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Silvia Lepore: La sedia vuota Il posto dei figli nella separazione dei genitori, tra psicoanalisi e diritto L'Autrice è psicologa clinica e avvocato. Il saggio è stato pubblicato in Famiglie ( a cura di D. Vallino e M. Maccio'), Quaderni di psicoterapia infantile n. 63, Borla, Roma 2011. Mi sono occupata in passato di separazione dei coniugi e di affidamento dei figli prima di dedicarmi a tempo pieno alla professione di psicologa. La duplice esperienza professionale mi ha consentito di venire a contatto con il conflitto famigliare nei diversi ambiti, quello legale e processuale in cui si svolge la vicenda giudiziale della separazione e quello privato delle relazioni personali della famiglia, della coppia e dei figli. Ho avuto a che fare con colleghi avvocati e psicologi, consulenti, giudici ed assistenti sociali ed è maturata in me la convinzione che sia necessario avvicinarsi con un atteggiamento nuovo ai problemi della separazione, con un nuovo modo di lavorare con la famiglia in crisi, volto ad integrare le diverse competenze che, pur mantenendo le proprie specificità e non invadendo i rispettivi campi di conoscenza, imparino a comunicare fra loro cercando di comprendere i numerosi, diversi aspetti che la separazione famigliare mostra di sé (cfr. Dina Vallino 2009, p.55). Far dialogare le diverse professionalità è ancora un terreno irto di ostacoli e minato da profonda e reciproca diffidenza; più semplice è isolarsi nel proprio ambito tecnico 1 . Nel riorganizzare la mia esperienza vorrei partire dal ripensare a quanto accadeva nei primi colloqui con un coniuge che si rivolgeva a me, in quanto avvocato, per separarsi. Avvocato io mi voglio separare, non ce la faccio più, siamo in crisi da tempo, mio marito/ mia moglie vuole il divorzio…” . Il primo appuntamento, con un avvocato è come quello con lo psicologo un momento molto delicato, importante. E’ un incontro denso di emozioni a cui il coniuge spesso decide di essere accompagnato da un genitore, un parente, un caro amico, a volte il nuovo compagno o compagna. Si portano emozioni, timori, aspettative, ansie, preoccupazioni, pensieri spesso disorganizzati che iniziano a circolare invadendo spazi di pensiero e consapevolezza. L’imbarazzo iniziale è presto colmato dalle domande di rito del professionista che aiutano a rompere il ghiaccio incoraggiando il racconto del cliente. Nella maggior parte dei casi, chi racconta la storia della propria unione e le sue vicissitudini fatica a dare un ordine alla propria narrazione e alla cronologia dei dati si alternano racconti degli episodi della propria vita. Solo alcuni coniugi, i più “tecnici”, si sforzano di seguire un percorso narrativo ordinato secondo una logica temporale. L’avvocato non è una figura professionale fredda, distaccata e calcolatrice ma è emotivamente coinvolto la strada e la sedia vuota

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Silvia Lepore: La sedia vuotaIl posto dei figli nella separazione dei genitori, tra psicoanalisi e diritto

L'Autrice è psicologa clinica e avvocato. Il saggio è stato pubblicato in Famiglie ( a cura di D. Vallino e M. Maccio'), Quaderni di psicoterapia infantile n. 63, Borla, Roma 2011.

Mi sono occupata in passato di separazione dei coniugi e di affidamento dei figli prima di dedicarmi a tempo pieno alla professione di psicologa. La duplice esperienza professionale mi ha consentito di venirea contatto con il conflitto famigliare nei diversi ambiti, quello legale e processuale in cui si svolge la vicenda giudiziale della separazione e quello privato delle relazioni personali della famiglia, della coppia e dei figli. Ho avuto a che fare con colleghi avvocati e psicologi, consulenti, giudici ed assistenti sociali ed è maturata in me la convinzione che sia necessario avvicinarsi con un atteggiamento nuovo ai problemi della separazione, con un nuovo modo di lavorare con la famiglia in crisi, volto ad integrare le diverse competenze che, pur mantenendo le proprie specificità e non invadendo i rispettivi campi di conoscenza, imparino a comunicare fra loro cercando di comprendere i numerosi, diversi aspetti che la separazione famigliare mostra di sé (cfr. Dina Vallino 2009, p.55).

Far dialogare le diverse professionalitàè ancora un terreno irto di ostacoli eminato da profonda e reciprocadiffidenza; più semplice è isolarsi nel

proprio ambito tecnico1.

Nel riorganizzare la mia esperienzavorrei partire dal ripensare a quantoaccadeva nei primi colloqui con unconiuge che si rivolgeva a me, inquanto avvocato, per separarsi.

“Avvocato io mi voglio separare, non cela faccio più, siamo in crisi da tempo,

mio marito/ mia moglie vuole il divorzio…”. Il primo appuntamento, con un avvocato è come quello conlo psicologo un momento molto delicato, importante. E’ un incontro denso di emozioni a cui il coniugespesso decide di essere accompagnato da un genitore, un parente, un caro amico, a volte il nuovocompagno o compagna. Si portano emozioni, timori, aspettative, ansie, preoccupazioni, pensieri spessodisorganizzati che iniziano a circolare invadendo spazi di pensiero e consapevolezza.

L’imbarazzo iniziale è presto colmato dalle domande di rito del professionista che aiutano a rompere ilghiaccio incoraggiando il racconto del cliente. Nella maggior parte dei casi, chi racconta la storia dellapropria unione e le sue vicissitudini fatica a dare un ordine alla propria narrazione e alla cronologia deidati si alternano racconti degli episodi della propria vita. Solo alcuni coniugi, i più “tecnici”, si sforzanodi seguire un percorso narrativo ordinato secondo una logica temporale.

L’avvocato non è una figura professionale fredda, distaccata e calcolatrice ma è emotivamente coinvolto

la strada e la sedia vuota

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nella storia del cliente.

Nelle narrazioni il cliente dà precedenza agli accadimenti che riescono a rendere convincente la propriaversione dei fatti e che iniziano a caratterizzare la ricostruzione, inesorabilmente parziale, degli eventi

che hanno segnato il rapporto coniugale e familiare. La ri-costruzione2 con il passare del tempo vienemessa a punto “a più mani” insieme ad avvocati e consulenti tecnici. Accanto a questi vi sono poi moltialtri consiglieri, comparse improvvisate, parenti, amici, conoscenti, ipotetici testimoni, tutti fatalmenteattirati dalle vicende umane più tormentate.

Non si deve attendere molto perché si apra la voragine delle recriminazioni e delle accuse all’altroconiuge, alla sua famiglia d’origine, ai suoi amici e a tutto ciò che lo riguarda. L’avvocato è dal principiol’altro da persuadere delle proprie ragioni affinché sostenga con convinzione il proprio punto di vista,anche a costo di piccole bugie ed espedienti. E’ inquietante sentirsi dire “lei è il mio avvocato”; quel“mio” lascia trasparire il desiderio di possedere il professionista e, con esso, un potente strumentoattraverso cui esprimere aggressività e desiderio di vendetta contro l’altro coniuge. Il rapportoprofessionale rischia così di trasformarsi in un patto collusivo, piuttosto che in una relazione orientatasecondo i principi della competenza e dell’etica professionale.

L’avvocato diventa allora un alleato privilegiato nella guerra contro l’altro, se ne fa parte attiva. Questoperché la storia del cliente ed i suoi sentimenti entrano in risonanza con il mondo interno delprofessionista, si intrecciano con la storia di quest’ultimo e divengono inevitabilmente oggettoidentificazioni e proiezioni.

Si può creare quindi un potente intreccio che può inconsapevolmente spingere l’avvocato a prendersicura della vicenda processuale del proprio cliente con fin troppo zelo. Tale processo identificatorio èassai pericoloso poiché rende difficile il compito di trovare quella giusta distanza che chi assiste e difendedeve saper tenere tra la propria esperienza di vita, la propria storia e quella del cliente. Il rischio è che ilcontrasto fra i coniugi si trasformi in una fervente battaglia legale fra avvocati: l’esito in queste situazioniè la cronicizzazione del conflitto.

Vi è poi il diverso caso in cui, nonostante gli sforzi per comprendere le ragioni del cliente, ilprofessionista non riesce a respingere il sentimento di profondo ed inspiegabile disagio nei suoiconfronti e nei confronti delle sue richieste. Questi clienti con i quali non si può empatizzare risveglianoun interrogativo etico: in fondo gli avvocati, soprattutto in una materia così delicata come quella dellerelazioni familiari, non amano sentirsi mercenari.

Le due polarità, tra eccesso d’identificazione e completa mancanza di “simpatia” per il cliente, sicollocano agli estremi di un continuum fra cui vi sono fortunatamente situazioni intermedie dove ilrapporto riesce ad instaurarsi in modo più equilibrato e consapevole. Nelle due posizioni estreme, però,

per l’avvocato diventa assai difficile mentalizzare3 la situazione di conflitto. Mentre il cattivo incontro

porta spesso ad un’interruzione fisiologica del rapporto con il cliente4 il caso di un eccesso diidentificazione conduce pericolosamente a confondere i limiti fra sé e l’altro e a portare avanti ilprocedimento come se si trattasse di qualcosa di proprio, della propria battaglia.

La questione in questi casi, potremmo dire con Bion, diventa: “Dove finisce la mia personalità, e dovecomincia quella di qualcun altro?” (Bion 1974, p. 308).

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In ogni caso credo che il ruolo dell’avvocato di famiglia non debba essere oggetto di facili critiche: è uncompito, un mestiere che mette direttamente a contatto con il profondo dolore della perdita e con unasofferenza che chi decide di dedicarsi professionalmente alla separazione familiare ha spesso già provato edi cui custodisce nel profondo ferite e cicatrici. E’ inoltre richiesta la capacità di tollerare e gestire lacomponente fortemente scissionale del lavoro poiché in fondo il cliente chiede di farsi carico delle

proprie pretese, delle proprie ragioni trascurando tutte le altre, in particolare quelle dell’altro coniuge5.

Inoltre bisogna tener conto della centralità di questo ruolo nella crisi familiare poiché spesso l’avvocato èla prima figura professionale a venire a contatto con i coniugi in difficoltà.

Accade di frequente di doversi occupare di quelle situazioni in cui il legame tra i coniugi è cosìprofondamente invischiato che si fatica a comprendere se vogliono veramente separarsi. Gli avvocati,attraverso interminabili scambi epistolari, defatiganti botta e risposta all’esito dei quali la situazione diconflitto spesso regredisce a stadi ancor più primitivi, sono inconsapevolmente portati a colludere con lostato di indifferenziazione patologica dei coniugi che invade ed offusca tutto il campo di pensiero eazione: sono quelle separazioni che non si concludono mai.

Il dolore è ancor più vivo e drammatico quando la coppia ha figli e il conflitto riguarda l’affidamento aduno dei due genitori. La nuova legge n. 54 del 2006 ha previsto espressamente che l'affidamento sia, diregola, condiviso, cioè disposto a favore di entrambi i genitori, mentre l'affidamento ad un solo genitore

rappresenta un'eccezione6:comunque ed inevitabilmente uno dei due coniugi, solitamente il padre,perde il rapporto quotidiano con i propri figli, esperienza che unita al fallimento dell’unione coniugale èspesso intollerabile.

Si apre, di solito preliminarmente in via stragiudiziale, la contrattazione in merito alle condizionieconomiche, alla assegnazione della casa coniugale, all’affidamento dei figli, alla scelta della loroabitazione prevalente presso uno dei due genitori e alle modalità ed orari di visita all’altro genitore.L’avvocato spiega al proprio cliente come si svolge l’iter processuale, informandolo su quanto prevede lalegge, sulle interpretazioni e gli orientamenti del Tribunale competente per il procedimento, ma inquesto campo del diritto è inevitabile lo scontro con l’incolmabile distanza fra la normativa generale edastratta e le particolarità del caso concreto in cui moltissime, sempre diverse, sono le variabili in gioco.Altro aspetto assai problematico è quello di rendere compatibili i tempi della giustizia con quelli dettatidell’urgenza delle questioni personali e relazionali, con la fretta della parte di vedere riconosciute leproprie ragioni.

Le disposizioni dell’ordinamento giuridico si intrecciano con la storia della famiglia e dei suoicomponenti: si viene a formare una trama costituita dagli interventi dei rispettivi difensori, degli attiprocessuali, dalle eventuali consulenze tecniche d’ufficio o di parte, dalle testimonianze di parenti edamici, trama che spesso si allontana dalla storia della famiglia e delle persone che la compongono. Laricostruzione processuale degli eventi segue le regole di certezza del diritto, cerca di basarsi su fatticircostanziati e sostenuti da evidenze probatorie; nell’interpretazione degli eventi è la logica processualeche guida l’avvocato, la loro comprensione psicologica viene dopo. Esigenze di semplificazione spingonoa rinchiudere le situazioni familiari in ricostruzioni omologanti, in copioni che vengono continuamenteriproposti negli atti di causa: “genitori abusanti”, “sindrome di alienazione genitoriale”, “sindrome della

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madre malevola”, “padre assente”, “padre/mammo” alla Mrs. Doubtfire7 e altri ancora.

Ma queste etichette hanno davvero qualcosa a che fare con la storia della famiglia?

Mi piacerebbe poter pensare al percorso giudiziario della separazione e del divorzio come ad un primopasso verso una successiva, dolorosa, consapevole elaborazione della perdita del proprio progetto di vita.

A questo proposito vorrei raccontare brevemente la storia di una mia cliente straniera, sposata con uncittadino italiano, la quale, dopo essersi separata dal marito (avevo già assistito la signora anche nelprocedimento di separazione dei coniugi) ed ottenuto l’affidamento dei tre figli molto piccoli, tra i dueed i sei anni, decise di ritornare a vivere con i bambini nel proprio paese di origine per essere aiutata esostenuta dai propri cari. La signora si trasferì con il consenso del marito, il quale da qualche tempointratteneva una relazione extraconiugale e probabilmente per questo vedeva l’allontanamento dellafamiglia come una facile soluzione. In un primo tempo la signora dovette affrontare un periodo digrande difficoltà, riadattarsi ad una nuova vita, superare il lutto del fallimento della propria unioneconiugale e del proprio progetto di famiglia, fallimento giunto per lei con tempi e modi del tuttoinaspettati. In seguito riuscì a trovare un buon equilibrio, a far sì che i figli potessero creare nuoviinteressi, amicizie, nuovi stimoli e lei stessa riuscì a ricostruirsi una vita sia affettiva che lavorativa. Ilmarito, invece, non ci mise molto a capire che la lontananza dai figli aveva gravemente compromesso lapossibilità di una relazione profonda con loro; li separavano poche ore di aereo ma la loro era una nuovavita da cui il padre si sentiva completamente estromesso, escluso. Le comunicazioni diventavano semprepiù complicate e tutte le attività che i figli crescendo intraprendevano, i buoni risultati scolastici, i nuoviinteressi ed i nuovi amici, invece che essere per lui fonte di orgoglio e soddisfazione, lo portavano adisapprovare e a esprimere aggressività nei confronti dell’ex moglie e dei figli stessi. Arrivò il momentodel divorzio che fu lui stesso a chiedere. E’ importante tenere presente che il divorzio, anche seanticipato dal periodo della separazione, riacutizza tensioni e riapre vecchie ferite. In fondo la sentenzacon cui si chiude il procedimento di divorzio sancisce formalmente ed in via definitiva lo scioglimentodel legame.

Fu in quel momento che mi ritrovai ad assistere nuovamente la signora nell’iter processuale, e mi resiconto che, pur sapendo già molte cose sulla famiglia e sulla sua storia, avevo bisogno che fosse propriolei a raccontarmela.

La lontananza ci creava però serie difficoltà nel comunicare: al telefono era antipatico e troppo costoso ela signora non aveva nessuna confidenza con l’uso del computer e della posta elettronica. Pensai allorache l’unica via per superare la distanza fosse ricorrere alla scrittura e fu così che le chiesi se potevaprendersi del tempo per scrivere tutta la propria storia, da quando si era trasferita in Italia ed avevaconosciuto il marito fino al momento presente. Non le domandai di scrivere delle cause che avevanoportato alla separazione e ora al divorzio, né di interpretare ciò che le era accaduto ma soltanto discrivere liberamente ciò che le veniva in mente.

Inizialmente temevo che la signora avrebbe potuto vivere questa richiesta come troppo gravosa e trovarlasenza senso, che avrebbe potuto trovare bizzarra la mia idea e non accettarla. Invece prese le mieindicazioni alla lettera e scrisse a mano la sua storia in quindici facciate di foglio a protocollo che unì inun fascicoletto, un piccolo libro. Mi chiese solo di poterla scrivere nella sua lingua madre, per poter

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meglio esprimere quanto le era accaduto e quanto provava.

Quando ricevetti il plico via posta e lessi il racconto ne fui commossa poiché la signora aveva scritto lasua storia, dall’innamoramento al divorzio, le proprie aspettative, le fatiche nel crescere i tre figli, lescelte riguardo al suo lavoro, le proprie delusioni, lo shock totale (così da lei descritto) nel momento incui il marito le aveva comunicato di volersi separare poiché “desiderava nuovamente la sua libertà”.

Ad un certo punto del racconto, dalla grande delusione per l’inaspettata comunicazione delmarito che tutto fra loro era finito e che poteva anche tornarsene al suo Paese con i tre figli,la signora iniziava a descrivere la sua nuova vita, un nuovo lavoro part-time, un nuovouomo. Così scriveva: “Ho anche un nuovo compagno nella mia vita. E’ fantastico, mi ama eama i miei figli. Non viviamo insieme ancora ma probabilmente prima o poi riusciremo a farlo.Non dimenticherò mai l’Italia e gli amici che avevo lì. La maggior parte di loro viene atrovarmi ogni estate ed i loro figli vengono da noi due settimane per studiare la nostra lingua. Iocucino ancora la pastasciutta tre volte alla settimana e non lascerò mai che i miei figlidimentichino da dove vengono. Ho installato una televisione italiana e l’ultima Coppa delmondo di calcio abbiamo tutti tifato per l’Italia”.

Leggendo il racconto compresi come scrivere la propria vicenda matrimoniale per sé, e per qualcun altroallo stesso tempo, aveva potuto trasformarsi in un’esperienza profondamente riparativa in cui, dopo unprimo momento in cui la rabbia e la delusione avevano portato ad un’inevitabile confusione, attraversopiccoli ma costanti sforzi di riflessione, la signora era riuscita a rielaborare con profondo dolore lapropria storia fino ad arrivare ad un finale in cui era divenuto possibile passare da una condizione didisperazione, odio, sconfitta ed impotenza di fronte agli eventi ad una possibile via di uscita, ad aprireuna nuova finestra sulla vita.

Il divorzio si concluse con un accordo fra le parti. La signora attualmente continua a vivere felicementecon i propri figli, ormai molto cresciuti, e la sua famiglia di origine. Ci sentiamo ancora in occasionedelle feste per uno scambio di auguri. Conservo ancora gelosamente il suo manoscritto.

Sicuramente questa non era una vicenda familiare drammatica come lo sono invece molte tra quelle chesi consumano nelle aule dei Tribunali ed è certo che non per tutte le situazioni familiari è proponibileun percorso di auto riflessione e di rielaborazione della propria storia come è stato possibile per questacliente. In ogni caso il nostro piccolo percorso è servito, grazie al rapporto di fiducia e reciproca stima,alla signora per raccontare e raccontarsi quanto le era accaduto, e nello stesso tempo a me per dare unsignificato nuovo al mio lavoro.

Attraverso questa esperienza ho potuto riflettere sull’importanza per il professionista di abbandonareogni presunzione di conoscere a fondo la situazione di quel nucleo familiare, quello che si muove dietroai fatti. Per l’avvocato che si occupa di diritto di famiglia, così come lo psicologo e altre professioni hotrovato fondamentale il concetto bioniano di Capacità Negativa: la forza di tollerare l’incertezza ed ildubbio, di astenersi dal giudizio, di tenere a bada l’impazienza e prendere il tempo necessario per

pensare piuttosto che correre dietro ai fatti e alla ragione8. Anche l’avvocato può scoraggiare azioniavventate aiutando il cliente a riattivare un pensiero e a tollerare l’attesa prima di agire. Ciò

consentirebbe un importante risparmio di sofferenza, oltreché di tempo e denaro9.

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Comprendo che la mia suggestione di indicare come valore e dote del professionista avvocato laCapacità Negativa potrebbe sembrare paradossale, quasi provocatoria ed in palese contrasto con lanecessità e l’urgenza del mondo giuridico di dare risposte rapide, giuste e certe, di agire, di fare e di nonindugiare in stato di attesa. Ma questo è un campo, più di altri, in cui il mondo della legge e dellagiustizia incontra la dimensione psicologica e relazionale dell’esistenza ed attraversa la storia dellepersone, le loro emozioni, speranze, aspettative, lutti e separazioni. Proprio per questo non vi può essereun linguaggio che prevale sull’altro: è solo la possibilità di recuperare una capacità di pensiero che puòaiutare l’incontro fra i diversi orizzonti del mondo giuridico e del mondo psicologico. Penso che laCapacità Negativa possa far sì che tra i diversi personaggi che popolano la scena, siano essi parti incausa, professionisti e operatori a vario titolo, si crei uno spazio di pensiero, uno spazio in cui i diversilinguaggi possano dialogare contenendo la confusione. La Capacità Negativa quindi non come tecnicama come pratica di vita, un modo di osservare, di relazionarsi e di vivere che trovo etico e coerente perscienziati, analisti, psicologi e, perché no, anche giudici ed avvocati. In questa direzione è possibilepensare ad un nuovo modo di lavorare con i genitori che si separano.

Da tempo mi preoccupava osservare che la voce dei bambini rimane, nel contesto legale dellaseparazione, spesso inascoltata.

Sappiamo che i coniugi riversano il loro conflitto nel contesto giudiziario che diventa il contenitore ditutte le emozioni negative che ne escono spesso amplificate poiché nessuno è in grado di rielaborarle.Con tale spostamento del conflitto la coppia non sente più il bisogno di affrontare consapevolmente leproprie esperienze relazionali traumatiche: le difficoltà vengono rimosse se non addirittura negate. Laconseguenza è il blocco della possibilità di trasformazione del legame (Losso, 2000). Se ciò è vero per ilrapporto coniugale lo è ancor di più per quanto riguarda il ruolo genitoriale: la caduta di pensiero, lamancanza di mentalizzazione, l’arresto cognitivo minaccia primariamente proprio le capacità deigenitori di rendersi conto di quanto accade ai figli durante la loro separazione. Anche se nessuno ormainega che la separazione dei genitori sia per tutti un evento traumatico, troppo spesso si dimentica che, adispetto della denominazione giuridica “separazione dei coniugi”, in realtà è l’intera famiglia che sisepara, che viene irrimediabilmente scissa e con essa si scindono certezze, pensieri, speranze, progetti chenon appartenevano solo ai genitori ma anche ai figli. Tutto il pensiero non accolto dei bambini sifrantuma e si trasforma in paure, fantasie spaventose e rappresentazioni inquietanti che vagano senza piùcontenitore – e i bambini non le possono neppure evacuare nel calderone del procedimento giudiziario!

Ciò di cui noi adulti non siamo ancora abbastanza consapevoli è che i figli, anche se ancora moltopiccoli, non devono essere considerati soggetti passivi della separazione: la vivono, invece, attivamente ese ne sentono altrettanto attivamente responsabili anche nelle separazioni meno conflittuali, che sirisolvono consensualmente. Anche i bambini, infatti, partecipano alla complessità del campo emotivoche si viene a creare intorno alla coppia in crisi, qualsiasi sia l’atteggiamento che gli adulti decidono, piùo meno consapevolmente, di tenere con loro: coinvolgerli ed informarli o invece lasciarli all’oscuro ditutto nella speranza di proteggerli. L’illusione di poterli non coinvolgere aiuta a tenere a bada i sensi dicolpa ma i figli, anche i più piccoli, sanno, a loro modo, già tutto e convivono con tanti “perché” a cuinessuno si prende cura di rispondere.

Se per genitori è un progetto comune che fallisce, per i figli la separazione implica la perdita della coppia

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genitoriale come punto di riferimento. Papà e mamma non sono più insieme, non si vogliono più bene,non si capiscono più, parlano male l’uno dell’altro. Che confusione! Alla confusione, alla paura siaggiunge il senso di colpa del bambino che dalla rottura dell’unione dei genitori ha sentito avverarsi larealizzazione delle proprie fantasie edipiche di appropriarsi di uno dei due, generalmente quello di sessoopposto. Marta Badoni ha osservato che il bambino vive anche il fallimento di un proprio progetto“quello di tenere unita la coppia costituita dal padre e dalla madre, di vederla dissolversi dopo avercoltivato l’illusione, potremmo dire con Winnicott, di averla egli stesso creata” (Badoni, M., 2002, pag.67).

Nel procedimento di separazione dei genitori il bambino è spesso il grande assente, colui di cui tanto siparla ma nulla veramente si conosce. Gli unici a conoscere il bambino sono i genitori che troppo spessosi trovano nella necessità di negare il proprio dolore insieme a quello dei figli, per non crollare. Spessotra colleghi avvocati si dice che, nell’assistere il coniuge, si devono incoraggiare innanzi tutto lecondizioni che risultano più tutelanti per i figli: “Prima l’accordo sui figli!”. Ma come avvocati cosasappiamo in fondo di questi figli? La nostra rappresentazione non può che prendere forma a partiredall’immagine del figlio narrata dal genitore/cliente, che difficilmente coincide con quella dell’altrogenitore. Spesso il figlio degli atti processuali è scisso, diviso fra mamma e papà che descrivono unbambino così diverso, così difficile da ricomporre in un’immaginare coerente. Come riportarel’attenzione sul bambino, mettendo anche solo per poco a tacere la gran confusione che si viene a creareintorno alla famiglia che si separa, quando tutto sembra urgente tranne il bisogno del bambino di esserepensato, di essere ascoltato dai propri genitori e di poter così tornare ad esistere?

Ricordo ad un recente convegno di diritto di famiglia un mediatore che ha illustrato attraverso un roleplaying il proprio modo di lavorare con le parti ai fini di raggiungere un accordo sulle condizioni dellaseparazione. I genitori erano seduti uno di fronte all’altro, il mediatore fra loro e di fronte a loro eraposizionata una sedia vuota. Il mediatore ha spiegato loro che quella era la “sedia dei figli”, che nonerano mai presenti fisicamente durante le sedute di mediazione, ma che erano vivi nella mente deigenitori. Quella sedia era d’aiuto anche al mediatore per tenerli costantemente presenti nella sua mente.

L’immagine della sedia vuota, dello spazio dei figli così desolato e desolante, mi ha colpitoprofondamente sin dal primo momento e mi ha fatto a lungo pensare. Mi sono così chiesta come sipotesse riempire quello spazio di vita, di pensiero, di emozioni, di dolore, come si potesse dare un sensoa quel vuoto.

Mi ha dato una risposta l’incontro con la consultazione partecipata a cui mi sono avvicinata attraverso ipreziosi insegnamenti di Dina Vallino.

Possiamo pensare che il compito delle figure professionali che si occupano dei problemi delle famiglie edella fase di scioglimento del matrimonio sia quello di riempire quella sedia vuota. Non è possibileinterpretare il bambino, dedurre ciò che vorrebbe o ciò che sarebbe meglio per lui o per lei secondo il“senso comune” o in base ad astratte teorie psicologiche.

E allora è d’obbligo la domanda: Cosa sappiamo di quel bambino triste o arrabbiato, figlio di queigenitori confusi, in difficoltà? Cosa prova? C’è qualcuno che in questo momento pensa a lui o a lei e loascolta?

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E’ importante provare a comprendere le fatiche che sta vivendo ed ascoltare ciò che accade nel suo

mondo interno. Per fare ciò è necessario tornare ad osservare il bambino10. L’attenzione di tutti variportata su di lui/lei, ed i genitori devono essere aiutati a riattivare e mantenere con lui unacomunicazione. Se aiutati a “stare sul bambino” i genitori spesso riescono a ritagliare un preziosissimomomento di tregua per poter pensare i propri figli.

Nella consultazione, che prevede alcune sedute con il bambino e i genitori (insieme o con un sologenitore) e successivi incontri di riflessione con i soli genitori, lo psicologo cerca di creare un climaemotivo in cui sia possibile stare insieme, nella stessa stanza, ed invita i coniugi a focalizzare l’attenzionesul bambino. Nel corso della consultazione la presenza dello psicologo riattiva e sostiene la capacità deigenitori di osservare il proprio figlio: attraverso il gioco, il disegno ed il raccontare storie la coppia puòiniziare a riacquistare la fiducia reciproca di poter essere entrambi genitori “sufficientemente buoni”.Ricordo una bambina, figlia di genitori separati.

Susanna durante il primo incontro di consultazione ha disegnato un paesaggio di montagna tracciandoil contorno di quattro monti: dentro uno di questi ha disegnato la mamma colorando i suoi vestiti dirosso. Prima di continuare ha chiesto, rivolgendosi ad entrambi i genitori, se poteva disegnare papà nelmonte a fianco alla mamma o se doveva, invece, distanziarlo, lasciare una “montagna” fra loro due. Igenitori, colpiti dalla domanda della bambina, le hanno risposto di disegnarli come e dove desiderava.Susanna li ha messi vicini e ha scelto il verde per i vestiti di papà. Finito il disegno ha chiesto ai genitoridi firmarlo. Poi Susanna ha iniziato a scrivere il proprio nome con il pennarello rosso ma dopo averscritto le prime lettere, “Sus”, si è fermata di scatto e ha detto “E no!”; ha appoggiato il pennarello rosso,e ha preso il verde per scrivere “anna”, finendo così il suo nome con il colore prima scelto per il papà.

Questa bambina, durante molti incontri successivi, ha continuato a firmare i disegni scrivendo ilproprio nome di due colori, per metà con il colore della mamma, il rosso, e l’altra metà con il colore delpapà, il verde. Solo dopo qualche tempo è riuscita a scrivere il proprio nome di un colore solo,scegliendolo liberamente tra quelli che meglio si intonavano con i colori del suo disegno.

Per questi genitori poter osservare la propria figlia e poter dopo ripensare, insieme a me, a come Susannasi sentisse “divisa” e a come il loro conflitto mettesse profondamente in pericolo la sua identità è statauna piccola rivelazione che li ha aiutati a comprendere ciò che la bambina stava vivendo.

Non è quindi solo nel facilitare le visite con entrambi i genitori che è risolto l’intervento degli operatori.Anche gli avvocati di fronte alla crisi della famiglia e al disagio di genitori e figli potrebbero aprire nuovevie al lavoro con i clienti, rinunciare ad alzare il livello del conflitto, tenere presente che possono goderedi una visione solamente parziale della crisi familiare, e anche aprire uno spazio per proporre ai genitoriun intervento di prevenzione come quello della consultazione alla famiglia, distante dal contesto

valutativo (CTU e CTP) che caratterizza invece il procedimento dinnanzi al giudice11.

In questo modo si consentirebbe alla famiglia in crisi di intraprendere un percorso che non si ferma allasola valutazione della situazione attuale (come, invece, fanno le consulenze tecniche) né si propone solocome “spazio neutro” ma promuove un cambiamento, uno sviluppo, una crescita ed un rafforzamentodel legame.

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La consultazione partecipata può allora essere per i genitori il contenitore entro cui concordare unabreve tregua per riuscire, aiutati dal terapeuta, a soffermarsi sul proprio bambino, a guardarlo, adimmedesimarsi con lui e a capire cosa prova in quel momento, quali sono i suoi bisogni e le sue paure.Ai genitori si offre l’opportunità, lo spazio ed il tempo per riparare ad una caduta di pensiero, albambino la risposta alla domanda e alla speranza di essere rimesso in contatto con entrambi i proprigenitori.

Solo attraverso un nuovo pensiero per i figli della separazione quella sedia vuota verrebbe occupata nonsolo dalle proiezioni genitoriali ma finalmente da bambini “in carne ed ossa”: quei bambini potrebberoavere la consapevolezza – nel presente – e poi ricordare – nel futuro – che, anche in mezzo a tutta quellatremenda confusione e alla crisi che ha ribaltato la loro famiglia e con essa tutte le loro certezze, i lorogenitori hanno trovato la forza di pensare a loro e soprattutto di ascoltarli.

* * * * *

La famosa citazione di Tolstoj riportata all’inizio del mio articolo secondo cui ogni famiglia infelice èinfelice a modo suo ci ricorda, come operatori che si occupano a vario titolo della crisi familiare, cheidee preconcette, pregiudizi, procedimenti rigidi e ripetitivi non hanno senso e sono invece assaipericolosi. Ricercare nuovi equilibri e aprire un sottile spiraglio verso una nuova felicità è estremamentefaticoso e solo riattivando la capacità di pensiero dei genitori e aiutando loro ad aiutare i loro bambini sipuò dare inizio ad un percorso che consenta di apprendere dall’esperienza, anche se si tratta diun’esperienza così dolorosa. Questa può essere la via per passare dal dolore per la perdita ed il fallimentoa nuovi equilibri: attraverso l’esperienza della separazione coniugale si può sperare in una trasformazionedel legame ed in una nuova felicità, come così bene ci ha mostrato con le sue parole la mia clientestraniera.

A proposito di famiglie felici ed infelici ricordo un altro bellissimo libro, il romanzo epistolare di AmosOz La scatola nera, in cui l’autore narra la tragica vicenda familiare di due coniugi separati e del lorofiglio.

Oz fa parlare direttamente i personaggi: le loro lettere sono un’esplosione di emozioni, dense di rabbia,amore, odio, passione e desiderio. Tutti questi sentimenti, nonostante la separazione e la lontananza, siconservano nel tempo sempre vivi, pulsanti anzi straripanti e nulla sembra poterli mettere a tacere oalmeno quietarli. Raramente, leggendo parole d’odio e d’amore così violente, sono riuscita, insieme aiprotagonisti del romanzo, a conservare fino alla fine la speranza per loro di una possibile, nuova felicità.Oz nel romanzo fa dire ai suoi personaggi che Tolstoj nella famosa frase incipit di Anna Karenina, da mecitata, non scrive il vero ma, al contrario di quanto così autorevolmente proclamato, lo scrittore sostieneche sono le famiglie felici ad essere diverse mentre quelle infelici si assomigliano tutte e ripetono pochi eormai usurati cliché di dolore.

Credo che Tolstoj e Oz abbiano entrambi ragione: se mettiamo insieme ciò che i due scrittori sembranovoler dire possiamo pensare che tutte le famiglie, felici ed infelici, siano diverse fra loro e che ognivicenda familiare, più o meno drammatica, meriti rispetto e chieda a chi se ne occupa di essere ascoltatae compresa prima che giudicata.

Tutte le famiglie felici sono simili fra loro. Ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.

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L.N. Tolstoj, Anna Karenina

“La felicità (…) è un oggetto raro e delicato, una specie di porcellana cinese, e i pochi che visono arrivati l’hanno foggiata e composta tratto per tratto col passare degli anni, ciascuno apropria immagine e somiglianza, ciascuno a propria misura: non c’è una felicità che assomigliaall’altra. E in quella felicità ciascuno ha impresso le proprie sofferenze e i torti subiti. Comeestraendo l’oro dal piombo”.

Amos Oz (1987), La scatola nera

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1Alcuni interessanti tentativi di integrare diverse esperienze e competenze sono già stati fatti: vorreiricordare il lavoro di Roberto Losso (2000) il quale ha promosso in Argentina un metodo di lavorointerdisciplinare, tra avvocati e psicoanalisti, in gruppi di riflessione a orientamento psicoanalitico, alloscopo di ripensare il coinvolgimento emozionale necessariamente implicato nel lavoro con la famiglia incrisi. Egli ha cercato di promuovere, credendolo possibile, l’incontro fra mondo legale e psicoanalitico,assimilando il suo lavoro con questi gruppi multidisciplinari a ciò che già da tempo avviene in campomedico con i “gruppi Balint.”. Sempre in una prospettiva psicoanalitica un’altra iniziativa, a cui hoavuto modo di partecipare, è stata quella del Centro Milanese di Psicoanalisi Cesare Musatti che haorganizzato uno dei Seminari Aperti nel 2002 rivolto a psicologi, psichiatri, operatori sanitari, avvocati emagistrati dal titolo “Separazione legale e affidamento dei figli: come aprire uno spazio di riflessione perpensare il conflitto” tenuto dalle dottoresse Claudia Balottari e Lucia Rapezzi con l’intento di svilupparel’argomento della separazione mettendo a confronto attraverso il dialogo le diverse professionalità.

2 Si può pensare che anche in quest’ambito, come in quello psicoanalitico, gli “eventi” e i significatisiano frutto della co-costruzione (Ferro 1999) operata dai vari personaggi che popolano in campoemotivo, in cui le comunicazioni “che si propagano per ESPANSIONE o per CONTAGIO, che nonappartengono all'uno o all'altro interlocutore, ma sono create dalla situazione” (Gaburri E. 1997 b).

3Mi riferisco qui al concetto di “mentalizzazione” o “funzione riflessiva” definito da Fonagy e Targetcome quel processo mentale mediante il quale una persona interpreta in modo implicito ed esplicito leazioni proprie e altrui, attribuendo un significato agli stati mentali intenzionali quali bisogni, desideri,credenze e motivazioni.

La difficoltà del ruolo dell’avvocato nella separazione sta nell’accedere a quella particolare caratteristicadella mentalizzazione che è “il riuscire a connettere l’interno con l’esterno, a permetterci di dotare ciòche crediamo di significati che siano emozionalmente vivi ma gestibili, e di cui, quindi, non dobbiamodifenderci” (Target M., Fonagy P. 1996, p. 167).

4Mi viene in mente che tempo fa persi una cliente che in modo non diretto ma piuttosto esplicito midomandava di aiutarla ad impedire che la sua bambina frequentasse il padre. Non convinta che il padre

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fosse poi così tremendo cercai di spiegarle che difficilmente un giudice, valutata la situazione dellafamiglia, avrebbe adottato un provvedimento restrittivo del diritto di visita del papà. L’impatto conl’esame di realtà e probabilmente anche con il mio pensiero, ancora inespresso ma presente dal principionella mia mente, riguardo a quanto fosse ingiusta la sua domanda portò la signora a togliermi in modoassai brusco l’incarico di assisterla, inviandomi una e-mail, senza volermi più parlare nemmeno pertelefono.

5 Quando parlo di componente scissionale del lavoro mi riferisco a quanto è difficile, per l’avvocato,vedere la separazione in tutta la sua complessità, tollerandone le contraddizioni, vederla – potremmodire in termini psicoanalitici – come un “oggetto intero”, sostando in posizione depressiva. Al propriocliente – l’“oggetto buono” – vengono attribuite tutte le ragioni, mentre sulla controparte – l’“oggettocattivo” – vengono proiettati tutti i torti e tutte le colpe.

6 L’articolo 155 c.c. così come riformato dalla legge 54/2006 prevede che il giudice valutiprioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori. Solo nel caso in cuil’affidamento condiviso sia contrario all’interesse dei minori il giudice può provvedere all’affidamento adun solo genitore. Prima della riforma del 2006 l’art. 155 c.c. prevedeva che il giudice della separazionedichiarasse a quale dei coniugi dovevano essere affidati i figli, stabilendo poi in quale misura ed in chemodo l’altro coniuge dovesse contribuire al mantenimento all’istruzione e all’educazione dei figlinonché alle modalità di esercizio dei diritti del genitore non affidatario nei rapporti con i figli.

7 Mrs. Doubtfire - Mammo per sempre - (1993) film con Robin Williams.

8 Ripreso da Keats, J. (1817) Lettere sulla poesia. Feltrinelli, Milano, 1998.

9 Sicuramente questo nulla ha a che fare con le imprese giudiziarie di molti avvocati noti ai media efrequentemente citati negli articoli di cronaca per la notorietà dei clienti assistiti. Penso che debba essereuno sforzo comune, una prospettiva di lavoro di professionisti e parti in causa, quella di rinunciare adinsinuazioni, raggiri, bugie, ricatti, agenzie investigative, fotografie e così via.

10 La Consultazione Partecipata ed il lavoro di Dina Vallino si è sviluppato integrando il lavoro clinicoal lavoro osservativo, come estensione alle consultazioni dell’Infant Observation, metodo osservativoproposto originariamente da Esther Bick alla fine degli anni ’40,

11 In Italia già da qualche tempo si è costituito un movimento per la diffusione del processo collaborativonell’ambito del diritto di famiglia. Si tratta di un modo alternativo di regolamentazione dei conflittifamiliari nato negli Stati Uniti e diffuso ora anche in alcuni paesi europei, in cui le parti, assistite daipropri avvocati, si impegnano a cercare una soluzione costruttiva per risolvere in via stragiudiziale le lorocontroversie. Si accordano di non ricorrere all’autorità giudiziaria per dirimere i loro conflitti fino aquando non sarà raggiunto un accordo che sarà poi omologato dal Tribunale. A mio parere la suaapplicazione nell’ambito del nostro sistema giuridico presenta molti elementi di criticità. In ogni casol’aspetto che mi sembra interessante del procedimento è la possibilità che un consulente o più possonoessere scelti dalle parti ai fini di intervenire per aiutare a raggiungere un accordo. L’esperto può essere

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anche uno psicologo o un neuropsichiatra infantile. In questi casi lo strumento della ConsultazionePartecipata genitori-bambino, che aiuta i genitori a realizzare e ad affrontare il disagio dei propri figli,ben si adatterebbe allo spirito e alle finalità del percorso collaborativo. Per maggiori informazioni sulprocesso collaborativo è possibile consultare il sito AIAF – Associazione italiana degli avvocati per lafamiglia - al link:

www.aiaf-avvocati.it/.../DIRITTO_COLLABORATIVO_AIAF_LOMBARDIA_documento_1_2_2010.doc.