Silvia Toscano INTRODUZIONE alla FILOLOGIA SLAVA Filologia... · La Filologia slava come disciplina...

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1 Silvia Toscano INTRODUZIONE alla FILOLOGIA SLAVA a.a. 2017-2018 Università ‘La Sapienza’- Roma

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Silvia Toscano

INTRODUZIONE alla

FILOLOGIA SLAVA

a.a. 2017-2018 Università ‘La Sapienza’- Roma

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Indice

1. Definizione e breve storia della disciplina

2. L’etnogenesi degli Slavi

2.1. La Protopatria 2.2. Le Migrazioni - Le prime testimonianze

3. Linguistica

3.1. Le lingue slave moderne 3.2. Slavia ortodossa e Slavia romana 3.3. Slavo-comune, antico slavo ecclesiastico, slavo ecclesiastico 3.4. Due alfabeti: glagolitico e cirillico

3.5. Linguistica storica

3.5.1. Slavo e Indo-Europeo 3.5.2. Fonetica: il vocalismo e la legge della sillaba aperta 3.5.3. Fonetica: il consonantismo e la legge dell’armonia sillabica. Palatalizzazioni

e Iodizzazioni 3.5.4. Conseguenze generali della Legge della sillaba aperta 3.5.5. Apertura dei dittonghi in liquida (*TorT *TolT *TerT *TelT) 3.5.6. Caduta e trasformazione degli jer 3.5.7. Esito delle vocali nasali 1 2 3.5.8. Esito di jat’ 7 3.5.9. Morfologia nominale 3.5.10. Tavole morfologia nominale 3.5.11. Morfologia verbale 3.5.12. Il presente nelle coniugazioni tematiche e atematica 3.5.13. I tempi passati 3.5.14. Le forme fisse: infinito e supino

4. Monumenti antico- slavi

4.1. Codici cirillici 4.2. Codici glagolitici

5. Appendici

5.1. Lingue slave moderne a confronto 5.2. Dizionari dell’antico–slavo ecclesiastico

6. Benedetto XVI: Cirillo e Metodio, esempi di ‘inculturazione’

7. Silvia Toscano: Cirillo e Metodio, ‘mediatori culturali, europeisti d’avanguardia’

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1. Definizione e breve storia della disciplina

1.1. Filologia slava1 è un termine complesso e sincretico che comprende più discipline: studio delle

antichità slave, paleografia, paleoslavistica, testologia, critica del testo, linguistica slava sia

diacronica che sincronica, riferita al periodo antico o a quello moderno, comparativistica, filologia

di testi a stampa. E' per questo che il suo insegnamento rispecchia una notevole diversità di approcci

e prospettive (introduttivo-generale, linguistico, paleoslavistico, strettamente filologico-testuale;

storico, storiografico, comparativistico, monografico-letterario) ed è di conseguenza difficile fornire

una definizione insieme sintetica e comprensiva dei suoi campi di attinenza. Molti eminenti slavisti

hanno tentato comunque di fornire una descrizione della desciplina.

Così si esprimeva il grande filologo croato Vatroslav Jagić nel 1910 (Istorija slavjanskoj filologii,

p. 1) "La FILOLOGIA SLAVA, nel senso molto ampio della parola, abbraccia il complesso della

vita spirituale e culturale dei popoli slavi, quale esso si riflette nella lingua e nei monumenti scritti,

nelle opere letterarie create vuoi da personalità individuali, vuoi dalle forze collettive della

creatività popolare, si riflette infine nelle credenze, nelle tradizioni e nei costumi del popolo."

Lo slavista ceco Max Weingart dava nel 1924 la seguente definizione: "La FILOLOGIA SLAVA

comprende lo studio storico-comparativo di tutte le lingue e le letterature slave con speciale

riguardo ai loro rapporti reciproci e ai loro tratti comuni"2, definizione ripresa anche da Arturo

Cronia (Introduzione allo studio della Filologia slava, Padova, 1951): "La FILOLOGIA SLAVA è

la scienza storico-comparativa di tutte le lingue e letterature slave, oppure di singole letterature

slave, studiate con speciale riguardo ai rapporti reciproci che passano tra queste e altre lingue e

letterature slave".

1 Il testo di questo primo paragrafo è in parte tratto dall'articolo di G.Dell'Agata, Filologia slava e Slavistica, in La Slavistica in Italia, Cinquant'anni di studi (1940-1990, Roma, 1994, pp. 11-42. 2 O podstate slovanské filologie, Bratislava, 1924.

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Bruno Meriggi3, in una lezione tenuta nel Seminario di Filologia slava dell'Università di Monaco

nel 1976, delineava come compito prioritario della slavistica moderna la ricostruzione di quelle

condizioni unitarie, linguistiche e culturali che avevano legato gli Slavi fin dall'epoca antica; in

particolare era importante stabilire la collocazione della Protopatria degli Slavi, il rapporto delle

lingue slave con altre lingue indo-europee e in specie con quelle baltiche, ricostruire la struttura

primitiva della famiglia e della società slave, il mondo religioso e il patrimonio mitologico.

Se Riccardo Picchio riteneva impossibile, almeno da parte di un singolo studioso, giungere a quella

sintesi storico-filologica auspicata dal Meriggi, egli delimitava i confini della slavistica come

"scienza generale delle tradizioni e dei fenomeni linguistico-culturali della Slavia nell'ambito degli

studia hulmanitatis."4. Precedentemente, Picchio aveva proposto una definizione della

FILOLOGIA SLAVA come quella scienza che "attraverso lo scrupoloso esame dei testi si sofferma

con particolare attenzione sul perdurare di caratteristiche comuni a tutti gli Slavi o di tendenze

interslave, anche nella fase storica moderna e successiva alle differenziazioni"5.

Giuseppe Dell'Agata a sua volta propende per una definizione della FILOLOGIA SLAVA come di

quella scienza che studia "in maniera critica e con procedimento complesso (ossia con metodo

filologico) i significati integrali veicolati da un qualunque testo in una qualsiasi lingua slava sia

antica che moderna"6, l'angolo visuale, comunque, per lo studio dei testi, deve restare quello dei

tratti di unità, di reciprocità, di differenziazione.

1.2. La Filologia slava come disciplina nasce come erede della filologia classica e della filologia

germanica all' inizio del XIX secolo, in piena età romantica, grazie agli studi del biblista ceco

3 Slavista italiano (1927-1970), autore di numerosi studi sulla preistoria linguistica e culturale degli slavi e in particolare sul folclore. 4 R.Picchio, La slavistica come sintesi storico-filologica nell'opera di Bruno Meriggi, in "Ricerche slavistiche", XX-XXI, 1973-74, p. 353. 5 R.Picchio, Quaranta anni di slavistica italiana nell'opera di E.Lo Gatto e di G.Maver, in Studi in onore di Ettore Lo Gatto e Giovanni Maver, Firenze, 1962, p. 14. 6 G.Dell'Agata, op. cit., p.16.

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Iosif Dobrovský (1753-1829).

Dobrovský, grande conoscitore delle lingue e delle letterature slave, pubblicò nel 1822 a Vienna il

primo studio sistematico sulla grammatica dello slavo antico: Institutiones linguae slavicae veteris

dialecti. In realtà non si tratta ancora di uno studio condotto con un metodo rigoroso (ricordiamo

che la glottologia come scienza del metodo ricostruttivo si sta formando in quegli stessi anni), che

confronti i dati dei monumenti antico slavi (di cui peraltro solo pochi erano noti a quel tempo) con

le lingue slave a lui contemporanee, anzi possiamo dire che ancora in Dobrovský non sono

riconosciute le diverse individualità linguistiche (ad es. serbo e bulgaro sono da lui considerate

un'unica lingua). Preoccupazione essenziale di Dobrovský era la descrizione del tipo più antico o

'dialetto' dello slavo ecclesiastico, la lingua dei testi sacri degli Slavi, la cui base era stata ben

riconosciuta nelle lingue meridionali: bulgaro, serbo, macedone. L'anno successivo Dobrovský

pubblicherà, in tedesco, sempre a Vienna, la prima monografia dell'epoca moderna su Cirillo e

Metodio, per la redazione della quale però l'erudito ceco non potè usufruire delle fonti principali per

la storia dei due fratelli, le Vite slave di Costantino e Metodio, perché non erano ancora state

scoperte. Lo saranno solo nel 1843 per opera di A.V.Gorskij.

La reazione al primo libro di Dobrovský fu ampia ed immediata. Nel numero 1 della rivista

Jahrbücher der Literatur del 1822, solo pochi mesi dopo la loro pubblicazione, uscì una lunga

recensione delle Institutiones dovuta allo slavista sloveno Bartholomaeus (Jernej) Kopitar (1780-

1844). Argomento maggiore della discussione era la caratterizzazione dello slavo ecclesiastico delle

origini o paleoslavo, come espressione linguistica di una particolare tradizione regionale. Kopitar

sosteneva che la lingua dei testi sacri slavi era stata originariamente fissata sulla base dei dialetti

"pannonici" (corrispondenti ai dialetti sloveni), arrivando ad affermare che proprio nell'area

pannonica era da ricercarsi la 'protopatria' degli slavi, che comprendeva quindi anche territori

subcarpatici e subdanubiani.

Nel 1820 lo studioso russo Aleksandr Christoforovič Vostokov (1781-1864) aveva pubblicato il suo

primo studio importante, intitolato Rassuždenija o slavjanskom jazyke, in cui introduceva il metodo

storico-comparativo nella linguistica slava. Per la prima volta i dati della lingua slava antica sono

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utilizzati per la spiegazione dei fatti linguistici nelle diverse lingue slave moderne, per la prima

volta si osserva che nel IX secolo non c'erano che minime differenze linguistiche tra le diverse aree

slave. Correttamente, a base dell'antico slavo è posto il dialetto bulgaro antico. A Vostokov va

ascritto il merito di aver riconosciuto l'esatto valore fonetico dei grafemi che apparivano nei

manoscritti antico-slavi 1 3,  2 4 che fin ad allora non si era capito rappresentassero delle vocali

nasali (e vocali nasali iodizzate, con j iniziale). Egli fu anche un valente paleografo, avendo

pubblicato la descrizione dettagliata delle centinaia di manoscritti slavi posseduti dal Rumjancevskij

Musej di Mosca. Tra i suoi contributi più importanti, spicca, nel 1843, l'edizione e lo studio del

Vangelo di Ostromir,il più antico manoscritto russo conservatosi, copiato in Russia nel 1057 da un

antigrafo macedone. Tra il 1858-1861 esce il suo Slovar' cerkovnoslavjanskogo jazyka e nel 1863,

finalmente, la Grammatika cerkovnoslavjanskogo jazyka. Le opere di Vostokov non hanno perso il

loro significato scientifico neppure in epoca attuale.

Tra i moltissimi slavisti che approntarono i loro studi nel corso del XIX secolo, ci piace ricordare lo

storico e linguista slovacco Pavol Jozef Šafárik (1795-1861). La sua attività fu dedicata

principalmente allo studio dei rapporti tra glagolitico e cirillico (fu il primo nel 1858 ad affermare

l’antichità del glagolitico in opposizione alla tesi di Dobrovský, che riteneva il cirillico anteriore).

In precedenza egli aveva composto lavori importantissimi sulle Antichità slave (1837), Etnografia

slava (1843), e sulla lingua dei documenti cirillo-metodiani, accordandosi con le posizioni di

Vostokov, secondo cui in epoca cirillo-metodiana i dialetti slavi non erano ancora granchè

differenziati (quindi distinguendo una volta per tutte serbo da antico-slavo, e serbo da bulgaro). A

Šafárik, i cui studi sono tra i primi contributi scientifici dedicati al periodo cirillo-metodiano, ma

che lavorò per la maggior parte della sua vita in Serbia e a Praga, è stato dedicato finalmente un

Convegno in patria, a Prešov in  Slovacchia, nel 1996 (Pavol Jozef Šafárik a slavistika).

Un ruolo importante nello sviluppo della filologia slava fu quello giocato dal dottissimo studioso

croato Vatroslav Jagić (1838-1923), cui si deve, nel 1910, la pubblicazione della Istorija

slavjanskoj filologii, una "summa" di tutto ciò che era stato elaborato e discusso fino ad allora

rispetto alle varie problematiche della slavistica. Jagić fu per anni il direttore della rivista berlinese

Archiv für slavische Filologie, nella quale sono editi i più importanti contributi scientifici

dell'epoca. Egli fu anche editore e studioso di testi slavi antichi: si ricordino, tra le altre, le edizioni

del Codex Marianus e del Codex Zographensis con relativi glossari greco-slavi.

1.3. Padre della Filologia slava in Italia può considerarsi Giovanni Maver, che ottenne nel 1921 la

prima cattedra di Filologia slava a Padova (prima cattedra di Filologia slava in Italia). Maver, italo-

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austro-dalmata, si era formato prima a Vienna e poi a Firenze e a Parigi. Allievo del glottologo

Mayer-Lübke, sembrava destinato ad una carriera di filologo romanzo, ma la ricerca quasi ossessiva

di un corretto metodo filologico lo portò a cercar di applicare tale metodo agli studi slavistici

italiani, rendendo dunque la slavistica una disciplina rigorosa, al pari della glottologia, della

romanistica, della germanistica. Per Maver il filologo slavo deve adottare il metodo comparativo

per lo studio di testi antichi e medievali e le relative problematiche. A questa visione si contrappone

quella dello slavista generale, più completo, caratterizzato da una sorta di multilinguismo culturale

come furono, ad esempio, Wolf Giusti, Enrico Damiani e Luigi Salvini.

Maver nel 1930 vinse la cattedra di polonistica all'Università di Roma, e a Padova si avvicendarono

Lo Gatto (studioso di letteratura russa) e Arturo Cronia (serbocroatista). Nel 1952 Maver fondò la

rivista "Ricerche Slavistiche", in cui si puntualizzava una netta separazione della ricerca scientifica

dalla pubblicistica. Tra i collaboratori più giovani della rivista, poi distintisi come illustri filologi

slavi, ricordiamo Sante Graciotti (1923-), accademico del Lincei con cattedra alla Sapienza di

Roma, e Riccardo Picchio (1923-2011), che ha insegnato per molti anni a Yale, finendo la sua

carriera all'Orientale di Napoli.

2. L’etnogenesi degli Slavi 2.1. La Protopatria Il problema della localizzazione della sede primitiva degli Indoeuropei, così come quella degli Slavi

prima dell'espansione a ovest, sud e est, è tuttora insoluto.

La difficoltà principale è data dalla mancanza di notizie sicure e dirette risalenti ai primi secoli d.C.

L'antichità classica non ci ha trasmesso neanche una testimonianza che con certezza possa essere

riferita agli Slavi.

Erodoto (storico greco) menziona i Neuri, come vicini settentrionali degli Sciti (tribù iraniche che

nel VII sec. a.C. arrivarono a stabilirsi nel'Ucraina meridionale), ma non si sa se essi fossero

davvero Slavi.

Plinio (Historia naturalis, IV,97: Quidam haec abitari ad Vistulam usque fluvium a Sarmatis,

Venedis, Sciris,…tradunt7) e Tacito (Germania, 46: Peucinorum Venetorumque et Fennorum

nationes Germanis an Sarmatis ascribam dubito…8) citano entrambi, come si può vedere, i Veneti,

ma non è del tutto sicuro, come invece alcuni affermano con certezza (sulla base delle

7 "Alcuni tramandano che queste zone fossero abitate, fino al fiume Vistola, dai Sarmati, dai Venedi e dagli Sciri". 8 “Le nazioni dei Peucini, dei Veneti e dei Finni non so se ascrivere ai Germani o ai Sarmati”.

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denominazioni di Winidi, Wenden, Windisch con le quali i tedeschi oggi designano Sorabi e Sloveni

e i finlandesi i Russi: Venäjä) che essi vadano identificati con popolazioni già slave. Maver è

contrario all'identificazione e riporta come argomento Tolomeo (Geographia, III, 5, 7) che colloca i

Οὐενέδαι (Uenédai) sul mar Baltico, ma su questo mare non vi è traccia di toponimi slavi, né

indizio alcuno di insediamento slavo. Forse il nome di Venedi era proprio di popolazioni (del

gruppo illirico?) che erano insediate in contiguità con gli Slavi e da cui questi avrebbero potuto ad

un certo momento ricavare il nome 9.

Gli Slavi risulterebbero dunque insediati in una regione non prossima al mare e lontana dalle grandi

vie di comunicazione dell'antichità. Senz'altro la patria degli Slavi va ricercata in una zona isolata,

difficilmente accessibile, che giustifichi anche, per questo suo isolamento e per la sua non eccessiva

estensione, la scarsissima differenziazione dialettale dello slavo comune e il suo carattere

eminentemente conservativo.

In mancanza di sicure testimonianze di contemporanei, così come di dati derivanti dall'archeologia

sono stati considerati come criteri di localizzazione della Protopatria anche i dati linguistici, di cui

riporteremo alcuni esempi:

1) il concetto di 'isola' è espresso in slavo da due termini: ostrov] (in rapporto col greco ῤέω

"scorrere") e  otok] (dal tema tek- "scorrere") che, per la loro origine indicano una zona intorno alla

quale scorre l'acqua, cioè un' isola fluviale e non marina. Se ne può dedurre che gli slavi, all'epoca

della formazione di queste parole, non conoscevano il mare e solo più tardi si sono avvicinati alle

sue sponde. In effetti tutta la terminologia marinara degli slavi deriva o da adattamenti di

terminologia fluviale o da imprestiti da altre lingue. Tuttavia sugli imprestiti bisogna andare cauti:

non è detto che siano penetrati nei primi secoli (II-IV) dato che fino all'VIII sec. un imprestito

poteva diffondersi in tutto il territorio occupato dagli slavi. I numerosi termini germanici entrati in

slavo (per lo più riguardanti istituzioni sociali, armi, mestieri, economia, tecnica delle costruzioni)

sono probabilmente posteriori al IV sec., quando gli Slavi entrarono in contatto con la civiltà

occidentale (per il tramite di popoli germanici) e da questa derivarono conoscenze negli aspetti

sociali e materiali (mentre in quello spirituale e religioso si è fatto sentire l'ascendente greco e

latino).

2) nomi di piante. In slavo, alcune piante sono indicate con un termine non indigeno, ad es. il

"faggio" (fagus silvatica), designato da una parola di origine germanica (russo, bulg., sbo-cr. buk,

9 G. Maver, voce Slavi, in Enciclopedia italiana Treccani, 1936, anche on-line.

9

pol. buk(iew) ceco ant. bukev, da buky a sua volta da un germ. *boko- equivalente al lat. fagus e gr.

φαγός, dunque con 1° rotazione consonantica: k>g e mutamento di a>o, che al tempo di Cesare

non era ancora avvenuta: Bacenis silva "bosco di faggi") il che ha fatto pensare che gli Slavi in

origine non conoscessero il faggio, vivendo in una zona al di là del limite orientale in cui il faggio

cresceva. Tuttavia i botanici non sanno indicare con certezza quale fosse stato quel limite: c'è chi

indica l'asse Konigsberg-Krzemienec (in Volinia)-Odessa, chi Danzica-laghi Masuri-Plock sulla

Vistola- Kolo sulla Warta-Leopoli, ma oltre a ciò nulla impedisce di pensare che il faggio avesse

una denominazione slava più antica (grab", cfr. il francese hêtre < franco *hestr) poi sostituita. Il

prestito è in ogni caso tardo.

Ipotesi sorte dalla combinazione di dati linguistici con dati botanici:

J.Czekanowski: gli Slavi, prima delle migrazioni dovevano occupare la parte centrale del bacino

della Vistola con in più la parte centrale del bacino del Bug e una striscia di zona al nord di esso,

senz'altro la patria degli Slavi non comprendeva l'area più orientale della Polessia e della Volinia.

A. Stender-Petersen: come Protopatria pensa al territorio che ha per confine occidentale le paludi

del Pripet, a sud la zona delle steppe, a est e nord è circoscritto dai fiumi Dnepr e Dvinà. Certo gli

Slavi non abitavano immediatamente a nord dei Carpazi, ma in una zona ben più settentrionale.

G. Maver: Per quel che riguarda il confine occidentale della Protopatria: l'antichità classica non ha

trasmesso alcun toponimo ad ovest della Vistola che possa apparire slavo (che Calissia, annotato da

Tolomeo intorno al 150 d.C. sia slavo, da kal] ‘fango’, non è sicuro affatto), né ci sono tracce di

parole celtiche nel lessico slavo: se gli slavi avessero abitato una zona tanto a ovest sarebbero

entrati in contatto coi Celti che, superiori culturalmente, avrebbero lasciato senz'altro dei prestiti,

inoltre sarebbero entrati in contatto almeno commerciale con i Romani, i quali tacciono

assolutamente.

Confine orientale: studi di Max Vasmer sulla toponomastica mostrano che gli Slavi dovevano

trovarsi a contatto a S. e SE con popoli iranici, a N con popolazioni baltiche, a N e NE con tribù

finniche che in epoca antica abitavano le regioni di Mosca, Tver' e Kaluga. Non è escluso che gli

Slavi abbiano abitato prima di aver iniziato la loro espansione, anche in tutta la parte occidentale del

bacino del medio Dnepr.

Detto tutto ciò, la zona più probabile sembra la Polessia (=paludi del Pripjat' ai confini di Polonia,

Bielorussia e Ucraina attuali) e la Volinia, situate proprio ai margini delle vie antiche di

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comunicazione: Mar Baltico-Boemia; Mar Baltico - Mar Nero; ma tanto ad est quanto a ovest gli

antichi confini potrebbero aver oltrepassato i limiti delle due regioni.

L'obiezione che la zona, anche comprendente il bacino del medio Dnepr, fosse troppo piccola per

ospitare una massa di gente che avrebbe poi occupato territori tanto vasti, si può superare pensando

che l'espansione non necessitava di un enorme numero di persone: gli Slavi occuparono territori

lasciati improvvisamente semivuoti, inoltre nella regione tra l'Oder e l'Elba non dovevano essere

senz'altro molto numerosi se la controffensiva germanica poté, nel corso di pochi secoli,

assoggettarli completamente e assorbirli in gran parte.

Ipotesi protopatria

2.2. Le Migrazioni - Le prime testimonianze sicure sugli Slavi

Siamo soliti indicare il VI sec d.C. come l’epoca in cui gli Slavi comparvero sul ‘palcoscenico’

della storia. E’ in questo periodo infatti che gli Slavi cominciano a spostarsi dalla iniziale

Protopatria migrando in più direzioni: a ovest, a nord-est, a sud, venendo così in contatto con altri

popoli che finalmente forniranno notizie scritte su di loro.

Nella cartina che segue sono mostrate le direzioni che presero le onde migratorie:

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Le migrazioni forse sono dovute ad un boom demografico, per far fronte al quale era necessario

spostarsi alla ricerca di nuovi terreni agricoli (gli Slavi sono infatti per lo più agricoltori sedentari),

ma certamente una spinta la dettero le popolazioni nomadi che proveniendo dall’Asia centrale

stavano premendo verso occidente (Unni e poi Avari). Già da qualche secolo inoltre diversi popoli

germanici avevano intrapreso una imponente migrazione verso ovest e verso sud (le cosiddette

‘Invasioni barbariche’) lasciando parzialmente liberi i territori della Germania. Gli Slavi

penetreranno in quei territori abbastanza pacificamente, arrivando fino al fino al fiume Elba, che

non verrà mai oltrepassato. Più precisamente si può tracciare la linea di penetrazione partendo dal

golfo di Kiel e da lì fino ad Amburgo (definita nell'845 da Prudenzio 'civitas Sclavorum' ‘città degli

Slavi’) poi alla regione della Saale in Turingia (definita 'regio Sclavorum' ‘regione degli Slavi’ in

un documento del 1075), per entrare presso Bamberg nell'alto bacino del Meno e raggiungere il

Danubio a Ratisbona.

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In questo grande territorio l'occupazione slava non era ovunque ugualmente intensa: nomi di luogo

germanici mancano, ad es., nella regione tra la Vistola e l'Oder, ma sono frequenti ad ovest

dell'Oder. Es. Berlino < sl. berlo, bastone, palo; Leipzig (anche Leibniz) < da sl. lipa, tiglio; Graz <

sl. grad ecc. Diverse sono le tribù slave che tra il IX e il X sec. occupano la Germania, chiamate pur sempre con

il nome collettivo di Sclavi o Sclavini (Pomor'ane, Veleti, Rani o Rugiani, Obodriti, Polabi e

Drevani, Sorabi, forse il gruppo più numeroso, di cui facevano parte le tribù dei Lusaziani e

Milziani). Le rivalità tra le tribù fecero il gioco dei tedeschi e contribuirono al loro sfacelo, a partire

dal 789 con l'attacco di Carlo Magno ai Veleti, in cui fu aiutato da Sorabi e Obodriti. Carlo Magno

fece costruire nell’ 805 il cosiddetto Limes (=Linea di difesa) Sorabicus per contenere gli Slavi che

era riuscito a ricacciare indietro. Quelli rimasti furono a poco a poco colonizzati dai Germani che li

assorbirono quasi completamente (tranne alcuni, Polabi, Sorabi e Slovinzi in Pomerania che

resistettero fino all’età moderna alla germanizzazione. I Sorabi costituiscono ancora oggi un’isola

linguistica slava in territorio tedesco). I Veleti resisteranno fino al XII sec. ed anche gli Obodriti, lo

stato dei Rani fu occupato nel 1169 dai Danesi, la sorte dei Pomerani fu per lungo tempo legata a

quella della Polonia.

Quella verso sud è forse l’espansione più importante e significativa. E’ in relazione con la

migrazione (VI sec., 568) dei Longobardi verso l’ Italia. (In rosso nella cartina i movimenti dei

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Longobardi)

Così facendo, essi lasciarono agli Slavi una possibilità di espansione (nella Pannonia) che prima

mancava: dalla Pannonia gli Slavi si diffondono poi rapidamente in tutta la penisola balcanica, a

Sud delle Alpi Orientali, giungendo fino a Creta. L’espansione verso Sud ha caratteristiche

particolari: gli Slavi infatti entrano in contatto con l’organizzazione statale dell’impero più civile

del mondo, quello bizantino, erede dell’Impero Romano. Questo conferirà agli Slavi dei Balcani

delle caratteristiche tutte proprie che si accentueranno ancor più, rispetto agli altri Slavi, quando

l’invasione ungara (fine IX-X sec.) separerà definitivamente Slavi occidentali ed orientali dai

meridionali.

Successivamente, nel IX secolo, gli Slavi furono risospinti più a nord nella penisola balcanica dai

bizantini che si erano riorganizzati dopo un periodo di decadenza e debolezza (che aveva permesso,

appunto) la calata slava nei Balcani.

Il territorio più vasto che gli Slavi occuperanno, partendo dal VI sec., si raggiunge nei sec. IX-X.

Essi non sono autoctoni per lo meno in 4/5 di tale terrotorio (nonostante durante il Romanticismo

storici slavi vedessero autoctonismo slavo nelle regioni tra Oder e Elba, nella Baviera settentrionale

e nella zona alpina, in Pannonia e e nella penisola balcanica).

Le prime fonti scritte sugli Slavi si devono allo storico dei Goti Giordane (che scrive in latino) e

allo storico bizantino Procopio di Cesarea (che scrive in greco):

1) Giordane, storico dei Goti, cronista della fine dell’impero romano, nel De rebus Gethicis

descrive - in parte riassumendo Cassiodoro (480c.-575c.) e la sua oggi perduta Historia Gothorum -

le diverse etnie che vennero in contatto con i Goti, e fa cenno anche agli Slavi (denominati Venedi-

Anti-Sclaveni) situandoli tra i Carpazi, la Vistola, il Dnepr a est, il Prut a ovest.

Dalla sorgente del fiume Visla [Vistola] e su distese incommensurabili si

è installata la gente dei Venedi. Benché i loro nomi cambino secondo le

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tribù e le località, tutti insieme si chiamano Sclaveni e Anti. Vivono gli

Sclaveni in una terra posta fra la città di Novietun [a sud di Lubiana], il lago

Mursiano [il lago Balaton o forse uno dei laghi alla confluenza del Prut con

il Danubio], il Danastr [Dnestr] e, a settentrione, fino alla Vistola. Non

possiedono città ma boschi e paludi. Gli Anti, i più fieri, vivono là dove si

inarca il Ponto [nella sella del Mar Nero fra il Dnestr e il Dnepr]. Distano

questi fiumi diversi giorni di marcia l’uno dall’altro...(III,34-55)

Come abbiamo stabilito precedentemente elencando i popoli, essi sono

usciti da una stessa tribù ma hanno tre nomi diversi: i Venedi, gli Anti e gli

Sclaveni. (XXIII,119-20)[cit. da F. Conte, Gli Slavi, pp.12-13]

2) Procopio di Cesarea (+562) segretario di Belisario, comandante degli eserciti dell’imperatore

Giustiniano, nel suo Istorikon - una delle opere storiografiche più importanti di epoca bizantina -

fornisce il dettagliato resoconto dei principali avvenimenti del suo tempo, molti dei quali lo videro

come diretto spettatore, accompagnati da una minuziosa descrizione delle conoscenze militari,

geografiche, istituzionali ed etnografiche. Nei tre libri dedicati alla guerra contro i Goti (gli altri

sono dedicati alla guerra contro i Vandali e contro i Persiani) si fa riferimento agli Slavi,

affermando che Sclaveni e Anti occupavano tutta la riva sinistra del Danubio e tribù di Anti erano

stanziate a nord delle steppe che bordeggiano il mar d’Azov.

La distinzione alla metà del 1° millennio d. C. pare dunque in Venedi (ovest), Sclaveni (sud), Anti

(est).

3. Linguistica 3.1. Le lingue slave moderne - Le lingue slave moderne si dividono in tre gruppi:

occidentale (ceco, slovacco, serbo lusaziano superiore e inferiore o sorabo, parlato poche decine di

migliaia di persone in territorio tedesco orientale; polacco, casciubo)

orientale (russo o grande russo, ucraino o piccolo russo, bielorusso);

meridionale (sloveno, serbo-croato-bosniaco, bulgaro, macedone).

Le lingue del gruppo orientale, bulgaro, macedone e serbo sono scritte in alfabeto cirillico, le

altre, tra cui il croato, in alfabeto latino.

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3.2. Slavia ortodossa e Slavia romana (latina)

Il mondo slavo (Slavia) presenta una divisione in 2 aree religioso-culturali: Slavia ortodossa (di cui

fanno parte Bulgari, Serbi, Ruteni, ossia Ucraini e Bielorussi, Russi) e Slavia romana (Cechi,

Slovacchi, Polacchi, Sorabi, Sloveni e Croati). La prima avrebbe risentito profondamente della

tradizione culturale bizantina, la seconda, sottoposta all’influenza latino-germanica, è anche detta

Slavia cattolica, seppure al suo interno ci siano molti protestanti10.

Lingua letteraria fu per molti secoli, nella Slavia ortodossa, lo slavo-ecclesiastico; nella Slavia

romana quasi lo stesso ruolo venne assunto dal latino.

10 I termini Slavia ortodossa e Slavia romana sono dovuti a Riccardo Picchio, altri studiosi preferiscono parlare di Slavia ortodossa e Slavia latina.

16

3.3. *Slavo comune, antico-slavo ecclesiastico e slavo-ecclesiastico

Fino all’epoca delle grandi migrazioni (sec.VI-VIII d.C.) si suppone che le popolazioni slave

parlassero un’unica lingua con pochissime varianti dialettali, che indichiamo con il nome di slavo

comune o protoslavo. Lo slavo comune non è attestato, lo si ricostruisce sulla base dei tratti comuni

delle diverse lingue slave e con l’aiuto dell’antico-slavo-ecclesiastico, la prima lingua scritta degli

Slavi, che non differiva molto dall’ultima fase dello slavo comune. E' opportuno suddividere lo

slavo comune almeno in due periodi, nel secondo dei quali (sec. V-VIII d.C. circa) sarebbero

avvenute le principali modificazioni che lo distinsero dalle altre lingue indo-europee.

La prima lingua slava attestata (ossia scritta) è l’ antico slavo-ecclesiastico (o paleoslavo, o

veterobulgaro, russo: старославянский язык, ted.: altkirchenslavische Sprache, ingl.: Old Church

Slavonic, franc.: vieux slave), lingua in cui sono effettuate le traduzioni dal greco dei testi sacri per

opera di Cirillo e Metodio (IX sec.d.C.). L’antico slavo ecclesiastico riflette particolarità delle

parlate slave bulgaro-macedoni (Cirillo e Metodio, greci, conoscevano lo slavo parlato nella loro

città natale, Salonicco in Macedonia), ma era perfettamente comprensibile anche nelle altre aree

slave. Oggi ci sono conservati una quindicina di codici manoscritti in antico slavo- ecclesiastico,

risalenti alla fine del X e all’XI sec. (per l’elenco, cfr. oltre). Nessun testo coevo a Cirillo e Metodio

ci è giunto. A partire dal XII sec., le funzioni di lingua letteraria (per lo più nella Slavia ortodossa) è

assunta dallo slavo-ecclesiastico, molto simile all’antico-slavo ecclesiastico, ma con alcune

modifiche che riflettono l'evoluzione della fonetica slava, in cui si assiste alla perdita delle vocali

nasali, sostituite da vocali orali11 (i grafemi 1 2  molto spesso sono sostituiti da e, u) e alla caduta

o trasformazione degli jer: [ ] (che restano come segni grafici, usati non sempre correttamente),

nonché modificazioni morfologiche e lessicali.

Lo slavo-ecclesiastico assume ‘coloriture’ dialettali, più o meno spiccate, a seconda delle aree dove

viene utilizzato; si parla infatti di slavo-ecclesiastico di redazione russa, bulgara, serba, rutena,

moldavo-valacca, ecc. Lo slavo-ecclesiastico servì da lingua letteraria per molti secoli anche per i

Rumeni e i Lituani. Oggi è in uso solo nella pratica liturgica degli Slavi ortodossi, soppiantato, per

il resto, dalle varie lingue letterarie nazionali, che cominciarono a imporsi a partire dal XVIII sec.

3.4. Due alfabeti: glagolitico e cirillico

I testi antico-slavi sopravvissuti sono scritti in due alfabeti: glagolitico e cirillico. Il primo, che si

suppone creato da Costantino-Cirillo, deriva il suo nome dal verbo a.sl. glagolati  ('parlare') ed è

11 Soltanto il polacco ha continuato a mantenere le vocali nasali, anche se le antiche 1 2 non corrispondono sempre alle nasali nel polacco attuale: ę (nasale anteriore) ed ą (nasale posteriore) .

17

un alfabeto che, graficamente, non ricorda alcun alfabeto conosciuto (e sulla possibile fonte grafica

gli studiosi da tempo si interrogano; per le ipotesi, cfr. oltre) mentre dal punto di vista funzionale è

simile a quello greco (l’ordine delle lettere è quello dell’alfabeto greco) con l'aggiunta di grafemi

per i suoni propri della parlata slava. Ricordiamo che l’alfabeto greco ha 24 lettere, quello

glagolitico un numero variabile, a seconda dei manoscritti, da 36 a 38.

L’alfabeto glagolitico ha un ottimo rapporto tra grafemi e fonemi, quasi perfetto: Costantino –

Cirillo, eccellente linguista, conoscitore di numerose lingue e alfabeti (greco, ebraico, samaritano,

siriaco) riuscì a individuare i suoni propri della parlata slava e a ‘ideare’ segni grafici (grafemi) per

ognuno di essi, senza ridondanze (al contrario ad es. dell’ italiano, in cui il suono /k/ è reso da più

grafemi: c, ch, q, cq) e senza errori se non in un caso: per il suono /ju/ usa un grafema unico: Ⱓ ,

come se fosse un suono unico e non l’unione di /j/ e /u/. Tuttavia può darsi che nel IX sec. il suono

fosse una sorta di /ü/, come nel tedesco.

Il cirillico - basato sull’onciale o maiuscola greca - fu introdotto probabilmente nel X secolo nella

Bulgaria orientale per sostituire il glagolitico, troppo complicato e lento da scriversi (per la

preponderanze delle forme ovali e circolari), e troppo ‘strano’ iconograficamente rispetto agli

alfabeti allora in voga, come il greco, l’ebraico o il latino. Ben presto sostituì il glagolitico in tutto il

territorio slavo, tranne che in alcune zone della Dalmazia dove il glagolitico, nella sua variante

angolare o quadrata, è utilizzato ancora oggi per i testi liturgici (i suoi utilizzatori sono detti

‘glagoljaše’).

Il cirillico ha lo stesso ordine delle lettere del glagolitico e gli corrisponde perfettamente tranne che

in un caso: al glagolitico Ⱑ corrispondono 2 grafemi cirillici: 7 8. Forse nella zona della

Bulgaria dove fu creato il cirillico, c’era una differenza fonetica tra la pronuncia di 7 / ea/ 8 /ja/,

mentre nello slavo parlato da Costantino-Cirillo 7 era pronunciato / ja/.

Glagolitico Cirillico antico

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Lapide di Bescanuova, Bašćanska ploča, 1100ca, isola di Krk (Veglia). Pù antico monumento croato scritto in glagolitico12

Glagolitico quadrato:

Quale modello grafico per il glagolitico? Molte le ipotesi che sono state fatte dagli studiosi, per cercare di individuare il modello grafico del

glagolitico, nessuna delle quali soddisfacenti. In sintesi, i modelli proposti sono:

- Greco corsivo . Nel 1880 il paleografo Isaac Taylor pensò alla minuscola corsiva greca con

legature, ipotesi sostenuta anche da V. Jagič (Istorija slavjanskoj filologii, 1910). Obiezioni: il

corsivo legato non può dare origine ad un alfabeto con caratteri separati. Il corsivo greco è usato

per testi non solenni, perché Costantino-Cirillo lo avrebbe usato per la traduzione del testo

sacro? Avrebbe potuto usare l'alfabeto greco capitale (maiuscolo).

12 Traslitterazione: [vъ ime ot]ca i sina [i sve]tago duxa azъ opat[ъ] drъžixa pisaxъ s o ledině juže da zvъnъmirъ kralъ xrъvatъskъ[i vъ] dni svoę vъ svet[uju] luciju i s[vedo] mi županъ desimra krъbavě mra[tin]ъ vъ l[i] cě pr(ez)b(itr)ъ neb(o)gъ a ... ъ posl ... vin ... lě ... vъ ... v o tocě da iže to por(e)če klъni i bo(gъ) i 12 a(posto)la i 4 eva(n)g'(e)listi i s(ve)taě luciě am(e)nъ da iže sdě živetъ moli za ne boga azъ opatъ d(o)brovitъ zъdaxъ crěkъvъ siju i svoeju bratiju sъ devetiju vъ dni kъneza kosъmъta obladajucago vъsu kъrainu i běše vъ tъ dnIm ikula vъ octočъcI sъ svetuju lucIju vъ edino

19

- Semitico. Costantino-Cirillo conosceva le lingue semitiche (ebraico, samaritano, aramaico)

come ci testimoniano i capp. VIII e XIII della Vita Constantini. Vondrák nel 1896 rintraccia i

modelli di alcune lettere dall' alfabeto ebraico e soprattutto dal samaritano. Se è indubbio che

alcune lettere abbiano un'origine semitica, prima fra tutte la ш, è pur vero che come sistema

funzionale il glagolitico è rapportabile solo al greco.

- Scrittura latina. Il corsivo latino, in particolare la scrittura precarolina dei secc. IV-VI è il

modello proposto da Wessely nel 1913.

- Alfabeti del Caucaso. Basandosi sulla testimonianza di Vita Constantini XVI, 7-8, Gaster nel

1897 riteneva che Costantino avesse imparato il georgiano e l'armeno e i rispettivi alfabeti

potevano essere la fonte grafica del glagolitico. L'ipotesi è ripresa dalla Privalova nel 1960 e

sostenuta con nuove prove, seppur non convincenti del tutto, perché limitate a singole lettere e

non all'intero sistema alfabetico.

- Alfabeto albanese. Geitler nel 1883 vedeva una dipendenza del glagolitico dall'alfabeto

albanese antico, ma l'ipotesi è stata rifiutata da tutti gli studiosi perché non si conoscono

documenti scritti in albanese anteriori al XVI sec.

- Crittografia greca. Granstrem nel 1955 riconosce il possibile modello per 31 lettere del

glagolitico in alcuni segni particolari usati nei manoscritti greci di astrologia, medicina,

alchimia, tachigrafia, crittografia. Per il suo carattere composito e artificiale, il glagolitico

sarebbe poi stato sostituito.

- Idea mistica. Alla base del glagolitico starebbero i tre simboli sacri: la croce, il triangolo, il

cerchio. Idea di Kiparsky del 1958. Nel 1992 Vynke e Detrez ritornarono sulla creazione

simbolica da parte di Costantino, ritenendo il glagolitico un alfabeto originale perché ispirato da

Dio, senza modelli grafici di riferimento. La forma delle lettere non sarebbe arbitraria bensì

rappresenterebbe l'idea spirituale del nome della singola lettera. Ciò sarebbe in accordo con

quanto si legge nella Vita Constantini a proposito della creazione delle lettere:

“ Il filosofo se ne andò e secondo un’antica abitudine si mise a pregare con altri futuri

compagni del suo gravoso incarico. Di colpo Dio gli si mostrò, esaudendo le preghiere

dei suoi servi. E di seguito compose le lettere e prese a scrivere in slavo l’esposizione

evangelica: ‘In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio’ (Gv.

1,1) e quanto segue. L’imperatore se ne rallegrò e lodò Dio insieme ai suoi consiglieri e

lo inviò con molti donativi, dopo aver scritto a Rostislav una lettera di questo tenore:

‘Dio, il quale vuole che ognuno pervenga alla conoscenza della verità (I Tm 2,4) ed

avanzi verso una maggiore dignità, poiché vide la tua frde ed il tuo vivo interessamento,

fece nei nostri giorni, con la rivelazione di un alfabeto per la vostra lingua, ciò che prima

20

non era, se non nei primi tempi, affinchè voi pure siate annoverati tra le grandi nazioni ,

che lodano Dio nella propria lingua. Pertanto ti inviamo colui, cui Dio mostrò un tale

alfabeto, uomo devoto ed ortodosso, molto dotto e di profondissima cultura. …” (VC

XIV 13-17, trad. V. Peri, Cirillo e Metodio, le biografie paleoslave, Milano, 1981, pp.

90-91)

3.5. Linguistica storica 3.5.1. Slavo e Indo-Europeo

Lo slavo-comune è una lingua della famiglia indo-europea (le altre lingue sono: sanscrito, antico

persiano, avestico, tocario, ittito, armeno, greco, albanese, baltico, latino, germanico, celtico, osco-

umbro). Si data, grossolanamente, il frantumarsi dell’unità indo-europea al 2000 a.C. Lo slavo è

dunque attestato circa 3000 anni dopo. Tra le lingue indo-europee, lo slavo fa parte del gruppo

cosiddetto ‘satem’(=‘cento’ in avestico) ossia presenta l’esito /s/ per la velare con intacco palatale

*k' dell’indo-europeo (e /z/ per *g'). Altre lingue satem sono: sanscrito, antico-persiano, avestico,

armeno, albanese, baltico. Le restanti sono dette lingue ‘kentum’. Infatti ad ant.sl. s]to   (‘cento’)  

corrisponde il lt. centum, il gr. ‘εκατόν, a sr[dice (cuore) il lt. cor-cordis, il gr. καρδία, ecc.;

ant.sl. znati,  lt.(co)gnosco, gr. γι-γνώσκω; ant.sl. zima lat. hiems, gr. χεῖµα.

Oltre a questa caratteristica, lo slavo presenta affinità maggiori con le lingue iraniche, col

germanico e, soprattutto, con le lingue baltiche. Alcuni studiosi suppongono una fase balto-slava

posteriore alla rottura dell’unità i.e., per altri, i fatti comuni a baltico e a slavo sarebbero da

attribuirsi a rapporti di vicinanza.

Lingue Indo-Europee:

21

3.5.2. Fonetica storica: il Vocalismo e la Legge della sillaba aperta

L' Indo-Europeo possedeva un sistema vocalico formato da 5 coppie di vocali, di cui una lunga e

l'altra breve. Lo slavo-comune modifica profondamente quel sistema, secondo lo schema seguente:

i.e. *ā *ă *ō *ŏ *ē *ĕ *ī *ĭ *ū *ŭ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓

sl.com. a o a o ě e i ĭ y ŭ

sl.ant. a o a o 7 e i [ y ]

-Nella fase finale dello slavo comune entra in vigore la legge della sillaba aperta (o della sonorità

crescente), secondo la quale ogni sillaba deve terminare con un suono più sonoro rispetto alle altre

componenti della sillaba stessa (ovvero con una vocale, che è l'elemento più sonoro in assoluto).

Questo fatto è alla base delle notevoli modificazioni intervenute nella fonetica slava, tese a risolvere

l'impronunciabilità delle sillabe chiuse.

La vocale u /u/ deriva dalla monottongazione dei dittonghi discendenti (quindi chiusi) *au, *eu,

*ou.

Es. cfr. lt. taurus sl.ant.  tur]              lt.  auris,  lit.  ausis,    a.sl.  uho

Le vocali nasali 1\2,    (ę/ą ) sono l’esito (resosi necessario per permettere l’apertura della sillaba)

dei dittonghi i.e. *en,em,im,in; *an,am,un,um;

Es. cfr. lt. pons-pontis sl.ant. p2t[Ω€®™æœøøπ      

                                     skr. panča, gr.πέντα,    sl.ant.  pèt[

                                       lt. sēmen sl.ant. s7m1

I dittonghi i.e. *ai, oi, hanno come esito : 7 * ei > i

Le opposizioni di quantità presenti nel vocalismo i.e. tendono a neutralizzarsi nello slavo-comune.

Non che non ci siano più vocali lunghe e brevi, ci sono vocali con differenti lunghezze (a, 7, i, y

sono lunghe; u, e, o brevi; [ ] ultrabrevi o ridotte; 1 2 possono essere sia lunghe che brevi)

22

ma non si oppongono le une alle altre. Si produce invece una nuova opposizione: quella tra vocali

anteriori o pre-palatali (molli ) e vocali posteriori o velari (dure).

Voc. ant. 7 e i [ 1

Voc. post.  a o y ] 2 u

3.5.3. Fonetica storica: il Consonantismo e la Legge dell’armonia sillabica. Palatalizzazioni,

Iodizzazioni

L'Indo-europeo possedeva una serie di consonanti occlusive (sorde, sonore, sonore aspirate, forse

anche sorde aspirate, ma queste ultime sfuggono alla ricostruzione, tranne *kh):

bilabiali: *p, *b, *bh

dentali: *t, *d, *dh

velari: semplici *k, *kh , *g, *gh, labiovelari: *kw, *gw, *gwh

velari con intacco palatale *k', *g', *gh'

e alcune consonanti continue, di cui, sibilanti (*s, *z), liquide (*l, *r), nasali (*m, *n), quindi *w e

*j (ossia u e i semiconsonanti).

Nel passaggio dall’Indo-europeo allo slavo-comune si perdono le aspirate (che confluiscono nelle

sonore corrispondenti, tranne la sorda aspirata *kh che resta tale), le labiovelari diventano velari

normali, le velari con intacco palatale diventano sibilanti (sorda e sonora), la semivocale *w diventa

la fricativa dentale sonora /v/.

I.e. *p *b*bh *t *d*dh *k *g*gh *kw *gw *gwh *k' *g' *gh' ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓

sl. com. p b t d k g k g s z

sl. ant. p b t d k g k g s z

I.e. *s *z *l *r *m *n *w *j ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓

sl.com. s z l r m n v j

23

sl. ant. s z l r m n v j

-Legata alla legge della sillaba aperta, che fissa la sillaba come unità fondamentale della parola, è

la legge dell’armonia sillabica (o sinarmonismo): vocale e consonante all’interno di una stessa

sillaba devono avere lo stesso punto di articolazione. E’ la consonante che si modifica

armonizzandosi con la vocale. Se segue vocale anteriore o molle, la consonante acquisisce un tratto

di mollezza in più oltre alla sua abituale articolazione, è cioè pronunciata con la lingua spinta più in

alto e in avanti, verso il palato molle, mentre se segue una vocale posteriore la consonante è

pronunciata normalmente. La vocale /a/ funziona come una posteriore, non altera quindi la

pronuncia della consonante.

Si produce così una doppia pronuncia (dura e molle) per le consonanti labiali, dentali e liquide ( b-

b', p-p', v-v', m-m'; d-d', t-t', s-s', z-z', n-n'; l-l', r-r') a seconda della vocale che segue,

mentre le velari, davanti a vocali anteriori, mutano completamente trasformandosi in consonanti

palatali (quest’ultime hanno pronuncia unicamente molle). Lo slavo comune (nelle fasi finali) si

arricchisce così di nuove consonanti (x ž ш c  )  rispetto a quelle ereditate dall'Indo-Europeo:

1° palatalizzazione delle velari (risalente al V sec. circa):

k > x

g > ž davanti a: 7< *ē, e, i, [, 1

h > ш  

2° palatalizzazione delle velari (risalente alla fase finale dell’epoca slava-

comune, dopo la chiusura dei dittonghi discendenti

*ai, *ei, *oi, VII sec. circa):

 

k    >        c                                                                                                                

g > z æ davanti a: 7 < *ai, oi i < *ei

h > s

 

 

3° palatalizzazione delle velari

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Presenta esiti uguali alla seconda ( es. a.sl. ov[ca, cfr. skr.. avika; a.sl. v7n[c[ cfr. lit.vainikas)  ma

gli studiosi sono divisi riguardo alla precedenza cronologica dell’uno o l’altro di questi fenomeni.

Presenta inoltre altri problemi:

è una palatalizzazione progressiva (cioè dovuta all’influsso della vocale precedente la velare) e non

regressiva come le altre due, cioè dovute all’influsso della vocale seguente; avviene solo dopo

alcune vocali molli: i, [, 1 e solo se la velare non è seguita da consonante; si riscontrano

comportamenti contraddittori in condizioni che sembrano uguali: es. *ăttikos >*ot[k]  >  ot[c[,  ma

starik] non subisce palatalizzazione e la velare resta immutata.

Le persistenza delle antiche palatalizzazioni nelle lingue moderne è stata in parecchi casi osteggiata

da fattori morfofonologici.

Esse sono state parzialmente o totalmente riassorbite nelle varie lingue se in sillaba precedente la

desinenza, soprattutto nella declinazione nominale.

Il russo ripristina le velari originarie:

nom a.sl. r2ka              russo      рука                                    a.sl.        muha              russo              муха  

dat /loc. a.sl. r2c7            russo        pуке                                    a.  sl.      mus7 russo            мухe  

così pure slovacco e sloveno.

Si mantiene invece l’alternanza velare/palatale in ceco, polacco, ucraino, bielorusso, cercando in

molti casi di evitare il realizzarsi delle condizioni in cui le palatali debbano comparire.

L’effetto delle palatalizzazioni persiste in misura molto maggiore quando esse riguardano non

l’incontro tra cons. tematica e desinenza, nella declinazione, ma l’incontro di una radice o la

composizione nominale e verbale: qui non hanno potuto intervenire i fenomeni morfonologici con i

loro effetti livellatori (es. russo. страх “paura” ma  страшный “terribile”, con 1° palatalizzazione

di fronte al suffisso -[n] ecc.). Le alternanze consonantiche dovute alle palatalizzazioni sono

rimaste più stabili nella coniugazione (могу   -­‐  можешь) che nella declinazione (cfr. A.Cantarini,

Lineamenti di fonologia slava, Brescia, 1979, pp.58 ss.).

- Iodizzazioni , ossia l’incontro delle consonanti con jod (Cons- j - vocale)

25

In Indo-Europeo tutte le consonanti potevano unirsi a jod (= i semivocale), nello slavo comune si

assiste ad un processo di assimilazione della consonante precedente allo jod, per cui la consonante

si palatalizza e lo jod, tranne in alcuni casi, scompare. Anche la vocale successiva a j tende ad

essere modificata in senso palatale. Il fenomeno è avvenuto dopo la prima palatalizzazione delle

velari e la formazione di consonanti molli.

j si conserva in a-slavo solo davanti a vocale in inizio di parola, scritto come j (9st], `3ti), in fine

di parola, dove è scritto come i    (novyi, sinii), all’interno dopo vocale ( sto8ti, zna9t]).

Ecco cosa avviene quando una consonante si trova immediatamente seguita da j. Esiti:

(Labiali) *b, p, v, m + j : bl’’,  pl’’,  vl’’, ml’’      

Es. per il verbo l0biti,  1° pers.pres. l0bl’4  <*ljubjon,    kupiti -  kupl’4  <*kupjon,    loviti    -­‐  

lovl’’4<*lovjon  

Æzeml8  <*zemja

(Sibilanti) s, z + j : ш,  ž

Es. ¢nositi 1°pers.pres. noш2,   <*nosjon,   pisati piш2,   <*pisjon,       шiti<*sjiti <*sjuti,        

voziti  vož2 <*vozjon

(Velari) k, g, x + j: x ž ш (Esiti = 1° palatalizzazione)

(Liquide) l, r +j, e (Nasale) n + j = sviluppano pronuncia palatale non riscontrabile nella scrittura se

non da un apostrofo posto, ma non sempre, dopo la consonante.

(Dentali) t+j d+j = Esiti diversi nelle lingue slave:

a. sl. e bulgaro: *tj >    q      *dj>      žd  

macedone *tj>k´ *dj>g’

   serbo-croato *tj>ħ  (ć)        *dj> ђ (đ)  

   Slavia orientale: *tj>  x              *dj>  ž  

Slavia occid: *tj> c *dj>  dz (pol.), z (ceco)

es. da *svet-ja ("candela") si hanno: a.sl. sv7qa,  bulg.  cвеща,    mac.  cвек’а,   rus.  свеча   ,      serbo  

свеħа,  croato  sveća,  ceco  svieca, pol. świeca;

da *med-ja (“mezzo” cfr. lt. medium, ital. mezzo e medio) a. sl. mežda,  bulg.  mежда,  mac.  мег’а,  

rus.  mежа,  serbo  међа  ,  croato  međa,  ceco mezi, pol. miedzy)

3.5.4. Conseguenze generali della legge della sillaba aperta

26

Oltre alla monottongazione dei dittonghi discendenti (*ai, *ei, *oi ed *au, *ou, *eu) alla creazione

di 2 vocali nasali necessarie per aprire i dittonghi nasali (*am, *an, *um, *un, *im, *in, *em, *en)

come si è visto, l'entrata in vigore della legge della sillaba aperta fa sì che:

- le consonanti in fine di parola cadano

-le consonanti geminate (doppie) si scempino (cfr. 9si  < *jes-si)

-i gruppi consonantici tendano ad essere semplificati quando la sonorità non è crescente:

*bs, *ts, *ds > s (cfr.dasi  < *dad-si)

*dt, tt > st (cfr. dast]< dad-tŭ 7st]< ed-tŭ; vesti  <*ved-ti; plesti              

< *ple-ti)

*pt, *bt > t (cfr. gr7ti    <*greb-ti "remare";                teti  < *tep-ti "colpire")

*bn, *tn, *bn, * pn > n (cfr. s]n] "sonno" < *sŭpn-os)

*dm, *tm > m (cfr. dam[< *dad-mĭ)

per alcuni gruppi consonantici gli esiti sono diversi nelle diverse aree slave:

*gt, *kt (se seguiti da vocale anteriore) mutano in q in area meridionale, x      in area orientale, c

in area occidentale (esiti = *t+j)

(cfr. * mogti "potere" dà in a.sl. moqi,    in russo  мочь,  in polacco móc;

*noktis "notte" lt. noctis, got. Nahts, a.sl. noq[, russo    ночь,    pol. noc;

*dhoghter "figlia" gr. θυγατήρ, ted.Tochter, ingl. Doughter, a.sl. d]qi  gen. d]qere   , russo  

дочь,  ceco dcera)

*tl, *dl (non in inizio di parola) si semplificano in l in area orientale e meridionale, restano

immutati in quella occidentale

(cfr. a.sl. molitva “preghiera”,  russo    молитва,  pol. modlitwa;    a.sl.  ralo  “aratro”,  russo

oрало,  pol.  radło).  

3.5.5. Apertura dittonghi in liquida *or, *ol, *er, *el (formule *TorT, *TolT, *TerT, *TelT13)

Nello slavo comune non c’è un sistema unico per aprire le sillabe contenenti i dittonghi in liquida

(come ad.es. nella parola italiana TorTa, in cui la prima sillaba è chiusa: Tor-Ta): i dialetti

meridionali e occidentali ricorrono alla metatesi (spostamento della liquida prima della vocale) con

allungamento della vocale, tranne che in polacco dove la vocale non si allunga; i dialetti orientali

13Laddove T sta ad indicare una qualsiasi consonante

27

inseriscono una seconda vocale, uguale alla prima, dopo la liquida (fenomeno detto in russo

polnoglasie, it. pleofonia).

es. *gord- (cfr. lt. hortus, ted. Garten, ingl. garden) > a.sl. grad],    russo  город,  ceco hrad, pol. gród

*golva > a.sl. glava              russo  голова      ceco hlava pol. głowa    

             *storna > a.sl. strana          russo  сторона      ceco strana pol. strona

             *vorna > a.sl.    vrana              russo  ворона ceco vrana pol. wrona

             *berg- > a.sl.      br7g] russo  берег            ceco břeg pol. brzeg

*melk- > a.sl. ml7ko russo молоко      ceco mléko pol. mleko

*gols- > a.sl. glas]       russo  голос      ceco hlas pol. głos

In russo si trovano anche forme senza polnoglasie, del tipo глава, -град, (es. Ленинград,

гражданин) глас, гласный ecc. che sono entrate nella lingua letteraria dallo slavo-ecclesiastico,

sono cioè di origine dotta. Talora coesistono 2 varianti con un significato leggermente diverso, es.

глава / голова, oppure costituiscono 2 varianti stilistiche.  

 

 

3.5.6. Caduta e trasformazione degli jer ([, ])

Verso la fine dell'XI secolo, in concomitanza con la fine dell'azione della legge della sillaba aperta,

si assiste alla progressiva caduta o alla trasformazione delle vocali ridotte: [ ]. Questo fatto segnerà

la nascita delle lingue slave moderne e determinerà la fine di quell'unità linguistica slava che aveva

resistito per così tanti secoli.

Gli jer, suoni ridotti, ossia ultrabrevi e di timbro non ben definito, cadono quando sono in posizione

debole, si trasformano in vocali piene se in posizione forte. La posizione debole per eccellenza è la

fine di parola, quindi se lo jer si trova davanti a sillaba contenente una vocale non ridotta, o davanti

a sillaba contenente uno jer forte. La posizione forte si ha quando lo jer è sotto accento o è davanti

ad una sillaba con ridotta debole oppure se si trova in sillaba iniziale davanti ad alcuni gruppi

consonantici.

Es. posizione debole: rab] syn] p[s] d[n[ s]na m]nogo, ž[n[c[

 Es. posizione forte:  t]qa t]p]t] ž[n[c[ p[s] d[n[ t[m[n] k]gda t]gda

Le trasformazioni degli jer forti hanno esiti diversi nelle diverse lingue slave:

russo, ucraino, bielorusso, macedone: ]→o            [→e  

28

bulgaro: ]→ ъ      [→e

polacco: ]→e        con consonante precedente dura

[→e          con consonante precedente molle

ceco: ]→e            [→e senza diversificazione della pronuncia della consonante

precedente. La e può, in seguito ad allungamento

secondario, →i

slovacco : ]→e                    [→e        Talvolta e→a (specie dopo /l'/)

sloveno ],    [  →  preceduto da consonante dura o molle (a seconda se ],  [);

si è poi modificato a seconda se in posizione tonica o

atona diventando a/e.

serbo-croato ],  [→a

Esempi

a.sl. s]n] p[s] d[n[

russo                                  сон                      пес                      день  

bulgaro                            с]н                    пес                        ден  

polacco                              sen pies dzień

ceco sen pes den

serbo-croato san pas dan

Tra i monumenti slavo-antichi soltanto i Fogli di Kiev (sec.X) presentano un uso corretto degli jer,

tutti i restanti monumenti (sec.XI-XII) mostrano casi di caduta, di confusione, di vocalizzazione già

compiuta.

3.5.7. Esito delle vocali nasali 1 2  

 

Le vocali nasali, nate per permettere l'apertura di sillabe contenenti un dittongo in nasale, tendono a

partire dall'XI secolo a perdere la nasalità e a modificarsi variamente. Il fenomeno può dirsi

concluso nel XII secolo, ma le testimonianze scritte per molti secoli continuano a mantenere per

tradizione l'uso dei grafemi 1 2   o almeno di uno di essi, senza che però vi corrisponda una

pronuncia effettivamente nasale. Le vocali nasali restano soltanto in polacco (ą ę, ma sono

mescolate rispetto a quelle antiche) e in alcuni dialetti sloveni.

Esiti:

1→e (sloveno, macedone, bulgaro, serbo-croato)

29

1→я  / a      (lingue slave orientali)

1→e / a (ceco)

1→ ä / a / ja (slovacco)

2→u (tutte le lingue eccetto bulgaro, macedone, sloveno)

2→  ъ          (bulgaro)

2→a            (macedone)

2→o            (sloveno)

3.5.8. Esito di 7 (jat')

Anche la vocale 7 (derivata in slavo-comune da I.E. *ē e da *ai, *oi), la cui pronuncia effettiva in

epoca slava antica non è stata ancora chiarita (forse si trattava di una e molto aperta, tipo æ, oppure

di ä, o di ja vera e propria) si modifica nelle lingue slave moderne in modo vario, confluendo in

altri fonemi vocalici.

Esiti:

serbo-croato: 7→e (dialetti ekavi) 7→je (dialetti jekavi) 7→i (dialetti ikavi)

russo e bielorusso 7→e

ucraino 7→i

ceco 7→e

slovacco 7→e/je

sloveno 7→e /

polacco e bulgaro 7→e / ja, a seconda dell'accento e della consonante che segue

3.5.9. Morfologia nominale dell’antico slavo-ecclesiastico

Lo slavo-comune ha conservato una struttura arcaica, vicino all'indo-europeo per quanto riguarda il

nome (7 casi: nominativo, genitivo, dativo, accusativo, strumentale, locativo, vocativo; 3 numeri:

singolare, duale e plurale) ma presenta notevoli semplificazioni nel sistema verbale. La struttura

della frase indo-europea si ritrova ancora nelle lingue slave moderne (ogni parola è autonoma nella

frase e non esiste se non provvista di elementi flessionali), tranne che in bulgaro e macedone, lingue

che hanno perso i casi. Inoltre lo slavo-comune ha conservato due processi antichi: le alternanze dei

fonemi vocalici nella radice e la variazione del luogo dell'accento.

30

Tuttavia, se lo slavo ha conservato certi principi della morfologia indo-europea, non è detto che le

forme slave rispecchino le forme indo-europee. Anzi, in slavo quasi tutto è stato rifatto benché

quasi tutto sia d'aspetto arcaico. Secondo A.Meillet (Le slave commun, Paris, 1934) si può parlare

per lo slavo di carattere conservatore e di carattere rivoluzionario.

Se in Indo-europeo nel NOME erano riconoscibili nettamente tre componenti:

radice della parola - vocale tematica - desinenza

nella fase finale dello slavo comune, a causa dei mutamenti fonetici dovuti per lo più alla legge

della sillaba aperta, vocale tematica e desinenza non sono quasi più distinguibili perché le

consonanti finali sono cadute e le vocali precedenti risultano spesso modificate (soltanto al dativo

plurale si vede ancora la distinzione tra vocale tematica e desinenza).

In base alla vocale tematica originaria abbiamo le seguenti declinazioni:

1) Temi in *-ā / *-jā comprendente la maggioranza dei sostantivi femminili e qualche maschile

es. žena        dat.plur.  žen-a-m]                        æzeml8        dat.plur.    zeml-8-m]  

2)Temi in *-ŏ / *-jŏ comprendente sostantivi maschili e neutri

es. rab]          dat.plur.              rab-o-m]                          kon[          dat.plur.        kon-9-m]  

                             igo            dat.plur. ig-o-m]                              pol9          dat.plur.      pol-9-m]

3)Temi in *-ĭ comprendente sostantivi maschili e femminili

es. p2t[ M dat.plur.        p2t-[-m]                              kost[    F      dat.plur.        kost-[-m]  

4)Temi in *-ŭ comprendente pochi sostantivi maschili

es. syn]            dat.plur. syn-]-m]              

                   (altri sostantivi della declin.:    dom]  med] vol] rod], led] mir] pol]  ecc.)

5)Temi in consonante maschili, femminili e neutri

*-n M (es. d[n[  gen.  d[ne,  dat.plur.d[-n[-m]; kamy-kamene- kame-n[-m]

*-n N (es. im1 imene- ime-n[-m], altri sostantivi:   vr7m1-vr7mene÷ plem1-plemene÷

s7m1-s7mene÷ pism1-pismene  ecc. )

*-nt N (es. otr~ox1-otro~x1te- otro~x-1t[-m])

*-s N (es. slovo-slovese- slove-s[-m]÷ altri sostantivi            x0do-x0dese÷ ¢nebo-nebese÷

t7lo-t7lese÷ oko-ox~ese÷ecc.)

*-r F (es. mati-matere- mate-r[-m] d]qi- d]qere, d]qe-r[-m]

*-ū F (es. cr[ky-cr[k]ve- cr[k-]va-m])

31

La ricchezza di declinazioni dello slavo-antico non sarà perpetuata nelle lingue moderne, che

tenderanno ad avere meno declinazioni, diversificandole per genere. In russo le prime 2

comprendono ancora una variante dura e una variante molle, corrispondenti ai temi dello slavo

comune in *-a *-ja e *-o *-jo. Il russo continua a mantenere la declinazione dei temi in *–ĭ al

F. (quelli M. sono confluiti nel tipo in *-jo) come 3a declinazione. Ci sono poi parole in russo che

mostrano l’appartenenza all’antica declinazione in consonante, e sono trattate alla stregua di

eccezioni (sigh!), es. мать, дочь, время, пламя, племя, знамя, имя, чюдо, слово, небо ecc.

Alcune desinenze della declinazione scomparsa in *-ŭ sopravvivono perché passate in alcune

lingue slave moderne alla declinazione in *-o (es. in russo la desinenza -ов dei gen.plur. M deriva

dalla vecchia declinazione in *-ŭ; così in ceco la desin. -ovi del dat.sing., in bulgaro la desin. -ове di

alcuni nom. M plur. Anche il prepositivo russo in – у è un resto della declinazione in *-ŭ ).

3.5.10. Tavole morfologia nominale

Temi in *-a / *-ja Sing. N žena« r2ka zeml8 G ženy r2ky zeml3 D žen7 r2c7 zemli A žen2« r2k2 zeml4 Str ženo4 r2ko4 zeml94 L žen7« r2c7 zemli V ženo« r2ko zeml9 Plur. N ženy« r2ky zeml3 G žen] r2k] zeml[ D ženam] r2kam] zeml8m A ženy r2ky zeml3 Str ženami r2kami zeml8m L ženah]« r2c7h] zeml8h] V ženy« r2ky zeml3 Duale

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N A V žen7« r2c7 zeml3 G L ženu r2ku zeml0 D Str ženama r2kama zeml8ma

Temi in *-o / *-jo Maschili

Sing. N rab] xlov7k] kon"[ G raba xlov7ka kon8 D rabu xlov7ku koné A rab]« xlov7k] kon"[ Str rabom[ xlov7kom[ kon9m[ L rab7« xlov7c7h] kon"i V rabe« xlov7xe koné Plur. N rabi« xlov7ci kon"i G rab] xlov7k] kon"[ D rabom] xlov7kom] kon"9m] A raby xlov7ky kon3 Str raby xlov7ky kon"i L rab7h]« xlov7c7] kon"ih] V rabi xlov7cy kon"i Duale N A V raba xlov7ka kon8 G L rabu xlov7ku kon0 D Str raboma xlov7koma kon9ma

Temi in *-o / *-jo Neutri Sing. Plur. N l7to pol9 G l7ta pol8 D l7tu polé A l7to pol9

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Str l7tom[ pol9m[ L l7t7 pol"i V Duale N A V l7t7 pol"i G L l7tu pol0 D Str l7toma pol9ma

Temi in *- ŭ Maschili

(es. syn] (figlio), dom] (casa), vol] (bue), san] (dignità), med] (miele), mir] (mondo), rod] (genere, stirpe) ecc.) Sing. Plur. N syn] G synu D synovi A syn] Str synom[ L synu V synu Duale N A V syny G L synovu D Str syn]ma Temi in *- ĭ Maschili e Femminili Sing. M F Plur. N p2t[ kost[ G p2ti kosti D p2ti kosti A p2t[ kost[ Str p2t[m[ kost[4/kosti4 L p2ti kosti V p2ti kosti

N l7ta« pol8 G l7t] pol"[ D l7tom] pol9m] A l7ta pol8 Str l7ty pol"i L l7t7h]« pol"ih] V

N synove G Synov] D syn]m]/synom] A Syny Str syn]mi/synomi L syn]h]« V

34

Duale M F N A V p2ti kosti oxi G L p2t[0 kost[0 oxi0 D Str p2t[ma kost[ma oxima

Temi in *- ū Femminili

(es. cr[ky ‘chiesa’, buky ‘lettera’, l0by ‘amore’, svekry ‘suocera’, smoky ‘fico’ e pochi altri) Sing. Plur. N cr[ky G cr[k]ve D cr[k]vi A cr[k]v[ Str cr[k]vi4 L cr[k]ve V cr[ky Duale N A V cr[k]vi G L cr[k]vu D Str cr[k]vama

Temi in consonante

*-n- M (solo kamy gen. kamene ‘pietra’, d[n[ gen. d[ne ‘giorno’) *-n- N (es. im1 gen. imene ‘nome’, vr7m1 ‘tempo’, plem1 ‘tribù’, xism1 ‘numero’ s7m1 ‘seme’ ecc.) *-nt- N (es. otrox1 gen. otrox1te ‘bambino’, 8gn1 ‘agnello’, koz[l1 ‘capretto’, tel1 ‘vitello’, os[l1 ‘asinello’ ecc.) *-r- F (solo mati gen. matere ‘madre’, d]qi gen. d]qere ‘figlia’) *-s- N ( es. slovo gen. slovese ‘parola’, x0do ‘miracolo’, nebo ‘cielo’,

oko ‘occhio’, uho ‘orecchio’, kolo ‘cerchio’ ecc.)

G P2tii kost[i/kostii D P2t[m] kost[m]/kostem] A P2ti kosti Str P2t[mi kost[mi L P2t[h]« kost[h]/kosteh] V

N cr[k]vi G cr[k]v] D cr[k]vam] A cr[k]vi Str cr[k]vami L cr[k]vah] V

35

Sing. N kamy im1 otrox1 Mati slovo G kamene imene otrox1te Matere slovese D kameni imeni otrox1ti Materi slovesi A kamen[« im1 otrox1 mater[ slovo Str kamene[m[ imen[m[ otrox1t[m[ materi4 sloves[m[ L kamene « imene otrox1te materi/e slovese Plur. N kamene imena otrox1ta Materi slobesa G kamen] imen] otrox1t] mater] sloves] D kamen[m] imen[m] otrox1t[m] mater[m] sloves[m] A kameni imena otrox1ta Materi slovesa Str kamen[mi imeny otrox1ty mater[mi slovesy L kamen[h] imen[h] otrox1t[h] mater[h] sloves[h] Duale N A kameni imen7 otrox1t7 Materi sloves7 G L kamenu imenu otrox1tu Materu slovesu D St kamen[ma imen[ma otrox1t[ma mater[ma sloves[ma

3.5.11. Morfologia verbale dell’antico-slavo ecclesiastico Il VERBO in antico-slavo ecclesiastico presenta le seguenti caratteristiche:

- 5 coniugazioni o classi (4 tematiche, 1 atematica)

- 2 temi (del presente e dell'infinito; il tema dell'infinito serve per formare tempi come aoristo,

supino e participi passati)

- 4 modi (Indicativo, infinito, imperativo, condizionale)

- 2 aspetti (perfettivo e imperfettivo)

- Tempi: presente, imperfetto, aoristo (sigmatico e asigmatico), perfetto, piucheperfetto, futuro,

futuro anteriore

- Forme personali: presente, imperfetto, aoristo, imperativo

- Forme perifrastiche (formate dal participio in -l + ausiliare 'essere'): perfetto, piucheperfetto,

futuro anteriore, condizionale

36

- Forme nominali: participio presente attivo e passivo, participio passato attivo e passivo,

participio perfetto in -l

- Forme fisse: infinito e supino

- 3 Numeri: singolare, duale e plurale

3.5.12 Il presente nelle coniugazioni tematiche e atematica

Le coniugazioni tematiche si differenziano a seconda dalla vocale (tematica) che sta tra la radice del

verbo e la desinenza. Esse sono 4:

Ia: -e-/ -o- es. iti (‘andare’ ): 1°pers. *id-o-n 3° pers. *id-e-tŭ

Id2 ideшi idet] idem] idete id2t]

IIa: -ne-/ -no- es. dvign2ti (‘muovere’): 1°pers. *dvig-no-n 3° pers. *dvig-ne-tŭ

Dvign2 –dvigneшi –dvignet] dvignem] dvignete dvign2t]

IIIa: -je-/-jo- es. glagolati (‘parlare’): 1° pers. *glagol-jo-n 3° pers. *glagol-je-tŭ

Glagol4 glagol9шi glagol9t] glagol9m] glagol9te glagol4t]

IVa: -i- es. l0biti (‘amare’): 1° pers. *ljub-j-on 3° pers. *ljub-i-tŭ

L0bl4 l0biшi l0bit] l0bim] l0bite l0b1t]

I verbi atematici, che sono solo 5, uniscono la desinenza personale direttamente alla radice del

verbo. Essi si coniugano in modo particolare, seguendo una flessione che ricorda i verbi in -mi del

greco.

byti "essere" dati "dare" 7sti "mangiare" v7d7ti "sapere" im7ti "avere”

9sm[ dam[ 7m[ v7m[ imam[

9si dasi 7si v7si imaшi

9st] dast] 7st] v7st] imat]

9sm] dam] 7m] v7m] imam]

9ste daste 7ste v7ste imate

s2t] dad1t] 7d1t] v7d1t] im2t]

Spiegazione di alcune forme:

37

Il verbo di origine I.E. dati ha 2 radici: *da-/dad-, la prima è usata in antico-slavo per l’infinito e

per i tempi passati, la seconda per il presente. Quindi nel presente le desinenze verbali si attaccano

direttamente alla radice *dad- , si possono produrre così dei mutamenti dall’incontro con la radice

consonantica e la desinenza consonantica:

es. *dad- mĭ > damĭ (la cons. /d/ cade davanti a /m/); *dad-si> dasi (la /d/ cade davanti a /s/); *dad-

tŭ> dastŭ (nell’incontro di due dentali /dt/ si produce una assibilazione, ossia la prima dentale

diventa una sibilante: /s/); nella IIIa pers. plur. la radice *dad- si vede perché la desinenza è in

vocale: *dad- entŭ > dadętŭ.

Ugualmente i verbi di origine I.E. 7sti (cfr. lt. ēdo ‘mangio’, it. commestibile < *com-ēd-tibile) e

v7d7ti (cfr. skr. Vēda ‘la conoscenza’, rus. ведать ’conoscere’, весть 'notizia') hanno radice in

dentale: *ēd- e *vēd- quindi nella coniugazioni si producono gli stessi cambiamenti osservati nel

verbo dati.

Il verbo ‘avere’ presenta invece solo nella 1° persona le desinenze a-tematiche, per il resto ha le

desinenze dei tematici.

3.5.13. Tempi passati

Lo slavo-antico presenta 4 tempi passati, due sintetici (AORISTO e IMPRFETTO) e 2 perifrastici

(PERFETTO e PIUCHEPERFETTO).

L’aoristo può essere sigmatico (con l’aggiunta del suffisso -s- tra radice del verbo e desinenza

personale, senza vocale tematica) oppure a-sigmatico (ossia non-sigmatico, senza elementi

significativi di riconoscimento, solo con vocale tematica tra radice e desinenze personali). L’aoristo

a-sigmatico corrisponde all’aoristo forte (o secondo) del greco. In slavo antico i verbi hanno o l’uno

o l’altro (non entrambi), ma la maggior parte dei verbi ha l’aoristo sigmatico, più riconoscibile.

Aoristo sigmatico:

es. mol-i-ti ‘pregare’ (radice: *mol-i- )

molih] < *moli-s- om ( h deriva da -s- per la Legge di Pedersen14)

moli < *moli-s-s (sia la -s- che la desinenza personale cadono per la Legge della sillaba aperta)

moli < *moli-s-t (sia la -s- che la desinenza personale cadono per la Legge della sillaba aperta)

molihom] < *moli-s- om-os ( h deriva da -s- per la Legge di Pedersen, *–os > ])

14 Secondo tale legge, una sibilante preceduta da i,u.r,k diventa in slavo una velare aspirata: ch/ h). Nell’aoristo il passaggio da *s>ch si estende per analogia a tutti i verbi, anche quando la –s- non è preceduta da i,u,r,k.

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moliste < qui la -s- resta tale perché seguita da consonante

moliш1 < *moli-s-ent (-s- diventa -h- che poi si palatalizza davanti alla vocale anteriore della desinenza)

Aoristo a-sigmatico:

es. i-ti ‘andare’ (radici: ī- /*īd-)

id] < *id-o-m (il nesso *–om > ])

ide < *id-e-s (la desinenza è caduta per la Legge della sillaba aperta)

ide < *id-e-t (la desinenza è caduta per la Legge della sillaba aperta)

idom] <*id-o-mos (il nesso *–os > ])

idete <*id-e-te

id2 <*id-o-nt (la –t della desinenza è caduta per la Legge della sillaba aperta)

Come si può notare, la 3°pers. pl. è uguale alla 1° pers. del presente indicativo, la 2°a plur. è uguale

alla 2° plur. del presente indicativo. La 1° pers. sing. è poco riconoscibile, sembra un participio

nom.M. Per ovviare alla scarsa riconoscibilità, nei testi slavo-ecclesiastici si trova la 1° pers. sing.

idoh], 1° plur. idohom].

Imperfetto:

In molte lingue I.E. l’imperfetto è una formazione nuova, poiché l’antico imperfetto I.E. era poco

riconoscibile, essendo formato da: aumento-tema del presente- desinenze dei tempi passati. Solo

nelle lingue che hanno mantenuto l’aumento (es. sanscrito, iranico, greco) l’antico impf. è

sopravvissuto, nelle altre è stato sostituito da neo-formazioni. Così in latino (es. amabam) o in slavo

antico. La caratteristica dell’impf. dello slavo antico è la doppia vocale ( -aa- oppure -7a-) tra

radice del verbo e desinenza. Le desinenze sono simili a quelle dell’aoristo sigmatico nella 1° pers.

sing. e plur. e dell’aoristo a-sigm. nella 3° plur. Diverso è il caso dell’impferfetto del verbo ‘essere’,

che presenta una flessione anomala, a metà strada tra aoristo sigmatico e imperfetto Bisogna tenere

presente che la radice dell’impf. del verbo byti è *bē- :

es. zna-ti (‘sapere’) e by-ti (‘essere’)

znaah] b7h]

znaaшe b7

znaaшe b7 / b7aшe

znaahom] b7hom]

znaaшete b7ste

39

znaah2 b7ш1 /b7ah2

Perfetto e Piucheperfetto

Questi due tempi sono composti, ossia si formano con il participio perfetto in -l- e l’ausiliare

‘essere’ byti, coniugato al presente (per il perfetto) o all’imperfetto (per il piucheperfetto). Il

primo corrisponde grosso modo al passato prossimo dell’italiano (che però utilizza sia l’ausiliare

‘essere’ che ‘avere’), il secondo al trapassato prossimo. Es. il perfetto del verbo zna-ti è:

Znal] /znala/znalo 9sm[/9si/9st] ‘

Znali 9sm]/9ste/s2t]

Il piucheperfetto:

Znal] /znala/znalo b7h]/ b7/ b7aшe

Znali b7hom]/ b7ste/ b7ah2

Nei testi del canone antico-slavo (vd. sotto) non si trova mai il participio perfetto in –l- senza

l’ausiliare ‘essere’, che può trovarsi però anche non immediatamente dopo il participio, e può

perfino precederlo. La sua posizione nella frase è libera.

3.5.14. Forme fisse: infinito e supino

Forme fisse: infinito

Lo slavo-antico conosce solo un infinito (altre lingue I.E., tra cui greco e latino, hanno ad es.

infinito presente, passato, futuro) che si forma aggiungendo il suffisso -ti al tema dell’infinito del

verbo (che talvolta coincide con il tema del presente, a volte no) es. nes-ti 1° pers. pres. nes-2

coincide / b[r-a-ti 1° pers. pres. ber-2 non coincide, perché è diversa la vocale. Se la radice

dell’infinito è in consonante, si possono produrre delle modifiche dall’incontro con la dentale *-t-

del suffisso: es. vesti <*ved-ti presente 1° pers. ved2, greti< *greb-ti presente 1° pers.

greb2, moqi <*mog-ti presente 1° pers. mog2 (ricordo a questo proposito che i gruppi *kti,

*gti danno esito uguale a *tj, quindi diversificato per area dialettale es. russo мочь, pol. móc, ceco

moci, cr. moći).

Forme fisse: supino

Lo slavo-antico mantiene il supino, che è una sorta di accusativo dell’infinito, usato dopo i verbi di

moto per indicare lo scopo dell’azione, il suo formante è: - t] es. vest], b[rat], gret].

I id7ahò v[si k]ždo nap[sat] s1 svoi grad] (Lc 2,3) “andavano tutti a farsi registrare,

ciascuno nella sua città”.

40

4. Monumenti antico-slavi

4.1. Codici glagolitici

1) Fogli di Kiev (X sec). 7 foglietti di pergamena, frammenti di un messale di rito romano, tradotto

dal latino. Il manoscritto, rinvenuto da I.I. Sreznevskij a Gerusalemme nel 1874, fu donato

all’Accademia Teologica di Kiev per il suo 50° anniversario (1869) dal rappresentante della

missione ortodossa russa a Gerusalemme, l’archimandrita Antonin Kapustin. Oggi è conservato

nella Biblioteca statale di Kiev.

Le caratteristiche fonetiche denotano l’origine morava del documento.

Ed., tra le altre: G.Mohlberg, Il messale glagolitico di Kiew,(sec.IX) ed il suo prototipo romano del

sec. VI-VII, “Atti della Pontificia Accademia Romana di archeologia”, ser.III, Memorie, vol.II,

Roma, 1928, 207-320.

2) Codex Zographensis (X-XI sec.), 304 fogli di pergamena. Tetraevangelo incompleto (da Mt.3,2)

con glosse in cirillico più 16 fogli contenenti un Sinassario (calendario di santi con corrispondenti

lezioni dai Vangeli) in cirillico. I ff.41-57 (Mt.16,20-24,20) sono da considerarsi un inserto

posteriore (Zogr.b) risalendo, come il Sinassario, al XI-XII sec.

Rinvenuto nel 1843 da A.Mihanović (ambasciatore asburgico a Costantinopoli) nel monastero di

Zograf sul monte Athos e da lui mostrato a Grigorovič nel 1844, fu donato nel 1860 dal monastero

allo zar Alessandro II, il quale lo depose nella Biblioteca pubblica di Pietroburgo (poi biblioteca

Saltykov-Ščedrin) dove è tuttoggi conservato.

Scritto in Macedonia.

Ed. I.V.Jagić, Quattuor evangeliorum codex glagoliticus olim Zographensis nunc Petropolitanus,

Berlin, 1879 (ristr.Graz, 1954), in traslitterazione cirillica.

3) Codex Marianus (X-XI sec.), 172 fogli di pergamena contenenti un Tetraevangelo, da Mt.5,23 a

Gv.21,17.

Rinvenuto nel 1842 da V.I.Grigorovič nel monastero della Vergine Maria sul Monte Athos, è dal

1876 conservato, insieme al altri mss. di Grigorovič, nel Rumjancevskij Musej di Mosca (ora

Biblioteca Statale Russa), salvo i primi due fogli che, rinvenuti da Mihanović e da lui donati a

Miklošić, dopo la morte di quest’ultimo si trovano alla Biblioteca Nazionale di Vienna

(Cod.Slav.146).

41

L'ortografia denota l'origine macedone del manoscritto con alcune innovazioni di tipo serbo (resa di

2  come u    e di    y come i).

Ed. I.V.Jagić, Pamjatnik glagoličeskoj pis’mennosti. Mariinskoe četveroevangelie, Berlin, 1883

(rist. Graz, 1960). Il testo è fornito in traslitterazione cirillica e le parti iniziali mancanti sono

completate con il testo del Vangelo del monastero serbo di Dečani (XIII sec.), mentre le lacune

interne con lo Zografensis. L’ed. di Jagić comprende anche un ampio studio sulle particolarità

grammaticali del documento e un indice completo delle parole e delle forme.

4) Codex Assemanianus (XI sec.), 158 fogli di pergamena contenenti un evangeliario-aprakos, ossia

letture evangeliche per il sabato e la domenica secondo l’ordine del calendario liturgico, e un

menologio. Il ms. è arricchito con numerose vignette e iniziali ornamentali.

Rinvenuto a Gerusalemme e portato a Roma alla fine del XVIII sec. da Giovanni Assemani,

orientalista e direttore della Biblioteca Vaticana, è da allora conservato nella medesima Biblioteca

(Vat.Slav.3).

Scritto in Macedonia.

Ed. J.Vajs - J.Kurz, Evangeliarium Assemani, Codex Vaticanus 3, slavicus glagoliticus,I, Praha,

1929(ediz. fototipica) e J.Kurz, Evangeliar Assemanův. Kodex Vatikansky 3, slovansky. II, Praha,

1955 (in trascrizione cirillica, con introduzione, note al testo e indice).

5)Psalterium Sinaiticum (XIsec.). 177 fogli in pergamena, contenenti i primi 173 salmi. Fu

rinvenuto nel 1850 dall’archimandrita Porfirij Uspenskij nel Monastero di S. Caterina sul Monte

Sinai, dove è ancor oggi conservato.

Scritto in Macedonia.

Ed. S.N.Severjanov, Sinajskaja psaltyr. Glagoličeskij pamjatnik XIv., Petrograd, 1822 (trascrizione

in cirillico e completo indice delle parole slavo-greco). Ed. fototipica: M.Al’tbauer, Psalterium

sinaiticum, an 11th Century Glagolitic Manuscript from St.Catharine’s Monastery, Mt.Sinai,

Skopije, 1971

6) Euchologium Sinaiticum (XI sec.): 147 fogli di pergamena di un eucologio (raccolta di preghiere

e di speciali servizi liturgici per varie occasioni) tradotto dal greco in forma incompleta.

Tre fogli furono rinvenuti dall’archimandrita Porfirij Uspenskij e da P.N.Krylov nel 1850 nel

Monastero di S. Caterina sul Monte Sinai e si trovano ora a S.Pietroburgo: due nella Biblioteca

Saltykov-Ščedrin, uno nella Biblioteca dell’Accademia delle Scienze. Il grosso del manoscritto, 106

fogli, fu rinvenuto da L.Geitler sempre nel Monastero di S.Caterina, dove è tuttora conservato. Nel

42

1975 sono venuti alla luce altri 28 fogli contenenti preghiere del ciclo giornaliero e alcuni testi

liturgici.

Scritto in Macedonia.

Ed. L.Geitler, Euchologium. Glagolski spomenik manastira Sinai brda, Zagreb, 1882 (in

trascr.cirillica); J.Frček, Euchologium Sinaiticum. Texte slave avec sources grecques et traduction

française, “Patrologia Orientalis”, t.24, 5, Paris, 1933, t. 25, fasc.3, Paris, 1939; R.Nachtigal,

Euchologium Sinaiticum.I Fotografski posnetek;II Tekst s komentarjem, Ljubljana, 1941-2.

7) Glagolita Clozianus (XIsec.) 14 fogli di pergamena contenenti omelie, una delle quali attribuite a

Metodio. Nel Medioevo il codice si trovava nell’isola di Krk (Veglia), proprietà dei conti

Frankopan. 12 fogli, acquistati dal conte P.Cloz, sono conservati nella Biblioteca del Museo civico

di Trento. Due fogli, già proprietà del barone Dipauli, si trovano nel Ferdinandeum di Innsbruck.

Di probabile origine croata.

Ed. parziali: Kopitar (1836), Miklošić (1860). Ed. critica: V.Vondrák, Glagolita Clozův, Praha,

1893; nuova ed. A.Dostál, Clozianus. Staroslověnský hlaholský sborník tridentský a innsbrucký,

Praha, 1959.

8) Fogli di Praga (XI sec.) 2 fogli di pergamena conservati nell’archivio del Capitolo metropolitano

di Praga scritti in Boemia. Il 1° foglio contiene brevi inni, l’altro una parte dell’ufficio liturgico

secondo il rito bizantino.

Ed. P. J.Šafárik, Glagolitische Fragmente, Praha, 1857; N.Grunskij, Pražkie glagoličeskie otryvki.

Pamjatniki staroslav.jazyka, I,4, Petersburg, 1905

9) Fogli di Ochrida (XI sec.Macedonia)

10)Fogli di Rila (XI sec.Macedonia). Il codice (8 fogli) contiene brani della Paraenesis di Efrem

Siro ed alcuni testi di carattere liturgico. Porta il nome del monastero bulgaro dove è stato scoperto.

Si trova nella Biblioteca dell'Accademia delle Scienze di S.Pietroburgo.

4.2. Codici cirillici

1) Savvina Kniga (XI sec.). 129 fogli di pergamena che - come parte di un codice che comprende

altri 35 fogli di più tarda origine - contengono un evangeliario incompleto e un sinassario. Il nome

43

del copista, il bulgaro “pop Savva” ricorre due volte. Il codice fu portato nelle terre russe nel

Medioevo. Da un monastero nei pressi di Pskov fu trasferito, in data ignota, a Mosca, dove è

conservato negli Archivi centrali (Tipografskaja biblioteka Glavnogo Archiva). Gli slavisti ne

vennero a conoscenza nel XIX secolo.

Scritto nella Bulgaria nord-orientale.

Ed. V. Ščepkin, Savvina kniga. Pamjatniki starosl. jazyka, I, 2, S.Peterburg, 1903.(rist. Graz, 1959).

2) Codex Suprasliensis (XI sec.) 285 fogli di pergamena contenenti un menologio per il mese di

marzo, omelie per la Pasqua e una preghiera. E’ il più lungo testo paleoslavo pervenutoci.

Fu copiato da un originale glagolitico da un copista bulgaro di nome “pop Retko”.

M.K.Bobrovskij rinvenne il manoscritto in un monastero a Supraśl, vicino a Białystok, in Polonia,

nel 1838. Il codice passò varie vicissitudini. 118 fogli, di proprietà di Kopitar sino alla sua morte,

sono conservati alla Biblioteca Nazionale Slovena di Ljubljana; 16 fogli, già di proprietà di

I.A.Byčkov, sono conservati alla Biblioteca Saltykov-Ščedrin di S. Pietroburgo; 151 fogli, che si

trovavano nella Biblioteca Zamoyski di Varsavia, sono scomparsi durante la seconda guerra

mondiale.

Scritto nella Bulgaria orientale.

Ed. S.N.Sever’janov, Suprasl’skaja rukopis’, S.Peterburg, 1904 (rist. Graz, 1956). Nuova ed.

J.Zaimov e M.Capaldo, Sofija, 1982.

3) Eninski apostol (XI sec.). 39 fogli di pergamena contenenti parte di un Apostol. Fu rinvenuto nel

1960 nel villaggio di Enina presso Kazanlak, in Bulgaria.

Scritto in Bulgaria.

Ed. K.Mirčev, Hr. Kodov

4) Frammenti di Chilandar (XI sec.) 2 fogli di pergamena contenenti passi della dottrina di S.Cirillo

di Gerusalemme. Rinvenuti da V.I.Grigorovič nel monastero di Chilandar sul Monte Athos.

Conservati nella Biblioteca Gor’kij di Odessa.

Scritti in Bulgaria.

5) Frammenti zografensi (XI sec) 2 fogli di pergamena contenenti passi della regola di S.Basilio.

Rinvenuti da P.Lavrov nel monastero Zograf sul Monte Athos nel 1906.

Scritti in Macedonia.

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6) Foglietto macedone (XI-in.XII). Noto anche come Makedonskij Kirilskij listok, contiene parte di

una prefazione al Vangelo composta presumibilmente da Costantino-Cirillo. Fu scoperto da A.F.

Gil’ferding.Conservato nella Biblioteca delle Scienze a S. Pietroburgo.

Scritto in Macedonia.

Iscrizioni in cirillico:

1) Iscrizione della Dobrugia (943)

2)Iscrizione di Mostič (X sec.)

3)Iscrizione dello zar Samuele

5. APPENDICI

5.1. Lingue slave moderne a confronto: (ITALIANO Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.)

POLACCO Wszyscy ludzie rodzą się wolni i równi pod względem swej godności i swych praw. Są oni obdarzeni rozumem i sumieniem i powinni postępować wobec innych w duchu braterstwa. CECO Všichni lidé se rodí svobodní a sobě rovní co do důstojnosti a práv. Jsou nadáni rozumem a svědomím a mají spolu jednat v duchu bratrství. SLOVACCO Všetci ľudia sa rodia slobodní a sebe rovní, čo sa týka ich dôstojnosti a práv. Sú obdarení rozumom a majú navzájom jednať v bratskom duchu. SORABO (superiore) Wšitcy čłowjekojo su wot naroda swobodni a su jenacy po dostojnosći a prawach. Woni su z rozumom a swědomjom wobdarjeni a maja mjezsobu w duchu bratrowstwa wobchadźeć. SORABO (inferiore) Wšykne luźe su lichotne roźone a jadnake po dostojnosći a pšawach. Woni maju rozym a wědobnosć a maju ze sobu w duchu bratšojstwa wobchadaś.

+++

RUSSO (Grande russo)Все люди рождаются свободными и равными в своём достоинстве и правах. Они наделены разумом и сòвестью и должны поступàть в отношении друг друга в духе братства. UCRAINO (Piccolo russo)Всі люди народжуються вільними і рівними у своїй гідності та правах. Вони наділені розумом і совістю і повинні діяти у відношенні один до одного в дусі братерства. BIELORUSSO (Russo bianco) Усе людзi нараджаюцца свабоднымi i роўнымi ў сваёй годнасцi i правах. Яны надзелены розумам i сумленнем i павiнны ставiцца адзiн да аднаго ў духу брацтва.

45

+++

SLOVENO Vsi ljudje se rodijo svobodni in imajo enako dostojanstvo in enake pravice. Obdarjeni so z razumom in vestjo in bi morali ravnati drug z drugim kakor bratje. SERBO Cвa људскa бићa рaђajу сe слoбoднa и jeднaкa у дoстojaнству и прaвимa. Oнa су oбдaрeнa рaзумoм и свeшћу и трeбa jeдни прeмa другимa дa пoступajу у духу брaтствa. CROATO Sva ljudska bića rađaju se slobodna i jednaka u dostojanstvu i pravima. Ona su obdarena razumom i sviješću i trebaju jedna prema drugima postupati u duhu bratstva BULGARO Bсички хора се раждат свободни и равни по достойнство и права. Tе са надарени с разум и съвест и следва да се отнасят помежду си в дух на братство. MACEDONE Ситe чoвeчки суштeствa сe рaѓaaт слoбoдни и eднaкви пo дoстoинствo и прaвa. Tиe сe oбдaрeни сo рaзум и сoвeст и трeбa дa сe oднeсувaaт eдeн кoн друг вo дуxoт нa oпштo чoвeчкaтa припaднoст. 5.2. Dizionari dell'antico slavo-ecclesiastico

-A. Ch. Vostokov, Slovar’ cerkovno-slavjanskago jazyka, St.Petersburg, 1858-1861;

-F.Miklosich, Lexicon paleoslovenico-graeco-latinum emendatum auctum, Wien, 1862-1865;

-I.I. Sreznevskij, Materjaly dlja slovarja drevnerusskago jazyka po pis’mennym pamjatnikam, 3

vols, St.Peterburg, 1890-1912 (rist. Graz,1955-56; Moskva,1958; 1989);

-L.Sadnik, R.Aitzetmüller, Handwörterbuch zu den altkirchenslavischen Texten, Den Haag-

Heidelberg, 1955;

-Accademia Ceca delle Scienze, Slovnik jazyka staroslovenského, Praha, 1958-2012;

-Staroslavjanskij slovar' (po rukopisjam X-XI vekov), Moskva, 1994

46

I santi Costantino-Cirillo e Metodio, ‘Apostoli degli Slavi’

6. Benedetto XVI: Cirillo e Metodio esempi di «inculturazione» 17 giugno 2009 «Ogni popolo deve calare il messaggio rivelato nella propria cultura»: la lezione dei due santi

slavi al centro della tradizionale catechesi del mercoledì di Benedetto XVI.

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlare dei Santi Costantino-Cirillo e Metodio, fratelli nel sangue e nella fede, detti

‘Apostoli degli slavi’. Costantino nacque a Tessalonica dal magistrato imperiale Leone

nell’826/827: era il più giovane di sette figli. Da ragazzo imparò la lingua slava. All’età di

quattordici anni fu mandato a Costantinopoli per esservi educato e fu compagno del giovane

imperatore Michele III. In quegli anni fu introdotto nelle diverse materie universitarie, fra le quali la

dialettica, avendo come maestro Fozio. Dopo aver rifiutato un brillante matrimonio, decise di

ricevere gli ordini sacri e divenne "bibliotecario" presso il Patriarcato. Poco dopo, desiderando

ritirarsi in solitudine, andò a nascondersi in un monastero, ma fu presto scoperto e gli fu affidato

l’insegnamento delle scienze sacre e profane, mansione che svolse così bene da guadagnarsi

l’appellativo di "Filosofo". Nel frattempo, il fratello Michele (nato nell’815 ca.), dopo una carriera

amministrativa in Macedonia, verso l’anno 850 abbandonò il mondo per ritirarsi a vita monastica

sul monte Olimpo in Bitinia, dove ricevette il nome di Metodio (il nome monastico doveva

47

cominciare con la stessa lettera di quello di battesimo) e divenne igumeno del monastero di

Polychron.

Attratto dall’esempio del fratello, anche Costantino decise di lasciare l’insegnamento per recarsi sul

monte Olimpo a meditare e a pregare. Alcuni anni più tardi però, (861 ca.), il governo imperiale lo

incaricò di una missione presso i khazari del Mare di Azov, i quali chiedevano che fosse loro

inviato un letterato che sapesse discutere con gli ebrei e i saraceni. Costantino, accompagnato dal

fratello Metodio, sostò a lungo in Crimea, dove imparò l’ebraico. Qui ricercò pure il corpo del Papa

Clemente I, che vi era stato esiliato. Ne trovò la tomba e, quando col fratello riprese la via del

ritorno, portò con sé le preziose reliquie. Giunti a Costantinopoli, i due fratelli furono inviati in

Moravia dall’imperatore Michele III, al quale il principe moravo Rostislav aveva rivolto una precisa

richiesta: "Il nostro popolo – gli aveva detto – da quando ha respinto il paganesimo, osserva la legge

cristiana; però non abbiamo un maestro che sia in grado di spiegarci la vera fede nella nostra

lingua". La missione ebbe ben presto un successo insolito. Inventando un alfabeto apposito, il

glagolitico, e traducendo la liturgia nella lingua slava, i due fratelli guadagnarono una grande

simpatia presso il popolo.

Questo, però, suscitò nei loro confronti l’ostilità del clero franco, che era arrivato in precedenza in

Moravia e considerava il territorio come appartenente alla propria giurisdizione ecclesiale. Per

giustificarsi, nell’867 i due fratelli si recarono a Roma. Durante il viaggio si fermarono a Venezia,

dove ebbe luogo un’animata discussione con i sostenitori della cosiddetta "eresia trilingue": costoro

ritenevano che vi fossero solo tre lingue in cui si poteva lecitamente lodare Dio: l’ebraica, la greca e

la latina. Ovviamente, a ciò i due fratelli si opposero con forza (vd. il resoconto in Vita Constantini

cap. XVI). A Roma Costantino e Metodio furono ricevuti dal Papa Adriano II, che andò loro

incontrò in processione per accogliere degnamente le reliquie di san Clemente. Il Papa aveva anche

compreso la grande importanza della loro eccezionale missione. Dalla metà del primo millennio,

infatti, gli Slavi si erano installati numerosissimi in quei territori posti tra le due parti dell’Impero

Romano, l’orientale e l’occidentale, che erano già in tensione tra loro. Il Papa intuì che i popoli

slavi avrebbero potuto giocare il ruolo di ponte, contribuendo così a conservare l’unione tra i

cristiani dell’una e dell’altra parte dell’Impero. Egli quindi non esitò ad approvare la missione dei

due Fratelli nella Grande Moravia, accogliendo e approvando l’uso della lingua slava nella liturgia.

I libri slavi furono deposti sull’altare di Santa Maria di Phatmé (Santa Maria Maggiore) e la liturgia

in lingua slava fu celebrata nelle Basiliche di San Pietro, Sant’Andrea, San Paolo.

48

Purtroppo a Roma Costantino s’ammalò gravemente. Sentendo avvicinarsi la morte, volle

consacrarsi totalmente a Dio come monaco in uno dei monasteri greci della Città (probabilmente

presso Santa Prassede) ed assunse il nome monastico di Cirillo (in onore di San Cirillo

d’Alessandria, uno dei Padri della Chiesa greca). Poi pregò con insistenza il fratello Metodio, che

nel frattempo era stato consacrato Vescovo, di non abbandonare la missione in Moravia e di tornare

tra quelle popolazioni. A Dio si rivolse con questa invocazione: "Signore, mio Dio…, esaudisci la

mia preghiera e custodisci a te fedele il gregge a cui avevi preposto me… Liberali dall’eresia delle

tre lingue, raccogli tutti nell’unità, e rendi il popolo che hai scelto concorde nella vera fede e nella

retta confessione". Morì il 14 febbraio 869.

Fedele all’impegno assunto col fratello, nell’anno seguente, 870, Metodio ritornò in Moravia e in

Pannonia (oggi Ungheria), ove incontrò di nuovo la violenta avversione dei missionari franchi che

lo imprigionarono. Non si perse d’animo e quando nell’anno 873 fu liberato si adoperò attivamente

nella organizzazione della Chiesa, curando la formazione di un gruppo di discepoli. Fu merito di

questi discepoli se poté essere superata la crisi che si scatenò dopo la morte di Metodio, avvenuta il

6 aprile 885: perseguitati dai bavaresi e messi in prigione, alcuni di questi discepoli vennero venduti

come schiavi e portati a Venezia, dove furono riscattati da un funzionario costantinopolitano, che

concesse loro di tornare nei Paesi degli slavi balcanici. Accolti in Bulgaria, poterono continuare

nella missione avviata da Metodio, diffondendo la scrittura slava, le traduzioni dei testi sacri e

creando una Chiesa autonoma in lingua slava in Bulgaria (893), con il sostegno del sovrano bulgaro

Boris e poi del figlio Simeone. Primo vescovo bulgaro fu Kliment Ochridski (Clemente di Ocrida),

discepolo di Metodio, che diventerà un importante scrittore e traduttore nella lingua slava antica.

Dio nella sua misteriosa provvidenza, si avvaleva così della persecuzione germanica per salvare

l’opera dei santi Fratelli. Di essa resta anche la documentazione letteraria. Basti pensare ad opere

quali l’Evangeliario (pericopi liturgiche del Nuovo Testamento), il Salterio, vari testi liturgici in

lingua slava, a cui lavorarono ambedue i Fratelli. Dopo la morte di Cirillo, a Metodio e ai suoi

discepoli si deve, tra l’altro, la traduzione dell’intera Sacra Scrittura, il Nomocanone e il Libro dei

Padri.

Volendo ora riassumere in breve il profilo spirituale dei due Fratelli, si deve innanzitutto registrare

la passione con cui Cirillo si avvicinò agli scritti di san Gregorio Nazianzeno, apprendendo da lui il

valore della lingua nella trasmissione della Rivelazione. San Gregorio aveva espresso il desiderio

che Cristo parlasse per mezzo di lui: "Sono servo del Verbo, perciò mi metto al servizio della

Parola". Volendo imitare Gregorio in questo servizio, Cirillo chiese a Cristo di voler parlare in

49

slavo per mezzo suo. Egli introduce la sua opera di traduzione con l’invocazione solenne:

"Ascoltate, o voi tutte genti slave, ascoltate la Parola che venne da Dio, la Parola che nutre le

anime, la Parola che conduce alla conoscenza di Dio". In realtà, già alcuni anni prima che il

principe di Moravia venisse a chiedere all’imperatore Michele III l’invio di missionari nella sua

terra, sembra che Cirillo e il fratello Metodio, attorniati da un gruppo di discepoli, stessero

lavorando al progetto di raccogliere i dogmi cristiani in libri scritti in lingua slava. Apparve allora

chiaramente l’esigenza di nuovi segni grafici, più aderenti alla lingua parlata: nacque così l’alfabeto

cosiddetto glagolitico che, in seguito fu modificato sul modello grafico della maiuscola greca (forse

in Bulgaria, nel X secolo) e designato col nome di "cirillico" in onore del suo ispiratore. Fu quello

un evento decisivo per lo sviluppo della civiltà slava in generale. Cirillo e Metodio erano convinti

che i singoli popoli non potessero ritenere di aver ricevuto pienamente la Rivelazione finché non

l’avessero udita nella propria lingua e letta nei caratteri propri del loro alfabeto.

A Metodio spetta il merito di aver fatto sì che l’opera intrapresa col fratello non fosse bruscamente

interrotta. Mentre Cirillo, il "Filosofo", era propenso alla contemplazione, egli era piuttosto portato

alla vita attiva. Grazie a ciò poté porre i presupposti della successiva affermazione di quella che

potremmo chiamare l’«idea cirillo-metodiana»: essa accompagnò nei diversi periodi storici i popoli

slavi, favorendone lo sviluppo culturale, nazionale e religioso. E’ quanto riconosceva già Papa Pio

XI con la Lettera apostolica “Quod Sanctum Cyrillum” (1927) nella quale qualificava i due Fratelli:

"figli dell’Oriente, di patria bizantini, d’origine greci, per missione romani, per i frutti apostolici

slavi" (AAS 19 [1927] 93-96). Il ruolo storico da essi svolto è stato poi ufficialmente proclamato

dal Papa Giovanni Paolo II che, con la Lettera apostolica “Egregiae virtutis viri”, li ha dichiarati

compatroni d’Europa insieme con san Benedetto (AAS 73 [1981] 258-262). In effetti, Cirillo e

Metodio costituiscono un esempio classico di ciò che oggi si indica col termine "inculturazione":

ogni popolo deve calare nella propria cultura il messaggio rivelato ed esprimerne la verità salvifica

con il linguaggio che gli è proprio. Questo suppone un lavoro di "traduzione" molto impegnativo,

perché richiede l’individuazione di termini adeguati a riproporre, senza tradirla, la ricchezza della

Parola rivelata. Di ciò i due santi Fratelli hanno lasciato una testimonianza quanto mai significativa,

alla quale la Chiesa guarda anche oggi per trarne ispirazione ed orientamento.

Copyright Libreria Editrice Vaticana

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7. Silvia Toscano: Cirillo e Metodio, ʻmediatori culturali, europeisti dʼavanguardiaʼ

Nel 1977, tre anni prima che Giovanni Paolo II proclamasse Cirillo e Metodio compatroni

d’Europa, il prof. Sante Graciotti (ordinario di Filologia slava alla Sapienza di Roma) scriveva un

saggio in occasione dei 1150 anni dalla nascita di Costantino-Cirillo (= C-C), saggio intitolato Il

codice universalistico della missione cirillo-metodiana. In esso, con profetica anticipazione, lo

studioso metteva in risalto la figura dei due santi fratelli in quanto mediatori culturali e europeisti

d’avanguardia, il cui operato ebbe ed ha ancora oggi un significato essenziale per la storia

dell’Europa.

“Con Costantino e Metodio – diceva Graciotti - gli Slavi si venivano a porre come la ‘chance’ di

un’Europa nuova, integrata, nella quale convergessero i prodotti culturali dell’occidente e

dell’oriente europeo; in una sintesi in cui l’elemento caratterizzante era costituito proprio dal

potenziale culturale slavo, creativo anche nel suo disporsi a ricevere i tesori delle due grandi

tradizioni culturali dell’Europa non barbara. Cultura bizantina, cultura latina e cultura slava sono

i tre fattori ricorrenti ad ogni livello nella sintesi storica operata da Cirillo e Metodio”15.

In particolare, sono “le loro idee e le lotte per l’uguaglianza e l’autonomia dei popoli, per il

pacifismo attivo, per l’incontro spirituale degli uomini al di là delle barriere politiche, per la

funzione liberante della cultura a far sì che la riflessione sull’opera dei due maestri degli Slavi sia

utile ancora oggi per la soluzione dei problemi del nostro tempo”16.

Sottoscrivo in pieno queste parole, anche se sono passati 40 anni, e mi accingo ad approfondirle in

alcune brevi considerazioni.

Siamo tutti d’accordo che l’operato di Cirillo e Metodio, partendo da Salonicco e toccando

Costantinopoli, la Kazaria, la Moravia, la Pannonia, quindi l’Italia e Roma, costituisca di per sé un

percorso emblematico, degno di due europeisti d’avanguardia, non era da tutti infatti operare allora

in un’area geografica così ampia, che comprendeva sia la parte più civilizzata dell’Occidente e

dell’Oriente europeo, ma anche nuove formazioni statali come la Grande Moravia. Essi poi, di

formazione greca, non esitarono ad impadronirsi, da veri mediatori culturali, della cultura e della

lingua dei popoli che di volta in volta andavano ad evangelizzare o con i quali entrarono in contatto,

facendosi “slavi con gli slavi e romani con i romani”, parafrasando san Paolo (l’apostolo delle

genti). Anche straordinario fu il rapporto estremamente positivo che Costantino riuscì ad

instraurare personalmente con i potenti della terra, il papa (Adriano II), l’imperatore di

Costantinopoli (Michele III), il suo professore, Fozio, futuro patriarca e causa del primo scisma

15 S. Graciotti, Il codice universalistico della missione cirillo-metodiana, in Konstantin-Kiril Filosof, Sofija 1981, p. 95 16 IDEM. Op. cit. p. 110.

51

della Chiesa (867), il principe moravo (Rostislav), quello di Pannonia (Kocel’). Solo Ludovico il

Germanico non fu dalla sua parte, per ovvie ragioni. Convinto della necessità che la specificità

linguistica slava andasse salvaguardata ad ogni costo, affinchè “tutti gli uomini si salvino e

giungano alla conoscenza della verità” (come si dice nel 1° cap. della Vita Constantini= VC)

ovvero che tutti i popoli possano ascoltare la parola di Dio nella propria lingua, poiché non

esistendo popoli eletti non esistono lingue elette, Costantino agì in accordo con l’imperatore e con il

papa, pur portando avanti un’idea rivoluzionaria per quell’epoca (quanti secoli dovranno passare

per ritrovare le stesse discussioni al tempo di Wycliffe ( 1330ca.-1384) in Inghilterra o di Jan Hus17

in Boemia o di Lutero, e quanti per avere una liturgia in lingua italiana, il 1963!) e ugualmente fu in

grado di inserire gli Slavi nella storia e nella cultura europea con la propria specificità, senza minare

il rispetto dovuto all’autorità imperiale e a quella papale. Un campione di ecumenismo, in un’epoca

dilaniata da dissidi.

Il pensiero e l’operato di Cirillo e Metodio si ricava da tutta una serie di fonti, più o meno attendibili

storicamente, scritte in slavo, in latino o in greco. Le fonti slave non possiedono un grado elevato

di storicità essendo costituite per lo più da agiografie (Vita di S. Costantino= VC, Vita di S.

Metodio=VM), Sermoni panegirici (elogiativi) o Servizi liturgici, ma sono le più ampie e ricche di

notizie. Le fonti latine sono importantissime perché sono costituite da documenti come le Epistole

papali o gli scritti del segretario papale Anastasio bibliotecario, che conobbe personalmente a Roma

i fratelli. Le fonti greche sono le più scarse numericamente e trattano solo dei discepoli di C-C e M.,

san Clemente di Ocrida e san Naum.

Addentriamoci in due dei punti principali accennati sopra, la questione dell’ecumenismo e quella

della lingua.

a. Ecumenismo In Vita Methodii (=VM) VIII, 8-10, la lettera di papa Adriano II in essa riportata (non esiste questa

lettera nell’originale latino) mette in luce l’ecumenismo dei nostri fratelli: “ Non solo a questo

trono episcopale avete richiesto un maestro, ma anche al pio imperatore Michele. Egli vi inviò il

beato filosofo Costantino insieme al fratello quando a noi non era ancora possibile farlo. Essi però

poiché riconobbero che le vostre regioni erano di pertinenza della sede Apostolica non fecero nulla

contro la disposizione canonica, ma anzi vennero da noi recando anche le reliquie di san

17 Jan Hus (1371-1415) studiò all’Università di Praga, di cui divenne professore e poi Rettore.Critico nei confronti delle isttuzioni ecclesiastiche, condannò la Chiesa corrotta e mondana, lottò contro le indulgenze, in questo è considerato un precursore di Lutero. Dapprima scriveva in latino, poi iniziò ad usare la sua lingua, il vernacolo ceco, e per far ciò dovette inventarsi un ‘adattamento’ dell’alfabeto latino per la resa grafica dei suoni di quellalingua slava, che risolse con l’uso dei diacritici (es. č ě š ý á ď è ť ř). Lasciò un trattato in proposito, De orthographia bohemica (1412). Nel 1415 le sue posizioni dottrinali, specie la critica all’ autorità papale, furono giudicate eretiche al Concilio di Costanza, ed egli fu condannato al rogo sulla pubblica piazza. I suoi seguaci divennero noti come ‘hussiti’. Per approfondimenti, M. Garzaniti, Gli Slavi, Carocci, Roma 2013, pp. 280-286.

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Clemente”. Nello Slovo pochval’no (Sermone panergrico) per San Cirillo, egli è il novello Paolo,

addirittura il terzo fondatore della Roma cristiana dopo Pietro e Paolo. Anche san Pietro ricorre

spesso come paragone riferito a Cirillo, e non a caso, come sottolina sempre Graciotti: “i nuovi

apostoli delle genti Cirillo e Metodio vanno a Roma per comunicare le ispirazioni e i frutti della

loro azione missionaria, e ribadire l’ortodossia e la fedeltà all’unità contro, rispettivamente, eresia

e scisma”.

Le fonti slave non accentuano dunque la grecità di Costantino-Cirillo contro Roma, ne sottolineano

invece il riconoscimento del papa come guida suprema della Chiesa. E’ evidente che le Vite e gli

altri documenti furono redatte prima dello scisma del 1054, altrimenti avrebbero contenuto tracce di

polemica tra chiesa greca e latina. Invece, il papa è mostrato come il paladino della causa cirillo-

metodiana - e in ciò si accorda e addirittura supera i propositi dell’imperatore - come colui che

approva le traduzioni dei testi sacri in slavo, accetta la liturgia in slavo, crea un arcivescovado per

Metodio (non dimentichiamo: un greco che usava lo slavo) in luoghi governati prima da vescovi

tedeschi (che usavano il latino). Difende Metodio dalle accuse mossegli da parte dei bavaresi, lo

libera dalla prigionia. E’ evidente che il comportamento di C-C, che non si accontentò

dell’appoggio dell’Imperatore e del Patriarca di Costantinopoli, ma si recò dal papa in quanto

suprema autorità ecclesiastica per avere anche da lui l’approvazione ad usare una nuova lingua nella

liturgia e nella lettura dei testi sacri (lingua che fino ad allora non aveva ancora un alfabeto) colpì

molto i contemporanei e l’entourage del santo. Fu considerato un vero ecumenico, in un momento

in cui la chiesa cristiana era, come ricordato, dilaniata da conflitti tra papato e patriarcato di

Costantinopoli (lo scisma vero e proprio, che separerà definitivamente la chiesa cristiana in due

confessioni, cattolica e ortodossa, è però del 1054). Infatti, C-C appena arrivato a Roma prese

posizione contro Fozio, suo antico maestro, poiché proprio in quell’anno (867) Fozio aveva

provocato il primo scisma della Chiesa scomunicando papa Nicola I, scisma che poi era rientrato

con la deposizione di Fozio da parte dell’Imperatore Basilio I. In udienza dal papa, come riferisce

Anastasio Bibliotecario in una lettera, C-C si dichiarò per l’unità della chiesa e non si schierò mai

dalla parte dei Bizantini. Che non glielo perdonarono e per molto tempo non vollero riconoscerlo

santo.

Nelle fonti non si sottolinea dunque la grecità di Costantino e Metodio, essi sono considerati veri

cristiani che avevano abbracciato la causa degli Slavi e nel farlo è come se fossero divenuti

anch’essi Slavi, senza contrapporsi però né a Roma né a Costantinopoli.

La grecità non a caso è invece sottolineata, in senso negativo, dall’unico documento di parte

avversa, la Conversio Bagoariorum el Carantanorum (La Conversione dei Bavaresi e degli Slavi di

Carinzia), scritta in territorio bavarese all’indomani della nomina di Metodio ad arcivescovo di

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Moravia e Pannonia, nell’870: “Un certo Greco di nome Metodio, inventate ex novo le lettere slave

passando sopra alla lingua latina, alla dottrina romana… fece abbandonare a tutto il popolo l’uso

di celebrare la messa, leggere il Vangelo e l’ufficio ecclesiastico in latino…”

La Legenda Italica, che riflette il sentire romano nei confronti del ritrovatore delle reliquie di san

Clemente (3° papa dopo san Pietro), ossia Costantino-Cirillo, dice: “I due fratelli rimasero in

Moravia per 4 anni e mezzo e portarono il popolo di quella terra alla fede cattolica e lasciarono là

tutti gli scritti che sembravano però necessari al ministero ecclesiastico. Venuto a conoscenza di

tutto ciò, il gloriosissimo papa Nicola assai rallegrato dalle cose che gli erano state riferite, li fece

chiamare e li invitò a venire con una lettera apostolica. I fratelli ricevuto questo annuncio furono

assai contenti ringraziando Dio di esser fatti segno dell’onore di meritare una chiamata dalla sede

apostolica.”.E segue la descrizione dell’arrivo a Roma e della solenne accoglienza che Adriano II

(essendo Nicola I deceduto nel frattempo) riserva ai due fratelli tessalonicesi.

b. Il problema della lingua

Nel IX secolo non era ammissibile che un nuovo popolo convertito al cristianesimo potesse avere i

testi sacri e la liturgia nella propria lingua. Ormai una nuova conversione implicava una

latinizzazione o una grecizzazione. E ciò a partire dall’epoca carolingia, quando la chiesa si dà un

ordinamento più definito, diviene un’istituzione con un assetto stabile il cui fulcro è ormai l’Europa,

anche grazie alle invasioni arabe, che avevano sottratto al cristianesimo ampie zone sul

Mediterraneo e in Asia Minore.

L’opera di traduzione di Cirillo e Metodio e la richiesta di una liturgia in lingua slava è qualcosa

che rompe gli schemi ed ha un sapore anche in questo caso rivoluzionario.

Nei primi secoli del Cristianesimo invece le cose sono diverse. Questa fede, com’è noto, sorta in

Palestina, si era diffusa nel nord Africa e in Asia Minore prima di raggiungere l’Europa. Solo nel III

sec. d.C. prende piede stabile nel mondo latino. Nella zona dove si propagò il cristianesimo delle

origini c'erano già state ampie discussioni linguistiche: tra greco e ebraico, aramaico, koiné e attico

(gli ebrei ad esempio non volevano parlare greco per non venir meno alla propria tradizione

culturale) e i nuovi cristiani sono contro ogni forma di esclusivismo, anche quello linguistico18.

Tuttavia, per comprendere le idee della Chiesa sull'uso delle lingue bisogna fare una grande

distinzione tra lingua d'apostolato e lingua liturgica 19. Se per la prima opera di evangelizzazione

era necessario usare uno strumento linguistico comprensibile, sia esso dotto o volgare o dialettale,

pur di propagare la Buona Novella, per la seconda fase ovvero la cristianizzazione (inserimento di 18 "ogni lingua darà lode a Dio", Rom, 14,11; Rom 10,11 19 A questo proposito, sono illuminanti le pagine scritte da Riccardo Picchio, Questione della lingua e Slavia cirillo-metodiana, in Studi sulla questione della lingua presso gli Slavi, Roma, 1972, specie le pp. 31-34.

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nuove genti nel mondo giuridico-politico-morale del Cristianesimo) le cose erano diverse. C'era

necessità di testi scritti e di rispettare regole e rituali precisi.

L'apostolato dei primi secoli si sviluppa in greco, aramaico, siriaco (trad. Bibbia dal II secolo, con

sant’Efrem), copto, latino. Procopio di Cesarea al tempo di Diocleziano leggeva a Scitopoli il

Vangelo in greco e lo spiegava in siriaco, benché poi il siriaco sia diventato anch'esso, con

sant'Efrem, una lingua codificata. Questo uso di leggere in greco e spiegare in latino o siriaco è

tipico dei primi secoli. Il latino all'inizio è una lingua di livello più basso rispetto al greco, in Africa.

Nel IX secolo il problema delle lingue si ripropone con la pratica evangelizzatrice nei paesi

dell'Europa centro-orientale. Gli argomenti sono quelli tradizionali, già elaborati fin dai primi

secoli, ma in un contesto storico certo mutato, in cui le 'nationes' si andavano individualizzando

entro le sfere di due nascenti 'confessiones', latina e bizantina.

La polemica cirillo-metodiana20 fu condotta sin dall'inizio contro l'esclusivismo linguistico della

cristianità europea nel IX secolo, che vedeva nel greco e nel latino le lingue ufficiali della

cristianità. Decadute le importanti sedi patriarcali di Antiochia Gerusalemme e Alessandria, nel

mondo bizantino si assiste ad una grecizzazione della vita ecclesiastica, corrispondente alla

romanizzazione dell'Occidente cristiano. A Oriente però la situazione si conserverà più aperta a

riviviscenze dell'antico pluralismo etnico-linguistico.

Per i nuovi popoli convertiti, si poneva il problema: fino a che punto era lecito servirsi di interpreti

per cristianizzare i popoli barbari?

A Roma forse il problema non era molto sentito, per loro cristianizzazione implicava una

latinizzazione. A Costantinopoli, dove si avevano molte più notizie sui popoli slavi e danubiani, una

grecizzazione doveva apparire meno imprescindibile.

La questione della lingua slava nel IX sec. consiste nel fatto se una tale lingua possa assolvere

funzioni liturgiche o debba servire soltanto come pratica di apostolato. La Chiesa romana restò

fedele alla seconda soluzione, mentre Costantinopoli ebbe un atteggiamento ambivalente: sì alla

prima ipotesi fino a che però i popoli slavi non vollero rendersi indipendenti dalla giurisdizione

ecclesiastica di Bisanzio.

Cirillo e Metodio elaborarono una serie di argomenti con i quali poterono giustificare il loro operato

e convincere l’imperatore bizantino e soprattutto il papa della necessità della traduzione in slavo dei

testi sacri e del fatto che gli Slavi della Grande Moravia, da poco convertiti, potessero avere una

chiesa nella loro lingua.

20 Cfr. R. Picchio, op. cit., p. 24.

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Dalle fonti ricaviamo i principali punti delle loro argomentazioni:

1) In VC I, I; XIV,16; VM I,1 si mostra come la cristianizzazione degli Slavi sia frutto del dovere e

della necessità, essa rispecchia il volere divino (cit. S.Paolo I Tim, 2-4:"Dio, il quale vuole che tutti

gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità"). Per giungere alla conoscenza della

verità però è necessario comprendere la parola di Dio (ossia la Sacra Scrittura) e ciò si può fare solo

se essa è esposta in una lingua comprensibile. Questo argomento è espresso molte volte da

Costantino-Cirillo.

2). Diversamente dal Giudaismo, nel Cristianesimo non ci sono lingue elette perché non ci sono

popoli eletti, tutti i popoli sono uguali davanti a Dio (lo dice san Paolo). Non importa se un popolo

ha conosciuto la fede prima o dopo. E’ la Provvidenza divina che tramite la Grazia stabilisce

quando un popolo deve entrare nel mondo cristiano. All’inizio la predicazione era stata affidata agli

apostoli, poi Dio ha scelto altri uomini che portassero la parola di Dio tra le genti, tra questi Cirillo

e Metodio, definiti apostoli degli Slavi. Anche lo slavo ha quindi uguale dignità rispetto alle altre

lingue.

3). Non è vero che ci sono solo tre lingue sacre come l’ebraico il greco e il latino. C-C durante la

disputa di Venezia (riportata in VC XV) attaccato da prelati latini si scaglia contro l’argomento

delle tre sole lingue sacre definendolo ‘eresia trilinguista’ e definendo gli avversari ‘pilatiani’.

Perché in quelle tre lingue era stata scritta l’iscrizione fatta incidere da Pilato sulla croce di Cristo .

Invece, dice C-C molte altre sono le lingue sacre, il georgiano, l’armeno, il copto, il gotico, l’etiope

ecc., tutte volute da Dio. E poi, i concetti esclusivistici sono contro il precetto dell'amore per tutti

senza distinzioni, quale è esposto da nostro Signore là dove dice (Mt V,43-47) che Dio fa piovere

sui giusti e sugli ingiusti: per questo essi non possono condannare alla cecità e sordità tutti gli altri

popoli. “Non vi vergognate di fissare tre sole lingue, decidendo che tutti gli altri popoli restino

ciechi e sordi”

4). La diversità delle lingue liturgiche non compromette l’obbedienza ecclesiastica.

Costantino-Cirillo, nella sua difesa della traduzione in slavo dei testi sacri utilizza molti passi di

San Paolo, tra cui:

Lettera ai Corinzi (I, 14, 5ss):"Vorrei vedervi tutti parlare con il dono delle lingue, ma preferisco

che abbiate il dono della profezia, in realtà è più grande colui che profeta rispetto a colui che parla

le lingue, a meno che non sia anche interprete, perché anche l'assemblea ne ricavi edificazione"

..;"Se nella lingua che parlate non farete un discorso comprensibile, come si saprà ciò che si è

detto?" "C'è modo si riscontrare nel mondo una così grande varietà di lingue e nessuna di loro è

priva di un suono caratteristico, ma se io non conosco il valore del suono, sarò un barbaro per

quello che mi parla e cului che mi parla sarà un barbaro per me" (VC XVI 21).

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(14,18) "Io parlo con il dono delle lingue più di tutti voi, ma in assemblea preferisco dire cinque

paroli con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che 10000 parole con il dono

delle lingue" (VC 16,35).

SCHEMA RISSUNTIVO Lingue d’apostolato nei primi secoli: •Aramaico giudeo-palestinese •Aramaico orientale o Siriaco •Greco •Copto •Latino Lingue liturgiche: •Ebraico •Aramaico •Siriaco (dal II sec.) •Copto (dal II sec.) •Latino (dal III sec.) Successive traduzioni: •Armeno (Mesrop V sec. con creazione dell’ alfabeto) •Georgiano (VI sec.) •Etiope /Ghe’ez (VI-VII sec.) •Gotico (Ulfila IV sec. con creazione dell’ alfabeto) Situazione IX secolo lingue liturgiche: •Mondo romano-germanico: Latino •Mondo bizantino: Greco + altre lingue liturgiche ormai secondarie (siriaco, copto, armeno, georgiano,etiope + altre) ‘Eresia trilinguista’ •Solo tre sono le lingue sacre: ebraico, latino, greco Perché in esse è scritta l’iscrizione fatta incidere da Pilato sulla croce di Cristo: I.N.R.I. Iesus Nazarenus Rex Iudeorum

Riassumendo, Costantino-Cirillo e Metodio possono considerarsi mediatori culturali e europeisti

d’avanguardia perchè

1) Nella loro formazione personale, uomini di cultura e razza greca, non esitarono a

impardronirsi, da veri mediatori, della cultura dei popoli che andarono a evangelizzare (così

è con i khazari, così sarà con i gli Slavi Moravi), facendosi Slavi con gli Slavi e Romani con

i Romani 21, parafrasando san Paolo;

21 “Fattosi tutto a tutti, per guadagnare tutti” I Cor 9,22

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2) Portarono avanti l’idea dell’uguaglianza di tutti i popoli davanti a Dio, premessa che nella

letteratura cirillo-metodiana è esposta per il tramite di una serie di passi paolini che

diverranno ricorrenti e costutuiranno delle vere chiavi tematiche, a partire da: “Dio vuole

che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità” (I Tim II,4) ecc.;

3) negarono, con san Paolo, l’esistenza di popoli eletti e quindi di lingue elette;

4) le loro vite ebbero un ‘carattere paolino’, caratterizzate come furono da grande fervore per

l’attività apostolica. Nel Sermone panegirico Costantino è presentato come continuatore e

completatore dell’opera di Paolo e in questa luce è salutato come terzo fondatore della Roma

cristiana. Anche Pietro ricorre come punto di riferimento in molti servizi liturgici (per il

riconoscimento del primato della sede di Roma). L’accettazione di Pietro è fatta da posizioni

paoline: nella Vita bulgara (= Vita di Clemente di Ocrida scritta dal vescovo bulgaro

Teofilatto nel XII sec.) i 2 vanno a Roma come discepoli così come c’era andato Paolo, per

comunicare – riaffermando la loro ortodossia e la fedeltà all’unità contro eresia e scisma- le

ispirazioni e i frutti della loro azione missionaria;

5) rivendicarono l’autonomia spirituale di popoli neoconvertiti come gli Slavi, riconoscendo

la loro individualità culturale e linguistica, il loro diritto ad entrare nel mondo cristiano

europeo con la propria specificità, pur nel rispetto delle 2 grandi tradizioni cristiane

consolidate. Varietà nell’unità, insomma.

6) sostennero che la salvezza si ottiene tramite la conoscenza della verità e la parola di Dio, e

perciò essa debba essere esposta in una lingua comprensibile al popolo;

7) l’inserimento degli Slavi nell’Europa è equivicino ai valori e alle ragioni storiche sia

dell’occidente e dell’oriente. I patriottismo slavo di C e M non si capirebbe senza il loro

europeismo. Essi sono con il papa e con l’imperatore e per la specificità slava;

8) trovarono punti di accordo e interagirono con tutti i grandi personaggi dell’epoca: Michele

III, Adriano II, Fozio, Rastislav, Kocel

9) La loro missione evangelica è tutta all’insegna della pace, misero in pratica i dettami della

Chiesa di allora il cui pacifismo proclamato si vedeva solo nella teoria, non nei fatti.

L’opzione pacifista di C e M ha qualcosa di rivoluzionario.

Fervorino finale: ogni popolo deve calare nella propria cultura il messaggio rivelato ed esprimerne

la verità salvifica con il linguaggio che gli è proprio. Questo suppone un lavoro di "traduzione"

molto impegnativo, perché richiede l’individuazione di termini adeguati a riproporre, senza tradirla,

la ricchezza della Parola rivelata. Di ciò i due santi Fratelli hanno lasciato una testimonianza quanto

mai significativa, alla quale la Chiesa guarda anche oggi per trarne ispirazione ed orientamento.

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Affresco della Discesa di Gesù al Limbo, Basilica inferiore di San Clemente. Roma. A sin., probabile ritratto di Costantino-Cirillo

circondato da un nimbo quadrato.

Affresco raffrigurante l’ingresso a Roma dei santi Costantino e Metodio che recano le reliquie di San Clemente papa, accolti da papa

Adriano II. Basilica inferiore di San Clemente. Roma

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Evangeliario Assemanianus