatto di essere entrambi momenti “stati-ci”, i due pezzi chiusi non hanno nulla incomune. La stretta del 1857 costituisce l’ul-timo dei due pezzi chiusi nel finale; è velo-ce, tutta corale e il suo nucleo poetico è laparola “anatèma”. Il pezzo d’assieme del

1881, al contrario, rappresenta il primo edunico pezzo chiuso nel Finale, un concerta-to lento che segue un lungo assolo, e il cuisoggetto poetico è la parola “pace”.L’ultimo movimento del Finale del 1881 se-gue il pezzo d’assieme. La sua parola chia-ve è “maledetto”, con una chiara correla-zione con l’“anatèma” della stretta del1857. La sua versificazione più libera e lasua struttura musicale, e soprattutto la suaposizione immediatamente successiva adun lento concertato statico, gli fanno assu-mere funzioni “cinetiche”, a dispetto delritmo lento e pacato in cui inizia. Mentrenel 1857 l’anatèma invocato sullo scono-sciuto rapitore di Amelia rappresenta sol-tanto l’auspicio di un evento futuro, inces-santemente ripetuto, nel 1881 l’anatèmaviene ad essere come “personificato”; di-venta una maledizione visibile in scena.Come la stretta del Finale del 1857, il “mo-vimento” della maledizione nel Finale del1881 conclude la scena e l’atto, più o menocon lo stesso tema poetico, ma è un episo-dio a carattere “cinetico”, non “statico”. Sitratta di un movimento d’azione scenica enon di un pezzo chiuso. Nella partizionedella mia analisi, adottata nella Tavola 1, lamaledizione conclusiva, nel 1881 è un “ter-zo movimento”, mentre la stretta della stes-sa maledizione, nel 1857, è un “quarto mo-vimento”.Per quanto concerne il racconto di Amelia,in sè il brano che i due Finali hanno in co-mune ha caratteristiche “cinetiche” in en-trambe le versioni, per il fatto che in en-trambe prepara un numero chiuso. Ma c’èanche da dire che i numeri chiusi che pre-para hanno funzioni drammatico-musicalidiverse che condizionano la funzionedrammatico-musicale del racconto stesso.Nel 1857 la narrazione della giovane donnasegue a un lento concertato statico e condu-ce direttamente ad una stretta statica e ve-loce; assume dunque, di fatto, la funzionedi un “tempo di mezzo”. Nel 1881, al con-trario, il racconto non è preceduto da unnumero chiuso, ma rappresenta l’ultimo diuna serie di episodi drammatico-musicali“aperti”. Com’era avvenuto nel 1857 il rac-conto di Amelia prepara sì un pezzo chiuso,

162

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163

un pezzo diviso, che è però il primo e unicopezzo chiuso nel Finale del 1881. Ed è, que-sta volta, un episodio lento. In breve: nel1881 il racconto assume la funzione di ulti-ma fase di un tempo d’attacco multipartito.Tradotto nei numeri della mia schematiz-zazione analitica, non si tratta più soltantodi un terzo movimento, ma piuttosto del-l’ultima parte di un primo movimentoestremamente complesso.

33..Mentre la Tavola 1, che mette a confronto idue Finali, è impostata in base alla ricercadei caratteri di “genere”, la Tavola 2 vuolessere descrittiva in senso “genetico” ed il-lustrare il percorso creativo che il vecchioFinale ha attraversato nella sua gradualetrasformazione in quello nuovo, ricorrendoalle testimonianze presenti nella corri-spondenza di Verdi con Giulio Ricordi econ Boito (vedi gli estratti in Appendice).La prima colonna della Tavola 2 riporta loschema del finale del 1857 da cui Verdi eBoito presero le mosse; le restanti colonneriassumono invece la tortuosa evoluzioneconcettuale della configurazione dramma-tico-musicale della scena del Consiglio.Nella seconda colonna sono annotati i pun-ti salienti di due lettere di Verdi a Giulio Ri-cordi scritte rispettivamente il 20 e il 26 no-vembre 1880, lettere che poco più tardi Ri-cordi passò a Boito.13 La terza colonna èuno schema dell’abbozzo in prosa di Boitorisalente all’8 dicembre 1880. La quarta co-lonna ricostruisce ipoteticamente la versi-ficazione originaria. Il vero testo del primotentativo di versificazione non è ancora ve-nuto alla luce, ma la sua struttura e il suocontenuto possono essere congetturati par-tendo a ritroso dalla stesura finale dellascena con l’ausilio di quanto a ciò si riferi-sce nel carteggio fra Verdi e Boito, in cui ri-corrono spesso accenni dettagliati alle ag-giunte, alle sostituzioni e alle modifiche ap-portate. Alcune di queste modifiche sonoindicate a loro volta nella colonna 5 dellatavola 2.La replica quasi immediata di Verdi allaproposta di resuscitare Simon Boccanegrarivela il suo desiderio di lavorare subito sui

materiali preparatori per il Finale centraledel primo atto. Nella sua lettera del 20 no-vembre, il compositore cita due delle Lette-re familiari di Petrarca, delle quali quellaindirizzata al Doge di Genova (libro 14, let-tera 5) gli suggerì lo scenario della Cameradel Consiglio, l’idea della volontà del Dogedi far pace con Venezia, volontà ostacolatacon indignazione dal Consiglio.14 (vedi laTavola 2, nn. 1-4). «Quindi» – scriveva Ver-di – «declamazioni, ira, fino ad accusare ilDoge di tradimento etc... etc... La lite vieneinterrotta dal rapimento di Amelia». Conquesta frase il compositore intende, natu-ralmente, il racconto del rapimento. Nellarisposta a questa lettera, Ricordi definì ilsuggerimento di Verdi «idea madre».L’elaborazione “genetica” ha fin qui rag-giunto la sostituzione della vecchia scena10 con la nuova scena “politica” che pureporta il numero 10. La nuova scena si basasu un’idea molto più confacente al caratte-re sia pubblico che privato della vita delDoge, anche secondo la caratterizzazionemusicale della vecchia opera, come Danie-la Goldin ha convincentemente dimostra-to.15 Il resto del Finale, a partire dall’an-nuncio del rapimento di Amelia da parte diAdorno all’inizio della scena 11, sembròdestinato dapprima a rimanere immutato.Ma non per molto: infatti nelle prime righedella sua successiva lettera a Ricordi, data-ta 26 novembre, Verdi riprese a sostenerecon enfasi la necessità di un nuovo inizio.16

Questa lettera del 26 novembre continuacon suggerimenti per il rimodellamentodella scena numero 12 del vecchio Finale(come si può vedere nella secondo colonnadella Tavola 2). Da questo momento in poi,i punti che rimangono immutati sono sol-tanto due: l’assenza del concertato dopol’entrata inaspettata di Amelia (n. 5), per laquale la “reazione musicale” si riduceva adun’ampia frase del Doge, atta ad esprimereil suo sollievo (nn. 6 e 7); e, del pari, il man-tenimento del racconto di Amelia (con po-chi cambiamenti nella musica, n. 3). Comeavrò modo di dimostrare in seguito, anchegli altri due propositi di Verdi – mantenerel’inizio della stretta (n. 4) e riproporre una“larga frase musicale” nel mezzo dell’ulti-

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mo movimento (n. 8) – sopravvivono, macon notevoli trasformazioni.La colonna 3 della Tavola 2 è un riassuntodell’abbozzo della «selva in prosa» di Boitorisalente all’8 dicembre, pubblicata per laprima volta nel 1975 da Gabriella Carrara-Verdi.17 È facile notare come il librettistaelabori quanto prescritto nelle lettere diVerdi a Ricordi del 20 e 26 novembre. Tresono i punti essenziali: il primo porta il n. 9,dall’inizio del racconto di Amelia alla finel’atto va a terminare «come nell’opera giàesistente». Il secondo punto è annotato sot-to il numero 3: il punto forte nella nuova“testa di scena” doveva essere un lungo as-solo del Doge che avrebbe dovuto include-re citazioni delle lettere del Petrarca. Il ter-zo punto è più complicato: il conflitto poli-tico fra le due città-stato, nell’“idea madre”di Verdi, doveva essere ritrasformato nelconflitto delle lotte intestine a Genova, cheguida la trama originaria. Questo conflittoviene rappresentato come una cospirazio-ne dei patrizi-guelfi esclusi dal governo,impersonati dal tenore Gabriele Adorno edall’antagonista Jacopo Fiesco, contro i ple-bei-ghibellini al potere, capitanati da Si-mon Boccanegra e dai suoi seguaci Paolo ePietro.Nell’abbozzo in prosa di Boito il marchin-gegno che consente di attuare il passaggiodal conflitto fra le città-stato marinare si-tuate in regioni italiane reciprocamente di-stanti, ad un conflitto civile fra fazioni diclasse in Genova, è descritto nel numero 4della Tavola 2: i sei plebei e i sei patrizicomponenti il Consiglio del Doge doveva-no reagire con veemenza alla spassionatainvocazione di pace fra Genova e Venezia. Ighibellini-plebei a favore, i guelfi-patrizicontro. Quando il patrizio Adorno, tratte-nuto dalla folla plebea, accusa il Doge ghi-bellino di aver fatto rapire la (supposta) fi-glia del patrizio Grimaldi dal plebeo Loren-zino (n. 5), l’irata reazione dei consiglieripatrizi (n. 6) doveva trasferire il conflittofra le fazioni del Consiglio – già definitonelle differenti posizioni in relazione allaguerra con Venezia – in pura rabbia per ilrapimento dell’innocente Amelia. Quellastessa rabbia montante che concludeva la

trama della vecchia versione e generava lastretta.Dopo aver steso la sua prima versione inversi, Boito si rese conto del fatto che c’eraun serio difetto drammatico-musicale nellascena così come era stata delineata nell’ab-bozzo in prosa dell’8 dicembre. L’episodioprincipale, l’importante a solo del Doge, ve-niva fuori troppo presto. Come indica inpiù luoghi la spessa linea tratteggiata nellaTavola 2, Boito lo spostò molto più avantinella scena, in una posizione in cui potevacostituire un climax ben inclinato alla pre-parazione della scena nel suo insieme. Mail riposizionamento riportò l’assolo del Do-ge nella stessa posizione della vecchia tra-ma, per cui la sua perorazione e l’invoca-zione della pace non potevano più esseremesse in relazione con la pace fra Genovae Venezia. Si rendevano così impossibili lecitazioni e le parafrasi delle lettere del Pe-trarca, com’erano già state raccolte in det-taglio nell’abbozzo in prosa. Il conflitto frapatrizi e plebei si accende due volte, e la se-conda volta, come nello schizzo dell’8 di-cembre, è ancora causato dal pensiero delrapimento di Amelia. La prima esplosionedi conflitti e rancori non è più in relazionealla guerra – con il Consiglio unanime a fa-vore della guerra in opposizione alle aspet-tative del Doge – ma è causata dai timoridei Consiglieri patrizi che paventano l’ap-pressarsi del popolo in rivolta. Le unicheparole del Petrarca conservate intatte e su-perstiti nella scena della Camera del Consi-glio sono rappresentate dal penultimo ver-so dell’assolo del Doge «Plebe! Patrizi!», cheè infatti l’ultimo verso della canzone pe-trarchesca Italia mia: «I’ vo gridando pace,pace, pace». Esso ancora una volta esprimeil tema essenziale dell’“idea madre” di Ver-di, naturalmente, ed ha il vantaggio di esse-re un verso che non poteva non suonare fa-miliare – allora come oggi – a tutti gli ita-liani medio-colti (anche se non provienedel corpus delle lettere del poeta).18

Mettendo in versi il libretto, Boito modificòanche il “tutti” della folla della vecchiastretta, con il suo tradizionale assetto me-trico in versi lirici. Trasformava così lo sta-tico tableau vivant musicale – possiamo

164

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chiamarlo tableau chantant – in un episo-dio “cinetico” facendo ricorso al metro irre-golare della “canzone” (in parte lirico, inparte declamatorio). Un metro che eglistesso aveva sviluppato e adattato a scopilibrettistici (cfr. la nota 12, supra). È cosìche il disegno di Boito per la scena dellaCamera del Consiglio si va avvicinando al-lo schema di base che egli, assieme a Verdi,aveva già deciso di utilizzare per il Finaledel II atto di Otello. Una sequenza di azioniche porta ad un pezzo lirico ben introdotto,seguito a sua volta da un altro episodio d’a-zione. Poi, il “sipario”. Non molto tempodopo è Verdi stesso che continua l’opera ditrasformazione, avvicinandosi ancora dipiù allo schema finale di Otello. Nella pri-ma realizzazione in versi di Boito, il «Ple-bei! Patrizi!» del Doge sembrava esseresemplicemente un assolo del protagonistacon risposta corale, un secondo assolo do-po il racconto di Amelia. Verso la fine del-l’ultima colonna della Tavola 2 è riportatala corrispondenza datata a partire dal 24gennaio. Nella prima lettera della serie Ver-di scrive: «Senza volerlo ho fatto un pezzoconcertato nel nuovo Finale», e richiede untesto aggiuntivo a Boito (vedi l’Appendice)per questo nuovo concertato. Nell’innalza-re «Plebei! Patrizi!» dal livello di assolo conrisposta d’assieme a quello di un concerta-to d’assieme che sorge da un assolo, Verdiincrementò non di poco il contrasto, in ter-mini di “genere”, fra i due assoli che giàerano susseguenti: il racconto di Amelia el’implorazione di pace del Doge. Se in pre-cedenza Verdi aveva eliminato il concerta-to che si trovava fra l’improvvisa entrata diAmelia e il suo racconto, ora introduce unnuovo concertato alla fine del racconto. Nelfare ciò egli completa una serie tortuosa diaggiustamenti d’ordine “genetico” attraver-so i quali la dinamica drammatico-musica-le della scena nel suo insieme, quasi innav-vertitamente e in modo fortuito, viene mu-tata in conformità con la specie “senzastretta” del genere “Finale concertato”(un’invenzione cui era stato accordato unnotevole successo più di vent’anni prima).

44..

Vorrei concludere mettendo in evidenza al-cuni dettagli analitici relativi alla musicadella scena della Camera del Consiglio, det-tagli che rispecchiano la struttura propriadel “genere” di questa frazione dell’operae/o per contro ne riflettono in modo interes-sante la storia “genetica”. Il rilievo del primodettaglio mi viene suggerito da un passo del-la lettera di Verdi datata 26 novembre che ri-guarda l’ultimo movimento della scena (cfr.alla fine della colonna 2 nella Tavola 2c, sot-to i numeri 4 e 8; cfr. anche il n. 7. I passiprincipali della lettera si possono trovarenell’Appendice, da 4 a 8).Nella stesura definitiva della nuova trama edei nuovi versi, messa in opera da Boito perl’ultimo episodio della scena della Cameradel Consiglio, non c’era modo per Verdi di“mantenere molte cose nella stretta” insenso letterale. Nonostante ciò le due ideefondamentali espresse nella lettera al ri-guardo della stretta – mantenere soprattut-to l’inizio e riproporre una precedente «fra-se... ripetuta... in mezzo alla stretta nel po-sto ove entrano tanto stupidamente le arpe»(vedi Appendice, numeri 7-8) – si possonoancora riconoscere nella “maledizione”.19

L’unisono terrificante del tema in “fortissi-mo”, che dà inizio alla “maledizione” –molto lento, ora, quanto veloce era inveceall’inizio della stretta nel 1857 – condivideperò vari caratteri del soggetto precedente(per il confronto dei soggetti iniziali degliultimi movimenti, rispettivamente del fina-le del 1857 e di quello del 1881, si vedanogli esempi musicali 3a e 3b). Sarebbe diffi-cile non riconoscere in entrambi la stessatonalità, (Do minore), il “tutti” in unisono,il “fortissimo” e la quarta ascendente in rit-mo giambico Sol-Do (contrassegnata conuna xx in entrambi gli esempi). Inoltre unaseconda melodia discendente nella strettadel 1857 – contrassegnata da una zz nell’e-sempio 3a – sembra risuonare ancora nellaseconda idea del soggetto di apertura dellamaledizione – contrassegnato con una zznell’esempio 3b. I segmenti marcati yy nellamaledizione, d’altra parte, presentano solouna remota somiglianza con l’episodio(melodicamente ascendente o stazionario)in ritmo trocaico contrassegnato con la let-

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tera yy nel soggetto della stretta del 1857(l’intervallo ascendente di terza minore èun’eco ancor più remota; le connessioni, seesistono, sono il residuo di più forti connes-sioni). L’unica “larga frase musicale” cantata dalDoge che viene ripetuta dopo la sezione in-termedia è la conclusione di «Plebei! Patri-zi!», i versi «E vo gridando pace e vo gri-dando Amor» e la loro musica (vedi es.mus. 2a), che si ripresenta nel mezzo delconcertato. Questo elemento ricorrente nelcanto del Doge potrebbe rappresentare la“larga frase musicale”, se non ritornasseperò nello stesso movimento in cui è com-parso per la prima volta come tratto carat-terizzante del primo progetto formale. Ilpiù indiziato ad essere riconosciuto comela “larga frase musicale” di un precedentemovimento che ricorra nel mezzo di unmovimento conclusivo, è allora l’ampioepisodio “melodico” di Amelia, l’invocazio-ne di pace (cfr. es. mus. 2b). L’assolo delclarinetto basso, che nella maledizione ac-compagna la velata accusa che il Dogemuove al suo seguace Paolo (cfr. es. mus.3c), è infatti un’evidente trasformazionedella melodia di Amelia. La trasformazioneè ancora più evidente in una prima formu-lazione della melodia (cfr. es. mus. 3d), incui si nota una sensibile, Mi diesis, fra dueFa diesis, cancellata e rimpiazzata da un Rediesis nell’autografo di Verdi.La somiglianza della melodia del clarinettobasso nella “maledizione” con la melodiadella “pace” di Amelia, nel concertato, èstata notata da parecchi studiosi nel recen-te passato, in particolare da E. J. Cone e J.Hepokoski.20 La rassomiglianza più tenuedell’incipit della “maledizione” con l’aper-tura della stretta del 1857 – un brano pococonosciuto – è stata notata, per quanto neso, solo da Julian Budden (a cui non sfuggeniente). Ecco ciò che Budden afferma ri-guardo alla “maledizione” alla luce del bra-no precedente:

questo antiquato effettaccio teatrale ha per-messo a Verdi di recuperare in parte la ru-vida forza che c’era nella stretta originaria.La tonalità è la stessa di Do minore e, delle

due idee su cui la scena è basata, una è si-mile per carattere [all’apertura della stret-ta]. La seconda è una versione in modo mi-nore e non pentatonica [della melodia diAmelia]: l’oscuro rovescio della meda-glia.21

Budden aveva anche notato le relazioni cheho già citato sopra nell’esempio 1.22 Gli ele-menti nella musica della rivolta (contrasse-gnati con yy e zz nell’es. mus. 1a) sono utiliz-zati per una trasformazione vividamenteevidenziata nei due momenti drammatico-musicali cruciali nella scena, (che sono sta-ti illustrati negli esempi 1b e 1c). La musicadell’esempio 1b risuona nel momento incui il Doge ordina agli Araldi di lasciar en-trare la folla (un’accordo di settima dimi-nuita marca la fine dell’episodio). Poi il Do-ge si rivolge alle fazioni popolare e patriziadel suo Consiglio, che hanno appena sguai-nato le loro armi, con la frase «nelle guainei brandi» (lettera H nella partitura Ricordi),e una progressione cadenzale ci fa ritrova-re il soggetto principale e la tonalità di Dominore con cui s’era aperta, musicalmente,la rivolta, in questa seconda sezione mar-cati “fortissimo”, mentre la prima volta era-no stati intonati con dinamica “pianissi-mo”.L’esempio 1c ci porta molto più avanti, adopo il racconto di Amelia, in una situazio-ne esattamente parallela. Ancora una voltapatrizi e plebei hanno sguainato le loro ar-mi gli uni contro gli altri e la musica ri-prende il “Moderato” originario e poi l’“Ac-celerando” in 6/8 del racconto di Amelia,quindi ritorna al primo tempo e al 4/4 del-l’episodio musicale che abbiamo chiamato“della rivolta”. La trasformazione dell’es.mus. 1c e la modulazione che essa preparafanno eco all’es. mus. 1b (spostato tonal-mente di una terza minore ascendente),con una certa compressione della lunghez-za della frase, ma con una sosta in “fortissi-mo” sullo stesso accordo di settima dimi-nuita che nella seconda versione prepara ladominante di Mi bemolle minore, mentre ilDoge – intervenendo per la prima volta daprima del racconto di Amelia – interrompeper la seconda volta il contrasto delle due

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fazioni con il grido «Fratricidi!», la parolascenica che lancia, con «Plebei! Patrizi!», ilpezzo d’assieme. L’importanza della connessione musicaleche Verdi operò fra questi due episodi – inentrambi i quali le spade vengono sguaina-te con rabbia mentre il Doge trattiene i con-tendenti – mi sembra essere ben riflessa in-direttamente in uno scambio di lettere del-la metà del gennaio 1881. Il 15 gennaio Ver-di scrive:

Un’altra osservazione sul finale... Vorrei che, quasi a mo’ di commento, dopo il verso:

Il cantor della bionda Avignonese

TUTTI dicessero “È guerra a Venezia !”DOGE “È guerra fratricida. Venezia e

Genova hanno unapatria comune: Italia”.

TUTTI Nostra patria è Genova.Tumulto interno etc.

In risposta Boito inviò dei versi che segui-vano le direttive del compositore, nonchéla fine della scena che porta il “tempo d’at-tacco” con il tumulto fuori scena. Boito av-vertì anche Verdi di aver «evitato la parola“fratricida” indicata nella Sua lettera, cosic-ché non sciupi l’effetto dell’esclamazione“fratricidi” che scoppia prima dei versi delDoge: “Plebei, Patrizi !”».A livello puramente verbale Boito aveva ra-gione a non voler “sciupare” l’effetto finalee, di fatto, l’inavvertita anticipazione verba-le di Verdi dell’esclamazione del Doge«Fratricidi» nell’abbozzo di dialogo inviatoa Boito prima riportato, sembrerebbe anti-cipare la parola scenica. Ma dobbiamo fareattenzione: laddove una ripetizione verbalepuò essere ridondante, una ripetizione mu-sicale può essere enfatica. L’uso inavvertitoda parte di Verdi della parola «fratricida»nel dialogo in questione, va probabilmenteletto solo come un riflesso delle due liti fra-tricide nella Camera del Consiglio, che so-no le colonne portanti del disegno comples-sivo della scena, per cui questo passo ap-parterrebbe ancora all’ambito del primo

scontro (pur non occupando al suo internola stessa posizione). Si tratta dell’inconsa-pevole equivalente, ridondante a livelloverbale, ma produttivamente enfatico al li-vello musicale e drammatico, della ripro-posizione della “musica della rivolta” nellasua trasformazione in “musica delle spadesguainate” del secondo scontro, prima chela scena culmini nel racconto di Amelia e siprepari il pezzo d’assieme.Ci sono molti altri dettagli analitici da nota-re nella correlazione fra “genere” e “gene-si”, (“genericità” e “geneticità” ri-creativa),rispetto a una delle scene d’assieme di Ver-di più efficaci e più documentate. Vengonosubito in mente i penetranti significati diquell’arrivo su una settima diminuita del-l’esclamazione «fratricidi», ripresentata invari rivolti, ma sempre “fortissimo”. Que-sto accordo apre la scena come “neighbourchord” della triade stabile di Do maggiore elo si sente immediatamente, dopo, comesettima di sensibile della successiva triadedi Mi minore (che costituirà la tonalità con-clusiva e culminante per la “musica dellarivolta”, che viene prolungata fino all’irru-zione della folla). Ancora la stessa settimadiminuita in “fortissimo” conclude anchela frase finale dell’introduzione orchestra-le, per ben due volte. In entrambi i casi vie-ne messa in risalto da una susseguentepausa generale. Altrove questa settima di-minuita, nella sua funzione di cardine,“prepara” la dominante delle tonalità dellamaggior parte dei punti di arrivo crucialidal punto di vista drammatico-musicalenella scena; tutte tonalità le cui rispettivetoniche sono naturalmente esse stesse ele-menti formanti dell’accordo di settima di-minuita in questione:

1. Nell’Es. mus. 1b la settima diminuitaconclude il La minore su cui erano state in-tonate le parole del Doge all’araldo, e guidaal ritorno, in “fortissimo”, della tonalità diDo minore e del soggetto principale con ilquale la “musica della rivolta” era iniziata.2. Poco dopo è ancora una settima diminui-ta che introduce la tromba dell’araldo che“canta” in Mi bemolle.3. Nell’Es. mus. 1c, la settima diminuita

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serve a “distanziare” la triade di Do mag-giore (la dominante di Fa minore che pre-domina nel racconto di Amelia) e guida al-la dominante di Mi bemolle minore, la to-nalità d’inizio del pezzo d’assieme che asua volta porta al Fa diesis maggiore (rela-tiva maggiore a distanza di terza minoreper la seconda parte dell’assolo di aperturadel Doge) e al concertato.4. L’accordo appare infine anche sotto l’e-sclamazione del Doge “Sia maledetto” nella“Maledizione”, e in seguito nella fragorosaeco della folla: “Sia maledetto”.

Il sistema di relazioni tonali che sono im-perniate su questo accordo di settima dimi-nuita – Do maggiore/Do minore, La mino-re e Mi bemolle minore/Fa diesis maggiore– è riassunto proprio prima della fine della«Maledizione», nel «Sia maledetto» del coro,sussurrato tre volte nella parte finale su ununisono di Do, che a sua volta è accompa-gnato da un’alternanza di Do gravi pizzica-ti, affidati ai contrabbassi e alle viole, conun Fa diesis grave intonato dai violoncelli edai clarinetti bassi come supporto, mentre iviolini mantengono un tremolo di Do/Micon Re diesis/Si.Il contrasto fra Mi naturale e Mi bemolle,elemento essenziale di quello fra Do mag-giore e Do minore, si fa sentire distinta-mente nella «Maledizione», quando il Minaturale di Paolo (in corrispondenza dell’e-sclamazione «Orror!» nella tonalità di Domaggiore) viene immediatamente rimpiaz-zato da un Mi bemolle (nell’accordo di Dominore del passaggio orchestrale conclusi-vo “fortissimo”). Questo contrasto Mi be-molle/Mi naturale diventa, nel primo e piùesteso sviluppo della “musica della rivolta”ancor più evidente, anche in un altro sen-so: a causa del confronto, strutturalmenteparallelo, della tonica di Do minore (checaratterizza la scena nel suo insieme), conla tonalità di Do diesis minore, un semitonopiù acuta. Dopo la scena d’apertura, il“tempo d’attacco” della “musica della rivol-ta” comincia in Do minore (tonalità piùvolte stabilita) e poi modula. Il successivopunto d’arrivo con una cadenza piena si hain Do diesis minore (lettera G della partitu-

ra Ricordi), “forte”, con il primo vero ritor-no di soggetto d’apertura. È questo il mo-mento in cui il coro, fuori scena, grida:«Morte ai patrizi! Viva il popolo!», provo-cando l’ira dei patrizi, che sguainano le lo-ro spade. Una successione cadenzale esat-tamente parallela (lettera H), successiva al-le istruzioni impartite dal Doge all’araldosegna un altro ritorno al soggetto principa-le, ora di nuovo in Do minore e in “fortissi-mo”, con le urla del coro fuori scena che sifan sempre più vicine: «Armi e saccheggio!Fuoco alle case!». Il Mi è anche singolar-mente protagonista di diversi momenti nel-la scena. Il più evidente è il climax di Miminore nella “musica della rivolta”, quan-do la folla irrompe nella Camera del Consi-glio. Il significato critico di questo passoviene sottolineato nei documenti del lavo-rio “genetico” della scena del Consiglio, inuno scambio di lettere del 5 e 7 febbraio.Verdi vuole un testo aggiuntivo per la mu-sica che sta scrivendo per l’irruzione dellafolla, «perché» – dice – «si senta la voce for-midabile dell’orchestra», e scrive a Boitoper pregarlo di evitare di omettere la paro-la «Vendetta» (vedi l’Appendice). In quelpreciso luogo dell’autografo musicale, in-fatti, furono applicati alcuni nuovi fogli sucui si leggono il nuovo testo e la nuova mu-sica. L’aggiunta fu quindi voluta da Verdidurante una fase intermedia della compo-sizione, fra lo stado di “abbozzo” e quello di“scheletro orchestrale” (“skeleton score”).L’effetto di questo aggiunta – oltre a consen-tire all’orchestra di “far udire la sua voceformidabile” mentre il coro grida il nuovoverso e i soprani sostengono un acuto Si – èquello di rinforzare la culminante tonalitàdi Mi minore che conclude la “musica dellarivolta”. Sottolineando quindi il Mi naturalecontro le armonie incentrate su Mi bemolleche direttamente o indirettamente domina-no invece una così grande parte del restodella scena. Inoltre, questo prolungamentodel Mi minore sulla fine della “musica dellarivolta”, in contrasto con il Do minore concui la “musica della rivolta” inizia, eviden-zia la centralità dei nuclei tonali Do e Mi suiquali la sommossa comincia e termina. Èquindi plausibile che essi vengano già sen-

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titi come prefigurati dalle triadi stabili di Domaggiore (mm. 2-4) e Mi minore (mm. 6-8)nella “risoluzione” di quella settima dimi-nuita discussa supra, con cui si apre l’intro-duzione orchestrale della scena. E così via. Chi scrive spera che queste osservazioni sulprocesso creativo nella drammaturgia mu-sicale del Simone abbiano chiarito al pa-ziente lettore alcune delle dinamiche dellascena della Camera del Consiglio. Spera an-che che esse possano offrire una discreta te-stimonianza di come l’uso di documentazio-ni del procedimento compositivo possanocostituire un’importante fonte di informa-zione non solo per la comprensione storicao per la ricostruzione di dati biografici, maanche per la critica analitica delle opere.Non è tanto questione di suggerire che le do-cumentazioni del procedimento compositi-vo a nostra disposizione siano o debbano es-sere il punto d’inizio per l’osservazione ana-litica – in questo caso di fatto non lo sonostate –, ma piuttosto di comprendere fino ache punto esse riescano a rendere più credi-bile l’analisi critica o guidare la stessa versoaree di interesse altrimenti destinate a resta-re segrete. Non è che la visione che il com-positore ha del suo lavoro debba avere ne-cessariamente una posizione privilegiataper la critica. Piuttosto può essere vero il fat-to che, quanto più indiscreta, curiosa e pe-dante può sembrare una proposta analitica,tanto più plausibile essa diventa se è possi-bile dimostrare che l’artista stesso ce ne haresi partecipi attraverso il suo lavoro.

NOTE

* Saggio apparso nel programma di sala del SimonBoccanegra, Venezia, Teatro La Fenice, 1991.1 La «selva» in prosa è integralmente conservata fra lecarte dell’Archivio Storico del Teatro La Fenice di Ve-nezia. Il documento è di mano di Piave, probabilmentesi tratta di una bella copia, e rappresenta senza dubbio

il libretto in prosa a cui si fa riferimento nelle lettere-che Verdi scrisse da Parigi il 3 e il 12 settembre 1856 ein altre lettere e documenti vari, risalenti a quello stes-so mese, da Venezia. Cfr. M. CONATI, La bottega dellaMusica, Milano, 1983, pp. 382-86; e J. BUDDEN, TheOperas of Verdi II, London, 1978-79, (trad. it. Le operedi Verdi II, Torino, 1986). Fra i microfilm di carte ver-diane conservate presso Villa Verdi a Sant’Agata, pos-seduti dall’American Institute for Verdi Studies allaNew York University, ci sono gli atti II e III della «selva»dialogata nella grafia di Verdi corrispondenti alla bellacopia di Piave della Fenice. Il testo della copia che Pia-ve stese dell’abbozzo in prosa di Verdi è stato pubblica-to da Daniela Goldin nel programma di sala per il Si-mon Boccanegra edito dall’Ente Autonomo del TeatroComunale di Firenze per la messa in scena della sta-gione 1888-89. Per un profondo studio critico del dram-ma di Gutiérrez, della «selva» dialogata e di entrambi ilibretti, si rimanda a D. GOLDIN, «Simon Boccanegra» daPiave a Boito, e la drammaturgia verdiana in La verafenice, Torino, 1985, pp. 283-334.2 F. WALKER, Verdi, Giuseppe Montanelli and the li-bretto of «Simon Boccanegra», in «Bollettino dell’Istitu-to di Studi Verdiani», 1, Parma, 1960, pp. 1373-90.3 Per un resoconto della preparazione della produzio-ne a Reggio e delle revisioni, cfr. M. CONATI, «SimonBoccanegra» di Verdi a Reggio Emilia, Reggio Emilia,1984. Le modifiche richieste da Verdi per la ripresa mi-lanese, modifiche operate sulla base della sua espe-rienza nella produzione napoletana, sono descritti inuna lettera ad Alberto Mazzucato parzialmente pubbli-cata in F. GHISI, Lettere inedite dall’Epistolario Verdi-Mazzucato appartenute a Frank V. De Bellis, in Confe-renze 1968-70, Associazione Amici della Scala, Milano,n.d., pp. 168-70.4 Lettera Ricordi-Verdi, venerdì 19 novembre 1880;cfr. Appendice, CVR 76. Le sigle nell’Appendice si rife-riscono alle seguenti fonti: CVR = Carteggio Verdi-Ri-cordi 1880-81, a cura di P. Pietrobelli, M. Di GregorioCasati e C.M. Mossa, Parma, 1988, seguito dal numerodella lettera citata; CVB = Carteggi Verdi-Boito, a curadi M. Medici e M. Conati, Parma, 1978.5 Cfr. le lettere di Verdi a Ricordi pubblicate in F. ABBIATI

Giuseppe Verdi, Milano, 1959: vol. III, 24 novembre 1868(p. 233), ca. 15 dicembre 1870 (p. 411), 3 e 5 marzo 1875(pp. 743-44); e vol. IV, 2 maggio 1879 (p. 82).6 PH. GOSSETT, The “candeur virginale” of «Tancredi», in«Musical Times», 112, 1971, pp. 326-29.7 Verdi scrisse a Cammarano da Parigi il 17 maggio1849 che «nel primo finale non amerei una stretta ouna cabaletta finale... Il principio del pezzo e lo squar-cio concertato voi li farete come vorrete», I copialetteredi Giuseppe Verdi, a cura di G. Cesari e A. Luzio, Mila-no, 1913, p. 471.8 J. N. BLACK, Salvadore Cammarano’s programma for«Il Trovatore» and the Problem of the Finale, in «StudiVerdiani», 2, 1983, 78-107.9 Cfr. il saggio dello scrivente, The “laughing chorus”in context, in Verdi: «Simon Boccanegra», English Na-tional Opera Guide, n. 40, London-New York, 1989, pp.23-40.10 Per un resoconto delle tre fasi di progettazione delFinale del secondo atto di Otello, cfr. J. HEPOKOSKI, Giu-seppe Verdi: «Otello», Cambridge, 1978, pp. 31-33, 36-

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39; la revisione di Boccanegra, compresi naturalmentei progetti e la composizione della scena della Cameradel Consiglio, ha luogo fra la seconda e la terza fase.Nel finale di Otello, alla fine della seconda fase, la se-quenza drammatico-musicale generale – azione checonduce ad un concertato d’assieme, seguito dalla se-quenza che va dalla “crisi nervosa” di Otello fino al ter-mine dell’atto – era già stabilita; solo il testo dell’assie-me, e a fortiori la sua strutturazione interna, erano an-cora da sistemare11 Cfr. A. BASEVI, Studio sulle opere di Giuseppe Verdi,Firenze, 1859, pp. 30-33.12 Boito utilizzò per la prima volta questo tipo di metronel suo poema lirico Case nuove, pubblicato nell’edi-zione del 1866 di Case nuove: due strofe isorimiche di17 versi imparisilabi tutti rimati. Il primo libretto in cuicompaiono strofe di questo genere è quello del Mefisto-fele, nella versione orginale del 1868: le strofe per il co-ro delle “Falangi celesti” del Prologo si corrispondonoin numero di versi e schema rimico, proprio come inCase nuove. Esse variano invece nei due lunghi di-scorsi di Faust in I, 1, nel dialogo con Wagner dopo l’O-bertas. Wagner parla in endecasillabi sciolti durantetutta la scena, come pure Faust nelle parti colloquiali enel suo discorso d’apertura; nella revisione per Bolo-gna del 1875 tutti e tre gli interventi di Faust vennerotagliati. Versi imparisillabi misti in strofe completamente rima-te, ma di lunghezza variabile e diverso schema rimico,sono utilizzati spesso, in diverse situazioni drammati-che, in tutti i successivi libretti di Boito. L’apoteosi diquesto gesto e di questa pratica avverrà con Otello. Nonconosco alcun precedente per l’uso di questo verso nel-la librettistica, e sembra che se ne possano reperire sor-prendentemente pochi esempi nella poesia lirica delprimo Ottocento in generale. Fra questi è forse legittimomenzionare Primavera di Alessandro Poerio. Altri pre-cedenti possono forse essere riscontrati in alcune liri-che de I primi canti del poeta di Agostino Cagnoli.13 I numeri tra parentesi che si trovano accanto allefrasi nella seconda colonna della Tavola 2 si riferisco-no ad estratti dalle lettere del 20 e del 26 novembre ri-portate in Appendice, spezzate e numerate per como-dità del lettore. I numeri nella Tavola 2, colonna 2, siriferiscono ai rispettivi rimandi numerici che contras-segnano le suddivisioni della lettera del 20 novembre,relativamente alle scene 10 e 11; a quelli della letteradel 26 novembre, per quanto concerne la scena 12.14 F. PETRARCA, Rerum familiarum libri, voll. XI, XIV.Daniela Goldin ha suggerito, sulla base di indizi lingui-stici, che dalla versione italiana delle lettere di Petrarcastesa da Giuseppe Fracassetti (Firenze, 1863-67) Verdipoteva aver rilevato molti elementi della scenografia edegli sfondi dell’opera, tratta da Garcìa Gutiérrez (Lavera Fenice, cit. p. 309). Una copia della traduzione diFracassetti faceva di fatto parte della bibliteca di Verdi aSant’Agata (cfr.. CVR, p. 71, n. 5).15 D. GOLDIN, La vera Fenice, cit. p. 309.16 La parola chiave è «testa», non «testo» come si è sup-posto a partire dalla lettura originale che Luzio fecedell’abbozzo verdiano, spesso quasi illeggibile. Cfr.Carteggi verdiani, a cura di F. Luzio, IV Roma, 1947, p.204.17 G. CARRARA-VERDI, «O il Senato... O la Chiesa di S. Si-

ro», in «Biblioteca», 70, Busseto, 1975, pp. 171-79.18 Ciò nonostante, un riferimento alla lettera di Petrar-ca al Doge di Genova, fu reintrodotta, per volontà diVerdi, con le sue lettere del 15 gennaio, come è segna-lato in cima alla prima colonna della Tavola 2. Verdivoleva un testo aggiuntivo con cui allungare la scenainiziale prima che si iniziassero ad udire i rumori del-la sommossa fuori scena. Il testo esemplificativo che ilcompositore inviò a Boito il 15 gennaio per essere tra-sformato in versi suggerisce che, in fondo, egli volevapreservare qualcosa di più della sua “idea madre” ori-ginaria.19 Ecco il passo in questione (CVR, 82): «[quattro ver-si]... per porvi sopra alla bell’e meglio alcune note cheabbiano l’aria di una larga frase musicale. La qual frasemusicale amerei fosse ripetuta (con cambiamento diqualche parola, se occorre) in mezzo alla stretta, nel po-sto ove entrano tanto stupidamente le arpe». L’iniziodella stretta del 1857, illustrato nell’Es. 3a, è l’inizio delbrano in cui «entrano stupidamente le arpe»; è anche ilprimo momento calmo nella stretta.20 E. G. CONE, On the Road to «Otello»: Tonality andStructure in «Simon Boccanegra», in «Studi verdiani» 1,(1982), p. 91; J. HEPOKOSKI, An introduction to the 1881Score, in Giuseppe Verdi «Simon Boccanegra», EnglishNational Opera Guide no. 32, a cura di N. John, Londonand New York, 1985, p. 21.21 J. BUDDEN, Le opere di Verdi, cit. II, p. 388.22 J. BUDDEN, Le opere di Verdi, cit. II, p. 332 sgg.

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Giuseppe Verdi. (1888).

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Sylvano Bussotti, Una piazza di Genova. Bozzetto per Simon Boccanegra, (Prologo). Torino, Teatro Regio,1978-79. (Torino, Archivio del Teatro Regio).

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La figura di Simone Boccanegra, primo do-ge di Genova, conobbe nel corso dell’Otto-cento notevole popolarità. Nel 1833 il geno-vese Giuseppe Michele Canale diede allestampe il Simonino Boccanegra,1 tragediastorica apprezzata da Mazzini, che ne lodòil “buonissimo intendimento”.2 Letterato,storico e accanito ricercatore di patrie me-morie, Canali fu assai attivo nell’ambientedel risorgimento genovese: fu affiliato allaCarboneria e dal 1830 alla Giovine Italia,prima di passare tra le fila liberali e monar-chiche. Il suo Boccanegra è tutto vibrantedegli ardenti ideali patriottici dell’autore.“Scopo” della sua opera – come asseriscenell’ampio Discorso storico premesso allastessa – era quello di «porre in iscena ... lamutazione dell’aristocrazia in democrazia»e «lo stabilimento del governo popolare».3

La vicenda del Boccanegra era dunque epi-sodio culminante del “democratico Trecen-to”, uno dei fatti più segnalati dell’“epocapiù grande di grandissimi tempi” in cuierano nate “la libertà italiana, l’agiatezzadel popolo, la ricchezza del commercio,l’industria, l’arti, l’ingegno”.4 All’“infamiade’ patrizi”, “perversi blanditori del popo-lo”, il doge Boccanegra opponeva l’eroicoideale dell’“amor di patria”.5 Per la libertà“di Genova e d’Italia”6 non affrontava solol’estremo sacrificio della vita ma dava insposa la figlia Costanza – nella realtà Mad-dalena –, già promessa al nobile GiovanniMalocello, al fuoriuscito Luchinetto Vi-sconti, figlio di Luchino e nemico giuratodel ducato milanese dal quale gli zii, allamorte del padre, l’avevano estromesso. Fi-glia degnissima di cotanto padre, Costanzafaceva propria la logica paterna e ai suoisentimenti anteponeva l’amor di stato.

Mentre il “patrizio livor” non desisteva dalchiedere “vendetta e morte” e il popolo ri-cambiava, invocando “la morte ... per tutti inobili”, Simone inclinava alla “dolcezza” –«sento che tutti / Benedire vorrei con la dol-cezza / E duopo è tutti stringerli, piegarlicoll’acerba sembianza del tiranno»7 – e pri-ma di morire, magnanimo, perdonava isuoi nemici.Colpi di scena, congiure, odi sfrenati, amo-ri purissimi, agguati e tentati rapimenti, ve-leno e morte: gli ingredienti del repertoriotardoromantico, già presenti nel lavoro delCanale, erano accentuati nel Simon Bocca-negra scritto dieci anni dopo, nel 1843, daAntonio García Gutiérrez, che vi aggiunge-va «l’immancabile riconoscimento della fi-glia creduta morta o smarrita»,8 elementomutuato anch’esso dall’opera verdiana. Manel Boccanegra dell’andaluso era assentequella dimensione politica del dramma,che, già sviluppata dal Canale, risponderàpienamente alla passione civile di Verdi. Lavicenda del doge, che con la sua volontà dipace tenta di contenere l’odio delle fazionicittadine e di fermare la lotta fratricida siinscriveva in quel nazionalismo risorgi-mentale che Verdi-Boito avrebbero ripresocon più marcato vigore nell’edizione delBoccanegra del 1880.9

Ma come si arrivò a Genova all’istituzionedel dogado e quale fu la vera storia del Boc-canegra? Eletto per acclamazione popolareil 23 settembre del 1339, Simone Boccane-gra fu il primo doge di Genova. «Dogio almodo de’ Veneziani», scriveva dal suo os-servatorio fiorentino un contemporaneo, ilcronista Giovanni Villani, cui non era sfug-gita l’ascendenza veneziana del titolo, né lacollocazione popolare del Boccanegra,

LAURA MEGNA

SIMONE BOCCANEGRA E IL DOGADO A GENO-VA

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“uno ... de’ mediani del popolo”, “dogio”,peraltro “franco e valente” sebbene “asproin giustizia”.10 L’adozione di questo termi-ne, usato sino ad allora in ambito repubbli-cano soltanto per designare il supremo ma-gistrato veneziano, era un palese riconosci-mento della superiorità politico-istituzio-nale della secolare avversaria, che avevasaputo creare una compagine statuale piùsolida e mantenere sicuro il suo stato, dicui la figura dogale era un po’ il simbolo. Iltitolo di dux, duca, ossia venezianamente“doge”, aveva fatto la sua comparsa in tem-pi assai remoti – probabilmente verso l’VIIIsecolo – quando Venezia era ancora in unambito pienamente bizantino. Ma avevaassunto una precisa definizione di poterisolo col progressivo ridursi dell’autoritàdei tribuni – ufficiali scelti tra i possidentifondiari locali – e dei magistri militum, di-retti rappresentanti del potere esarcale. L’evolvere della figura dogale in ambito la-gunare era stato complesso, oscillando traspinte all’esercizio personale del potere –non esclusa la tentazione dinastica – ed esi-genza di un controllo sempre più preciso edettagliato dello stesso.11 Il risultato di que-sto travagliato percorso era un doge chepur essendo espressione della repubblica esua massima carica, era nel contempo, eproprio per questo, controllatissimo simbo-lo di uno stato i cui poteri decisionali non siconcentravano in cariche personali, ma inorgani collettivi di governo quali il MaggiorConsiglio e il Senato. A Venezia gli sposta-menti negli equilibri istituzionali erano av-venuti in modo lineare. Senza laceranti rot-ture né durevoli resistenze era passata an-che la Serrata del Maggior Consiglio, con laquale nel 1297 il patriziato avocava ufficial-mente a sé ogni funzione pubblica. L’inevi-tabile periodico apparire di tensioni interneal ceto dirigente e di difficoltà politiche eeconomiche non aveva impedito alla storiadella Serenissima di evolvere all’insegna diuna continuità assolutamente straordina-ria per i tempi. Altro il quadro genovese, dove alla fragilitàdelle forme statuali si accompagnano laforza esuberante delle grandi famiglie – no-biliari e no – e la potenza delle consorterie

da quelle derivanti. Esse sono divise da odiantichi e conflitti recenti e sono contrappo-ste in un gioco mutevole e complesso di in-teressi che non ne immobilizza gli schiera-menti, ma privilegiando il privato sul pub-blico, rende precario ogni punto di equili-brio e di convergenza quanto all’assetto delgoverno.12 Un’irrequietezza antica e diffici-le da sondare anima quest’aristocraziacomposita ma tutta mercantile, fatta sin daitempi del governo vescovile di mercantinobili e di nobili mercanti, ché se i più for-tunati mercanti sono individualmente pas-sati di rango, anche i nobili feudali di origi-ne viscontile si sono presto dati al commer-cio.A Genova discordie e tumulti accompagna-no l’intera vicenda comunale. Nel 1099, aitempi gloriosi della prima crociata, la Com-pagna Comunis, e cioè il comune, si affer-ma modellandosi sulla Compagna, origina-le consorzio di armatori, commercianti euomini di mare, associazione privata etemporanea, nata da scelte economiche im-plicanti collegamenti societari nuovi. È unastruttura relativamente aperta, cui si acce-de con un titolo di cittadinanza non difficileda acquisire in base ad una residenza limi-tata nel tempo. La partecipazione politica siallarga, si affacciano nomi nuovi che tenta-no di contendere ai più illustri le caricheconsolari, da questi non de iure ma de fac-to monopolizzate.13

Tuttavia non è ancora la pressione dal bas-so, ma la minoranza inquieta dei clan gen-tilizi a dividere la città e ad accendere lelotte interne che nel corso del secolo fini-ranno per logorare il comune consolare. Ilgroviglio di inestricabili contrasti di carat-tere feudale, occasionali opposizioni, ran-cori e vendette che la presenza di una forteorganizzazione familiare di tipo consortiletende a moltiplicare e perpetuare si com-plica e si aggrava nella lotta per l’egemoniapolitica, per il controllo della cariche. Lostrenuo antagonismo dei concorrenti nonviene da mere questioni di prevalenza ed’ambizione, ma da rilevanti interessi eco-nomici. Mentre lo slancio in Oriente ha da-to i suoi frutti e l’attività dei commerci èvertiginosa, lo sforzo per le continue im-

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prese belliche – contro Pisa per il dominiodella Sardegna e della Corsica, contro i sa-raceni d’Africa e di Spagna – ha costretto ilComune ad appaltare a ricche società dimercanti i proventi di numerose gabelle: leimposte sul sale, sull’ancoraggio e sui pe-daggi, la zecca, le nuove colonie d’oltrema-re e d’oltregiogo. È il sistema delle compe-re, vendita anticipata delle entrate fiscalifatta a favore di acquirenti che ne traggonovantaggio senza andare contro alle leggidella Chiesa che vietano l’usura. Accapar-rarsi le cariche consolari significa alloraessere arbitri di questa mediazione tra pub-blico e privato, riservando le transazioni ele operazioni finanziarie più proficue allapropria casa e, per estensione, al propriogruppo, alle società mercantili di cui si faparte. Inevitabili le recriminazioni degli esclusi,che esplodono talvolta in opposizioni vio-lente, ulteriormente inasprite dai decreticonsolari comminanti le drastiche sanzionipreviste dal diritto consuetudinario, in pri-mo luogo la distruzione delle case dei con-tendenti più ostinati. La palese inadegua-tezza del regime consolare a fronte di unarealtà comunale più complessa e social-mente differenziata fa avvertire la neces-sità di un’autorità forte e imparziale. Nel1190, per la prima volta, si ricorre ad un po-destà forestiero, designato congiuntamentedai consoli e dai consiglieri. Ma il giornostesso dell’elezione, i figli e i nipoti di Folcodi Castello, l’eroe genovese della terza cro-ciata, assalgono i consoli uscenti e il nuovopodestà. Nel corso della lotta uccidono ilpiù anziano e il più autorevole dei presenti,Lanfranco Pevere, cittadino insigne, ric-chissimo banchiere, già sedici volte conso-le e incaricato di molte missioni diplomati-che. Il nuovo regime comincia nel sangue enella confusione, proprio le situazioni dallequali la città voleva liberarsi. Si torna alconsolato, sempre più incapace di imporreil suo governo: «universus populus factusest inobediens consulatui», annota, nel1193, il cronista Ottobono Scriba. Ogni an-no un consilium de regimine decide se lacittà debba essere governata da un podestào dai consoli. Disordini e particolarismo

non hanno limiti: nel 1194, nel pieno di unavera guerra contro gli Spinola e i Grimaldi– allora alleati, più tardi alla testa di oppo-ste fazioni – i Della Volta, una delle mag-giori famiglie genovesi, nominano tre con-soli per conto proprio. Solo nel 1217 il nuo-vo regime si stabilizza. Il podestà è un fore-stiero e forestieri sono i giudici, gli ufficiali,i cancellieri che lo accompagnano e il cuiruolo non va sottovalutato, tanto più che inquesti anni si mette mano alle prime em-brionali compilazioni dello statuto cittadi-no. L’evolvere delle forme istituzionali nonintacca la prevalenza delle più potenti con-sorterie, garantita dalla presenza degli ottoconsiglieri, nobili genovesi designati, al-l’arrivo del podestà, dai consiglieri uscenti. A ridisegnare la fisionomia del patriziatogenovese è piuttosto l’estendersi del domi-nio territoriale sulle Riviere. Una parte del-l’aristocrazia cittadina si rifeudalizza ac-quistando le terre degli sconfitti signori del-l’interno e subentrando a costoro nel rap-porto di vassallaggio verso l’imperatore,mentre altri lignaggi liguri perdenti sonoaggregati alla Compagna e i Fieschi, adesempio, un ramo secondario dei conti diLavagna, si stabiliscono a Genova. I vinco-li di parentela allacciati tra gli uni e gli altripotenziano i nuovi gruppi consortili, chesotto gli ambigui nomi di “guelfi” e “ghibel-lini” si affronteranno in una lotta secolare.Nel contrasto tra il papato e l’impero, la re-pubblica, che si è mantenuta neutrale il piùa lungo possibile attraverso una politicaspregiudicata e cioè combattendo con en-trambi, finisce per allearsi col Pontefice,tanto più che l’odiata Pisa s’è affiancata aFederico. Le interne divisioni allora precipitano. Al-cune famiglie si gettano dalla parte impe-riale: i Doria per conservare – contro lepretese romane – i loro possessi di Sarde-gna, gli Spinola e i De Mari per timore diveder minacciate le loro terre feudali d’ol-tre Appennino. Motivi analoghi giocanodalla parte opposta: i Marocelli e gli Em-briaci, subentrati al marchese Del Bosconel possesso di Varazze – cui aspira ancheSavona, insofferente del dominio genovesee protetta da Federico – sono alla testa del

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partito guelfo, cui dà maggior impulso, nel1243, l’elezione al soglio pontificio del ge-novese Sinibaldo Fieschi, creato papa colnome di Innocenzo IV. La frangia più impe-gnata dei ghibellini va in esilio, l’altra restain città, spina nel cuore delle famiglie guel-fe che reggono il comune. Nella fase più pe-ricolosa del conflitto contro l’imperatore,queste ultime ritengono opportuno allarga-re la base del governo attraverso una nuo-va magistratura, i due “capitani del popoloe del Comune”, scelti però tra i nobili e mu-niti di poteri assai limitati. Ma quando lamorte di Federico, nel 1250, pone fine alleostilità, l’apertura verso il popolo, che len-tamente ha guadagnato spazio all’internodel Consiglio cittadino – qui, a fianco di no-bili, avvocati, notai, siedono ora i primi“banchierii”, “draperii”, “fornarii”, “ferra-rii” – appare superflua se non pericolosa. Ilgoverno richiama dall’esilio i fuoriuscitighibellini che avevano combattuto perl’imperatore e accorda loro una grossasomma per i danni sofferti. Gesto insolito,nell’atmosfera italiana del tempo, dettatonon tanto da un desiderio di concordiaquanto dalla necessità di rafforzare la no-biltà di fronte al popolo che punta ad au-mentare il proprio peso politico. La pacificazione però è solo momentanea.Alla prima congiuntura negativa – nel 1256falliscono parecchi lanaioli e almeno duetra i maggiori banchieri; la Francia non or-dina nuove navi e non paga le vecchie – ighibellini ricordano i loro rancori e il popo-lo i suoi sacrifici. Da questa alleanza matu-ra la sommossa che nel 1217 porta al go-verno della città un “popolare”, ma ricco epotente e imparentato con i nobili, Gugliel-mo Boccanegra, prozio del futuro doge Si-mone. Il popolo minuto che ha preso a sas-sate il podestà uscente – assolto dai “sinda-catori” nonostante le sue provate malver-sazioni –, proclama Guglielmo capitano delpopolo con un mandato decennale e pienipoteri. Non è un semplice rovesciamento difazione, come avrebbero voluto i ghibellini,né la semplice restaurazione della magi-stratura dei due capitani. Si tratta di un ve-ro e proprio mutamento di regime. La figu-ra del Boccanegra è più simile ai signori

dell’età successiva che ai capitani del popo-lo – eletti per un solo anno, nobili e fore-stieri come i podestà – proclamati al suotempo nelle altre città italiane. La rotturacol fronte nobiliare diviene irreparabilequando Guglielmo, per risanare le dissesta-te finanze dello stato, vara la sua riformapiù coraggiosa: la conversione di tutto ildebito pubblico in prestito consolidato e re-dimibile ad interesse fisso. Il Comune nonpassa la spugna sui debiti contratti, ma liequipara ai prestiti forzosi – il prestito pub-blico coattivo con cui nel Medioevo città estati finanziano la guerra –, sui quali paga ilmodico interesse dell’8 per cento, riservan-dosi il diritto di riscattarli al prezzo origina-rio. I più danneggiati sono proprio gli uo-mini del vecchio governo e sottogovernoguelfo, che a prezzo di favore hanno com-perato in anticipo e per molti anni le entra-te ordinarie del Comune. A placare l’ani-mosità di parte, non bastano i successi chela spregiudicata politica coloniale di Gu-glielmo ha conseguito in Levante. Nel 1261l’imperatore greco Michele Paleologo con-cede ai genovesi una serie di scali e privile-gi in tutto il territorio bizantino in cambiodel loro aiuto per sottrarre Costantinopoliall’imperatore latino e ai suoi alleati vene-ziani. È il punto di partenza della grandeaffermazione genovese nel Mar Nero. Ma lenotizie inebrianti giunte da Costantinopoli– i genovesi, a suon di musica, hanno di-strutto il palazzo del rappresentante vene-ziano – non valgono a stroncare la sedizio-ne che i guelfi Grimaldi hanno ordito con-tro il “tiranno”. Il suo esercito e quello degliinsorti, meglio armato, si scontrano nellevie cittadine. Lanfranco Boccanegra, fratel-lo del capitano, cade combattendo per ma-no di un Grimaldi, mentre Guglielmo ripa-ra ad Aigues– Mortes, al servizio del re diFrancia.Al governo forte di Guglielmo Boccanegrasono mancati i necessari raccordi, che soloformalmente – a Genova come altrove – siidentificano con le istituzioni, costituiti inconcreto dai potenti clan nobiliari ormaiconsolidati in entità autonome. Al riaprirsidelle ostilità, le partizioni del fronte aristo-cratico si precisano ulteriormente: le fazio-

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ni in contrasto continuano ad appoggiarsiai due partiti che si combattono in tutta Ita-lia, ma gli annali genovesi non parlano piùdi guelfi e di ghibellini, bensì di “illorumde Grimaldo” e/o “de Flisco” per i primi, di“illorum de Spinula” e/o “de Auria” per isecondi. Nella coscienza dei contempora-nei le fazioni sono soprattutto locali, rivoltealla prevalenza in città. Incapace di conte-nere la conflittualità, il governo podestarileripristinato alla caduta del Boccanegra èsostituito, tra tumulti e “rixae”, da una ma-gistratura straordinaria con pieni poteri,una sorta di balìa formata da due nobili,prima di parte ghibellina, poi, con l’affer-mazione angioina in Sicilia, di parte guelfa. Ma è proprio l’ingerenza del sovrano fran-cese, che vuole costringere Genova all’ac-cettazione di un protettorato sia pure in for-ma di alleanza, a capovolgere la situazione.Contro il governo guelfo dei Grimaldi, fau-tori di una politica filoangioina e immedia-tamente banditi dalla città, la nobiltà ghi-bellina e il popolo genovese impongonocon la sollevazione del 28 ottobre 1270 ladiarchia di Oberto Doria e Oberto Spinola,capitani con illimitati poteri. Nelle occasio-ni più solenni siede tra loro l’abate del po-polo, figura più rappresentativa che dotatadi reale peso politico, eppure avvalorantel’immagine di un governo di “popolo” – ter-mine che designa i gruppi di potere in asce-sa, non essendo mai lungo tutto il Medioe-vo e ben oltre i titolari di pieni diritti politi-ci la totalità degli “aventi diritto” – guidatoda nobili. Formula ambigua, che pure co-stituisce l’unico equilibrio possibile e ri-specchia potenzialità e limiti delle forze so-ciali in campo: una nobiltà ricca per traffi-ci, armamento navale, attività creditizia epossessi fondiari, ma divisa in due fazionipressoché pari di forza, e quindi costretta aricorrere all’elemento popolare per preva-lere sull’altra; un popolo di mercanti, di ar-matori e di artigiani, che in questo giocopolitico aperto rivendica la partecipazioneall’amministrazione pubblica senza essereancora in grado di aggiudicarsene la dire-zione. Senza interruzioni il governo fortementeaccentrato dei diarchi ghibellini regge la

repubblica per quindici anni. Quindici anninei quali Genova combatte e vince contro ilguelfismo dell’Italia intera, contro Carlod’Angiò sostenuto dal Papa e alleato con iprofughi Fieschi e Grimaldi, contro le cittàrivierasche sempre pronte a sollevarsi.Questo periodo di insolita stabilità internasegna l’apogeo della potenza genovese nelMediterraneo e ha il suo coronamento nel-la duplice vittoria sulle rivali Pisa e Vene-zia. Alla Meloria, in una della più grandibattaglie navali del Medioevo, nel 1284 Ge-nova sconfigge definitivamente Pisa chenon risorgerà più come potenza navale,mentre lo scacco subito nel 1298 dalla flot-ta veneziana nelle acque di Curzola nonconclude ma proroga il duello terminatoun secolo dopo – e con tutt’altro risultato –a Chioggia. Il caparbio individualismo dei genovesi –artefice primo delle loro avventure sul ma-re, dei fortunati commerci, di imprese bel-liche gloriose, ma altresì responsabile di unparticolarismo che ha privilegiato la cresci-ta dei gruppi familiari a scapito della sal-dezza dello stato e – delle sue istituzioni –nel momento del massimo splendore traci-ma e le opposizioni di interessi e di strate-gia si radicano anche all’interno della pro-pria fazione, dello stesso clan gentilizio. Ilfronte ghibellino Doria-Spinola si incrina ele lotte civili riesplodono violente. Nel 1289iniziano le prime defezioni: alcune famiglieghibelline appoggiano una congiura orditadai guelfi Fieschi e stroncata dai Doria, ac-corsi in arme con il loro seguito. Il sostegnopopolare diviene sempre più indispensabi-le. Doria e Spinola cercano di conservarealmeno in parte l’antica prevalenza, divi-dendo in parti eguali tra nobili e popolaritutti gli uffici pubblici. Per il popolo chevent’anni prima si era accontentato di unaparvenza di partecipazione limitata alle ca-riche minori, è un avanzamento decisivo.Ma l’equilibrio resta precario. Una feroceinsurrezione guelfa insanguina le stradedella città tra il dicembre del 1296 e il feb-braio del 1298: persino il Duomo vienedanneggiato. Gli elementi in gara per il potere si sonomoltiplicati e il gioco delle alleanze si è al-

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largato. Gli Spinola sono astiosamente divi-si nei due rami detti di Lucoli e di San Lu-ca, mentre Bernabò Doria, legato in paren-tela con i milanesi Visconti e più volte capi-tano, non fa causa comune con la sua casa.Il tentativo di dominio personale del ric-chissimo Opizzino Spinola di Lucoli è bloc-cato dalla momentanea convergenza for-mata dai Guelfi Fieschi e Grimaldi e daighibellinissimi Doria. La coalizione deglielementi in gara tra loro per il potere, espesso tra loro contrastanti, impedisce ogniforma duratura di dominio e perpetua il di-sordine fino a farlo apparire cronico e insa-nabile. Sperando di raggiungere un certogrado di stabilità interna, nel 1311 i geno-vesi affidano il potere all’imperatore Enri-co VII. Si tratta naturalmente di una sotto-missione negoziata, nella quale sono con-servate le interne autonomie e le attribu-zioni dei magistrati locali, ma al di là dellaportata politica e giuridica di tali accordi, èevidente come le lotte civili abbiano fiacca-to il fiero orgoglio repubblicano che avevafatto affrontare tanti rischi ai tempi di Fede-rico II e di Carlo d’Angiò. Due anni dopo,alla morte di Enrico, le contese riprendono.Nel 1317 i nobili guelfi, sempre avversi adogni pur parziale partecipazione popolareal governo, abbattono il nuovo regime deiventiquattro governatori metà nobili metàpopolari – fragile tentativo di collaborazio-ne altre volte tentato – e nominano capitanidel popolo due dei loro. Si ricostituisce allo-ra una netta divisione tra le parti. I ghibel-lini Doria e Spinola, ora tutti esuli, riavvici-nati nella disgrazia comune e collegati coni grandi feudatari – i marchesi del Carretto,di Clavesana, di Ceva, i conti di Ventimigliae di Laigueglia – mettono a soqquadro laRiviera occidentale e occupano Albenga eSavona. Il conflitto, a questo punto, si inse-risce nella lotta che divide l’Italia intera. Inaiuto ai ghibellini genovesi, Marco Visconticinge d’assedio la città, che nel 1318 i nobi-li guelfi al governo consegnano a Roberto,il re angioino di Napoli. I nobili ghibellinicontinuano a guerreggiare per tredici anni,mentre il disordine si estende alle colonie.L’ascesa dei gruppi popolari – rimasti, neilimiti del possibile, fuori dalla mischia –

sollecita la ricomposizione del fronte nobi-liare, indebolito negli uomini e nei mezzidalla strenua lotta. Nel 1311, i guelfi apronole porte della città agli esuli ghibellini. Latregua è breve e appena quattro anni dopo,con l’ennesimo rivolgimento, Doria e Spi-nola allontanano il vicario angioino, cac-ciano i guelfi e impongono una nuova diar-chia. Ma il popolo, che ha accresciuto forze,capacità e pretese non è più disponibile al-la vecchia alleanza.Le elites venute dai traffici e dalla naviga-zione – mercanti, corsari e banchieri le cuiricchezze sono rifluite anche nell’investi-mento fondiario, hanno alle spalle quasi unsecolo di vita pubblica e sono ora in gradodi rivendicare non un “governo di popologuidato da nobili”, ma un governo favore-vole al popolo. Tanto più che a tali elites siaccostano i gruppi emergenti interessati al-le attività artigianali più redditizie della se-ta e dell’oro filato, né mancano nella com-ponente più povera della società genovesereali ragioni di disagio acuite dalle perenniguerre interne ed esterne. Quando i capita-ni si arrogano l’elezione dell’abate del po-polo, in passato scelto dal popolo stesso, sisollevano le prime voci dei “malcontenti”.Un’altra scintilla della rivolta scocca sulmare. In Fiandra, sulle galee genovesi alservizio del re di Francia, è nata una “granrissa” tra il capitano dell’armata AntonioDoria e la “turba de’ marinari”, che lamen-tano di non aver avuto le “paghe intere”. Imarinai rientrati a Savona, aizzano la plebeche abbatte il podestà e offre il governo adue cittadini popolari. Allora i capitani ge-novesi, per allentare la tensione, concedo-no al popolo di designare i “venti huominidel suo corpo” che eleggeranno l’abate. Mail 23 settembre del 1339, mentre nel pubbli-co palazzo i delegati popolari prolunganocon le usuali “gare de’ favori” l’elezione delnuovo abate, è la piazza ad acclamare pri-ma abate, poi – in un crescendo corale cheil racconto della tradizione storiograficabene sottolinea – “dominus” e infine “dux”Simone Boccanegra. Il giorno seguente,sulla piazza davanti alla chiesa di san Lo-renzo, presente il popolo armato cui si èunita la plebe del contado, Simone è creato

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e confermato “Doge perpetuo della città”,affiancato da alcuni consiglieri “tutti delcorpo del popolo”.14

Due immediati provvedimenti danno il ca-rattere del mutamento in atto, che sostitui-sce al governo della nobiltà il dominio del-la ricca borghesia mercantile e marinara:la definitiva esclusione da ogni ufficio deiguelfi, sempre dimostratisi avversi al popo-lo, e l’esclusione di tutti i nobili dalla caricadogale. Il compito che si presenta al nuovodoge è arduo: l’erario è esausto, le gabellequasi tutte ipotecate in favore dei creditori,i commerci ostacolati dalle scorrerie corsa-re e i territori della repubblica in mano airibelli. Ma durante il primo anno di dogadoSimone Boccanegra riesce a sottomettere ifeudatari ribelli, a recuperare i possedi-menti genovesi sulle due Riviere e nell’Ol-tregiogo e a sventare le numerose congiureche la nobiltà estromessa dal governo ordi-sce contro di lui. Interprete delle attese po-polari, nel 1340 vara una oculata riforma fi-nanziaria intesa ad alleggerire il carico fi-scale e, insieme, a rafforzare le casse dellostato. Il continuo ricorso al prestito forzosoobbliga infatti il Comune, per far fronte al-la corresponsione degli interessi, alla im-posizione di nuove imposte, a nuove addi-zionali su quelle preesistenti e in definitiva,quindi, ad un ripetuto intollerabile aggra-vio fiscale particolarmente sentito dai cetimeno abbienti. Il Boccanegra cerca di rior-dinare il debito pubblico, che a Genovasfiorava allora i tre milioni ed era compen-sato con interessi fissi varianti dal 6 al 10per cento.15 Consolida in un unico montetutti i debiti preesistenti e, forte del succes-so della rivoluzione, attua una misura che,frequente presso altre città in situazionid’emergenza, per la Genova di allora èun’ardita innovazione: disconoscendo glioriginari impegni statuali verso i rispar-miatori, egli ripudia quasi i due terzi del de-bito in interessi, lasciando tuttavia integroil capitale nominale. Ma il risparmio è dra-sticamente colpito con un secondo provve-dimento: al tasso d’interesse rigido è sosti-tuito quello variabile, ovvero si lega l’entitàdel compenso per il capitale sborsato alreale gettito dell’imposta assegnata ai com-

peristi all’atto dell’emissione del prestito.Questa misura, che una volta tanto privile-gia l’interesse dello stato e quindi della col-lettività su quello dei ceti più favoriti, tende,con l’alleggerimento dell’onere della pub-blica finanza, a dare fissità e certezza al ca-rico fiscale e a rendere disponibili per le fu-ture esigenze dell’erario le eventuali entra-te non ancora impegnate al servizio del de-bito. La portata di questi provvedimenti,che avrebbero potuto risollevare le finanzedello stato, è ridotta solo dalla loro tempo-raneità: la caduta del doge segnerà infattiun rapido ritorno all’antico. Proprio questa coraggiosa politica finanzia-ria e la tendenza ad accentrare nelle suamani il potere distribuendo gli incarichipiù importanti tra i suoi congiunti – il fra-tello Giovanni nel 1340 è nominato vicarioprima della Riviera orientale e quindi diquella occidentale, poi sarà in Corsica co-me governatore –, alienano presto al Boc-canegra non poche simpatie anche fra i po-polari. La base d’appoggio del suo potere siassottiglia. Né la politica di pace perseguitacon Pisa – l’antica rivale con la quale nelgiugno del 1341 si prolunga la pace già esi-stente per altri venticinque anni – e con Ve-nezia, politica che pure conferisce grandeprestigio alla figura del Boccanegra, è suffi-ciente a mantenere “quieto” il suo governo.Né meriti sufficienti gli acquista il tentativo,peraltro fortunato, di rafforzare la sicurez-za e la potenza delle colonie genovesi inOriente, difendendo le basi in Crimea se-riamente minacciate dai Turchi. A partiredal 1342 il doge unisce le forze genovesi aquelle veneziane per combattere i tartari diGianibek, imperatore del Kipcak, che han-no assalito i commercianti genovesi e ve-neziani di Tana e nel 1344 pongono l’asse-dio a Caffa, la più importante colonia geno-vese sul Mar Nero. Con l’aiuto della Sere-nissima i genovesi costringono i tartari a ri-tirarsi e Boccanegra può cosi ricevere inpatria un inviato dell’imperatore Gianibekvenuto a chiedere la pace. Ma il brillante successo non attenua le ten-sioni interne. Se i nobili non hanno mai de-sistito dall’ostacolarlo, ora anche molti po-polari gli rimproverano il governo sempre

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più assoluto e lo sperpero del denaro pub-blico impiegato nel mantenimento del suoesercito personale – assoldato allo scopo direprimere le frequenti congiure e gli attac-chi dei nobili fuoriusciti – e nel lusso dellacorte sfarzosa di cui ama circondarsi16. Per-duto l’appoggio dei popolari, all’inizio deldicembre 1344, il doge tenta un accordocon i nobili fuoriusciti, promettendo diriammetterli al governo della repubblica.Ma l’accordo non è raggiunto poiché Simo-ne rifiuta di allontanare dalla città i merce-nari al suo servizio. Dopo questo insucces-so, convoca il popolo e, ricordate le propriebenemerenze verso la città e difeso il suooperato, abbandona spontaneamente il po-tere, imbarcandosi alla volta di Pisa con piùdi 100.000 fiorini d’oro17. La sua uscita dalla scena non è tuttavia de-finitiva. L’elezione di un nuovo doge, infat-ti, aggrava le contese, nelle quali si insinuacome arbitro Luchino Visconti, il signore diMilano. Dopo il dogado di Giovanni diMurta – importante per la spedizione d’O-riente che porta alla conquista di Scio –, lariaccesa guerra con i veneziani e con i ca-talani e l’acuirsi delle lotte intestine nel1353 inducono i genovesi ad affidare la si-gnoria della città all’arcivescovo di MilanoGiovanni Visconti. I rapporti di SimoneBoccanegra con i Visconti non sono affattochiari. Dal suo esilio pisano forse ne sostie-ne i tentativi: un appoggio che secondo ilcronista milanese Pietro Azario gli avrebbefruttato ingenti somme di denaro. Oppure –come risulta dalle cronache genovesi chenon accennano a tal gesto infamante – è ilVisconti a rivolgersi a lui nel tentativo diplacare il malcontento genovese nei con-fronti di Milano. È evidente però che appe-na rientrato in Genova, il Boccanegra siunisce ai popolari nella rivolta antiviscon-tea. Il presidio milanese è cacciato dallacittà il 14 novembre 1356 e il giorno se-guente Simone Boccanegra è acclamato do-ge per la seconda volta. Il suo governo è caratterizzato dalla stre-nua ripresa della politica antinobiliare edall’antagonismo con i Visconti, in cui alleragioni politiche si mescolano risentimentie motivi di inimicizia familiare. Come già si

è ricordato, il doge ha dato in sposa la figliaMaddalena al già citato Luchinetto Viscon-ti, figlio di Luchino, costretto a fuggire dalMilanese per l’ostilità dei congiunti Bar-nabò e Galeazzo, che lo consideravano unimpostore e non riconoscevano le sue pre-tese all’eredità paterna. Con Venezia, inve-ce, il doge cerca di appianare ogni diver-genza. Nello sforzo di unire in lega le duerepubbliche contro il pericolo turco, acco-glie dunque l’invito di Petrarca, adoperato-si nelle trattative – è suo il “messaggio” che“per Venezia / supplica pace” ricordatonella grandiosa scena del Consiglio, inseri-ta da Boito nella riedizione dell’opera ver-diana del 1881. Ma la morte gli impediscedi portare a termine questo grandioso pro-getto che aveva l’appoggio dell’imperatored’Oriente e del papa. Nel marzo del 1363,mentre la nobiltà congiura contro di lui e ilpopolo comincia a rinfacciargli gli stessi di-fetti del primo dogado – l’avidità, il nepoti-smo, le spese eccessive –, Simone Boccane-gra muore improvvisamente, avvelenatosecondo la voce di tutti gli annali e le cro-nache genovesi, dopo aver partecipato adun banchetto in onore del re di Cipro, Pie-tro Lusignano, in casa del nobile genovesePietro Marocello. Il prestigioso titolo dogale e il nuovo regi-me popolare non attenueranno lo stato diperpetua belligeranza della vita politica ge-novese. Anzi, la nuova classe dirigente,strutturata anch’essa in potenti clan fami-liari e consorterie, sarà più divisa e faziosadella vecchia aristocrazia, che esclusa dal-la suprema autorità, ma non, dopo un pri-mo momento – quello appunto del dogeBoccanegra –, dalle missioni diplomatichee dalle cariche militari e navali, con il suotorbido parteggiare aggraverà le contesegià durissime tra i nuovi governanti. A Ge-nova l’instabilità più violenta continueràad essere la cifra costante della vita pubbli-ca. Al grido di “vivant populus et mercato-res et vivat dux”, Simone Boccanegra erastato eletto “doge perpetuo”. Ma dei sedicidogi, che nel corso del Trecento si avvicen-dano dopo di lui nella massima dignità, so-lo tre muoiono in carica. Gli altri o abdica-no o sono deposti in modo violento.18 Come

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scriveva alcuni secoli dopo Andrea Spino-la, i Genovesi erano “fattiosi di natura”.19 Inquesto gioco politico sostanzialmente aper-to un regime politico di natura autoritariastenta ad affermarsi in modo continuato.

NOTE

1 G. CANALE, Simonino Boccanegra, Capolago 1833. 2 G. MAZZINI, Epistolario, Firenze 1902, I, pp. 267–268.Nella lettera alla madre del 10 agosto 1834, Mazzini,esule a Losanna, osservava che i due cori avevano «as-sai del bello», quello «soprattutto, che intuona un cantodi guerra, contrastando con un coro tutto di pace ... ri-vela ingegno».3 G. CANALE, Simonino Boccanegra, p. 148. 4 Ibid., p. 29.5 Ibid., pp. 38–39.6 Ibid., p. 54.7 Ibid., p.50.8 D. PUCCINI, Il «Simon Boccanegra» di Antonio GarciaGutierrez e l’opera di Giuseppe Verdi, in «Studi Verdia-ni», III (1985), p. 123. 9 J. BUDDEN, Le opere di Verdi, Torino 1985, I, p. 30. 10 G. VILLANI, Cronaca, a c. di F.G. DRAGOMANNI, Milano1849, l. XI, cap. CII.11 G. ORTALLI, Il travaglio d’una definizione. sviluppimedievali del dogado, in I Dogi, a c. di G. BENZONI, Mi-lano 1982, pp. 13– 44.12 Cfr. G. AIRALDI, Genova e la Liguria nel Medioevo,in Id. e A.M. PATRONE, Comuni e signorie nell’Italiasettentrionale: il Piemonte e la Liguria, Torino 1986. 13 Ibid.14 P.F. SCRIBANIS, Simone Boccanegra, in G. GRILLO, Elo-gi di liguri illustri, Genova 1864, I, pp. 132-137. 15 Ibid., p. 464.16 G. BALBI, Simone Boccanegra, in Dizionario Biogra-fico degli Italiani, sub voce. 17 G. VILLANI, Cronaca, l. XI, cap. CXII.18 L. LEVATI, I dogi perpetui di Genova, Genova 1928. 19 O. RAGGIO, Faide e parentele. Lo stato genovese vistodalla Fontanabuona, Torino 1990, p. XII. Lo Spinolascrive intorno al 1620.

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Foto delle prove di Simon Boccanegra. Regia di Elio De Capitani. Venezia, PalaFenice, gennaio 2001.

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Elio De Capitani, firmando la messa in sce-na del Simon Boccanegra fai il tuo esordiocome regista su di un palcoscenico lirico.Tra l’altro, hai lavorato su una delle piùbelle e problematiche opere di GiuseppeVerdi; quali sono ora, a lavoro concluso, letue sensazioni a proposito di questa espe-rienza?

La scoperta più interessante che ho fatto èquella del Verdi regista. Sì, perché il compo-sitore ha un’idea molto precisa della regia,ed ha costruito lo spettacolo pensando nonsolo alla fattura musicale, ma anche allastruttura drammaturgica del testo (mi rife-risco soprattutto alla versione del 1881,quella che mettiamo in scena). Non credoche il teatro dell’epoca, quella di prosa in-tendo, fosse così avanzato dal punto di vistadella costruzione drammaturgica. Basta ri-cordare qualche particolare: Simone, peresempio, è un protagonista che non ha am-pi momenti solistici, non ha arie vere e pro-prie, eppure è sempre al centro della scena,anche nei pensieri degli altri personaggi.Oppure, si pensi ai concertati: là dentro cisono voci diverse, ma non solo dal punto divista timbrico. Ciascuno dei personaggiespone un personale modo di intendere lecose, la vita, gli affetti, la morte. Tornando aSimone, va aggiunto che si tratta di perso-naggio sfaccettato, che contiene in sé moltepulsioni; tra l’altro, c’è un tema, che possia-mo definire come “borghesemente ottocen-tesco”, ruotante attorno al problema dellaverginità. Quella macchia, quel lieve e in-confessabile sospetto che tocca l’onore diMaria, e che tocca anche Maria/Amelia, èuna vera ossessione per tutti i personaggimaschili, da Fiesco a Simone, i quali metto-

no in luce un sentimento, tipicamente bor-ghese, lo ripeto, del possesso assoluto e tota-lizzante del corpo femminile.

Nel tuo lavoro come regista di prosa, al-l’Elfo, hai sempre dimostrato una passioneteatrale strettamente legata a una passionecivile, per un teatro insomma che fosse an-che “politico”, nel senso nobile del termine.Credo che in Verdi, e soprattutto nel Simo-ne, tu abbia ritrovato questi temi, cari allatua poetica di regista…In quest’opera c’è un Verdi politico moltoevidente, ma già pessimista, che alza uncanto nella speranza di ritrovare un’armo-nia, anche politica. Nella festa del Doge(versione 1857), l’inno era un semplice in-no di lode al nuovo potente, nella versione1881, il musicista sembra amareggiato daun Risorgimento che non avrebbe dato – edè un problema ancora attuale – un’unitàreale tra popolo e classe dirigente, i cui di-fetti Verdi squaderna in maniera incontro-vertibile. Infatti, per bocca di Simone (alquale credo sia possibile, senza fare del fa-cile psicologismo, regalare qualche trattodel Verdi uomo), il musicista condanna al-lo stesso tempo le classi dirigenti, i potenti,ma anche il popolo. Simone, come farà Yth-zak Rabin molti anni dopo di lui, dice che lapace va fatta con i nemici, ossia con il pa-dre della donna che lui ha rapito. Per taleragione, quando Simone muore – e il corointona «No! Boccanegra!» – ho voluto che ilcoro non fosse fuori scena, ma entrasse inpalcoscenico, e contemplasse il corpo delDoge con incredulità e rammarico, come sesi rendesse conto solo in quel momentodell’occasione che è andata perduta, ossiaquella di sedare i conflitti e ritrovare l’ar-

INTERVISTA A ELIO DE CAPITANIa cura di CARMELO DI GENNARO

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monia, obiettivo che Boccanegra avevaperseguito per oltre venticinque anni.

Cosa vedremo sulla scena, ossia che tipo discenografia avete immaginato tu e CarloSala, autore di scene e costumi?Il contraltare alla tematica politica, che ècosì visibile nella scena del Consiglio e neimomenti iniziali dell’opera, dominati dalpersonaggio di Paolo Albiani (il vero politi-co moderno, un personaggio bellissimo,quasi scespiriano, un uomo che cerca l’a-scesa sociale, anche a prezzo della corru-zione; senza di lui, tra l’altro, Genova nonavrebbe avuto Boccanegra come Doge), èl’incubo di Simone a proposito della mortedi Maria. L’avventura inizia con lei chemuore, senza che Simone possa redimernela vita, le scelte, ossia senza averle fatto ot-tenere il perdono del padre. Ora, il caso havoluto che noi (io e Carlo Sala, che mi haproposto quest’idea, alla quale ho aderitocon entusiasmo) si sia individuato il monu-mento funebre che Arrigo VII, venuto a Ge-nova, commissionò a Giovanni Pisano pro-prio in memoria della giovane moglie, de-ceduta a causa della peste. Il matrimonio diArrigo era un matrimonio d’amore, nond’interesse (circostanza allora rarissima aquei livelli sociali), e questa commissione –l’anima della moglie sorretta da due angeliche si distacca dal corpo – ha valenza pri-vatissima, quella di commemorare un do-lore intimo. C’è piaciuto immaginare, dun-que, questa effigie sempre presente nellavita e nelle azioni di Simone, il quale accet-ta un incarico pubblico pur nella consape-volezza che per lui, dal punto di vista pri-vato, tutto è finito, non ha quasi più senso;tra l’altro, i frammenti della sua vita dimi-diata si rinsalderanno solo alla fine, quan-do dovrà morire. In questo Verdi si dimo-stra amarissimo e beffardo, poiché la spe-ranza e la gioia si mischiano alla morte, al-la fine di tutto. L’invocazione finale di Si-mone a Maria, che sovente il pubblico in-tende come un appello alla figlia e che in-vece è rivolta alla moglie, sottolinea la sod-disfazione di un uomo in punto di morte,che però ha almeno ottenuto la pace. Dun-que, questa statua ha il compito di eviden-

ziare il “liricamente privato” in Simone, ri-spetto al lato “politico” che lo domina, vo-lente o nolente.

Continui a mettere in evidenza, dunque, lascottante attualità dei contenuti di quest’o-pera, sia dal punto di vista politico, sia dalpunto di vista dello scandaglio dei senti-menti…Non c’è una pedissequa cronaca politica,nel Simone, ma c’è la descrizione di una so-cietà che ricorda moltissimo quella di oggi.Dal 1945 ad oggi abbiamo fatto grandi cose,abbiamo sconfitto il fascismo, abbiamo co-struito un paese per molti versi moderno,ma non siamo ancora riusciti a creare unasocietà che condivida una cultura comune.Quello di Verdi non è solo un inno alla fra-ternità, ripeto, ma anche un atto d’accusa, apatrizi e popolo incapaci di costruire unanazione e una cultura comune, nazionale.

È anche per questo motivo, dunque, che haideciso di abbigliare i personaggi dell’operain fogge moderne?Non volevo assolutamente attualizzare l’o-pera, come dicevo prima non ce n’è assolu-tamente bisogno, è un’opera moderna per-sino nelle parti che sembrano più conven-zionali, permettendo tali e tante possibilitàdi recitazione ai personaggi che all’inizionemmeno io sospettavo. L’ho fatto sempli-cemente per togliere il consueto apparatoscenico che ci fa percepire il Simone comevicenda di un’altra epoca, di un altro mon-do. Ho voluto permettere a tutti di guardar-lo con un altro occhio, non avendo sotto ilnaso una lontananza che fa sembrare chesi stia parlando di altre epoche. Il mio nonè uno sforzo per attualizzare l’opera, lo vor-rei ribadire con forza. La mia regia certa-mente pone lo sguardo sulla società odier-na, ma secondo un’angolatura che io, comeartista, sento; ossia, la circostanza che an-cora oggi si faccia teatro, si faccia cultura,senza sapere bene per chi la si faccia. Biso-gna ogni volta costruirsi un pubblico diver-so, inventarsi delle situazioni, dato che an-cora non è chiaro quali siano le autentichebasi della nostra cultura nazionale; non ab-biamo nemmeno – tanto per fare un esem-

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pio – una legge sul teatro, non che questasia così importante, ma è un indice del fat-to che la cultura importa poco a chi ci go-verna. Quindi quell’invettiva di Verdi, allaquale facevo accenno sopra, centoventi an-ni dopo ha ancora senso. Il meccanismodella politica, vissuta come abile gioco daPaolo, è oggi sceso a un livello veramenteinfimo; ciò non significa evitare i compro-messi, o illudersi di non considerare la po-litica come luogo di scambio di favori, si-gnifica però poter esercitare l’arte dellamediazione con ogni mezzo a un livello al-to, talvolta persino nobile. C’è un altroaspetto bellissimo di Simone che vorrei sot-tolineare: egli, pur avendo preso il poteregrazie alle manovre di Paolo, alla fine nonaccetta lo scambio, non rispetta il bieco pat-to di potere non solo per motivi privati, cer-to, ma anche perché ha appreso la ragion distato.

Ti sei fatto guidare, nel preparare questatua regia, maggiormente dalla musica o dallibretto?Il libretto, che è scritto certamente in ma-niera molto intelligente, però non può gui-darti per la messa in scena. È la musica chesi assume questo compito. Verdi non si li-mita a mettere in musica il libretto, bensìdiventa autore della drammaturgia con lamusica. La cosa straordinaria di Verdi èquesta: quello che non c’è nel libretto sonoi pensieri, i quali invece sono tutti contenu-ti nella musica. La continua frammenta-rietà narrativa di questo incredibile melo-dramma è dovuta al fatto che la musica de-scrive i pensieri, anche solo con tre note,con una piccola frase. Questa è una cosafantastica, una sorta di continuo sottotesto,che ti soccorre nel costruire una regia. Peresempio il libretto, talvolta, è un po’ noioso,nella sua pedanteria ritmata, mentre lamusica non lo è mai, assolutamente. Verdiha fatto, lo ripeto, una drammaturgia che èregia; una regia che non è però un’indica-zione dei movimenti scenici, quanto piutto-sto una continua sottolineatura dei pensie-ri, delle emozioni intime dei personaggi.Per me è stato esaltante lavorare su di unautore con una simile idea del palcosceni-

co, della regia.

Che funzione hanno, nella tua messa inscena, i video?Assolvono la funzione di costruire, assiemealle luci, una scenografia che evochi i luo-ghi, gli ambienti, senza essere pedante-mente realistica. Tra l’altro, i video ci sonoserviti per rendere l’idea della natura am-bivalente del mare, quel mare al quale Si-mone anela come refrigerio prima di mori-re, ma che è anche un luogo torbido, scuro.Un’immagine ripresa da Francesco Fron-gia (che ha appunto curato la parte video) èriuscita a incarnare la potenza negativa delmare (che potrebbe essere, in senso trasla-to, anche quella del bicchiere d’acqua avve-lenato fatto bere a Simone), un’acqua cheinvita a una immersione da suicidio. C’è ununico momento che, così come nell’opera èdiverso, è radicalmente differente anchenei video, ossia quando Amelia, nel primoatto, canta uno stranissimo sogno di fiorisull’acqua; questo è l’unico momento a co-lori del nostro spettacolo, che altrimenti simantiene sempre su toni in bianco e nero,proprio perché lì anche la musica è a colo-ri. Un’opera, insomma, che ha grande si-gnificato fare oggi; tra l’altro sono rimastofortemente impressionato dai cantanti, chesi sono impegnati anche nella recitazionein maniera totale, dandomi soverchia at-tenzione, e disponibilità a cogliere ogni miosuggerimento.

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SIMON BOCCANEGRA ALLA FENICE

Simon Boccanegra. Forniture scenografiche Ercole Sormani, Milano e regia di Augusto Cardi. Venezia,Teatro La Fenice, gennaio 1950. (Archivio Storico del Teatro La Fenice).

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Simon Boccanegra. Scene di Enzo Deho e regia di Renzo Frusca. Venezia, Teatro La Fenice, 1964.(Archivio Storico del Teatro La Fenice).

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Simon Boccanegra. Scene e costumi di Mischa Scandella, regia di Sandro Bolchi. Venezia, Teatro LaFenice, 1970. (Archivio Storico del Teatro La Fenice).

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Simon Boccanegra. Scene e costumi di Enrico Frigerio, regia di Giorgio Strehler. Venezia, Teatro LaFenice, 1981. (Archivio Storico del Teatro La Fenice).

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Pier’Alli, bozzetti per Simon Boccanegra. Venezia, Teatro La Fenice, luglio 1991. (Archivio Storico delTeatro La Fenice).

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Simon Boccanegra. Scene, costumi e regia di Pier’Alli. Venezia, Teatro La Fenice, luglio 1991. (ArchivioStorico del Teatro La Fenice).

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Giuseppe Verdi. (1843).

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O le opere pei cantanti, o i cantanti per leopere.1

Amo l’arte quand’è rappresentata degna-mente. […] Ah il mio cuore, il mio istinto sevolete, mi dice sempre la verità: nelle coseun po’ incerte lo interrogo, e mi rispondegiusto.2

L’arte che manca di spontaneità, di natura-lezza e di semplicità non è più arte.3

Conviene inoltre che gli artisti cantino nona loro modo, ma al mio; che le masse, chepure hanno molta capacità, abbiano altret-tanto buon volere; che infine tutto dipendada me; che una volontà sola domini tutto: lamia. Ciò vi parrà un po’ tirannico… ed èforse vero; ma se l’opera è di getto, l’idea èuna, e tutto deve concorrere a formare que-st’uno. […] Io credo all’ispirazione.4

GIUSEPPE VERDI

11881133Giuseppe Fortunino Francesco Verdi nasceil 10 ottobre5 alle Roncole,6 frazione del co-mune di Busseto nel ducato di Parma, figliodi Carlo Verdi (1785-1867), gestore di un’o-steria rivendita di vini, e Luigia Uttini(1787-1851), sposi dal 1812. Sia i nonni pa-terni che materni erano osti, di origini risa-lenti a famiglie di contadini e commercian-ti insediatesi nel ’700 presso Parma. Graziealla madre riesce a scampare all’invasionedelle truppe austriache.7 Ha una sorella ditre anni più giovane, Giuseppa Francesca,mentalmente ritardata per aver contrattouna meningite, morta a 16 anni nel 1833.11882211

Iniziati precocemente gli studi musicalicon Don Pietro Baistrocchi, organista emaestro elementare alle Roncole, disponegià di una spinetta,8 regalatagli per la pre-dilezione dimostrata verso la musica, cometestimonia l’iscrizione dell’artigiano Stefa-no Cavalletti che riparò gratuitamente lostrumento:

La buona disposizione che ha il giovinettoGiuseppe Verdi d’imparare a suonare que-sto strumento.

Chierichetto, durante le funzioni si distraeascoltando l’organo.9

11882222Alla morte di Baistrocchi, Verdi gli succedenegli incarichi musicali alle funzioni reli-giose, venendo presto soprannominato“maestrino delle Roncole”. Intanto cantanel coro di Madonna dei Prati e si reca pe-riodicamente a Busseto per le lezioni dimusica con Lorenzo Gagliardi.

11882233Iscritto al ginnasio gesuita riceverà unaformazione umanistica; in adolescenza di-venterà un lettore assiduo. Intanto, forsecontrariato dal padre, studia composizionee contrappunto col maestro di cappellaoperista Ferdinando Provesi, organista allacattedrale di Busseto e direttore della scuo-la di musica municipale.

11882288Rimane a Busseto, dove fino al 1832 com-porrà prevalentemente musica vocale (fracui le cantate I deliri di Saul e Le lamenta-zioni di Geremia), pezzi per la locale So-

GIUSEPPE VERDIa cura di MIRKO SCHIPILLITI

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cietà filarmonica:10 marce, sinfonie (braniunici in un movimento), concertati, e unanuova Sinfonia per Il barbiere di Siviglia diRossini. Si tratta di prime esperienze cheVerdi non ricorderà con piacere, conside-randole in seguito «una farragine di pezzi»:nel 1895 ne distruggerà i manoscritti.11

11883311Ormai al centro della vita musicale cittadi-na, viene ospitato nella casa di Antonio Ba-rezzi, presidente della Società filarmonicadi Busseto, mecenate, musicista dilettante ecommerciante, che ammira il talento diVerdi con affetto quasi paterno. Il giovaneGiuseppe, conosce così sua figlia Margheri-ta Barezzi, coetanea alla quale impartiscelezioni di canto e pianoforte, futura primamoglie. Barezzi finanzierà gli studi musica-li di Verdi in assenza della borsa di studioche il Monte di pietà di Busseto gli conce-derà solo a partire dal 1833.12

11883322Viene bocciato all’esame di ammissione alConservatorio di Milano, non solo per ra-gioni musicali (scorretta impostazione pia-nistica e immatura conoscenza del con-trappunto), ma soprattutto per le iscrizioniallora in soprannumero, il superamentodel limite d’età di 18 anni e la provenienzada fuori provincia. Consigliato dal violini-sta Alessandro Rolla, membro della com-missione esaminatrice, “capo d’orchestra”alla Scala e amico di Barezzi, studierà pertre anni da Vincenzo Lavigna,13 con cuianalizzerà partiture (fra cui Don Giovannidi Mozart con studio accanito) e dal qualeverrà spinto a frequentare concerti e spetta-coli:

Studiai con lui fino al 1835. Lavigna era for-tissimo nel contrappunto, qualché poco pe-dante e non vedeva altra musica che quelladi Paisiello! […] Nei tre anni passati con luinon ho visto che canoni e fughe, e fughe ecanoni in tutte le salse. Nissuno mi ha inse-gnato l’istrumentazione ed il modo di trat-tare la musica drammatica. Ecco cosa fuLavigna. […] era dotto ed io vorrei che fos-sero tutti così i maestri insegnanti.14

L’aria per due tenori e orchestra Ch’io lavidi è fra le prime composizioni di Verdipervenuteci.

11883344L’ambiente più aperto di Milano ampliamolto le prospettive creative di Verdi, chefrequenta la Società Filarmonica diretta daPietro Massini, partecipando come diretto-re d’orchestra e maestro al cembalo allaCreazione di Haydn. Massini procura aVerdi anche un libretto d’opera, che il com-positore porta con sé a Busseto, insieme al-la promessa di una rappresentazione alTeatro dei Filodrammatici di Milano. Conla morte di Provesi, aspira a diventare suosuccessore, ma il posto di organista allacattedrale di Busseto,15 nonostante le rimo-stranze e gli scontri con le autorità, non gliviene assegnato, né quello della collegiata.Dovrà rinunciare anche a quello nella cat-tedrale di Monza.

11883366Esaminato da Giuseppe Alinovi,16 vienenominato per nove anni insegnante di can-to, clavicembalo, pianoforte, organo, con-trappunto e composizione alla scuola dimusica di Busseto, stipendiato esiguamen-te dal comune con 657 lire annue. Partecipaalle accademie locali (talvolta a casa di Ba-rezzi), dove vengono eseguite sue composi-zioni da camera sia strumentali che vocali,fra cui un Tantum ergo per voce e organo;fra queste anche alcuni cori a tre voci per letragedie di Manzoni e Il 5 Maggio per vocesola. Si sposa con Margherita Barezzi(1814-1840). Avranno due figli: VirginiaMaria Luigia, nata nel 1837 e Icilio RomanoCarlo Antonio, nato nel 1838. Entrambimoriranno prematuramente nel 1838 e nel1839.

11883399Grazie all’aiuto di Massini e all’intermedia-zione di Vincenzo Merighi, primo violon-cello alla Scala, Verdi viene presentato aBartolomeo Merelli, impresario del teatromilanese, che gli promette di rappresenta-re una sua opera in occasione delle recite

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che la Scala organizzava in beneficenza peril Pio Istituto Teatrale di Milano.17 Si trasfe-risce a Milano con la famiglia, conscio del-l’importanza di uscire dal ristretto circolobussetano. A Barezzi, sempre suo finanzia-tore, scrive:

Lei sa a che siano rivolte le mie mire e lemie speranze. Non certamente la speranzadi accumulare ricchezze, ma quella di esse-re qualche cosa fra gli uomini e di non es-sere inutile arnese come tanti altri.

Dopo la pubblicazione di una raccolta diSei romanze per canto e piano presso l’edi-tore milanese Canti nel 1838 (che ora pub-blica altri tre brani), Verdi viene chiamatoda Merelli per inserire la sua opera nellastagione della Scala:

Era una bella offerta: giovine, sconosciuto,mi imbattevo in un impresario che osavamettere in scena un nuovo lavoro senza do-mandarmi indennizzo di sorta, indennizzoche del resto sarei stato nell’impossibilitàdi dare. Merelli, arrischiando del suo tuttele spese di messa in scena, mi propose sol-tanto di dividere per metà quella sommache avrei preso, se in caso di successo aves-si venduta l’opera. Né si creda che con ciòmi facesse proposta onerosa: era l’opera diun principiante.

Il 17 novembre debutta felicemente allaScala con Oberto, conte di San Bonifacio,18

opera in due atti su libretto di TemistocleSolera, dall’originale di Antonio Piazza of-fertogli da Massini, con apporti dello stessoVerdi e di Merelli. Nel cast canta Giuseppi-na Strepponi (1815-1897),19 futura compa-gna e moglie di Verdi, fra i primi suoi soste-nitori, avendo insistito per la rappresenta-zione dell’opera. Merelli procura tre nuoviincarichi.

11884400Sul libretto Il finto Stanislao di Felice Ro-mani, la seconda opera di Verdi è la com-media Un giorno di regno, un fiasco allaScala, cadendo dopo una sola recita. Oltreall’inadatto soggetto buffo, Verdi viveva un

periodo difficile, che dopo la perdita deidue figlioletti e alcuni problemi di salute,accorpa ora l’insuccesso teatrale alla mortedella moglie Margherita, pochi mesi prima,portandolo al diniego per la composizio-ne.20 Solo l’astuzia di Merelli lo riavvicinaalla musica con la realizzazione di unanuova opera: Nabucodonosor, titolo abbre-viato in Nabucco. Giulio Ricordi ricostruìinsieme al compositore il celebre episodioin cui Verdi torna a comporre, nel raccontoautobiografico in Vita aneddotica di Giu-seppe Verdi di Arthur Pougin:

Ero sfiduciato, né più pensavo alla musi-ca, quando una sera d’inverno […] m’im-batto in Merelli […]: «Vedi, ecco qui illibretto di Solera! Un così bell’argomento,e rifiutarlo!…Prendi…leggilo!» […] Rinca-sai e con un gesto quasi violento, gettai ilmanoscritto sul tavolo, fermandomi rittoin piedi davanti. Il fascicolo cadendo sultavolo stesso si era aperto; senza sapercome, i miei occhi fissano la pagina chestava a me innanzi, e mi si affaccia que-sto verso: Va, pensiero, sull’ali dorate.Scorro i versi seguenti e ne ricevo unagrande impressione, tanto più che eranoquasi una parafrasi della Bibbia, nella cuilettura mi dilettavo sempre. Leggo un bra-no, ne leggo due: poi, fermo nel propositodi non scrivere, faccio forza a me stesso,chiudo il fascicolo e me ne vado a let-to!…Ma sì…Nabucco mi trottava nelcapo!…Il sonno non veniva: mi alzo e leg-go il libretto, non una volta, ma due, matre, tanto che al mattino si può dire ch’iosapeva a memoria tutto quanto il librettodel Solera. Con tutto ciò non mi sentivo direcedere dal mio proposito, e nella gior-nata ritorno al teatro e restituisco il mano-scritto a Merelli. […] Ritornai a casa colNabucco in tasca: un giorno un verso, ungiorno l’altro, una volta una nota, un’altravolta una frase…a poco a poco l’opera fucomposta.21

Iniziano gli anni di intensissima attività incui nasceranno alcuni dei suoi più impor-tanti capolavori:

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Dal Nabucco in poi non ho avuto, si puòdire, un’ora di quiete. Sedici anni di ga-lera!22

E cominciano anche le ricorrenti polemi-che con le censure degli stati italiani sottodominio straniero, che volevano frenareogni incitamento patriottico, specie quandosi osservò che le opere di Verdi lasciavanoemergere negli ascoltatori sentimenti poli-tici latenti.

11884422In scena alla Scala in primavera, Nabucco(dove canta ancora la Strepponi), libretto diTemistocle Solera, è il primo grande suc-cesso di Verdi, con 57 repliche in autunno euna serie di rappresentazioni in Europa eAmerica fino al 1851.23 Con le successivesei opere (da I lombardi ad Attila) Verdi siassicurerà solide basi economiche, ricom-pensato anche dall’ampio consenso popo-lare. Sia per Nabucco che per Un giorno diregno riceve 4000 lire, oltre alle 2500 per lavendita dei diritti all’editore Ricordi (tantoquanto era stata pagata Norma di Bellini).Casa Ricordi diventerà in poco più di qua-rant’anni l’editore di tutte le sue opere.24 AMilano frequenta il salotto di GiuseppinaAppiani e quello del poeta Andrea Maffei edella contessa Clara Spinelli Carrara Maf-fei, futura grande amica alla quale rimarràsempre molto legato, e attraverso cui entrain contatto con i movimenti politici con-temporanei, aderendo alla causa risorgi-mentale, e con i liberali barone Ricasoli,Gino Capponi, Giuseppe Giusti e GiovanniBattista Niccolini. Nell’alta società milane-se stringe amicizia anche con la Somaglia ela contessa Samoyloff.25 A Bologna conosceRossini in occasione dell’esecuzione delsuo Stabat Mater diretto da Donizetti:

Sono stato a visitare Rossini il quale mi haaccolto assai gentilmente e l’accoglienzami è parsa sincera. Comunque sia, io sonostato contentissimo. Quando penso cheRossini è la reputazione mondiale viventeio mi ammazzerei e con me tutti gli imbe-cilli. Oh è una gran cosa essere Rossini.26

Verdi stimava moltissimo anche Bellini:

Povero, è vero, nell’armonia e nell’istru-mentazione, ma ricco di sentimento, e diuna tinta melanconica tutta sua propria!Anche nelle opere sue meno conosciute,nella Straniera, nel Pirata, vi sono melodielunghe, lunghe, lunghe, come nissuno hafatto prima di Lui. E quanta verità e poten-za di declamazione come nel duetto tra Pol-lione e Norma! E quanta altezza di pensieronella prima frase dell’Introduzione di Nor-ma; seguita dopo poche battute da un’altrafrase, male istromentata, ma che nissunoha mai fatto altra più celestiale!

11884433Su libretto di Solera alla Scala va in scena Ilombardi alla prima crociata, dal poema diTommaso Grossi. È un trionfo, tuttavia nonconfermato alla Fenice di Venezia («Ungran fiasco, uno di quei fiaschi veramenteclassici»).

11884444Il Conte Mocenigo, presidente degli spetta-coli al Teatro La Fenice di Venezia (città«bella, è poetica, è divina, ma…io non cistarei volentieri»27), propone a Verdi unanuova opera.28 Per la Fenice, tra i più im-portanti palcoscenici europei, concorrentediretto della Scala e del San Carlo, Verdicompone Ernani, libretto del muraneseFrancesco Maria Piave (che invece avevapronto un Cromwell), su soggetto sceltodallo stesso compositore, da Victor Hugo(«Oh, se si potesse fare l’Hernani, sarebbeuna gran bella cosa!»). Le modalità di lavo-ro di Verdi sono peculiari:

In ciò che riguarda l’istromentazione, io so-no solito farla incominciate le prove a cem-balo. Io per sistema faccio l’istromentaledurante le prove a cembalo, e lo spartitonon è mai interamente finito che all’anti-prova generale.29

Ma è soprattutto il rapporto con i librettisti,che in una strettissima collaborazione ge-stita dal compositore al fine di assicurareuna corretta drammaturgia («è bene chepoeta e maestro sentano all’unissono!»30),

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trova fin d’ora un carattere mai più abban-donato:

Il Sig. Piave non ha mai scritto, e quindi ènaturale che in queste cose manchi. […]Per quanta poca esperienza io mi possaavere, vado nonostante in teatro tutto l’an-no, e sto attento moltissimo: ho toccato conmano che tante composizioni non sarebbe-ro cadute se vi fossero state miglior distri-buzione dei pezzi, meglio calcolati gli effet-ti, più chiare le forme musicali… insommase vi fosse stato maggior esperienza sì nelpoeta che nel maestro. Tante volte un reci-tativo troppo lungo, una frase, una senten-za che sarebbe bellissima in un libro, edanche in un dramma recitato, fan ridere inun dramma cantato.31

In questo genere di composizioni non c’èeffetto se non c’è azione, quindi parole sem-pre meno che si può. […] In quanto alla du-rata dei pezzi, la brevità non è mai un difet-to. […] Se Ella darà un’occhiata ai librettida me musicati vedrà che sono trattati contutte le libertà e senza essere rispettate lesolite convenienze. Qualche volta per ve-rità ardisco fare alcune operazioni, ma que-sto lo faccio per l’effetto generale della cosama non mai per me, perché scrivere unduetto e un’aria o su un metro o sull’altroper me è l’istessa cosa. Le raccomando labrevità perché questa è voluta dal pubbli-co.32

Il 9 marzo Ernani alla Fenice è subito unostorico grande successo (nonostante la nonbuona esecuzione), rappresentando ancheil primo legame con gli ideali risorgimenta-li attribuito a Verdi. Il giornale veneziano«Il Gondoliere» riporta che

Le ultime sue note inebbriarono, ben quat-tro volte, gli animi sin de’ gravi aristarchi edelle severe matrone. Negli atrii, nelle vie,nelle sale, nei geniali convegni stanno sullabbro di tutti i nuovi canti… La musica èsparsa di soavi melodie, di eletti accordi, displendida istrumentazione.

Suo assistente e copista diventa l’allievo

bussetano – l’unico che ebbe Verdi – Ema-nuele Muzio (1825-1890).33 Lavora assi-duamente per le repliche dei Lombardi allaprima crociata. A Roma, al Teatro Argenti-na, viene rappresentata I due Foscari conun certo successo. Donizetti, ascoltata l’o-pera, scrive:

Verdi ha grande ingegno. Manca di fantasiaper trovare la prima battuta di un pezzo;una volta trovata, però, va avanti divina-mente. Egli farà dei voli rapidi. A mio vede-re andrà avanti assai. Io aveva ragione didire che Verdi avea talento! E sì i Due Fo-scari non formano il suo bello che a lam-pi… Invidia a parte, ché non lo conosco, èl’uomo che brillerà.

All’intenso lavoro di compositore si affian-cano frequenti disturbi di salute, allo sto-maco (gastrite) e alla gola, nonché alcunimomenti di depressione. Inizia la stesuradei Copialettere, riportanti le bozze di mol-te lettere, curando così con estrema atten-zione la propria corrispondenza. Acquista iprimi poderi intorno a Busseto.

11884455Dopo gli attriti con Merelli a causa dellascarsa attenzione agli allestimenti della Sca-la, con un mal realizzato ma felicemente ap-plaudito debutto di Giovanna d’Arco (libret-to di Solera da Schiller), per 24 anni Verdinon concederà più prime esecuzioni delleproprie opere al teatro milanese. Alzira (li-bretto di Salvatore Cammarano dal drammadi Voltaire) va in scena al San Carlo di Na-poli con successo, ma sarà un fiasco allaScala nel 1847. A Busseto acquista PalazzoDordoni, dove si stabilirà dal 1849, e la tenu-ta di Sant’Agata, dove vivrà dal 1851. Avevainiziato presto ad arricchirsi economica-mente. Dopo Un giorno di regno e Nabucco,aveva guadagnato 12000 lire per Ernani eper I Lombardi, 18000 sia per Attila che perMacbeth, in seguito 20000 franchi per I Ma-snadieri a Londra e 5000 franchi per Jerusa-lem a Parigi più 8700 per i diritti di pubbli-cazione e rappresentazione. Si preparano letraduzioni francesi dei Lombardi, Ernani eNabucco; Il finto Stanislao viene accolto be-

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ne al Teatro S. Benedetto di Venezia; giungo-no proposte per opere a Madrid e San Pietro-burgo.

11884466La seconda opera di Verdi rappresentata inprima assoluta al Teatro La Fenice di Vene-zia è Attila (libretto di Temistocle Soleradal dramma di Zacharias Werner) conqualche dissenso iniziale, ma con i consen-si della propaganda risorgimentale.34 Verdisi dimostra molto interessato alla ricostru-zione storica, ma anche a certe scelte musi-cali:

[Le bande] non hanno più il prestigio dellanovità e sono controsensi perpetui, e fra-stuoni; poi delle marce io ne ho fatte: unaguerriera nel Nabucco, ed un’altra solennee grave nella Giovanna che non farò maipiù le migliori. E che non si può fare un’o-pera grandiosa senza il frastuono dellabanda?…E il Guglielmo Tell, ed il Robertoil Diavolo non sono grandiose? Pure nonhanno banda! Ormai la banda è una pro-vincialata da non usarsi più nelle grandicittà.

Attila è un successo anche in altri teatri ita-liani, da Firenze a Ferrara, Reggio Emilia,Livorno, Rovigo, Vicenza, Trieste, Cremo-na.

11884477Con successo, al Teatro La Pergola di Firen-ze debutta Macbeth, su libretto di Piave e An-drea Maffei tracciato dallo stesso Verdi:

Eccoti lo schizzo del Macbet. Questa trage-dia è una delle più grandi creazioni uma-ne!… Se non possiamo fare una gran cosacerchiamo di fare una cosa almeno fuoridel comune. Lo schizzo è netto: senza con-venzione, senza stento, e breve. Ti racco-mando i versi che essi pure siano brevi:quanto più saranno brevi e tanto più trove-rai effetto… Nei versi ricordati bene chenon vi deve essere parola inutile: tutto devedire qualche cosa.35

Macbeth fa il giro delle città italiane, fra le

prime Venezia, Padova, Vicenza, Brescia,Bergamo. A Londra I due Foscari sono ungrande successo («Un successo così straor-dinario non si è mai visto a Londra») comela nuova opera I Masnadieri, che debutta alHer Majesty’s Theatre (libretto di AndreaMaffei da Friedrich Schiller), prima operadi un italiano di allora composta espressa-mente per gli inglesi. È a Londra che Verdiconosce Mazzini. A Parigi segue l’allesti-mento di Jerusalem, rifacimento dei Lom-bardi alla prima crociata. Qui rivede Giu-seppina Strepponi e se ne innamora.36 Ini-zia così la lunga convivenza con la donnache sarà per lui anche prezioso e attento as-sistente e consigliere, collaboratrice persi-no nella stesura di alcuni libretti. Con lei –la «Peppina» – risiede a Passy, vicino Parigi.

11884488A Parigi firma una petizione di italiani resi-denti in Francia a favore del governo prov-visorio lombardo: è il suo primo gesto poli-tico. I moti rivoluzionari lo richiamano inItalia, partecipe alla vita politica:

Onore a questi prodi! Onore a tutta l’Italiache in questo momento è veramente gran-de! L’ora è suonata, siine pur persuaso, del-la sua liberazione. È il popolo che la vuole:e quando il popolo vuole non avvi potereassoluto che le possa resistere. Potranno fa-re, potranno brigare finché vorranno quelliche vogliono essere a viva forza necessarjma non riesciranno a defraudare i dirittidel popolo. Sì, sì, ancora pochi anni forsepochi mesi e l’Italia sarà libera, una, repub-blicana. Cosa dovrebbe essere? Tu mi parlidi musica!! Cosa ti passa in corpo?...Tu cre-di che io voglia ora occuparmi di note, disuoni?...Non c’è né ci deve essere una mu-sica grata alle orecchie delli Italiani del1848. La musica del cannone!37

Al Teatro Grande di Trieste va in scena IlCorsaro, libretto di Francesco Maria Piaveda Byron, ma con esiti disastrosi, sia dipubblico che di critica, cancellato dal car-tellone dopo tre recite.

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Accantonato un progetto per un’operadall’Assedio di Firenze di Guerrazzi, sulibretto di Salvatore Cammarano La bat-taglia di Legnano va in scena al TeatroArgentina di Roma, unica opera verdianadi taglio propagandistico, scritta intera-mente a Parigi durante i moti rivoluzionaria favore della Repubblica romana. Scrivesu proposta di Mazzini l’inno rivoluziona-rio Suona la tromba su testo di G. Mameli.Commenta la situazione politica:

Della nostra povera Italia non so cosa diredi consolante! […] Cosa mai sperare da tuttiquesti intrighi diplomatici, dal prolunga-mento dell’armistizio? […] La Lombardiadiventerà un deserto, un cimitero. Dopo sidirà che la nazione estenuata di tutti i mez-zi, può chiamarsi felice di appartenere alpaterno governo austriaco. Iddio li benedica[…] Che bella Repubblica!38

È a Napoli con Barezzi per le recite di Lui-sa Miller al Teatro San Carlo, la nuova ope-ra che dopo le prime incerte recite acquistasuccesso. A Napoli il lavoro non fu mai fa-cile (Verdi critica «l’indegno modo di pro-cedere»), per i pettegolezzi, gli assilli dellacensura, i problemi contrattuali:

I grandi successi sono difficili a Napoli, esoprattutto per me.

11885500Ha in mente molti progetti per Ricordi e perLa Fenice. Riceve proposte per soggettishakespeariani come La tempesta e Amle-to, meditando anche su un Re Lear. Si con-centra tuttavia su Le roi s’amuse di VictorHugo, per Venezia, e con Piave concordaStiffelio (dalla commedia francese di EmileSouvestre e Bourgeois). Pur con pesantimodifiche della censura, Stiffelio viene rap-presentata al Teatro Grande di Trieste, macon scarsi esiti. Andrà in scena a Firenze,Roma e Napoli col nuovo titolo di Gugliel-mo Wellingrode. Sono anni di frenetica at-tività, che a Verdi non risparmiano stress eproblemi di salute («Oh se potessi non la-vorare!»39). Estremamente prolifico, fa del-la rapidità di scrittura un suo punto di for-

za:

Per scriver bene occorre poter scrivere ra-pidamente, quasi d’un fiato, riservandosipoi di accomodare, vestire, ripulire, l’ab-bozzo generale; senza di che si corre il ri-schio di produrre un’opera a lunghi inter-valli con musica a mosaico, priva di stile edi carattere!

Una modalità di lavoro che continuerà aconfermare, come ricorderà la Strepponi:

Egli non potrebbe comporre le sue Opere apezzi e bocconi, con pause in mezzo. Masti-ca ben bene il soggetto prima di dare manoalla musica. Rigoletto, Trovatore, Traviataetc. furono scritte in poco tempo, tutte d’unfiato, sotto la sferza di un’attività febbrile.40

11885511Muore la madre, mentre i rapporti col pa-dre si fanno difficili. La cosiddetta «trilogiapopolare verdiana» (Rigoletto-Trovatore-Traviata) viene inaugurata felicemente dalsuccesso di Rigoletto al Teatro La Fenice,dopo ripetute modifiche al libretto di Piavee al soggetto di Hugo (che Verdi ammirava)volute dalla censura austriaca:

Il soggetto è grande, immenso, ed avvi uncarattere che è una delle più grandi crea-zioni che vanti il teatro di tutti i paesi e ditutte le epoche.41

Moltissime le recite a Venezia, l’opera faràil giro dei teatri italiani42 ed esteri (Austria,Germania, Ungheria, Boemia) e rimarràun punto di riferimento per lo stesso auto-re:

A me pare che il miglior soggetto in quantoa effetto che io abbia finora posto in musica(non intendo parlare affatto sul merito let-terario e poetico) sia Rigoletto. Vi sono po-sizioni potentissime, varietà, brio.43

Intanto vanno e vengono ancora i progettiper un Re Lear, mai realizzato, nonostantele trattative con i librettisti Salvatore Cam-marano e Antonio Somma. Insofferente per

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i pettegolezzi dei bussetani, riparte per Pa-rigi. Trasferisce la sua residenza nella peri-ferica tenuta di Sant’Agata, dove tuttavia ri-siederà stabilmente solo dal 1857 dopo ifrequenti viaggi in Francia:

Io che darei tutto per un po’ di pace e chefaccio di tutto per tenerla, non posso rie-scirvi: ho un bel girare di paese in paese,dalle città rumorose alle campagne quasidisabitate.44

Il clima bussetano non gli fu mai gradito:

Un paese che ha il mal vezzo d’intricarsispesso degli affari altrui, e disapprovaretutto quello che non è conforme alle sueidee.

Era ritenuto un “prodotto del posto”, nono-stante i passati scontri:45

Molti parlando di me van sussurrando unafrase non so se più ridicola od indegna…:L’abbiam fatto noi! Parole che mi sono balza-te all’orecchio. […] Ripeto che ciò è ridicolo eindegno. Ridicolo perché io posso risponde-re: «Perché non fate gli altri?».

Inoltre rimarrà oggetto di pettegolezzo perla convivenza con la Strepponi:

In casa mia vive una signora libera, indi-pendente, amante come me della vita soli-taria, con una fortuna che la mette al co-perto da ogni bisogno. Né io né Lei dobbia-mo a chicchessia conto delle nostre azioni;ma d’altronde chi sa quali rapporti esistanotra noi? Quali gli affari? Quali i legami?Quali diritti che io ho su di Lei, ed Ella su dime? Chi sa s’Ella è o non è mia moglie? […[Chi sa se ciò sia bene o male? Perchè nonpotrebbe anche essere un bene? E fosse an-che un male chi ha diritto di scagliarci l’a-natema? Bensì io dirò che a Lei, in mia ca-sa, si deve pari anzi maggior rispetto chenon si deve a me, e che a nessuno è per-messo mancarvi; che infine Ella ne ha tuttoil diritto, e pel suo contegno, e pel suo spiri-to, e pei riguardi speciali e a cui non mancaverso gli altri.46

11885522Stipula un contratto con l’Opéra di Parigi,sperando in un Re Lear, ma Scribe e Du-veyrier gli propongono un libretto in realtàgià scritto per il Duca d’Alba di Donizetti.47

La scelta cade comunque su un soggettoitaliano, I vespri siciliani.

11885533A Parigi assiste a La signora delle camelie,dramma teatrale di A. Dumas figlio, chesarà fonte di Traviata. A Rigoletto seguonoinfatti il Trovatore, acclamato trionfalmen-te al Teatro Apollo di Roma, e Traviata, an-cora alla Fenice, inizialmente un insucces-so, ma applaudita l’anno seguente al teatroveneziano di S. Benedetto:

La Traviata, ieri sera, fiasco. La colpa è miao dei cantanti?…Il tempo giudicherà.48

È un soggetto dell’epoca. Un altro forse nonl’avrebbe fatto pei costumi, pei tempi e permille altri goffi scrupoli, io lo faccio con tut-to il piacere. Tutti gridarono quando io pro-posi un gobbo da mettere in scena. Ebbene,io era felice di scrivere il Rigoletto.

Molti saranno i soggiorni nella capitalefrancese. Fino al 1857 vi rimarrà per I ve-spri siciliani, recandosi in Italia solo per ilNatale del 1855 e nella primavera 1856.

11885555Il conte Mocenigo assegna a Verdi una nuo-va opera per La Fenice. In occasione dell’e-sposizione universale, I vespri sicilianivanno in scena all’Opéra di Parigi congrandi entusiasmi, e in seguito al TeatroDucale di Parma, mutatone il titolo in Gio-vanna da Guzman. Verdi riesce ad adattar-si alle esigenze francesi, nonostante alcunesue rimostranze:

Due cose mancheranno sempre all’Opéra:il ritmo e l’entusiasmo. […] ma la colpa èanche un po’ di voi altri Francesi, che met-tete dei ceppi ai piedi agli artisti col vostrobon gout…comme il faut etc, etc. Lasciatealle arti libertà completa, e tollerate difetti

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nelle cose d’ispirazione. Se spaventate l’uo-mo di genio con la critica compassata emeschina Egli non si abbandonerà mai, egli toglierete il naturale e l’entusiasmo.49

L’autorità del compositore e il rispetto deltesto originale sono fondamentali:

È la strada che condusse al barocco e al fal-so l’arte musicale alla fine del secolo passa-to e nei primi anni di questo, quando i can-tanti si permettevano creare (come diconoancora i francesi) le loro parti e farvi inconseguenza ogni sorta di pasticci e contro-sensi. No: io voglio un solo creatore, em’accontento che si eseguisca semplice-mente ed esattamente quello ch’è scritto; ilmale sta che non s’eseguisce mai quelloch’è scritto.

Io non ammetto né ai Cantanti né ai Diret-tori la facoltà di creare, che come dissi, è unprincipio che conduce all’abisso.

Fu sempre attento alla difesa del dirittod’autore, richiedendo compensi per ogniforma di utilizzo delle proprie musiche, pe-nalità per i tagli, scegliendo in prima perso-na in quali teatri si poteva o non si potevarappresentare una sua opera, stipulandocon accuratezza i contratti:

Cosa divento io allora? Un operajo, un gior-naliero che porta la sua merce alla Casa, eche la Casa sfrutta come le pare e piace! –Non è quello che voglio io […] Se avessi vo-luto fare il Mercante, nissuno m’avrebbeimpedito di scrivere dopo la Traviata un’o-pera all’anno, e formarmi una fortuna trevolte maggiore di quella che ho! Io aveva al-tri intendimenti d’arte.50

Io ho il diritto che le mie opere, come dacontratti, vengano eseguite come le hoscritte.51

Stabilisce così una nuova autonomia delcompositore e nuovi rapporti con teatri ededitori, contestando la mancanza di ade-guate leggi o trattati fra stati e premendosul ducato di Parma affinché stipuli accordi

internazionali per la tutela dei diritti d’au-tore: in Spagna si copiavano le partitureprestate dagli editori, in Inghilterra si ri-schiava di essere eseguiti gratis. Nel 1882contribuirà insieme ad altri autori alla na-scita della Società Italiana di Autori ed Edi-tori (SIAE) a Milano.

11885566Dopo iniziali incertezze («Non so dopo l’o-pera di Parigi [I vespri siciliani] quando miverrà voglia di scrivere una nota»), comin-ciano le trattative col presidente della Feni-ce Giobatta Tornielli per la nuova opera:sarà Simon Boccanegra, su libretto di Fran-cesco Maria Piave (e qualche consiglio diSomma) da un cupo dramma storico diGarcía Gutiérrez. In una lettera al libretti-sta ne fa cenno per la prima volta da Parigi,dove era impegnato per le rappresentazio-ni in francese del Trovatore. Qui si avvaleanche della collaborazione librettistica delprofessore di diritto Giuseppe Montanelli,pensando anche a un testo in prosa «per fa-re una novità», idea successivamente ab-bandonata. La censura austriaca preme percontrollare i testi, ma Verdi ribatte:

Nel libretto non si porrà né un concetto néuna parola cambiata. Cosa importa se perora sia in prosa o in versi? E come tu hai os-servato benissimo, questo Simone ha qual-che cosa di originale. Così bisogna che il ta-glio del libretto, dei pezzi, ecc. ecc. sia piùoriginale che si può. Ciò non può farsi senoi non siamo insieme.52

A Venezia revisiona Stiffelio e inizia quindia comporre Simon Boccanegra, mostran-dosi subito sensibile alla rappresentazione:

Cura molto le scene. Le indicazioni sonoabbastanza esatte, nonostante mi permettoalcune osservazioni. Nella prima scena, seil Palazzo Fieschi è di fianco, bisogna chesia ben in vista di tutto il pubblico, perché ènecessario che tutti veggiano Simone quan-do entra in casa, quando viene sul balcone,e stacca il lanternino: credo d’aver avutoun effetto musicale che io non voglio per-dere causa la scena.53

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11885577Il 12 marzo al Teatro La Fenice Simon Boc-canegra va in scena per la stagione di Car-nevale, prima versione dell’opera. Non èun successo, e in pochi anni viene abban-donata dai teatri:

Ho fatto a Venezia un fiasco quasi altrettan-to grande di quello della Traviata. Credevodi aver fatto qualcosa di possibile, ma pareche mi sia ingannato.54

Più tardi Verdi aggiungerà:

Sono ora tranquilli i veneziani? Chi avreb-be mai detto che questo povero Boccane-gra, buona o cattiva opera che sia, dovessesollevare tanto diavolezzo? Sta pur tran-quillo che non mi formalizzo più di niente,né degli ebrei passati presenti e futuri, nédei nemici convertiti, e trovo, come te, ilmondo bello.

Ma la «Gazzetta privilegiata di Venezia» ri-porta:

La musica del Boccanegra è di quelle chenon fanno subito colpo. Ella è assai elabo-rata, condotta col più squisito artifizio e sivuole studiarla nei suoi particolari. Da ciònacque che la prima sera ella non fu in tut-ti compresa, e se ne precipitò da alcuni ilgiudizio; giudizio aspro, nemico che, nellaforma con cui si è manifestato, e rispetto aun uomo che chiamasi Verdi, uno dei po-chi, che rappresenti di fuori le glorie del-l’arte italiana, che compose il Nabucco, iLombardi e tanti altri capolavori, i quali fe-cero e fanno il giro del mondo, ben sapevaparere, per non dire altro, strano e singola-re. Ciò che può in qualche modo spiegarequella prima e sinistra impressione è il ge-nere della musica forse troppo grave e se-vera, quella tinta lugubre che domina lospartito, e il prologo in ispecie. Varii pezzinobili e il magistrale artifizio del finale so-no bellezze di primo ordine, che la secondasera perfettamente si intesero… Onorandol’opinione di tutti, e poiché quella del pub-blico non è, in questa occasione, chiara ab-bastanza, abbiamo detto sul lavoro di Verdi

liberamente la nostra, anche perché fonda-ta sul voto delle più competenti persone,che tutte si accordano a levarne al cielomassime la fattura. Non nascondiamo peròche tutti non sono del nostro avviso, e che ilVerdi, o almeno la sua opera, ha non pochiavversari; ma, per onor del nostro gentilepaese, dobbiamo pur dichiarare che certisegni di sfavore, troppo eloquenti e aperti,non mossero da labbri veneziani. Fu unaimportazione da fuori. Il pubblico di Vene-zia è umano, intelligente, cortese, si rispet-ta e rispetta gli ingegni.

Diretto da Angelo Mariani, a Rimini Aroldo(rifacimento di Stiffelio per problemi dicensura) non ottiene successo. Verdi con-duce una vita abbastanza isolata a Sant’A-gata (gli amici l’avevano soprannominato«l’orso di Busseto»), conservando rapportisolo con Barezzi e rifiutando di presiederela Società Filarmonica di Busseto:

Quale male avvi se io vivo isolato? Se iocredo bene di non far visite a chi porta tito-li? Se io non prendo parte alle feste, allegioie altrui? Se io amministro i miei fondiperché mi piace e mi diverte?55

A Sant’Agata fissa la nuova dimora per ilpadre Carlo, che curerà le questioni ammi-nistrative della proprietà, segue con moltadedizione le attività contadine della propriatenuta («Il suo amore per la campagna è di-ventato mania, raptus, furore», scriverà lamoglie):

Da mattina a sera sono sempre fra campi,boschi, in mezzo a paesani, a bestie.

Si sveglia alle quattro e mezzo, gestisce lacorrispondenza e compone, dopo pranzo sioccupa della tenuta:

Il Maestro compone ordinariamente nellasua camera da letto con artistica profusio-ne. […] Alto di persona, snello, vigoroso,dotato di una ferrea salute, come di una fer-rea energia di carattere, egli promette un’e-terna virilità.56

È una personalità molto riservata: ritroso,

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schivo, modesto, sensibile e generoso, spi-rito indipendente e libero ma che sapevafar valere le proprie ragioni. Amava le risa-te fra amici ed era appassionato di biliardo.Così lo ritrasse Hanslick:

Qualcosa d’infinitamente mite, modesto earistocratico nella stessa modestia, rilucenella figura di quest’uomo, che la fama nonha reso vanitoso, gli onori non arrogante,l’età non bisbetico.

E Rossini aggiunse:

Un compositore col casco, ha carattere me-lanconicamente serio, ha colorito fosco emesto, che scaturisce abbondante e sponta-neo dall’indole sua, ed è apprezzabilissimoappunto per questo, ed io lo stimo assaissi-mo.

11885599Alla Scala viene ripreso Simon Boccanegra,ma anche qui è un fiasco oltremisura, cometestimonia la «Gazzetta musicale» di Mila-no:

La storia della prima rappresentazione delBoccanegra è fra le più strane che ricordinoi miserandi fasti del fiasco: la più cattiva escorretta composizione musicale, posta sul-le scene d’un grande teatro, dinanzi ad unpubblico che gode giusta fama d’intelligentee d’imparziale, non avrebbe potuto meritar-si un accoglimento di quella fatta: accogli-mento tale di fischi, di risate e di apostrofi,da non permettere la materiale udizione dibuona parte dell’opera. Quasi tutto il giorna-lismo milanese con lodevole rettitudine, hadichiarato in nome del pubblico che quelleprime animosità erano tutte per l’esecuzio-ne, talmente sconcia in alcune parti da sfor-mare i più bei concetti e tutte le intenzionidell’autore.

Confermato da Verdi:

Il fiasco di Boccanegra a Milano doveva es-sere, ed è stato. Un Boccanegra senza Boc-canegra, tagliate la testa ad un uomo e poiriconoscetelo se potete! Tu ti meravigli del-

la sconvenienza del pubblico? A me nonsorprende affatto. Egli è sempre felicequando può arrivare a fare scandalo. […] IlBoccanegra non è inferiore a tante altremie opere più fortunate di questa, perchéper questa abbisogna forse esecuzione piùfinita, ed un pubblico che voglia ascoltare.Triste cosa il teatro!!57

L’opera risveglia tuttavia gli animi patriot-tici nello slogan “Viva VERDI”, acronimodi Vittorio Emanuele Re D’Italia. Dopo lepressioni e i cambiamenti voluti dalle cen-sure preunitarie del 1858, Una vendetta indominio viene mutata in Un ballo inmaschera (libretto di Antonio Somma)debuttando al Teatro Apollo di Roma inve-ce che al San Carlo di Napoli. Alla primale grida di “Viva VERDI” si mescolano agliapplausi. Non si trattava solo di identifi-care ideali risorgimentali nelle opere diVerdi, ma anche valori morali su cui sistava fondando la coscienza nazionale del-la società italiana di allora. Verdi esultaper Garibaldi, i moti rivoluzionari italianitrovano la sua adesione, acquista armi peri dimostranti della Seconda Guerra d’Indi-pendenza, raccoglie fondi per le famigliedei caduti. L’armistizio di Villafranca tro-va la sua disapprovazione; rifiuta la pro-posta di musicare un Canto per Napoleo-ne, che intanto appoggia gli italiani:

Spero si presenteranno, e presto, altre cir-costanze per onorare, come meglio saprò,l’Uomo che ha promesso liberar l’Italia daogni straniero.

A Busseto viene eletto rappresentante al-l’assemblea delle provincie parmensi e sireca come delegato dal Re a Torino; incon-tra Cavour. Dopo undici anni di conviven-za si sposa con Giuseppina Strepponi nellapiccola chiesa valdostana di Collonges-sous-Salève58 con grande riservatezza (te-stimoni il campanaro e il cocchiere).

11886611Dopo le insistenze di Cavour, Verdi vienenominato membro della Camera dei Depu-tati nell’appena nato parlamento italiano,

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deputato a Borgo S. Donnino (Fidenza):

Se i miei scarsi talenti, i miei studi, l’arteche professo mi rendono poco atto a questasorta d’uffizi, valga almeno il grande amoreche ho portato e porto a questa nostra nobi-le ed infelice Italia.59

Trasferitosi a Torino, dopo la morte dellostatista frequenterà saltuariamente le sedu-te parlamentari, fino a dimettersi dalla ca-rica nel 1865:

La mia vita pubblica non esiste. Son depu-tato, è vero, ma fu per sbaglio. […] Non ave-vo mai visto il Conte di Cavour ed ero an-siosissimo di conoscerlo. […] Egli m’ascol-tava attentamente e quando gli descrissi lamia inettitudine ad essere deputato […] lofeci in modo così bizzarro ch’egli diede inun gran scoppio di risa. Bene, dissi fra me,son riuscito. Allora egli cominciò a ribatte-re una per una le mie ragioni, e ne aggiun-se alcune che mi fecero un certo senso. Iosoggiunsi: ebbene Signor Conte, accetto;ma alla condizione che dopo qualche meseio darò la mia dimissione. Sia, rispose, mame ne farete prima cenno […] Più volte vol-li dare le dimissioni […] ma ora per una co-sa ora per un’altra io sono ancora deputa-to.60

11886622All’esposizione universale di Londra parte-cipa con l’Inno delle nazioni per soprano,coro e orchestra, su testo di Boito, eseguitoal Her Majesty’s Theatre. È l’occasione delprimo incontro con il giovane ventenne let-terato scapigliato. Inizia un periodo di pro-duzioni estere: in Russia visita Mosca e SanPietroburgo, dove dopo l’enorme successoriscosso con Il Trovatore al Teatro Impe-riale, è La forza del destino a debuttarvicon altrettanti consensi, ma alla quarta re-cita viene contestata dai sostenitori di Mi-chail Glinka. Verdi viene insignito dell’Or-dine Imperiale e Reale di S. Stanislao.

11886633Con la Strepponi visita la Spagna, in occa-sione delle recite a Madrid di La forza del

destino, recandosi all’Escurial, a Siviglia,Cordoba, Cadice, Granada. L’opera va inscena a Roma con il titolo Don Alvaro. AParigi spera di diventare direttore delTheatre-Italien.

11886644Dopo la morte di Meyerbeer viene nomina-to membro dell’Academie des Beaux Arts.

11886655Nella versione francese Macbeth viene rap-presentato al Theatre Lyrique, ma è un fia-sco. Da novembre, fino a marzo dell’annoventuro è a Parigi per la stesura del librettodi Don Carlos.

11886677È ancora all’Opéra per la produzione diDon Carlos, accolto senza grossi consensi.Ma continua a diffidare dell’ambiente fran-cese, iniziando una serie di contrasti conl’orchestra del teatro parigino:

Io credo all’ispirazione: voi altri alla fattu-ra; ammetto il vostro criterio per discutere:ma io voglio l’entusiasmo che a voi mancaper sentire e giudicare. Voglio l’Arte in qua-lunque siasi manifestazione, non l’amuse-ment, l’artifizio ed il sistema che voi prefe-rite.61

Ottima cosa sarebbe il Teatro di repertorio,ma non lo credo realizzabile. Gli esempidell’Opéra e della Germania hanno per mepochissimo valore perché in tutti questiteatri gli spettacoli sono deplorabili. Al-l’Opéra splendida la mise en scène, supe-riore per esattezza di costume e di buon gu-sto a tutti i Teatri, ma la parte musicale pes-sima. Cantanti sempre mediocrissimi, or-chestra e coro svogliati e senza disciplina.Io ho sentito a quel teatro spettacoli a centi-naia, e mai e poi mai una buona esecuzio-ne musicale ma in una città di 3000000 d’a-bitanti vi sono sempre duemila persone perriempire la sala anche con cattivo spettaco-lo.62

Diretto da Angelo Mariani, a Bologna DonCarlo nella versione tradotta in italiano, ri-

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scuote invece vivo successo. Verdi inizia arecarsi periodicamente a Genova in villeg-giatura presso un appartamento apposita-mente acquistato a palazzo Sauli, che fre-quenterà ripetutamente d’inverno. Muoreil padre Carlo. Adotta col nome di Maria lafiglia di un suo cugino paterno, Filomena,di 7 anni, che studierà in un collegio torine-se e sposerà a 18 anni il notaio bussetanoAlberto Carrara: sarà lei l’erede universaledel Maestro, garantendo l’attuale discen-denza. Con i suoi 5 figli costituiva la fami-glia di Verdi.

11886688Restituisce la croce di commendatore alMinistro dell’Istruzione Broglio, che nonl’aveva menzionato in una lettera a Rossinisulla riforma dei Conservatori:

Benché ignorante in musica (come Ellastessa lo dice e lo crede) sentenzia che daquaranta anni non si è più fatta un’opera inItalia. Perché allora si manda a me questadecorazione? Vi è certamente un equivoconell’indirizzo e ve la rimando.

Alla morte di Rossini Verdi progetta unaMessa da Requiem composta dai «più di-stinti maestri italiani» dell’epoca63 per l’an-niversario della scomparsa. Viene realizza-ta ma non eseguita, in mancanza di fondi:

Un gran nome è scomparso dal mondo! Erala riputazione la più estesa, la più popolaredell’epoca nostra, ed era gloria italiana!64

Per l’occasione scrive un Libera me, che fi-nirà invece nella Messa da Requiem com-posta in memoria di Alessandro Manzoninel 1874. Verdi lo incontra attraverso lamediazione di Clarina Maffei:

Lo stimo e venero quanto si può stimare evenerare su questa terra e come uomo e co-me altissimo e vero onore di questa nostrasempre travagliata patria.65

Cosa potrei dirvi del Manzoni? Come spie-garvi la sensazione dolcissima, indefinibi-le, nuova, prodotta in me, alla presenza di

quel Santo, come voi lo chiamate? Io me glisarei posto in ginocchio dinanzi, se si po-tessero adorare gli uomini.66

A Busseto si inaugura il nuovo teatro, cheonora Verdi con un busto appositamenterealizzato. Ma Verdi non presenzia alla ce-rimonia, continuando a diffidare dei busse-tani, con i quali non manteneva rapporti dadodici anni.67

11886699Alla Scala va in scena con successo unanuova versione della Forza del destino. Inquesta circostanza, attraverso la mediazio-ne della contessa Maffei, Verdi incontra perla prima volta il direttore d’orchestra Fran-co Faccio, dimostrandogli subito stima.Non presenzia invece alle rappresentazionidell’opera a Napoli, a causa del rifiuto diadottare per l’intonazione il diapason inuso in Francia. L’unificazione del diapasona livello europeo rimarrà una sua costantepreoccupazione.68

11887711Gli viene proposta la direzione del Conser-vatorio di Napoli, ma rifiuta l’invito, non ri-tenendo di avere la possibilità di potersi de-dicare con costanza a un tale impegno. Nonè affatto indifferente ai problemi allora sol-levati sull’istruzione musicale, e viene chia-mato – invano – a presiedere un’appositacommissione ministeriale:

Ho ragione di credere esservi nei nostriistituti musicali studj che dovrebbero esse-re severissimi e sono mal fatti, e che si per-de un tempo, che riesce alla fin fatale, adinsegnare quello che non si può insegnare,a ridurre l’arte a sistema, e collo scopo(scopo che conoscono e sentono meglio gliuomini che creano) di cacciare mali cherealmente esistono, ma creandone dei nuo-vi che sono peggiori e più perniciosi. È unacosa strana la lotta che esiste fra gli uominicosì detti di scienza, e quelli che fanno (lot-ta senza frutto per l’indifferenza dei secon-di, e per la petulante ostinazione dei primi);ed è ancora più strano vedere che tutte lenostre grandi sommità del secolo attualenon sono quasi mai figlie di Conservatorj!.

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Diede suggerimenti sulla formazione musi-cale (e offrì borse di studio a giovani busse-tani meritevoli), specie per futuri composi-tori o cantanti, spesso sottolineando gliaspetti autodidattici dei propri studi, negan-do di avere grandi conoscenze:

In casa mia non vi è quasi musica; non so-no mai andato in una Biblioteca musicale,mai da un Editore per esaminare un pezzo.Sto a giorno d’alcune delle migliori operecontemporanee, non mai studiandole, masentendole qualche volta in teatro. […] So-no fra i maestri passati e presenti, il menoerudito di tutti. Intendiamoci bene, e sem-pre per non fare blague: dico erudizione, enon sapere musicale. Da questo lato menti-rei se dicessi che nella mia gioventù nonabbia fatto lunghi e severi studi. È per que-sto che mi trovo ad aver la mano abbastan-za forte a piegare la nota come desidero, edabbastanza sicura per ottenere, ordinaria-mente, gli effetti che immagino; e quandoscrivo qualche cosa d’irregolare, si è per-ché la stretta regola non mi dà quel che vo-glio, e perché non credo nemmeno buonetutte le regole finora adottate.

Prediligendo la letteratura musicale italia-na del ’700, specialmente vocale, Verdi eracomunque ben fornito di partiture. Nellasua biblioteca di Sant’Agata conservavamusiche di Palestrina, Carissimi, Corelli,Marcello, Porpora, Bach, Händel, Haydn,Mozart, Beethoven, Weber, Mendelssohn,Schumann, Berlioz, Liszt, Brahms, Wa-gner, spesso acquistate a Parigi. Ma perVerdi la formazione del giovane composi-tore rimaneva saldamente ancorata al con-trappunto:

Avrei detto ai giovani alunni: «Esercitatevinella fuga costantemente, tenacemente finoalla sazietà, e fino a che la mano sia dive-nuta franca e forte a piegar la nota al volervostro. Imparerete così a comporre con si-curezza, a disporre bene le parti ed a mo-dulare senz’affettazione. Studiate Palestri-na e pochi altri suoi coetanei. Saltate dopo aMarcello e fermate specialmente la vostra

attenzione sui recitativi. Assistete a pocherappresentazioni delle Opere moderne,senza lasciarvi affascinare né dalle moltebellezze armoniche ed istromentali né dal-l’accordo di settima diminuita, scoglio e ri-fugio di tutti noi che non sappiamo com-porre quattro battute senza una mezza doz-zina di queste settime». Fatti questi studi,uniti a larga coltura letteraria, direi infineai giovani: «Ora mettete una mano sul cuo-re; scrivete, e (ammessa l’organizzazioneartistica) sarete compositori. In ogni modonon aumenterete la turba degli imitatori edegli ammalati dell’epoca nostra, che cer-cano, cercano e (facendo talvolta bene) nontrovano mai. […] Le licenze e gli errori dicontrappunto si possono ammettere e sonobelli talvolta in teatro: in Conservatorio, no.Torniamo all’antico, sarà un progresso».

Mi si potrà opporre: «Chi insegnerà al gio-vine l’istromentale? Chi la composizioneideale?» La sua testa ed il suo cuore. Se neavrà. Pel Cantante vorrei: estesa conoscen-za della musica; esercizj sull’emissionedella voce; studj lunghissimi di solfeggiocome in passato; esercizi di voce e parolacon pronunzia chiara e perfetta. Poi, senzache un Maestro di perfezionamento gli in-segnasse le affettazioni del canto, vorreiche il giovine forte in musica e colla golaesercitata e pieghevole cantasse guidato so-lo dal proprio sentimento. Non sarebbe uncanto di scuola, ma di ispirazione. L’artistasarebbe un’individualità; sarebbe lui, o me-glio ancora, sarebbe nel melodramma ilpersonaggio che dovrebbe rappresentare. Èinutile il dire che questi studj musicali de-vono essere uniti a molta cultura letteraria.

Alla prima italiana di Lohengrin di Wa-gner, Verdi segue la nuova opera con parti-tura alla mano:

Wagner non è una bestia feroce come vo-gliono i puristi, né un profeta come lo vo-gliono i suoi apostoli. È un uomo di moltoingegno che si piace delle vie scabrose, per-ché non sa trovare le facili e più diritte. Nonbisogna che i giovani si illudano, vi sonomolti e molti che fanno credere di aver del-

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le ali, perché veramente non hanno gambeda reggersi in piedi.

Presto verrà posto in contrasto col coetaneocollega tedesco, al quale non negherà di-versi pregi («Un nome che lascia un’im-pronta potentissima nella storia dell’arte»):

Anch’io ho tentato la fusione della musicacon il dramma e precisamente nel Mac-beth, ma non potrei scrivere da solo i li-bretti come fa Wagner. Wagner supera tut-ti i compositori nella varietà dei colori del-la strumentazione. All’inizio egli combattécon successo il realismo, più tardi però siallontanò con esagerazione dalla poesiaideale e incorse nel medesimo errore che siera inizialmente fatto un dovere di correg-gere. La monotonia, dunque, che egli com-batté vittoriosamente, minaccia da qualchetempo di dominarlo.69

L’entusiasmo dei giovani intellettuali ita-liani come Boito per il wagnerismo e lamusica tedesca che iniziava a diffondersi inItalia, fece assumere loro una posizione dirifiuto verso i contemporanei italiani («Iltrito querulo lamentarsi della impotenza,della vacuità e nullità della moderna musi-ca italiana può e deve’essere una menzo-gna») a cui Verdi risponde:

Ho sempre amato e desiderato il progresso[…]. Anch’io voglio la musica dell’avvenire,vale a dire che credo ad una musica a veni-re, e se non l’ho saputa, come volevo, fare,la colpa non è mia. Se anch’io ho sporcatol’altare, come dice Boito, Egli lo netti, ed iosarò il primo a venire ad accendergli unmoccolo.

So anch’io che vi è una musica dell’avveni-re, ma io presentemente penso e penseròcosì anche l’anno venturo che per fare unascarpa ci vuole del corame e delle pelli!…Che ti pare di questo stupido paragone chevuol dire che per fare un’opera bisognaaver in corpo primieramente della musi-ca?!… Dichiaro che io sono e sarò un am-miratore entusiasta degli avveniristi a unacondizione che mi facciano della musica!…

qualunque ne sia il genere, il sistema, ecc.ma la musica!… Basta, basta! Che non vor-rei che parlandone troppo mi si attaccasseil male.70

La melodia e l’armonia non devono essereche mezzi nella mano dell’artista per faredella Musica, e se verrà un giorno in cuinon si parlerà più né di melodia né di ar-monia, né di scuole tedesche, italiane, né dipassato né di avvenire etc. etc. etc. etc. allo-ra forse comincerà il regno dell’arte.71

L’artista deve scrutar nel futuro, veder nelcaos nuovi mondi; e se nella nuova stradavede in fondo il lumicino, non lo spaventi ilbuio che l’attornia: cammini, e se qualchevolta inciampa e cade, s’alzi e tiri drittosempre. È bella qualche volta anche unacaduta in un capo scuola.72

Dopo aver scartato Adriana Lecouvreur,Verdi si dedica ad Aida, commissionata daIsmail Pascià, viceré d’Egitto, in occasionedelle celebrazioni per l’apertura dello stret-to di Suez.73 Partecipa attivamente al sog-getto tracciato da Du Locle «stendendo dacapo a fondo, scena per scena, frase per fra-se» in preparazione al libretto di AntonioGhislanzoni, al quale dà precise indicazio-ni:

Per parola scenica intendo dire la parolache scolpisce e rende netta ed evidente lasituazione.74

Compone la musica in quattro mesi, maper il debutto a Il Cairo affida la direzione aGiovanni Bottesini invece che all’amicoAngelo Mariani. Assente alla prima, non ri-mane molto colpito dal successo clamorosoriscosso: la prima italiana – la vera primaper Verdi – sarà alla Scala nel 1872, trion-falmente applaudita (chiamandolo in pro-scenio 32 volte) e riscuotendo ancora gran-di consensi all’Opéra di Parigi nel 1880.Verdi ha perfezionato la propria concezio-ne del timbro e dell’acustica teatrale in re-lazione alla disposizione dell’orchestra:

Di un’importanza ben maggiore di quel che

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comunemente si crede, per gli impasti de-gli strumenti, per la sonorità, per l’effetto.Questi piccoli perfezionamenti aprirannola strada ad altre innovazioni, che verran-no un giorno; e fra queste quella di toglieredal palcoscenico i palchetti degli spettatori,portando il sipario alla ribalta, l’altra: direndere l’orchestra invisibile. Quest’ideanon è mia, è di Wagner: è buonissima. Pareimpossibile che al giorno d’oggi si tolleri divedere il nostro meschino frack e le cravat-tine bianche miste ad un costume egizio,assiro, druidico, ecc.; e di vedere, inoltre, lamassa d’orchestra, che è parte del mondofittizio, quasi nel mezzo della platea fra ilmondo dei fischianti o dei plaudenti.75

Qualcuno avvertì influssi wagneriani in Ai-da, smentiti da Verdi («Bel risultato dopo 35anni di carriera finire come imitatore»76). Ildibattito sull’arte contemporanea, le in-comprensioni col direttore d’orchestra Ma-riani77 per motivi artistici e personali, cau-sati dalle voci di un’ipotetica relazione traVerdi e l’amica Teresa Stolz (ex-amante diMariani e interprete sia in Aida che nel Re-quiem), le conseguenti incertezze dellaStrepponi, segnano l’inizio e il seguito di unperiodo di silenzio operistico. In Franciaviene insignito della Legion d’onore.

11887733A Napoli per le recite di Don Carlo e Aida,sospese le prove per imprevisti, compone ilQuartetto per archi in mi minore, eseguitoin forma privata all’albergo delle Crocelle aChiatamone.78 Verrà presentato pubblica-mente al Conservatorio di Milano e a Vien-na nel 1875. A Genova si trasferisce a Pa-lazzo Doria, a Milano fissa una residenzaall’Hotel Milan. La morte di Manzoni lo co-glie di sorpresa:

Ora tutto è finito! E con Lui finisce la piùpura, la più santa, la più alta delle glorienostre.

11887744La Messa da Requiem in memoria di Man-zoni viene eseguita a Milano nella chiesa diS. Marco, diretta dall’autore e successiva-

mente portata in Europa a Parigi, Londra eVienna, uno dei suoi più grandi successi.Contrastanti le opinioni sulla sua religio-sità, anticlericale e forse prevalentementeateo, in questo opposto alla Strepponi, mol-to cattolica. La accompagnava a messa, manon entrava in chiesa. In seguito pare inve-ce che si fermasse in chiesa per meditare, enel 1892 verrà celebrata una messa di Na-tale in casa sua. Arricchitosi, viene nomi-nato senatore per censo, ma come tale nonsvolse attività politica:

I giornali scherzano atrocemente quandopossono parlare delle mie immense ric-chezze! Immense?!! E come possono esseretali? […] Quando io scrivevo molto, le ope-re si pagavano poco; adesso che si paganobene, non scrivo quasi più.79

11887777Viene invitato in Germania al Festival mu-sicale di Colonia, dove vengono eseguiti ilQuartetto e la Messa da Requiem, riceven-do in segno di stima una bacchetta d’avorioe argento e una corona d’argento e oro.11887799A Milano dirige la Messa da Requiem in be-neficenza, per le vittime delle alluvioni.L’orchestra lo saluta con una serenata sot-to casa. Non sembra intenzionato a ritorna-re al teatro, si sente vecchio e vuole lascia-re il campo ai giovani. Inoltre diventeràpessimista sul destino dei teatri in Italia:

La nostra musica a differenza della tedesca,che può vivere nelle sale con le Sinfonie,negli appartamenti coi Quartetti, la nostra,dico, ha il suo seggio principalmente nelteatro. Ora i teatri senza l’aiuto del Governonon possono durare. È un fatto che non sipuò negare: devono necessariamente chiu-dersi tutti ed è soltanto per eccezione sequalcuno trascina stentatamente la vita. LaScala, la stessa Scala forse chiuderà.80

Oramai i teatri vanno così male che è inuti-le scrivere delle opere. […] Tutti i teatri sichiuderanno l’uno dopo l’altro. Tutti!81

Ma Ricordi cerca di riavvicinarlo ugual-

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mente all’opera provocandolo con il sog-getto di Otello: in novembre è pronto il li-bretto di Boito.82 In Verdi la predilezioneper Shakespeare si era ormai consolidata.Leggeva anche Ariosto, amava pittura escultura, frequentava esposizioni d’arte:

Preferisco Shakespeare a tutti i drammatici,senza eccettuarne i Greci.83

Copiare il vero può essere una buona cosa,ma inventare il vero è meglio, molto me-glio. Pare vi sia contraddizione in queste treparole: inventare il vero, ma domandateloal Papà [Shakespeare]. Può darsi che egli, ilPapà, si sia trovato con qualche Falstaff, madifficilmente avrà trovato uno scelleratocosì scellerato, come Jago, e mai e poi maidegli angioli come Cordelia, Imogene, De-sdemona, ecc. ecc., eppure sono tanto veri!Copiare il vero è una bella cosa, ma è foto-grafia, non pittura.

Verdi aveva assunto da tempo il concetto di“vero”:

A me piace nelle arti tutto quello che è bel-lo. Io non ho esclusività: io non credo allascuola, e mi piace il gajo, il serio, il terribi-le, il grande, il piccolo, etc, etc. Tutto tutto,purché il piccolo sia piccolo, il grande siagrande, il gajo sia gajo, etc, etc… insomma,che tutto sia come deve essere: Vero e Bel-lo.84

11888800Nel ritiro di Sant’Agata si dedica ad attivitàcontadine. Dai 350 ettari iniziali la tenutaera stata portata a mille:

Io sto qui respirando dell’aria finché voglio,ma non ho da amministrare altro che lemie vacche, i miei bovi, cavalli ecc. e facen-do il contadino, il muratore, il falegname, ilfachino se occorre… Quindi addio libri, ad-dio musica, mi pare di aver dimenticato edi non conoscere più le note.85

Scrive un Pater noster a cinque voci e un’A-ve Maria per soprano e archi, diretti allaScala da Franco Faccio l’anno seguente. Al

silenzio operistico di Verdi risponde Ricor-di, proponendogli la revisione di SimonBoccanegra, ormai uscito dal repertorio.L’atteggiamento di Verdi verso le proprieopere passate è critico, come egli dimostrariguardo al periodo di Attila:

Non crediate che io disdegni troppo i lavoridi quell’epoca. Certo che ora non li farei, névorrei farli in quel modo.86

Inizialmente non è convinto del progetto diRicordi:

Ho ricevuto jeri un grosso pacco che sup-pongo una partitura di Simone! Se voi ver-rete a S.Agata da qui a sei mesi, un annodue, tre, ecc. la troverete intatta come mel’avete mandata. Vi dissi a Genova che iodetesto le cose inutili.87

Viene quindi preparata una nuova versionedel Boccanegra con prologo, su libretto diBoito, motivo per avvicinare moltissimo li-brettista e compositore per la prossima im-presa di Otello:

Raddrizzare le gambe ad un vecchio caneche fu ben bastonato a Venezia, e si chiamaSimon Boccanegra. […] Oltre di ciò lo spar-tito come si trova non è possibile. È troppotriste, troppo desolante! Non bisogna toccarnulla del Primo atto, né dell’ultimo, e nem-meno, salvo qualche battuta qua e là, delterzo. Ma bisogna rifare tutto il second’atto,e darle rilievo e varietà, e maggior vita. Mu-sicalmente si potrebbero conservare la ca-vatina della donna, il duetto col tenore el’altro duetto tra padre e figlia, quantunquevi siano le cabalette. […] Chi potrebbe rifar-lo? In che modo? Cosa si potrebbe trovare?Ho detto in principio che bisogna trovare inquest’atto qualche cosa che doni varietà eun po’ di brio al troppo nero del dramma.Come? […] A questo proposito mi sovvienedi due stupende lettere di Petrarca, unascritta al Doge Boccanegra, l’altra al Dogedi Venezia dicendo loro che stavano per in-traprendere una lotta fratricida, ché en-trambi erano figli d’una stessa madre l’Ita-lia, ecc, ecc. Sublime questo sentimento

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d’una patria italiana in quell’epoca! Tuttociò è politico non drammatico; ma un uo-mo d’ingegno potrebbe ben drammatizzarequesto. Per es.: Boccanegra colpito da que-sto pensiero vorrebbe seguire il consigliodel Poeta: convoca il Senato, od un Consi-glio privato, ed espone loro la lettera ed ilsuo sentimento. Orrore in tutti, declama-zioni, ira, fino ad accusare il Doge di tradi-mento. 88

Come sempre Verdi partecipa attivamenteal perfezionamento del nuovo libretto:

Se possiamo trovare un bel principio di fi-nale il resto a farsi si riduce solo a qualcheverso qua e là. Per cambiare alcune frasimusicali, ecc.

L’atto da lei ideato nella chiesa di San Siro èstupendo sotto ogni rapporto. Bello per no-vità; bello per colore storico; bello dal latoscenico musicale; ma mi impegnerebbetroppo, e non potrei sobbarcarmi a tanto la-voro. Rinunciando disgraziatamente a que-st’atto, bisogna attenersi alla scena del Se-nato, che fatta da Lei non dubito possa riu-scire fredda. Le sue critiche sono giuste; maElla ingolfata in lavori più elevati, ed aven-do in mente Otello, mira ad una perfezioneche qui sarebbe impossibile raggiungere. Ioguardo più in basso e, più ottimista di lei,non dispero. Convengo che il tavolo è zop-po, ma, aggiustando qualche gamba, credo,potrà reggersi. Convengo ancora, che nonvi sono di quei caratteri (ben rari sempre!)che vi fanno esclamare: “è scolpito” nono-stante a me pare che vi sia nei personaggi diFiesco e Simone qualche cosa da trarnebuon partito. Infine tentiamo, e facciamoquesto Finale col rispettivo AmbasciatoreTartaro, colle lettere di Petrarcaet…et…et…Tentiamo ripeto. Noi non siamopoi tanto inesperti, da non capire, pesa e seha tempo si metta immediatamente al lavo-ro. Io intanto guarderò di raddrizzare qua elà le molte gambe storte delle mie note,e…vedremo!89

Inoltre fissa i caratteri vocali dei personag-gi:

Il vostro baritono […] non avrà la calma, lacompostezza, e quella tale autorità scenicaindispensabile per la parte di Simone. Èuna parte faticosa quanto quella del Rigo-letto, ma mille volte più difficile. Nel Rigo-letto la parte è fatta, e con un po’ di voce edi anima si può cavarsela bene. Nel Bocca-negra la voce e l’anima non bastano. PelFieschi ci vorrebbe una voce profonda,sensibile nelle corde basse fino al fa, conqualche cosa nella voce di inesorabile, diprofetico, di sepolcrale.90

11888811Segue la produzione delle sue terre e impe-gna generosamente i propri guadagni inopere benefiche iniziando la realizzazionedell’ospedale rurale di Villanova sull’Arda(Sant’Agata ne era frazione), interamente asue spese, inaugurato nel 1887. Si occuperàanche della bonifica dei territori intorno aBusseto, costruirà case coloniche per i con-tadini, lascerà larga parte della propria ere-dità a istituti per bisognosi e ai poveri diSant’Agata.91 Frequenta le terme di Tabia-no Bagni e Montecatini. Comincia rapida-mente la revisione della partitura di SimonBoccanegra:

Io vorrei fare tutto di seguito come se sitrattasse di un’opera nuova.

Il 24 marzo viene rappresentato alla Scalail nuovo Simon Boccanegra diretto daFranco Faccio, riscuotendo grande succes-so, come riportato da Filippo Filippi sulgiornale «Perseveranza»:

Trionfo: questa è la parola più adatta peresprimere il successo che ebbero, ieri seraalla Scala, il prologo, il primo ed il terzo at-to del Boccanegra […] Non si può descrive-re l’effetto prodotto dal prologo: tutti do-mandavano se veramente la massima par-te di quella musica era stata composta 24anni fa.

Verdi commenta:

Anche prima dell’esecuzione di ieri sera

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[…] mi pareva fossero bene aggiustate legambe rotte di questo vecchio Boccanegra.L’esito di ieri sera mi conferma della miaopinione.92

Il Boccanegra potrà fare il giro dei teatri co-me tant’altre sue sorelle, malgrado il sog-getto sia assai triste. È triste, perché deb’es-sere triste; ma interessa. Nel secondo attol’interesse pare che diminuisca; ma non visarebbe da sorprendersi che in un altro tea-tro, se minore fosse il successo del finaleprimo, questo second’atto avesse il succes-so degli altri. Cose del mondo… Cioè delteatro! Vedremo, e intanto speriamo.93

Per l’edizione a Reggio Emilia, apportaqualche modifica:

Nell’introduzione al tempo 6/8 alla battuta68 ho cambiato l’orchestra per il corso didieci battute onde evitare un movimentodifficile per violoncelli e viole; come questiistromenti sono quasi sempre nelle nostreorchestre razze di cani, così è meglio cam-biarlo addirittura nello spartito per evitarequalche pasticcio d’esecuzione.94

Nella traduzione di Jacopo Caponi vienepubblicata in italiano la Vita aneddotica diG.Verdi del musicologo Arthur Pougin, giàedita a puntate su «Le Menestrel». Alla Sca-la viene inaugurata una scultura di Verdi,ma il musicista non presenzia alla cerimo-nia.

11888844Nuova versione italiana di Don Carlo allaScala, portata da 5 a 4 atti. Giacomo Pucci-ni debutta come compositore dell’opera LeVilli; Boito lo presenta a Verdi, che lo invitaspesso a pranzo, e che forse ebbe modo diascoltare alcuni suoi lavori:

Ho sentito dir molto bene del musicistaPuccini. [...] Segue le tendenze moderne, edè naturale, ma si mantiene attaccato allamelodia che non è moderna né antica. Pareperò che predomini in lui l’elemento sinfo-nico! Niente di male. Soltanto bisogna an-dar cauti in questo. L’opera è l’opera: la

sinfonia è la sinfonia, e non credo che inun’opera sia bello fare uno squarcio sinfo-nico. [...] Dico per dire... Con la certezzad’aver detto cosa contraria alle tendenzemoderne.95

Inizia con discontinuità la stesura di Otello,prima opera non commissionata, lavoran-doci fra periodi di interruzione:

L’Otello va, lentamente ma va! Lo finirò?Forse sì! Lo darò? La risposta è difficile an-che per me! Intanto tiriamo via ed Amen.96

11888877Richiamando da ogni parte del mondo cri-tici, compositori, editori, Otello va in scenatrionfalmente alla Scala, con un tale suc-cesso da soprannominare Milano “Otello-poli”. Una folla acclama Verdi presso la suaresidenza milanese. Nell’orchestra ArturoToscanini suona come violoncellista. HansVon Bülow esulta per la nuova opera, cosìcome Ferruccio Busoni:

L’Otello è il vertice più alto di quanto è sta-to finora raggiunto nella musica italianad’opera, e ciò sia detto non tanto a proposi-to dell’invenzione e del contenuto, quanto aproposito della forma e dell’indirizzo.

11888899A cinquant’anni dall’Oberto, sua primaopera, la carriera di Verdi viene festeggiatain una sorta di Giubileo, con gli auguri del-le più alte autorità, una raccolta di pensieriin suo onore dagli studenti delle Universitàitaliane, l’elogio di Carducci:

Giuseppe Verdi co’ primi palpiti dell’artegiovine presentì e annunziò la patria risor-gente. Oh canti indimenticabili e sacri a chinacque avanti il 1848! Giuseppe Verdi conla gloria della grande arte superstite ador-na ed esalta nel cospetto delle genti la pa-tria risorta. Gloria a lui, immortale, serenoe trionfante, come l’idea della patria e del-l’arte.97

Verdi è ormai un monumento vivente, co-me rimarca Antonio Fogazzaro:

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L’anima stessa d’Italia, che splende nellabellezza delle cose come nell’opera deigrandi poeti e dei grandi artisti, che viveoscura in ogni colore, in ogni forma del no-stro paese come in ogni petto del nostro po-polo, ha oggi la sua voce nel nome di Giu-seppe Verdi. Quando questa voce ne sgorgae suona, ciascuno di noi si sente a muoveredentro la potente anima misteriosa dellapatria e sente che il canto esce in qualchemodo da lui stesso, da infiniti altri a luicongiunti, dalla cara terra che a tutti è ma-dre. Dimentichiamo in quel momento ilVerdi; e questa è la sua gloria.

Il libretto di Falstaff viene cominciato daBoito, ottenendo da subito l’approvazionedi Verdi, che ormai da molto tempo medita-va su un’opera comica. La vicenda attingeancora una volta a Shakespeare, ripren-dendo episodi dalle Allegre comari diWindsor e da Enrico IV. Per Verdi è un tra-guardo:

Voi nel tracciare Falstaff avete mai pensatoalla cifra enorme de’ miei anni! […] Chegioja! Poter dire al pubblico: Siamo qui an-cora! A Noi!98

Acquista un terreno alla periferia di Milanoper l’edificazione di una Casa di riposo permusicisti su progetto dell’architetto Camil-lo Boito, fratello di Arrigo.

11889922Dirige la preghiera dal Mosè di Rossini nelcentenario della nascita del compositorepesarese, ultima apparizione pubblica co-me direttore. Per il quarto centenario dellascoperta dell’America il sindaco di Genovagli chiede un’opera celebrativa, ma Verdipassa l’incarico all’amico giovane esor-diente Alberto Franchetti.99 «Eccellentemusicista» era per Verdi anche Alfredo Ca-talani, altro giovane compositore.

11889933Frequenta assiduamente le prove di Fal-staff, in scena alla Scala con grande succes-so, diretta da Edoardo Mascheroni. Car-

ducci è entusiasta:

La prima rappresentazione di Falstaff allaScala fu una cosa assolutamente meravi-gliosa. Il gran vecchio Verdi, quando andaia salutarlo, mi abbracciò e mi baciò.

A Roma, dopo essere stato da Re Umberto ericevuta la cittadinanza onoraria, viene an-cora applaudito alle rappresentazioni nellacapitale, sensibilmente commentate daHanslick:

Che svolta inaspettata, bella, significativa,quella del vegliardo che verso il terminedella sua vita si svincola dal tragico e con lasaggezza della sua felice vecchiaia fa posa-re lo sguardo sul lato solare e giocondo del-l’esistenza!

L’opera passa presto a Venezia, Trieste,Vienna, Berlino. Boito gli propone un sog-getto su Antonio e Cleopatra e uno su ReLear. Un balletto per l’edizione francese diOtello è la nota conclusiva della sua lungacarriera operistica, mentre l’anno seguentela rappresentazione all’Opéra segnerà in-sieme a Falstaff all’Opéra Comique l’ultimavisita a Parigi. Falstaff sarà molto ammira-to da Richard Strauss, che invierà a Verdi lapartitura della sua prima opera Guntram«in segno d’omaggio ed ammirazione». AParigi partecipa alla commemorazione diCharles Gounod, per lui

un grandissimo musicista, il primo Mae-stro di Francia, ma non ha fibra drammati-ca. Musica stupenda, simpatica, dettaglimagnifici, ben espressa quasi sempre la pa-rola… intendiamoci bene, la parola, non lasituazione, non bene delineati i caratteri, enon impronta e colore particolare al dram-ma, o ai Drammi.

11889977Si dedica allo studio della musica antica,già da tempo frequentata in quaderni diesercizi con madrigali a quattro, cinque esei voci, e scrive uno Stabat Mater per coroe orchestra, che andrà a completare i cosid-detti Quattro pezzi sacri, costituiti anche da

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un Te Deum per doppio coro e orchestra(1895), un’Ave Maria su una scala enigma-tica per coro a 4 parti (1889) e le Laudi allaVergine Maria per coro femminile (1886).Giuseppina Strepponi muore a Sant’Agata,nominato Verdi suo erede universale, malasciandogli un grande vuoto («Io sono so-lo! Triste, triste, triste!»). Si dedica all’edifi-cazione della Casa di riposo per musicisti aMilano (che oggi porta il suo nome) allaquale assegnerà una parte della propriaconsistente eredità. Ormai abbandonata lacomposizione, segue le produzioni dellesue opere in Italia:

Non sono ammalato, ma sono troppo vec-chio!! Passar la vita senza poter far nulla! Èduro assai!

Io, senza essere malato, ho mille malanniaddosso. Le gambe mi portano a stento, enon cammino quasi più: la vista indebolita,e non posso leggere a lungo: di più sono an-che un po’ sordo. Insomma, millemalanni.100

Ma nel 1883 era stato più pessimista:

Gli anni cominciano proprio ad esseretroppi e penso… penso che la vita è la cosapiù stupida, e quello che è ancor peggioinutile. Cosa si fa? Cosa abbiamo fatto? Co-sa faremo? Nulla.101

11889988A Parigi vengono eseguiti i Pezzi sacri,mentre in Italia debuttano sotto la bacchet-ta di Arturo Toscanini, passando poi in In-ghilterra e Germania. Il giovane direttoreincontra Verdi per ricevere alcuni consiglisull’esecuzione. La salute peggiora e au-mentano i problemi di cuore.102

11990000Si sceglie di intitolargli il Conservatorio diMilano, ma Verdi non è d’accordo:

Conservatorio “Giuseppe Verdi” è una sto-nazione! Un Conservatorio ha attentato(non esagero) alla mia esistenza, ed io deb-bo sfuggirne fin la memoria. E se quel

sant’uomo di mio suocero, sentita la sen-tenza dei Profeti del Conservatorio del Giu-gno 1832, m’avesse detto «Sento che la mu-sica non è affare per te: è inutile perdertempo e spender denari. Ritorna al tuo vil-laggio nativo, torna organista, lavora la ter-ra e muori in pace».

Non mi hanno voluto da giovane, non miavranno da vecchio.

Anche altri conservatori aspirano a que-st’onore, fra cui quello di Parma. Verdi ri-fiuta il Collare dell’Annunziata, che il reUmberto gli vuole offrire; l’imperatored’Austria Francesco Giuseppe gli conferi-sce un’onorificenza per meriti intellettuali.Trascorre il Natale nella sua suite milaneseall’Hotel Milan, insieme alla Stolz, Boito eRicordi. Viene terminata la Casa di riposoper musicisti. Ultimi suoi appunti sono al-cune note sulla preghiera della regina Mar-gherita per l’assassinio di Umberto I.

11990011All’Hotel Milan il 21 gennaio rimane emi-plegico e incosciente per un ictus cerebra-le. Si dispiega una mobilitazione generale:le autorità inviano telegrammi, una follaattende notizie sotto il suo appartamento,per non disturbare le sue ultime ore la stra-da viene cosparsa di paglia per attutire ognirumore e viene impedito il passaggio deiveicoli. Giuseppe Verdi muore alle 2.50 del27 gennaio, assistito da Maria Carrara, Te-resa Stolz, Giulio e Giuditta Ricordi, ArrigoBoito, Giuseppe Giacosa, l’avvocato Cam-panari, il proprietario dell’albergo e alcunimedici. Il 30 gennaio una folla numerosaassiste al trasferimento della salma al Ci-mitero monumentale di Milano. I funeralisono semplici secondo le sue volontà:

Ordino che i miei funerali sieno modestis-simi, e sieno fatti o allo spuntar del giorno,o all’Ave Maria di sera senza canti e suoni.Non voglio nessuna partecipazione dellamia morte colle solite formole.

Il giorno seguente Toscanini dirige allaScala un solenne concerto commemorati-

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vo. Il 27 febbraio le salme di Verdi e dellamoglie, seguite dalle autorità e da circa tre-centomila persone, vengono trasportate,dopo apposito decreto parlamentare, all’O-ratorio della Casa di Riposo per musicisti,dove verranno conservate rispettando cosìle volontà del Maestro; simultaneamente,novecento esecutori diretti da Toscaninicantano Va pensiero dalla gradinata del Fa-nedio. La Casa di riposo per musicisti verràinaugurata nel 1902, solo dopo la morte diVerdi, che non voleva essere ringraziatopersonalmente. Boito lo ricordò con im-mensa ammirazione:

L’atto della mia vita di cui maggiormentemi compiaccio è la servitù volontaria cheho dedicato all’uomo giusto, nobile fra tuttie veramente grande.

Nel 1918 Toscanini trovò nella partituraautografa di Falstaff un appunto di Verdi:

Tutto è finito,Va, va, vecchio John,Cammina per la tua viaFin che tu puoi.Divertente tipo di bricconeEternamente vero sottoMaschera diversa in ogni Tempo, in ogni luogo.Va, va,Cammina, camminaAddio!!!!103

NOTE

1 Lettera a Ricordi, 20 novembre 1880.2 Lettera a Ricordi, 1868.3 Lettera a Giulio Ricordi, 1880.4 Lettera a Camille Du Locle.5 Secondo i registri battesimali (dove fu iscritto comeJoseph Fortunin François, poiché il ducato di Parmaera sotto dominio francese). Verdi sosteneva di esserenato il 9 ottobre, giorno di S. Donnino, fatto plausibilepoiché i nati dopo il tramonto venivano registrati nelgiorno successivo.6 Frazione a 5 Km da Busseto.7 Secondo i primi biografi la madre si era rifugiata conlui nel campanile della chiesa delle Roncole. Una lapi-de ricorda l’avvenimento.8 Sui tasti acuti riporta ancora i nomi delle note aggiun-ti a penna. Verdi la custodì per tutta la vita. Attualmenteè conservata al Museo della Scala di Milano.

9 È a questi episodi che si riferisce il celebre aneddotosecondo cui durante la funzione religiosa il piccoloGiuseppe, distratto dall’ascolto, ricevette in cambiouna pedata dal prete, che avrebbe aggiunto «Diot’manda ’na sajetta!» Ma sarà invece il sacerdote – co-me raccontò Verdi – a morire colpito da un fulmine du-rante una messa.10 I filarmonici di Busseto costituivano una piccolabanda composta da dilettanti, che si esibiva in case pri-vate. 11 Dopo la morte della seconda moglie di Antonio Ba-rezzi, che li aveva custoditi.12 Grazie all’intercessione della duchessa Maria Lui-gia tramite lo stesso Barezzi. Altrimenti gli sarebbe sta-ta concessa se avesse frequentato per un anno il Con-servatorio di Milano. I “forestieri” potevano essere am-messi solo come paganti nella classe di pianoforte.13 Autore di balletti e opere, rappresentate anche allaScala con discreto successo, Vincenzo Lavigna (1776-1836), di scuola napoletana (fu allievo di Paisiello) esostituto al teatro milanese, insegnava al conservatoriodi Milano dal 1823.14 Lettera a Francesco Florimo, 1871.15 Vi era stato ammesso senza concorso Giovanni Fer-rari, nonostante la disputa sollevata da Verdi.16 Fu maestro di cappella alla Corte Ducale di Parma.17 Fondato dal duca Carlo Visconti di Modrone per aiu-tare ex-teatranti bisognosi.18 Probabile rifacimento del progetto operistico origi-nario perduto e mai rappresentato intitolato Rocester(pare che Verdi sperasse in una sua messa in scena aParma). Viene altresì menzionato il titolo Lord Hamil-ton, forse solo una fonte librettistica per l’Oberto (cfr. J.BUDDEN, Tutte le opere di Verdi, vol. I, EDT, Torino,1985).19 In carriera dal 1834 al 1846, Giuseppina Strepponi fauna brillante cantante, ma allora in declino, peraltrodopo una trascorsa vita sentimentale tormentata. Par-lava anche l’inglese e il francese ed era diplomata inpianoforte.20 In una custodia con l’incisione «Ricordi della miapovera famiglia», Verdi conserverà per tutta la vita i lo-ro anelli nuziali, i capelli biondi di lei incastonati nelproprio anello, un suo anellino e un fermaglio, e unaciocca di capelli di Antonio Barezzi, dopo la morte diquest’ultimo. Alla morte di Verdi, per suo volere saràconsegnata agli eredi di Barezzi.21 Il racconto leggendario su Nabucco viene stempera-to dalla ricostruzione di M. LESSONA in Volere è poteredel 1869, antecedente, probabilmente più veritiera eapprovata in seguito dallo stesso compositore: abban-donato il libretto dell’opera per circa cinque mesi, Ver-di lo riprese per caso in mano, lesse l’ultima scena e lamusicò.22 Lettera a Clarina Maffei, 12 maggio 1858.23 Vienna e Lisbona, 1843; Barcelona, Berlino, Corfù,Stoccarda, Oporto, Malta, 1844; Parigi, Amburgo, Mar-siglia, Algeri, 1846; Copenaghen, Costantinopoli, Buda-pest, Londra, 1847; L’Avana, Bucarest, 1847; New York,Bruxelles, 1848; Praga, 1849; Lwow, Buenos Aires,1850; Zurigo, San Pietroburgo, 1851.24 A partire dal 1888 incorporerà l’editore Lucca chedisponeva ancora dei diritti di Attila, I Masnadieri e Ilcorsaro.

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25 Fu amante dello zar di Russia.26 In F. ABBIATI, La vita e le opere di Giuseppe Verdi,Milano 1959.27 Dopo i successi veneziani, Verdi cambierà opinionesulla città lagunare:«Scriveva che non mi piaceva ilsoggiorno di Venezia, dimani al contrario con mio grandispiacere la devo lasciare. E chi non sarà sensibile atante gentilezze?». Tuttavia in seguito ribadirà su Vene-zia: «Questa quiete cupa e melancolica mi mette orad’un umore qualche volta insopportabile». All’HotelEuropa orchestrò Rigoletto, Traviata e Simon Boccane-gra.28 Verdi era stato preferito a Donizetti, Mercadante, Pa-cini e Nini.29 Lettera alla direzione del Teatro La Fenice, 1843.30 Lettera a Cammarano, 4 aprile 1851.31 Lettera al segretario della Fenice Guglielmo Brenna.32 Lettera a Francesco Maria Piave, 8 agosto 1843.33 Modesto compositore di opere, svolse una carriereinternazionale di direttore d’orchestra.34 La frase di Attila «Avrai tu l’universo, resti l’Italia ame» era diventata uno slogan patriottico.35 Lettera al Piave, settembre 1846.36 Si era stabilita nella capitale francese dal 1846 comeinsegnante, fondando anche una scuola di canto.37 Lettera al Piave, aprile 1848.38 Lettera a Clarina Maffei, 3 ottobre 1848.39 Lettera a Piave, 1847.40 Lettera a Mauro Corticelli, 27 settembre 1862.41 Lettera al Piave, aprile 1851.42 Dove subirà cambiamenti nel titolo (Viscardello,Clara di Perth, Lionello).43 Lettera ad Antonio Somma.44 Lettera a Clarina Maffei, 1852.45 La borsa di studio che aveva percepito gli era statadonata “per legato”, oltre al fatto che inizialmente gli in-carichi musicali della cittadina gli erano stati negati.46 Lettera ad Antonio Barezzi, gennaio 1852.47 Verdi lo scoprirà soltanto nel 1882, in occasione deldebutto postumo dell’opera di Donizetti.48 Lettera a Muzio.49 Lettera a Léon Escudier, 1867.50 Lettera Tito Ricordi, 11 marzo 1874.51 Lettera a Giulio Ricordi, 9 giugno 1894.52 Lettera a Piave da Parigi, 3 settembre 1856.53 Lettera al Piave.54 Lettera a Clarina Maffei.55 Lettera a Barezzi.56 Riferito da Ghislanzoni nel 1865.57 Lettera a Tito Ricordi, 4 febbraio 1859.58 A pochi chilometri da Ginevra, nell’Alta Savoia.59 Ringraziamento al Podestà di Busseto.60 Lettera a Francesco Maria Piave, 8 febbraio 1865.61 Lettera a Du Locle, 7 dicembre 1869.62 Lettera ad Arrivabene, 5 febbraio 1876.63 Oltre a Verdi. erano stati convocati Buzzolla, Bazzi-ni, Pedrotti, Cagnoni, Federico Ricci, Nini, Boucheron,Coccia, Gaspari, Platania, Petrella e Mabellini.64 Lettera a Clarina Maffei.65 Lettera a Clarina Maffei, 24 maggio.66 Lettera a Clarina Maffei, 7 luglio.67 Verdi aveva rifiutato di partecipare all’inaugurazio-ne del nuovo teatro, e aveva accumulato risentimentidopo che nel 1856 i consigli richiestigli per la nomina

di un nuovo maestro di musica della città erano statitotalmente ignorati.68 Dal 1859 in Francia si utilizzava il diapason a 435Hz. Nel 1885 Boito rappresenterà l’Italia al congressointernazionale di musica di Vienna sostenendo la tesidi Verdi per un diapason a 432 Hz. Verranno adottati i435 Hz.69 Dichiarazione alla «Neue Freie Press» di Vienna, 1875.70 Lettera a Opprandino Arrivabene, 1868.71 Lettera ad Opprandino Arrivabene, 16 luglio 1875.72 Lettera ad Achille Torelli, 186773 Va in scena dopo due anni dall’apertura dello stret-to. In caso di rifiuto la commissione sarebbe passata aGounod o Wagner.74 Lettera a Ghislanzoni, 17 agosto 1870.75 Lettera a Giulio Ricordi, 1871.76 Lettera a Ricordi.77 Nel 1870 aveva diretto il Lohengrin di Wagner.78 Poi Hotel Hasserl, ora scomparso.79 La motivazione originaria della nomina a senatoreverrà quindi appositamente modificata.80 Lettera a Giuseppe Piroli, 1883.81 Lettera ad Arrivabene, 15 marzo 1883.82 Per Faccio Boito aveva redatto il libretto su Amletodi Shakespeare.83 Lettera ad Antonio Somma.84 Lettera all’amico pittore Domenico Morelli, 14 mar-zo 1873.85 Lettera all’amico Opprandino Arrivabene, 14 set-tembre 1880.86 Lettera a Giuseppe Perosio, 7 giugno 1880.87 Lettera a Giulio Ricordi, 2 maggio 1879.88 Lettera a Giulio Ricordi, 1880.89 Lettera a Boito, 11 dicembre 1880.90 Lettera a Ricordi, 20 novembre 1880.91 Dal testamento olografo di Verdi: «Di distribuire inperpetuo l’elemosina di lire trenta per ciascuno a cin-quanta poveri del mio villaggio nativo le Roncole ilgiorno 10 Novembre di ogni anno; Si distribuiranno aipoveri del Villaggio di S.Agata lire mille nel giorno do-po la mia morte».92 Lettera ad Arrivabene, 25 marzo 1881.93 Lettera ad Arrivabene, 2 aprile 1881.94 Lettera a Ricordi.95 Lettera ad Arrivabene, 10 giugno 1884.96 Lettera all’amico Opprandino Arrivabene, 19 marzo1886.97 Pubblicato sulla «Gazzetta musicale» di Milano. Ver-di rispose a Carducci:«Non avrei mai osato sperarech’Ella potesse rammentare il mio nome con parole in-dulgenti e tanto splendide. M’inchino ringrazio, e conammirazione profonda mi dico, Dev.mo».98 Lettera a Boito, 7 luglio 1889.99 Franchetti scriverà l’opera Cristoforo Colombo.100 Lettera a Boito, 1897.101 Lettera a Clarina Maffei.102 Secondo Il Caffaro di Genova.103 Conservato al Museo Teatrale alla Scala.

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Giuseppe Verdi. (1900).

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Le pubblicazioni dell’Istituto Nazionale diStudi Verdiani di Parma, qui sotto indicate,costituiscono ormai un punto di riferimen-to essenziale all’interno della ricchissimabibliografia verdiana:- «Bollettino di studi verdiani», dal 1960;- «Quaderni dell’Istituto di studi verdiani»,

dal 1963;- «Atti di Congressi», dal 1969;- «Studi verdiani», rivista attiva dal 1982;- «Carteggi».

a) Bibliografie e cataloghi

«Studi verdiani», sin dal primo numero del1982, pubblica una Bibliografia verdiana,a cura di Marcello Conati, che censisce lepubblicazioni dal 1977 a oggi.

- CECIL HOPKINSON, A Bibliography of theWorks of Giuseppe Verdi, 1813-1901, 2voll., Broude Brothers, New York 1973 e1978.

- MARTIN CHUSID, A Catalog of Verdi’s Ope-ras, Boonin, Hackensack (NJ) 1974 (Mu-sic Indexes and Bibliographies, 5).

- ELVIDIO SURIAN, Lo stato attuale degli stu-di verdiani: appunti e bibliografia ragio-nata, in «Rivista italiana di musicologia»,XII, 1977, pp.305-329.

b) Opere e libretti

Le opere di Giuseppe Verdi / The Works ofGiuseppe Verdi, a cura di Philip Gossett,Julian Budden, Martin Chusid, FrancescoDegrada, Gabriele Dotto, Ursula Günther,Giorgio Pestelli e Pierluigi Petrobelli. Av-viata nel 1983, l’edizione critica delle opere

verdiane è stampata da Casa Ricordi e dal-la University of Chicago Press. Sono statifinora pubblicati: Nabucco, Ernani, Alzira,Il corsaro, Luisa Miller, Rigoletto, Il trova-tore, La traviata, Messa da requiem.

- Tutti i libretti di Verdi, a cura di LUIGI

BALDACCI, Milano, Garzanti, 1975.- Verdi: tutti i libretti d’opera, a cura di PIE-

RO MIOLI, 2 voll., Roma, Newton Comp-ton, 1996.

- Tutti i libretti di Verdi, introduzione e no-te di LUIGI BALDACCI, Torino, UTET, 1996.

- Verdi. Libretti, antologia di libretti ver-diani (Nabucco, Macbeth, Rigoletto, Iltrovatore, La Traviata, Un ballo in ma-schera, Aida, Otello, Falstaff), con un sag-gio di Philip Gossett, Milano, Oscar Clas-sici Mondadori, 2000 (insieme con un vo-lume antologico di Lettere).

c) Carteggi

- I copialettere di Giuseppe Verdi, a cura diGAETANO CESARI e ALESSANDRO LUZIO, Mi-lano 1913 (ristampa anastatica: Bologna,Forni, 1968).

- Verdi intimo: carteggio di Giuseppe Verdicon il conte Opprandino Arrivabene(1861-1886), a cura di Annibale Alberti,Milano, Mondadori, 1931.

- Franco Faccio e Verdi: carteggi e docu-menti inediti, a cura di RAFFAELLO DE

RENSIS, Milano, Treves, 1934.- Carteggi verdiani, a cura di ALESSANDRO

LUZIO, 4 voll., Roma, Reale Accademiad’Italia e Accademia Nazionale dei Lin-cei, 1935-47.

- Giuseppe Verdi: autobiografia dalle lette-

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- Carteggio Verdi-Boito, a cura di MARIO

MEDICI e MARCELLO CONATI, 2 voll., Parma,Istituto di Studi Verdiani, 1978.

- Carteggio Verdi-Ricordi: 1882-1885, a cu-ra di FRANCA CELLA, MADINA RICORDI e MA-RISA DI GREGORIO CASATI, Parma, Istituto diStudi Verdiani, 1994.

- Verdi. Lettere, antologia a cura di Miche-le Porzio (insieme con volume antologicodi Libretti), Milano, Oscar Classici Mon-dadori, 2000.

d) Biografie, monografie e documentari

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- RODOLFO CELLETTI, Verdi, in Storia dell’ope-ra italiana, I vol., Milano, Garzanti, 2000.

f) Studi su Simon Boccanegra

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- MARCELLO CONATI, Il «Simon Boccanegra»di Verdi a Reggio Emilia (1857). Storiadocumentata. Alcune varianti alla primaversione dell’opera, Reggio Umilia, Edi-zioni del Teatro Municipale «Romolo Val-li», 1984.

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- DANIELA GOLDIN, La vera Fenice. Libretti-sti e libretti tra Sette e Ottocento, Torino,Einaudi, 1985.

- HANS BUSCH, a cura di, Verdi’s «Otello» and«Simon Boccanegra» (revised version) inLetters and Documents, 2 voll., New York,Oxford University Press, 1988.

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- HAROLD POWERS, «Simon Boccanegra» I,10-12: A Generic-Genetic Analysis of theCouncil Chamber Scene, in «Nineteenth-Century Music», XIII, 1989-1990, pp.101-128; trad. it. Analizzando Simon Boccane-gra: atto I, scene 10-12. Genere della ge-

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- ALBERT ORAM CORDELL, The orchestrationof Verdi: a study of the growth of Verdi’sorchestral technique as reflected in thetwo version of «Simon Boccanegra», AnnArbor, UMI, 1992.

- Simon Boccanegra. Disposizione scenica,a cura di MARCELLO CONATI e NATALIA

GRILLI, Milano, Ricordi, 1993.- JULIAN BUDDEN, The Vocal and Dramatic

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- PIERO MENARINI, Simón Bocanegra/SimonBoccanegra, nel programma di sala delTeatro Comunale di Bologna, 1997, pp.23-35 (versione ampliata di Firenze,1988-89).

- MASSIMO MILA, Simon Boccanegra, in

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Per notizie sulla figura storica di SimoneBoccanegra si possono consultare:- GIOVANNA PETTI BALBI, Simone Boccane-

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- LAURA MEGNA, Simon Boccanegra e il do-gado a Genova, nel programma di saladel Teatro La Fenice di Venezia, 1991, pp.980-987.

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Isaac Karabtchevsky.

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ISAAC KARABTCHEVSKY

Brasiliano di genitori russi, Isaac Karabt-chevsky ha compiuto gli studi di direzioned’orchestra e composizione in Germaniaperfezionandosi con Wolfgang Fortner,Pierre Boulez e Carl Ueter. Attualmente èDirettore Musicale del Teatro La Fenice do-ve dal 1995 è anche Direttore Principale edal gennaio 2001 è responsabile della pro-grammazione artistica. Dal 1981 al giugno2000 è stato Direttore Artistico del TeatroMunicipal di San Paolo. In entrambi i teatri ècostantemente impegnato sia nella direzio-ne di opere liriche che nelle stagioni sinfoni-che. Inoltre, dal 1988 al 1994, Karabtchevskyè stato Direttore Artistico della Niederoster-reichischer Tonkunstlerorchester di Vienna,con la quale ha compiuto numerose tournéeinternazionali. Per questa sua importante at-tività è stato insignito dell’Alta Onorificenzadel governo Austriaco per meriti culturali,riconoscimento assegnato per la prima voltaad un artista brasiliano. Gli impegni di diret-tore lo hanno portato alla Staatsoper e allaVolksoper di Vienna dove ha ottenuto unparticolare successo con Una tragedia fio-rentina, Il compleanno dell’infanta di Zem-linsky, L’affare Makropulos di JanácŠek,Carmen e Il barbiere di Siviglia. Ha inoltrediretto al Musikverein di Vienna, al Concert-gebouw di Amsterdam, al Royal Festival diLondra, alla Salle Pleyel di Parigi, al Ken-nedy Center di Washington, alla CarnegieHall di New York, alla Staatsoper di Vienna,alla Staatsorchester di Hannover, al TeatroComunale di Bologna, all’Accademia Nazio-nale di Santa Cecilia, al Teatro Massimo diPalermo, al Teatro Real di Madrid, alla RAIdi Torino, al Teatro Colon di Buenos Aires,alla Deutsche Oper am Rhein Düsseldorf.

Alla Fenice è stato protagonista di importan-ti allestimenti quali Erwartung, Il castellodel principe Barbablù, L’olandese volante,Don Giovanni, Falstaff, Carmen, Fidelio, Ai-da, Re Teodoro in Venezia di Giovanni Pai-siello, Sansone e Dalila, Un ballo in masche-ra, Sadkò di Rimskij-Korsakov, Billy Buddnonché in molti concerti sinfonici (Messa daRequiem di Verdi). Nel febbraio 1999 ha di-retto all’Opera House di Washington il BorisGodunov con Samuel Ramey; il critico TimPage del Washington Post ha giudicato que-sta esecuzione come uno dei due migliorispettacoli della stagione. L’attività concerti-stica lo ha portato a dirigere le più prestigio-se orchestre internazionali collaborandocon solisti quali Isaac Stern, Mtislav Rostro-povicŠ, Martha Argerich, Claudio Arrau, Gi-don Kremer, Eva Marton, Maria Guleghina.Le principali interpretazioni di Karabtchev-sky alla Fenice sono state edite in CD da«Mondo Musica» di Monaco di Baviera, lacasa discografica del teatro veneziano. Ser-gio Segalini, direttore di «Opera internatio-nal», ha indicato il suo Fidelio come un pun-to di riferimento tra le ultime produzionidell’opera beethoveniana.

ELIO DE CAPITANI

Regista, attore, autore, ha iniziato la carrieraartistica al Teatro dell’Elfo dove ha lavoratoin oltre una dozzina di spettacoli diretti daGabriele Salvatores, dove ha firmato la pri-ma regia (Nemico di classe di Nigel Wil-liams, 1982) e dove, divenuto regista stabile,ha inaugurato una nuova linea rivolta alladrammaturgia contemporanea, linea che hatrasformato l’Elfo in un teatro d’avanguar-dia nel panorama italiano, forte di una pro-grammazione ricca di prime italiane, di im-

BIOGRAFIEa cura di PIERANGELO CONTE

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portanti collaborazioni e di significativi rico-noscimenti. Tra i suoi lavori ricordiamo L’i-sola, Il lago, Il servo, Sogno di una notte dimezza estate, Le amare lacrime di Petra vonKant (diretto a quattro mani con FerdinandoBruni, con il quale ha stabilito un duraturosodalizio, e premiato con il Biglietto d’oroAgis-BNL 1990), La danza immobile, Il poz-zo dei pazzi, La sposa di Messina, Risvegliodi primavera, La bottega del caffè (rappre-sentato in Italia ed in tournée in Sud Ameri-ca) e I rifiuti, la città e la morte che concludela trilogia dedicata a Fassbinder. In seguitoalla costituzione di Teatridithalia, organi-smo nato dall’unione dell’Elfo con il Teatrodi Porta Romana, firma la regia di Restiumani non identificati e la vera natura del-l’amore, Decadenze e Alla greca. Dirige Ma-riangela Melato in Un tram chiamato desi-derio per il Festival dei Due Mondi di Spole-to nel 1993 e in Tango barbaro nel 1995.Tornato a Shakespeare con Amleto, mette inscena I Turcs tal Friul di Pasolini alla Bien-nale di Venezia, Caligola, La morte e la fan-ciulla, Tango americano, Edoardo II e re-centemente Giochi di famiglia. Con SimonBoccanegra, Elio De Capitani è alla sua pri-ma regia lirica.

CARLO SALA

La sua carriera è contraddistinta dalla con-tinua collaborazione con De Capitani alTeatro dell’Elfo per quanto riguarda la pro-sa e con Puecher e Nunziata per quantoconcerne la lirica. Nel primo periodo ha fir-mato gli abiti per numerosi lavori teatrali ele scene e i costumi per Bohème, Arcadia inBrenta, La straniera, Cavalleria rusticana,Luisa Miller, La serva padrona, Il pirata, Si-mon Boccanegra, Il matrimonio segreto, Ci-

ro in Babilonia, opere presentate in teatriitaliani, e per Elisir d’amore proposto inSpagna. Vincitore del «Premio Milano 90 – Ilcontemporaneo» per le scene della Bottegadel caffè, a partire dal 1991 stabilisce unafruttuosa collaborazione con il coreografoCannito, con il quale realizza diversi spetta-coli di danza. Regolarmente presente nellepiù importanti stagioni italiane, partecipaalle produzioni di Amarcord e del Carrofantastico alla Scala e di Maria Stuarda al-l’Opera di Roma. Negli ultimi anni si inten-sifica il sodalizio artistico con De Capitani,sodalizio che ha dato vita ai Turcs tal Friul,al Sogno di una notte di mezza estate, alTango americano, a La morte e la fanciulla,a I rifiuti la città la morte, a Orestea – Eu-menidi, a Edoardo II, ai Due gemelli vene-ziani.

FRANCESCO FRONGIA

Resti umani non identificati e la vera natu-ra dell’amore di Brad Fraser è il titolo dellasua prima video-installazione. A quel pe-riodo risalgono le sue prime opere di video-arte che vengono presentate in diversi fe-stival italiani e internazionali. In seguitocollabora con Andrea Taddei per Motel e Ilberretto a sonagli e con Armando Puglieseper Il segno verde, La pelle, Le città delmondo, La guerra di Troia non si farà, LaGerusalemme liberata. È stato aiuto registadi Elio De Capitani tra il 1994 ed il 1998 conil quale ha realizzato lo spettacolo-concertoLa nuova gioventù di Pasolini e i filmati perOrestea – Eumenidi di Eschilo. Die Hoch-zeit di Wagner è la sua prima regia: ad essaè seguita quella per Pollicino di Henze e perMentre le ombre si allungano con il gruppoLa Crus.

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CARLO GUELFI

Ha studiato canto con lo zio paterno. Vinci-tore del Concorso «Aureliano Pertile» e pre-miato al «Giacomo Lauri Volpi» come “ri-velazione lirica internazionale”, ha avviatoda subito varie collaborazioni con i più im-portanti teatri e le più significative istitu-zioni musicali sia in Italia che all’estero.Nel corso della carriera ha affrontato consuccesso i principali capolavori melodram-matici ottocenteschi (è considerato unospecialista delle opere di Verdi), i più im-portanti testi del repertorio di matrice veri-sta impegnandosi anche nell’esecuzione dibrani di autori contemporanei. Ha spessocollaborato con famosi direttori (LeonardBernstein, Nello Santi, Peter Maag, CarloMaria Giulini, Zubin Mehta, Giuseppe Sino-poli, Antonio Pappano). Carlo Guelfi hacantato in Rigoletto (1997), Aida (1998), Ma-ria di Rohan (1999) e Sansone e Dalila(1999) al PalaFenice. L’anno scorso ha ri-scosso un grande successo personale nelSimon Boccanegra presentato al Festival diSalisburgo sotto la direzione di Abbado eall’Opera di Roma per Amonasro in Aida.

LUCIA MAZZARIA

Vincitrice del Concorso «Puccini» e delConcorso Internazionale di Rio de Janeiro,il soprano Lucia Mazzaria ha debuttato nel1987 al Teatro La Fenice nel ruolo di Mimìriscuotendo un entusiastico successo dipubblico e di critica che l’ha avviata ad unasignificativa carriera internazionale. Hacantato infatti in moltissime opere nei piùprestigiosi teatri (Teatro alla Scala, TeatroComunale di Bologna, Teatro Comunale diFirenze, Arena di Verona, Teatro San Carlo

di Napoli, Covent Garden, Staatsoper diVienna, Lyric Oper di Chicago, nelle sedi li-riche di Colonia, Zurigo, Bonn, Amburgo)collaborando con importanti direttori qualiRiccardo Muti, Gianluigi Gelmetti, AlainGuingal, Lorin Maazel, Bruno Bartoletti,Georges Prêtre, Daniel Oren, RiccardoChailly, Christian Thielemann, sir ColinDavis. Recentemente ha cantato nel DonGiovanni a Bilbao, in Saffo di Pacini, inCarmen a Bilbao e a Macerata, in Turandotdiretta da Zubin Mehta, in Aida al PalaFe-nice nel 1998.

AYK MARTIROSSIAN

Completati gli studi, dopo essersi affermatoin vari concorsi internazionali, dal 1994 al1998 ha fatto parte del cast dei solisti delTeatro Municipale di Mosca e ha stabilitouna fattiva collaborazione con il Bol’sŠojdove ha sostenuto i ruoli protagonistici nelBoris Godunov ed in Aida e dove torneràper Nabucco. Più recentemente Ayk Marti-rossian, regolarmente ospite nei cartellonidi prestigiosi teatri europei, è stato membrodell’Opera di Stato di Vienna, dove ha can-tato in Ernani, Rigoletto, Fedora.

FABIO SARTORI

Tra i più promettenti giovani tenori lirici ita-liani, Fabio Sartori ha mosso i primi passi inFenice debuttando nel 1993 in Mosè, nel1994 in Tristano e Isotta, nel 1995 in Bohè-me. Successivamente ha cantato a Bolognala Petite Messe Solemnelle per la direzionedi Leone Magiera e la parte di Percy nell’An-na Bolena, ha debuttato al Rossini Opera Fe-stival nell’Occasione fa il ladro, ha imperso-nato Pinkerton al Comunale di Firenze ed alVerdi di Trieste, Carlo nella Linda di Cha-

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mounix al Comunale di Bologna ed Edgardonella Lucia di Lammermoor alla Fenice diVenezia. Nella stagione 1997-1998 ha lavo-rato con Riccardo Muti alla Scala per il Mac-beth inaugurale (Macduff) e per la Messa daRequiem di Verdi, con Daniele Gatti al Co-munale di Bologna nel Simon Boccanegra econ Eliahu Inbal nel Don Carlo; al PalaFeni-ce ha cantato il ruolo del titolo nel Wertherdi Massenet. Recentemente ha collaboratocon Oren per Lucia di Lammermoor, conCallegari per Oberto, conte di San Bonifacio,con Abbado per Simon Boccanegra e conKarabtchevsky per la Messa da Requiem diVerdi presentata al PalaFenice lo scorso di-cembre.

MARCO VRATOGNA

Allievo di Angelo Bertacchi e Leone Magiera,il giovane baritono Marco Vratogna ha debut-tato di recente in Gianni Schicchi, produzioneallestita nei teatri del circuito lombardo, ed inStiffelio al Teatro Verdi di Trieste.

PAOLO RUMETZ

Inizia a Trieste lo studio del canto ed in se-guito si perfeziona a Monaco. Debutta nelMaestro di cappella e si esibisce al Festivaldei Due Mondi di Spoleto in un pastiche dimusiche mozartiane. Successivamente, inteatri italiani ed europei, interpreta numero-si ruoli, affrontando opere di diversa appar-tenenza storica (Parsifal, Traviata, Don Gio-vanni, Il turco in Italia, Sonnambula, Gio-conda, I quattro rusteghi). Ha cantato inoltrein oratori (Praecursor Domini di Frescobal-di) ed operette (Boccaccio). Tra gli impegnidelle ultime stagioni segnaliamo Gioconda,Carmen, Tosca, La pietra del paragone alGarsington Opera Festival, La cenerentola,

L’inganno felice a Padova in una produzio-ne del Teatro La Fenice, Trovatore, Bohème,Lucia di Lammermoor.

DARIO BALZANELLI

In seguito al debutto al Teatro di Marsala nelruolo di Edgardo in Lucia di Lammermoor,ha cantato numerose opere del repertorio li-rico tra cui Madama Butterfly, Traviata, Ri-goletto. Dopo esser stato Rodolfo, Macduff,Nemorino al Teatro Bonci di Cesena nel1998, ha svolto una tournée concertistica intutto il mondo, si è riproposto nella Bohèmea Sassari, in Austria e Germania ed ha inter-pretato Edmondo nella Manon Lescaut cheil Teatro La Fenice ha rappresentato a Co-penhagen l’anno scorso. Recentemente hadebuttato nella Messa da Requiem di Verdi aKlagenfurt.

GISELLA PASINO

Ha debuttato in Aida a Roma nel 1987: da al-lora il suo repertorio si è arricchito di nume-rosi ruoli verdiani quali Preziosilla nella For-za del destino, Fenena nel Nabucco, Maddale-na nel Rigoletto, Azucena nel Trovatore edEboli nel Don Carlo. Dopo il successo ottenu-to a Francoforte accanto a Renato Bruson nel-la riscoperta dell’opera Cristoforo Colombo diFranchetti, Gisella Pasino ha calcato i princi-pali palcoscenici italiani e stranieri. Recente-mente applaudita in Carmen, vanta una note-vole produzione discografica.

ANTONIO SALVADORI

Vincitore di sette concorsi lirici, giovanissi-mo debutta nei Pagliacci, nel Barbiere di Si-viglia, in Un ballo in maschera ed in Rigo-letto. Inizia così una carriera internazionaleche lo vede interpretare i principali ruoli di

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baritono drammatico nelle più importantisedi liriche mondiali. Al Teatro alla Scaladebutta in Luisa Miller e vi ritorna per Bea-trice di Tenda, I pagliacci e La fanciulla delwest. Diretto da bacchette di grandissimocalibro quali Kleiber, Muti, Maazel, Gavaz-zeni, Sinopoli, Chailly, recentemente si èesibito nella Bohème, in Simon Boccanegra,Cavalleria rusticana, Macbeth, Nabucco,Tosca, Aida, Rigoletto.

SERENA FARNOCCHIA

L’affermazione in importanti concorsi in-ternazionali l’ha condotta al debutto nelloSpeziale di Haydn ed in Lucia di Lammer-moor a Philadelphia al fianco di LucianoPavarotti. Perfezionatasi con Magda Olive-ro e Riccardo Muti in seno alla Scala doveha cantato in Nina pazza per amore, in DonGiovanni, in Armide e nel Concerto di Pa-squa, si è esibita in Adelia di Donizetti, inTannhäuser a Napoli, in Iris, in Carmen,nella Donna senz’ombra per la direzione diSinopoli, nella Bohème a Roma.

MAURIZIO MURARO

Vincitore del Concorso Internazionale «Ka-tia Ricciarelli», del Concorso Europeo«Adriano Belli» di Spoleto, del Premio Na-zionale Austriaco «H. Wechter» quale mi-glior interprete della stagione 1999-2000,già da alcuni anni Maurizio Muraro ricopreruoli principali nei maggiori teatri in Italiaed in Europa. Ha cantato a Vienna, Bruxel-les, Amburgo, Berlino, Monaco di Bavierasotto la direzione di maestri quali Muti, Si-nopoli, Oren, Metha, Davis, Pappano, esi-bendosi in opere di Mozart (la trilogia da-pontiana), Rossini (Un viaggio a Reims),Donizetti (Elisir d’amore, Don Pasquale,

Lucia di Lammermoor), Bizet (Carmen),Puccini (Bohème). Regolarmente impegna-to in registrazioni discografiche e cinema-tografiche, lo scorso dicembre ha cantatonella Messa da Requiem di Verdi al PalaFe-nice.

MAURIZIO GRAZIANI

Specializzato nel repertorio verdiano e ve-rista, Maurizio Graziani ha interpretato Idue Foscari, Macbeth, Stiffelio, Trovatore,Aida (a Buenos Aires, all’Arena di Verona,a Helsinki, al Festival di Trapani e di Aven-ches), Cavalleria rusticana, Adriana Le-couvreur (ad Atene), Andrea Chénier (aCatania). In repertorio vanta anche nume-rosi titoli pucciniani: Manon Lescaut (can-tata nei teatri lombardi, a Palermo e a Cata-nia), Madama Butterfly (a Tokyo e a Torredel Lago), Manon Lescaut, La fanciulla delwest, Tosca, Turandot.

MARCO DI FELICE

Da cinque anni in carriera, dopo aver fre-quentato diverse masterclass ed aver vintoprestigiosi premi, ha debuttato in Così fantutte. Successivamente ha cantato nelleNozze di Figaro, nella Scala di seta (al Tea-tro Comunale di Bologna), nella Bohème(anche all’Opera di Roma), nella Cambialedi matrimonio, nel Requiem di Fauré (alle-stito dall’Arena Sferisterio di Macerata), nelSignor Bruschino (anche con Gelmetti),nell’Amico Fritz (al San Carlo di Napoli),nel Viaggio a Reims (per la bacchetta diZedda), nella Cena delle beffe, in MadamaButterfly (a Tokyo).

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CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

presidente

Paolo Costa

consiglieri:

Giorgio Pressburger

Angelo Montanaro

segretario

Tito Menegazzo

COLLEGIO REVISORI DEI CONTI

presidente

Angelo Di Mico

Adriano Olivetti

Maurizia Zuanich Fischer

FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA

SOCIETÀ DI REVISIONE

PricewaterhouseCoopers S.p.A.

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233

icdirettore musicale

eIsaac Karabtchevsky

segretario generaleTito Menegazzo

direttore del personalePaolo Libettoni

direttore dell’organizzazione scenica e tecnicaGiuseppe Morassi

segretario artisticoSandra Pirruccio

capo ufficio stampa e relazioni esterneCristiano Chiarot

fotocomposizione e scansioni immagini Texto - Venezia

stampa Grafiche Zoppelli - Dosson di Casier (TV)

Supplemento a: LLAA FFEENNIICCEENotiziario di informazione musicale e avvenimenti culturali della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia

dir. resp. C. CHIAROT, aut. Trib. di Ve 10.4.1997, iscr. n. 1257, R. G. stampa

finito di stampare nel mese di gennaio 2001

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AREA ARTISTICA

ORCHESTRA DEL TEATRO LA FENICE

ISAAC KARABTCHEVSKYdirettore principale

JEFFREY TATEprimo direttore ospite

MAESTRI COLLABORATORI

direttore musicale di palcoscenico maestri di sala maestri di palcoscenicoGiuseppe Marotta * Stefano Gibellato * Silvano Zabeo *

Roberta Ferrari ◆ Ilaria Maccacaro ◆

maestro suggeritore maestri alle luciPierpaolo Gastaldello ◆ Gabriella Zen *

Violini primiRoberto Baraldi •Mariana Stefan •Nicholas Myall Mauro ChiricoAndrea Crosara Pierluigi CrisafulliLoris CristofoliGisella CurtoloRoberto Dall’IgnaMarcello FioriElisabetta MerloSara MichielettoAnnamaria PellegrinoPierluigi PuleseDaniela SantiAnna TosittiAnna TrentinMaria Grazia ZoharClara Marzorati ◆

Violini secondiAlessandro Molin •Gianaldo Tatone •Luciano CrispilliAlessio Dei RossiEnrico EnrichiMaurizio FagottoEmanuele FraschiniMaddalena MainLuca MinardiMania NinovaMarco PaladinRossella SavelliAldo TelescaJohanna VerheijenRoberto Zampieron

VioleAlfredo Zamarra •Elena BattistellaAntonio BernardiOttone CadamuroRony CreterAnna MencarelliPaolo Pasoli Stefano PioKatalin SzaboMaurizio TrevisinRoberto VolpatoAlberto Salomon ◆

VioloncelliLuca Pincini •Alessandro Zanardi •Nicola BoscaroBruno FrizzarinPaolo MencarelliMauro RoveriRenato ScapinMarco TrentinMaria Elisabetta VolpiF. Dimitrova Ivanova ◆Daniela Condello ◆Carlo Teodoro ◆

ContrabbassiMatteo Liuzzi • Stefano Pratissoli •Ennio Dalla RiccaGiulio ParenzanMarco PetruzziAlessandro PinDenis Pozzan ◆

FlautiAngelo Moretti •Andrea Romani •Luca Clementi

OttavinoFranco Massaglia

Oboi Rossana Calvi •Marco Gironi •Walter De Franceschi

Corno ingleseRenato Nason

Clarinetti Alessandro Fantini •Vincenzo Paci •Federico Ranzato

Clarinetto bassoRenzo Bello

Fagotti Roberto Giaccaglia •Dario Marchi •Roberto FardinMassimo Nalesso

ControfagottoFabio Grandesso

CorniKonstantin Becker •Andrea Corsini •Adelia Colombo Stefano FabrisGuido FugaLoris Antiga ◆

TrombeFabiano Cudiz •Fabiano Maniero •Mirko BelluccoGianfranco BusettoEnrico Roccato ◆Eleonora Zanella ◆

Tromboni Giovanni Caratti •Massimo La Rosa •Federico GaratoClaudio MagnaniniMaurizio Meneguz ◆

TubaAlessandro Ballarin

FisarmonicaRoberto Pasqualato •

TimpaniGabriele Cappelletto•◆

PercussioniAttilio De FantiGottardo PaganinRoger Catino ◆

ArpeBrunilde Bonelli • ◆

Pianoforti e tastiereCarlo Rebeschini •

• prime parti◆ a termine* collaborazione

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CORO DEL TEATRO LA FENICE

GIOVANNI ANDREOLIdirettore del Coro

Alberto Malazzialtro maestro del Coro

SopraniNicoletta AndelieroCristina BastonLorena BelliPiera Ida BoanoEgidia BonioloLucia BragaMercedes CerratoEmanuela Conti Anna Dal FabbroMilena ErmacoraSusanna GrossiMichiko HayashiMaria Antonietta LagoEnrica LocascioLoriana MarinAntonella MeriddaAlessia Pavan Andrea Lia Rigotti Ester SalaroManuela SchenaleRossana Sonzogno

AltiValeria Arrivo Mafalda CastaldoMarta Codognola Chiara Dal Bo Elisabetta GianeseVittoria GottardiKirsten Löell LoneManuela Marchetto Misuzu OzawaGabriella PellosPaola RossiFrancesca Poropat ◆Orietta Posocco ◆Cecilia Tempesta ◆Laura Zecchetti ◆

TenoriFerruccio BaseiSergio BoschiniSalvatore BufalettiCosimo D’Adamo Roberto De BiasioLuca FavaronGionata MartonEnrico MasieroStefano MeggiolaroRoberto Menegazzo Ciro PassilongoMarco Rumori Salvatore ScribanoPaolo VenturaBernardino Zanetti Domenico Altobelli ◆Dario Meneghetti ◆Luigi Podda ◆Bo Schunnesson ◆

BassiGiuseppe AccollaCarlo AgostiniGiampaolo BaldinJulio Cesar BertolloRoberto BrunaAntonio CasagrandeA. Simone DovigoSalvatore GiacaloneAlessandro GiaconMassimiliano LivaNicola NalessoEmanuele PedriniMauro Rui Roberto SpanòClaudio ZancopèFranco ZanettePaolo Bergo ◆

◆ a termine

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AREA TECNICO-AMMINISTRATIVA

direttore di palcoscenico responsabile allestimenti scenici altro direttore di palcoscenicoPaolo Cucchi Massimo Checchetto ◆ Lorenzo Zanoni ◆

capo reparto elettricisti capo reparto macchinisti capo reparto attrezzistiVilmo Furian Valter Marcanzin Roberto Fiori

capo reparto sartoria responsabile falegnameriaMaria Tramarollo Adamo Padovan

responsabile ufficio segreteria artistica responsabile ufficio promozione e decentramentoVera Paulini Domenico Cardone

responsabile tecnico responsabile archivio musicale responsabile ufficio economatoMarco Buranelli Gianluca Borgonovi Adriano Franceschini

responsabile ufficio produzione responsabile ufficio ragioneria responsabile ufficio personaleLucia Cecchelin e contabilità Lucio Gaiani

Andrea Carollo

MacchinistiBruno BelliniVitaliano BonicelliRoberto CordellaAntonio CovattaDario De Bernardin Paolo De Marchi Luciano Del ZottoBruno D’EsteRoberto GalloSergio GaspariMichele GaspariniGiorgio HeinzRoberto MazzonAndrea MuzzatiPasquale PaulonRoberto RizzoStefano RosanPaolo RossoFrancesco ScarpaMassimo SenisFederico TenderiniEnzo VianelloMario VisentinFabio Volpe

ManutenzioneUmberto BarbaroGiancarlo Marton

ElettricistiFabio BarettinAlessandro BallarinAlberto BellemoAndrea BenetelloMichele BenetelloMarco CovelliCristiano FaèStefano FaggianEuro MichelazziRoberto NardoMaurizio NavaPaolo PadoanCostantino PederodaMarino PeriniTeodoro ValleGiancarlo VianelloMassimo VianelloRoberto VianelloMarco ZenGiuseppe Bottega ◆

SarteBernadette BaudhuinEmma BevilacquaAnnamaria CanutoRosalba FilieriElsa FratiLuigina MonaldiniSandra TagliapietraTebe Amici ◆

AttrezzistiSara BrescianiMarino CavaldoroDiego Del PuppoSalvatore De VeroNicola ZennaroOscar GabbanotoVittorio Garbin

ScenografiaGiorgio NordioMarcello Valonta

Addetti orchestra e coroSalvatore GuarinoAndrea RampinCristiano BedaLorenzo Bellini ◆

Servizi AusiliariStefano CallegaroGianni MejatoGilberto PaggiaroThomas SilvestriRoberto Urdich

BiglietteriaRossana BertiNadia BuosoLorenza Pianon

ImpiegatiGianni BacciSimonetta BonatoLuisa BortoluzziElisabetta BottoniGiovanna CasarinGiuseppina CenedeseAntonella D’EsteAlfredo IazzoniStefano LanziRenata MaglioccoSantino MalandraLuisa MeneghettiAnna Migliavacca ◆Fernanda MilanBarbara Montagner ◆Elisabetta NavarbiGiovanni PilonFrancesca PiviottiCristina RubiniSusanna SacchettoDaniela SeraoGianfranco SozzaAlessandra Toffolutti ◆

Francesca TondelliAnna Trabuio ◆Barbara Terruzzin ◆

◆ a termine