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I TEMI DELLA NUTRIZIONE I STITUTO D ANONE I I T T E E M M S S Sicurezza in alimentazione A cura di Ermanno Lanzola Già Ordinario di Scienza dell’Alimentazione e Direttore del Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la Dietetica. Università degli Studi di Pavia Gianfranco Piva Ordinario di Nutrizione ed Alimentazione Animale. Direttore Istituto Scienze degli Alimenti e della Nutrizione. Università Cattolica S. Cuore di Piacenza Con la collaborazione di Carlo Brera, Giorgio Calabrese, Enzo Chiesara, Ivano De Noni, Francesca Debegnach, Stefania Di Giacomo, Marina Miraglia, Gian Pietro Molinari, Lorenzo Morelli, Alberto Poli, Giorgio Poli, Carla Roggi, Sonia Radice, Filippo Salvini, Chiara Gallo Stampino Dal campo alla tavola

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I T E M I D E L L A N U T R I Z I O N E

I S T I T U T O D A N O N E

II TT EE MM SS

Sicurezzain alimentazione

A cura di

Ermanno LanzolaGià Ordinario di Scienza dell’Alimentazione e Direttore del Centro Ricerche

sulla Nutrizione Umana e la Dietetica. Università degli Studi di Pavia

Gianfranco PivaOrdinario di Nutrizione ed Alimentazione Animale. Direttore Istituto Scienzedegli Alimenti e della Nutrizione. Università Cattolica S. Cuore di Piacenza

Con la collaborazione di

Carlo Brera, Giorgio Calabrese, Enzo Chiesara, Ivano De Noni,Francesca Debegnach, Stefania Di Giacomo, Marina Miraglia,Gian Pietro Molinari, Lorenzo Morelli, Alberto Poli, Giorgio Poli,

Carla Roggi, Sonia Radice, Filippo Salvini, Chiara Gallo Stampino

Dal campo alla tavola

I S T I T U T O D A N O N EPER LA RICERCA E LA CULTURA DELLA NUTRIZIONE

M O T I V A Z I O N I E O B I E T T I V I

DD anone è una società multinazionale operante nel settore alimentare. La sua “mission”istituzionale è quella di migliorare l’alimentazione umana, sia con prodotti di alta qualità

ed elevato valore nutrizionale, sia con iniziative di ricerca e di divulgazione scientifica. In que-st’ottica ha deciso di destinare importanti risorse alla ricerca e alla cultura della nutrizione,dando vita all’Istituto Danone.

L’Istituto Danone si prefigge di:

Incoraggiare la ricerca scientifica sul rapporto tra alimentazione e salute

Promuovere una corretta educazione alimentare

Diffondere i risultati della ricerca nutrizionale presso gli operatori della salute e del-l’educazione alimentare

Costituire un anello di giunzione tra il mondo scientifico e gli operatori della salute e dell’educazione alimentare

Gli obiettivi dell’Istituto Danone sono quindi due:

Conoscere – attraverso la promozione di ricerche, proprie o di terzi, nel settore nutrizionale

Far conoscere – attraverso attività editoriali e congressuali mirate a diffondere la culturadella nutrizione

Comitato Scientifico Istituto DanoneMarcello Giovannini (Presidente), Ermanno Lanzola, Carlo Vergani (Vicepresidenti), Jean-Michel Antoine, Bruno Berra, Gabriele Bianchi Porro, Vittorio Bottazzi, Michele O. Carruba,Salvatore Castiglione, Alberto Galli, Lorenzo Morelli, Alberto Notarbartolo, Gianfranco Piva,Pierpaolo Resmini, Enrica Riva.

Segreteria ScientificaCarlo Agostoni, Arturo Della Torre

Sede Istituto Danone: Via Alserio, 10 – 20159 Milano

Supplemento a “Lettera dell’Istituto Danone - ITEMS NEWS”

Direttore Scientifico: Marcello Giovannini

Segreteria Scientifica: Carlo Agostoni, Arturo Della Torre

Direttore Responsabile: Marcello Giovannini

Comitato di redazione:Jean-Michel Antoine, Bruno Berra, Gabriele Bianchi Porro, Vittorio Bottazzi, MicheleO. Carruba, Salvatore Castiglione, Alberto Galli, Ermanno Lanzola, Lorenzo Morelli,Alberto Notarbartolo, Gianfranco Piva, Pierpaolo Resmini, Enrica Riva, Carlo Vergani.

Editore e Redazione: Èlite Communication Srl - Viale Teodorico, 3 - 20149 Milano

Registrazione del Tribunale di Milano n. 567 del 17.09.1999

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Nessuna parte può essere riprodotta senza l’autorizzazione scritta dell’Editore

Finito di stampare nel mese di Ottobre 2004Stamperia Artistica Nazionale - Torino

Sicurezza in alimentazione

II TT EE MM SS

A cura di

Ermanno LanzolaGià Ordinario di Scienza dell’Alimentazione e Direttore del Centro Ricerche sulla Nutrizione

Umana e la Dietetica. Facoltà di Medicina e Chirurgia. Università degli Studi di Pavia

Gianfranco PivaOrdinario di Nutrizione ed Alimentazione Animale. Direttore Istituto Scienze degli Alimenti

e della Nutrizione. Facoltà di Agraria. Università Cattolica S. Cuore di Piacenza

Con la collaborazione di

Carlo Brera, Francesca Debegnach, Marina MiragliaIstituto Superiore di Sanità, Centro Nazionale per la Qualità degli Alimenti e per i Rischi

Alimentari, Reparto Organismi Geneticamente Modificati e Xenobiotici di Origine Fungina

Giorgio CalabreseAuthority Europea Sicurezza Alimentare (E.F.S.A.)

Istituto Nazionale Ricerca degli Alimenti e della Nutrizione (I.N.R.A.N.)

Enzo Chiesara, Sonia RadiceDipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia

Facoltà di Medicina e Chirurgia. Università degli Studi di Milano

Ivano De NoniDipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari e Microbiologiche

Facoltà di Agraria. Università degli Studi di Milano

Stefania Di Giacomo, Filippo SalviniClinica Pediatrica Ospedale San Paolo. Facoltà di Medicina e Chirurgia

Università degli Studi di Milano

Gian Pietro MolinariLaboratori di Tecnologia e Merceologia

Facoltà di Agraria. Università Cattolica S. Cuore di Piacenza

Lorenzo MorelliIstituto di Microbiologia. Facoltà di Agraria. Università Cattolica S. Cuore di Piacenza

Alberto PoliFacoltà di Medicina e Chirurgia. Università degli Studi di Milano

Giorgio PoliDipartimento di Patologia Animale, Sezione di Microbiologia e Immunologia

Comitato Interfacoltà per il Corso di Laurea in Biotecnologie Facoltà di Medicina Veterinaria. Università degli Studi di Milano

Carla Roggi, Chiara Gallo StampinoDipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali

Sezione di Scienza dell’Alimentazione. Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Pavia

I T E M I D E L L A N U T R I Z I O N E

Dal campo alla tavola

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II ndice

Prefazione 5E. Lanzola, G. Piva

Evoluzione della sicurezza alimentare nella storia dell’uomo 7E. Lanzola, G. Piva

Concetto di sicurezza alimentare ed elementi di legislazione 29G. Calabrese

Concetto di rischio in alimentazione 37C. Roggi, C. Gallo Stampino

Elementi di tossicologia alimentare 53E. Chiesara, S. Radice

Qualità e controllo 63G.P. Molinari

Sicurezza microbiologica 79L. Morelli

Le micotossine nella filiera agroalimentare 101M. Miraglia, F. Debegnach, C. Brera

Sicurezza tecnologica in alimentazione 123I. De Noni

Organismi geneticamete modificati 149A. Poli, G. Poli

Infezioni da alimenti 161F. Salvini, S. Di Giacomo

PP refazione

Per una fortuita coincidenza questovolume della collana ITEMS vede la lu-ce a breve distanza di tempo dalla deli-bera dell’Unione Europea che stabiliscein Italia la sede dell'Authority per la si-curezza degli alimenti.

L’istituzione dell'Authority, comeviene specificato nel capitolo di questovolume redatto da G. Calabrese, è il ri-sultato di una riforma della politica ali-mentare europea basata sul riconosci-mento del principio dell'analisi del ri-schio. La nuova strategia comunitariaper la sicurezza della catena alimentareera già stata anticipata nel “Libro verde”del 1997 (Principi generali della legisla-zione alimentare nell’Unione Europea) enel ”Libro bianco sulla sicurezza alimen-tare” del 1999 e aveva trovato le suebasi negli importanti insegnamenti trattidalle vicende della crisi determinata dal-la BSE. Lo sviluppo di questa politicaha portato alla riorganizzazione dellanormativa alimentare con il regolamento178/2002, che fornisce il quadro delledefinizioni e dei principi giuridici dellafutura legislazione alimentare europea.

Il nuovo approccio alla sicurezza de-gli alimenti ha portato anche all’istituzio-ne di un organismo innovativo che èappunto l’Authority europea per la sicu-rezza degli alimenti, che dal mese di di-cembre 2003 ha sede a Parma ed i cuicompiti sono specificati nel capitolo so-pra ricordato di G. Calabrese.

La missione globale dell’Authority,centrata sulla valutazione dei rischi, èinfatti diretta a fornire soprattutto pareriscientifici, totalmente indipendenti, checostituiscano le basi delle normativecomunitarie sulla sicurezza degli ali-menti.

L’Istituto Danone e gli Autori diquesto volume sono dunque lieti di ap-profittare della sua uscita, praticamentein concomitanza con l'insediamento inItalia dell’Authority, per esprimere allamedesima i più fervidi auguri di grandesuccesso nell'espletamento della suamissione.

Ermanno LanzolaGianfranco Piva

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“L’analisi storica dei dati demografi-ci evidenzia come una vita particolar-mente lunga e un buono stato di salutesiano un recente dono del cielo” (M.K.Matossian, 1989). Secondo lo stessoautore, fino al 1750 l’aspettativa di vitadi un membro della nobiltà britannicaera di soli 36,7 anni. Si tratta di un va-lore non dissimile da quello tipico dellasocietà romana al tempo del massimosplendore dell’impero. Sono dati moltolontani da quelli raggiunti da pochi anninei paesi più sviluppati come in Italia,ove l’aspettativa di vita ha ormai supe-rato gli ottant’anni.

Solo alcuni decenni fa, anche in zo-ne oggi celebrate per le particolari prero-gative di salubrità dei cibi che vi vengonoprodotti e per l’ottima qualità della vita, lasituazione era drammaticamente diffe-rente. Un’interessante analisi della situa-zione in Toscana viene fatta nel volumecurato dall’Accademia dei Georgofili daltitolo “In cucina ... ai Georgofili - Alimenti,pietanze e ricette fra ’700 e ’800” (Fi-

renze 2001). Si rappresenta uno spac-cato delle disponibilità alimentari e delleabitudini culinarie in quel periodo.

Come fa rilevare Mariani Costantiniin un recente, interessante articolo,che si richiama anche a pubblicazioniprecedenti di Emilio Sereni e GiancarloBiasin, è possibile ricavare da scritti divario genere letterario elementi per ri-costruire l’evoluzione storica dell’alimen-tazione popolare. In particolare, perquanto riguarda l’Ottocento italiano,risulta evidente, prendendo come riferi-mento alcuni fra i testi più rappresentati-vi che, se per il ceto medio la mensa erafrugale, per il ceto più basso era decisa-mente povera. Valgano come esempi larealtà rappresentata dal quadro descrittonel sonetto “La bona famija”, datato 28novembre 1831, di Giuseppe Gioacchi-no Belli e quella del sonetto “Li polli de livitturali” dello stesso Autore, datata 28ottobre 1833. Ancora Mariani Costantinirichiama alla memoria come la situazio-ne alimentare dell’epoca in Italia trovi ri-

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EE voluzione della sicurezzaalimentare nella storiadell’uomo E. Lanzola*, G. piva***Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la Dietetica. Facoltà di Medicina e ChirurgiaUniversità degli Studi di Pavia

**Istituto Scienze degli Alimenti e della Nutrizione. Facoltà di Agraria Università Cattolica S. Cuore di Piacenza

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flessi anche nei romanzi di AlessandroManzoni e di Giovanni Verga e per l’Eu-ropa, in particolare per l’Inghilterra, nelpolemico romanzo “Le Avventure di Oli-ver Twist“ di C. Dickens.

Le grandi epidemie traxiv e xviii secolo

L’insufficienza di cibo era drammati-ca e cronica. Alcune manifestazioni ca-renziali, tra le quali la pellagra e lo scor-buto, erano endemiche e colpivano tuttele classi sociali. La qualità dei cibi avevachiaramente grandi responsabilità sullostato sanitario, sulla qualità e aspettativadi vita delle popolazioni. Si tratta diaspetti ben documentati da Matossian,su base europea, che nel volume “Poi-sons of the Past Molds, Epidemics, and

History” (1989), esamina, nel periodo in-tercorrente fra il quattordicesimo e il di-ciottesimo secolo, la possibile relazioneesistente fra la comparsa di grandi epi-demie ed il consumo di alimenti, soprat-tutto certi cereali, sospettati di conteneresostanze tossiche. Si trattò di eventi chedeterminarono una drammatica mortalitàe furono responsabili di una grave de-pressione demografica in Europa.

Alcuni dei molteplici esempi citatied attentamente documentati dannoun’informazione di come la qualità de-gli alimenti possa avere condizionato lastoria, l’assetto socio-politico e religio-so in molte aree.

Fra la fine del Medio Evo e l’iniziodel Rinascimento, più precisamente nel1400, la popolazione vivente in Italiaera molto ridotta (Tabella 1). Vaste zoneed interi villaggi erano praticamente disa-

Evoluzione della s icurezza al imentare nella storia dell ’uomo

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Tabella 1 POPOLAZIONE RESIDENTE ED INCIDENZA DI EPIDEMIE IN ITALIA EDEUROPA NORD OCCIDENTALE (*) DAL 1351 AL 1499 (McEvedy et al., 1978;Biraben, 1976; cit. da Matossian M.K. (1989) modificata

Periodo storico(Anni)

1351-1430

1431-1499

Popolazionestimata in Italia

(Milioni)

7

10

Popolazione stimatain Europa Nord

Occidentale* (Milioni)

26,75

23,40

* Isole britanniche, Francia, Paesi Bassi, Germania, Austria, Boemia, Svizzera

NumeroEpidemiein Italia

235

220

Numero Epidemiein Europa

Nord Occidentale*

625

710

bitati, sul territorio vivevano circa 7 milionidi persone (oggi ne vivono oltre 55 mi-lioni). La popolazione era concentrata neiborghi e nelle poche città.

L’Europa Nord Occidentale non pre-sentava certo una situazione migliore; nel-lo stesso periodo la popolazione era sti-mata in 26,7 milioni di abitanti (Tabella 1).Alla fine del Medio Evo la popolazionecomplessiva dell’Europa Nord Occidenta-le e dell’Italia si attestava su un valore dipoco superiore ai 33 milioni di abitanti.

Le “epidemie” erano un fatto ricor-rente; fra il 1400 e il 1500 le cronachene riportano ben 1790, accompagnatespesso da gravi carestie, anche se nonsempre è chiaro il rapporto causa-effettofra carestia e il manifestarsi di una“epidemia”.

Le epidemie falcidiavano le popola-zioni delle città e dei borghi e le popola-zioni rurali, togliendo forza lavoro alla col-tivazione dei campi, con effetti drammati-ci sulle fragilissime economie e sulla di-sponibilità di alimenti.

L’influenza del climasulla diffusione delleepidemie

L’andamento di varie epidemie, adun’analisi epidemiologica attenta,

manifestava un comportamento definibile“bizzarro”.

Matossian, nell’intento di compren-derne le ragioni, ha analizzato il suc-cedersi del le epidemie a part i redall’Alto Medio Evo in relazione conl’alternarsi delle situazioni climatiche,traendo la convinzione di una possibilerelazione più con la qualità dei cibi checon la quantità; tanto è vero che insituazioni di abbondanza di cereali siriscontrava, a volte, un’incidenza piùfrequente della peste, specie dellapeste bubbonica. Il dato viene fattorisalire alla proliferazione di topi neigranai, quando i cereal i venivanoconservati più a lungo del solito espesso venivano alterati da attacchi diinsetti e di muffe.

Nel Medio Evo le popolazioni eranofortemente dipendenti dai cereali. Lasegale era il cereale più utilizzato perfare il pane, soprattutto a nord delleAlpi, seguita dall’orzo, dal frumento,dall’avena, dal riso e da molti altricereali minori oggi quasi scomparsi.

Nei due anni precedenti lacomparsa della grande pandemia checolpì l’Europa fra il 1348 ed il 1350, ilclima era stato estremamente piovoso,freddo, umido, i raccolti scarsi e dicattiva qualità. Inoltre, a causa dellepoche giornate di sole, non sempre

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avevano potuto essere essiccat iadeguatamente. La pandemia colpì nonsolo l’uomo ma anche, e in modoevidente, i topi e si ebbe ancheun’elevata mortalità fra cavalli, bovini,pecore, capre e altri animali domestici.

Il grafico riportato di seguito (Figura 1)evidenzia in modo drammatico lo statodella popolazione in Normandia, fra il1250 e il 1550.

A part ire dal 1350 si ebbe unprogressivo decremento demograficoche vide la popolazione ridotta a circa il45% attorno al 1380, per scendere apoco più del 30% attorno al 1460.Occorreranno quasi 100 anni per av-viarsi a ritornare alla normalità.

Condizioni climatiche caratterizzateda elevata piovosità, alta umidità etemperature relativamente basse eranorisultate estremamente favorevoli allosviluppo sui cereali, in campo e inmagazzino, di muffe responsabili della

produzione di varie micotossine. Nellostesso periodo, i paesi a clima piùsecco e freddo (Islanda, il nord dellaNorvegia e della Svezia, la Finlandia,larghe aree del la Russia o deiBalcani), furono colpiti dalla pandemiain ritardo, solo quando si verificaronocondizioni di elevata piovosità.

Nei terr i tor i a cl ima secco, lapandemia non si diffuse e non causòelevata mortal i tà, nonostante icommerci e gl i spostamenti degl iabitanti rendessero il contagio possibile.

Matossian osserva che, oltre alcontagio, “altri fattori aggravanti o altremalattie erano probabilmente necessariper causare un’elevata mortalità” econclude che “se queste premessesono corrette, appare giustif icatoorientare l’attenzione dal l’agentepatogeno causale della peste al sistemaimmunitario di difesa degli uomini e deitopi”.

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10080

60

40

201250

1314 =100

1300 1350 1400 1450 1450 1500

Indi

ce

Anni

Figura 1

Andamento dell’indicedella popolazione nellaNormandia orientale frail 1250 ed il 1550 (Bois, 1984 – citato daMatossian, 1989)

Significativo è il fatto che la situazionemigliorò drasticamente all’aumentare dellapercentuale di frumento nella dieta ascapito di altri cereali e soprattutto dellasegale. La quota del frumento utilizzatonell’alimentazione è passata in certe zonedal 30% circa nel periodo 1300-1350 aquasi l’80% nel periodo 1450-1500(Tabella 2).

Disturbi legati al consumo di segale

I Medici inglesi avevano evidenziato,a metà del diciassettesimo secolo, unarelazione fra la dieta a base di segale euna serie di disturbi nervosi anche gra-vi, con manifestazioni caratterizzate daconvulsioni e allucinazioni che facevanoconsiderare le persone colpite indemo-niate. A volte gli ammalati erano sotto-posti a pratiche esorcistiche. In alcunesituazioni queste manifestazioni nervoseportarono anche a processi con l’accu-sa di stregoneria.

I processi per stregoneria, fra la fi-ne del 1550 e la prima metà del 1600,furono particolarmente concentrati nel-le zone dove era prevalente il consumodi segale. La segale, in condizioni cli-matiche sfavorevoli, può essere facil-mente contaminata dalla Clavicepspurpurea, i cui sclerozi contengo varialcaloidi, alcuni dei quali a effetto allu-cinogeno. Sono le aree a nord delle Al-pi, caratterizzate in quel periodo da cli-ma freddo e particolarmente umido,ove questi episodi raggiunsero unaparticolare intensità (Figura 2). L’Irlan-da con un’alimentazione a base di latti-cini e orzo è stata praticamente inden-ne, oltre che da situazioni epidemiche,anche dai processi per stregoneria. InInghilterra, nello stesso periodo storicosi era verificata una situazione di bassafertilità ad andamento variabile, condi-zionata dal modificarsi del rapporto frail prezzo della segale e quello del fru-mento. La fertilità diminuiva quando ilprezzo del frumento era elevato e au-mentava il consumo di segale. La se-

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Tabella 2

Variazioni dellepercentuali di frumentonella dieta nella zona di Lione (Lorcin, 1974,citata da Matossian,1989)

Anni Percentuale di frumento

1300-1350 30,8

1350-1400 51,5

1400-1450 66,0

1450-1500 78,8

gale era il cereale base per la prepara-zione del pane che anche le madri al-lattanti consumavano. Gli alcaloidi dellasegale cornuta, eliminati con il latte,determinavano un’elevata mortalità deineonati.

Alcuni medici francesi avevano giàpreso coscienza di questa situazionetanto che, all’inizio del 1600, consiglia-

vano alle madri lattanti di consumarepane bianco per evitare che i loro bam-bini avessero “spasmi”.

Un famoso quadro del p i t torefiammingo Peter Brugel il Vecchio (ca1525-1569), “I mendicanti”, docu-menta i drammatici effetti dell’ergo-tismo su alcune vitt ime in Olanda (Figura 3).

Evoluzione della s icurezza al imentare nella storia dell ’uomo

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Figura 2

Distribuzione deiprocessi per stregonerianell’Europa Occidentalefra il 1580 ed il 1650(Monter, 1980 – citato daMatossian, 1989)

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Il fuoco di S. Antonio

Anche la particolare situazione dipanico che percorse la Francia nel1789 e che si associò a manifestazionidi particolare ferocia in occasione dellaRivoluzione Francese, sembra possaessere associabile al consumo di sega-le di cattiva qualità per le avverse condi-zioni climatiche di quel periodo.

Già quasi un millennio prima dellaRivoluzione Francese, si hanno notiziestoriche che fanno risalire gravi episodidi malattia che hanno coinvolto interepopolazioni, agli alcaloidi della segalecornuta. Nell’autunno del 943, nella re-

gione di Limoges in Francia, migliaia dipersone vennero colpite da una stranamalattia caratterizzata da convulsioni,dolori lancinanti alle estremità e vastelesioni cutanee, accompagnate da feb-bre alta e senso di bruciore insopporta-bile; in pochi giorni si poteva manifesta-re la gangrena e la morte. In casi menogravi il decorso si svolgeva in modo su-bacuto ma con sofferenze ed esiti più omeno analoghi attribuibili all’azione va-socostrittrice dell’ergotamina, il più im-portante principio attivo della segalecornuta. Proprio a causa del senso dibruciore insopportabile, la malattia ven-ne chiamata in Francia “mal des

Figura 3

“I mendicanti” Peter Brugel

ardents” e “Fuoco di S. Antonio”* o“Ignis Sacer” in Italia.

L’ergotismo epidemico assurse a ta-le importanza nel Medio Evo e in alcunisecoli successivi da essere compresofra le pestilenze, sospettato di essereuna malattia infettiva trasmissibile e dif-fusiva. Peraltro l’infezione e la diffusibilitàesistevano, anche se non avvenivano di-rettamente attraverso l’uomo bensìattraverso la contaminazione dei cereali;l’uomo ne subiva la conseguenza tossicaper via alimentare, consumando pane eprodotti cerealicoli contaminati dal fungo.

Per soccorrere l’ingente numerodei colpiti sorse l’Ordine degli Antonianidel Delfinato.

S. Antonio fu considerato il Patro-no protettore: da ciò la denominazione“Fuoco di S. Antonio”. L’Ordine degliAntoniani si diffuse ben presto in mol-te nazioni dove furono fondati ospedalidedicati al Santo protettore: fra lemansioni di questo Ordine vi era quel-la di praticare le amputazioni degli articancrenosi. Le porte degli ospedali edei chiostri dell’Ordine erano tinte dirosso, simbolo del fuoco, o recavano

dipinte le fiamme. Gli arti amputatidelle persone scampate alla morte ve-nivano talora essiccati e conservatiquasi come ex voto di chi riusciva asopravvivere (Figura 4).

Micotossine negli alimenti

La scomparsa dell’ergotismo, co-me è stato già accennato, è dovuta

Evoluzione della s icurezza al imentare nella storia dell ’uomo

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* La denominazione “Fuoco di S. Antonio” è anche attribuita all’herpes zoster. La denominazione colloquialecomune alle due malattie deriva senza dubbio da una similitudine della sintomatologia principale, l’intenso bru-ciore della zona del corpo interessata. Peraltro le differenze tra le due affezioni morbose restano sostanziali econsistono soprattutto nel fatto che l’herpes zoster è malattia sporadica, non epidemica per riattivazione delvirus latente varicella-zoster nelle radici dorsali dei gangli nervosi e si presenta con maggiore frequenza tra i60 e i 70 anni.

Ex voto di scampati alla morte

Figura 4

alla scoperta della relazione intercor-rente fra cereali parassitati dal fungoe insorgenza della malattia.

Ancora all’inizio dell’era moderna,Inghilterra, paesi dell’Europa Centralee Orientale erano stati pesantementecondizionati, nello sviluppo demografi-co, dalle micotossine negli alimenti.

La situazione ha cominciato a mi-gliorare via via che il frumento ha pre-so il posto della segale nell’alimenta-zione delle popolazioni anche nellearee de l Centro Nord e de l l ’Estdell’Europa.

La riduzione della segale per otte-nere farina destinata alla panificazio-ne, l’evoluzione dei sistemi di molitu-ra, attenti a eliminare le granelle alte-rate e le impurezze, il controllo sem-pre più attento della qualità dei grani,ha posto sotto control lo i l r ischiodell’ergotismo.

Altre micotossine, come i tricote-ceni e le aflatossine (attualmente so-no note oltre trecento molecole cheappartengono a questa classe di so-stanze) contaminavano i cereali e altriprodotti alimentari vegetali ed animali.

La presenza nel latte di aflatossi-ne M1, dovuta all’ingestione di gra-nelle di mais ad elevata presenza diaflatossine B1 ingerite dalle vacche, èproblema di questi mesi.

L’evoluzione storicadella sicurezza alimentare

La strada dell’uomo verso la con-quista della “sicurezza alimentare” èstata molto lunga e costellata di episo-di forse meno drammaticamente ge-neralizzati di quelli ricordati per le mi-cotossine, ma che hanno lasciato unascia di sofferenze e di morti.

Note storiche sulla sicurezza ali-mentare r isalgono peraltro a 12-15.000 anni or sono, quando l’uomo diCro Magnon morì vittima di un’intos-sicazione alimentare. Le sue ossa fos-silizzate hanno conservato traccia diquesto avvenimento provocato da unamalattia delle graminacee. Si ignora,ovviamente, se egli abbia ingerito unpo’ di erba erroneamente scelta ovverosia stato vittima della maldestra prepa-razione di un pasto.

È difficile ipotizzare quanto tempo cisia voluto perché i suoi contemporaneiriuscissero a individuare e quindi a eli-minare dai loro pasti l’erba incriminata oquante vittime ci siano state prima chel’uomo preistorico potesse discriminarei funghi commestibili da quelli velenosi.

Per soddisfare la propria fame, l’uo-mo ha dovuto correre continuamente ri-schi spesso anche mortali.

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Curioso e significativo al tempostesso è l’episodio occorso ai soldatigreci che facevano parte della spedi-zione di Ciro il Giovane contro il fratelloArtaserse, re di Persia, nel 401 a.C.Conclusasi tragicamente la spedizionecon la morte di Ciro, i Greci dovetterointraprendere una lunga e penosamarcia, dalla Babilonia al Ponto, de-scritta magistralmente da Senofontenell’Anabasi.

Nell’ultima e più avventurosa fasedella marcia arrivarono una sera, stan-chi ed affamati a Trebisonda, sulla rivadel mar Nero, ai piedi delle boscosemontagne del Ponto, dove trovaronouna grande quantità di miele su cui sigettarono con avidità.

Purtroppo, soprattutto coloro chene avevano mangiato di più, andaronoincontro a una forma di avvelenamentocon sintomi a carico dell’apparato ga-stro-enterico, ma anche con vertigini,offuscamento della vista e fenomeni diincoscienza. Oggi sappiamo che taleavvelenamento era legato al nettarefornito alle api da alcune specie di aza-lee, di rododendri, di oleandri e forse diallori montani che contengono un vele-no, l’andromedotossina, responsabiledell’episodio.

Altro episodio legato al miele vienericordato durante la guerra di secessio-

ne americana, quando un gruppo disoldati di una guarnigione lamentò ma-nifestazioni molto gravi a carico del si-stema nervoso a seguito dell’ingestionedi miele prodotto da api che avevanobottinato su fiori di Datura. Nel miele sierano verosimilmente accumulati gli al-caloidi della Datura (scopolamina, atro-pina e iosciamina).

Il caso Franklin

L’evoluzione della conoscenza hainfluito in modo rilevante sul controllodella sicurezza e delle disponibilità ali-mentari, ma non sempre tutto è anda-to nel migliore dei modi.

In senso lato si può applicare an-che alla sicurezza in alimentazionel’aforisma di Henri Poincaré: “plus lascience accroit le cercle de ses con-naissances et plus grandit autour lecercle d’ombre”. Vale la pena ricorda-re, a questo proposito, un tragico av-venimento accaduto alla metà dell’Ot-tocento: il destino della spedizioneFranklin, che è rimasto uno dei piùgrandi misteri delle esplorazioni geo-grafiche. Nell’autunno del 1984, com-parvero su alcune riviste internazionalile fotografie di un giovane marinaiodell’epoca vittoriana, John Torrington,

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trovato pressoché intatto nella suatomba nei ghiacci dell’isola Beechey,tra Groenlandia e Canada. Era un mari-naio appartenente all’equipaggio di unadelle due navi inglesi, Erebus e Terror,che sotto i l comando di Sir JohnFranklin erano salpate nel maggio del1845 alla ricerca del passaggio diNord-Ovest. Si trattava di due navi avela ma fornite di macchina a vaporeausiliaria, provviste di ogni più moder-no ritrovato tecnologico disponibileall’epoca. Particolare attenzione erastata riservata agli approvvigionamentialimentari che avrebbero dovuto copri-re un arco di tre anni, tempo massimoprevisto per la spedizione. Facevanoparte de l le provv is te a l imentar i61.987 kg di farina, 16.749 litri dibevande alcoliche, 909 litri di “vinoper ammalati”, 4.287 kg di cioccolata,1.069 kg di the e inoltre carne in sca-tola, confezionata in circa 8.000 lattee lattine da 1,2,4,6 e 8 libbre secon-do il metodo Appert, all’epoca ormaiacquisito. Della spedizione e dei 129uomini che ne facevano parte non siseppe più nulla, tranne vaghe infor-mazioni fornite da eschimesi nei de-cenni che seguirono.

È grazie al ritrovamento, da partedi ricercatori dell’Università di Alberta,in Canada, del corpo del marinaio Tor-

rington e al successivo esame delleossa dello stesso e di altri membridell’equipaggio, in seguito rintracciati,che il mistero poté essere chiarito.L’elevato tasso di piombo riscontratonelle ossa (da 10 a 30 volte più eleva-to rispetto alla media di soggetti nor-mali non esposti) ha portato, infatti, aritenere che si sia trattato di un avve-lenamento collettivo da piombo dovutoa un’imperfetta saldatura delle scatoledi carne. In base a ricerche successi-vamente condotte su resti ritrovati,non è difficile supporre che gli equi-paggi del Terror e dell’Erebus, bloccatidai ghiacci in uno degli stretti che sta-vano attraversando, siano andati in-contro a eccessivi apporti di piombo.L’avvelenamento da piombo determinònon soltanto la perdita di forza fisicama anche la riduzione delle capacitàmentali, quanto mai necessarie perl’assunzione di corrette decisioni, so-prattutto da parte degli Ufficiali, nellecircostanze critiche in cui si erano ve-nuti a trovare.

La spiegazione, del tutto recente,dei motivi della tragica conclusionedella spedizione Franklin, considerataal momento della partenza una dellepiù attrezzate tra tutte quelle che ave-vano affrontato i mari artici, non puònon fare riflettere sull’importanza e

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sulla complessità dei problemi con-nessi alla sicurezza alimentare, non-ché sull’evoluzione che il concetto diquesta ha subito nel corso dei secolifino ai giorni nostri. La tragedia delTerror e dell’Erebus rappresenta, in-fatti, l’altro aspetto, quello dei rischi,connesso al progresso della Scienza.Senza dubbio è stata una grande in-venzione quella del commerciante digeneri alimentari de la rue des Lom-bards a Parigi, Nicolas Appert, resanota nel 1810 con la sua pubblicazio-ne “L’art de conserver pendant plu-sieurs années toutes le substancesanimales et vegetales”. Si può direche essa abbia dato l’avvio a una con-tinua evoluzione tecnologica, sviluppa-tasi durante tutto il XX secolo.

L’accademia dei georgofili

Nello stesso secolo si è potutousufruire, almeno in Europa, della radi-cale variazione nella disponibilità di ali-menti che si ebbe con gli effetti dellaprima globalizzazione geo-mercantile(Quadro Curzio, 1999) conseguentealla scoperta dell’America, con la dif-fusione in Europa della coltivazionedella patata, del mais e più tardi del

pomodoro. Diffusione non facile eguardata con sospetto da molti.

Non solo la malnutrizione legata aicibi contaminati da muffe (illustrate daMatossian) o da altri contaminanti più omeno accidentali, ma anche situazionicarenziali gravi, come ricorda Scara-muzzi (In cucina… ai georgofili. Alimen-ti, pietanze, ricette tra ’700 e ’800, Fi-renze 2001) erano endemiche. In To-scana, fra il ’700 e l’800, scorbuto epellagra erano un grosso problema ecolpivano tutti i ceti sociali. L’allora neo-nata Accademia dei Georgofili, fondatanel 1753, si pose proprio il compito dimigliorare lo stato alimentare di quellepopolazioni. Il presidente Scaramuzzi dicetestualmente: “I Georgofili, nei primi cen-to anni di attività, fra ’700 e ’800 [...] do-vettero necessariamente preoccuparsisoprattutto del fondamentale bisogno disoddisfare le esigenze alimentari indi-spensabili. Cercarono quindi di valoriz-zare tutti gli alimenti disponibili e illu-strarono le possibilità di utilizzarli nel mi-gliore dei modi. Si adoperarono per fareapprezzare anche alcune piante cheerano state introdotte dal nuovo mondogià da due secoli, ma che stentavano adiffondersi, incontrando le umane diffi-denze verso ciò che è nuovo”.

Un particolare sforzo fu fatto dall’Ac-cademia per favorire la diffusione della

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coltivazione e dell’utilizzo della patata, aintegrazione dei cereali, per fare il pane.Ampia la varietà dei cereali utilizzati alloracon diverse modalità per la panificazione,quali il frumento, l’orzo, l’avena, la sega-le, il farro, il sorgo e il granoturco, ma laloro disponibilità era insufficiente e laqualità spesso lasciava a desiderare.

Food safety e Food security

L’Accademia aveva come uno deipropri obiettivi primari quello di migliora-re lo stato alimentare delle popolazioni.Si cominciano a delineare gli elementiche sono alla base della sicurezza ali-mentare come la intendiamo oggi, eche racchiudono due concetti base cor-rettamente espressi dall’inglese, che di-stingue la “food safety“ e la “food secu-rity”. Con la prima espressione (foodsafety) si intende la salubrità o la ga-ranzia di non tossicità degli alimenti,mentre con la seconda (food security)si dovrebbe intendere la disponibilitàadeguata di alimenti (Cannella, 2003).

Il problema alimentare, almeno inEuropa, ha subito una drastica evoluzio-ne, soprattutto negli ultimi cinquant’annie la situazione attuale nella UE è benrappresentata da un’espressione del Li-

bro Bianco (2000) che asserisce chegli abitanti dell’Unione “non hanno maigoduto di un livello di sicurezza alimen-tare così elevato come l’attuale”. Que-sta espressione ha significato globale ecomprende sia gli aspetti quantitativi siagli aspetti qualitativi, quindi la “food sa-fety” e la “food security”.

È questo il frutto della “rivoluzioneverde” che, a partire dagli anni cin-quanta ha consentito, prima nei paesioccidentali e poi in gran parte delmondo, di aumentare in senso quanti-tativo le produzioni agricole.

I vantaggi der ivant i da questamaggiore disponibilità di nuovi alimentinon sono stati analoghi per tutte le po-polazioni.

Da poco più di un decennio (Landi,2003) i nutrizionisti hanno iniziato a se-gnalare la “sindrome della fame nasco-sta”. Sindrome dipendente da carenzedi alcune vitamine e oligoelementi. Lenuove varietà di cereali ad alta efficien-za produttiva hanno contribuito a ridurreil problema della fame in molte aree,ma a causa della loro scarsa dotazionedi vitamine e minerali, hanno determi-nato nelle popolazioni situazioni di squi-libri alimentari.

Un recente rapporto dell’ONU(UNEP/Grid, 2003) ricorda che “1,5 mi-liardi di bambini e metà delle donne in

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gravidanza nel mondo sono anemici percarenza di ferro“ e che la “situazione èparticolarmente grave nel Sud e nel SudEst dell’Asia, dove la rivoluzione verde haavuto molto successo”.

Oltre alla carenza di ferro, di rilievosono le carenze di zinco e di vitamina A.Landi (2003) segnala che “secondo laFAO, nel mondo è in atto una pandemiadi anemia che colpisce nei paesi poveri.[…] Il 40% dei decessi legati al parto(circa 500.000 all’anno) sono dovuti aforme acute di anemia”. Ci troviamo difronte, in vaste aree del mondo, a una ti-pica emergenza nutrizionale.

L’Europa è indenne da queste situa-zioni ma, nonostante tutto, il consuma-tore è ansioso. Il miracolo, realizzato inpochi decenni, di avere reso disponibilecibo abbondante e di ottima qualità, èstato dimenticato. Si guarda con so-spetto al progresso scientifico e alle in-novazioni tecnologiche. Si è alla ricercadi una nuova forma di “sicurezza”, diquella sicurezza identificabile come“food safety”, avendo superato la preoc-cupazione della “food security”, che finoa pochi decenni fa assillava ogni padredi famiglia.

La “sicurezza alimentare” ha comebase il monitoraggio della filiera ali-mentare, cioè di quell’insieme di pro-cessi che portano dalla produzione al

consumo. Si tratta di un’insieme dicontrolli che riguardano gli aspetti chi-mici, biologici, microbiologici e tossico-logici secondo un approccio integratoche parte dall’identificazione dei punticritici (HACCP) e si concretizza in unsistema che identifica gli alimenti intutte le fasi del processo produttivo(rintracciabilità).

È un approccio relativamente nuo-vo. L’istinto ha guidato l’uomo, fin dal-la preistoria, nella ricerca, nella valuta-zione della qualità e nella scelta del ci-bo. L’istinto, progressivamente, nellefasi di sviluppo delle civiltà, è stato in-tegrato dall’esperienza e dalla tradizio-ne orale, in modo da evitare il consu-mo di cibi dannosi. Sono così stateorientate le abitudini alimentari dellepopolazioni nelle diverse aree geogra-fiche, e religioni o filosofie le hannospesso codificate. Quando l’esperien-za è stata trasformata in conoscenzaha avuto inizio l’approccio scientifico alproblema della nutrizione, quale oggilo conosciamo.

Frodi alimentari

Nel contesto della sicurezza ali-mentare si inserisce, non ultimo, ilproblema delle frodi alimentari la cui

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evoluzione storica meriterebbe unatrattazione a parte. La frode alimenta-re, infatti, è vecchia quanto il mondo:le prime valutazioni analitiche degli ali-menti furono di tipo sensoriale e depu-tate, al tempo degli Egiziani, agli as-saggiatori che avevano il compito ditutelare il sovrano da avvelenamenti, didare un giudizio sulla qualità dei pro-dotti e di svelare le frodi. Risale al1780 a.C. una legge del re Hammura-pi che vieta la vendita di birra annac-quata (Anklam, Battaglia, 2001). Èquesto probabilmente il primo docu-mento storico che detta leggi di inte-resse alimentare. L’adulterazione deglialimenti era un fatto piuttosto comunee in India, 2000 anni fa, vi erano nor-me per prevenire le frodi nei cereali enei grassi alimentari. L’adulterazionedel vino era diffusa nell’impero roma-no. Plinio lamentava che a Roma nonfosse possibile bere vino genuino;l’adulterazione è accennata nelle iscri-zioni pompeiane: ne sono una provaindiretta i prefetti dell’Annona che nel-la Roma antica dovevano vigilare suglialimenti; Diocleziano, con l’Editto del301, tentò di disciplinare i prezzi delmercato. Anche nel Medio Evo questabevanda era sofisticata con acetato dipiombo per renderla più dolce. Sem-pre nel Medio Evo gli alchimisti misero

a punto un metodo basato sull’impiegodi carta o stoffa impregnata di solfitoche, in presenza di acetato di piombo,dava origine a una macchia nerastra disolfuro di piombo.

In tutte le epoche e sotto tutti i re-gimi sono state emanate norme sullaproduzione e il commercio delle so-stanze alimentari.

Frodi alimentari e progresso

scientifico

In epoca moderna, tuttavia, le frodialimentari hanno potuto giovarsi, para-dossalmente, dello stesso progressoscientifico; in effetti la scienza è, inquesto caso, un’arma a doppio taglio:da un lato permette, grazie alle nuovepossibilità di analisi, di scoprire più fa-cilmente le frodi; allo stesso tempo,tuttavia, per le stesse ragioni ne favo-risce la realizzazione.

In qualche caso, e in certi periodi,si è avuta la sensazione che il progres-so scientifico sia servito più a favorirele frodi che a prevenirle.

Vale la pena ricordare, sotto il pro-filo storico, quanto ha scritto J.C.Drummond nel suo libro “The English-man’s food” (1991). Sembra che il pe-riodo in cui le frodi alimentari hanno

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raggiunto una frequenza molto elevatasia stato tra il 1800 e il 1850, periodocaratterizzato, come è noto, da note-voli scoperte scientifiche nei settoridella chimica, della fisica e della medi-cina, nonché da importanti innovazionitecnologiche. In quel periodo spicca ilnome di un chimico di origine tedesca,F. Accum, professore di chimica in unIstituto di Londra, che dedicò granparte della sua vita all’analisi chimicadegli alimenti. Nel 1820 pubblicò un li-bro sulle adulterazioni alimentari e lapresenza di veleni nel cibo che ebbegrande successo. Molte delle adultera-zioni descritte da Accum, quali l’impie-go di allume nella panificazione, l’ag-giunta di solfato di ferro alla birra, dicapsico alla mostarda, erano praticategià da molto tempo, ma la denuncia diAccum ebbe grande r isonanza inquanto era suffragata dai risultati delleanalisi chimiche.

Egl i , inoltre, mise in evidenzamolti aspetti dei trucchi praticati du-rante la produzione e la manipolazio-ne di alimenti e bevande, quali adesempio la falsificazione del vino par-tendo dal sidro e svelando che persi-no il “deposito” caratteristico del “por-to” invecchiato veniva imitato facendodepositare sulla superficie internadelle bottiglie un leggero strato di su-

pertartrato di potassio. La vicenda èmolto interessante anche per i risvoltiche ne seguirono. Accum, infatti,venne perseguitato in tutti i modi daiproduttori e dai commercianti dan-neggiati dalle sue denunzie; a suavolta, però, prestò il fianco ad alcuneaccuse quali la pessima abitudine cheaveva di asportare pagine dai libri checonsultava in biblioteca. La stampa,comunque, cominciò ad interessarsial problema delle frodi alimentari e larivista medica Lancet si fece promo-trice, nel 1851, di un nucleo di poliziascientifica (Scientific Detective Poli-ce) il cui compito era quello di investi-gare e scoprire frodi e adulterazionialimentari.

Oggi la frode sembra essersi spo-stata soprattutto nel settore della pub-blicità, dando luogo alla cosiddetta“pubblicità ingannevole”. Il fenomeno èdovuto in parte alla grande diffusionedei mass media e, anche in questo ca-so paradossalmente, alle accresciutecognizioni del pubblico sui temi dell’ali-mentazione e della nutrizione.

Atteggiamento dei consumatori

Ci si può chiedere, a questo punto,quale sia l’atteggiamento del consuma-

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tore di fronte al problema della sicurez-za alimentare. Senza dubbio, rispetto alpassato, è più informato e anche piùesigente; ha imparato a leggere le eti-chette, scrive o telefona alle varie as-sociazioni dei consumatori quando sitrova ad affrontare qualche problema.Desidera che il prodotto alimentare siapratico, che abbia una durata di utiliz-zazione ragionevolmente lunga, così dapoterlo conservare senza fare la spesaogni giorno; nello stesso tempo, però,pretende che mantenga tutte le carat-teristiche del prodotto naturale, a co-minciare dal gusto. Per rispondere aqueste aspettative l’industria fa del suomeglio (cottura sotto vuoto, mild tech-nologies ecc.) ma deve fronteggiareanche un altro caratteristico atteggia-mento del consumatore: la diffidenzaverso i prodotti nuovi, la cosiddetta“neofobia alimentare”.

È sufficiente riflettere sul tempoche c’è voluto perché gli alimenti sur-gelati entrassero, alcuni decenni or so-no, nella consuetudine delle prepara-zioni culinarie e sull’odierno atteggia-mento nei riguardi dei cibi genetica-mente modificati (OGM). In questo ca-so poi si assiste all’assurdo che l’inge-gneria genetica non è soltanto accet-tata ma auspicata quando si tratta diinterventi e trattamenti terapeutici,

mentre viene rifiutata senza appelloquando è riferita agli alimenti, anchese per apportare miglioramenti quali-quantitativi agli stessi (cibo di Franke-stein!). È il medesimo atteggiamentoche nel ’600 ostacolò l’accettazionedella patata nell’alimentazione umanaperché la si riteneva causa della lebbrae della scrofolosi.

Sicurezza alimentaree qualità della vita

Negli ultimi decenni sono statimolteplici gli scandali che hanno com-promesso la fiducia del consumatore,a partire dal vino addizionato di meta-nolo, al problema dei residui di anti-biotici e di farmaci, alla contaminazio-ne da PCB e diossine, alla presenzadi micotossine, di metalli pesanti edalla questione degli OGM.

La sicurezza alimentare, intesa insenso globale, è perciò alla base dellasicurezza nutrizionale. La nutrizionedovrebbe avere come obiettivo il sod-disfacimento del benessere psico-fisico,non solo dal punto di vista sensoriale,ma come ottimizzazione dello stato disalute con attenzione alla prevenzionedelle malattie metaboliche (obesità,diabete ecc.), di quelle cardio-dege-

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nerative (ipertensione, cardiovasculo-patie), alle sindromi di origine caren-ziale ecc.

L’evoluzione storica della nutrizio-ne si è caratterizzata, in modo più omeno conscio, per varie fasi evolutive(Tabella 3).

Un campo di indagine nuovo è of-ferto dalla disponibilità di nuove tecno-logie derivanti dalla rivoluzione geno-

mica che dovrebbe consentirci di co-noscere meglio le relazioni intercorren-ti fra particolari nutrienti e trascrizionedei geni (Averna et al, 2002), anche se“Ad oggi, nessun intervento farmaco-logico, genetico o ambientale si è di-mostrato efficace nel prolungare la vitamedia degli animali; tuttavia la sempli-ce restrizione calorica aumenta la vitamedia del 30-40% in un certo numero

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Fase naturalistica: guidata dall’istinto e governata da norme religiose/filosofiche che soddisfano, ad un tempo, esigenzeeconomiche ed igieniche.

Fase dell’energia chimica: rappresenta il primo tentativo di approccio scientifico, basato sull’identificazione degli alimenticome fonte di energia chimica.

Fase dei minerali: è forse una delle prime prese di coscienza di situazioni carenziali in certe aree.

Fase vitaminica o biologica: è la scoperta del fabbisogno di composti essenziali con l’attribuzione di un ruolodeterminante nei processi biologici.

Fase degli standard alimentari: è una razionalizzazione dei suggerimenti per ridurre i problemi dovuti a squilibri alimentarie per migliorare la qualità della vita.

Fase degli aminoacidi: è la presa di coscienza dell’essenzialità della qualità delle proteine.

Fase degli additivi (probiotici, prebiotici, conservanti, antiossidanti ecc.): la diffusione del loro utilizzo coincide con la presadi coscienza della funzione profilattico-salutistica del cibo; così in molti casi il farmaco è diventato alimento.

Fase degli alimenti funzionali (nutraceutici): implica il ritorno in veste scientifica all’uso degli alimenti, oltre che per il loroapporto plastico, energetico, dietetico e di mezzo di informazione biologica, anche per le loro azioni benefiche su una o piùfunzioni dell’organismo (EUFOSE – Diplok et al. 1999).*Fase delle biotecnologie: offre prospettive affascinanti per le possibili evoluzioni cognitive, relative alla qualità e allasicurezza alimentare, ma che, secondo alcuni, pone interrogativi inquietanti.

*“Un alimento può essere considerato funzionale se viene soddisfacentemente dimostrato che può implicareun senso benefico e mirato su una o più funzioni dell’organismo, al di là di adeguati effetti nutritivi, in modotale che risultino evidenti un miglioramento dello stato di salute e di benessere e/o una riduzione del rischio dimalattia. Un alimento funzionale deve restare alimento e deve mostrare i suoi effetti nelle quantità che ci sipuò aspettare vengano normalmente consumate con la dieta. Non è quindi né una pillola, né una capsula, maparte del normale regime alimentare“.

Evoluzione storica della nutrizione

Tabella 3

di organismi, compresi lieviti, Dro-sophila, Caenorhabditis elegans, ro-ditori e scimmie” (Averna et al. 2002).

Si aggiunga che l’OMS, nel suorapporto del giugno 2002 “NationalCancer Control Programme: policiesand managerial guidelines”, evidenziacome fattori alimentari si possano as-sociare al 30% dei casi di tumore neipaesi avanzati e al 20% nei paesi invia di sviluppo.

Molto quindi dobbiamo ancora co-noscere sui rapporti fra nutrizione estato di salute.

Oggi il concetto di sicurezza ali-mentare viene recepito nei programmidi Sanità Pubblica degli Organismi na-zionali e internazionali preposti alla ma-teria; un importante passo avanti èstato compiuto considerando in sensocomplessivo la sicurezza alimentare nelsuo duplice aspetto nutrizionale e igie-nico. In Italia il D.M. 16 Ottobre 1998ha istituito, nell’ambito del Dipartimen-to di Prevenzione delle Aziende Sani-tarie Locali, il Servizio di Igiene degliAlimenti e della Nutrizione (SIAN) che,come lascia intendere la denominazio-ne, unisce nella stessa ottica l’areafunzionale di Igiene degli alimenti edelle bevande e l’area funzionale diIgiene della nutrizione.

A livello europeo il “Libro bianco

della sicurezza alimentare”, pubblicatonel Gennaio 2000, stabilisce che que-sta deve basarsi su un approccio com-pleto e integrato e deve considerarel’intero sistema alimentare in modocoerente, efficace e dinamico.

A sua volta il “Rapporto sul lavorodella Commissione europea nel settoredella nutrizione in Europa”, pubblicatonell’ottobre 2002, ribadisce che lapreoccupazione per la sicurezza in ali-mentazione e quella per la nutrizionenon possono essere disgiunte. Quan-do, infatti, gli apporti alimentari sonominacciati da contaminazioni a rischio,quali ad esempio la BSE, legata alconsumo di prodotti carnei, ovvero datossinfezioni per la presenza di salmo-nella nei prodotti a base di uova, i con-sumatori possono rispondere modifi-cando i loro modelli alimentari con il ri-sultato di cambiamenti nei profili nutri-zionali delle loro diete.

Si tratta, come è facilmente intui-bile, di un nuovo approccio al proble-ma della sicurezza in alimentazione,basato su cognizioni attuali e logiche,che impegnano tutti i protagonisticoinvolti nel sistema, e cioè i Governi,l’industria, il commercio e i consuma-tori secondo uno schema che già nel1990 l’Organizzazione Mondiale dellaSanità aveva presentato ricorrendo

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all’immagine caratteristica del frontonedi un tempio (Figura 5).

In conclusione si può dire che lenumerose ricerche scientifiche effettua-te negli ultimi decenni nel settore dellasicurezza in alimentazione ed in aree vi-cine (scienze agrarie, biologiche, am-bientali, chimiche, tossicologiche ecc.)abbiano permesso di ricavare una con-siderevole mole di informazioni che evi-denziano sempre più la necessità diconsiderare la dieta come un tutto uni-tario per quanto riguarda i suoi compo-nenti. Inoltre si cominciano a intravede-re nuovi parametri utili per definire me-glio il concetto di “dieta salubre”.

Per “dieta salubre” si può intendereuna dieta nella quale le sostanze poten-zialmente tossiche sono assenti o a livellitollerabili e nella quale tutte le sostanzenutritive si trovino in rapporti equilibrati ein quantità idonea ad assicurare i fabbi-sogni nutrizionali, tenuto conto delle inte-razioni tra le varie sostanze all’internodella dieta e dell’organismo umano.

Si tratta di un concetto che ha lasua base nelle analisi delle “diete totali”che consente di trarre indicazioni diffi-cilmente ottenibili attraverso altre vie.Con questo sistema di indagine (damolti anni operativo negli USA) è possi-bile misurare con soddisfacente ap-

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ALIMENTIPIU’ SICURI PER TUTTI

RIPARTIZIONE DELLE RESPONSABILITA'

IMPEGNO NAZIONALE PER LA SICUREZZA DEI PRODOTTI ALIMENTARI

RUOLO DIRIGENTE DELL’OMS PER UN CONSENSUS INTERNAZIONALESUI PROBLEMI, LE POLITICHE E LE AZIONI

IN MATERIA DI SICUREZZA DEI PRODOTTI ALIMENTARI

Normative suiprodotti alimentari

Raccolta didati ricerca

Consigli perl’industria

il commercioil pubblico

Messa in attodei servizi di

igiene e sanitàcorrelati

GOVERNO INDUSTRIAE COMMERCIO

CONSUMATORE

Buona praticadei produttori

e dei distributori

Assicurazionedella qualità econtrollo deglialimenti trattati

Processi etecnologieappropriati

Amministratorie manipolatoridegli alimenti

qualificati

Consumatoriinformati e

avvisati

Sicurezzadelle pratiche

alimentaridomestiche

Partecipazionecomunitaria

Gruppi attivi diconsumatori

Approccio al problema della SicurezzaAlimentaresecondol’OrganizzazioneMondiale della Sanità -WMO 90212(1990)

Figura 5

prossimazione le ingestioni con la dietadi determinate sostanze da parte digruppi selezionati di popolazione, alloscopo di individuare i gruppi a rischio edi seguire i trends temporali.

La sicurezza alimentare come ciascu-no di noi la vorrebbe, quale fattore di be-nessere, di qualità e di lunga vita non èancora completamente raggiunta. L’ap-proccio sistemico che viene oggi sviluppa-to rappresenta una via molto promettente.

La sicurezza alimentare è oggi unadisciplina interspecialistica che si ricollegaalla microbiologia, alla virologia, all’immu-nologia, all’allergologia, alla chimica tossi-cologica, alla farmacologia, ma non puòprescindere dalle scienze agronomiche edalla climatologia.

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Libera circolazionedegli alimenti

La libera circolazione degli alimen-ti, in tutta Europa e nel mondo, pre-suppone che questi siano sicuri e sani,perché contribuiscono in modo signifi-cativo sia alla salute che al benesseredei cittadini e, di conseguenza, ai lorointeressi sociali ed economici.

Nell’Unione Europea, oggi com-posta da 25 paesi, la libera circolazio-ne degli alimenti e dei mangimi puòessere realizzata soltanto se i requisitidi sicurezza non presentano differenzesignificative da uno Stato membroall’altro.

Oggi, purtroppo, esistono notevolidifformità in relazione ai concetti, aiprincipi e alle procedure tra legislazionidegli Stati membri, in materia di sicu-rezza degli alimenti. Occorre, pertanto,procedere al ravvicinamento di taliconcetti, principi e procedure, in mododa costituire una base comune per le

disposizioni adottate in questa materia.In questo contesto, devono essere

inclusi requisiti relativi ai mangimi, fracui quelli legati strettamente alla loroproduzione e al loro utilizzo, quandoquesti siano riservati agli animali desti-nati alla produzione alimentare.

A questo proposito, l’U.E. ha scel-to di perseguire un elevato livello di tu-tela della salute nell’elaborazione dellalegislazione alimentare, che essa ap-plica in modo non discriminatorio, aprescindere dal fatto che gli alimenti oi mangimi siano in commercio sul mer-cato interno o su quello internazionale.

Esamineremo tutta la legislazioneinnovativa propria dell’Unione Europeaper salvaguardare la salute dei cittadinieuropei e ne trarremo le conseguenzeoperative, valutando dettagliatamente ivari punti critici.

Quando la legislazione alimentaretende a ridurre, eliminare o evitare unrischio per la salute, le tre componentiinterconnesse dell’analisi del rischio,

31

CC oncetto di sicurezzaalimentare ed elementidi legislazione

G. Calabrese

Authority Europea Sicurezza Alimentare (E.F.S.A.)Istituto Nazionale Ricerca degli Alimenti e della Nutrizione (I.N.R.A.N.)

cioè la valutazione, la gestione e lacomunicazione del rischio, fornisconouna metodologia sistematica per defi-nire provvedimenti oppure altri inter-venti a tutela della salute, che sianoefficaci, proporzionali e mirati.

L’Authority europeadella sicurezzaalimentare(european food safetyauthority o e.f.s.a.)

L’istituzione di un’Authority Europeaper la Sicurezza Alimentare (EuropeanFood Safety Authority o E.F.S.A.) è av-venuta il 28 gennaio 2002, grazie allapubblicazione del regolamento CE n.178/2002 del parlamento europeo edel consiglio europeo. La sua funzioneè quella di rafforzare l’attuale sistema diassistenza tecnico-scientifica, che nonè più in grado di soddisfare le crescentiesigenze di sicurezza.

L’E.F.S.A. funge da punto di riferi-mento scientifico indipendente nella va-lutazione del rischio e contribuisce agarantire, in tal modo, il regolare funzio-namento del mercato interno.

Questa Authority è assolutamenteautonoma, proprio per garantire e infor-mare sia i consumatori sia i produttori,

accrescendo, così, il senso di fiduciareciproca.

Visto che alcuni prodotti autorizzatidalla legislazione alimentare, quali i pe-sticidi o gli additivi per i mangimi, pos-sono comportare rischi per l’ambiente oper la sicurezza dei lavoratori, l’E.F.S.A.deve valutare anche alcuni aspetti legatiall’ambiente e alla protezione dei lavo-ratori, in conformità alla legislazionepertinente.

Per garantire ai cittadini l’assolutacertezza della neutralità dei membridell’E.F.S.A., è stato necessario nomi-nare esperti indipendenti, scelti tra unavasta gamma di categorie professionalie non, suddivisi per nazionalità.

Definizione di “alimento”

Si intende per alimento o prodottoalimentare, qualsiasi sostanza o prodot-to trasformato, destinato a essere inge-rito o di cui si prevede, ragionevolmente,che possa essere ingerito da esseriumani.

Sono comprese le bevande, legomme da masticare e qualsiasi so-stanza, compresa l’acqua, intenzional-mente incorporata negli alimenti, nelcorso della loro produzione, preparazio-ne o trattamento.

Concetto d i s icurezza al imentare ed elementi d i legislaz ione

32

Non sono compresi:a) i mangimi;

b) gli animali vivi, a meno che sianopreparati per l’immissione sul mer-cato, ai fini del consumo umano;

c) i vegetali prima della raccolta;

d) i medicinali ai sensi delle direttivede l cons ig l io 65/65/CEE e92/73/CEE;

e) i cosmetici ai sensi della direttiva76/768/CEE del consiglio;

f) il tabacco e i prodotti del tabacco,ai sensi della direttiva 89/622/CEEdel consiglio;

g) le sostanze stupefacenti o psico-trope, ai sensi della convenzioneunica delle Nazioni Unite sugli stu-pefacenti del 1961 e della con-venzione delle Nazioni Unite sullesostanze psicotrope del 1971;

h) i residui e i contaminanti.

Analisi del rischio

Ai fini del conseguimento di un ele-vato livello di tutela della vita e della sa-lute umana, la legislazione alimentare sibasa sull’analisi del rischio, tranne quan-do ciò non sia confacente alle circostan-ze o alla natura del provvedimento.

La valutazione del rischio si basasugli elementi scientifici a disposizioneed è svolta in modo indipendente,obiettivo e trasparente.

La gestione del rischio tiene contodei risultati della valutazione del rischioe, in particolare, dei pareri delle auto-rità preposte, nonché di altri aspetticome il principio di precauzione, laddo-ve sussistano le condizioni ideali perraggiungere gli obiettivi generali in ma-teria di legislazione alimentare.

Per quanto riguarda il principio diprecauzione, è bene ricordare che, aseguito di una valutazione delle infor-mazioni disponibili, in circostanze spe-cifiche venga individuata la possibilitàdi effetti dannosi per la salute ma per-manga una situazione di incertezza sulpiano scientif ico, possono essereadottate le misure provvisorie di ge-stione del rischio, necessarie per ga-rantire il livello elevato di tutela dellasalute che la comunità europea perse-gue, in attesa di ulteriori informazioniscientifiche per una valutazione piùesauriente del rischio.

La legislazione alimentare si prefig-ge di tutelare gli interessi dei consuma-tori e di costituire una base per consen-tire loro di compiere scelte consapevoliin relazione agli alimenti di cui usufrui-scono.

G. Calabrese

33

Essa tende a prevenire:a) le pratiche fraudolente o ingannevoli;

b) l’adulterazione degli alimenti;

c) ogni altra situazione in grado di in-durre in errore il consumatore.

Requisiti di sicurezzadegli alimenti

In riferimento ai principi della tutela,sono stati definiti precisi requisiti di si-curezza degli alimenti.1) Gli alimenti a rischio non possono

essere immessi sul mercato.

2) Gli alimenti sono considerati a ri-schio nei seguenti casi:a) se sono dannosi per la salute;b) se non sono adatti al consumoumano.

3) Per determinare se un alimento siaa rischio, occorre prendere in con-siderazione quanto segue:a) le normali condizioni d’uso dell’ali-mento da parte del consumatore inciascuna fase della produzione, dellatrasformazione e della distribuzione;b) le informazioni messe a disposi-zione del consumatore, compresele informazioni riportate sull’etichet-ta o altre informazioni generalmenteaccessibili al consumatore sul modo

di evitare specifici effetti nocivi perla salute provocati da un alimento ocategoria di alimenti.

4) Per determinare se un alimento siadannoso per la salute, occorre pren-dere in considerazione quanto segue:a) non soltanto i probabili effetti im-mediati, a breve termine, a lungotermine dell’alimento sulla salute diuna persona, ma anche su quelladei suoi discendenti;b) i probabili effetti tossici di un ali-mento;c) la particolare sensibilità, sotto ilprofilo della salute, di una specificacategoria di consumatori, nel caso incui l’alimento sia destinato ad essa.

5) Per determinare se un alimento siainadatto al consumo umano, occor-re prendere in considerazione sel’alimento sia inaccettabile, secon-do l’uso previsto, a causa di conta-minazione dovuta a materiale estra-neo o ad altri motivi, o in seguito aputrefazione, deterioramento o de-composizione.

6) Se un alimento a rischio fa parte diuna partita o lotto, si presume che tut-ti gli alimenti contenuti in quella partitao lotto siano a rischio a meno che, aseguito di valutazione approfondita, ri-sulti infondato ritenere che il resto del-

Concetto d i s icurezza al imentare ed elementi d i legislaz ione

34

la partita o lotto sia a rischio.

7) Se un alimento a rischio fa parte diuna partita, lotto o consegna di ali-menti della stessa classe o descri-zione, si presume che tutti gli ali-menti contenuti, siano a rischio, ameno che, a seguito di una valuta-zione approfondita, risulti infondatoritenere che il resto della partita,lotto o consegna, sia a rischio.

8) Gli alimenti conformi a specifichedisposizioni comunitarie riguardantila sicurezza alimentare sono consi-derati sicuri in relazione agli aspettidisciplinati dalle stesse disposizioni.

9) Se l’alimento è a rischio o se ci so-no sospetti, anche se è conformealle specifiche disposizioni della le-gislazione alimentare, deve esseresottoposto alle autorità competentiper imporre delle restrizioni sul mer-cato oppure per disporne il ritiro.

Rintracciabilitàdegli alimenti

Sono tante le critiche nei confrontidei prodotti di origine biotecnologica, siaper quanto riguarda l’aspetto nutriziona-le sia per quello di natura tossicologica.

Per approfondire queste problema-

tiche l’E.F.S.A. ha costituito un “panel”di grandi esperti mondiali per conosce-re non solo la tecnologia usata per mo-dificare geneticamente l’organismo ve-getale, ma anche gli effetti da essacausati.

Si ipotizzano alcune variazioni di or-dine nutritivo che riguardano:a) l’alterazione di nutrienti “maggiori”;

b) le alterazioni della biodisponibilità;

c) le modifiche quantitative a caricodei nutrienti.

Ma le maggiori preoccupazioni ri-guardano la possibile assimilazione dimateriale genetico manipolato tecnolo-gicamente.

Ci sono molte paure che scientifica-mente sembrano assolutamente non ve-rificate, in quanto, prive di fondamento.

È bene, quindi, fare un raffronto frale due posizioni.

A) Chi ha paura degli O.G.M:• teme che ci possa essere unapossibile dispersione nell’ambientedei microrganismi utilizzati nelle bio-tecnologie;• teme la possibi le diffusionenell’ambiente dei nuovi “caratteritransgenici” ad altri organismi, conpossibile ricaduta sugli equilibri am-bientali;

G. Calabrese

35

• sostiene che gli alimenti ottenutida piante o animali transgenici po-trebbero costituire un rischio per ilconsumatore;• ribadisce la temuta trasmissionedi geni della resistenza ad alcuni tipidi categorie di antibiotici.

B) Chi non ha paura degli O.G.M. di-chiara che la fuga di microrganismiingegnerizzati non può avvenire acausa di diverse strategie:• si usano sistemi di controllo cheassicurano la gestione della “mani-polazione;• vengono utilizzati ceppi battericideboli, incapaci di sopravvivere

nell’intestino, una volta ingeriti;• si ricorre a “ geni suicidi” che ren-dono i microrganismi dipendenti dal“medium” di coltura: se dispersinell’ambiente non potrebbero so-pravvivere;• ci si avvale di mezzi diagnostici checontrollano la diffusione dei microrga-nismi nell’ambiente e sono in grado diarrestare subito l’eventuale “fuga”.

Il dibattito rimane aperto, ma lascienza va avanti e sicuramente si tro-verà un punto di mediazione che mettad’accordo le due parti, con la validazio-ne scientifica fornita dai dati di unaprofonda e seria ricerca.

Riferimenti bibliografici

Capuano A, Dugo G, Restani P: Tossicologia deglialimenti. Ed. Utet, 1999.

Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee del28\01\2002.

Regolamento (CE) n.178\2002 del Parlamento Eu-ropeo e del Consiglio.

Concetto d i s icurezza al imentare ed elementi d i legislaz ione

36

Introduzione

Per rischio si intende la probabilitàche un pericolo si realizzi e/o si manife-sti e porti all’insorgenza dell’evento in-desiderato (malattia).

Nessuna attività umana, compresimangiare e bere, è priva di rischi; diconseguenza, anche nel campo della si-curezza alimentare, sarebbe illusorio mi-rare al raggiungimento di una condizionetotalmente scevra da rischio: il concettodi “rischio zero” va pertanto abbando-nato, mentre va introdotto quello di “ri-schio accettabile”. Questo significa cheè necessario stabilire, per ogni contami-

nante, dei livelli critici di accettabilità en-tro i quali lo stato di salute del consuma-tore non venga compromesso.

Fondamentale per garantire la sicu-rezza alimentare è perciò l’analisi del ri-schio, consistente nell’esame sistemati-co di tutta la filiera produttiva di un ali-mento, dalle materie prime ai processidi lavorazione, conservazione e distribu-zione, per determinarne i rischi e defi-nirne le necessarie misure preventive.

Una corretta analisi del rischio ri-chiede:1) l’identificazione di un pericolo per la

salute umana (natura della contami-nazione o del difetto riscontrato);

37

CC oncetto di rischio inalimentazione

C. Roggi

C. Gallo Stampino

Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e PsicocomportamentaliSezione di Scienza dell’Alimentazione. Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Pavia

Valutazionedel rischio

Comunicazionedel rischio

Gestione del rischio

Analisi del rischio

Figura 1

Componenti dell’analisidel rischio

Concetto d i r ischio in al imentaz ione

38

Tabella 1

Classificazione dei pericoli (Pearson AM e Dutson TR 1996)

Biologici Chimici Fisici

Sostanze estraneeVeleniMicrorganismi e loro tossine

Batteri: forme vegetativee sporigineMuffeLievitiVirusParassiti

PesciMolluschi

Veleni vegetaliAdditivi volontariSostanze chimiche originatenei processiConcimiPesticidiResidui di antibiotici Additivi non intenzionaliSofisticazioniCessioni dagli imballaggiConfezioni non integreContaminanti industrialiMetalli pesantiIsotopi radioattivi

AllergizzantiIntolleranze alimentariDisordini metaboliciReazioni farmacologicheIdiosincrasieReazioni anafilattiche

Eccessivo addizionamento di nutrientiCarenze nutrizionali o errataformulazione del prodottoFattori antinutrizionaliDistruzione o perdita di nutrientidurante il processo e lo stoccaggioEtichettatura nutrizionale nonaccurata

Nutrizione

VetroLegnoSassi, terriccioMetalloMateriale di confezionamentoOssa, lischeMateriale di costruzioneInsettiResidui di animaliEffetti personali

2) la valutazione della gravità delle con-seguenze del pericolo identificato;

3) la valutazione della probabilità dicomparsa del pericolo (rischio);

4) la gestione del pericolo identificatoattraverso opportuni interventi pre-ventivi e correttivi;

5) la comunicazione del pericolo.

Animali marini come fontedi composti tossici

Sostanze in grado diprovocare reazioni

Per pericolo si intende qualsiasi“proprietà” dell’alimento che lo rendainsicuro per il consumo umano costi-tuendo un rischio inaccettabile per lasalute del consumatore.

In campo alimentare esistono treclassi di pericoli: biologici, chimici e fisici(Tabella1).

Tra questi, contrariamente a quan-to percepito dall’opinione pubblica,molto impressionata e allarmata daeventuali inquinamenti chimici, sono ipericoli biologici a costituire il maggiorproblema per la salute del consumatore,costituendo negli USA il 93% dellecause di malattie derivate da alimenti,contro il 4% di casi dovuti a pericolichimici.

Pericoli biologici

I pericoli di natura biologica com-prendono batteri, virus e protozoi.

Mentre i pericoli macrobiologici(mosche e insetti) per quanto sgrade-voli non rappresentano, in genere, unrischio per la sicurezza alimentare (senon quello indiretto di agire da vettori), ipericoli microbiologici, principalmente imicrorganismi patogeni, sono spessocausa di malattie derivate da alimenti,come dimostra il trend in evidente cre-

scita delle cosiddette tossinfezioni ali-mentari, con incidenze, solo ad esem-pio per quanto riguarda la situazioneamericana, che variano da 12,6 a 81milioni di casi l’anno e costi stimati tra1,9 e 8,4 miliardi di dollari.

L’OMS stima che nelle aree a più al-to tenore economico almeno il 10% dellapopolazione sia annualmente interessatada patologie connesse al consumo di ali-menti: in Italia sono stati rilevati 300.000casi l’anno, ma si tratta sicuramente didati sottostimati, non essendo l’attualerete di sorveglianza epidemiologica capa-ce di assicurare la notifica di tutti glieventi. A questi elevati numeri inoltre cor-rispondono alti costi, non soltanto in ter-mini economici per l’azienda responsabilee per tutta la società, sottoforma di perdi-ta di giornate lavorative, di mercato, dispese mediche legali e assicurative, maanche, in modo non quantificabile, inquanto a sofferenza umana.

Tutto questo rende ulteriormentenecessario attuare misure preventiveefficaci nel garantire l’igienicità di ciòche viene posto sul mercato.

Le malattie infettive di origine mi-crobiologica trasmesse con gli alimentisono classificate come infezioni, tos-sinfezioni e intossicazioni.

Le infezioni sono determinate dall’in-gestione e dalla successiva replicazione

C. Roggi , C. Gallo Stampino

39

nell’organismo ospite del microrganismopatogeno stesso, generalmente conbassi valori di dose infettante, periodi diincubazione relativamente lunghi e coninteressamento di tipo gastrointestinalee/o sistemico; qualora alla proliferazionedel patogeno nell’organismo faccia an-che seguito la liberazione di tossine siparla di tossinfezione. Le intossicazioni,invece, sono provocate dall’ingestione ditossine prodotte da microrganismi in fa-se attiva di proliferazione negli alimenti.Essendo l’agente causale preformato, lemalattie conseguenti hanno come carat-teristica periodi di incubazione brevi e so-

no solitamente associate dal punto di vi-sta epidemiologico a determinati tipi diprodotti alimentari. Possono essere ter-mostabili e quindi resistenti ai normaliprocessi di riscaldamento come nel casodella tossina da Staphylococcus au-reus o termolabili, quindi inattivabili con ilcalore, come nel caso della tossina daClostridium botulinum.

Nella tabella 2 i pericoli biologicivengono classificati in funzione dellaseverità del rischio.

I patogeni riportati nel primo grupporappresentano un serio pericolo per lasalute del consumatore; quelli del se-

Concetto d i r ischio in al imentaz ione

40

1. Gravi

Clostridium botulinum tipo A, B, E e FShigella dysenteriaeSalmonella typhi, paratyphi A, BVirus Epatite A e EBrucella abortis, suisVibrio cholerae 01Vibrio vulnificusTaenia soliumTrichinella spiralis

2. Moderati:potenziali gravi complicanze

Listeria monocytogenesSalmonella sppShigella sppEscherichia coli enterovirulentoStreptococcus pyogenesRotavirusNorwalk virus Entamoeba histoliyticaDiphyllobothrium latumAscaris lumbricoidesCryptosporidium parvum

Tabella 2

Classificazionedei principali pericolibiologici(Pearson AM e DutsonTR 1996)

3. Lievi: complicanze limitate

Bacillus cereusCampylobacter jejuniClostridium perfringensStaphylococcus aureusVibrio cholerae, non-01Vibrio parahaemolyticusYersinia enterocoliticaGiardia lambliaTaenia saginata

condo gruppo sono considerati rischimoderati, sebbene in alcune circostan-ze, nei gruppi di popolazione più suscet-tibili, possano comportare complicanzeanche molto gravi. Infine i patogeni delterzo gruppo sono quelli responsabili deicomuni casi di malattia di origine ali-mentare, che in genere non comportanofrequenti e preoccupanti conseguenze.

Esistono concrete possibilità di unaimmissione sul mercato di materie pri-me, specialmente se di origine animale,con un certo grado di contaminazionebiologica. Diversi sono, infatti, i patoge-ni che possono colonizzare l’intestinodegli animali da allevamento e contami-nare, in fase di macellazione, non solole carcasse, ma anche il terreno, le ac-que superficiali e conseguentemente ivegetali coltivati e/o irrigati.

L’insorgenza delle malattie infettivedi origine alimentare va quindi riferitaprincipalmente a due fattori: la contami-nazione e la colonizzazione.

Il prodotto può essere contamina-to all’origine oppure può subire unacontaminazione secondaria durante lefasi di processo. Se a questo subentrauna cattiva conservazione si creano lecondizioni ottimali per la proliferazione(Tabella 3).

Il mancato controllo di questi fattoriporta così, anche nei paesi a più altotenore economico, a un alto tasso di in-cidenza di patologie di tipo gastro-inte-stinale.

Per il controllo dei pericoli biologiciè perciò necessario:1) eliminare o ridurre i pericoli, per

esempio tramite trattamenti termici,irradiazione, o liofilizzazione;

2) prevenire la ricontaminazione;

3) inibire la crescita e/o la produzionedi tossine, ad esempio controllandole caratteristiche intrinseche dei pro-dotti alimentari, le modalità di con-servazione e di confezionamento.

C. Roggi , C. Gallo Stampino

41

Fattore 1°: contaminazione % casi

- prodotto contaminato all’origine e inadeguatamente trattato con il calore 47

- ricontaminazione da sorgente umana 32

- ricontaminazione ambientale 15

Fattore 2°: colonizzazione % casi

- raffreddamento lento dopo trattamento termico 48

- conservazione prolungata 34

- refrigerazione inadeguata 19

Tabella 3

Principali meccanismiin gioco nella diffusionedelle malattie infettivedi origine alimentare(dati ottenuti da indaginiepidemiologiche)(Bryan 1988)

Nella tabella 4 sono riportati, per leprincipali categorie di prodotti alimentari,i più importanti patogeni distinti nelleforme infettive (cellule vegetative con-trollabili con i comuni processi di stabiliz-zazione, quali la pastorizzazione) e nelleforme produttrici di tossine e/o sporeche, non completamente eliminabili,

possono solo essere ridotte a un livellonon pericoloso.

Pericoli chimici

La contaminazione chimica dei pro-dotti alimentari può verificarsi in qualsiasi

Concetto d i r ischio in al imentaz ione

42

Tabella 4

Potenziali patogeni negli alimenti (Snyder 1992)

Forme vegetative Tossine e/o spore

Carni, pollame e uova Salmonella spp L. monocytogenes S. aureus (tossina)Campylobacter jejuni Virus Epatite A C. perfringensE. coli Trichinella spiralis C. botulinumY. enterocolitica B. cereus

Pesci Salmonella spp Virus Epatite A S. aureus (tossina)Vibrio spp C. botulinumY. enterocolitica Metaboliti tossici

Molluschi Salmonella spp Virus Epatite A S. aureus (tossina)Vibrio spp Norwalk virus C. botulinumY. enterocolitica Metaboliti tossici Shigella

Vegetali Salmonella spp Virus Epatite A S. aureus (tossina)L. monocytogenes Norwalk virus C. botulinumShigella spp Giardia lamblia B. cereus

Cereali, legumi e frutta secca Salmonella spp Virus Epatite A S. aureus (tossina)Aflatossine (muffe) Norwalk virus C. botulinum

B. cereus

Spezie Salmonella spp S. aureus (tossina)C. botulinumC. perfringensB. cereus

Latte e derivati Salmonella spp Campylobacter jejuni S. aureus (tossina)Y. enterocolitica Shigella spp C. perfringensL. monocytogenes Virus Epatite A B. cereusE. coli Norwalk virus

PatogeniAlimenti

C. Roggi , C. Gallo Stampino

43

Naturalmente presenti Derivati dal processo produttivo

Micotossine Prodotti chimici usati in produzione primaria:Sgombrotossina (istamina) pesticidi, fungicidi, fertilizzanti, insetticidi,Ciguatossina antibiotici e ormoni della crescitaTossine dei funghiTossine dei pesci Elementi tossici e loro composti:PSP, DSP, NSP, ASP piombo, zinco, arsenico, mercurio e cianuroPyrrolizidine alcaloidiFitoemagglutinina Additivi alimentari:Policlorinati bifenili (PCBs) conservanti, aromatizzanti, coloranti, integratori

Prodotti derivati dallo stabilimento alimentare

Lubrificanti, detergenti/disinfettanti,cessioni da imballaggi

Tabella 5

I principali pericolichimici(Rhodehamel EJ 1992)

I. Controllo al ricevimentoSpecifiche per le materie primeCertificati di garanzia dei fornitoriControlli casuali

II. Controllo prima dell’usoVerificare la reale necessità dell’uso di un prodotto chimicoAssicurarsi della corretta purezza, formulazione ed etichettaturaControllare le quantità aggiunte

III. Controllo durante lo stoccaggio e l’utilizzoPrevenire le condizioni che favoriscano la produzione delle sostanze tossiche naturali

IV. Inventario di tutti i prodotti chimici usati in stabilimentoVerifica dell’usoDocumentazione dell’uso

Tabella 6

Misure preventiveper il controllodei pericoli chimici(Rhodehamel EJ 1992)

fase del processo produttivo, dalla pro-duzione delle materie prime fino al mo-mento del consumo del prodotto finito.

Gli effetti sulla salute umana posso-no essere a lungo termine (cronici), co-me per i composti cancerogeni e alcunimetalli (per esempio piombo, cadmio emercurio) che si depositano e si accu-mulano per anni nei tessuti corporei,oppure a breve termine (acuti), per in-

gestione di dosi elevate. I pericolichimici connessi alla filiera alimentarevengono distinti in due classi principali(Tabella 5):1) naturalmente presenti;

2) derivati dal processo produttivo.

Per il controllo dei pericoli chimici sipossono adottare misure preventive illu-strate nella tabella 6.

Pericoli fisici

Per pericolo fisico si intende la pre-senza nel prodotto alimentare di corpiestranei che possono causare danni omalattia; sono inclusi in questa classeanche capelli, sporco, polvere, grasso,carta (Tabella 7).

La presenza di corpi estranei rappre-senta un pericolo per due motivi:• possono essere causa di lesioni all’ap-parato digerente e di soffocamenti (que-sto soprattutto nel caso di prodotti desti-nati all’infanzia); • possono essere veicoli di microrganismipatogeni.

Bisogna tenere presente che lacontaminazione fisica di un prodottoalimentare può verificarsi in qualsiasimomento del processo produttivo, an-che dopo i trattamenti tesi al controllodei pericoli microbiologici. Quindi la ca-duta accidentale di un corpo estraneopuò avere una duplice ripercussione intermini di rischi fisici e biologici. Per taliragioni è importante che le buone pra-tiche di produzione assicurino il control-lo dei pericoli fisici e siano previsti stru-menti, tipo “metal detector” e raggi x,in grado di rilevare materiali estraneiquali metalli ferrosi e non, frammenti diossa.

Concetto d i r ischio in al imentaz ione

44

Tabella 7

Principali materiali di interesse per il rischio fisico e loro sorgenti (Rhodehamel EJ 1992)

Materiali Danni potenziali Fonte

Vetro Ferite, emorragie, interventi chirurgici Bottiglie, vasi, lampade, utensili, per la rimozione strumenti di misura

Legno Ferite, infezioni, soffocamenti, Campi, pagliericci, scatole, edificiinterventi chirurgici per la rimozione

Pietre Soffocamenti, danni ai denti Campi, edifici

Metalli Tagli, infezioni, interventi chirurgici Macchinari, campi, fili degli impianti per la rimozione elettrici, dipendenti

Insetti o loro parti Malattie, traumi, soffocamenti Campi, contaminazioni post-processo

Ossa Soffocamenti, traumi Campi, errori di produzione

Plastica Soffocamenti, ferite, infezioni, Campi, impianto di confezionamento, interventi chirurgici per la rimozione pagliericci, dipendenti

Effetti personali Soffocamenti, ferite, danni ai denti, Dipendentiinterventi chirurgici per la rimozione

Analisi del rischio

L’analisi del rischio, tema fonda-mentale della nuova filosofia della sicu-rezza alimentare, è costituita, come ab-biamo illustrato precedentemente, datre componenti:1) valutazione del rischio;

2) gestione del rischio;

3) comunicazione del rischio.

La “valutazione del rischio” ne costi-tuisce la prima tappa e consiste in unastima scientifica degli effetti di danno opotenzialmente di danno per la salute de-rivante dall’esposizione umana a pericolidi origine alimentare.

Costituisce l’elemento chiave per ar-rivare alla “gestione del rischio” in quan-

to, consentendone la tipizzazione e laquantificazione, permette di predisporreinterventi, linee guida, raccomandazioniche lo riducano ai livelli più bassi possibilio comunque che lo contengano entrovalori di accettabilità. In questo consisteappunto la seconda componentedell’analisi del rischio, un processo voltoa stabilire le regole per ridurre un rischiovalutato, a selezionare e porre in atto lestrategie necessarie per il suo controllo(nella tabella 8 sono riportati esempi ge-nerali e molto pratici di misure preventiveper il controllo dei rischi biologici). Fon-damentalmente l’obiettivo è di rendereminima, attraverso il processo di sicurez-za, la probabilità di esposizione al rischio.

Infine, la “comunicazione del ri-schio” consiste nel processo interattivo

C. Roggi , C. Gallo Stampino

45

Tabella 8

Esempi pratici del controllo del rischio biologico

Tossine preformate stabili al calore Materie primeEs. tossina Staphylococcus aures • Caratteristiche dell’agente etiologico e/o della tossina

tossina emetica Bacillus cereus • Dimostrazione del controllo durante la fornitura• Certificato d’analisiPersonale• Lavaggio mani• Copertura di eventuali tagli/ferite• Uso mascherine copribocca/coprinaso• Libretto sanitarioComportamenti durante la lavorazione• Controllo dei parametri tempo e temperatura per inibire la crescita

del microrganismo

Segue a pagina successiva

Misure di prevenzioneRischio

Concetto d i r ischio in al imentaz ione

46

Segue da pagina precedente

Patogeni in forma vegetativa Materie primeEs. Salmonella • Trattamento con calore

Listeria monocytogenes • Verifica della possibilità di sopravvivenza/crescita dei microrganismi Vibrio parahaemolyticus patogeni Yersinia enterocolitica… • Prova di controllo durante il processo di fornitura

• Certificato di analisi• Controllo della temperatura• Controllo dei fattori intrinseci come pH, sale, zucchero, acidi organici…• Procedimenti come irradiazione, sterilizzazione…Contaminazione crociata • Imballaggio intatto• Flusso logico del procedimento, comprendente:

- Separazione del personale, delle attrezzature, delle aree- Percorsi “sporchi” e sistemazione delle aree

Forme sporigene Materie primeEs. Clostridium perfringens • Caratteristiche delle derrate

Bacillus subtilis • Dimostrazione del controllo durante la fornituraBacillus licheniformis • Certificato di analisiBacillus cereus • Trattamento con calore

• Trattamento con calore associato ad acidità e concentrazionedi zucchero

• Integrità dell’imballaggio, clorazione dell’acqua raffreddantee controllo del recipiente raffreddante

• Fattori intrinseci come pH, sale, zucchero, acidi organici…• Altri processi letali, (es. irradiazione)Contaminazione crociata• Imballaggio intatto• Controllo degli infestanti• Flusso logico del procedimento

Virus • Rigoroso controllo dell’irrigazione e del lavaggio di insalata e vegetaliEs. Epatite A • Trattamenti letali (es. irradiazione, con calore)

• Rigorose procedure di igiene personale per chi manipola gli alimenti

Parassiti • Ispezione veterinaria per controllo di parassiti come Toxoplasmacondii, Tenia in manzo e maiale e Trichinella in maiale

• Congelamento (-18°C), riscaldamento (>76°C), essiccamento, salatura

Protozoi • Uso di acqua depurataEs. Cryptosporidium parvum • Pastorizzazione latte

Giardia intestinalis • Trattamento con calore dell’acqua usata come ingrediente

Micotossine • Buone pratiche di immagazzinamentoEs. Patulina • Riduzione acqua libera a valori < 0.7

Aflatossina

Misure di prevenzioneRischio

Tabella 8

C. Roggi , C. Gallo Stampino

47

Coinvolgere

Problemi/contesto

Rischi

Opzioni

Decisioni

Azioni

Valutazioni

Figura 2

Ciclo della gestione delrischio (Risk managementcycle - U.S. Presidential/CongressionalCommission on RiskAssessment andManagement 1997)

di scambio di informazioni e di opinionisui rischi tra esperti (di valutazione, digestione…) e altre parti interessate (in-dividui, gruppi, istituzioni). Secondo unarecente definizione dell’U.S. NationalResearch Council Committee, deve ri-guardare non solo argomenti stretta-mente inerenti la natura del rischio, maanche dubbi, reazioni a messaggi sul ri-schio o a provvedimenti legali e istitu-zionali intrapresi per la sua gestione.

Dal momento che la comunicazionedel rischio prevede la comunicazionedella decisione raggiunta in seguito aiprocessi di valutazione e gestione, per-mette così il coinvolgimento del pubbli-co nel cosiddetto “ciclo della gestione

del rischio”, un modello secondo ilquale le preoccupazioni del pubblico edi tutte le parti interessate vanno consi-derate attivamente a ogni stadio delprocesso di gestione del rischio, inclusala valutazione (Figura 2).

Questo modello rappresenta cosìuna sintesi dei processi al la basedell’analisi del rischio, essendo costitui-to da sei tappe fondamentali:

1) definire il problema e collocarlo nelcontesto;

2) analizzare i rischi associati al pro-blema collocato nel contesto;

3) esaminare le opzioni per gestire i ri-schi;

4) prendere decisioni sulle opzioni chepossono essere adottate;

5) intraprendere azioni per implemen-tare le decisioni;

6) verificare i risultati dell’azione intra-presa.

Tutti questi sei punti, rappresentantile prime due componenti dell’analisi delrischio, valutazione e gestione, prevedo-no la collaborazione e l’interazione ditutte le parti che compongono la filieraalimentare, compreso il consumatore fi-nale, presupposto indispensabile perchéle decisioni e le conclusioni raggiuntecon l’analisi del rischio non siano conte-state e sfidate.

La percezione del rischio

L’esperienza ha dimostrato che ilrischio, più che sulla base di numerioggettivi ma impersonali, è “vissuto”alla luce della minaccia che rappre-

senta per le relazioni e le abitudini fa-miliari e sociali.

In altri termini ciò significa che, piùche il rischio stesso, sono le caratteri-stiche dei destinatari a determinarne lapercezione: le caratteristiche sociali,culturali e individuali amplificano edesagerano un rischio piuttosto che unaltro, come dimostrato nella tabella 9.

Consumatori e scienziati valutano ilrischio in modo molto diverso perché di-versi sono i rispettivi punti di partenza e ilinguaggi utilizzati: quello scientifico estatistico degli esperti e quello intuitivodel pubblico. L’ambito di lavoro della co-municazione del rischio è proprio questogap che separa la descrizione scientificadei rischi, in costante evoluzione, dallapercezione pubblica degli stessi.

A tutt’oggi, da parte degli operato-ri del settore alimentare manca un si-stematico sforzo nella corretta comuni-cazione dei rischi alimentari, mentrespesso le informazioni scientifiche so-

Concetto d i r ischio in al imentaz ione

48

Rischio reale Rischio percepito

Errori di alimentazione Pesticidi

Microrganismi e tossine di origine batterica OGM

Micotossine Additivi

Pesticidi Errori di alimentazione

Additivi Microrganismi e tossine di origine batterica

OGM Micotossine

Tabella 9

Percezione del rischio(in ordine decrescente)

C. Roggi , C. Gallo Stampino

49

no parziali, sporadiche, interpretate inmodo contraddittorio e mescolate conla paura della gente.

Tutto ciò ha contribuito ad aumen-tare enormemente il distacco tra mon-do scientifico-produttivo e pubblico.

Sicuramente l’industria alimentaredeve assumersi la primaria responsabi-lità di questa attività, ma nel contemposi rendono necessari altri interventicoordinati che coinvolgano, oltre a chiproduce e trasforma, anche:• chi elabora i programmi politici e di sor-veglianza alimentare, attraverso l’istituzio-ne di agenzie che rappresentino punti diriferimento scientifici indipendenti;• chi si occupa di informazione, attra-verso la creazione di scuole per gior-nalismo scientifico;• il pubblico in generale, attraverso in-terventi di comunicazione interattivaorganizzati dalle strutture di educazio-ne sanitaria e dei servizi sanitari che,per la loro storica funzione e colloca-zione, possono raggiungere ampie fa-sce di popolazione.

Tali interventi non sempre si dimo-streranno capaci di ridurre i conflitti efacilitare la gestione del rischio. Delresto, la comunicazione del rischio nonè un processo volto a manipolare l’opi-nione pubblica, ma a permettere che

le decisioni politiche e le discussionipubbliche si basino sulle migliori infor-mazioni disponibili.

Sicuramente però, una comunica-zione del rischio efficace, aumentando ilgrado di comprensione di particolari pro-blemi e interventi e assicurando alle per-sone coinvolte un’adeguata informazio-ne nei limiti delle conoscenze disponibili,aiuterà a ripristinare il livello di fiducianelle politiche di sicurezza alimentare, inquesti ultimi anni fortemente minata dagravi scandali alimentari (basti ricordarela BSE o il pollo “alla diossina”).

CONCLUSIONI

Quando si parla di rischio in alimen-tazione, si fa riferimento al concetto di ri-schio accettabile ed è fondamentale al ri-guardo fornire alla popolazione messaggichiari e comprensibili, finalizzati a fornireall’individuo, di ogni età e livello sociale,opportuni elementi di giudizio e a creareuna ben precisa coscienza alimentare peril consolidamento di un corretto, igienica-mente salutare e adeguato modo di ali-mentarsi.

In buona parte della popolazione nonesiste una cultura relativa all’igiene deglialimenti, mentre, per contro, esistono tra-dizioni e abitudini alimentari che prescin-

dono dall’applicazione delle più elementa-ri norme igieniche. Ad esempio, l’attualetendenza al ritorno al “naturale”, in oppo-sizione alle recenti innovazioni tecnologi-che e la ricerca di prodotti “freschi e ge-nuini”, non sottoposti a trattamenti di risa-namento considerati depauperanti delvalore nutritivo, addirittura potenzial-mente nocivi, costituisce un serio ri-schio per la Salute Pubblica.

Alla luce di tali considerazioni è im-portante che, chi si occupa di alimen-

tazione a qualsiasi livello, non ignori leconvinzioni dell’opinione pubblica, maanzi prenda atto dei meccanismi socialiche ne stanno alla base per risponderein modo positivo e razionale alle esi-genze emerse.

Queste risposte devono basarsi nonsolo su evidenze scientifiche prodottedai più avanzati studi (epidemiologici,tossicologici eccetera), ma anche con-siderare i diversi fattori che condiziona-no la percezione del rischio (Tabella10).

Concetto d i r ischio in al imentaz ione

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Tabella 10

Alcuni fattori che influenzano la percezione del rischio (Covello e Merkhofer 1994)

Volontarietà dell’esposizione I rischi volontari sono meglio accettati di quelli ritenuti imposti

Controllabilità I rischi ritenuti sotto il proprio controllo (es. tossinfezione alimentare domestica)sono meglio accettati di quelli percepiti come sotto il controllo di altri(es. residui pesticidi)

Chiarezza dei benefici I rischi portatori di indubbi benefici sono meglio accettati di quelli privi di (o con pochi) vantaggi

Distribuzione dell’esposizione I rischi distribuiti imparzialmente sono meglio accettati di quelli distribuiti in modo non omogeneo

Fonte e origine del rischio I rischi naturali sono meglio accettati di quelli tecnologici e/o indotti dall’uomo

Potenziale catastrofico I rischi statistici sono meglio accettati di quelli catastrofici

Familiarità I rischi familiari sono meglio accettati di quelli esotici

Impatto sui bambini I rischi che riguardano i bambini destano più preoccupazione di quelli che riguardano principalmente gli adulti

Incertezza scientifica I rischi ritenuti sconosciuti o incerti (DNA ricombinante) sono meno accetti di quelli ritenuti scientificamente “tradizionali”

Comprensione I rischi di difficile comprensione sono meno accetti di quelli di semplice spiegazione

Spaventosità delle conseguenze I rischi con conseguenze spaventose non sono accettati(es. il morbo di Creutzfeldt-Jakob è considerato un modo terribile di morire)

Fiducia Nelle istituzioni e nel sistema agroalimentare

Attenzione dei media Sensazionalismo per aumentare le vendite o gli ascolti che tende a privilegiarequello che “fa notizia” e che non necessariamente coincide con quello che rassicura

C. Roggi , C. Gallo Stampino

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Concetto d i r ischio in al imentaz ione

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Introduzione

L’assunzione degli alimenti rappre-senta un evento indispensabile almantenimento della salute ed alla con-servazione della specie umana. Anchequesti però, come tutto ciò che si tro-va in natura, non sfuggono alla leggedi Paracelso (“Dose sola facit ut vene-num sit”) e possono infatti essere di-rettamente o indirettamente tossici inquanto sono in grado di causare effettinegativi sull’organismo a causa dellapresenza di:• componenti naturali: sostanze di ori-gine vegetale o animale presenti natu-ralmente negli alimenti che, se assuntia dosi eccessive, risultano tossiche(es: inibitori enzimatici, composti ciano-genici, goitrogeni, psicoattivi, vasoattivie tossine di origine animale ecc.);• contaminanti: sostanze di origine na-turale o sintetica presenti negli alimenti(es: tossine batteriche e fungine, pesti-cidi e farmaci ecc.) in maniera indipen-

dente dalla volontà dell’uomo, anche sespesso utilizzati dall’uomo stesso al mo-mento della produzione sia animale,che vegetale;• additivi: sostanze per lo più di sintesiaggiunte intenzionalmente dall’uomoper produrre effetti desiderati nel cibosia dal punto di vista organolettico chemorfologico (es: coloranti, conservanti,antimicrobici, edulcoranti, tensioattiviecc.), finalizzate a evitare i l dete-rioramento del cibo e a migliorare lesue caratteristiche organolettiche.

In questo contesto è importante sot-tolineare come la maggior parte della po-polazione sia estremamente preoccupatadalla presenza di additivi e contaminantinegli alimenti. Questo fenomeno di mas-sa è per lo più attribuibile sia all’allarmi-smo creato dai media nell’opinione pub-blica, sia a una notevole disinformazionegenerale.

La demonizzazione dell’utilizzo degliadditivi alimentari ha raggiunto una tal

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EE lementi di tossicologiaalimentare

E. Chiesara, S. Radice

Dipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e TossicologiaFacoltà di Medicina e Chirurgia. Università degli Studi di Milano

portata che la maggior parte della popo-lazione ignora l’esistenza di una discipli-na finalizzata allo studio della sicurezzad’uso di tali composti, quale la tossico-logia alimentare. Quest’ultima è infattidedicata allo studio degli effetti indesi-derabili derivanti da sostanze presenti onon presenti naturalmente negli alimen-ti, siano esse di origine sintetica, anima-le o vegetale (additivi e contaminanti).

A supporto di quanto appena det-to risulta evidente come, per il consu-matore medio, il rischio (inteso comeprobabilità statistica che vi sia un peri-colo e/o compaia un danno) più eleva-to sia attribuibile alla presenza di pesti-cidi e additivi alimentari, quando inrealtà questi rappresentano la minorcausa di effetti tossici dovuti all’ali-mentazione (vedi tabella 9 capitolo“Concetto di rischio in alimentazione”).

Cenni storici

L’approvvigionamento e la conser-vazione del cibo sono due problemi dasempre presenti nella storia dell’uomo.Viene da sé quindi che per garantireuna scorta alimentare sufficiente per di-versi periodi è stato necessario intro-durre dei metodi che permettessero diconservare i prodotti nell’arco dell’anno.

Gli additivi alimentari erano infatti inuso già al tempo dei romani, i quali utiliz-zavano sia il sale sia l’affumicatura, mo-dalità quest’ultima che è ancora moltoutilizzata. Anche nel medioevo vi eral’abitudine di utilizzare diverse spezie pro-venienti dall’oriente, non solo per miglio-rare la palatabilità del cibo, ma anche perconservare meglio alcuni alimenti.

Nella seconda metà del 1800, inseguito alla Rivoluzione Industriale, l’im-piego degli additivi subì una grossa im-pennata, favorendo quindi anche l’in-sorgere di fenomeni di lucro e di adulte-razione. Nel primo caso basti pensarealle ghiande nel caffè e alla polvere dimattoni nel cacao, mentre nel secondoal piombo e al rame utilizzati per colora-re dolci, prodotti vegetali e formaggi.

Ovviamente, negli anni successivi,l’adulterazione divenne un problema diampia portata, tant’è che già nel1820 Frederick Accum, pubblicò unlibro dal titolo “A treasure on adultera-tion of food and culinary poisons”, nelquale l’autore presentava un metodoscientifico per scoprire le adulterazionialimentari ponendo così le basi peruna delle prime leggi sulla sicurezzadegli alimenti che venne promulgata inGran Bretagna nel 1860 e costituì labase del “US Food and Drug Act” del1906.

elementi d i tossicologia al imentare

54

Le basi scientifiche della moderna tossicologia alimentare

Nel ventesimo secolo c’è stato unnotevole incremento dei processi coin-volti nella produzione e nella conserva-zione dei cibi che richiedevano l’aggiun-ta di sostanze naturali o di sintesi (addi-tivi), il cui utilizzo era finalizzato sia a mi-gliorare la sicurezza dal punto di vistamicrobiologico, che a preservare lequalità dei cibi nel tempo.

La portata di questo incremento èstata tale che il mondo scientifico, e inparticolar modo i tossicologi, si è impe-gnato per garantire una sicurezza d’usodegli additivi per ovviare a qualsiasi ef-fetto tossico sulla salute umana.

Fu così che nel 1950 la “US Foodand Drug Administration” (FDA) e la“Food Protection Committee of the Na-tional Research Council”, sottolinearonol’importanza della valutazione della sicu-rezza in campo alimentare, proponendoattraverso due massimi esperti (Lehe-man e Fitzhugh della FDA) l’importanzadel “fattore di sicurezza” (vedi paragrafosuccessivo).

La spinta in tal senso è stata taleche nel 1955 vennero costituite altreorganizzazioni scientifiche e comitati diesperti nel campo, quali la “Joint Expert

Committee on Food Additives” (JEC-FA), la “Food and Agriculture Organiza-tion of the United Nation” (FAO) e la“World Health Organization” (WHO).

Fu proprio il JECFA che, sulla basedi quanto detto in precedenza daLeheman e Fitzhugh, sviluppò il con-cetto di ADI (Acceptable Daily Intake;Quantità Giornaliera Accettabile) defi-nendola come “una quantità definita diadditivo alimentare, espressa sulla ba-se del peso corporeo, che può essereingerita ogni giorno per tutta la vitasenza alcun effetto sulla salute uma-na”. Da questo momento il concetto diADI venne accettato anche dal JointFAO/WHO Meeting on Pesticides Re-sidues (JMPR) e dalla EnvironmentalProtection Agency (EPA), che lo uti-lizzò anche per i contaminanti, sebbe-ne il termine ADI venga sostituito conil termine Dose di Riferimento (RfD).

La valutazione delrischio tossicologico(Risk Assesment)

Criteri per la determinazione

dell’ADI: le basi teoriche

Come precedentemente detto, gli additi-vi, come tutti i composti chimici, possono

E. Chiesara, S. Radice

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produrre effetti dannosi su una popola-zione quando assunti in quantità ecces-siva. Gli esperti si riferiscono al “poten-ziale effetto dannoso” come al pericolo(“hazard”) associato a quella sostanza,dove per sostanza si intende “un agentebiologico, chimico o fisico” che potenzial-mente può causare un effetto avversosulla salute. È importante sottolineareche il rischio che tale pericolo si verifichidipende essenzialmente dall’esposizionealla sostanza. È vero infatti che il pericoloè una caratteristica intrinseca della so-stanza, ma senza una esposizione non cisarebbe la possibilità che tale pericolo siesprima. La determinazione dell’ADI èuna forma specifica di valutazione del ri-schio perché definisce i limiti di esposi-zione al di sotto dei quali non compaionoeffetti indesiderabili per la salute umana.Questo concetto comporta l’esistenza diun livello soglia per parecchi tipi di effetti

tossici, dove per livello soglia si intendeun livello di assunzione al di sotto delquale non si manifestano tali effetti, siaperché la sostanza non ha effetto, siaperché i meccanismi omeostatici sonostati in grado di annullare i cambiamentiapportati. Nella tabella 1 sono riassuntialcuni esempi di effetti avversi associatialla tossicità del composto. Come verràriportato successivamente, il calcolo perla determinazione dell’ADI presuppone laconoscenza del NOEL (No ObservedEffect Level) o del NOAEL (No Obser-ved Adverse Effect Level). In quest’ulti-mo caso però è importante discriminarese gli effetti osservati durante gli studi ditossicità sono ascrivibili a una rispostaadattativa, senza implicazioni per lo statodi salute dell’animale, oppure se sonorealmente un’evidenza dell’effetto tos-sico della sostanza allo studio. In questocaso non si può parlare di NOAEL, ma

elementi d i tossicologia al imentare

56

Tabella 1

Variazioni funzionali Riduzione del peso corporeo

Variazioni morfologiche Anormalità patologiche

Mutagenesi Variazioni ereditabili a livello del DNA, che potrebberopotenzialmente essere causa di cancro e anormalità fetali

Cancerogenesi Cancro

Neurotossicità Cambiamenti comportamentali, sordità

Immunotossicità Depressione del sistema immunitario, fenomeni di ipersensibilità e allergia

Tossicità riproduttiva Sterilità, teratogenesi, embriotossicità

Effetti avversiTipi di tossicità

E. Chiesara, S. Radice

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di LOAEL (Lowest Observed AdverseEffect Level).

Decidere se un effetto è realmenteindesiderabile dipende da specifichecircostanze ed è un concetto caratteriz-zante gli studi di valutazione del rischio.Ad esempio, il diminuito accrescimentodel peso corporeo accompagnato dauna diminuita assunzione di cibo, po-trebbe essere attribuibile al fatto cheelevate dosi di sostanza nel cibo dimi-nuiscono la sua palatabilità, piuttostoche a un effetto indesiderabile della so-stanza stessa. È importante comunquesottolineare che NOAEL e NOEL nonsono due proprietà della sostanza, masono delle osservazioni sperimentali.

Criteri per la

determinazione dell’ADI:

i test utilizzati

Le strategie finalizzate a ottenere da-ti utilizzabili per una valutazione del rischioe che quindi forniscano certezze per de-terminare la sicurezza d’uso di un deter-minato additivo alimentare comprendono:• la valutazione della struttura chimicae dell’attività biologica della sostanza;• modelli per lo studio “in vitro” (es:colture cellulari);• animali da laboratorio;• volontari umani.

Considerando che non è etico som-ministrare una sostanza potenzialmentetossica a volontari umani e che oggigior-no si tende a minimizzare l’utilizzo deglianimali da laboratorio, ne consegue chei metodi alternativi (test “in vitro” e mo-dellistica) sono sempre in continuo au-mento. Questi modelli sono molto utili inquanto forniscono informazioni dei mec-canismi d’azione, ma sicuramente nonsono sufficienti per fornire un completoquadro tossico di una sostanza.

Di seguito sono schematizzati iprincipali test utilizzati in un completostudio di tossicità finalizzato a fornire iparametri necessari per la determina-zione dell’ADI.• Tossicità acuta orale: singola som-ministrazione orale. Definisce il grado ditossicità.• Tossicità a breve termine: sommini-strazioni giornaliere ripetute per 14-28giorni. Definisce il potenziale tossico.• Tossicità subcronica: somministra-zioni giornaliere ripetute per 90 gior-ni. Definisce i target di tossicità e in-dica le dosi utilizzabili per gli studi ditossicità cronica. Si util izzano duespecie diverse.• Tossicità cronica e cancerogenesi:somministrazioni giornaliere ripetute per2 anni. Fornisce i parametri (NOEL,NOAEL) utilizzati per la determinazione

dell’ADI. Si utilizzano roditori ed almenouna specie di non roditori.• Genotossicità: test a breve termineper valutare l’interazione con il DNA (mu-tazioni e alterazioni cromosomiche). Siutilizzano diversi test sia “in vivo” che “invitro” su batteri e cellule di mammifero.• Tossicità riproduttiva e dello svilup-po: somministrazioni giornaliere ripetuteprima, durante e dopo la gestazione.Forniscono informazioni degli effetti sul-la fertilità maschile e femminile, sullosviluppo fetale e neonatale, oltre che supossibili effetti ereditari. Si utilizzano ro-ditori per gli studi multigenerazionali edue specie diverse in quelli di sviluppo.• Immunotossicità: test a breve termi-ne e subcronici. Studia le variazioni del-la struttura e delle funzioni dei tessuti,delle cellule e dei mediatori coinvoltinella risposta immunitaria.• Neurotossicità: test a breve terminee subcronici. Studia le variazioni dellastruttura, delle funzioni e dei mediatoridel SNC, oltre che del comportamentodella specie utilizzata.

Criteri per la

determinazione dell’ADI:

come si calcola

La valutazione del rischio tossicolo-gico viene fatta tenendo in considera-

zione che composti chimici, quali gli ad-ditivi e i contaminanti, vengono assuntiper periodi molto lunghi (a volte per tut-ta la vita), ma a concentrazioni moltobasse.

La valutazione del rischio, di un sin-golo additivo o contaminante, deve de-terminare l’ADI, che, come detto prima,rappresenta la quantità giornaliera as-sumibile.

L’ADI si ottiene applicando la se-guente formula:

ADI = NOEL (NOAEL)/SF

dove il NOEL rappresenta la dosesenza effetto, espressa in mg/kg pesocorporeo, ottenuta dagli studi speri-mentali a lungo termine (tossicità cro-nica) condotti su più specie animali.Per porsi in una condizione di massimasicurezza, normalmente deve venir uti-lizzato il NOEL relativo alla specie ani-male rivelatasi più sensibile, ovveroquella specie in cui l’effetto tossicodella sostanza si è manifestato alla do-se più bassa.

A volte al posto del NOEL vieneutilizzato il NOAEL, anch’esso espressoin mg/kg peso corporeo, quella con-centrazione cioè alla quale non sonostati osservati effetti indesiderabili.

Il fattore di sicurezza (SF), o fattoredi incertezza, è un valore compreso per

elementi d i tossicologia al imentare

58

lo più fra 10 e 1000 e provvede a dareun adeguato margine di sicurezza alconsumatore nell’estrapolazione dei datidall’animale all’uomo.

Il SF più utilizzato è 100 (10x10)dove:• 10 è un fattore per le differenze inter-specie; ad esempio una maggior sen-sibilità umana alla sostanza se parago-nata a quella del modello animale uti-lizzato (minor eliminazione dal corpo,maggior equilibrio fra attivazione e de-tossificazione);• 10 è un fattore per le differenze in-tra-specie; ad esempio esiste la possi-bilità che parte della popolazione uma-na possa essere più a rischio a causadi differenze individuali anche su basegenetica.

Un SF pari a 10 viene utilizzatosolo quando sono conosciuti sia gli ef-fetti avversi della sostanza che la suarelazione dose-risposta nell’uomo. Inrealtà molto spesso vengono utilizzatifattori di sicurezza più elevati (200 o1000), soprattutto in quelle situazioniin cui si hanno a disposizione scarsidati di tossicità cronica e quindi di unNOEL/NOAEL scarsamente rappre-sentativo, oppure quando la sostanzaha provocato effetti di dubbia interpre-tazione e necessita quindi di una rigidavalutazione rischio/beneficio.

Criteri per la

determinazione dell’ADI:

fattori di variazione

e di incertezza

Gli studi di tossicologia oggigiornosono condotti utilizzando animali da la-boratorio, la maggior parte dei quali ro-ditori, che sono stati allevati in modospecifico per questo fine. Infatti, questianimali sono ceppi selezionati e vengo-no cresciuti in modo molto controllatoper quanto riguarda la dieta, la purezzadell’acqua, la temperatura ambientale, icicli luce/buio, l’igiene e le condizioniatmosferiche. Questi controlli, sia am-bientali che genetici, fanno sí che glianimali utilizzati siano molto simili l’unl’altro e che quindi rispondano in modorelativamente omogeneo a un insultotossico.

Tutto ciò ovviamente porta a una di-minuzione delle variabili e a un aumentodella sensibilità dello studio nell’identifi-cazione degli effetti a basse dosi.

In contrasto, è evidente il fatto chevi è un’enorme variabilità all’interno del-la popolazione umana se paragonata aquella degli animali da laboratorio. Infat-ti, la sensibilità nei confronti di una so-stanza può essere influenzata da svaria-ti fattori individuali e ambientali quali adesempio le variazioni genetiche, lo stato

E. Chiesara, S. Radice

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ormonale, l’età, lo stato di salute el’ambiente in cui l’individuo stesso vive(Tabella 2).

Ne consegue che è fondamentaleconsiderare, quando si utilizzano leinformazioni derivanti da studi di tossi-cità sperimentale:• le differenze esistenti fra gli animalida esperimento e l’uomo (variabilità in-ter-specie);• le differenze di sensibilità verso un in-sulto tossico esistenti nella popolazioneumana (variabilità intra-specie).

All’interno di queste due categorie èopportuno considerare le due maggioricause di variabilità:• la tossicocinetica - il destino a cui vaincontro il composto una volta assorbitodall’organismo, come venga cioè distri-buito, biotrasformato ed eliminato;• la tossicodinamica - gli effetti delcomposto sull’organismo portano aduna risposta tossica che può anche

presupporre un riparo o una rigenera-zione. Tutte queste fonti di variabilità edincertezza sono molto importanti nellavalutazione dell’ADI (Tabella 3).

Applicabilità dell’ADI adiversi sottogruppi

Neonati e bambini

Nonostante l’ADI rappresenti la dosealla quale un composto può venir inge-rito per tutta la vita senza alcuna com-promissione dello stato di salute, rima-ne sempre vivo il problema dell’esi-stenza di sottogruppi all’interno dellapopolazione umana che potrebberonon essere abbastanza protetti dall’ADIstessa.

In tal senso, è da sempre statafatta molta attenzione nei confronti deineonati (dalla nascita ai 12 mesi) edei bambini (dall’anno ai 12 anni) i

elementi d i tossicologia al imentare

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Dieta Fattori ambientali

Alcool Metalli pesanti

Carboidrati Pesticidi

Grassi Inquinanti industriali

Proteine Derivati dal petrolio

Prodotto di pirolisi Pesticidi(durante la cottura) (come inquinanti)

Vitamine Fumo

Tabella 2

Esempi di fattori esterniche possono influenzarela suscettibilità ad uninsulto tossico

quali differiscono, rispetto ad un adul-to sano nelle:• caratteristiche tossicocinetiche - mi-nori livelli di enzimi deputati alla biotra-sformazione ed alla detossificazione, so-prattutto nei prematuri;• caratteristiche tossicodinamiche(possono essere più sensibili all’insultotossico).

Considerando quanto detto, i neo-nati costituiscono un sottogruppo a sé,ovvero un gruppo a cui non è possibileapplicare l’ADI, anche alla luce del fattoche non esistono studi di routine chesimulino l’esposizione ad additivi attra-verso il latte materno.

Per tutti questi motivi gli additivi ali-mentari non sono permessi nelle formu-lazioni destinate alla prima infanzia.

Per quanto riguarda i bambini, nonsembrano esserci dati che facciano ipo-tizzare una maggior possibilità di rischiodi questo sottogruppo nei confronti de-gli additivi alimentari. Infatti, è ormai no-

to che le differenze in alcune funzioni fi-siologiche e nella capacità metaboliz-zante/detossificante non comportanovariazioni nel destino della sostanzaall’interno dell’organismo. Alla luce diciò gli addetti ai lavori suggeriscono chei bambini possono utilizzare l’ADI, an-che perché nella determinazione di que-sto valore sono fondamentali gli studi ditossicità riproduttiva e di sviluppo, neiquali vengono determinati i possibili ef-fetti tossici di un composto durante le fa-si di sviluppo di un organismo.

Altri gruppi suscettibili

Esistono dei polimorfismi genetici eparticolari situazioni cliniche che predi-spongono gli individui a certe forme ditossicità. Ad esempio le persone affetteda fenilchetonuria non devono consu-mare cibi contenenti l’aspartame inquanto la fenilalanina è uno dei suoiprincipali componenti.

E. Chiesara, S. Radice

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Tabella 3Estrapolazione animale uomo •Correlazione fra NOEL/NOAEL e dose soglia

•Predisposizione di effetti a basse dosi basati su studi condotti ad alte dosi

•Differenza tra le diverse specie animali

Variazioni interindividuali • Interne: genetiche, sesso e stato di salutenella popolazione umana

•Esterne: nutrizione, fumo, inquinanti ambientali, alcol, ecc

Fonti diincertezzanelladeterminazionedell’ADI

Riferimenti bibliografici

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Un altro gruppo a rischio è compostodagli individui affetti da allergie alimentari.

Se un individuo è sensibile ad unaparticolare sostanza non esiste una do-se sicura, ma sono sufficienti solo trac-ce della sostanza, per provocare effettipotenzialmente pericolosi anche per lavita stessa. Bisogna comunque ricorda-re che alla base delle allergie alimentarimolto spesso vi sono composti presentinaturalmente nei cibi (proteine dell’uo-vo, del latte di mucca ecc), piuttosto

che gli additivi alimentari. Anche se, puressendo pochi gli studi in tal senso,quelli esistenti evidenziano che gli addi-tivi tendono a peggiorare una situazionepatologica già esistente, piuttosto che acrearne una nuova.

Gli individui affetti da allergie ali-mentari non sono validamente tutelatidall’ADI, ma devono provvedere a ge-stire il rischio eliminando gli alimenti incui sono contenute le sostanze a cuisono allergici.

elementi d i tossicologia al imentare

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La qualità ela sicurezza alimentare

Il termine “Qualità” è stato coniatonegli Stati Uniti come la “capacità di sod-disfare le esigenze del cliente che usu-fruisce di un prodotto o servizio”. Fino aalla fine del XX secolo il termine è rima-sto molto povero di significati concreti esolo a partire dal 1980 questo approccioha iniziato a diffondersi nelle aziende in-dustriali degli Stati Uniti e d’Europa. Igiapponesi, al contrario, ne hanno fattouno dei pilastri della loro rinascita indu-striale, e quindi uno dei fattori principalidel grande sviluppo economico di questoPaese nella seconda metà del XX secolo.

Nell’attuale fase storica, caratteriz-zata da una sempre più marcata inter-nazionalizzazione, la qualità è decisivaper la competitività delle imprese e deisistemi economici, per la sicurezza ed agaranzia dell’utente.

Qualità e sicurezza alimentare sonodue obiettivi fondamentali per il consu-

matore e, pertanto, rientrano tra le prio-rità di rilancio del settore agroalimentare:la qualità per accrescere gli sbocchi dimercato e aumentare il valore aggiuntodelle produzioni, la sicurezza per offrire ri-sposte chiare e restituire fiducia ai consu-matori.

La qualità va perciò intesa in sensototale: qualità del prodotto e qualità deisistemi produttivi. La qualità deve, quindi,coinvolgere tutto il processo precedentee successivo: ossia la progettazione, lascelta dei materiali, la rete dei fornitori,l’impiego delle tecnologie, l’organizzazio-ne del lavoro, sino ad arrivare allo stoc-caggio, al trasporto, alla distribuzione delprodotto. Nel caso specifico dell’alimen-tare, si suole definire questo con uno slo-gan: “la qualità dalla terra alla tavola”.

Si parla, in altre parole, di “QualitàTotale” che non è altro che la sommadelle qualità realizzate da tutte le impre-se nelle varie fasi che precedono, rea-lizzano e seguono la produzione. Que-ste imprese rappresentano la filiera pro-

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QQ ualità e controlloGian Pietro Molinari Laboratori di Tecnologia e Merceologia, Facoltà di AgrariaUniversità Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza

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duttiva del prodotto. Esse devono esse-re strettamente legate fra di loro in mo-do da costituire una catena (catena ocerchio della qualità) lungo i cui anellicircolano le informazioni sulle esigenzee la soddisfazione del cliente-utente.

La qualità è un’opzione strategicache serve ad accrescere la capacitàcompetitiva delle imprese, migliorandoal tempo stesso il livello di soddisfaci-mento del consumatore. Ossia, il mi-glioramento qualitativo del prodottoche, se riesce ad esaltare caratteristi-che innovative e se ancorato a precisistandard riconoscibili, può aumentare lapenetrazione di mercato e permettere ladifferenziazione dei prodotti.

La sicurezza alimentare, nell’acce-zione primitiva del termine, era riferita, insenso stretto, alla disponibilità materialedi approvvigionamenti alimentari. Coltempo il concetto si è notevolmenteesteso, investendo problematiche gene-rali concernenti lo sviluppo agricolo, laproduzione alimentare, gli aiuti alimenta-ri, il commercio internazionale e, segna-tamente, l’igiene dei prodotti alimentari,cosicché attualmente qualità e salubritàdegli alimenti sono considerate elementifondamentali di sicurezza alimentare.

Anche se limitata ai soli aspetti del-la qualità e della salubrità, l’area dellasicurezza alimentare abbraccia numero-

se altre aree di interesse generale,quali l’inquinamento ambientale, la pro-duzione agricola, la tecnologia indu-striale ecc., fino a coprire l’area di ca-rattere sanitario, che costituisce la fina-lità ultima della sicurezza igienica deglialimenti e cioè l’area della protezionedella salute dei consumatori.

La sicurezza deve tradursi in un si-stema obbligatorio che rende rintraccia-bile la presenza di requisiti definiti dallalegislazione alimentare lungo l’intera filie-ra produttiva. È evidente che la sicurezzasi estende dalla fase della produzioneagricola alla trasformazione, distribuzionee commercializzazione dei prodotti.

Pertanto la qualità e la sicurezzaviaggiano affiancate e possono rappre-sentare un elemento di gestione comu-ne. La strategia di qualità interviene aldi sopra del livello di sicurezza, che è lasoglia obbligatoria per immettere un ali-mento al consumo.

Oggi c’è una disponibilità mercanti-le contemporanea (ed anche extrasta-gionale per l’ortofrutta) che integra leproduzioni locali. Sono stati in tal modosovvertiti i tradizionali assortimenti chespesso in passato hanno consentitouno standard alimentare più equilibrato,anche sotto il profilo nutrizionale.

Ciò è stato possibile in seguito alprogresso, non solo tecnologico, che si

Qualità e controllo

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è verificato nel settore della produzioneagricola, ma anche, e soprattutto, perlo sviluppo delle tecnologie di trasfor-mazione, produzione e conservazionedegli alimenti che assicurano un tal au-mento della serbevolezza che rendepossibile una dilatazione dei tempi dellasua disponibilità.

Per questi motivi si sta affermandola convinzione che l’attuale offerta mer-cantile di massa debba perfezionarsi,privilegiando in particolare la qualità.Una qualità che è sempre più intesa insenso polivalente: cioè la combinazionedi caratteri apparenti (forma, colore,pezzatura, freschezza ecc.), organolettici(sapore, aroma, consistenza ecc.), nutri-zionali (vitamine, sali minerali, acidi or-ganici, fibre, pectine ecc.) e igienico-sa-nitari.

È, insomma, un concetto di qualitàglobale quello che sta prevalendo, nelquale la salubrità occupa un posto pre-minente.

Politiche nazionalie comunitariedella qualità e dellasicurezza alimentare

Nel XX secolo, fino alla metà deglianni ’80, l’aspetto legato alla qualità e

sicurezza delle produzioni alimentari nongodeva di una disciplina comunitaria, senon per alcune sporadiche eccezioni, inquanto allora la normativa era riservataai singoli Paesi membri.

Per superare le differenze fra lenormative tecniche nazionali, la legisla-zione comunitaria nei primi anni di atti-vità, ha pianificato uno sforzo legislativoper definire un prodotto i cui aspettitecnici, produttivi e qualitativi, fosserointeramente disciplinati da norme co-munitarie e che avrebbe potuto libera-mente circolare in tutti i paesi membri,senza doversi uniformare alle singolediscipline nazionali. Per questo, nel1979, la Corte di Giustizia ha introdottoil principio del “mutuo riconoscimento”,in base al quale un prodotto può libera-mente essere commercializzato in tutti iPaesi comunitari.

Questa normativa, ancora insoddi-sfacente per quanto riguarda l’aspettoigienico delle produzioni alimentari,trovò molte difficoltà legate a tre so-stanziali motivi:

1) l’eterogeneità delle legislazioni na-zionali dei paesi membri;

2) il diverso modo di concepire la qua-lità a livello nazionale; per i paesinordici e anglosassoni la qualità èlegata alla sicurezza del prodotto,

G.P. Molinari

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alle caratteristiche nutrizionali e allaconformità a determinati standardproduttivi, mentre, per i paesi medi-terranei, la qualità è legata soprat-tutto alla vocazionalità del territorio,dunque al legame con il territorio,alla tradizionalità del processo pro-duttivo e al talento dell’uomo;

3) l’esistenza di norme tecniche inogni paese membro; queste normesono regole, emanate da enti dinormazione riconosciuti giuridica-mente, alle quali il produttore deci-de di aderire volontariamente. In talcaso otterrà una certificazione daparte dell’ente ed il diritto d’uso diun marchio; la certificazione è dun-que una forma di garanzia esternadella qualità, che regola i rapporticontrattuali tra committenti e forni-tori, tra produttori e clienti.

Queste difficoltà hanno portato laComunità europea a definire, con la ri-soluzione 85/C136/01 del 7 maggio1985, il “nuovo approccio della politicadi armonizzazione”. Con questo nuovoapproccio da una parte vi è l’armonizza-zione della normativa con la garanzia daparte del produttore della certificazionedocumentata (certificazione UNI ENISO) e dall’altra vi è la decisione di ar-monizzare progressivamente soltanto i

requisiti essenziali di qualità che i pro-dotti devono soddisfare per poter esse-re ammessi sul mercato.

La legislazione comunitaria deglianni successivi, dedicata specificata-mente all’igiene delle produzioni ali-mentari ed alla salubrità degli alimenti,impone agli operatori del sistema unaresponsabilità diretta attraverso l’at-tuazione di due distinti fattori di pre-venzione:• l’adozione di un sistema scientifico dianalisi dei rischi e monitoraggio deipunti critici del processo;• l’applicazione dell’autocontrollo azien-dale a garanzia della salubrità del pro-cesso, con l’introduzione di controlli e disistemi di sicurezza nella fase di produ-zione.

Il sistema così delineato e recepitonei paesi membri, non fa altro che tra-sferire alla sicurezza igienica alcuni deiconcetti base di qualità di un sistemaproduttivo: responsabilità, analisi delprocesso, prevenzione del le nonconformità, controllo.

La qualità, attualmente a livello co-munitario, è garantita e legata all’impie-go di pratiche agricole ecocompatibili,all’origine geografica dei prodotti e allatradizione della lavorazione attraversoquattro regolamenti che costituiscono i

Qualità e controllo

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pilastri della politica comunitaria per laqualità:• Reg CEE 2092/91 relativo al metododi produzione biologico dei prodotti agri-coli e alla indicazione di tale metodo suiprodotti agricoli e sulle derrate alimen-tari;• Reg. CEE 2078/92 relativo ai metodidi produzione integrata;• Reg CEE 2081/92 relativo alla prote-zione delle indicazioni geografiche edelle denominazioni d’origine dei pro-dotti agricoli e alimentari, DOP e IGP;• Reg CEE 2082/92 relativo alle atte-stazioni di specificità dei prodotti agricolie alimentari.

Questi Regolamenti tutelano da unaparte il consumatore, riguardo alle spe-cifiche qualitative del prodotto e la suarispondenza ad un disciplinare di produ-zione e dall’altra i produttori, nei con-fronti di un uso non corretto della deno-minazione.

La legislazione mondiale ed euro-pea elaborata negli ultimi anni ha avutocome scopo quello di regolamentare lacommercializzazione dei prodotti e darequindi maggiore trasparenza al mercatonell’ottica di mettere il consumatore ingrado di scegliere senza inganni. Inquest’ottica sono state emanate le nor-mative concernenti l’obbligo di etichet-

tatura delle carni e degli ortofrutticoli.Con l’inizio del 2005 buona parte delleproduzioni alimentari saranno contras-segnate da etichette che ne indicano:l’origine geografica, il o i produttori, ladata di produzione/confezionamento, lascadenza, oltre ad altre caratteristichecommerciali, quale il peso ed il prezzo.

Applicazionedella qualità e dellasicurezza alimentare

La qualità organolettica degli ali-menti è da sempre individuata come laprima e la più importante prerogativadel prodotto, mentre quella mercantile(forma, colore aspetto) deve essereintesa come un corollario, seppure in-dispensabile, della prima e non vice-versa.

La qualità, sotto l’aspetto merceo-logico, deve sottostare all’osservanzadella normativa relativa.

La qualità organolettica costituiscela più difficile da definire. Ad esempioper la frutta, un prodotto che si presen-ta profumato, dall’aroma evidente,dall’armonica ed equilibrata presenza dizuccheri ed acidi, succoso e delique-scente è l’espressione delle più elevateprerogative organolettiche. È però indi-

G.P. Molinari

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Qualità e controllo

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spensabile definire oggettivamente taliparametri, perché questi non sono co-stanti neppure tra le varietà della mede-sima specie; inoltre, le preferenze sonostrettamente individuali con tendenze ageneralizzarsi in una determinata regio-

ne. Nella tabella 1 sono elencati i prin-cipali parametri di qualità per prodottiortofrutticoli.

La salvaguardia delle caratteristichequalitative e il mantenimento delle ga-ranzie di sicurezza alimentare lungo tut-

Tabella 1

Principali parametri diqualità per prodottiortofrutticoli.

Parametri principali Componenti

Dimensioni (calibro, peso, volume)

Forma

ApparenzaColore (intensità, uniformità)

Cerosità

Difetti interni ed esterni(morfologici, fisicomeccanici, fisiologici,patologici, entomologici).

Durezza

Consistenza Succolenza, resa in succo

Fibrosità

Dolcezza

Acidità

Organolettici Astringenza

Aroma

Retrogusti

Fibre

Carboidrati

Valore nutritivoProteine

Lipidi

Vitamine

Minerali

Sostanze tossiche naturali

Contaminazione chimica (residui di fitofarmaci,Igienico-sanitari inquinanti ambientali)

Contaminazione microbiologica

Micotossine

G.P. Molinari

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ta la filiera produttiva è un’esigenza as-soluta per tutti i prodotti alimentari.

Qualità e sicurezza alimentare de-vono perciò essere mantenute dalla fa-se produttiva fino al momento del con-sumo del prodotto. Devono quindi es-sere realizzate delle attività legateall’identificazione delle condizioni igieni-co-sanitarie delle produzioni sia in faseproduttiva, cioè in campo o in alleva-mento, che nelle fasi successive di po-st-raccolta quali il trasporto, la trasfor-mazione, il condizionamento e la distri-buzione fino al consumo finale.

Protezionedelle coltivazioniin campo e dopo laraccolta e qualitàdegli alimenti

Il problema della contaminazionedegli alimenti è uno degli aspetti a cuibisogna porre attenzione a tutela delconsumatore. Le sorgenti di contami-nazione possono essere diverse, sia ditipo chimico che biologico.

Le contaminazioni chimiche posso-no essere dovute a sostanze quali resi-dui di prodotti fitosanitari, metalli pesan-ti e micotossine. L’origine di questecontaminazioni è diversa.

Le colture agricole possono esseredanneggiate dall’azione nociva dei pa-rassiti (gli insetti, molti tipi di funghi emuffe, le lumache, i topi e gli acari) edei competitori quali le erbe infestanti.

Mentre per il controllo delle erbe in-festanti potrebbe essere adottatal’estirpatura a mano o con mezzi mec-canici anziché l’uso dei diserbanti, perdifendere le colture e le produzioni agri-cole da funghi, insetti ecc. si è costrettia ricorrere soprattutto all’impiego di so-stanze chimiche con funzioni diverse:fungicidi, insetticidi, ecc.. Questi pro-dotti chimici, chiamati genericamente“prodotti fitosanitari” o “fitofarmaci”, o“antiparassitari”, sono senza dubbio ef-ficaci ma possono restare come residuisulle coltivazioni e ritrovarsi poi negli ali-menti.

L’utilizzo, non sempre razionale, deifitofarmaci ha portato a considerarnel’uso come una delle principali fonti diinquinamento sia ambientale che ali-mentare. Per la fortuna del consumato-re, i dati scientifici non supportano que-sta impressione, anzi sono in direzionedi una elevata sicurezza per il consuma-tore. La frequenza con cui si rischia diconsumare alimenti contaminati da resi-dui di prodotti fitosanitari è bassa

Oggi l’opinione pubblica è moltosensibile a questo problema e la ricerca

scientifica rivolge sempre maggiore at-tenzione ai metodi biologici e di lotta an-tiparassitaria alternativi a quelli chimici.

Da qualche tempo la lotta biologicarichiama un notevole interesse che sca-turisce dalla possibilità di sostituire conmezzi “naturali” l’attuale lotta chimica.

L’agricoltura biologica esclude l’usodei prodotti chimici che sono sostituitida meccanismi o prodotti di difesa natu-rali, come zolfo, rame, macerati di pian-te, lancio di insetti utili predatori di pa-rassiti, consociazione di piante diverse.

La lotta biologica in senso genera-le, prevede la manipolazione dell’equili-brio microbiologico naturale, tramitel’impiego di diversi microrganismi (mi-ceti, batteri, protozoi, lieviti, ecc.) defini-ti antagonisti. I meccanismi principalid’azione comprendono antibiosi, com-petizione, iperparassitismo o micopa-rassitismo; tali meccanismi non si elu-dono a vicenda, ma possono anchecompletarsi..

La qualità e la sicurezza igienicadevono essere garantite nella fase po-st-raccolta dall’applicazione di tecnicherazionali, nell’utilizzazione di idonee at-trezzature di lavorazione, di conservazio-ne, di trasporto e nella messa in atto diopportuni trattamenti che assicurano ilmantenimento delle pregevoli prerogati-ve originali dei prodotti. I prodotti orto-

frutticoli dopo la raccolta evidenzianonumerose modifiche delle caratteristi-che strutturali e della composizione, inquanto l’attività metabolica è molto atti-va e diversi livelli sono influenzati dallatemperatura, dal la composiz ionedell’aria (ossigeno, anidride carbonica,etilene), dall’umidità relativa e dalla lu-ce. Come ben noto i prodotti ortofrutti-coli, sono soggetti a processi metabolicitanto più intensi quanto più è alta latemperatura. I processi metabolici, cheavvengono negli alimenti durante laconservazione, portano ad una precocesenescenza e ad un deterioramento delprodotto. Tali fenomeni possono esserenotevolmente ritardati con l’impiegodella refrigerazione che quindi permettedi mantenere il più a lungo possibile ilprodotto in una condizione accettabileper il consumatore, senza che si verifi-chino cambiamenti biochimici non desi-derabili.

Quindi, il più importante, ma non ilsolo, aspetto operativo da osservare èl’applicazione di una vera e costantecatena del freddo.

Il contenuto di metalli pesanti è rap-presentato da una quota di origine natu-rale, che è caratteristica di ogni tipo diprodotto agro-alimentare e dal terreno incui è stata fatta la coltivazione, e da unaquota derivante dall’inquinamento dei

Qualità e controllo

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terreni e delle acque di coltivazione, do-vuto all’attività dell’uomo in ambito agra-rio e non. Il tema della contaminazionecoinvolge i diversi aspetti dell’uso delsuolo e per questo un insieme di fonti ri-feribili a precise attività antropiche, checoinvolgono: attività di tipo agricolo oconnesse con l’agricoltura, quali l’impie-go in agricoltura di acque reflue, fanghidi depurazione, compost o altro materia-le derivante dal ciclo dei rifiuti.

La formazione delle micotossine èconnessa con la crescita di funghi, siadurante la coltivazione che la conserva-zione delle produzioni agricole destinateal consumo diretto o all’alimentazionedegli animali.

Il controllo dellaqualità e la garanziadella sicurezza

Vista la numerosità dei possibili in-quinanti e le differenze notevoli nelle lo-ro caratteristiche, il controllo analiticodella contaminazione risulta difficoltosaed onerosa se non vengono messi inatto piani di controllo che permettano diraccogliere il massimo delle informazio-ni senza trascurare i fattori di rischio.Nei piani di controllo sarà necessariovalutare almeno una volta tutti i fattori di

rischio di contaminazione e concentraresuccessivamente l’attenzione versoquelle sostanze o quelle produzioni incui sono stati evidenziati i rischi reali.

Per giungere a questi risultati non èsufficiente esaminare i campioni chehanno presentato livelli di contaminantial di sopra dei limiti di legge per cui lapartita risulta essere irregolare e quindinon più utilizzabile a scopo alimentare,ma occorre stimare anche la contami-nazione a bassi livelli, inferiori al valoremassimo ammesso dalla legislazione.

A tutela del consumatore è presen-te in ogni paese un sistema di controllicomplessi ed articolati che vengono ef-fettuati su alimenti e bevande. In Italia,i prodotti destinati all’alimentazione e leattività connesse con la loro produzio-ne, somministrazione e distribuzionesono sottoposti al rispetto di norme le-gislative delle quali le più recenti deri-vano dal recepimento di d i rett ivedell’Unione Europea.

La funzione fondamentale dellanormativa è quella di tutelare la qualitàdegli alimenti, intesa come igiene delprodotto alimentare e sicurezza dell’usoda parte del consumatore. A tal fine lavigilanza ed il controllo sono messi inatto da organismi ufficiali quali il Mini-stero della Salute e il Ministero dellePolitiche Agricole e Forestali. A questi

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si affianca l’attività di controllo di altreorganizzazioni quale l’Osservatorio Na-zionale Residui (ONR) che, dall’anno2001, è ubicato presso il Laboratorio diTecnologia e Merceologia della Facoltàdi Agraria di Piacenza dell’UniversitàCattolica del Sacro Cuore, ed è coordi-nato dal prof. Gian Pietro Molinari.

Ministero della Salute

Per quanto attiene alla valutazionedel rischio legato all’eventuale presenzadi residui di prodotti fitosanitari negli ali-menti, in Italia fin dal 1980 vengono con-dotti, in modo continuo, studi di monito-raggio. Tale attività è stata ufficializzatacon il decreto del Ministero della Salutedel 23 dicembre 1992. Esso pianifica iprogrammi di monitoraggio sui residuipresenti nei prodotti agro-alimentari pre-levati nei supermercati e presso i rivendi-tori al dettaglio. Il controllo, previsto perl’applicazione del decreto, è affidato alleRegioni e viene svolto dai Servizi di IgienePubblica situati nelle varie Regioni.

Ministero per le Politiche

Agricole e Forestali

Nell’ambito del Piano Nazionale perla Lotta Fitopatologia Integrata, appro-vato nel 1987, è stata costituita una

“Rete di Monitoraggio” dei residui di pro-dotti fitosanitari nei prodotti ortofrutticolie nelle derrate agro-alimentari, che haavuto una concreta attuazione a partiredal 1992 operando per individuare equindi correggere eventuali irregolarità.

Occorre sottolineare che tale monito-raggio è fatto con obiettivi diversi daquelli del Ministero della Salute e di ONR:esso ha l’obiettivo primario di verificareche il rispetto dei tempi di carenza (tem-po che deve intercorrere fra il trattamentocon prodotto fitosanitario e la raccolta deifrutti, per permettere che il fitofarmacoscompaia sin sotto ai valori limiti massimifissati per legge) e le dosi di applicazioneassicurino un residuo delle sostanze atti-ve entro i limiti massimi posti per i prodot-ti agricoli, oppure se sia necessario ap-portare delle correzioni a queste indica-zioni di carattere agronomico.

Osservatorio Nazionale

Residui (ONR)

Per promuovere la diffusione delleconoscenze per realizzare un impiegocorretto dei prodotti fitosanitari, nell’am-bito della gestione agricola integrata, eper informare correttamente l’opinionepubblica sulla sicurezza dei prodottiagro-alimentari, senza preconcetti ideo-

Qualità e controllo

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logici, nell’interesse sia dei consumatoriche degli agricoltori, è stato costituitol’Osservatorio Nazionale Residui chesvolge varie attività (Figura 1):

1) raccolta dei risultati di analisi fatte sucampioni di prodotti agricoli, tal qualio trasformati, per la ricerca di residuidi prodotti fitosanitari e di altri conta-minanti quali micotossine, metalli pe-santi, medicinali veterinari, PCB ecc.I dati sono quelli relativi ad analisi cheprivati (agricoltori, cooperative di agri-coltori, industrie agroalimentari, gran-de distribuzione ecc.) fanno volonta-riamente eseguire a Laboratori ac-creditati o certificati, cioè qualificati

da riconoscimenti di Enti di controlloo Organismi ministeriali.

2) inserimento e gestione dei dati inuna banca dati e loro elaborazioneattraverso le più moderne statisti-che descrittive per:

• valutare la probabilità di trovare resi-dui a livelli prossimi o superiori ai limitimassimi ammessi per tutte le matrici eper ogni sostanza chimica; in questomodo, l’elaborazione mirata dei dati for-nisce utili indicazioni relative alla pre-senza di sostanze che vengono ritrovatesistematicamente fuori norma e dellequali sarebbe necessario moderarel’impiego o verificare il rispetto delle

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Prodotti diorigine vegetale

Residuiprodotti

fitosanitari

Metallipesanti

Residuifarmaci

Metallipesanti

Residuifarmaci

Metallipesanti

MicotossineFattorianti-

nutrizionali

Residuiprodotti

fitosanitariAltri

Residuiprodotti

fitosanitari

Prodotti diorigine animale

AlimentiTrasformati/Lavorati

Osservatorio Nazionale Residui

Micotossine MicotossineFattorianti-

nutrizionali

Fattorianti-

nutrizionali

Altri

Figura 1

buone pratiche agricole;• stimare l’assunzione giornaliera deicontaminanti da parte di una personache ha un consumo medio di alimentipari a quello della dieta nazionale; que-sto parametro, noto come NEDI (Natio-nal Estimated Daily Intake, Assunzionegiornaliera stimata), è stato calcolatosecondo i criteri raccomandati dallaCommissione del Codex Alimentarius;• confrontare i dati raccolti negli anniper individuare gli andamenti negli annidella contaminazione e della loro even-tuale gravità.

Annualmente i risultati di queste ela-borazioni vengono pubblicamente divul-gati in forma riassuntiva per promuoverela diffusione di una informazione correttaai consumatori.

Valutazionedel possibile rischioassunzione

Il Codex Alimentarius, l’OrganismoMondiale creato dall’Organizzazione perl’alimentazione e l’agricoltura (FAO) edall’Organizzazione Mondiale della Sanità(WHO) per fornire riferimenti internazio-nali sugli standard alimentari, si è semprepreoccupato che la presenza di eventualiresidui di prodotti fitosanitari rimanga en-

tro i limiti di sicurezza tossicologici, fissatidalla Comunità Scientifica (WHO, EPA1,ISS2 ecc.). Pertanto, fin dall’inizio dellasua attività, il Codex ha raccomandatol’effettuazione degli studi sulle diete co-me migliore mezzo per valutare la qualitàdella nostra alimentazione.

In questa linea di studi, ONR elabo-ra i dati raccolti per valutare l’entità de-gli eventuali residui di prodotti fitosani-tari ingeriti dal consumatore attraversola dieta e per confrontarli con i relativiparametri tossicologici.

Annualmente ONR elabora i risultatidell’analisi di oltre 20.000 campioni dicirca 200 tipi diversi di prodotti agro-ali-mentari. Sui suddetti campioni è fattoun numero molto elevato di controllianalitici: 3.000.000 di analisi per la ri-cerca di oltre 100 tipi differenti di conta-minanti per campione. Ogni anno, delleoltre 400 sostanze chimiche ricercatecome residuo, circa 300 non sono maistate ritrovate.

Prendendo in considerazione i risul-tati, nella globalità di tutti i dati, si mettein evidenza che:• i campioni regolari sono la quasi to-talità, con piccole differenze fra le va-

Qualità e controllo

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1 EPA – Agenzia per la protezione dell’ambiente de-gli Stati Uniti d’America.2 ISS – Istituto Superiore di Sanità

rie matrici vegetali: sono più frequentinei cereali e derivati (99%) e nei pro-dotti trasformati (99%) che nel fre-sco, frutta (98%) e ortaggi (97%).Questi risultati conseguiti da ONR so-no perfettamente confrontabili conquelli dei controlli ufficiali condotti dalMinistero della Salute, del rapportoannuale della Food and Drug Admini-stration, relativo al programma di mo-nitoraggio real izzato negl i USA edell’Unione Europea;• i campioni privi di residui di prodotti fi-tosanitari sono più frequenti nei cerealie derivati (91%) che nei prodotti tra-sformati (79%) e nel fresco: ortaggi(80%) e frutta (66%);• i campioni irregolari, con residui su-periori ai limiti di legge, hanno frequen-ze pari a: 1% nei cereali e nei prodottitrasformati, 3% negli ortaggi e 2%

nella frutta. Una parte significativa del-le irregolarità è dovuta ad un uso im-proprio, cioè l’uso di un prodotto fito-sanitario autorizzato su una coltivazionediversa da quella per cui è stato regi-strato (ad esempio è stato usato sullepere un prodotto autorizzato all’usosulle mele);• campioni irregolari si rilevano anchetra quelli provenienti dall’agricoltura bio-logica, per la presenza di residui di pro-dotti fitosanitari non ammessi;• negli anni:

– la percentuale dei campioni prividi residuo è in continuo aumento;– la percentuale dei campioni contracce di residui è in forte diminu-zione;– i campioni irregolari sono ridottiormai a un livello minimo pressochécostante.

G.P. Molinari

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Campioni privi di residui

Campioni con residui inferiorial limite di legge

Campioni irregolari

22,1%

2,8%

75,1%

Figura 2

Incidenza dei residui diprodotto fitosanitarinegli alimenti (indagineONR 2003 - Dati delleanalisi effettuate nel2002)

Figura 3 Andamento della contaminazione da residui di prodotti fitosanitari dal 1994al 2002

Qualità e controllo

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% campioni privi di residuo

1994-1996 1997 1998 1999 Anno2000 2001 2002

% campioni irregolari

% campioni con residui inferiori al limite di legge

0

20

40

60

80

100

Figura 4 Confronto fra risultati del monitoraggio CEE 2001 ed elaborazione ONR 2003su dati 2002

con residui superiore al RMA

Frutta e ortaggi

CEE

privi di residuocon residui nei limiti di legge

0

20

40

60

80

100ONR

Prodotti trasformati

CEE ONR

Cereali e derivati

CEE ONR

Totale

CEE ONR

Nella valutazione del rischio per ilconsumatore è stata stimata l’assun-zione giornaliera a livello nazionale(NEDI) e quindi confrontata con i ri-spettivi valori di ADI, cioè con la quan-tità della sostanza che può essere in-gerita ogni giorno per tutta la vita senzaalcun rischio per la salute, stabilita dal-la Comunità Scientifica (WHO, EPA,ISS ecc.).

Il confronto tra i valori di NEDI e diADI per ciascuna sostanza, ha portatoai seguenti risultati:• il 70% delle sostanze attive nonavendo lasciato residui non ha assun-zione;

• il 22% delle sostanze attive incide perquantità inferiori allo 0,01% dell’ADI,(inferiori a 1/10.000), cioè vi è un fat-tore di sicurezza pari a 10.000;• il 55% si pone nell’intervallo fra lo0,01 e lo 0,1% dell’ADI (tra 1/10.000e 1/1.000), cioè con un fattore di sicu-rezza fra 1000 e 10.000;• i l 2% si pone fra lo 0,1 e l’1%dell’ADI (tra 1/1.000 e 1/100), cioècon un fattore di sicurezza fra 100 e1.000;• soltanto lo 0,3% delle sostanze incideper quantità superiore all’1% dell’ADI,(tra 1/100 e 1/40), cioè con un fattoredi sicurezza fra 100 e 40.

G.P. Molinari

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Figura 5 Andamento del rischio (NEDI/ADI%) dovuto ai residui ingeriti dai consumatoriitaliani da 1994 al 2002

Da 0,1% a 1% fattore di sicurezza da 100 a 1.000

>1% fattore di sicurezza = 100

1994-1996 1997 1998 1999 Anno2000 2001 20020

20

40

60

80

100

Fino a 0,01% fattore di sicurezza = 10.000

Da 0,01% a 0,1% fattore di sicurezza da 1.000 a 10.000

Dai dati illustrati precedentementesi delinea per l’Italia una situazione ras-sicurante.• Il numero di campioni controllati in Ita-lia è molto elevato se confrontato con ilnumero di quelli contemplati dai con-trolli ufficiali condotti in diversi paesi eu-ropei e dalla FDA negli Stati Uniti. Te-nendo conto che oltre al monitoraggiodel Ministero della Salute, altri controllivengono condotti per conto del Ministe-ro delle Politiche Agricole e Forestali edai privati, si può affermare che in Italiale produzioni agro-alimentari sono alta-mente controllate.• La sicurezza alimentare è sempre piùgarantita.• I dati confermano una stabilità nella li-nea di tendenza alla riduzione dei resi-dui sotto i limiti massimi legalmenteammessi.• I dati delle indagini svolte dal 1994 al2002 confermano sostanzialmente chei residui dei prodotti fitosanitari riscon-trati negli alimenti non incidono assolu-tamente sulla qualità della dieta delconsumatore italiano.• Nelle diete degli italiani, la concentra-zione dei residui di prodotti fitosanitari ètalmente bassa rispetto alla quantità dialimenti ingeriti in ogni tipologia di dieta,da assicurare la sicurezza alimentare inogni caso.

Anche le alimentazioni particolari desti-nate ai bambini piccoli o agli anziani,non comportano rischi tossicologici,stando l’elevato fattore di sicurezza (da100 a 10.000 esistente fra dose as-sunta (stimata) (NEDI) e dose giornalie-ra accettabile tossicologicamente (ADIo DGA).

Qualità e controllo

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Introduzione

La storia del genere umano si in-treccia con quella dei suoi sforzi per laconservazione nel tempo delle sostanzealimentari; l’eliminazione dei batteri pa-togeni e di quelli contaminanti ha sem-pre costituito uno dei cardini delle tec-nologie alimentari. Si può quindi com-prendere come il settore della sicurezzamicrobiologica degli alimenti sia vasto ecomprenda aspetti molto diversi fra loro.

Il presente capitolo, non potendoevidentemente affrontare tutti gli aspetticoinvolti, sarà focalizzato su alcuni parti-colari aspetti, che possono riguardaredirettamente i consumatori.

Il controllo della sicurezza microbio-logica è coordinato a livello internazio-nale dalle agenzie dell’ONU come laFAO o l’OMS. Negli Stati Uniti i con-trolli sono affidati alla Food and DrugAdministration (FDA) e al Dipartimentoper l’Agricoltura. L’Unione Europeaprovvede con la Direzione Generale per

la salute e la tutela del consumatore el’Agenzia per la sicurezza degli alimentiEuropean Food Safety Authority(E.F.S.A.), creata pochi anni fa a segui-to della crisi dovuta al problema “muccapazza”. In Italia, la vigilanza è affidata alivello centrale al Ministero della Salutee all’Istituto Superiore di Sanità (I.S.S.),il quale si occupa anche delle analisi direvisione e di una serie di compiti tecni-co-scientifici.

A livello territoriale, operano le Re-gioni e le Provincie Autonome di Trentoe Bolzano, i Dipartimenti di Prevenzionedelle Aziende Sanitarie Locali attraversoi Servizi di Igiene degli Alimenti e dellaNutrizione (S.I.A.N.), ed i Servizi Veteri-nari (S.V.), nonché, per gli accertamentianalitici di laboratorio, i Presidi Multizo-nali di Prevenzione (P.M.P.), gli IstitutiZooprofilattici Sperimentali (I.Z.S.) e leAgenzie Regionali Protezione Ambiente(A.R.P.A.), con varie articolazioni sulterritorio (Assessorati regionali alla sa-nità, ASL).

79

SS icurezza Microbiologica

L. Morelli

Istituto di Microbiologia, Facoltà di Agraria Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza

È difficile ottenere stime accuratesull’incidenza delle patologie legate allacontaminazione microbica degli alimenti,in quanto, ad eccezione del colera (malat-tia causata da un Vibrio cholerae, unbatterio patogeno capace di viverenell’acqua marina ma anche nell’intesti-no), non vi è obbligo legale di un’allertainternazionale.

Da notare però come in Italia esi-sta, per le infezioni, tossinfezioni e infe-

stazioni di origine alimentare, l’obbligodi notifica ai sensi del D.M. 15 Dicem-bre 1990.

Per quanto riguarda le stime disponi-bili si calcola che, negli Stati Uniti, le tos-sinfezioni alimentari producano ogni anno76 milioni di casi di malattia e 325.000ricoveri ospedalieri, con un’incidenza dioltre 1 persona su 1.000 (Tabella 1).

Uno studio olandese ha stimatoun’incidenza annua di gastro-enteriti

Sicurezza microbiologica

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Tabella 1

Casi segnalati in USA, 1999*

Casi segnalati per mezzo di sorveglianza

Casi Attiva Passiva Focolai Mortalità

Bacillus cereus 27.360 720 72 0,0000

Clostridium botulinum 58 29 0,0769

Brucella spp 1.554 111 0,0500

Campylobacter spp 2.453.926 64.577 37.496 146 0,0010

Clostridium perfringens 248.520 6.540 654 0,0005

Escherichia coli O157:H7 73.480 3.674 2.725 500 0,0083

Escherichia coli, ETEC 79.420 2.090 209 0,0001

Listeria monocytogenes 2.518 1.259 373 0,2000

Salmonella typhi 824 412 0,0040

Salmonella, non tifoidea 1.412.498 37.171 37.842 3.640 0,0078

Shigella spp 448.240 22.412 17.324 1.476 0,0016

Staphylococcus 185.060 4.870 487 0,0002

Vibrio cholerae 54 27 0,0060

Vibrio vulnificus 94 47 0,3900

Vibrio, altre specie 7.880 393 112 0,0250

Yersinia enterocolitica 96.368 2.536 0,0005

* Rielaborazione dati FDA

(ma senza uno specifico riferimento dal-la catena alimentare) del 28%. Se que-sti ultimi dati venissero estrapolati allatotalità della popolazione mondiale, siotterrebbe il risultato di stimare a un ter-zo della popolazione (almeno nei paesidelle aree sviluppate) la percentuale disoggetti interessati in un anno da pato-logie probabilmente causate dalla conta-minazione microbica degli alimenti.

Benché siano dati a prima vista rile-vanti, si deve però tenere conto dei gran-di numeri che caratterizzano la catena ali-mentare: nel mondo occidentale centi-naia di milioni di persone consumano trepasti al giorno tutti i giorni. Gli alimentiche costituiscono le razioni di questi pastisono generalmente prodotti in luoghi di-stanti da quelli in cui vengono consumatie sono stati trasportati e conservati pertempi considerevolmente lunghi.

Si deve quindi considerare elevato,almeno nel mondo occidentale, il gradodi sicurezza microbiologica degli alimen-

ti, e ciò anche in conseguenza dei con-trolli rigorosi effettuati dai produttori edalle autorità (Tabella 2).

Ma ogni medaglia ha il suo rove-scio; la sostanziale sconfitta dei batteripatogeni “classici”, quelli tradizional-mente legati alle tossinfezioni alimenta-ri, ha aperto la porta allo sviluppo dinuovi batteri patogeni, i cosiddetti“emergenti”.

Sono batteri, come illustrato piùavanti, da sempre presenti nella catenaalimentare, ma che non riuscivano araggiungere la concentrazione necessa-ria a causare patologie per merito dellapressione selettiva esercitata dagli altribatteri presenti nell’alimento.

Pratiche di produzione più igieniche otecnologie di produzione più avanzate perla conservazione del contenuto nutrizio-nale degli alimenti, hanno ridotto la caricabatterica totale (il che è un dato sicura-mente positivo) ma hanno aperto spazi dicrescita numerica a questi batteri.

L. Morell i

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QUASI 1 MILIARDO Gli autocontrolli all’anno in base al sistema HACCP/qualità

80 MILA Le analisi all’anno per ciascuno dei 12 mila stabilimenti

OLTRE 85 MILA Le visite ispettive effettuate nel 2001 dai Nase dalla Repressione Frodi

57 MILA Gli addetti (1/5 del totale) che concorrono in modo direttoalla sicurezza

1.400 MILIONI DI EURO La spesa per le analisi, controllo e ricerca applicataper la sicurezza e qualità(1,6% del fatturato totale dell’Industria alimentare)

Tabella 2

I controlli dell’industriaalimentare italiana.Fonte: DoxaFederalimentare, 2001

Non è negli scopi di questo capitolopassare in rassegna tutte le tecnologiedi sanitizzazione di tipo tradizionale oavanzato ma è probabilmente utile ri-cordarne alcune fra quelle di più vastaapplicazione.

Trattamenti termici

Si basano sui trattamenti ad altatemperatura degli alimenti e sono oggii più diffusi sistemi di bonifica battericadegli alimenti, anche se nei decennipassati hanno stentato ad affermarsiper il timore che i trattamenti potesse-ro incidere negativamente sulle carat-teristiche organolettiche e nutrizionalidei prodotti. L’esperienza ha dimostra-to come l’impiego di questi processiabbia sostanzialmente eliminato le epi-demie di botulismo (causate dalle tos-sine di Clostridium botulinum) daconserve industriali e sostanzialmenteazzerato le epidemie diffuse attraversoil latte.

Pastorizzazione

Questo trattamento deve il suonome a Pasteur che, intorno al 1860,osservò che sottoponendo il vino alla

temperatura di 60 °C per alcuni minutisi potessero evitare i fenomeni di ri-fermentazione da parte dei lieviti rima-sti nel prodotto finito. La pastorizza-zione distrugge la microflora dei liquidiorganici anche oltre il 99%, ma poi-ché non raggiunge temperature suffi-cienti a devitalizzare alcuni microrgani-smi termo-resistenti, né tantomeno lespore batteriche, l’alimento pastoriz-zato deve comunque essere conside-rato come contenente una microfloraresidua e conservato in condizioni attea limitare lo sviluppo di questi micror-ganismi. L’efficacia della pastorizza-zione (ma in generale di tutti i tratta-menti termici) dipende dalla tempera-tura raggiunta e dal tempo di tratta-mento. Esistono tecnologie di pasto-rizzazione diverse con rapporti tem-po/temperatura diversi, ma una regolagenerale è non superare mai la tem-peratura di 100 °C.

Sterilizzazione

Con questo procedimento si eliminala quasi totalità dei microrganismi pre-senti nei liquidi e nei solidi. Il prodottocomunque non garantisce un prodottofinito del tutto asettico: per ottenereuna sterilizzazione completa infatti oc-

Sicurezza microbiologica

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correrebbero, alle temperature impiega-te, tempi molto lunghi con grosse per-dite nutritive.

La sterilizzazione viene utilizzata siaper i prodotti confezionati che sfusi, maaffinché l’azione del calore sia duratura,occorre che tutta la linea di confeziona-mento sia sterile.

Si realizza a diversi livelli di tempe-ratura per un lasso di tempo variabile inrapporto alla temperatura stessa e ai di-versi alimenti; comunque è sempre rea-lizzata a valori superiori a 100 °C, quin-di in pressione di vapore.

Oltre all’azione anti-batterica, lasterilizzazione può eliminare o ridurrel’attività di enzimi e tossine. Questotrattamento è valido per una grande va-rietà di prodotti come legumi, frutta,carne, pesce e alimenti cucinati, ed èefficace molto a lungo, tranne per glialimenti molto acidi come i succhi difrutta e la salsa di pomodoro.

Trattamenti superiori a 140 °C ven-gono applicati soprattutto al latte e indi-cati con la sigla UHT (Ultra High Tem-perature). I tempi in questo caso si ri-ducono a pochi secondi.

Dal punto di vista nutrizionale, lasterilizzazione è meno vantaggiosa dellapastorizzazione, in quanto l’alta tempe-ratura denatura le proteine e può inatti-vare le vitamine.

Microfiltrazione

Diversi alimenti liquidi, compreso illatte, possono essere sottoposti a filtra-zione su particolari membrane capaci ditrattenere la flora microbica in modoselettivo, così da ottenere un sensibilemiglioramento delle caratteristiche igie-niche senza danneggiare le proprietànutrizionali.

Nel caso di bevande limpide (birra,vino, succhi limpidi, soft drinks) è possi-bile ottenere ottimi risultati utilizzandomembrane con un diametro dei pori dicirca 0,1 µm.

Per quanto riguarda il latte, vengo-no applicati processi di microfiltrazionesu membrane con diametro dei porileggermente più grande per permettereil passaggio delle caseine (1,4 µm). Pernon intasare i filtri, il processo vieneeseguito su latte scremato; la materiagrassa viene sanitizzata con un tratta-mento termico e poi ricongiunta, nellaquantità voluta, al latte microfiltrato.

Alte pressioni

Il processo di bonifica batterica me-diante alta pressioni è di recente intro-duzione ma sembra poter avere grandipossibilità di applicazione.

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Il processo consiste nel sottoporrela sostanza da sterilizzare a pressionidell’ordine dei 100-800 MPa. La tem-peratura può variare dal sotto zero a so-pra i 100 °C. I tempi di trattamento va-riano da alcuni millisecondi a 20 minuti,anche se per trattamenti prolungati icosti di trattamento sono estremamenteelevati. Se il trattamento ad alta pres-sione avviene a basse temperature nonsi hanno effetti sui legami covalenti,mentre si hanno ottimi risultati nella bo-nifica dai batteri.

Il trattamento ad alta pressioneagisce in modo istantaneo e uniforme,indipendentemente dalla massa, dallaforma e dalla composizione dell’ali-mento.

La fase di compressione alza latemperatura di circa 3 °C per 100 MPa,ma la successiva decompressione la ri-porta al valore originario. Gli alimenti acui è stata applicata questa tecnologiasono i succhi di frutta (il sistema non al-tera le vitamine) e le marmellate.

La prima applicazione industriale diquesta tecnica è del 1991, anno in cuiuna società giapponese la applicò per laconservazione di marmellate; i prodotticosì trattati ritenevano il 95% del conte-nuto originario di vitamina C, mentre lie-viti, muffe e batteri risultavano non piùvitali. Da allora, altre applicazioni di que-

sta tecnica sono state realizzate consuccesso, anche se, al momento, non viè ancora una grande diffusione.

In conclusione possiamo dire cheoggi l’industria possiede potenti sistemidi conservazione degli alimenti, ma ciònon significa purtroppo che il rischioigienico sia azzerato.

È infatti noto che i numerosi casi diinquinamento batterico delle confezionialimentari che acquistiamo non deriva-no da problemi delle strutture industriali,ma piuttosto dall’insorgere di errori tec-nici e/o gestionali.

Le metodologie, recentemente svi-luppate, di controllo dei punti critici(HACCP) sono essenziali per un pro-gramma di sicurezza e di prevenzionesanitaria.

Benché non sia negli scopi di que-sto capitolo l’illustrazione dei sistemiHACCP, è bene ricordare come unadefinizione coniata dall’OrganizzazioneMondiale della Sanità sintetizzi questoconcetto di approccio globale alla sicu-rezza microbiologica degli alimenti con ilseguente principio relativo alla sicurezzaalimentare: “condivisione di responsabi-lità sulla sicurezza degli alimenti”.

Se questo principio, attraverso leprocedure di HACCP e le certificazioni diqualità, si sta radicando nell’industria ali-

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mentare, non altrettanto è avvenuto nellapratica quotidiana del consumatore.

L’allontanamento dell’uomo moder-no dalle fonti primarie di cibo, ha deter-minato una minore consapevolezza delconsumatore dell’origine e delle variefasi della complessa catena di produzio-ne alimentare. Vi deve essere infattiuna cura scrupolosa da parte dei con-sumatori o degli addetti alla manipola-zione degli alimenti negli esercizi com-merciali. Fondamentale, in questo con-testo, l’adozione, a seconda dei prodot-ti, di apposite procedure igieniche dipreparazione e conservazione che negarantiscano la sicurezza. Le strategierelative alla sicurezza alimentare seguitedalle Autorità Alimentari USA (FDA) edEuropea (EFSA) cercano di sottolinearequesta globalità di approccio: “Dalla fat-toria alla forchetta” oppure “Dalla fatto-ria alla tavola”, indicando che anchenell’ultimo passaggio, quello alle nostretavole e relative forchette, vi deve esse-re conoscenza dei rischi e applicazionedi opportune procedure.

Cercheremo pertanto di fornire, nellepagine seguenti, alcune informazioni utilianche ai non addetti ai lavori, proprioperché anche l’ultimo passaggio subitodagli alimenti (conservazione e manipola-zione domestica) ha un’estrema rilevan-za nella sicurezza microbiologica.

Le contaminazionibatteriche piùfrequenti

Qui di seguito una tabella riassunti-va relativa alle contaminazioni batterichedegli alimenti più frequentemente ri-scontrate (Tabella 3).

A commento della tabella si puòaggiungere come i batteri di maggioreincidenza risultino essere Escherichiacoli, Salmonella, Campylobacter, Li-steria, Yersinia enterocolitica.

I primi due sono contaminanti “stori-ci” delle derrate alimentari, gli altri tre so-no invece considerati “patogeni emer-genti” (si veda la definizione fornitaall’inizio di questo capitolo). Gli alleva-menti avicoli possono essere potenzialisorgenti di contaminazione diSalmonella; le salmonellosi sono quindipresenti in modo particolare nei prodottidella filiera avicola (uova e derivati; carniavicole).

Escherichia coli, Salmonella sonoinoltre classici contaminanti fecali, inquanto il loro habitat primario è l’intesti-no; se questo rende i prodotti di origineanimale i più soggetti alla contaminazio-ne da parte di questi due patogeni, an-che i vegetali possono essere conside-rati a rischio. La superficie fogliare è in-fatti portatrice di una popolazione batte-

rica che errate pratiche di irrigazione, adesempio con acque contaminate, puòconfigurare come flora batterica fecalee quindi a rischio di contaminazione.

La flora fecale è anche un rischioper i cosiddetti frutti di mare, che pos-sono raccogliere batteri patogeni dalleacque contaminate da liquami. La pre-

senza di coliformi nelle acque marinenon mette solo a rischio la possibilità dibalneazione, ma rende non adatti alconsumo molti prodotti ittici. La cotturaè sempre una misura di “buona praticadi cucina”, mentre il consumo di prodot-ti ittici crudi, in assenza di certezze sani-tarie, costituisce una pratica a rischio.

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Batterio contaminante Alimenti più frequentementecontaminati

Staphylococcus aureus Piatti cotti pronti e conservati non refrigerati

Listeria monocytogenes Formaggi, verdure, carni(infezione diarroica)

Vibrio Prodotti ittici (frutti di mare) consumati crudi oalimenti manipolati dopo cottura

Escherichia coli: Carni (in assenza di una sufficiente cottura),enteroemorragica o ETEC verdure, acqua enteropatogenica o EPECenteroinvasiva o EIECEscherichia coli 0157: H7

Clostridium perfrigens Carni (roastbeef, arrosti, arrotolati di tacchino),verdure, preparazioni gastronomiche, cibi cotti epoi conservati senza refrigerazione

Clostridium botulinum Conserve a basso grado d’acidità, sott’olioo sotto vuoto o inadeguatamente sterilizzate

Aeromonas spp Acqua, vegetali conservati a lungo in frigorifero,insalate IV gamma pronte all’uso, carni, pesce,gelati, molluschi, torta di crema

Shigella spp Alimenti crudi o poco cotti, mal refrigerati

Vibrio cholerae Alimenti contaminati da acqua infetta, prodotti ittici crudi

Yersinia enterocolitica Carni crude o poco cotte, latte, prodotti lattiero caseari, uova, vegetali, prodotti ittici

Campylobacter jejuni Pollame poco cotto, carni in genere poco crudeo poco cotte, latte non pastorizzato, ostriche

Salmonella Molluschi, prodotti carnei, uova, latticini, vegetali,insalate

Tabella 3

I batteri checontaminano gli alimenti

La flora intestinale di animali in alle-vamento, in buone condizioni di salute,contiene sempre una certa quantità dibatteri potenzialmente patogeni perl’uomo. Pertanto, le uova, le carni diogni tipo, i loro derivati (ad esempio isalumi) il latte e i suoi derivati, devonosempre essere considerati a rischio dicontaminazione. È per questo motivoche la filiera dei prodotti alimentari diorigine animale subisce controlli moltorigidi e viene monitorata lungo tutta lasua vita commerciale. I nuovi criteri dietichettatura delle carni, ad esempio,sebbene introdotti per far fronte alla cri-si di sicurezza dovuta alla BSE, consen-tono anche di tracciare l’origine e il per-corso di ogni singola porzione, cosafondamentale anche per la sicurezzamicrobiologica.

I batteri piùfrequentemente fonte di problemi di contaminazione

Salmonella

Le salmonelle sono batteri Gram-negativi, della famiglia delle Enterobac-teriaceae, causa di diarrea e, nei casigravi, di infezioni sistemiche.

La pericolosità delle salmonelle èlegata allo stato di salute del sogget-to che le ha ingerite, essendo vera-mente pericolose solo nei bambini,negli anziani e nei soggetti immuno-compromessi.

Le salmonelle si trovano nell’intesti-no dei bovini, sulla pelle e nell’intestinodei suini, sulla pelle e nell’intestino delpollame, nelle feci e nelle urine di per-sone infette, nell’acqua inquinata. Han-no un’eccezionale resistenza alle condi-zioni ambientali: ad esempio, si manten-gono vive a lungo nelle feci dei bovini enelle acque stagnanti.

Le salmonelle si sviluppano a tem-peratura superiore a 7 °C o inferiore a45 °C e quindi sopravvivono molto benenegli alimenti conservati a temperaturaambiente. Ad esempio, sopravvivononegli insaccati fino a 90-120 giorni, nelburro fino a 10 settimane, nei formaggifino a 5 settimane, anche in prodotticongelati. Muoiono invece negli alimentipastorizzati, in quanto vengono distruttedopo un’ora a 55 °C e dopo 15 minutia 60 °C.

Le infezioni da salmonella in Italiaprovocano circa 12.000 casi all’anno erappresentano un importante problemadi sanità pubblica, sia per l’elevata mor-bilità sia per il peso economico che essecomportano.

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Campylobacter

Microrganismi della famiglia Spiril-laceae, Gram-negativi, mobili, nonsporigeni.

Due le specie di questo genere piùfrequentemente coinvolte: Campylo-bacter jejuni e Campylobacter coli,che rappresentano i batteri più frequen-temente isolati da casi di diarrea dovutaa tossinfezione alimentare (circa il 20%dei soggetti affetti da diarrea dovuta atossinfenzione alimentare, contro il3,6% di Salmonella e lo 0,6% di Shi-gella). Le carni avicole poco cotte sonola sorgente più comune, anche se il lat-te non ben pastorizzato e acque noncorrettamente potabilizzate sono stateanch’esse fonte di contaminazione.Serbatoio dell’infezione sono gli animali,per lo più volatili domestici, nonché iportatori sani, più numerosi nei paesi invia di sviluppo. Possono essere veicolidi infezione l’acqua (se non clorata), illatte (non pastorizzato) e gli ortaggi. Ilcontagio si verifica per ingestione di unalimento contaminato, ma anche il con-tagio interumano svolge un ruolo di pri-missimo piano. È possibile anche la tra-smissione perinatale.

La durata del periodo di incubazio-ne varia tra 1 e 10 giorni, mentre l’eli-minazione del microrganismo con le feci

dura fino a 8 settimane dall’inizio deisintomi. Esiste immunità, per cui le in-fezioni ripetute sono sempre causate dasierotipi diversi. Colpisce ogni classed’età, anche se predilige le fasce piùbasse, mentre la stagione che registrala maggiore incidenza di casi infettivi ri-sulta essere quella estiva.

Escherichia coli e suoi biotipi

Escherichia coli è il batterio-tipodella flora fecale Gram-negativa e aero-bia, e rappresenta una delle numerosespecie di batteri di cui è composta lanormale flora intestinale di uomini e ani-mali sani. Nell’ambito della specie sonoperò presenti ceppi dotati di fattori di vi-rulenza e associati a ben definite patolo-gie, sia intestinali che extraintestinali. Lecinque principali categorie causa di pato-logie enteriche sono: E. coli enterotossi-gena (ETEC), enteropatogena (EPEC),enteroinvasiva (EIEC), enteroaderente oenteroadesiva (EAEC) ed E. coli produt-tore di verocitotossina (VTEC), compren-dente i ceppi enteroemorragici (EHEC).

Negli ultimi anni, tra i batteri patoge-ni emergenti, hanno acquisito particolareimportanza il gruppo di E. coli produttoridi verocitotossine (VTEC), causa di coliteemorragica e sindrome uremica-emoliti-

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ca. Il primo VTEC ad essere associato amalattia enterica fu il sierotipo 0157:H7,nel 1982, anche se altri sierotipi, non0157:H7 sono in grado di produrreun’analoga patologia nell’uomo.

Le infezioni da E. coli VTEC sonoun tipico esempio di malattie enterichetrasmesse dagli alimenti attraverso la viaoro-fecale che, in questi ultimi anni, so-no state segnalate in tutte le parti delmondo, costituendo un serio problemadi salute pubblica.

Il più importante fattore di rischio èrappresentato dal consumo di carnemacinata di manzo cruda o poco cotta,ma ne è stata dimostrata la presenzaanche in altri tipi di carni.

Yersinia enterocolitica

Microrganismo Gram-negat ivoasporigeno, flagellato, anaerobio facol-tativo. Ne sono stati identificati diversi

Figura 1

Cellule di E. coli

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sierotipi, dovuti a numerosi antigeni so-matici e flagellati. Alcuni stipiti riesconoa produrre un’enterotossina termosta-bile. La malattia è ubiquitaria, anche sepredilige i paesi sviluppati, a clima rigi-do, laddove si trova addirittura al se-condo posto nel determinare gastroen-teriti acute. La stagione in cui si regi-stra il maggior numero di casi è quellainvernale, mentre i soggetti a rischiosono quelli in età pediatrica. L’incuba-zione è di circa una settimana; l’emis-sione di microrganismi con le feci per-siste per 2-3 mesi.

Vibrio

Contrariamente alla contaminazio-ne dei prodotti ittici da batteri coliformi,nel caso dei vibrioni ci si trova di frontea batteri autoctoni dell’ambiente mari-no, adattati poi a proliferare anche nelsistema enterico umano.

Alla famiglia delle Vibrionaceae ap-partengono specie batteriche patogeneo potenzialmente patogene per l’uomo,che contribuiscono alla pericolosità de-gli alimenti ittici, quando questi sianoconsumati crudi. Tra questi microrgani-smi, il più noto è il Vibrio cholerae 01,agente eziologico del colera di cui alcu-ni episodi sono stati registrati anche in

Italia e sono risultati legati al consumodi frutti di mare.

Infatti tra la microflora autoctonadell’ambiente marino è facile riscon-trare batteri con caratteristiche di pa-togenicità che, una volta accumulatinei molluschi, possono rivestire un im-portante ruolo nelle patologie umanee soprattutto nelle gastroenteriti di ori-gine sconosciuta. Anche nei confrontidei processi di depurazione, a cui imolluschi devono essere sottopostiper legge, microrganismi appartenentialla famiglia delle Vibrionacee, comead esempio il V. parahaemolyticus,presentano un comportamento diversoda quello dei germi indici di contami-nazione fecale. Infatti, in base a quan-to riportato in bibliografia, sembra chesiano capaci di aderire più tenace-mente di altri batteri ai tessuti delmollusco, tanto da non essere facil-mente rimossi. Per quanto riguarda levarie specie di questo genere coinvol-te in episodi di tossinfezioni, ricordia-mo anche:• V. parahemolyticus che è la specie

più comunemente isolata da alimen-ti contaminati e causa diarrea ac-quosa e dolori addominali;

• V. vulnificus, più pericoloso del pre-cedente, con un tasso di mortalitàdel 50%.

Staphylococcus

Sono germi Gram-positivi molto dif-fusi in natura, localizzati spesso sullapelle e nelle prime vie respiratorie (boc-ca, naso) degli animali e dell’uomo(specie in presenza di raffreddori), suferite infette e su foruncoli. Si sviluppa-no in presenza di acqua e a temperaturaambiente (fra 6,5 °C e 45 °C).

La contaminazione con questiagenti infettivi riguarda soprattutto pro-sciutto cotto, piatti a base di carne, pol-lame, condimenti, salse, sughi di carne,latte, formaggi, piatti a base di uova,prodotti della pesca (specie crostacei efrutti di mare), insalate di patate, cremedolci e pasticceria alla crema. Veicolo diinfezione sono le mani sporche, utensilicontaminati, starnuti ecc. La contami-nazione avviene di solito dopo la cottu-ra, manipolando, affettando o assag-giando la pietanza e rimettendovi poidentro la posata impiegata per l’assag-gio. L’infezione da stafilococco non èmai grave e dura al più due giorni. Simanifesta da una a sette ore dopo ilpasto (in media fra le 2 e le 4 ore) conun improvviso attacco di nausea, vomi-to, diarrea, crampi addominali, disidra-tazione, sudorazione, debolezza, statogenerale di prostrazione. In genere, lafebbre è assente.

Il problema reale della contaminazio-ne da stafilococco è legato, più che albatterio, alle tossine termostabili che es-so produce.

Le temperature di cottura, infatti, purimpedendo agli stafilococchi di moltipli-carsi, non ne eliminano le tossine nocive.

Questi microrganismi sono di forteinteresse anche in ambito ospedaliero,in quanto frequentemente coinvolti nelleinfezioni nosocomiali.

Clostridium

Sono bacilli anaerobi, Gram-positivie sporigeni, il che significa che risultanoparticolarmente difficili da eliminare con itrattamenti termici di bonifica.

Le due specie a rischio per gli ali-menti sono Clostridium botulinum e Clostridium perfringens.

La tossinfezione da Clostridiumbotulinum è molto grave, con un tassodi mortalità variabile tra il 35 e il 65%.Di per sé il batterio non presenta peri-coli, ma produce una famiglia di neuro-tossine che interferiscono con un neu-rotrasmettitore delle terminazioni nervo-se periferiche, l’acetilcolina. Di conse-guenza la tossina provoca il blocco dialcune funzioni dell’organismo, comequella respiratoria. Se non viene curata

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in tempo con il siero antibotulinico, l’in-fezione può essere mortale o provocareuna parziale paralisi respiratoria ancheper mesi.

Generalmente i primi sintomi dell’in-fezione si manifestano tra le 12 e le 36ore dopo l’ingestione del cibo contami-nato, ma in qualche caso possono pre-sentarsi anche dopo sei giorni.

È proprio la doppia vita batterio-tos-sina a richiedere precauzioni particolarinella preparazione e nella conservazionedegli alimenti.

Le spore del batterio sono presentinel terreno, nel fango, nell’acqua enell’intestino degli animali e sono resi-stenti al calore, mentre la tossina è ter-molabile. Per questo motivo, l’infezionebotulinica riguarda prevalentemente ali-menti crudi o comunque non cucinatidopo l’apertura della confezione. Infatti,

anche alimenti cotti, come il tonno o ilmais, possono conservare le spore op-pure essere contaminati dopo la cottu-ra, al momento di metterli in vasetto oin scatola; se l’alimento non subiscesuccessivamente un’ulteriore cottura,può provocare l’infezione. Questi rischisono presenti soprattutto negli alimentifatti in casa, dove non è possibile rag-giungere nella bollitura temperature su-periori a 100 gradi (tranne che con lapentola a pressione); mentre general-mente i prodotti industriali, anche perquesto motivo, vengono trattati termica-mente a temperature superiori. La stes-sa precauzione va presa per il conteni-tore, che a sua volta deve essere steri-lizzato prima dell’impiego.

Anche il freddo è un nemico delbatterio. Non lo uccide, ma a tempera-ture inferiori ai 3,5 °C non vi è più pro-

Figura 2

Clostridium sporogenescon spora apicale

duzione della tossina. Ecco perché èfondamentale per alcuni alimenti la con-servazione a temperature basse.

A causa della presenza delle spo-re nel terreno, le verdure e i vegetaliin genere sono a rischio di contamina-zione; nel caso della verdura fresca, èimportante perciò eliminare subito lapresenza di terra con ripetuti lavaggi.Si sono verificati casi di botulismocausato dalla permanenza di terra sot-to le unghie di chi ha manipolato oconsumato verdure: un altro buon mo-tivo per lavarsi sempre accuratamentele mani prima e dopo aver preparato ipasti. Non è facile scoprire un alimen-to contaminato dal botulino. Il batterio

o la tossina non determinano sostan-ziali modifiche dell’aspetto o del sapo-re dei cibi.

Molto meno pericoloso è Clostri-dium perfringens, che causa forticrampi addominali e diarrea. La patolo-gia è di solito auto-contenuta e si esau-risce in uno-due giorni; solo le catego-rie a rischio (bambini, anziani e soggettiimmuno-compromessi) possono subirecomplicazioni da questo batterio.

Bacillus cereus

Il Bacillus cereus è un bacillo spori-geno, aerobio, Gram-positivo, patogeno

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Figura 3

Cellule e spore diBacillus cereus

perchè produce tossine responsabili diintossicazioni alimentari. È comune-mente presente nel suolo e nella pol-vere. Esso contamina frequentementealimenti a base di riso e, occasional-mente, pasta, carne e vegetali, pro-dotti lattiero-caseari, minestre, salse,dolciumi che non sono stati raffreddatirapidamente ed efficacemente dopo lacottura e/o adeguatamente conservati.

In Europa si sono verificati casi digastroenterite, diarrea e avvelena-mento emetico gravi e talvolta fatali,causati dalle tossine più attive di B.cereus, anche se pochissimi sono ibatteri in grado di causare la malattia.B. cereus è comune negli alimenti,dove forma spore resistenti alla mag-gior parte dei processi di risanamento,e dove è in grado di moltiplicarsi du-rante la conservazione.

Listeria

Si tratta di un bacillo Gram-positivo,mobile ed è uno dei batteri patogeniemergenti a causa della variazione av-venuta nelle tecnologie di produzione dialcuni alimenti, principalmente i formag-gi di fresco consumo e quelli erborinati.Conosciuto fin dalle origini della micro-biologia come agente patogeno, era

però rarissimo e confinato all’ambienteveterinario; erano infatti gli animali iportatori di questo germe e le personea rischio contaminazione erano sola-mente i veterinari e gli operatori zoo-tecnici.

La riduzione dell’acidità nei pro-dotti lattiero-caseari (oggi il consuma-tore predilige prodotti poco acidi) e lepratiche di sanitizzazione che hannoeliminato la flora banale che compete-va contro Listeria sono fra i principalifattori che hanno portato questo ger-me ad “emergere” come patogeno.

Oggi alcuni studi suggerisconocome una percentuale fra l’1 e il 10%della popolazione possa essere consi-derata portatrice di L. monocytoge-nes; questa specie è stata trovata in37 specie di mammiferi, domestici eselvatici, come pure in 17 specie divolatili. L. monocytogenes è abba-stanza resistente al calore e alla refri-gerazione, almeno in confronto conaltri batteri non sporigeni.

Le persone più a rischio sono ledonne in gravidanza, gl i anziani, ibambini molto piccoli e i malati il cuisistema immunitario si trova in condi-z ion i precar ie. I l s intomo in iz ia ledell’infezione, che può insorgere dopo4 giorni-3 settimane dal momento delcontatto col bacillo, è la febbre alta e

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improvvisa, accompagnata da nausea,vomito, fino a meningite o aborto delledonne in gravidanza. La listeriosi vienetrasmessa in particolare da alimentiquali i formaggi a pasta molle (che dasoli sono responsabili di oltre la metàdei casi), il latte non pastorizzato, lasalsiccia cruda, alcuni vegetali e fruttinon lavati.

La Listeria monocytogenes so-pravvive infatti bene alla temperaturadi 4 °C, che si ha normalmente neifrigoriferi, ma viene uccisa con unapermanenza di 5 minuti a 80 °C. Daqui la misura precauzionale più impor-tante: non mangiare crudi i cibi chepossono trasmetterla.

Antibiotico-Resistenza

Alla contaminazione batterica vera epropria si è aggiunta, negli ultimi anni, lapresenza di determinanti genetiche perl’antibiotico-resistenza nei batteri presen-ti negli alimenti.

Questo problema è legato al vastouso che è stato fatto nel passato di so-stanze antibatteriche utilizzate come pro-motori della crescita di animali da reddi-to, uso che ha portato a selezionare bat-teri non patogeni ma antibiotico-resi-stenti.

Questi batteri sono poi presenti neglialimenti e arrivano al consumatore finale,contribuendo ad aumentare i rischi delladiffusione di geni per l’antibiotico-resi-stenza anche in germi patogeni, con ri-schio per la salute del consumatore.

La situazione ha raggiunto elevati li-velli di gravità, tanto da interessare lastessa Organizzazione Mondiale dellaSanità. L’Unione Europea, a sua volta,ha messo al bando, a partire dal 1997,alcuni antibiotici utilizzati in zootecnia,ma la selezione di batteri antibiotico-re-sistenti a livello ambientale era già av-venuta.

Alcuni paesi scandinavi hanno daanni avviato progetti di monitoraggio del-la presenza di antibiotico-resistenze neibatteri presenti nella filiera alimentare,collegati a politiche di messa al bandodelle sostanze antibiotiche, più restrittivedi quelle comunitarie.

Uno studio recente ha evidenziatocome i ceppi di Listeria isolati da alimen-ti abbiano una limitata presenza di geniper l’antibiotico-resistenza, ma tuttavia lapercentuale è in crescita con il passaredegli anni.

Nei paesi industrializzati è stato di-mostrato che gli alimenti di origine ani-male sono la fonte primaria di tossinfe-zioni da batteri antibiotico-resistenti.

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La sicurezzamicrobiologicadomestica

Alcuni problemi di tipo microbiologi-co possono essere riscontrati nel perio-do “post acquisto” dei prodotti. La sta-bilità microbiologica degli alimenti è in-fatti garantita quando le confezioni sonochiuse e, una volta aperte, conservatein maniera appropriata e per il periodopiù breve possibile. Ancora più interes-sante un altro studio della FDA, svoltonel 1997, in cui si dimostra come leprocedure di preparazione degli alimentinelle cucine americane non rispettasse,nel 99% dei casi, gli standards di sicu-rezza fissati dalla stessa FDA per le in-dustrie alimentari. In particolare risulta-vano mancanze del tipo:• le mani non venivano lavate primadella manipolazione dei cibi;• una contaminazione crociata di ali-menti veniva regolarmente effettuata(ad esempio utilizzando lo stesso coltel-lo per alimenti diversi);• la conservazione non seguiva nor-me corrette (temperatura, date discadenza).

I criteri adottati durante questa ana-lisi suddividevano le violazioni alle nor-me di sicurezza alimentari in tre catego-

rie (minori, maggiori, critiche). Le viola-zioni considerate critiche erano quelleche, di per sé, si riteneva potesserocausare malattie, mentre quelle “mag-giori” risultavano pericolose solo in pre-senza di altre violazioni. Per ritenere “si-cura” una cucina, l’esame delle proce-dure seguite nelle normali cucine do-mestiche non doveva totalizzare più di 4violazioni fra quelle maggiori e nessunaviolazione critica.

Fra i 106 casi esaminati in 81 cittàdistribuite in tutti gli Stati Uniti e il Ca-nada, le contaminazioni crociate venne-ro rilevate nel 76% dei casi, le mancan-ze nel lavaggio delle mani nel 57% e lacattiva o mancata refrigerazione nel29%: tutte queste sono considerateviolazioni critiche.

Almeno una violazione critica vennerilevata nel 96% dei casi, ma la mediadi violazioni critiche osservate per ognicucina esaminata risultò di tre!

Altre violazioni frequentemente os-servate erano:• riporre i cibi in frigoriferi senza coprirli(si formano aerosol che distribuiscono ibatteri da un alimento all’altro, creandoi presupposti per uno sviluppo battericopotenzialmente anomalo);• scongelamento di cibi surgelat inon seguito da un consumo in tempibrevi.

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Questi dati dovrebbero far rifletteree indurre a un’azione di educazione ali-mentare volta anche al rispetto dellenorme di igiene dal punto di vista mi-crobiologico; curiosamente, sembra cheper quanto riguarda la sicurezza alimen-tare i consumatori si aspettino più at-tenzione da parte degli altri soggetticoinvolti di quanto essi stessi non sianodisposti a porvi.

Sembra perciò interessante riporta-re alcuni consigli sul come organizzarela pratica domestica seguendo dellebuone norme di manipolazione e con-servazione degli alimenti:• non mangiare mai alimenti crudi diprovenienza animale come pollame,

carne di maiale e di vitello, ma cuocerlibene prima dell’assunzione; • lavare minuziosamente i vegetali crudiprima di mangiarli;• tenere separati i cibi cotti e prontiper essere consumati da quelli crudi;• evitare il consumo di latte appenamunto e non pastorizzato;• lavare le mani, i coltelli e i tegami do-po aver maneggiato i cibi crudi; • osservare scrupolosamente la data discadenza, che comunque si riferisce al-la confezione conservata come da indi-cazioni e, soprattutto, non aperta! (ri-cordare che, una volta aperta la confe-zione, il contenuto deve essere consu-mato in tempi molto brevi);

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Età (anni)

E. coli 0157:H7

Salmonella

Campylobacter

30-<40 40-<50

Figura 4

Dati di incidenza delle infezioni entericheda alimenti in diversefasce d’età.Rielaborazioni di datiUSA forniti daCDC/USDA/FDA (1999).

• le operazioni di macinatura e tagliodelle carni e delle verdure aumentano lepossibilità di sviluppo batterico (vengo-no messe a disposizione delle cellulebatteriche presenti più superficie e piùnutrienti).

Una particolare attenzione deve es-sere posta nella manipolazione deglialimenti per i bambini, che risultano es-sere una categoria a rischio di infezio-ne batterica. In figura 4 è riportato ungrafico rielaborato da dati USA che illu-stra efficacemente la maggiore inci-denza relativa delle tossinfezioni batte-riche dovute ad alimenti contaminati inetà pediatrica.

Appare evidente come l’età da 1 a10 anni sia particolarmente esposta alleinfezioni da batterici enterici.

Gli operatori del settore hanno per-ciò il compito di informare genitori e chisi prende di cura dei bambini di questaparticolare sensibilità e agire di conse-guenza.

Conclusione

La situazione della contaminazionemicrobiologica degli alimenti è quindioggi di livello molto buono nei paesi oc-cidentali. In particolare gli alimenti desti-

nati alle fasce più deboli della popolazio-ne, come la prima infanzia, risultanoparticolarmente ben controllati e sicuri.

Secondo dati del Ministero della Sa-lute, il numero di campioni di alimenti perl’infanzia analizzati dalle strutture del Mi-nistero stesso e trovati irregolari è fra ipiù bassi delle varie categorie merceolo-giche e rappresenta un indicatore di unbuon livello di sicurezza alimentare. È be-ne ricordare come le industrie produttriciapplichino controlli lungo tutta la filiera diproduzione e non solo sul prodotto finale.

Quanto sopra detto non deve peròindurre a ritenere che, nonostante glisforzi delle autorità competenti, nel con-trollo sull’intera filiera produttiva del set-tore agro-alimentare nonché sulla distri-buzione, la contaminazione microbicadelle derrate alimentari, non debba con-tinuare a essere un argomento di quoti-diana rilevanza.

Riferimenti bibliografici

La bibliografia è stata organizzata per fornire allettore alcuni riferimenti essenziali e, in alcuni ca-si, di facile e libero accesso su Internet; adesempio sono stati di preferenza citati articoli ilcui testo completo è ad accesso gratuito.Di seguito segnaliamo alcuni siti web per saper-ne di più e ottenere un costante aggiornamentosulle patologie legate alla catena alimentare:

http://www.cfsan.fda.gov/~mow/foodborn.htmlÈ il sito della FDA; da leggere il BAD BUG BOOK,

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testo on-line con le caratteristiche dei principali bat-teri patogeni.

http://www.epicentro.iss.it/Il sito del Laboratorio di Epidemiologia dell’IstitutoSuperiore di Sanità, nell’ambito del Progetto per unOsservatorio Epidemiologico Nazionale. Epicentro èuno strumento di lavoro per gli operatori di sanitàpubblica, prodotto per migliorare l’accesso all’infor-mazione epidemiologica, nell’ambito del servizio sa-nitario, tramite l’uso della rete Internet.

http://www.ministerosalute.it/alimenti/sicurezza/si-curezza.jspLa sezione del sito web del Ministero della Salutededicate alla sicurezza alimentare.

http://www.efsa.eu.int/Il sito dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimen-tare; qui si può scaricare il testo di base per la sicu-rezza alimentare in Europa, il così detto “White Pa-per” nonchè gli aggiornamenti della Legislazione eu-ropea in materia.

http://www.iss.it/Il sito dell’Istituto Superiore di Sanità.

http://www.nal.usda.gov/fsrio/fsresearchrpts.htmIl sito del Dipartimenti dell’Agricoltura USA (USDA)dedicato alla sicurezza alimentare.

http://www.microbes.info/resources/Food_Micro-biology/Un motore di ricerca dedicata ai microrganismi, conuna sezione specifica per la sicurezza alimentare.

http://www.foodsafety.gov/Un motore di ricerca governativo USA per la sicu-rezza.

http://www.foodsafety.gov/http://www.fao.org/http://www.who.int./I siti ONU dedicati agli alimenti.

http://journals.asm.org/È il sito dell’American Society of Microbiology, le cuiriviste vengono rese leggibili gratuitamente a pochimesi dalla pubblicazione.

Per quanto riguarda le referenze “cartacee” la bi-bliografia è stata suddivisa con lo stesso ordinedel testo.

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Sicurezza microbiologica

100

Introduzione

I composti chimici noti con il nomedi micotossine sono sostanze ad azio-ne tossica prodotte, in particolari con-dizioni ambientali, da numerose speciedi funghi filamentosi microscopici. Ilnumero di muffe tossigene note è an-dato crescendo negli ultimi decenni e,accanto alle “micotossine principali”,sono disponibili informazioni circa unaclasse di micotossine meno studiate(“micotossine minori”) che potrebberoessere classificate fra i rischi emer-genti.

Nonostante lo studio sistematicodelle micotossine sia iniziato da più diquarant’anni, solo recentemente il loropotenziale impatto sulla salute dell’uo-mo e degli animali ha ricevuto unacrescente attenzione sia da parte dellacomunità scientifica e delle organizza-zioni internazionali interessate ai pro-blemi di sicurezza alimentare, sia daparte dei produttori e delle autorità

preposte alla gestione del rischio. Tut-tavia, anche se negli ultimi anni le as-sociazioni dei consumatori hanno di-mostrato crescente attenzione al pro-blema, resta tuttora scarsa la cono-scenza, quindi l’interesse del consu-matore medio, circa il problema di si-curezza alimentare legato alla conta-minazione da micotossine.

A causa della elevata diffusione etossicità di queste sostanze, del nume-ro crescente di derrate alimentari rico-nosciuto passibile di contaminazione,dell’impatto sanitario, economico, com-merciale ed etico di questi tossici, leautorità competenti di molti Paesi delmondo attualmente considerano il pro-blema delle micotossine fra le prioritàin tema di sicurezza alimentare. Inoltrenell’ultimo decennio organizzazioni in-ternazionali quali il CODEX Alimenta-rious, la FAO (Food and Agriculture Or-ganization) e il WHO (OrganizzazioneMondiale della Sanità) hanno assuntola leadership nel difficile compito di in-

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LL e micotossine nella filieraagroalimentare:informazioni generalied impatto sulla salutedell’uomo e degli animaliM. Miraglia, F. Debegnach, C. BreraIstituto Superiore di Sanità, Centro Nazionale per la qualità degli Alimenti e per i RischiAlimentari, Reparto Organismi Geneticamente Modificati e Xenobiotici di Origine Fungina

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dividuare e stabilire criteri per l’analisidel rischio e per l’armonizzazione delleprocedure a questa connesse.

Produzione di micotossine

Le muffe tossigene producono mi-cotossine secondo vie metaboliche se-condarie a seguito di stress ambientalicui la pianta è stata sottoposta. Lemuffe particolarmente ubiquitarie e dif-fuse appartengono al genere Aspergil-lus, Penicillium e Fusarium e le mico-tossine principali da questi prodottesono le aflatossine (AFLs), l’ocratossi-na A (OTA), le fumonisine (FBs), i trico-teceni, lo zearalenone (ZEA), la patuli-na e le tossine dell’ergot. Oltre a que-ste micotossine particolarmente inve-stigate, sono noti un numero conside-revole di altri metaboliti fungini per iquali frequenza di contaminazione estudi di tossicità suggeriscono unamaggiore attenzione da parte sia dellacomunità scientifica sia delle strutturepreposte alla tutela della salute dell’uo-mo e degli animali. Questa lista di tos-sine include l’acido ciclopiazonico, lasterigmatocistina, la gliotossina, la citri-nina, le tossine tremorgeniche, quali ilpenitrem, la fusarina C, l’acido fusarico,

l’acido penicillico, l’acido micofenolico,la rocfortina, la tossina PR e le tossineprodotte dal genere Stachybotrys, chesembrano particolarmente rilevanti pergli ambienti domestici.

Le micotossine sono sostanze chi-miche che residuano nelle derrate ali-mentari anche laddove la muffa abbiacessato il suo ciclo vitale o sia stata ri-mossa dalle operazioni tecnologiche dilavorazione dell’alimento o del mangi-me. Inoltre le principali micotossinesono resistenti alle normali operazionidi cottura degli alimenti. Le condizioniche influenzano la biosintesi delle mi-cotossine sono peculiari per le singolespecie e includono condizioni geogra-fiche ed ambientali, pratiche di coltiva-zione, stoccaggio e tipo di substrato.Un’eccellente rassegna sui parametriche influenzano la crescita fungina perle più importanti specie fungine e labiosintesi delle principali micotossineè fornita dal Report del CAST (Councilfor Agricultural Science and Techno-logy) pubblicato recentemente.

Presenza di micotossine

in alimenti e mangimi

Il numero delle matrici alimentariper le quali l’incidenza di micotossine ha

Le micotossine nella f il iera agroal imentare

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suscitato motivi di preoccupazione è an-dato crescendo negli ultimi anni, inclu-dendo sia materie prime quali cereali,semi oleaginosi, semi di caffè e cacao,spezie, frutta secca ed essiccata, siaprodotti derivati e trasformati quali vino,birra, uvetta, cacao e cioccolata, caffètostato e succhi di frutta. I processi tec-nologici in grado di ridurre il livello delletossine inizialmente presenti nelle mate-rie prime sono pochi; in particolare i trat-tamenti alcalini, come ad esempio la raf-finazione degli oli che degrada le afla-tossine presenti nei semi oleaginosi, o latostatura del caffè che riduce fino al50% l’ocratossina A presente nei semigrezzi. Inoltre alcuni processi tecnologicicomportano una variazione del livello ditossina nei prodotti derivati: il processodi molitura dei cereali implica una con-centrazione di tossina nelle parti crusca-li e una diminuzione nelle frazioni piùraffinate, dipendente dal tipo di tossinae di cereale. Gli studi finora effettuati ri-guardano l’aflatossina B1, l’OTA e la fu-monisina B1. Per quanto concerne l’afla-tossina M1 (AFM1), nei formaggi è statogeneralmente osservato un aumentodi concentrazione dal latte al prodottofinito.

Livelli preoccupanti di OTA sonostati di recente evidenziati nel latte ma-terno. In particolare un monitoraggio

eseguito su circa 500 campioni di latteprelevati nelle varie regioni italiane haevidenziato una percentuale elevata(63%) di campioni contaminati a livellicompresi tra 0,017 e 2,350 ng/ml. Solonel 34% dei campioni la contaminazio-ne era inferiore al valore massimo di in-take di 5 ng/kgpc/giorno raccomanda-to dal Scientific Committee for Food(UE) per la popolazione adulta. Studi ul-teriori saranno necessari per verificarese altre micotossine possono esseretrasferite nel latte materno, fonte prezio-sa di nutrimento per una fascia di popo-lazione particolarmente a rischio.

La presenza di micotossine neimangimi, oltre a rappresentare un pro-blema di vastissime proporzioni per gliallevamenti, può costituire un’ulteriorefonte di rischio per l’uomo, attraverso iltrasferimento di tossine nei prodottid’origine animale quali il latte e i pro-dotti lattiero-caseari, la carne e le uo-va. Fra le micotossine più frequente-mente riscontrate in questa tipologiadi prodotti un ruolo primario è rivestitodall’aflatossina M1, prodotta negli ani-mal i da latte per idrossi lazionedell’aflatossina B1 in ragione dell’1-6% rispetto alla tossina genitrice, el’OTA nei prodotti derivati dai suini.Storicamente in Europa il latte rappre-senta la prima matrice alimentare per

M. Miragl ia , F . Debegnach, C. Brera

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la quale sono state adottate misurepreventive per la presenza di AFM1,attraverso la definizione di limiti perl’AFB1 nei mangimi. Un problema digrande attualità è rappresentato dal li-vello di AFM1 nei formaggi; tale livellodipende, come sopra menzionato, dafattori di concentrazione della tossinadurante il processo di caseificazione.Questi fattori non sono attualmentenoti e costituiscono motivo di dibattitonell’ambito del controllo della tossinanei prodotti lattiero-caseari. Un’ulterio-re fonte di assunzione di micotossineda parte di alcune fasce di popolazio-ne è rappresentata dall’inalazione dipolveri aereodisperse contaminate damicotossine. Questa circostanza puòverificarsi sia in ambienti di lavoro in

cui sono trattate derrate contaminate,sia in ambienti domestici in cui le cat-tive condizioni igienico-ambientali han-no portato all’ammuffimento delle pa-reti. In figura 1 sono rappresentate leinterrelazioni attualmente documenta-te fra micotossine e uomo/animali.

L’analisi del rischioda micotossine

Le informazioni disponibili sulla gra-vità del significato globale delle mico-tossine e circa il loro impatto sulla salu-te dell’uomo e degli animali hanno spin-to le organizzazioni nazionali e interna-zionali ad intraprendere l’analisi siste-matica del rischio attribuibile a questi

Le micotossine nella f il iera agroal imentare

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Inalazione

Contaminazionefungina

Mangime

Materie prime e prodottialimentari finiti

Micotossine

Figura 1

Interrelazionifra micotossinee uomo/animali

composti. I criteri seguiti sono conformiallo schema proposto da FAO/WHO(1995) secondo cui l’analisi del rischioè costituita dai tre elementi specifici divalutazione, comunicazione e gestionedel rischio, ciascuno dei quali costituitoda diverse componenti. Per alcune so-stanze chimiche, quali i pesticidi, l’anali-si del rischio è stata già effettuata inmaniera organica, mentre per le mico-tossine molti aspetti sono ancora dasviluppare e da armonizzare. Alcuniaspetti dell’analisi del rischio da mico-tossine vengono di seguito presi inconsiderazione, con particolare riferi-mento alla valutazione e alla gestionedel rischio. Queste due componenti nondevono essere considerate totalmentedisgiunte poiché alcuni loro elementi,quali l’incidenza di contaminazione e ladisponibilità d’idonei metodi di campio-namento e d’analisi, giocano un ruoloimportante in entrambe le componenti.

Valutazione del rischio

La valutazione del rischio, cui con-tribuisce sia l’identificazione e la carat-terizzazione del pericolo riferibile allasostanza tossica, sia la valutazionedell’esposizione, è stata sviluppata inmaniera organica, specialmente in Eu-

ropa, per le principali micotossine, an-che se molti dei risultati ottenuti sug-geriscono la necessità di ulteriori ap-profondimenti.

La caratterizzazione del pericolo,cioè la valutazione qualitativa e quantita-tiva della natura dell’effetto tossico, èstata sufficientemente sviluppata per leprincipali micotossine quali aflatossine,OTA, fusariotossine e patulina, mentreper le micotossine “minori” sono neces-sarie ulteriori ricerche. A causa del cam-mino biosintetico differenziato, che por-ta alla formazione delle varie micotossi-ne, la loro struttura chimica è molto di-versificata, pertanto gli effetti tossicinell’uomo e negli animali sono molto di-versi e in massima parte riconducibili al-la formazione di addotti con vari recet-tori molecolari quali DNA, RNA, protei-ne funzionali, cofattori enzimatici e co-stituenti di membrana. Un moderno ap-proccio per la classificazione della tossi-cità delle micotossine è basato sulla va-lutazione dell’effetto tossico sui vari or-gani o sistema bersaglio. Il fegato è l’or-gano bersaglio per le aflatossine, masono riportati effetti tossici da parte an-che delle fumonisine e della sporidesmi-na; i tricoteceni esercitano un’azionetossica sul sistema gastrointestinale esu quello ematopoietico, mentre il siste-ma renale e urogenitale rappresenta

M. Miragl ia , F . Debegnach, C. Brera

105

Le micotossine nella f il iera agroal imentare

106

l’organo bersaglio soprattutto da partedell’OTA, ma anche del 4-deossinivale-nolo (DON). Effetti tossici sul sistema ri-produttivo sono particolarmente evidentiper lo zearalenone e per gli alcaloididell’ergot, effetti neurotossici sono statievidenziati per le tossine tremorigene(penitrem A) e per gli alcaloidi dell’ergot.Effetti sul sistema immunitario sono sta-ti dimostrati per le aflatossine, i tricote-ceni e l’OTA. Informazioni sul meccani-smo d’azione dell ’aflatossina B1,dell’OTA e della fumonisina sono fornitedalla rassegna di Fink-Gremmels del1996, ma ulteriori indicazioni sull’OTA esulle fusariotossine possono essere for-nite dai risultati dei progetti europei svi-luppati nell’ambito o collegati al Myco-toxin cluster (http://www.mycotoxin-prevention.com). In tale contesto è statastudiata, con tecniche più avanzate, latossicità di alcune micotossine fra cuil’OTA. In particolare, gli studi di Dekantsembrerebbero escludere l’ipotizzatagenotossicità di questa tossina.

Per quanto riguarda l’effetto cance-rogeno, lo IARC (International Agencyfor Research on Cancer) ha classificatol’aflatossina B1 nel gruppo 1 (evidenzaadeguata di cancerogenicità per l’uo-mo), mentre l’OTA è stata classificatanel gruppo 2B (potenzialmente cance-rogeno per l’uomo). A livello europeo ot-

time informazioni sulla tossicità di OTA,aflatossine, fusariotossine e patulinapossono ottenersi dagli Opinion Papersdell’SCF (Scientific Commettee forFood). Inoltre, nel 2002 il JECFA (JointExpert Committee on Food Additives)del WHO e della FAO ha pubblicato unrapporto concernente la caratterizzazio-ne del pericolo da aflatossina M1, OTA,fumonisine B1, B2, e B3, DON, tossina T-2 e HT-2. Rapporti precedenti hanno ri-guardato patulina (1995), aflatossine(1997) e zearalenone (1999). La valu-tazione del JECFA normalmente com-prende per le sostanze non canceroge-ne la definizione del PMTWI (ProvisionalMaximum Tolerable Weekly Intake) odel PMTDI (Provisional Maximum Tole-rable Daily Intake), in cui il termine “pro-visional” indica che i dati disponibili nonsono sufficienti per stabilire esattamen-te l’impatto sulla salute ai valori suggeritidi assunzione massima. I valori d’assun-zione massima sopraindicati sono stabi-liti sulla base del NOEL (No ObservableEffect Level) e l’applicazione di un fatto-re di sicurezza, che è fissato normal-mente a 100, ma può essere aumenta-to nel caso d’insufficienti dati di tossi-cità. Per le sostanze genotossiche, qualil’aflatossina B1, il JECFA non assegnaalcun valore di PMTWI o PMTDI perchési assume che tali sostanze anche in

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107

piccole dosi possano esercitare un ef-fetto tossico e dovrebbero pertanto es-sere assenti. Tuttavia, nei casi in cui nonsia possibile eliminare totalmente la pre-senza di una sostanza tossica dagli ali-menti senza compromettere le riservealimentari mondiali, il JECFA raccoman-da un livello massimo di contaminazionedefinito come ALARA (As Low As Rea-sonably Achievable), come nel casodell’aflatossina B1.

In tabella 1 sono riportati i valori diPMTDI indicati dal JECFA per le mi-cotossine prese in considerazione.

Valutazione dell’esposizione

Per la valutazione dell’esposizionesono state intraprese a livello europeonumerose iniziative che, attraversol’elaborazione di dati relativi all’inciden-za di contaminazione e dati di consu-

mo, hanno fornito informazionisull’esposizione della popolazione eu-ropea alle principali micotossine. Se-condo quanto sopraindicato, alla valu-tazione dell’esposizione contribuisconodati di incidenza di contaminazione edi consumi alimentari. Attualmente lemetodologie di valutazione dell’esposi-zione per le sostanze chimiche adotta-te in Europa utilizzano un approcciodeterministico (“point estimate”) checombina i database dei dati di consu-mi alimentari con quelli relativi all’inci-denza di contaminazione. È in corso disvolgimento un progetto comunitario(SAFE FOODS) che intende effettua-re la valutazione del rischio tramite unapproccio probabilistico (Montecarlo).

I risultati più rilevanti ottenuti per lavalutazione dell’esposizione sono statiraggiunti dalle “Tasks” della UE, svilup-pate nell’ambito della SCOOP (Scienti-fic Cooperation on Question Related to

Tabella 1

Valori di PMTDI* per leprincipali micotossine

Micotossina PMTDI

Ocratossina A 5 ng/kg pc/giorno

Fumonisina B1 2 µg/kg pc/giorno

Fumonisina B2 2 µg/kg pc/giorno

Fumonisina B3 2 µg/kg pc/giorno

Deossinivalenolo 1 µg/kg pc/giorno

Tossina T-2 60 ng/kg pc/giorno

Tossina HT-2 60 ng/kg pc/giorno

*PMTD: Provisional Maximum Tolerable Daily Intake

Food). Sulla base della Decisione dellaCommissione 94/652/EC è stato in-fatti supportato dall’UE lo sviluppo di al-cune “Tasks” volte alla valutazione dellaesposizione a numerose sostanze chi-miche fra cui le principali micotossine.Sono state finora sviluppate Tasks perla valutazione della esposizione alleaflatossine, all’OTA, alle fusariotossine ealla patulina. Tuttavia, essendo semprecrescente il numero delle matrici ali-mentari note come passibili di contami-nazione, la valutazione dell’esposizionetotale, data dalla somma dei contributida parte delle singole matrici alimentari,è un dato destinato a variare all’aumen-tare delle conoscenze disponibili.

Incidenza di contaminazione

Un’accurata conoscenza dell’inci-denza di contaminazione, cioè delle fre-quenze e dei livelli di contaminazioneda micotossine nelle diverse matrici ali-mentari, rappresenta la base non soloper la valutazione dell’esposizione, maanche per la programmazione delle op-portune misure di gestione del rischio.Una delle iniziative a livello internazio-nale per valutare frequenza e livelli dicontaminazione da micotossine nellederrate alimentari è rappresentata dal

programma GEMS FOOD. Inoltre unarecente e valida rassegna dei dati di in-cidenza di contaminazione è disponibilenel Report del CAST che fornisce datiaccorpati per genere/specie fungine ri-scontrati nelle diverse derrate, per ma-trici affette da contaminazione e per li-velli di tossine negli alimenti processati.A livello europeo, dati di incidenza dicontaminazione di alcune micotossinein talune derrate alimentari (OTA in ca-cao e caffè, aflatossine in spezie, ara-chidi, pistacchi e alimenti per l’infanzia)sono stati sviluppati nell’ambito del con-trollo ufficiale degli alimenti. Un aspettocruciale della valutazione dell’incidenzadi contaminazione e conseguentemen-te della valutazione del rischio è datadall’attendibilità dei metodi di analisi ecampionamento impiegati nei monito-raggi. La rilevanza dell’assicurazione diqualità del dato analitico è stata ricono-sciuta solo negli ultimi anni, pertantol’attendibilità di dati non recenti d’inci-denza di contaminazione da micotossi-ne è da ritenersi scarsa. A tale man-canza di attendibilità inoltre può contri-buire in maniera determinante il man-cato impiego di procedure di campio-namento appropriate. Essendo, infatti,le micotossine distribuite in maniera di-somogenea nella massa, il dato prove-niente dalle analisi di laboratorio è rap-

Le micotossine nella f il iera agroal imentare

108

Tabella 2

M. Miragl ia , F . Debegnach, C. Brera

109

Assunzione giornaliera di OTA con la dieta per ciascun alimento (µg/kg o µg/l)

Cereali Caffè Birra Vino Cacao Frutta Carne Spezie Altro Assunzionesecca totale

Danimarca (P) 0,86 0,19 0,14 1,19

Finlandia (P) 1,03 3,94 0,12 0,12 0,02 5,23

Francia (P) 1,24 0,27 0,50 0,10 0,40 2,51

Francia (A) 1,14 0,25 0,47 0,10 0,35 2,31

Francia (B) 2,26 0,11 0,03 0,11 0,88 3,39

Germania(P>14) 0,65 0,14 0,08 0,05 0,07 0,06 1,05

Germania(P<14) 1,25 0,01 0,01 0,29 0,11 1,67

Germania (D) 2,10 0,03 0,66 0,20 2,99

Grecia (P) 0,10 0,05 0,15

Grecia (U) 0,10 0,03 0,13

Grecia (SU) 0,10 0,06 0,16

Grecia (R) 0,12 0,11 0,23

Italia (P) 0,06 0,06 0,01 0,20 0,12 0,02 0,47

Italia (C) 0,24 0,09 0,03 0,68 0,17 0,05 1,26

Norvegia (P) 0,74 2,29 0,07 3,10

Norvegia (U) 0,80 2,26 0,07 3,13

Norvegia (D) 0,66 2,29 0,06 3,01

Portogallo (P) 0,69 0,09 0,01 0,02 0,81

Spagna (P) 0,08 0,15 0,09 0,07 0,39

Svezia (A) 1,04 1,12 0,05 0,18 0,40 0,22 3,01

Svezia (B) 1,61 0,46 0,04 0,18 0,52 0,45 3,26

Svezia (P) 0,99 1,13 0,03 0,06 0,07 0,30 2,58

Olanda (P) 1,21 0,21 0,03 1,45

Olanda (C) 0,30 0,95 1,25

Inghilterra (P>16) 0,34 0,04 0,05 0,05 0,48

Inghilterra (P1,5-4,5) 0,61 0,06 0,14 0,55 0,29 1,45

Inghilterra (C >16) 0,42 0,04 0,04 0,09 0,03 0,74

Inghilterra (C 1,5-4,5) 0,73 0,67 5,18 6,66

P = Tutta la popolazione; A = Adulti; B = Bambini; D = Donne; U = Uomini; SU = Popolazione della periferia; R = Popolazione rurale;C = Solo consumatori

presentativo dell’intera massa solo sele operazioni di campionamento sonostate eseguite in maniera idonea.L’errore insito nel campionamento è digran lunga superiore a quello associa-to all’analisi. Purtroppo, nella pratica, leprocedure di campionamento spessonon sono eseguite correttamente acausa sia della scarsa conoscenza delproblema sia dell’onere economico edel dispendio di tempo insiti nell’ese-cuzione di un buon campionamento.Pertanto, errate procedure di campio-namento inficiano totalmente l’affida-bilità del dato analitico, portando aduna sottostima del livello di contami-nazione e molti dei dati d’incidenza dicontaminazione prodotti nel passatodovrebbero considerarsi non rappre-sentativi della la situazione reale.

Relativamente all’OTA, in tabella2 vengono riportati i recenti risultatiottenuti per la valutazione dell’esposi-zione della popolazione europea deri-vante dalle diverse matrici passibili dicontaminazione, in figura 2 è illustra-to tale contributo all’esposizione. Co-me si può rilevare nessun Paese eu-ropeo ha potuto fornire dati relativi atutte le matrici alimentari fino a quelmomento considerate suscettibili dicontaminazione, portando pertanto avalori sottostimati dell’esposizione to-tale. Va inoltre considerato che at-tualmente le matrici potenzialmentecontaminate da OTA sono in numeromaggiore rispetto a quelle considera-te nella “Task” includendo altre vociquali frutta secca, spezie e liquirizia.

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Cereali

Caffé

Birra

Vino

Cacao

Frutta secca

Carne

Spezie

Altro

44%

9%

7%

10%

5%

4%

3%

3%

15%

* Tratto da http://europa.eu.int/comm/food/fs/scoop/3.2.7_en.pdf

44

7105

9

43

3

15

Figura 2

Contributo delle variematrici alimenteri allaesposizione totale delconsumatore europeoall’ocratossina A*

Gestione del rischio

In generale molti sono gli elemen-ti che dovrebbero essere presi in con-siderazione nell’attuazione di una ge-stione del rischio efficace e prospetti-ca. Alcuni di questi aspetti, quali la va-lutazione dell’incidenza di contamina-zione e l’assicurazione di qualità siadel dato analitico che del campiona-mento, sono stati discussi in prece-denza. Vengono di seguito trattate al-tre misure di gestione del rischio, conparticolare riferimento alle azioni diprevenzione della contaminazionestessa e alla definizione di limiti dilegge.

Azioni preventive

Le azioni volte a prevenire l’attaccodelle muffe tossigene e la formazione dimicotossine sono usualmente raggrup-pate in attività relative alle fasi di coltiva-zione/raccolto e in attività eseguite nel-la fase post-raccolto, incluso il trasporto,l’immagazzinamento e le attività di tra-sformazione. Per le micotossine, infatti,più che per altri contaminanti, è fonda-mentale che il sistema di HACCP (Ha-zard Analysis Critical Control Point) siaconsiderato in maniera integrata, com-

prendendo pertanto l’intera filiera pro-duttiva, dal campo al piatto. Inoltre, laconoscenza dell’ecologia fungina rap-presenta la base per la prevenzione del-la formazione di muffe e di micotossine.Molte iniziative in tal senso sono stateintraprese ed alcune hanno già mostra-to i primi risultati. In particolare, sotto ilcoordinamento della FAO, sono staticondotti studi mirati alla conoscenzacompleta dell’ecologia fungina che por-ta alla presenza dell’OTA nel caffè eall’individuazione dei punti critici dell’in-tera filiera produttiva. Tali conoscenzehanno fornito la base per l’attuazione diprogrammi di educazione dei piccoli emedi produttori di questa materia prima,economicamente importantissima peralcuni Paesi in via di sviluppo. Rapportisull’ecologia fungina e sui sistemi diprevenzione della contaminazione damuffe e da micotossine sono stati ela-borati sotto l’egida del CODEX; in parti-colare sono reperibili informazioni perl’OTA, lo zearalenone, le fumonisine ed itricoteceni nei cereali, per la patulina neiprodotti a base di mela, e per le aflatos-sine nei pistacchi (www.codex.com).

Inoltre, nell’ambito del programmadella Commissione Europea “Qualityof life”, sono state di recente sviluppa-te ricerche volte allo sviluppo di siste-mi preventivi per alcune micotossine

M. Miragl ia , F . Debegnach, C. Brera

111

(OTA e fusariotossine) in talune matri-ci (www.mycotoxin-prevention.com).

Un progetto satellite del “MycotoxinCluster” ha sviluppato il problemadell’OTA nel vino, valutandone il rischioe studiando i problemi relativi alla ge-stione integrata per questa tossinanell ’uva e nel vino (www.ochra-wine.com).

Un efficace sistema di prevenzio-ne della contaminazione da muffe emicotossine può essere rappresentatodalla coltivazione di alcune tipologie dipiante OGM. In particolare è stata evi-denziata una rilevante riduzione di fu-sariotossine nel mais geneticamentemodificato per la resistenza agli insetti.Il minore attacco da parte degli insettiriduce, infatti, il danno alle granagliecon conseguente minore possibilità diattacco da parte delle muffe.

Limiti di legge

Fra le componenti della gestionedel rischio derivante dalla presenza diuna sostanza indesiderabile negli ali-menti e nei mangimi, la fissazione di li-miti massimi ammissibili rappresentauno dei momenti più incisivi al fine disalvaguardare la salute dell’uomo e de-gli animali e di armonizzare la gestione

del problema da parte degli “stakehol-ders”. Per le micotossine la complessitàdei fattori e delle conseguenze attribui-bili alla loro presenza nelle derrate ali-mentari comporta che la fissazione di li-miti massimi di legge sia influenzata danumerosi fattori, alcuni dei quali estra-nei alla tossicità della micotossina inesame; infatti, anche se le TDI (“Tolera-ble Daily Intake”) raccomandate rap-presentano generalmente l’elementoguida per la definizione di tali limiti, altrifattori giocano un ruolo di rilievo, qualil’entità dell’incidenza di contaminazionenelle derrate in circolazione e la dispo-nibilità di appropriati metodi validati dicampionamento e di analisi. Inoltre,considerazioni di carattere commercialeed etico e di disponibilità di risorse ali-mentari sono fattori che sono presi inconsiderazione in una visione interna-zionale della definizione di limiti massi-mi tollerabili. Ad esempio la regolamen-tazione stringente per l’aflatossina B1

attualmente in vigore in Europa crea adalcuni Paesi in via di sviluppo probleminell’esportazione delle materie primeimpiegate nelle preparazioni mangimi-stiche. Negli ultimi anni l’UE ha tenutosotto controllo, e in molti casi ha tem-poraneamente bloccato, le importazionidi pistacchi dall’Iran e dalla Turchia, diarachidi dall’Egitto e dalla Cina, di noci

Le micotossine nella f il iera agroal imentare

112

brasiliane dal Brasile, di fichi secchi enocciole dalla Turchia. Per quanto con-cerne gli aspetti etici sono rilevanti leconsiderazioni legate alla disponibilitàdi risorse alimentari nei Paesi in via disviluppo, dove la contaminazione da mi-cotossine è particolarmente elevata acausa delle favorevoli condizioni geo-grafiche ed ambientali e dello scarsoimpiego di buone pratiche agricole.Questi Paesi sono spesso economica-mente dipendenti dall’esportazione dimaterie prime e limiti troppo restrittivi

nei Paesi importatori possono compor-tare l’utilizzo “in loco” di derrate non ido-nee all’esportazione. Inoltre in questiPaesi, in cui le risorse alimentari sonogià limitate, l’esclusione dal consumo diderrate contaminate può portare allamancanza di sufficienti risorse alimen-tari e ad un eccessivo aumento deiprezzi.

La complessità dei fattori che in-fluenzano la normativa rende moltolento e controverso, a livello interna-zionale, il processo di definizione di li-

M. Miragl ia , F . Debegnach, C. Brera

113

Tabella 3a Limiti per le aflatossine in Europa*

Matrice alimentare µg/kg µg/kg µg/kg

B1 B1+B2+G1+G2 M1

Arachidi, frutta a guscio e frutta secca

Arachidi, frutta a guscio e frutta secca e relativi prodotti di 2,0 4,0 –lavorazione destinati al consumo umano diretto e all’utilizzazionequali ingredienti per la produzione di derrate alimentari

Arachidi da sottoporre a trattamenti fisici prima del consumo 8,0 15,0 –umano o dell’impiego come ingrediente di derrate alimentari

Frutta a guscio e frutta secca da sottoporre ad altri trattamenti 5,0 10,0 –fisici prima del consumo umano o dell’impiego qualeingrediente di derrate alimentari

Cereali

Cereali e relativi prodotti della lavorazione destinati al consumo 2,0 4,0 –umano diretto o all’impiego come ingrediente di derrate alimentari

Cereali destinato alla cernita o altri trattamenti fisici prima 2,0 4,0 –del consumo umano o dell’impiego quale ingredientedi derrate alimentari

Granoturco da essere sottoposto a trattamento fisico prima 5,0 10,0 –del consumo umano o dell’impiego quale ingredientedi derrate alimentari

Latte – – 0,05

Spezie: peperoncini, pepe di caienna, paprika, pepe bianco, 5,0 10,0 –pepe nero, noce moscata, zenzero e curcuma

*Reg. (CE) N. 2174/2003 del 12 dicembre 2003

miti massimi tollerabili; un ruolo di rilie-vo nell’armonizzazione dei limiti è at-tualmente rivestito dal CODEX Ali-mentarious.

In Europa il processo di regolamen-tazione delle micotossine negli alimentiè iniziato nel 1998 con il RegolamentoCE 1525/98; attualmente i limiti sonostabiliti dai Regolamenti CE 472/2002,2174/2003 e 1425/2003. I limiti fis-sati da queste normative sono riassun-ti nelle tabelle 3a, 3b, e 3c. Attualmen-te sono in discussione a livello comu-nitario limiti per fumonisina, DON e

zearalenone. In aggiunta ai limiti massi-mi ammissibili in vigore in Europa, la le-gislazione italiana prevede limiti massi-mi ammissibili per altre micotossine intalune matrici alimentari (Tabella 3d)(Circolare n. 10 del 9 giugno 1999).

Principali micotossine

Vengono di seguito riportate alcu-ne informazioni sulle principali mico-tossine, rimandando alle letture consi-gliate per ulteriori approfondimenti.

Le micotossine nella f il iera agroal imentare

114

Tabella 3b Limiti per la patulina in Europa*

Matrice alimentare µg/kg

Succhi di frutta, in particolare succo di mela e ingredienti di succo di frutta 50,0presenti in altre bevande compreso il nettare di frutta

Bevande alcoliche, sidro e altre bevande fermentate derivate dalle mele 50,0o contenenti succo di mela

Prodotti contenenti mele allo stato solido, compresi la composta di mele 25,0e il passato di mele destinati al consumo

Succo di mela pronto al consumo e prodotti contenenti mele allo stato solido, 10,0compresa la composta e il passato di mele per lattanti e bambini nella prima infanziaetichettati e venduti come tali

* Reg. (CE) N. 1425/2003 dell’11 agosto 2003

Tabella 3c Limiti per l’ocratossina A in Europa*

Matrice alimentare µg/kg

Cereali e prodotti a base di cereali

Cereali non lavorati 5,0

Tutti i prodotti derivati dai cereali 3,0

Frutti essiccati della vite 10,0

* Reg. (CE) N. 472/2002 dell’11 agosto 2002

M. Miragl ia , F . Debegnach, C. Brera

115

Tabella 3d Valori massimi ammissibili per le micotossine nella legislazione italiana*

Matrice µg/kg µg/kg µg/kg µg/kg µg/kg µg/kgalimentare B1 B1+B2+G1+G2 M1 ocratossina A patulina zearalenone

Alimenti 0,1 0,01 0,5 20per l’infanzia

Spezie 10 20

Caffè crudo 8

Caffè tostato 4

Cacao** 2

Cioccolato** 0,5

Birra 0,2

Carne suina e 1prodotti derivati

Cereali e prodottiderivati 100

Piante infusionali 5 10o loro parti

* Gazzetta Ufficiale N. 135 - Circolare 9 giugno 1999, N. 10

**(punto 2, lettere a,b,c,d del decreto legislativo n. 178/2003)

***(punto da 3 a 10 del decreto legislativo n. 178/2003)

Aflatossine

Le aflatossine sono prodotte daspecie di Aspergillus, principalmenteA. flavus e A. parasiticus. Questi fun-ghi sono ubiquitari, ma sono più ab-bondanti nei climi subtropicali e caldo-umidi a latitudini da 26° a 35° a Nord ea Sud dell’equatore. I prodotti passibilidi contaminazione in campo includonomais, arachidi, cotone, spezie, mandor-le, pistacchi, nocciole e noci del Brasi-le. La produzione di aflatossine da par-te dell’A. flavus risulta particolarmenteabbondante in stagioni con temperatu-

re superiori alla media e piovosità infe-riori alla media. La presenza d’insettispesso coincide con alti livelli di afla-tossine specie nel caso della piralidedel mais (Ostrinia nubilalis).

Le aflatossine sono sostanze chi-micamente riferibili alla difuranocuma-rina. Fra le 17 aflatossine finora isolatesolo quattro sono considerate rilevanti,le aflatossine B1, B2, G1 e G2, sia perdiffusione, che per tossicità. La serie Gcontiene un anello lattonico in D, men-tre la serie B contiene un anello ciclo-pentenonico che è responsabile dellamaggiore tossicità della serie B. Sono

sostanze cristalline, solubili in solventiorganici moderatamente polari, comecloroformio, metanolo, dimetilsolfossi-do, poco solubili in acqua (10-30µg/ml) e insolubili nei solventi organicinon polari. Le aflatossine allo stato pu-ro sono stabili in assenza di luce e de-gradate dalle radiazioni UV, instabili incondizioni di pH <3 e >10 e in pre-senza di agenti ossidanti. Queste tossi-ne sono dotate di fluorescenza nativa,che è utilizzata per l’analisi e per la cer-nita delle unità contaminate (ad esem-pio per fichi secchi e arachidi).

Le formule chimiche delle aflatos-sine sono riportate in figura 3.

L’aflatossina B1 è genotossica ecancerogena a carico del fegato, an-che gli effetti tossici delle altre aflatos-sine sono riconducibili a epatotossicità,

iperplasia dei condotti biliari, emorragiadel tratto gastrointestinale e dei reni.

Ocratossina A

L’ocratossina A è prodotta princi-palmente da funghi del genereAspergillus (principalmente A. ochra-ceus) e Penicillium (principalmenteP. verrucosum). Per la vite e i prodot-ti derivati, incluso il vino, la contami-nazione da ocratossina A è riferibilepredominantemente all’attacco dell’A.carbonarious. A 24 °C i valori di Aw

(attività dell’acqua libera) ottimali perla produzione di tossina sono nell’in-tervallo 0,95–0,99 a seconda dell’or-ganismo produttore. Per valori di Aw

ottimali, gli intervalli di temperatura in

Le micotossine nella f il iera agroal imentare

116

Figura 3 Struttura chimica delle aflatossine B1, B2, G1, G2, M1

O O

O

O O

OCH3

B1

O O

O

O O

OCH3

B2

O O

O O

O O

OCH3

G1

O O

O O

O O

OCH3

G2

O O

O

O O

OCH3

M1

cui si ha formazione di tossina sono12-37 °C per l’A. ochraceus e 4-31 °Cper il P. verrucosum. Nei cereali l’OTAè prodotta dai Penicillium più frequen-temente che dagli Aspergillus, trattan-dosi in genere di una contaminazioneda stoccaggio. Gli effetti tossicidell’OTA includono una marcata nefro-tossicità con necrosi tubulare dei reni,danni al fegato, enteriti, teratogenicitàe cancerogenicità a carico dei reni. Glialimenti più suscettibili alla contamina-zione da OTA includono cereali (fru-mento, mais, orzo e avena), caffè e ca-cao, formaggi e carne suina.

La formula chimica dell’OTA è ri-portata in figura 4.

Tricoteceni

I tricoteceni sono un numerosogruppo di sostanze prodotte da variespecie di Fusarium , Myrothecium ,Stachybotrys, Trichoderma, Cephalo-

sporium, Trichothecium e Verticimo-nosporium . Sono attualmente noticirca 170 tricoteceni, tutti con un si-stema ad anello tetraciclico sesqui-terpenoide 12,13-epossitricotecen-9-ene, in cui la tossicità è dovuta algruppo epossidico. La contaminazio-ne si ha principalmente in frumento,orzo, segale e mais. I tricoteceni deltipo A includono principalmente letossine T-2, HT-2 e diacetossiscirpe-nolo (DAS), quelli del tipo B includo-no principalmente il DON, noto comevomitossina, il nivalenolo (NIV), il 3-acetildeossinivalenolo (3-AcDON) e il15-acetildeossinivalenolo (15-Ac-DON). La specie più tossica di que-sto gruppo è la tossina T-2, seguitadal DAS e dal NIV. Il DON è la tossi-na più diffusa e per questo più stu-diata, anche se negli studi di tossicitàacuta ha dimostrato una bassa tossi-cità. Gli effetti tossici sull’uomo riferi-bili alle tossine di questo gruppo in-cludono nausea, vomito, disordini ga-

M. Miragl ia , F . Debegnach, C. Brera

117

COOH

NH

O O

O

Cl

OH

Figura 4

Struttura chimicadell’ocratossina A

strointestinali e mal di testa. Un’ec-cellente rassegna dei dati chimico-fi-sici relativi a questo gruppo di mico-tossine è stata pubblicata dall’WHO edallo IARC.

La struttura chimica dei principalitricoteceni è riportata in figura 5.

Zearalenone

Lo zearalenone (ZEA) è una tossinacon effetti estrogenici a struttura nonsteroidea prodotta da funghi del genereFusarium (F. graminearum, F. culmo-

rum e F. sacchari). Lo zearalenone èstato frequentemente riscontrato insie-me ai tricoteceni ed è considerato, dopoil DON, la micotossina più frequente-mente presente nel mais. Informazionidettagliate sulle proprietà chimico-fisi-che dello zearalenone possono esserereperite dalle pubblicazioni dello IARC.

La struttura chimica dello zearale-none è riportata in figura 6.

Fumonisine

Le fumonisine sono prodotte da

Le micotossine nella f il iera agroal imentare

118

R = OH o gruppi acil-ossi

R4

R1

R2

H H H

H

H3C

CH3

CH2

R3

O

O

O

12 3

45

6

7

8

913

1011

12

14

15

Figura 5

Struttura chimica deiprincipali tricoteceni

CH3

H

HO

OH O

O

O

Figura 6

Struttura chimica dellozearalenone

funghi del genere Fusarium, soprat-tutto F. verticilloides e F. prolifera-tum. Il cereale più frequentementecontaminato da queste tossine è ilmais, ma sono state ritrovate anchenel sorgo. Dal punto di vista dellastruttura le fumonisine sono correlatealle basi sfingoidi. Il consumo di maiscontaminato da fumonisine è statoassociato ad elevate incidenze di tu-more esofageo. Studi di tossicità su-gli animali evidenziano che il fegato èun organo bersaglio in tutte le speciestudiate, il rene solo per alcune diqueste. Nei cavalli il consumo di maiscontaminato da fumonisina è collega-

to alla leucoencefalomalacia.La struttura chimica delle fumoni-

sine è riportata in figura 7.

Patulina

La patulina è una tossina prodot-ta da un numero elevato di funghi delgenere Aspergillus e Penicillium. Èstata ritrovata in frutta, ortaggi e ce-reali ammuffiti, ma la sua presenza ècorrelata soprattutto alla contamina-zione da P. expansum sulle mele.

Il grado di contaminazione è gene-ralmente proporzionale a quello di am-

M. Miragl ia , F . Debegnach, C. Brera

119

CH3 CH3 R' NHR''OR

H3C

FB1 R=COCH2CH(CO2H)CH2CO2H;

FB2 R=COCH2CH(CO2H)CH2CO2H;

R'=OH; R''=H

R'=R''=H

CH3

OR OH OH

Figura 7

Struttura chimica dellefumonisine

OH

O

O

O

Figura 8

Struttura chimica dellapatulina

muffimento, ma la tossina rimane con-finata alle parti ammuffite. Essendo lapatulina resistente ai processi indu-striali di lavorazione della frutta, i pro-dotti da questi derivanti rappresentanole principali fonti di assunzione.

Da un punto di vista chimico lapatulina è un lattone, solubile in ac-qua, etanolo ed acetone. Si tratta diun composto di citotossicità mediatada un aumento della permeabilità dimembrana. Inibisce “in vitro” numero-si enzimi, inclusi la DNA polimerasi el’RNA polimerasi. Gli studi di cance-rogenicità e di mutagenicità finoracondotti non sono sufficienti per for-nire indicazioni circa questa tipologiadi effetti.

La struttura chimica della patulinaè riportata in figura 8.

Conclusioni

Le micotossine rappresentano unodegli aspetti più attuali e rilevanti dellacontaminazione di alimenti e mangimi.L’argomento si presenta particolar-mente complesso, in quanto le consi-derazioni relative all’impatto sulla salu-te dell’uomo e degli animali si interfac-ciano con quelle relative alle pesantiricadute economiche e politiche riferi-

bili alla presenza di queste tossine.Da un punto di vista conoscitivo-

valutativo, nonostante i progressi ef-fettuati negli ultimi decenni, è neces-sario che vengano ancora acquisitemolte informazioni per giungere ad untrattamento esaustivo della problema-tica. In particolare meriterebbero ulte-riori approfondimenti argomenti qualila genomica delle specie tossigene, lavalutazione del rischio per le tossineemergenti e vari aspetti della diagno-stica, inclusa la valutazione statisticadegli errori riferibili al campionamento,nonché lo sviluppo di metodi rapidiper il dosaggio delle micotossine.

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M. Miragl ia , F . Debegnach, C. Brera

121

122

Fin dall’antichità l’uomo ha imparatoa trattare gli alimenti di origine animale evegetale per aumentarne la conservabi-lità e la palatabilità. Sino al XVIII secolo,tuttavia, questi obiettivi sono stati rag-giunti sfruttando tecniche empiriche so-stanzialmente invariate e solo con “l’ap-pertizzazione”, agli inizi del 1800, si puòparlare di tecnologia applicata alla tra-sformazione degli alimenti. L’appertiz-zazione prende i l nome dal cuocofrancese Nicholas Appert che vinse i12.000 franchi del concorso istituito daNapoleone per lo sviluppo di un metodoper produrre alimenti di lunga conserva-bilità da destinare alle truppe. La solu-zione proposta da Appert prevedeva ilconfezionamento di carne e verdure bol-lite in recipienti di vetro chiusi con tappidi sughero sigillati con pece e la suc-cessiva immersione degli stessi reci-pienti in acqua bollente. Il risultato fu lapreparazione della prima conserva ali-mentare, anche se solo con gli studi diPasteur, più di 50 anni dopo, si arrivò a

porre le basi scientifiche e conoscitivesulle quali tale pratica si fondava, indivi-duando nella contaminazione microbicala principale causa del decadimento del-la sicurezza d’uso e della qualità dell’ali-mento. Da allora, lo sviluppo della tec-nologia alimentare è enormemente pro-gredito e ha portato alla messa a punto,negli ultimi 50 anni, di processi semprepiù perfezionati, in grado di garantire lasicurezza dei prodotti alimentari nel ri-spetto delle loro proprietà nutrizionali esensoriali. Oggi l’industria alimentaretrasforma più del 70% della produzioneagricola nazionale ed è, quindi, un fatto-re chiave per la sicurezza alimentare chea sua volta rappresenta il più importantefattore di fidelizzazione del consumatoreverso l’industria stessa.

Peraltro, il tema della sicurezza rap-presenta l’elemento portante della politi-ca dell’Unione Europea nel settore deglialimenti. Il “Libro bianco sulla sicurezzaalimentare” indica in questo senso le li-nee strategiche fondamentali, preve-

123

SS icurezza tecnologicain alimentazione

I. De Noni

Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari e MicrobiologicheFacoltà di Agraria. Università degli Studi di Milano

dendo sia il rafforzamento e l’adegua-mento della legislazione in vigore sial’adozione di sistematiche misure di pre-venzione e controllo a tutti i livelli della fi-liera. L’intenzione di condividere la re-sponsabilità della sicurezza alimentareattraverso un approccio dal “campo allatavola” è oggi una necessità. Non è, in-fatti, pensabile di demandare alle soletecnologie alimentari questo importanteruolo che, in ogni caso, non potrebbeessere attuato in maniera efficace tra-sformando materie prime di scarsa qua-lità. Infatti, la qualità del prodotto ali-mentare finito viene in gran parte impo-stata a livello di produzione in campo oin azienda, attraverso una corretta ge-stione delle pratiche colturali e zootecni-che. Da questo punto di vista l’introdu-zione di sistemi obbligatori di autocon-trollo a livello di produzione primaria, pe-raltro cogenti per le aziende di trasfor-mazione, può costituire un elemento de-terminante per la sicurezza del prodottofinito.

La sicurezza alimentare è il presup-posto della qualità dell’alimento e com-porta l’assenza di qualsiasi pericolo per ilconsumatore che utilizzi l’alimento corret-tamente preparato, conservato e manipo-lato. La sicurezza d’uso non è tuttavial’unico obiettivo dei processi di trasforma-zione la cui applicazione determina anche

una maggiore conservabilità e, in talunicasi, un miglioramento delle proprietà fun-zionali e sensoriali del prodotto (Figura 1).Difficilmente questi obiettivi possono es-sere raggiunti nel rispetto integrale delvalore biologico della materia prima. L’in-novazione e lo sviluppo delle tecnologiealimentari sono stati quindi indirizzati alraggiungimento degli obiettivi citati attra-verso la minimizzazione del danno all’ali-mento, che è prevalentemente di tipomeccanico e termico. Questo tipo di evo-luzione è stato favorito anche dalla ne-cessità di soddisfare la crescente esigen-za del consumatore di avere prodottisempre meno trattati e sempre più similial prodotto non trattato, normalmenteconsiderato come riferimento di genuinitàe naturalità. In realtà, questa convinzioneè vera solo in parte e il rischio di minimevariazioni delle proprietà nutrizionali esensoriali è spesso ampiamente com-pensato dalla sicurezza d’uso garantitasolo da una corretta tecnologia di lavora-zione; quest’ultima, in ogni caso, deveassicurare l’assenza di contaminazionichimiche o microbiche. Durante la tra-sformazione, infatti, il prodotto può subirecontaminazioni diverse in funzione delprocesso applicato ovvero del tipo di mo-dificazioni (pH, umidità, superficie espo-sta ecc.) intervenute che possono favori-re lo sviluppo e/o la selezione di partico-

Sicurezza tecnologica in al imentaz ione

124

lari specie microbiche. Il processo di lavo-razione deve quindi essere attuato attra-verso rigorose pratiche mirate a garantirel’igienicità dell’intero processo. Per que-sto scopo l’industria di trasformazione ri-corre oggi a sistemi di gestione dellaqualità che implicano l’adozione di buonepratiche di produzione (GMP, Good Ma-

nufacturing Practice) e a procedure diautocontrollo (HACCP, Hazard AnalysisCritical Control Points) che garantisconostandard costanti di sicurezza igienica e diqualità. Senza approfondire l’argomento,è tuttavia utile ricordare i principi fissatidal metodo HACCP che impongono alleaziende alimentari:

I . De Noni

125

Figura 1

Effetti dei principali processi tecnologici su alcune caratteristiche degli alimenti

ster

ilizz

azio

ne

ster

ilizz

azio

ne U

HT

past

oriz

zazi

one

max

cong

elam

ento

essi

ccaz

ione

blan

chin

g

ferm

enta

zion

e

irra

ggia

men

to

liofil

izza

zion

e

conservabilità

fritt

ura

modificazionedelle proprietàsensoriali

mantenimentodelle proprietànutrizionali

1) l’analisi dei potenziali rischi per glialimenti;

2) l’individuazione dei punti in cui pos-sono verificarsi dei rischi per gli ali-menti;

3) l’adozione di opportune procedure dicontrollo e di sorveglianza dei punticritici, cioè di quei passaggi della fi-liera di lavorazione che possono inci-dere sulla sicurezza dei prodotti finiti.

Viene quindi introdotto un principioinnovativo che prevede l’obbligo di unsistema di gestione e controllo sistema-tico e continuo dell’intero processo pro-duttivo e delle problematiche di sicurez-za alimentare legate alla sua attuazione.L’HACCP è quindi un sistema di con-trollo in tempo reale che permette di at-tuare immediati interventi correttivi. Daquesto punto di vista, ciò rappresentauna vera e propria rivoluzione rispetto aquanto avveniva in precedenza, quandoil controllo del prodotto finito era la solagaranzia dell’ igienicità e sicurezzadell’intero processo.

Come detto, la sicurezza d’uso è unprerequisito per qualsiasi alimento el’obiettivo principale di tutte le tecnologiealimentari. La contaminazione microbicarappresenta sicuramente il primo e piùsentito problema in termini di sicurezzaalimentare a livello di consumatore, di

produttore e di legislatore. I microrgani-smi sono presenti nella maggior partedegli alimenti e delle loro materie prime,tuttavia è evidente che solo una minimaparte di essi sia a rischio. Al contrario(come più avanti discusso), certi alimentidevono la loro stabilità e sicurezza allapresenza di microrganismi o meglio all’at-tività metabolica di questi. Come ovvio,sono il livello e il tipo di contaminazioneche determinano salubrità e conservabi-lità dell’alimento ma, anche il tipo di tec-nologia applicabile per ottenere prodotticon tali caratteristiche. La distruzione to-tale o selettiva dei microrganismi e l’inibi-zione della loro crescita si può ottenereattraverso l’applicazione di processi diconservazione basati sull’utilizzo di: 1) trattamenti fisici principalmente at-

tuati mediante apporto o sottrazionedi calore o attraverso la riduzione delcontenuto di acqua;

2) tecniche biologiche che sfruttano lacrescita e l’attività metabolica dispecifici microrganismi;

3) conservanti chimici ad attività batte-ricida o batteriostatica (Figura 2).

Le numerose tecnologie oggi dispo-nibili non devono far pensare che il pro-cesso di risanamento possa in ogni ca-so compensare la scarsa igiene del pro-dotto da trattare. Come accennato, il più

Sicurezza tecnologica in al imentaz ione

126

efficace processo di risanamento èsempre quello effettuato all’origine dellafiliera. La tecnologia applicata deve ov-viamente considerare la natura e il livellodi rischio microbiologico legato sia al ti-po di prodotto, e quindi alla sua suscet-tibilità verso particolari contaminazioni,sia alla fascia di consumatori cui è desti-nato. Attualmente le tecnologie di risa-namento e conservazione sono preva-lentemente orientate verso l’utilizzo deimetodi fisici, e in particolare di quelli piùrispettosi delle proprietà sensoriali e nu-trizionali di materie prime e prodotti finiti.In questa direzione, un ruolo importanteviene svolto dall’accoppiamento di me-todi fisici classici (refrigerazione e riscal-

damento) con nuove tecnologie (filtra-zione su membrana, alte pressioni) econ appropriate tecniche di condiziona-mento e packaging (sottovuoto, in at-mosfere modificate o controllate).

Non essendo possibile trattare letecnologie di ogni singola filiera agro-alimentare, verranno descritte per lineeorizzontali le principali tecnologie di risa-namento e discusse le problematiche re-lative alla sicurezza tecnologica dei pro-dotti ottenuti. Per lo scopo della trattazio-ne verranno solo accennate le caratteri-stiche degli impianti utilizzati, mentre nonverranno discusse le tecnologie di con-servazione mediante approccio chimico,ossia attraverso l’aggiunta di additivi.

I . De Noni

127

Figura 2

Processi tecnologici in grado di garantire o migliorare la sicurezza d’uso degli alimenti

biologicifisicichimici

riduzione aw

tecnologiedi filtrazionea membrana

alte pressioni

atmosferemodificate

essiccazioneliofilizzazionecongelamento

irraggiamento

microfiltrazione

raggi γ e χ

conservanti

riscaldamentoraffreddamento

salaturazuccheraggio

pastorizzazionesterilizzazionerefrigerazionecongelamento

fermentazioni

Trattamenti termici

Tra le tecnologie di risanamento, itrattamenti termici (anche condotti a li-vello domestico) sono senza dubbio i piùdiffusi. Per una migliore comprensionedegli effetti del trattamento termico sullasicurezza del prodotto finito è opportunodescrivere brevemente i principi che re-golano la distruzione termica dei micror-ganismi. L’evoluzione e l’efficacia deitrattamenti termici sono, infatti, stretta-mente legate allo studio della cinetica didistruzione termica dei microrganismicomparata allo studio della cinetica didegradazione dei principi nutritivi dell’ali-mento e alla possibile formazione di so-stanze indesiderate. I parametri di pro-cesso, ossia i binomi tempo/temperatu-ra utilizzati, dipendono dal tipo di micro-flora banale o patogena che si desidera

inattivare ma anche da altri numerosifattori in grado di aumentare (presenzadi grasso soprattutto) o diminuire (bassopH, preventivo congelamento, fase dicrescita logaritmica dei microrganismi,alto valore di acqua libera o umidità) latermoresistenza dei batteri stessi. Indi-cativamente lieviti e muffe sono distruttiprima dei batteri. Tra questi, i Gram-ne-gativi sono più sensibili all’innalzamentodella temperatura mentre le forme spo-rulate di tutti i microrganismi sono moltopiù termoresistenti di quelle vegetative.

La distruzione termica di qualsiasi mi-crorganismo può essere descritta da unasemplice relazione matematica, grafica-mente rappresentata in figura 3, dove Nindica la carica microbica inizialmentepresente nel prodotto e t il tempo di ap-plicazione del trattamento. La relazionetra queste due variabili è definita, nel si-

Sicurezza tecnologica in al imentaz ione

128

log N7

6

5

4

3

10 20 30 40 50 t (s)

107

106

105

104

103

N (ufc/kg)

microrganismo Amicrorganismo BD: tempo di riduzione decimale

DA DB

Figura 3

Distruzione termica deimicrorganismi

I . De Noni

129

stema di assi cartesiani, da una retta det-ta “di sopravvivenza”. In termini pratici,questa relazione indica che, a una datatemperatura letale, la velocità di distruzio-ne di un microrganismo è proporzionale alnumero di microrganismi viventi presentinel prodotto all’istante considerato (lastessa legge può essere applicata anchea processi atermici come la filtrazione sumembrana). La diversa termoresistenzadei microrganismi, a parità di temperaturadi trattamento, è descritta dall’inclinazio-

ne della retta ossia, in termini matematici,dal suo coefficiente angolare, definito co-me “tempo di riduzione decimale” o D. Inpratica, D rappresenta il tempo necessa-rio, a una determinata temperatura, perridurre di un ciclo logaritmico (da 105 a104ufc/kg ad esempio) il numero di mi-crorganismi presenti nell’alimento. Mag-giore è il suo valore, maggiore risulta latermoresistenza e quindi minore la velo-cità di distruzione del microrganismo con-siderato (Tabella 1). In genere, il valore di

Tabella 1

Termoresistenza di alcuni microrganismi

Mezzo T (°C) D* (min) z** (°C)

Pseudomonas fluorescens tampone 60 3,2 7,5

Streptococcus pyogenes latte 66 0,2-2 5-7

Mycobacterium tubercolosis latte 66 0,16-0,33 4-6

Salmonella spp. latte 66 0,07-0.2 4,0-5,2

Brucella spp. - 66 0,07-0,2 4,0-5,2

Staphylococcus aureus latte 66 0,2-1 5,0-5,2

Yersinia enterocolitica latte 62,8 0,01-0,3 -

Escherichia coli latte 62.8 0,13 4,6

Lactococcus lactis spp. lactis siero 62.8 0,32 7,3

Listeria monocytogenes tampone 71 0,01-0,04 4-6

Bacillus cereus, spore latte 121 0,06-0,3 6-10

Bacillus cereus, forma vegetativa acqua 70 0,013-0,016 -

Bacillus subtilis, spore acqua 121 0,3-0,4 6-10

Bacillus subtilis, forma vegetativa acqua 55 1-5,6 -

Bacillus stearothermophilus, spore latte 121 4-6 8-12

Clostridium botulinum, spore latte 121 0,05-0,25 6-10

Aspergillus spp. tampone 55 2 4

Saccharomyces cerevisiae tampone 60 1 5

*D: tempo di riduzione decimale alla temperatura indicata **z : incremento di temperatura necessario per ridurre a 1/10 il valore di D

D viene dato a 121 °C, temperatura cuiviene comunemente condotta la steriliz-zazione in autoclave con 1 atm di sovra-pressione e può variare da secondi a mi-nuti passando dalle forme vegetative aquelle sporulate.

La semplicità della relazione così co-me esposta non rende conto dei nume-rosi fattori, oltre al tipo di microrganismo,che possono influenzarla (pH, umiditàecc.) e che, peraltro, vengono controllatie sfruttati nei vari processi della tecnolo-gia alimentare. Un simile approccio, tut-tavia, ha un indubbio significato applicati-vo nella valutazione della sicurezza tec-nologia degli alimenti, permettendo di fa-re qualche importante considerazione.La prima è che l’abbassamento della ca-rica microbica è di tipo esponenziale infunzione dell’andamento lineare del tem-po. A ciò consegue che a parità di tem-po di trattamento la carica residua saràtanto più elevata quanto più elevata erala carica iniziale. Ovvero, la stessa caricamicrobica finale viene raggiunta contempi di trattamento linearmente più lun-ghi all’aumentare della carica iniziale.Nella figura 3 e con riferimento al mi-crorganismo A, la riduzione della caricada un valore iniziale di 105 a un valore fi-nale di 104 comporta un tempo di tratta-mento pari a DA secondi. Se la caricainiziale fosse 106, il tempo di trattamento

raddoppierebbe (2 x DA) e, contempora-neamente, aumenterebbe il danno termi-co a carico dei principali macrocompo-nenti del prodotto. È quindi evidentel’importanza della qualità microbiologicadel prodotto da trattare e di tutte le mi-sure a monte della filiera in grado di ope-rare un risanamento preventivo.

La seconda considerazione derivadall’andamento esponenziale che carat-terizza la distruzione termica dei micror-ganismi; ne risulta che nessun tratta-mento termico, per quanto intenso, puòazzerare una data popolazione microbicache, invece, si riduce del 90% (106 ,105 .….10-6, 10-7, etc.) ogni D secondi,senza tuttavia diventare mai pari a zero.Questo concetto deve essere interpreta-to in termini statistici: ad esempio, la ri-duzione della carica microbica a valori di10-7 ufc/kg deve essere interpretata co-me la possibil ità di trovare unmicrorganismo o spora ogni 10.000 ton-nellate (10-7 kg) di prodotto. È evidenteche l’opportunità di abbassare tale pro-babilità dovrà essere valutata anche inrapporto alla necessità di ridurre quantopiù possibile la degradazione delle pro-prietà sensoriali e nutrizionali dell’alimen-to. In pratica, per ogni processo di risa-namento termico vengono fissati para-metri minimi di riferimento di inattivazionemicrobica per la verifica dell’efficacia del

Sicurezza tecnologica in al imentaz ione

130

trattamento stesso. Il trattamento di ste-rilizzazione, ad esempio, deve garantirealmeno 12 riduzioni decimali del numerodi spore di Clostridium botulinum. Adesempio, con una carica iniziale pari a105 per kg di prodotto, la sterilizzazionedeve garantire una carica finale non su-periore a 10-7 per kg di prodotto.

Come accennato, ogni microrgani-smo ha una propria resistenza termica,tuttavia un aumento della temperatura ditrattamento ha come effetto l’accelera-zione della sua distruzione. Questo fe-nomeno viene tecnologicamente de-scritto dal valore di z che rappresental’incremento di temperatura necessarioper ridurre a un decimo il valore di D,ossia per aumentare di 10 volte la velo-cità di distruzione del microrganismo(Tabella 1). Per temperature compresetra 100 e 140 °C, esso è in genere paria 5 °C per le forme vegetative e 10 °C

per le spore termoresistenti. Conoscen-do i valori di D e z è quindi possibile ot-tenere lo stesso effetto battericida utiliz-zando diversi e infinit i binomitempo/temperatura.

L’aumento di temperatura ha co-me effetto anche l’accelerazione di al-tre reazione di degradazione spessoindesiderate, per esempio quelle a ca-rico dei nutrienti. La relazione che le-ga l’incremento della velocità di unareazione all’aumentare della tempera-tura è rappresentata dall’energia di at-tivazione (Ea) della reazione stessa edal valore del suo “coefficiente di tem-peratura” (Q10) (Tabella 2). La distru-zione dei microrganismi presenta i piùelevati valori di Q10 tra le reazioni chepossono avvenire in un prodotto ali-mentare. Ne consegue che, se loscopo del trattamento è l’inattivazionetotale o parziale dei microrganismi

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Energia di attivazione Q10*

(kJ/mole) (a 100 °C)

Molte reazioni chimiche 80-125 2-3

Molte reazioni enzimatiche 40-60 1,4-1,7

Reazione di Maillard 100-180 2.4

Denaturazione proteine 200-600 6-175

Inattivazione enzimi 450 50

Distruzione spore 400-600 8-10

Distruzione batteri 250-330 100

*Q10: incremento della velocità di reazione per un aumento della temperatura pari a 10°C.

Tabella 2

Effetto della temperaturasulla velocità di alcunereazioni

minimizzando gli effetti degradatividella qualità del prodotto, le condizionidi processo ottimali corrispondono atemperature sempre più alte applicateper tempi sempre più brevi. Su questiprincipi fondamentali sono basati imoderni processi di pastorizzazione esterilizzazione applicati a prodotti allostato sfuso o confezionati (conserve).I due processi termici si diversificanocomunque per obiettivi, condizioni diprocesso (Figura 4), caratteristiche edurabilità dei prodotti ottenuti.

Pastorizzazione

La pastorizzazione è un trattamen-to termico relativamente blando con-dotto a temperature inferiori a 100 °Ccon un riscaldamento minimo del pro-dotto ad almeno 72 °C per 15 secon-di. Tale trattamento provoca la distru-zione dei microrganismi patogeni po-tenzialmente presenti nel prodotto e lariduzione (circa 2-4 cicli logaritmici)della microflora banale in modo darendere l’alimento conservabile a tem-

Sicurezza tecnologica in al imentaz ione

132

60004000

2000

1000

600400

200

100

6040

20

10

64

2

1

60 80 100 120 140 160

t (s)

T (°C)

sterilizzazione incontenitore chiuso

pastorizzazione incontenitore chiuso

pastorizzazione in flusso continuo

sterilizzazione UHTin flusso continuo

Figura 4

Condizionitempo/temperaturaadottate nei principalitrattamenti dirisanamento termicodegli alimenti

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133

perature di refrigerazione o mediantealtri mezzi di condizionamento. Al trat-tamento resistono le spore e molti en-zimi (lipasi e proteasi), mentre il valorenutrizionale e le caratteristiche senso-riali dell’alimento rimangono in granparte inalterati. La pastorizzazione diprodotti sfusi avviene di norma in flus-so continuo utilizzando scambiatori apiastre ossia un sistema di piastre me-talliche riunite tra loro e tra le qualiscorre in strato sottile (1-2 mm) il flui-do di riscaldamento (acqua) e, in con-trocorrente, il prodotto fluido da riscal-dare. Al termine del trattamento il pro-dotto viene rapidamente raffreddatoper impedire lo sviluppo della microfloraresidua e infine confezionato. Alcuniprodotti vengono pastorizzati anche giàconfezionati, in genere per passaggioin tunnel dove la confezione viene im-mersa in acqua calda o aspersa sem-pre con acqua o vapore. La pastorizza-zione di prodotti con pH inferiore a 4,5(vino, succhi di frutta e birra ad esem-pio) ha come principale obiettivo la di-struzione di microrganismi ed enzimicapaci di degradare il prodotto finito eviene condotta in condizioni tempo/tem-peratura che considerano anche l’effettosinergico esercitato dall’acidità su cresci-ta e resistenza dei microrganismi, comepiù avanti descritto.

Sterilizzazione

Il processo di sterilizzazione si pro-pone di distruggere tutti i batteri in for-ma vegetativa e sporulata presenti nelprodotto che, una volta trattato, risultastabile anche a temperatura ambiente.Come spiegato in precedenza, non ètuttavia possibile ottenere una sterilitàassoluta ma solo una sterilità cosiddettacommerciale, ovvero quella ottenibilecon un trattamento termico in grado digarantire almeno 12 riduzioni decimalidel numero di spore di Clostridium bo-tulinum. Considerando che il valore diD, a 121 °C, per Clostridium botuli-num è pari a 15 secondi, il trattamentoa questa temperatura dovrà essere ef-fettuato per 180 secondi (12 riduzionidecimali, ognuna di 15 secondi). Se siconsidera il valore di z dello stesso fe-nomeno, pari a 10 (Tabella 1), il tempodi trattamento sarà invece di 18 secon-di a 131 °C (180 s/10) ovvero di 1,8secondi a 141 °C e così via.

Come accennato per la pastorizza-zione, l’acidità del prodotto è un fattoredeterminante per la scelta del binomiotempo/temperatura di trattamento. Al ri-guardo, prodotti con un valore di pH in-feriore o superiore a 4,5 subiscono, aparità di effetto sanitizzante finale, tratta-menti termici diversi e con apparecchia-

Sicurezza tecnologica in al imentaz ione

134

ture dedicate. Questo valore di pH rap-presenta il fattore maggiormente limitan-te per la crescita e la germinazione dellespore di Clostridium botulinum e, con-seguentemente, per la produzione ditossina. Per i prodotti acidi, in genere diorigine vegetale, sono quindi sufficientitrattamenti a temperature inferiori a100 °C, applicate al prodotto già confe-zionato in bottiglia, in contenitori di ban-da stagnata o altro idoneo materiale.

La sterilizzazione dei prodotti conpH>4,5 avviene invece a temperaturesuperiori a 100 °C con apparecchiaturepiù complesse, la cui evoluzione ed effi-cacia sono, come detto, strettamentelegate allo studio cinetico degli effettidesiderati o meno che avvengononell’alimento trattato a elevata tempera-tura. I sistemi utilizzati sono diversi per iprodotti confezionati o per quelli sfusi.Per i primi si passa dalla semplice auto-clave ad apparecchiature più complessenelle quali lo scambio termico viene fa-vorito dalla continua agitazione del con-tenitore. Per i prodotti sfusi, il riscalda-mento avviene a 135-150 °C per qual-che secondo in scambiatori a piastre oper contatto diretto del vapore con ilprodotto da riscaldare (il vapore conden-sato viene eliminato per successiva eva-porazione in una camera di espansionesottovuoto, ad una temperatura di circa

70 °C). Sono questi, ad esempio, i dueprocessi utilizzati per la preparazione dellatte sterilizzato UHT. Nel caso dei pro-dotti sfusi alla sterilizzazione segue dap-prima il rapido raffreddamento mirato aridurre il danno termico del prodotto e,infine, il confezionamento asettico.

I microrganismi possono ridurre la si-curezza d’uso di un alimento anche attra-verso la produzione di particolari tossine esenza che vi sia un’evidente alterazionedell’alimento stesso. Il pericolo di tossin-fezioni è tuttavia condizionato da numero-si fattori in grado di favorire lo sviluppodei batteri responsabili della produzionedella tossina ovvero di determinare i livellidi tossina presente. Molto importanti so-no le condizioni tempo/temperatura diconservazione e le caratteristiche dell’ali-mento (umidità e pH in particolare) chepossono favorire la produzione di tossinada parte del microrganismo patogeno.Con rare eccezioni, un “moderato” riscal-damento è in grado di inattivare la mag-gior parte delle tossine. Quella botulinica,ad esempio, viene neutralizzata con trat-tamenti di 30 minuti a 80 °C o di qualcheminuto a 121 °C. Al contrario, l’entero-tossina B di Staphylococcus aureus èdegradata solo a 100 °C per 30-40minuti, quando temperature di soli 50-60 °C sono già letali per le cellule.

Sebbene di minor frequenza rispetto

alle contaminazioni batteriche e fungine,le parassitosi possono rappresentare unulteriore fattore in grado di ridurre la si-curezza degli alimenti. I più comuni pa-rassiti della carne vengono distrutti dalcalore e, quindi, la miglior profilassi con-siste nella cottura del prodotto. Trichi-nella spiralis, ad esempio, è distruttadalla cottura uniforme della carne dimaiale a temperature superiori a 58 °C.Allo stesso risultato si giunge congelan-do la carne a – 24 °C per 20 giorni, an-che se il congelamento non risultaugualmente efficace su altri parassiti.

L’effetto positivo dei trattamenti ter-mici sulla sicurezza d’uso dell’alimentoè legato anche alla distruzione dei viruseventualmente presenti. Questo argo-mento, al pari di quelli sopra accennati(tossinfezioni ecc.), è sviluppato in altricapitoli del presente volume ai quali sirimanda.

Altri trattamenti termici

Infine, tra i trattamenti termici è op-portuno ricordare anche quelli effettuatia livello domestico (in acqua, a vapore, alforno, microonde ecc.) e il “blanching”. Iprimi non sempre garantiscono il rag-giungimento di temperature superiori ai100 °C in tutte le parti del prodotto. Al

secondo, salve poche eccezioni, sonosottoposti tutti gli ortaggi e alcuni tipi difrutta prima dell’inscatolamento. Il blan-ching consiste in un breve trattamentoper immersione in acqua bollente, o periniezione di vapore, con il quale si inten-de eliminare l’aria e inattivare enzimi re-sponsabili della degradazione del colore,del sapore e della consistenza del pro-dotto finale. Con lo stesso trattamento,tuttavia, si ottiene anche una parziale sa-nitizzazione superficiale del prodotto.

Refrigerazionee congelamento

L’utilizzo sistematico del freddo nel-la conservazione degli alimenti è legatoall’inizio della produzione industriale dighiaccio nel 1800, fino alla comparsadei primi frigoriferi domestici agli inizidel secolo scorso e all’immissione sulmercato negli anni ’30 dei primi alimen-ti surgelati. La refrigerazione è oggi unadelle tecnologie più utilizzate sia per laconservazione delle materie prime cheper la conservazione di prodotti finiti.

Allo stato refrigerato, ossia a tem-perature comprese tra 0 e 5 °C, il meta-bolismo delle cellule dei tessuti vegetalio animali risulta rallentato così comel’evolversi di reazioni chimiche e di alcu-

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Sicurezza tecnologica in al imentaz ione

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ni fenomeni fisici. Come precedente-mente descritto nel capitolo relativo aitrattamenti termici, è il valore di Q10 delfenomeno che determina l’entità di que-sto rallentamento. Il risultato dell’abbas-samento della temperatura è il migliora-mento della conservabilità degli alimentima non della loro qualità igienica. Infatti,una temperatura inferiore a 10 °C impe-

disce la crescita della maggior parte del-la microflora banale e patogena (l’unicaeccezione è rappresentata da Listeriamonocytogenes che si sviluppa beneanche a 7 °C) (Tabella 3) ma non è ingrado di distruggerla né di inattivareeventuali tossine presenti (Figura 5).Da questo punto di vista, la sicurezzad’uso dei prodotti refrigerati deve essere

Microrganismipatogeni

rapidamoltiplicazione

nessunamoltiplicazione

nessuna moltiplicazione,lenta distribuzione raramente completa

rapidamoltiplicazione

lenta moltiplicazione

Microrganismipsicrotrofi*

37

10

5

0

-10

-18

* microrganismi in grado di svilupparsi a temperature di refrigerazione

Figura 5

Influenza dellatemperatura sullacrescita microbica

Classe Specie batterica Temperatura minimadi crescita (°C)

Mesofili Salmonella +5,1/+8,7

Psicrotrofi Staphylococcus aureus +9,5/+10,4(per la crescita)

Escherichia coli +14,3(per la produzione della tossina)

Listeria monocytogenes +7,1

Yersinia enterocolitica -0,1 /+1,2

Tabella 3

Temperature minime dicrescita di alcuni batteripatogeni potenzialmentepresenti negli alimenti(Fonte: Manuale tecnicoFlair Flow Europe FFE378A/00: “Gestione dellacatena del freddo per laqualità e la sicurezzadegli alimenti”, 2001)

in primo luogo assicurata dalla correttagestione del processo (velocità ed effi-cienza del raffreddamento, adeguatacircolazione d’aria, mantenimento rigo-roso della temperatura di refrigerazione)ma anche delle fasi di filiera che prece-dono e seguono la refrigerazione stes-sa, con particolare riferimento al mante-nimento di una rigorosa catena del fred-do dalla produzione al consumatore fi-nale. Non bisogna dimenticare che sbalzidi temperatura anche di 1 o 2 °C du-rante la conservazione possono dimez-zare i tempi di duplicazione di alcuni bat-teri degradativi o patogeni (L. monocy-togenes e Y. enterocolitica ad esem-pio) che ben si adattano alle basse tem-perature. È opportuno invece sottolinea-re come l’abbinamento con altri inter-venti tecnologici può notevolmente im-plementare la stabilità e la sicurezza de-gli alimenti refrigerati. Ci riferiamo alpreventivo trattamento termico del pro-dotto da refrigerare (blanching e pasto-rizzazione) o al confezionamento (sotto-vuoto, in atmosfera modificata) del pro-dotto refrigerato.

Al contrario della refrigerazione, ilcongelamento, ossia il raffreddamentoa temperature ≤18 °C, arresta comple-tamente la moltiplicazione e il metabo-lismo cellulare (Figura 5). Sebbene letemperature utilizzate siano diverse,

è la quantità di acqua allo stato liquidoall’interno dell’alimento a costituire ladifferenza fondamentale con la refrige-razione. Infatti, il congelamento associal’effetto favorevole delle basse tempe-rature con il passaggio di stato dell’ac-qua in ghiaccio. Tale trasformazioneaumenta la concentrazione dei solutiabbassando il valore di acqua libera(aw) e, di conseguenza, la disponibilitàdella stessa acqua come solvente ereattivo per il metabolismo cellulare. Inpratica, nessun microrganismo è ingrado di svilupparsi a temperature infe-riori a -10 °C e la formazione di cristallidi ghiaccio all’interno della cellula e ne-gli spazi intercellulari determina unamortalità variabile in funzione del tipo dibatteri (i Gram-positivi sono in generepiù resistenti). Tale mortalità, tuttavia,non è mai totale ed è fortemente di-pendente dalla durata della conserva-zione a temperature di congelazione edalla dimensione dei cristalli di ghiac-cio, fenomeno a sua volta influenzatodalla velocità del congelamento. I pro-dotti congelati presentano quindi unadurabilità superiore a quelli refrigerati,ma anche per essi la qualità igienica èun presupposto e non il risultato delcongelamento che, quindi, non rappre-senta un metodo di sanitizzazione mi-crobiologica dell’alimento né di inattiva-

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zione di spore o tossine eventualmentepresenti. Per queste ragioni non ci sof-fermeremo nella descrizione delle tec-nologie attualmente utilizzate per la re-frigerazione o il congelamento dei pro-dotti alimentari.

La surgelazione rappresenta unatecnica di congelazione ultrarapida (adesempio con azoto liquido) che si effet-tua portando in pochi minuti la tempe-ratura del prodotto a -30/-40° C. Inqueste condizioni all’interno del prodot-to si formano microcristalli di ghiaccioche non ledono le pareti cellulari deitessuti vegetali e animali, aspetto digrande importanza anche per la qualitàigienica dell’alimento una volta sconge-lato. Il mantenimento dell’integrità dellaparete cellulare riduce infatti la quantitàdi liquidi separati dal prodotto durante la

fase di scongelamento. Quest’ultimaavviene, per diverse ragioni, in tempilunghi che abbinati alla presenza di es-sudati ricchi di sostanze nutritive, comenel caso dei prodotti carnei, possonoconseguentemente favorire lo sviluppodei microrganismi sopravvissuti al con-gelamento.

Riduzione dell’acqua libera

La stabilizzazione microbiologica de-gli alimenti può essere ottenuta ancheattraverso la riduzione del loro contenu-to di acqua o meglio mediante la ridu-zione del valore di acqua libera (aw).L’acqua libera rappresenta la porzione diacqua effettivamente disponibile per losviluppo e l’attività dei microrganismi e

Sicurezza tecnologica in al imentaz ione

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alimenti contenenti il 55%di saccarosio o il 12% di NaCI

prodotti freschi1.0

0,9

0.8

0.7

0.4

0.2

Pseudomonas, Y. enterocolitica,Bacillus cereus, Cl. perfringes

L. monocytogenes, E. coli,Cl. botulinum, Salmonella spp.

maggior parte dei batteri

lieviti

Staphylococcus aureus, muffe

batteri alofili

muffe xerofile

batteri osmofili

massima resistenzatermica delle spore

alimenti contenenti il 65% di saccarosioo il 15% di NaCI, salumi, formaggi stagionati

farina, riso

marmellata

cioccolato

spezie, latte in polvere,pasta secca, biscotti, crakers

Figura 6

Valori di acqua libera(aw) in grado di inibirela crescita di alcunimicrorganismi ecaratteristici di alcunialimenti

per l’evolversi dei fenomeni di deteriora-mento chimico ed enzimatico. Più altorisulterà tale valore (in una scala da 0 a1) minore saranno la conservabilità e lasicurezza del prodotto. Tutti gli alimentifreschi (frutta e verdura, carne e pesce)mostrano valori di aw tra 0,98 e 0,99che consentono la crescita della mag-gior parte dei microrganismi (Figura 6).Al contrario, valori di acqua libera infe-riori a 0,90 sono in grado di inibire lacrescita e la produzione di tossine dellamaggior parte dei batteri. L’unico pato-geno in grado di svilupparsi a valori piùbassi è Staphylococcus aureus. Lemuffe, pur potendosi sviluppare a valoridi aw ben più bassi, non sono più ingrado di produrre tossine a livelli inferio-ri a 0,85. L’abbassamento del valore diaw riduce quindi progressivamente losviluppo microbico fino all’arresto totaledella crescita in valori di tale indice infe-riori a 0,50-0,60. Anche se l’azionebattericida è piuttosto modesta, la ridu-zione dell’acqua libera rappresenta co-munque un efficiente sistema per ren-dere l’alimento più sicuro e conservabi-le. Come ovvio, la stessa riduzione nonha alcun effetto sulle tossine eventual-mente presenti se non abbinata a untrattamento termico. Tecnologicamenteil valore di aw può essere abbassato perdisidratazione (mediante essiccazione o

liofilizzazione), per congelamento, persalatura o zuccheraggio. In questi ultimidue trattamenti, l’aggiunta di un soluto(comunemente cloruro di sodio o sac-carosio) determina un aumento dellapressione osmotica e l’abbassamentodel valore di aw.

La riduzione del valore di aw al dimi-nuire dell’umidità è caratteristica perogni alimento: ciò comporta che a pa-rità di umidità, due prodotti alimentaripossono presentare una conservabilitàsignificativamente diversa, ovvero, cheper ottenere la stessa conservabilità idue prodott i dovranno subire, adesempio una disidratazione più o menospinta.

Molti prodotti alimentari, come for-maggi a lunga stagionatura, alcuni in-saccati, prugne, fichi secchi e prodottida forno, risultano facilmente conserva-bili soprattutto per i livelli di aw che li ca-ratterizzano e che li rendono microbiolo-gicamente stabili. Sullo sfruttamentodello stesso principio si basano le tecni-che di preparazione dei cosiddetti “ali-menti a umidità intermedia”, soprattuttoprodotti dietetici e dolciari, nei quali lariduzione del livello di aw (circa 0,7) vie-ne ottenuto combinando la disidratazio-ne con l’aggiunta di umettanti. Poichévalori superiori a 0,60 non sono garan-zia di assoluta conservabilità, vengono

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adottati altri accorgimenti tecnologiciquali la riduzione del pH, la refrigerazio-ne o la conservazione sottovuoto.

Come descritto, la disidratazione el’abbassamento dell’attività dell’acquanon sono metodi di risanamento dell’ali-mento. La sopravvivenza dei microrgani-smi in condizioni di aw inferiori a quelleminime di crescita è molto variabile efortemente dipendente dalle condizioniambientali come pH, composizione delmezzo e altro ancora. È necessario inve-ce considerare che la termoresistenzadei batteri aumenta in ambienti progres-sivamente più secchi (per le spore adesempio è massima con aw di 0,2).Questa è la ragione per cui l’eventualetrattamento termico dovrà precedere ladisidratazione del prodotto. Peraltro,durante i processi di disidratazione a cuisi è accennato, il prodotto non raggiun-ge temperature superiori ai 100 °C du-rante l’essiccazione con aria calda (seb-bene la temperatura di questa possa ar-rivare anche a 180 °C) ovvero rimaneaddirittura congelato durante la liofilizza-zione. Questi processi di disidratazionedeterminano quindi un ridotto o nullo ri-sanamento termico del prodotto. Nonsolo, con l’eliminazione dell’acqua si hauna progressiva “concentrazione” dibuona parte dei microrganismi della ma-teria prima nel prodotto finito; una scor-

retta conservazione può promuoverel’assorbimento di umidità e, di conse-guenza, lo sviluppo dei batteri e la ger-minazione delle spore sopravvissuti. Ri-sulta evidente la strettissima relazionetra la qualità igienica del prodotto da di-sidratare e quella del prodotto essiccato.

Processi biologici

La sicurezza d’uso non necessaria-mente deve essere raggiunta mediantela distruzione della microflora presentenell’alimento o nella materia prima. Èquesto il punto focale del dibattito attor-no all’impatto che le attuali norme igie-niche avrebbero sulle caratteristiche dimolti “prodotti tradizionali”. Senza entra-re in questa disputa, è tuttavia opportu-no ricordare che alcune tecnologie ditrasformazione di materie prime poten-zialmente non sicure da un punto di vi-sta igienico consentono di realizzareprodotti finiti di assoluta affidabilità sot-to questo profilo. A titolo di esempiobasti considerare molte tecnologie dicaseificazione a partire da latte crudoper produrre formaggi a lunga stagiona-tura. Per questi prodotti non esiste rela-zione tra la qualità igienica del latte equella del formaggio finito la cui sicu-rezza è legata a una corretta lavorazio-

Sicurezza tecnologica in al imentaz ione

140

ne del latte e a un’adeguata maturazio-ne (>60 giorni) del formaggio. Al rag-giungimento della sicurezza concorronoi parametri tempo/temperatura adottatiin caseificazione e durante le prime fasidi conservazione della cagliata e, so-prattutto, l’attività fermentativa dei bat-teri lattici dell’innesto a carico del latto-sio con produzione di acido lattico. Lacorretta acidificazione del latte in cal-daia e il conseguente rapido abbassa-mento del pH (5,1-5,2) nella cagliata(e formaggio) impediscono lo sviluppodella microflora patogena eventualmen-te presente nel latte crudo di partenza,che viene completamente inattivata inalcuni casi già in questa fase della lavo-razione o comunque durante la stagio-natura. Quest’ultima deve ovviamenteavvenire in condizioni ambientali e di at-trezzature idonee. Anche l’affioramentodel latte crudo, ossia la sosta per 8-16ore a 8-15 °C, necessario per la prepa-razione di alcuni formaggi, consente, seopportunamente condotto, di ridurre ilnumero di batteri e spore mediante laloro asportazione fisica per inglobamen-to nella crema che si separa dal latte.

Più in generale, gli alimenti fer-mentati rappresentano uno degli esem-pi più antichi di sfruttamento empiricodell’attività di microrganismi (batteri elieviti) per la trasformazione e la con-

servazione di alcuni prodotti agricoli.Solo con gli studi di Pasteur l’utilizzodell’attività metabolica microbica av-venne su precise basi conoscitive. Og-gi lo sviluppo delle tecniche microbiolo-giche ha portato alla selezione e allaproduzione di starter con caratteristiche(metaboliche e fisiologiche) specificheper le diverse applicazioni cui sono de-stinati (prodotti da forno, bevande fer-mentate, prodotti lattiero-caseari). Al dilà di questi aspetti, la presenza e l’atti-vità di questi microrganismi consente,tra gli altri obiettivi, di migliorare o addi-rittura garantire la sicurezza igienicadell’alimento attraverso la produzione dimetaboliti (acido acetico, acido lattico,etanolo) e la competizione per il sub-strato. Tali fenomeni sono in grado diinibire la crescita di batteri patogeni, di-minuendo nello stesso tempo la neces-sità di adottare altri processi di conser-vazione, come il trattamento termico ola refrigerazione.

Nuove tecnologiedi risanamento

Negli ultimi anni l’innovazione tec-nologica ha portato alla sperimentazionee allo sviluppo di metodi di risanamentoatermici in abbinamento o alternativi al

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trattamento termico. Lo sviluppo di que-sti metodi è strettamente collegato allanecessità di conciliare al meglio il prere-quisito di sicurezza dell’alimento con ilmaggior rispetto possibile delle sue pro-prietà nutrizionali e sensoriali. Tra questimetodi, alcuni ancora in fase sperimen-tale, si possono annoverare l’impiegodelle tecniche di filtrazione su membra-na, delle alte pressioni idrostatiche, degliultrasuoni, dei campi elettrici ad alta in-tensità e delle tecniche di irraggiamento.Spesso, tuttavia, la completa sicurezzadel prodotto finale sottoposto a tali tec-nologie può essere garantita solo conpiù ripetizioni del processo o con l’abbi-namento a un trattamento termico, perquanto blando, o all’aggiunta di conser-vanti. Un cenno meritano i trattamentiad alta pressione, le tecniche di filtrazio-ne tangenziale su membrana e l’irrag-giamento.

Nei trattamenti ad alta pressioneidrostatica l’alimento (generalmente unprodotto liquido) viene confezionato eposto in camere d’acciaio riempite diacqua e chiuse ermeticamente. Lapressione esercitata sull’acqua si trasfe-risce uniformemente sul prodotto con-sentendo di ridurne la carica microbicasenza un importante aumento della tem-peratura (circa 2-3 °C/100 bar). Lapressione applicata comporta un signifi-

cativo effetto battericida, soprattuttoverso i batteri Gram-positivi e ancora dipiù verso lieviti e muffe, mentre non de-termina distruzione di spore che, al con-trario, germinano sotto lo stimolo dellapressione applicata. Per tale ragione ènecessario un trattamento termico suc-cessivo o un ulteriore trattamento ad al-ta pressione. L’effetto battericida è pro-porzionale alla pressione utilizzata e altempo di applicazione della stessa. Lacompleta inattivazione dei batteri pato-geni (Escherichia coli e Staphylococ-cus aureus ad esempio) richiede co-munque ripetuti trattamenti a elevatepressioni (>400 bar). In funzione dei pa-rametri applicati, l’alta pressione deter-mina anche totale o parziale inattivazio-ne degli enzimi, con evidenti vantaggiper la stabilità del prodotto finito.

Le tecnologie di filtrazione tangen-ziale su membrana (ultra-, micro- e na-nofiltrazione) si sono sviluppate soprat-tutto nel settore lattiero-caseario doveoggi sono applicate con successo, adesempio con la microfiltrazione per ladepurazione batterica del latte. Questatecnologia prevede la filtrazione del lattecrudo scremato su membrane con poro-sità di 1,4-2 µm e la successiva rimi-scelazione con la crema pastorizzata pri-ma del confezionamento. La ritenzionebatterica della membrana è superiore al

Sicurezza tecnologica in al imentaz ione

142

99.9% ed è totale per cellule e spore,garantendo nel prodotto una riduzionedella carica microbica pari a 2-4 riduzio-ni decimali e una conservabilità superio-re a 10 giorni a 4 °C.

Al pari dei trattamenti termici, ancheper il processo di microfiltrazione la ridu-zione decimale della popolazione batteri-ca è indipendente dalla carica iniziale.Tuttavia, rispetto alla sanitizzazione termi-ca, la microfiltrazione non è basata sulladiversa termoresistenza dei batteri e diconseguenza non risulta selettiva per lamicroflora patogena. Permette invece dirimuovere con i batteri e le cellule soma-tiche il relativo corredo enzimatico chepuò significativamente modificare le pro-prietà sensoriali del latte, o di altri ali-menti, riducendone la durabilità. Inoltre,operando più microfiltrazioni in succes-sione è possibile aumentare l’efficaciadel processo senza indurre rilevanti mo-difiche alle caratteristiche nutrizionali,sensoriali e tecnologiche del latte.

L’irraggiamento prevede l’uso di ra-diazioni ad alta energia (raggi γ e x) perla distruzione dei microrganismi. L’appli-cazione di tale tecnologia ha sollevatonumerosi problemi di ordine tecnologicoe, soprattutto, di accettabilità da partedel consumatore. In queste tecnologiel’energia della radiazione è tale da dan-neggiare il DNA e quindi impedire la

crescita o la riproduzione dei microrgani-smi. I batteri Gram-negativi sono in ge-nere i più sensibili e, tra questi, poten-ziali patogeni come Yersinia enterocoli-tica, Salmonella spp. e Campylobac-ter spp. Un importante svantaggiodell’irraggiamento è rappresentato dalfatto che le dosi necessarie per il risana-mento microbiologico dell’alimento(0,20-0,70 kGray per una riduzione de-cimale a 4 °C) sono superiori a quellenormalmente utilizzate per la distruzionedi insetti infestanti o per impedire il ger-mogliamento, applicazione quest’ultimaper cui viene comunemente utilizzato ta-le processo. Le stesse dosi non sonocomunque sufficienti per distruggeretutte le spore presenti: occorrono infattida 2 a 10 kGray per inattivare le sporedi Cl. botulinum e Bacillus cereus. Talilivelli di irraggiamento possono quindicomportare una riduzione della qualitàlegata, ad esempio, all’irrancidimentodel grasso, a fenomeni di imbrunimentoe all’intenerimento dei tessuti vegetali.Questi fenomeni sono indipendenti daltipo di radiazione utilizzata e la loro in-tensità è determinata unicamente dal li-vello energetico della radiazione stessa.Nonostante questi effetti, per alcuniprodotti come le carni fresche (intere otritate), l’irraggiamento potrebbe rappre-sentare un idoneo mezzo per la riduzio-

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ne delle contaminazioni da E. coli, Sal-monella, Campylobacter spp. e L. mo-nocytogenes. La distruzione di tossineo enzimi degradativi comporta invecel’applicazione di dosaggi incompatibilicon il mantenimento di accettabili carat-teristiche qualitative dell’alimento.

Fattori antinutrizionali

Il ruolo della tecnologia alimentarenel migliorare la sicurezza dell’alimentonon è limitato al solo risanamento mi-crobiologico ma include anche la di-struzione o l’eliminazione di sostanzeantinutrizionali naturali contenute in al-cuni alimenti, soprattutto di origine ve-getale, in grado di interferire in diversiprocessi metabolici e fisiologici dell’uo-mo (Tabella 4). Normalmente la quan-tità di questi composti negli alimenti ècontenuta, e quasi sempre non è suffi-

ciente ad arrecare gravi danni alla salu-te del consumatore. Molti di questi fat-tori possono essere inattivati con op-portuni trattamenti di cottura, soprat-tutto “ a umido” (bollitura, a vapore). Lacottura-estrusione della soia cruda, adesempio, permette di inattivare gli inibi-tori della tripsina in essa presenti e ingrado di inibire la completa utilizzazionedelle proteine da parte dell’uomo e de-gli animali. La soia stessa e altre legu-minose contengono ulteriori fattori anti-nutr iz ional i ( lect ine ad esempio)anch’essi inattivati da trattamenti ad al-ta umidità (“a umido”).

Altri fattori possono essere eliminaticon operazioni meccaniche. L’acido fiti-co, in grado di ridurre l’assimilazione disali minerali, è contenuto nella cariossi-de di diversi cereali, perlopiù nei tegu-menti (crusca) con i quali viene elimina-to durante le normali operazioni di maci-nazione. Anche la sbramatura del riso

Sicurezza tecnologica in al imentaz ione

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Tabella 4

Fattori antinutrizionali presenti in alcuni prodotti vegetali e processi in grado di inattivarli

Trattamento Macinazione e Trattamenti chimicitermico decorticazione semi ed enzimatici

Semi di soia ed altre leguminose Inibitori proteasi, lectine

Fava, sorgo, grano saraceno Tannini

Cereali e sottoprodotti Fitati

Colza Glucosinolati

Lupino, pisello Alcaloidi

grezzo, con la quale si ottiene il riso bril-lato, consente di allontanare dalla ca-riosside la lolla, ossia gli strati esterni dinatura legnosa, abrasiva e soprattuttodi basso valore nutrizionale per l’elevatocontenuto di sostanze minerali, silice inparticolare. Il processo di decorticazioneè un particolare sistema di eliminazionedegli strati più esterni del seme dei ce-reali. Quando applicato a sorgo, miglioe grano saraceno consente di eliminarei tannini contenuti nel loro pericarpo,rendendo commestibili i prodotti deriva-ti. Infatti, l’asportazione di questi com-posti, capaci di interagire con le protei-ne, migliora la digeribilità di quest’ulti-me, così come l’assorbimento di ferroche, se complessato dai tannini, risultapoco assimilabile a livello intestinale. Lostesso processo di decorticazione de-termina un ulteriore miglioramento dellasicurezza d’uso del cereale attraverso lariduzione del numero di microrganismi edei residui di antiparassitari presentisulla superficie della granella.

Tra i fattori antinutrizionali dei pro-dotti animali è sufficiente ricordarel’ovomucoide (inibitore della tripsina) el’avidina (rende indisponibile la biotina)presenti nell’uovo ed entrambi inattivatidalla cottura dello stesso. Per i limiti egli obiettivi di questa esposizione non èpossibile approfondire ulteriormente

questi aspetti. Quindi, per la trattazionedi altri fattori tossici naturali, e in parti-colare per quelli presenti nei prodotti it-tici, si rimanda a testi specialistici.

È opportuno invece sottolineare co-me il rapporto tra tecnologia e sicurezzadegli alimenti non si esaurisca con il risa-namento del prodotto e la distruzionedegli eventuali fattori antinutrizionali inesso presenti. La tecnologia alimentarenon deve infatti a sua volta favorire laformazione di artefatti nutrizionali o dimolecole xenobiotiche potenzialmentetossiche capaci di ridurre la sicurezzad’uso e la salubrità dell’alimento. Al ri-guardo, le problematiche più studiate at-tengono gli effetti dei trattamenti termici,compresi quelli effettuati a livello dome-stico, su proteine, grassi e carboidrati.Ad esempio, gli idrocarburi policiclici aro-matici, ai quali sono attribuiti possibili ef-fetti cancerogeni, hanno suscitato unnotevole interesse: essi possono formar-si negli alimenti proteici sottoposti a se-veri trattamenti di cottura (carne alla gri-glia in particolare) in concentrazionidell’ordine di parti per miliardo. Ancora itrattamenti termici, specie se in presenzadi alcali, possono originare fenomeni dicrosslink inter- e intra-proteico con pos-sibile formazione di molecole xenobioti-che; tra queste, una delle più studiateper i suoi possibili effetti nefrotossici è la

I . De Noni

145

lisinoalanina.La perossidazione, decomposizione

e polimerizzazione dei lipidi durante lafrittura è un altro fenomeno di un certointeresse che tuttavia assume un signi-ficato tossicologico solo per trattamentiprolungati o ripetuti, possibil i solonell’ambito di una scorretta pratica do-mestica.

È opportuno infine ricordare il re-cente caso dell’acrilamide. Questocomposto è stato ritrovato, in concen-trazioni anche di qualche centinaia dippm, soprattutto in prodotti amidacei(patate soprattutto) sottoposti a cottu-ra ad alta temperatura e in particolarealla frittura e alla cottura al forno o allagriglia. Il meccanismo di formazionenon è ancora conosciuto così come glieffetti sulla salute umana. Al momen-to, il rischio legato al consumo di taliprodotti sarebbe comunque limitatoanche in considerazione del massicciouso che l’uomo fa da tempo di questiprodotti.

Gli esempi citati sono solo alcunedelle problematiche coinvolte nella va-lutazione della tecnologia più adatta,così come nella definizione dei para-metri ottimali di processo. Lo stessodiscorso vale per l’introduzione di qual-siasi nuova tecnologia che viene stu-diata in termini di sicurezza ed efficacia

anche rispetto a problematiche comequelle sopra accennate. Tutti questiaspetti assumono particolare rilevanzanella scelta dei processi da adottareper la preparazione di alimenti destinatialla prima infanzia o ad altre fasce vul-nerabili della popolazione.

Il ruolodel consumatore

Come inizialmente affermato, il soloprocesso di trasformazione non può ga-rantire l’assoluta sicurezza del prodottoalimentare. Le modalità di conservazione(tipo di confezione, condizioni ambientalidi stoccaggio) e di utilizzo (preparazione,manipolazione e cottura), sia a livello do-mestico sia in strutture di ristorazionepubblica, possono fortemente incideresulla sicurezza. In questo senso, il ruolodel consumatore nel garantire la sicurez-za del prodotto alimentare è rilevante.Basti pensare che buona parte dellecontaminazioni degli alimenti avviene infase di utilizzo e manipolazione del pro-dotto. In ambito domestico il maggior ri-schio è proprio di carattere microbiologi-co a causa di riscaldamento o raffredda-mento inadeguati, contaminazione cro-ciata tra alimenti crudi e cotti e contami-nazione da parte dello stesso consuma-

Sicurezza tecnologica in al imentaz ione

146

tore o operatore. Al riguardo, è opportu-no considerare che i prodotti stabilizzatimicrobiologicamente sono i più sensibiliverso una contaminazione post-proces-so. In mancanza di una microflora banalecompetitiva, quella patogena può diven-tare dominante in opportune condizioniambientali. In genere il consumatore,seppur sensibile al problema della sicu-rezza dei prodotti, presta scarsa attenzio-ne all’adozione a livello domestico di ido-nee misure per ridurre o meglio annullaretali rischi. Da questo punto di vista, unacorretta e quanto mai auspicabile educa-zione alimentare (sia per gli aspetti igie-nici sia per quelli nutrizionali) a livelloscolastico può giocare un ruolo fonda-mentale per la sicurezza alimentare.

È opportuno inoltre ricordare la pri-ma regola, banale ma troppe volte sot-tostimata, della corretta lettura dell’eti-chetta che viene spesso ritenuta unica-

mente identificativa della tipologia mer-ceologica senza porre grande attenzionealle informazioni relative alle modalitàd’uso o alla qualità nutrizionali e di sicu-rezza in essa contenute. Non bisogna,infine, dimenticare l’importanza dellaconfezione che svolge, oltre a finalitàigieniche, un ruolo attivo per il manteni-mento delle caratteristiche qualitativedell’alimento. Da questo punto di vista,la sua integrità rappresenta un primo edefficace criterio che il consumatore puòadottare per valutare sicurezza e qualitàdel prodotto.

Da quanto fin qui descritto risultachiaro che il binomio sicurezza alimenta-re e tecnologia rimane un passaggiochiave, ma non l’unico, per garantireprodotti sicuri. Questi ultimi, in funzionedei processi cui sono sottoposti, presen-tano garanzie di sicurezza limitatamentea uno o più dei fattori di rischio conside-

I . De Noni

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Tabella 5

Effetto dei singoli processi tecnologici sulla sicurezza degli alimenti

Distruzione Distruzione Distruzione Formazionemicrorganismi tossine enzimi di artefatti

patogeni antinutrizionali

Riscaldamento si si/no si/no si/no

Refrigerazione no no no no

Congelamento si/no no no no

Disidratazione si/no no no no

Conservanti chimici si/no no no si/no

Fermentazione si/no no no no

rati in questa trattazione (Tabella 5). Come già accennato, non è tuttaviapossibile esasperare il ruolo della tec-nologia alimentare alla quale è difficilepensare di demandare l’intera respon-sabilità della sicurezza alimentare. Inquesto senso, solo la corretta gestionedi tutti i passaggi della filiera può con-sentire di ottenere piena sicurezza nelrispetto della qualità globale di materiaprima e prodotto finito. Ciò comportaun atteggiamento più responsabile eattivo di tutti gli operatori della filierastessa verso ciò che si produce, si tra-sforma o si consuma.

Allo stesso modo non bisogna en-fatizzare più del necessario il problemadella “sanitizzazione” degli alimenti. Inumerosi “prodotti tradizionali”, prepa-rati in deroga alle principali normativein materia di igiene ma secondo tec-nologie di lavorazione consolidate neltempo, sono un’evidente e significativaprova di come l’adozione di opportuniaccorgimenti nella lavorazione consen-ta di esaltare i peculiari tratti sensorialie, parallelamente, di tenere sotto con-trollo lo sviluppo della microflora pato-gena eventualmente presente nellematerie prime e nel prodotto finito.

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Sicurezza tecnologica in al imentaz ione

148

Introduzione

La presenza sempre più frequentesulla nostra tavola di cibi che hannoavuto un qualche trattamento biotec-nologico sollecita, nei consumatori piùattenti, frequenti domande sull’affida-bilità dei cibi, sull’eventuale influenzasulla salute e sui vantaggi che ne deri-vano. La risposta che si attendono èinvariabilmente un sì o un no. In effetti,nessun consumatore accetta con con-sapevolezza rischi nel proprio piatto.Fatalmente, a tutt’oggi, il percorso de-cisionale che conduce alla risposta èlegato più a fattori emotivi che non ascelte eseguite con razionalità, deri-vanti cioè dalla conoscenza dell’argo-mento trattato.

In effetti, gli esseri umani hannocon il cibo una relazione mistica e allostesso tempo carnale. Gli alimentipassano attraverso il corpo e misterio-samente lo trasformano. Il cibo, fontedi “estasi mistica” (l’Eucarestia), di tor-

menti, di malattie, di sollievo e di pia-cere, ha sempre dato origine a pauree a proibizioni sin dall’era neolitica.

tecnologieper la produzionedi piante produttivetransgeniche

L’ingegneria genetica, e in parti-colare la metodologia del DNA ricom-binante, consentono di trasferire geniestranei di qualunque provenienza(microbica, vegetale, animale) o nelseme di un vegetale o nella cellula uo-vo fecondata di un animale, in mododa produrre piante o animali cosiddetti“transgenici”, caratterizzati cioè da ca-ratteristiche “nuove”, che mai avreb-bero potuto acquisire con tecnichenaturali.

Sono stati così messi a punto di-versi protocolli sperimentali che con-sentono di inserire, in modo estrema-

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OO organismi geneticamentemodificati

A. Poli*, G. Poli**

*Facoltà di Medicina e Chirurgia. Università degli Studi di Milano

**Dipartimento di Patologia Animale, Sezione di Microbiologia e Immunologia.Comitato interfacoltà per il Corso di Laurea in Biotecnologie. Facoltà di Medicina Veterinaria. Università degli Studi di Milano

mente mirato, un gene “nuovo” in unapianta in modo che rimanga, per il re-sto del genoma, perfettamente identi-ca a quella iniziale.

La procedura classica e più usataper produrre piante transgeniche pre-vede i seguenti passaggi:1) isolamento del gene che si vuole

trasferire, separandolo dal restanteDNA mediante un enzima di restri-zione (enzima di origine battericaad attività endonucleasica, in gra-do cioè di riconoscere e tagliare ilDNA in modo specifico e ripetibilea livello di brevi sequenze nucleoti-diche diverse per ciascun enzima);

2) inserimento del gene isolato in unvettore molecolare (ad esempio unplasmide batterico);

3) replicazione del plasmide in unbatterio in modo da avere l’amplifi-cazione, in molte copie, del geneda trasferire;

4) trasferimento del plasmide, cheveicola il gene “passeggero” in unaspecie vegetale, ottenendo cosìuna nuova pianta dalle caratteristi-che volute.

Un vantaggio, per gli interventi diingegneria genetica, è dato dal fattoche le cellule vegetali sono “totipoten-ti” (come cellule indifferenziate sono

cioè in grado di generare un intero or-ganismo) e quindi dalle cellule trasfor-mate possono svilupparsi piante com-plete, in grado di riprodursi normal-mente. Per l’ingegneria genetica, lamaggior parte dei metodi si basa oggisu cellule di espianti, ottenute cioè dapiccoli frammenti della pianta; taliframmenti possono venire ingegneriz-zati e successivamente dare origine auna pianta intera con le nuove caratte-ristiche codificate dal gene esogenoinserito.

Per realizzare l’ultimo passaggiosopra riportato, al fine di trasferire ilgene desiderato nella cellula vegetale,è stato utilizzato, quale primo vettore, ilplasmide “Ti” di Agrobacterium tume-faciens; in effetti il plasmide di questobatterio possiede la peculiare caratteri-stica di integrarsi naturalmente e conalta efficienza entro i cromosomi dellapianta che infetta, la quale accoglieràed esprimerà così i geni nuovi preven-tivamente inseriti in tale plasmide.

Un metodo alternativo, che au-menta il rendimento nel trasferimentodei nuovi geni in una cellula vegetale,è rappresentato dal “bombardamento”di cellule vegetali con il materiale ge-netico da trasferire. Più precisamente,microsferule di metallo (in genere oroo tungsteno) vengono rivestite con il

Organismi genet icamente modif icat i

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DNA che costituisce il transgene (ge-ne esogeno da trasferire) e quindi ven-gono letteralmente “sparate”, con ariacompressa, su cellule vegetali isolateo su espianti; le microparticelle pene-trano attraverso la parete di cellule in-tatte veicolando così il nuovo materialegenetico che viene integrato nel DNAdei cromosomi della cellula vegetale.Infine, indipendentemente dalla tecni-ca usata per trasferire il transgene(Agrobacterium tumefaciens o “bom-bardamento”) vengono selezionate lecellule che esprimono correttamente ilnuovo gene ed essendo, come detto,totipotenti, vengono indotte a differen-ziarsi per rigenerare piante intere, oratransgeniche.

È anche possibile costruire parti-colari plasmidi “vettore” che hanno lacaratteristica di integrarsi e quindi tra-sferire il gene “nuovo” anziché nelDNA dei cromosomi nucleari, nel DNAdel cloroplasto (organello sub-cellularesimile in struttura ai mitocondri, esclu-sivo delle cellule vegetali e contenenteclorofilla ed enzimi deputati alla foto-sintesi). Questo nuovo approccio è im-portante per alcuni scopi applicativi inquanto il DNA del cloroplasto è eredi-tato, nella maggior parte delle piantecoltivate, per via materna; quindi il ge-ne esogeno non sarà presente nel pol-

line e pertanto verranno evitati i rischidi diffusione del transgene nell’am-biente, con conseguente contamina-zione di colture adiacenti o che si vo-gliono mantenere “OGM free”

Le metodologie sono sufficiente-mente perfezionate da permettere latrasformazione genetica della maggiorparte delle piante di interesse agrono-mico.

I traguardi, in parte già raggiunti ein parte ancora allo studio, riguardanosoprattutto la protezione delle piante el’aumento della loro produttività. Gliesperimenti di ingegneria genetica so-no cioè rivolti a conferire proprietà de-siderabili ai prodotti agricoli, quali mi-glioramento in quantità e qualità nutri-zionali del prodotto, resistenza aglistress ambientali e ai patogeni.

Particolare successo hanno avutogli esperimenti per l’inserimento nellepiante di geni di origine batterica, checonferiscono la resistenza ai parassitio, con tecniche diverse, ad altri agentipatogeni, quali funghi e virus; interes-sante anche la resistenza indotta versogli erbicidi.

A tutt’oggi sono già state prodottenumerose piante transgeniche, tra cui:mais, soia, frumento, riso, pomodori,patate, lattuga, cotone, piselli, carote,verze, cocomeri, fragole, girasoli, bar-

A.POLI , G. Pol i

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babietole, papaie, kiwi, melanzane,pere, mele, uva, asparagi e altre.

Gli ogm quali alimenti

Alimenti di origine animale

(carne, latte, uova) prodotti

da animali transgenici

(bovini, suini, ovini, polli,

pesci)

Nonostante le numerose ricerchefinalizzate a produrre linee genetiche dianimali da reddito che producono ali-menti migliori e in maggiore quantità, isuccessi sono stati molto modesti siaper la complessità dei processi coin-volti, sia per gli effetti negativi rilevatisoprattutto nei ruminanti (bovini, peco-re, capre) resi transgenici per miglio-rarne le “performances” produttive.

Non pare quindi esservi ulterioreinteresse a investire in ricerche per ot-tenere un miglioramento nella crescitao nella qualità di carne, latte o uova,che già sono realizzabili con le tecni-che di allevamento convenzionali. Uni-ca eccezione sono i pesci, in quantol’inserimento del transgene nell’uovofecondato è facilitato dal fatto che siala fertilizzazione sia lo sviluppo dell’uo-vo di pesce avvengono all’esterno. So-

no così già state prodotte carpe, trotee salmoni transgenici che si sviluppanomolto più rapidamente e con dimensio-ni molto maggiori degli animali controllo(non transgenici) in quanto sovraespri-mono l’ormone della crescita. Pertan-to, se supereranno le verifiche di biosi-curezza, sia per l’ambiente sia per lasalute dei consumatori, saranno proprioi pesci transgenici a essere la primaspecie animale OGM eventualmentemessa sul mercato. D’altra parte, glianimali transgenici da reddito sembra-no particolarmente adatti alla produzio-ne di “alimenti speciali” che non si tro-vano nella normale catena produttivaagro-zootecnica (ad esempio i cosid-detti alimenti funzionali o nutraceutici).L’esempio più caratteristico di questoapproccio è rappresentato dal trasferi-mento nel bovino del t ransgenedell’enzima lattasi in modo da farloesprimere solo a livello della ghiandolamammaria: ne consegue la produzionedi un latte privo di lattosio, in quantometabolizzato dal citato enzima. Un lat-te con tali caratteristiche sarebbe idea-le per tutte quelle persone che sono in-tolleranti al lattosio. Anche in questocaso, ovviamente, sia la biosicurezza ingenerale, sia la sicurezza per il consu-matore devono essere valutate moltoattentamente e garantite.

Organismi genet icamente modif icat i

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Alimenti di origine vegetale

Come detto, a tutt’oggi sono giàstate prodotte e messe in commercionumerose piante modificate genetica-mente al fine di renderle resistenti agliinsetti, ai virus, agli erbicidi o agli stressambientali (ad esempio gelo e siccità),oppure per migliorarne la conservabilitào le caratteristiche alimentari, ottenen-do ad esempio un contenuto meglio bi-lanciato di carboidrati e aminoacidi, unariduzione dei grassi, un elevato conte-nuto di vitamine e di ferro, una maggio-re digeribilità. Più precisamente, tra icereali e legumi OGM si annoverano:mais, soia, riso, frumento, segale, fa-gioli, piselli; tra frutti e ortaggi OGM siannoverano: pomodori, patate, lattuga,carote, broccoli, cavoli, cetrioli, sedano,barbabietole, melanzane, asparagi, fra-gole, cocomeri, pere, mele, uva, noci,papaie, kiwi e altri.

Di tutti questi prodotti OGM, che siconsumano in vari paesi del mondo ein particolare in Stati Uniti, Canada,Argentina, Cina e India, solo due sonostati approvati nei paesi dell’UnioneEuropea per la sola commercializzazio-ne (ne è vietata la semina in molti pae-si): il mais Bt, reso resistente agli in-setti, e la soia resa resistente agli erbi-cidi. Pertanto, qui di seguito, verranno

esaminate le caratteristiche di questedue sole varietà vegetali transgeniche.

Caratteristichedel mais e della soiageneticamentemodificati:unici ogm consentitinei paesi della u.e.quali alimenti perl’uomo e per gli animalida reddito

Mais e soia sono presenti sotto for-ma di lecitina, farina, amido e olio in ol-tre il 50% degli alimenti confezionati: daigelati ai biscotti, dal cioccolato alle mar-mellate, dalle bevande alle margarine.Poiché un quarto della soia mondiale ètransgenica e anche il mais OGM è am-piamente coltivato dai Paesi produttori“leaders”, diviene importante conoscerele caratteristiche di questi due prodottitransgenici che, come detto, sono gliunici autorizzati per il mercato europeo.

Mais Bt, resistente

agli insetti

Le tecniche del DNA ricombinantehanno consentito di produrre piante

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transgeniche che resistono all’attaccodegli insetti. Per la maggior parte sonostate ottenute mediante l’inserimentodi un gene, il gene “Bt” del batterioBacillus thuringiensis, ampiamentediffuso nel terreno, che codifica peruna “proteina insetticida” (denominataproteina “Bt”). Se le piante, così modi-ficate, vengono aggredite dagli insettinocivi, i danni causati alle foglie sonominimi, mentre le larve muoiono rapi-damente. Infatti, quando l’insetto sen-sibile ingerisce frammenti di una piantatrasformata con gene Bt, ingerisce unaproteina Bt che non è in effetti unatossina ma una pro-tossina. Questa di-viene tossina solo se trova nell’intesti-no dell’insetto una specifica proteasi,cioè un enzima, esclusivo degli insetti,che, staccando una porzione della pro-teina ne libera la parte tossica.

Per questo motivo la tossina non ènociva per l’uomo e per gli altri animalie ne è addirittura consentito l’uso daoltre 40 anni in agricoltura biologicaappunto quale insetticida sotto formadi spray.

Uno dei primi prodotti con questecaratteristiche, autorizzato per l’uso indiversi paesi del mondo, è rappresen-tato da un nuovo mais transgenicoche, appunto grazie alla capacità diprodurre nelle sue cellule la proteina

Bt, risulta altamente resistente agli at-tacchi di un insetto devastatore chia-mato piralide.

La semina e il consumo di pianteresistenti all’attacco degli insetti è de-siderabile per più motivi:

• una resistenza intrinseca eliminao riduce la necessità di impiegareinsetticidi che, per lo più non bio-degradabili, persistono causandoinquinamento ed effetti nocivi siaper gli ecosistemi che per i consu-matori;• il mais, infestato dalla piralide,diviene estremamente sensibile adaltre malattie causate da virus o dafunghi che producono le temibilimicotossine. In effetti il mais Bt èstato dimostrato essere più saluta-re per i consumatori in quanto pre-senta quantità trascurabili sia dimicotossine che di insetticidi efungicidi, rispetto a quelle presentiin mais “naturali” cioè non Bt. Alriguardo si rammenta che le princi-pali micotossine presenti negli ali-menti sono rappresentate dallozearalenone, ad attività estrogeni-ca, e da aflatossina B, fumosina,ocratossina A e patulina, tutte condimostrata attività cancerogena ol-treché genotossica, nefrotossicaed epatotossica.

Organismi genet icamente modif icat i

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A.POLI , G. Pol i

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Soia resistente agli erbicidi

Gli erbicidi trovano ampia applica-zione nella distruzione delle erbe infe-stanti che, crescendo tra le piante agri-cole, possono ridurre l’entità del raccol-to di oltre il 10%. D’altra parte, gli erbi-cidi non sono molto selettivi in quantoagiscono alterando processi fisiologicicaratteristici delle piante, quali la foto-sintesi e la biosintesi di aminoacidi equindi, sebbene più attivi verso le erbeinfestanti, danneggiano in parte anchele piante agricole.

Esiste poi una classe di erbicidi,definiti erbicidi totali, che uccidono indi-scriminatamente tutte le piante, e alcunidi questi (ad esempio glifosato e glifosi-nato) sono rapidamente biodegradabilie hanno bassissima tossicità per l’uomoe per gli animali.

In alcuni batteri del suolo sono statiscoperti e poi isolati e clonati alcuni geniche codificano per enzimi capaci di inat-tivare, per acetilazione o idrolisi, gli erbi-cidi totali. Poiché tali enzimi sono deltutto innocui per l’uomo e per gli anima-li, si è subito progettato di sfruttarli perprodurre piante transgeniche resistentiagli erbicidi totali biodegradabili.

Sono state pertanto prodotte piantetransgeniche resistenti a glifosato eglifosinato.

La più importante e diffusa è la soiatransgenica che può venire coltivata im-piegando un singolo trattamento conl’erbicida glifosato quando la soia è ap-pena germogliata, contemporaneamen-te alle erbe infestanti.

Poiché, come detto, il glifosato vie-ne rapidamente biodegradato, la colti-vazione e il consumo di questa soiatransgenica non rappresenta alcun ri-schio di eventuali residui di erbicidi néper l’ambiente né per il consumatore.

I paventati rischiderivanti dal consumodi alimenti prodottida piante transgeniche(ogm)

Li hanno definiti “Frankestein food”:sono pomodori, insalata, mais, soia,barbabietole, frumento “transgenici”,cioè vegetali nel cui DNA è stato inse-rito un gene estraneo di origine batteri-ca o talvolta di origine animale. Menodeperibili, e dunque più economici deicereali e degli ortaggi tradizionali, que-sti vegetali crescono potenzialmentepiù sani, perchè non trattati con insetti-cidi e diserbanti. C’è chi assicura chesaranno l’arma vincente nella lotta con-tro la fame nel mondo. Ma hanno su-

scitato nuove paure: di mutazioni gene-tiche incontrollate e di pericoli per lasalute dell’uomo e dell’ambiente. Gli“organismi geneticamente modificati”(OGM) sono dunque nell’occhio del ci-clone. L’Europa ne ha regolamentato ilcommercio, gli ecologisti li vogliono albando. Gli scienziati si interrogano sullaloro sicurezza. Di fatto, sono già arrivatisulle nostre tavole. E allora che fare?Accettarli o rifiutarli? Qui di seguito sicercherà di fornire l ’ informazionescientifica più accurata possibile relati-va ai paventati rischi da consumo di ali-menti OGM che sempre più spessovengono sollevati dagli oppositori dellebiotecnologie.

Trasmissione dei geni

dell’antibiotico-resistenza

Una particolare preoccupazioneche è sorta tra i consumatori è legataal fatto che la selezione del gene peril carattere desiderato, da inserire nel-la pianta transgenica, avviene inizial-mente impiegando quei geni battericiche codificano per l’antibiotico-resi-stenza.

Pertanto, le piante OGM oggi col-tivate sono dotate, oltre che del genedi interesse, anche di un gene che

conferisce resistenza agli antibiotici:ad esempio ampicillina per il mais Bt.Questa procedura ha destato lapreoccupazione che il gene di resi-stenza possa trasferirsi dalla piantaOGM ai batteri dell’intestino, o peggioal genoma umano, conferendo resi-stenza all’antibiotico (oggi comunquedi scarso interesse clinico) e determi-nando quindi inefficacia dell’antibioti-co in terapia medica. L’accusa mancadi realismo scientifico: il fatto che ungene presente in un vegetale, e dota-to, si badi, di un promotore vegetaleinattivo nei batteri, possa essere tra-sferito ai batteri del nostro intestino, eda questi passare a batteri patogeniha una rilevanza clinica virtualmenteuguale a “zero”. Infatti i geni dell’anti-biotico-resistenza sono ubiquitari esono già presenti in natura nella stes-sa flora microbica intestinale di anima-li o uomini, e questo vale per ogni an-tibiotico passato, presente e futuro.Ma ancora più importante è il rilievodella rapidissima degradazione chesubisce il DNA ingerito da parte deglienzimi digestivi (nucleasi) e dalla bas-sissima probabilità che un gene conun promotore vegetale possa essereacquis i to, integrato e addi r i t turaespresso da un batterio della flora mi-crobica intestinale.

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Alimenti OGM e allergie

Le piante OGM sono accusate discatenare allergie alimentari. Le allergiesono dovute a un’azione di rigetto delnostro organismo nei confronti di unaspecifica proteina contenuta nel cibo.Già oggi, in tutto il mondo, il 2-4% deibambini e l’1-2% degli adulti soffre di al-lergie alimentari. Soia, latte vaccino, po-modoro, noci, arachidi, pesci, crostacei,cioccolata ne sono la causa principale.L’unica cura efficace è evitare il cibo cuisi è allergici.

Nel caso di piante OGM, il gene eso-geno potrebbe effettivamente codificareper una proteina allergenica, ma le legi-slazioni dei diversi paesi prevedono che sianalizzi preventivamente:a) la fonte del gene (è derivato da un

organismo che dà allergie?);

b) i parametri fisico-chimici della nuovaproteina (similarità della sequenzaaminoacidica con proteine allergeni-che, sua stabilità alla digestione e al-la cottura);

c) gli effetti del gene esogeno sulla pro-duzione degli allergeni endogeni dellapianta ospite;

d) risultati di saggi “in vitro” (RAST, ELI-SA) e “in vivo” (test cutanei, simula-zione alimentare).

L’efficacia dei controlli è dimo-strata dal molto pubblicizzato caso diuna soia OGM in cui era stato inte-grato un gene di noce brasiliana codi-ficante l’albumina 2S, ricca in metio-nina, aminoacido invece carente nellasoia. La soia OGM aveva acquisitomigliorate capacità nutrizionali, maanche le propr ie tà a l le rgen ichedell’albumina. Tale effetto allergizzan-te è stato dimostrato nel 1996, daNordlee e Collaboratori che hannoesaminato campioni di sangue di indi-vidui già noti per la loro ipersensibilitàalla noce brasiliana, per verificarne lareatt iv i tà nei confront i del la soiaOGM. Si è osservato che gli anticorpidi classe IgE presenti nei campioni disangue reagiscono con la soia OGMma non con la soia non modificata. Aseguito di questi rilievi è stato quindiabbandonato il progetto e negato ilpermesso di coltivazione. Le analisihanno comunque permesso di chiari-re la natura dell’agente allergizzantedella noce brasiliana stessa.

Per quanto riguarda più in partico-lare il mais e la soia transgenici, è sta-ta esclusa e dimostrata sperimental-mente l’assenza di ogni potenziale al-lergenic i tà del le nuove prote ineespresse: la tossina Bt e l’enzima chedegrada il glifosato.

A.POLI , G. Pol i

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Altri rischi paventati

Tossicità del prodotto del transgene,rischio di infezioni o addirittura di tumori,nonché il possibile trasferimento deinuovi geni ai consumatori rappresentanoaltri rischi attribuiti agli OGM se utilizzaticome alimenti. Tutti questi rischi paven-tati sono stati analizzati e valutati alta-mente improbabili se non del tutto fanta-scientifici. Si pensi ad esempio al paven-tato trasferimento del transgene ai mi-crorganismi della flora intestinale, se nonaddirittura alle cellule di tessuti e organidei consumatori stessi. Per dare una ri-sposta a questo timore basti ricordareche ogni giorno noi mangiamo l’interocontenuto genetico (DNA) di piante, bat-teri e animali; ora ammettiamo pure cheil DNA mantenga la sua integrità nell’in-testino per alcuni minuti prima di esseredigerito, ma se cerchiamo un gene dibovino, di mela o di insalata nel genomadei batteri dell’intestino umano o nellenostre stesse cellule non lo troviamo. Ineffetti non c’è trasferimento di DNA dauna specie all’altra: gli insetti si cibano divegetali, i ruminanti mangiano vegetali, icarnivori mangiano ruminanti, ma il DNAingerito non conferisce nuove caratteri-stiche. Per esempio, la cellula di un frut-to (ad esempio la mela), contiene da 20mila a 80 mila geni e porzioni di DNA a

funzione ancora sconosciuta; quando simangia una mela si ingeriscono migliaiadi milioni di geni e il numero già impres-sionante si può anche decuplicare quan-do mangiamo un vasetto di yogurt. Inol-tre i geni presenti negli OGM non sonodiversi da quelli presenti in natura; per-tanto se fosse possibile un trasferimentodi geni con gli alimenti, gli animali e gliuomini avrebbero già sviluppato caratteri-stiche proprie dei vegetali.

Bambini e anzianirappresentano unapopolazione a maggiorrischio se alimentaticon prodotti ogm?

Tale domanda viene spontaneaquando vengono enfatizzati strumen-talmente dai media i paventati rischidegli OGM, oppure allorché in alcuneregioni italiane nelle mense scolastichee degli asili infantili vengono servitiesclusivamente alimenti da “agricolturabiologica” e ciò indipendentementedalla necessaria libera scelta che do-vrebbe essere lasciata ai genitori.

Orbene, tali opinioni e decisioni so-no praticamente demandate agli organipolitici, i quali risentono pesantementedi condizionamenti non scientifici.

Organismi genet icamente modif icat i

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A.POLI , G. Pol i

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Alla luce di quanto esposto in que-sto capitolo, e a parere di chi scrive,gli alimenti OGM attualmente autoriz-zati e quindi in commercio in Europasono più salutari della controparte co-siddetta “naturale” o comunque nonsono più rischiosi.

In effetti, per la prima volta nellastoria dell’uomo, ogni varietà vegetaleprodotta con la biotecnologia vienesottoposta a una serie completa dianalisi e valutazioni scientifiche. Cioègli OGM sono sottoposti a tutte lepossibili prove di rischio tra cui: tossi-cità (studi sugli animali); allergenicità(uova, pesce, pomodoro, cioccolato,latte, kiwi ecc, sono allergenici ma nonsono OGM); assenza di pesticidi, erbi-cidi; valutazioni microbiologiche; pro-prietà nutrizionali; impatto ambientale;altre valutazioni (provenienza del tran-sgene, sue caratteristiche, suo impat-to/influenza sugli altri caratteri).

Al contrario, sui prodotti cosiddetti“naturali” (come quelli biologici) i controllieffettuati sono minori se non sono tal-volta del tutto assenti e così si mettonoin commercio prodotti “naturali” poten-zialmente pericolosi quali: mais infestatoda piralide e quindi con infestioni fungi-ne e presenza di aflatossine (epatotossi-che, nefrotossiche, cancerogene).

Al lettore quindi la risposta al que-

sito posto in questo paragrafo e più ingenerale al quesito sulla sicurezza ali-mentare dei cibi OGM attualmente incommercio.

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Introduzione

Il miglioramento delle condizioniigieniche e delle modalità di prepara-zione del cibo per il commercio ha ri-dotto notevolmente la consistenza delproblema delle così dette tossinfezio-ni da alimenti, quanto meno nei paesiindustrializzati di cui l’Italia fa parte.Tuttavia la soglia di attenzione non de-ve abbassarsi, visto che le malattietrasmesse da alimenti restano una del-le principali cause di morbilità e morta-lità fra i bambini e gli adulti anche neipaesi ricchi. Il quadro è complicato no-tevolmente oltre che dalla gran varietàdi germi implicati, anche dalla globaliz-zazione dei commerci degli alimenticon rapida distribuzione a livello inter-nazionale e con importanti mutamentinelle abitudini alimentari.

Ogniqualvolta due o più individuiche hanno condiviso un pasto presen-tano nausea, vomito, diarrea, ma anchesegni extra-intestinali (ad esempio neu-

rologici), va sospettata l’origine alimen-tare della malattia. I segni clinici, il pe-riodo di incubazione, i dati epidemiologi-ci devono guidare il medico alla diagno-si (Tabella 1), confermata poi da esamidi laboratorio specifici. Tutte le catego-rie di alimenti possono essere fonte diinfezione, dalla carne ai molluschi finoalla frutta e alla verdura. Verranno diseguito trattate le infezioni da alimentipiù diffuse e alcune problematicheemergenti al riguardo, come la conta-minazione dei latti in polvere.

Intossicazionestafilococcica

Eziologia

Si manifesta con una gastroenteriteacuta causata dall’ingestione di alimentiinquinati dalle enterotossine preformateprodotte da alcuni ceppi di Staphylo-coccus aureus (gruppi fagici III e IV

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II nfezioni da alimenti

F. Salvini, S. Di Giacomo

Clinica Pediatrica. Facoltà di Medicina e ChirurgiaUniversità degli Studi di Milano.Ospedale San Paolo, Milano.

Guida alla diagnosi di infezione alimentare

Infez ioni da al imenti

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Tabella 1

Periodo di Malattia clinica Epidemiologie eincubazione Agente eziologo diagnosi di laboratoriotipico Febbre Vomito

1-7 ore Rara Abbondante Enterossina dello Riscontro della tossina nel cibo;Staphylococcus aures isolamento di > 105 microrganismi

nel vomito e nelle feci

8-14 ore Rara Occasionale Enterossina del Isolamento del microrganismo o Clostridium perfrigens della tossina nel cibo o nelle feci

delle persone infette; incriminazioneepidemiologia di un alimento

16-36 ore Frequente Occasionale Shigella Isolamento dei microrganismiSalmonella nel cibo o nelle feci delle personeVibrio parahemolyticus infetteEscherichia coli invasivaYersinia enterocolitica

12-36 ore Sindrome clinica compatibile Clostridium botulinum Isolamento del microrganismocon botulinismo delle tossine dalle feci o della tossina

da sieri o cibi

16-72 ore Occasionale Occasionale Escherichia coli Isolamento del microrganismo nelenterotossica cibo o nelle feci delle persone infette;V. parahaemoli enterotossico incriminazione epidemiologicaV. cholerae enterotossico di un alimento

3-5 giorni Non frequente Frequente Escherichia coli 0157:H7 Isolamento del microrganismo nele altri simili a shigelle, cibo o nelle feci delle persone infette;E. coli che producono la incriminazione epidemiologicatossina di un alimento

1-7 giorni Occasionale Occasionale Campylobacter jejuni

coagulasi-posit iv i) e raramente diStaphylococcus epidermidis.

Epidemiologia

L’uomo è il principale serbatoio e puòospitare l’agente in corrispondenza dilesioni cutanee o a livello nasale; èresponsabile della contaminazione deglialimenti (latte, latticini, creme, gelati,insaccati…) durante la loro pre-parazione. Normalmente i caratteriorganolettici dei cibi contaminati noncambiano. L’ intossicazione è piùfrequente nei periodi estivi e insorgequando si ver if icano contempo-raneamente alcune condizioni: l’alimen-to inquinato deve essere idoneo per losvi luppo del microrganismo; deveessere lasciato a temperatura ambientesenza essere consumato per molte ore,il tempo necessario allo sviluppo delmicrorganismo e alla liberazione delletossine termostabili; la quantità delletossine presenti deve essere sufficienteper scatenare la sintomatologia.Frequentemente l ’ intossicazioneacquista carattere epidemico.

Patogenesi

Lo Staphylococcus aureus producealmeno cinque t ipi di esotossine

enterotossiche (A-E), termoresistenti(30 minuti a 100 °C), le quali, dopoessere passate nel la circolazionesistemica, incrementano la peristalsiintestinale, agiscono a livello centralescatenando il riflesso del vomito einducono la produzione di IL-1.

Sintomatologia

L’incubazione è breve, la sintomatologiacompare bruscamente circa 1-8 ore(normalmente 2-4 ore) dopo l’inge-stione dell’al imento inquinato e simanifesta con nausea, vomito, doloriaddominal i crampiformi, diarrea,apiressia. Il decorso è favorevole in 8-10 ore e si assiste alla risoluzionecompleta in 2-3 giorni.

Diagnosi

Alcune caratteristiche cliniche indi-r izzano verso la diagnosi diintossicazione stafilococcica, come ilperiodo di incubazione molto breve, lacomparsa del la sintomatologiapressoché simultanea in tutti i soggettiche hanno ingerito l’alimento inquinato,l’assenza di febbre; elementi questi chepermettono di differenziarla da altreforme di tossinfezione. La diagnosiviene confermata mediante la ricerca

F. Salv in i , S . D i G iacomo

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del microrganismo e delle enterotossinenelle feci e negli alimenti interessati.

Terapia

Sintomatica. Solo nei casi più gravi èutile ricorrere alla somministrazione diliquidi ed elettroliti. Non è indicata laterapia antibiotica.

Profilassi

È raccomandata la conservazione deglialimenti a 4 °C, temperatura che inibiscela produzione delle tossine, e l’esclusionedalla “preparazione di cibi” del personalecon affezioni stafilococciche in atto.

Salmonellosi

Eziologia

Le salmonelle sono bacilli Gramnegativi della famiglia delle Entero-bacteriaceae. Le salmonelle come leEnterobacteriaceae possiedono anti-geni della parete cellulare “O” (somati-ci) e antigeni flagellari o “H”. Attual-mente sono stati riconosciuti oltre 50tipi distinti di antigeni O e relativi sot-totipi, e oltre 50 antigeni H e sottotipi.Inoltre il fenomeno di fase-variazione sipresenta fra molti tipi di salmonelle,

con passaggio di flagelli da un tipo dispecificità a un altro. Attualmente so-no conosciuti oltre 2000 tipi OH. L’an-tigene O è una endotossina e conferi-sce resistenza alla fagocitosi (i ceppiche ne sono privi non sono patogeni).Un altro antigene è il polisaccaride ca-psulare di virulenza (Vi) presente suSalmonella typhi e raramente riscon-trato su alcuni ceppi paratyphi C.

I microrganismi della salmonella resi-stono a molti agenti fisici, ma possonoessere uccisi al calore a 130 °F (54,4°C) per un’ora oppure a 140 °F (60 °C)per 15 minuti. Le salmonelle rimangonovitali per giorni a temperatura ambiente epossono resistere per settimane nelle ac-que di scolo, negli alimenti in polvere, neicomposti farmaceutici e nelle feci. Loschema di Kauffman-White, comune-mente usato per classificare i sierotipi disalmonella, si basa sugli antigeni O e H.

I sierotipi che causano la maggiorparte delle infezioni nell’uomo sono isierotipi A-E. I ceppi più frequentemen-te isolati sono stati S. tiphymurium(sierogruppo B), S. heidelberg (B), S.enteridis (D), S. newport (C2), S. in-fantis (C), S. agona (B), S. thompson(C1), S. montevideo (C1); la S. typhiè classificata nel sierogruppo D.

La classificazione in sierotipi è im-portante dal punto di vista clinico per-

Infez ioni da al imenti

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ché alcuni sierotipi tendono a essereassociati a sindromi cliniche specifiche.

Epidemiologia

Ogni anno negli Stati Uniti vengo-no segnalati più di 1.500.000 casi disalmonellosi all’anno (98% salmonel-losi non tifoidee), di cui 400 di febbretifoide. In Italia, nel 1999 secondo ilbollettino Epidemiologico del Ministerodella Salute si sono verificati 14.122casi di salmonellosi. Nel 2000 il nu-mero totale degli isolamenti è stato di10.864.

La febbre tifoide non è frequentenei paesi industrializzati, ma è endemi-ca in zone meno sviluppate del mondo.I casi riportati nei paesi industrializzatisono per lo più conseguenza di viaggiall’estero, in paesi nei quali mancanoappropriate misure igieniche per l’ac-qua potabile e per il cibo, o del consu-mo di cibo contaminato da portatoricronici.

La salmonella causa frequente-mente infezione nei soggetti di età in-feriore a 5 anni e di età superiore a 70anni, con un picco nel primo anno divita. Le infezioni invasive e la mortalitàsono più frequenti nei lattanti, neglianziani e nei pazienti con malattie dibase, soprattutto emoglobinopatie, tu-

mori, AIDS e altre malattie immuno-soppressive. I casi descritti sono per lopiù sporadici; sono più comuni le epi-demie nelle istituzioni, in particolarequelle di origine alimentare.

I principali serbatoi per sierotipinon tifoidei di salmonella sono gli ani-mali: pollame, bestiame, rettili e ani-mali domestici. I principali veicoli ditrasmissione sono i cibi di origine ani-male come polli, carni rosse, uova, lat-te non pastorizzato. Altri veicoli sonorappresentati da frutta, verdura, riso,germogli alfa-alfa. Si tratta di veicolicontaminati dal contatto con prodottianimali e persone infette. Altre moda-lità di trasmissione comprendono l’in-gestione di acqua contaminata o contrasmissione diretta orale-fecale (rara),contatto con rettili infetti (tartarughedomestiche, iguane e altri rettili), con-tatto con medicazioni, tinture e stru-menti medici contaminati.

Unico serbatoio naturale della Sal-monella typhi è l’uomo. Pertanto persviluppare l’infezione è necessario ilcontatto diretto o indiretto con unapersona infetta (portatore malato ocronico). L’ingestione di cibi o acquacontaminati con feci umane è il meto-do più frequente di trasmissione. Neipaesi in via di sviluppo si osservanoprincipalmente epidemie trasmesse

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tramite l’acqua, a causa di scadentimisure sanitarie o per diretto contattooro-fecale per la scarsa igiene perso-nale. Un’altra fonte di infezione diffusaè costituita da ostriche o altri mitili col-tivati in acque contaminate da fogna-ture.

Manifestazioni cliniche

Le infezioni da salmonella non tifoi-dea provocano diverse sindromi clini-che, a seconda dei fattori dell’ospite edello specifico sierotipo coinvolto.

Gastroenterite acuta: è la manifesta-zione clinica più frequente; dopo unperiodo di incubazione di 6-72 orecompare una sintomatologia addomi-nale caratterizzata da nausea, vomito edolori addominali crampiformi, a cuiseguono diarrea acquosa fino a unquadro di dissenteria con muco e san-gue. Nel 70% dei pazienti si verificafebbre. Nei bambini sani i sintomiscompaiono entro 2-7 giorni. Il rischiodi contagio esiste per tutta la duratadell’escrezione fecale del germe. Que-sto periodo è variabile. Dodici settima-ne dopo l’infezione il 45% dei bambinicon età inferiore a 5 anni elimina an-cora la salmonella, rispetto al 5% deibambini più grandi o degli adulti. Que-

sto periodo può essere prolungato dal-la terapia antibiotica. Circa il 15% deipazienti continua a eliminare la salmo-nella per più di un anno.

Batteriemia: una condizione di batterie-mia transitoria si manifesta nell’1-5%dei casi di gastroenterite acuta. La bat-teriemia da salmonella si manifesta confebbre e brividi (Tabella 2).

Infezioni extraintestinali: dopo che lesalmonelle sono penetrate nel circoloematico, hanno la capacità unica dicausare metastasi e provocare un’in-fezione purulenta, focale in quasi tuttigli organi. Solitamente sono coinvolti isiti con anomalie preesistenti. Le infe-zioni focali comunemente interessanolo scheletro, le meningi, i siti intrava-scolari. La salmonella è una causa fre-quente di osteomielite nei bambini conanemia falciforme. Spesso l’osteomie-lite si manifesta in sede di traumi pre-cedenti o protesi. La meningite com-pare principalmente nei lattanti ed ècaratterizzata da un elevato tasso dimortalità (50%) e sequele neurologi-che nonostante una corretta terapiaantibiotica. I sierotipi che causano lamaggior parte delle infezioni focali ex-traintestinali sono la S. tiphymurium ela S. choleraesuis.

Infez ioni da al imenti

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F. Salv in i , S . D i G iacomo

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Febbre tifoide: è una sindrome clinicasistemica prodotta da alcuni microrgani-smi di salmonella. Essa comprende i ter-mini tifo, causato da S. tyhi, e paratifo,causato da S. paratyphi A, S. paratyphiB, S. paratyphi C. La salmonella ingeri-ta si moltiplica nell’intestino tenue e, do-po essere penetrata attraverso la muco-sa, i linfatici e il dotto toracico, raggiungeil torrente sanguigno e la cistifellea (faseasintomatica); qui la salmonella si molti-plica e si diffonde nell’intestino con la bileper riprendere la via del circolo e causarebatteriemia sintomatica.

Il periodo di incubazione è solita-mente di 7-14 giorni, ma può andareda 3 a 30 giorni.

I settimana: l’insorgenza dei sinto-mi è molto insidiosa ed è caratterizzatada febbre, malessere, inappetenza,

anoressia, mialgia, cefalea, dolori ad-dominali.

Si può verificare diarrea con unaconsistenza simile a una purea di pi-selli; in seguito la stipsi diventa il sinto-mo dominante. Nausea e vomito sonorari e indicano solitamente la presenzadi una complicanza. Alcuni soggettipresentano una grave letargia.

La febbre, che aumenta per gradi,diventa costante ed elevata nelle primesettimane, raggiungendo spesso i 40 °C.

II settimana: la febbre alta è conti-nua, con peggioramento dell’astenia edei sintomi addominali. Il paziente,molto compromesso, può presentaredelirio e stato soporoso.

All’esame obiettivo si può eviden-ziare: bradicardia relativa che contrastacon la febbre alta, epatosplenomega-

Neonati e lattanti (< 3 mesi)

AIDS, granulomatosi cronica e altre immunodeficienze

Tumori maligni, in particolare leucemie e linfomi

Terapia immunosoppressiva e corticosteroidea

Anemia emolitica, anemia falciforme, malaria e bartonellosi

Connettiviti

Malattie infiammatorie croniche intestinali

Acloridria e terapia antiacida

Schistosomiasi

Malnutrizione

Tabella 2

Condizioni cheaumentano il rischio di batteriemia da salmonella durante le gastroenteriti da salmonella non tifoidea

lia, iperestesia addominale, esantemamaculare (nel 50% dei pazienti).

III-IV settimana: risoluzione dellasintomatologia; malessere e letargiapossono persistere per alcuni mesi.

La febbre tifoide causata da sal-monella non tifoidea è più lieve, di mi-nore durata e presenta meno frequen-temente complicanze.

La febbre intestinale può manife-starsi nei bambini più piccoli come unalieve malattia febbrile non descritta.

Esami di laboratorio: anemia nor-mocitica, leucopenia (ma anche leucoci-tosi in presenza di ascessi piogeni), pia-strinopenia, alterata funzionalità epatica.Proteinuria, sangue e leucociti nelle feci.

Test diagnostici

L’isolamento di salmonella da coltu-re di feci, sangue, urine e dai focolai in-fettivi in base alla sindrome da salmo-nella sospettata è diagnostico. I testsierologici per agglutinine da salmonella(“agglutinine febbrili”, reazione di Widal)possono suggerire la diagnosi di S.tiphy. Tuttavia, a causa di risultati falsipositivi e negativi, questi test non sonoattendibili. L’emocoltura è positiva nellamaggior parte dei pazienti nella prima

settimana (80%), ma già alla terza soloin una minoranza degli infetti. Il contra-rio accade per l’esame colturale dellefeci, con massimo di positività alla ter-za-quarta settimana.

Esami di laboratorio: tipica una leu-copenia; un aumento dei leucociti puòessere la spia di una complicanza (me-ningite, osteomielite, ecc.); può esserepresente un transitorio innalzamentodelle ALT (alanina-aminotransferasi).

Trattamento

a) Salmonella non tifoidea. Nel tratta-mento di routine della gastroenterite dasalmonella non sono indicati gli antibio-tici. È consigliato il trattamento antibio-tico in lattanti e bambini che corrono ilrischio maggiore di contrarre una pato-logia disseminata e in quelli con decor-so più grave e prolungato.

Inoltre, il trattamento antibiotico(ampicillina, trimetoprim-sulfametossa-zolo, cloramfenicolo) viene utilizzato incaso di batteriemia o infezioni extrainte-stinali. La resistenza della salmonellaagli antibiotici è sempre più diffusa; èquindi necessario eseguire test di sen-sibilità antibiotica.

La durata della terapia antibiotica èdi 10-14 giorni nei bambini con batte-

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riemia, 4-6 settimane per osteomieliteacuta e 4 settimane per la meningite.b) Salmonella typhi. Per il trattamen-to della febbre tifoide è necessaria laterapia antibiotica, in particolare per iltifo. Tuttavia, a causa della crescenteresistenza antibiotica, la scelta dellaterapia empirica adeguata è spessocontroversa. Cloramfenicolo, trimeto-prim-sulfametossazolo e ampicillinahanno dimostrato una buona efficaciaclinica. La febbre recede in generenel giro di 7 giorni, tuttavia il tratta-mento di casi non complicati dovrebbeessere proseguito per almeno 10-14giorni o per 5-7 giorni dopo la defer-vescenza.

È inoltre importante tentare di elimi-nare lo stato di portatore cronico (escre-zione di salmonella nelle feci per più diun anno nel 2-3% dei casi di salmonellatifoidea); tuttavia l’eradicazione è difficile,nonostante la sensibilità “in vitro” all’anti-biotico utilizzato. Un ciclo di 4-6 settima-ne di ampicillina ad alte dosi (o amoxicilli-na), associata a probenecid o trimeto-prim-sulfametossazolo, comporta la gua-rigione dello stato di portatore nell’80%dei casi. In caso di patologie delle vie bi-liari si consiglia una colecistectomia en-tro 14 giorni dal trattamento antibiotico.Il farmaco di scelta per i portatori adulticronici è la ciprofloxacina.

MISURE PREVENTIVE

I soggetti ammalati di febbre tifoi-dea devono essere ricoverati in repartoospedaliero di isolamento fino a nega-tività di tre esami colturali delle feci per3 settimane consecutive.

Consumatori e produttori devonoessere istruiti sulla preparazione e lacottura di uova e di altri alimenti ad al-to rischio. La contaminazione trasver-sale degli alimenti deve essere evitata.Le uova, il pollame e le carni crudi do-vrebbero essere mantenuti separatidagli altri cibi e dagli alimenti pronti damangiare. Le mani, le lame ed altriutensili dovrebbero essere lavati accu-ratamente dopo l’utilizzo per qualsiasialimento, in particolare per gli alimenticrudi. • Cuocere la carne tritata, il pollame ele uova prima del consumo. La carne eil pollame devono raggiungere 65,5 °C.• Evitare alimenti e bevande conte-nenti uova grezze (maionese, zabaionecasalingo), insalata russa e pane to-stato francese non abbastanza cotto.• Evitare assolutamente il latte crudonon pastorizzato.• Lavare le mani, le superfici di lavorodella cucina e gli utensili con acqua esapone e subito dopo il contatto conalimenti di origine animale.

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• Fare particolare attenzione agli ali-menti per neonati, anziani e soggetticon sistema immune compromesso. Sivaluta infatti che un adulto sano deve in-gerire 106-108 cellule di salmonella percontrarre la malattia, mentre nei lattantie nelle persone debilitate basta una ca-rica batterica inferiore. • Lavarsi le mani con sapone dopo ilcontatto con rettili, anfibi o uccelli conescrementi d’animali domestici. I neona-ti/lattanti e i soggetti immunocompro-messi non dovrebbero avere contatto di-retto o indiretto con tali animali.

Vaccinazioni

Sono disponibili tre vaccini contro S. typhi (Tabella 3). Il vaccino termo-fenolo-inattivato offre una scarsa pro-tezione (51-76% di efficacia) ed è as-sociato a effetti collaterali come feb-bre, reazioni locali, cefalea, in almenoil 25% dei vaccinati. Questo vaccino èconsigliato solo in bambini con menodi due anni di età ad alto rischio diesposizione. La vaccinazione primariaconsiste in due dosi (0,25 ml ciascu-na) sottocute con un intervallo di 4settimane. Un secondo vaccino consi-ste in un preparato orale vivo-attenua-to del ceppo Ty21a di S. typhi (Vivo-tif). Diversi studi ne hanno dimostrato

l’efficacia (67-82%). Sono rari gli ef-fetti collaterali importanti.

I bambini (6 anni o più) e gli adultidevono ricevere una capsula gastropro-tetta ogni 2 giorni per un totale di quat-tro capsule in otto giorni. Il vaccino ora-le non è consigliato sotto i 6 anni perl’esperienza limitata. Essendo un vacci-no vivo attenuato è controindicato neipazienti affetti da immunodeficienza.Una dose di richiamo ogni 5 anni è rac-comandata solo nel caso di esposizionecontinua o ripetuta a Salmonella typhi.

Nei bambini di 2 anni o più è invececonsigliata la vaccinazione con vaccinocapsulare CPS polisaccaridico da ViCPS 0,5 ml (25 µg) intramuscolo. An-che gli effetti collaterali di Vi CPS sonominimi. È raccomandata una dose di ri-chiamo ogni 2 anni dopo la dose prima-ria se l’esposizione è continua e ripetuta.

Si consiglia un vaccino tifoide ai vi-sitatori di aree endemiche, soprattuttoAmerica Latina, Sud Est Asiatico edAfrica. È importante ricordare che ilvaccino non sostituisce l’igiene perso-nale e una scelta attenta di cibi e be-vande, in quanto nessun vaccino haun’efficacia del 100%.

Si consiglia la vaccinazione a per-sone a stretto contatto con un portato-re noto, anche al fine di controllare leepidemie.

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Enterocoliteda escherichia colienteroemmoragica(echec)

Eziologia

Causata prevalentemente dal cep-po 0157: H7 di Escherichia coli, de-scritto la prima volta negli USA nel1982, in circa 50 soggetti che aveva-no consumato hamburger contaminati.

Epidemiologia

Il principale serbatoio del batterio è ilbestiame, la cui carne viene accidental-mente inquinata con il contenuto intesti-nale durante la macellazione o la prepa-razione degli alimenti (enterite da ham-burger). Con la macinazione, il batteriodalla superficie della carne viene fattopenetrare all’interno, dove la cottura in-

completa consente ai batteri di sopravvi-vere e di essere ingeriti, mentre una cor-retta cottura dell’alimento distrugge letossine e i microrganismi presenti. Oltrealla carne poco cotta, altri veicoli del bat-terio sono il latte non pastorizzato e gliortaggi irrorati da acqua contaminataproveniente da sistemi idrici non clorati.È possibile, inoltre, il passaggio direttoanimale-uomo e uomo-uomo, per viaorofecale.

Le infezioni sono prevalentementesporadiche e meno frequentemente epi-demiche, particolarmente tra soggettiistituzionalizzati.

Patogenesi

La virulenza si correla principalmentealla capacità dell’E. coli 0157 di produr-re, a livello della mucosa intestinale, duetossine (VT1 e VT2), chiamate “verotos-sine”, perché hanno un effetto citopatico

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Tabella 3

I vaccini antitifo disponibili

Vaccino Tipo Via di Età minima del N. Frequenza dei Effettisomministrazione ricevente in anni dosi richiami in anni Avversi (%)

Inattivato da Cellula interaSottocutanea 0,5 2 3 < 35calore e fenolo uccisa

Ty21a Vivo attenuato Orale 6 4 5 5

Vi CPS Polisaccarido Intramuscolare 2 1 2 < 7

sulle cellule VERO, o “Shigatossine”, inquanto simili a quelle prodotte da Shi-gella dysenteriae. VT1 e VT2 hannouna duplice azione: a livello locale riesco-no a inibire la sintesi proteica delle cellu-le cui aderiscono, legandosi alla subunità60 S dei ribosomi, e a livello sistemicoinducono un’importante liberazione deifattori dell’infiammazione, responsabile disevere complicanze. Tuttavia non tutti iceppi produttori di verotossine sono pa-togeni; sono in genere necessari altrifattori di virulenza, tra cui appunto la ca-pacità del ceppo di aderire alle celluleepiteliali intestinali.

Sintomatologia

Il quadro clinico è variabile. Si posso-no riscontrare forme asintomatiche o for-me con diarrea non caratteristica, ac-quosa; più frequentemente si osservauna forma diarroica emorragica moltosevera accompagnata da dolori addomi-nali intensi e, talora, nausea e vomito.Le feci sono in genere striate di sangue,ma talvolta il soggetto può evacuaresangue franco e coaguli. La febbre è dinorma assente o moderata e la contadei leucociti è in genere superiore a10x103/µl. All’endoscopia, la mucosacolica appare iperemica, edematosa, conaree necrotiche focali; possono essere

presenti aree di infiltrazione neutrofilanella lamina propria, ascessi criptici epseudomembrane. L’interessamentomaggiore è a livello del tratto cecale.

La sintomatologia compare dopo cir-ca 3-4 giorni dal consumo del cibo inqui-nato e ha un decorso di circa 6-7 giorni.Un’importante complicanza di questa in-fezione è la sindrome emolitico-uremica(HUS), che compare in circa il 6% deisoggetti con diarrea emorragica e si ca-ratterizza per una letalità del 3-5%. Si ri-tiene che la sindrome sia conseguente alpassaggio in circolo della tossina. Talesindrome si manifesta con anemia emoli-tica, piastrinopenia, microangiopatia, in-sufficienza renale, talora manifestazionineurologiche (convulsioni, sopore, coma,vasculopatie cerebrali a focolaio) e segnidi interessamento epatico e pancreatico.In altri casi la complicanza è rappresenta-ta soltanto da una porpora tromboticapiastrinopenica (TTP), con compromis-sione renale modesta. I fattori di rischiopiù importanti per lo sviluppo diHUS/TTP sono l’età inferiore a 15 annie superiore a 65 anni, la presenza di ipo-cloridria, un elevato valore di PCR, laconta dei leucociti plasmatici superiore a11,0x103/µl e la temperatura corporeasuperiore a 38 °C. Inoltre, una terapiaantibiotica condotta prima dell’infezionepuò predisporre a queste complicanze.

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Diagnosi

Si ottiene mediante identificazionedei ceppi EHEC in coprocoltura con anti-sieri specifici, che deve essere apposita-mente richiesta se si sospetta l’infezio-ne. È possibile, inoltre, effettuare unadiagnosi sierologica, ricercando gli anti-corpi diretti contro il lipopolisaccaride0157.

Terapia

La terapia è essenzialmente sinto-matica: il trattamento di supporto, me-diante reidratazione e correzione dellosquilibrio elettrolitico, e delle complican-ze, quali l’insufficienza renale e l’anemia,sono fondamentali per garantire la so-pravvivenza del soggetto. La maggiorparte dei pazienti mostra in genere unrecupero completo senza sequele. An-che per l’HUS il trattamento si basa sullareidratazione e solo nei casi più gravi ènecessario ricorrere alla dialisi. Altre mi-sure includono la plasmaferesi, la trasfu-sione di plasma fresco congelato e lasomministrazione endovenosa di immu-noglobuline.

Non esistono prove circa l’effica-cia degli antibiotici, i quali sembranoaddir i t tura peggiorare i l decorsodell’infezione.

Profilassi

È fondamentale prevenire e control-lare le epidemie, informando i soggetticirca il rischio di contrarre l’infezione conl’assunzione di carne poco cotta e se-gnalando immediatamente ai dipartimentisanitari locali i casi riscontrati.

Infezione da enterobactersakazakii

Eziologia

E. sakazakii è un bacillo mobile,Gram-negativo, appartenente alla fa-miglia delle Enterobacteriaceae. Talegerme, noto fino al 1980 come “yel-low-pigmented Enterobacter Cloa-cae”, è stato di seguito rinominatoEnterobacter sakazakii.

È comunemente presente nell’am-biente e in condizioni normali non èpatogeno; dati di letteratura degli ulti-mi anni lo indicano come patogenoemergente in grado di causare sepsi,meningite ed enterocolite necrotiz-zante in neonati, in particolare neiprematuri o nei bambini immunode-pressi.

È inoltre una causa rara di batte-riemia e osteomielite negli adulti.

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Epidemiologia

L’habitat naturale del batterio è sco-nosciuto. Diverse indagini condotte negliultimi anni e segnalazioni del CDC (Cen-ters for Disease Control and Prevention)di Atlanta hanno rivelato che l’infezionepuò essere associata all’utilizzo di formuledi latte in polvere contaminate da tale ger-me. Il rischio per l’infezione può dipendereda diversi fattori, tra cui la carica battericapresente nel prodotto, la manipolazionedopo la preparazione e le caratteristichedel paziente (immunosoppressione, pre-maturità o basso peso alla nascita).

Patogenesi

Studi di laboratorio hanno dimostratoche l’azione patogena del batterio è lega-ta alla produzione di un’enterotossinaletale.

Sintomatologia

L’infezione si manifesta con meningi-te, frequentemente complicata dalla for-mazione di ascessi cerebrali, batteriemiao enterocolite necrotizzante. Il tasso dimortalità è circa del 50 % e, in quasi tuttii pazienti colpiti, il coinvolgimento delSNC, in caso di sopravvivenza residua, inritardo mentale.

Diagnosi

È possibile mediante coltura del bat-terio su terreni arricchiti, le cui coloniemanifestano una caratteristica colorazio-ne giallastra, o mediante PCR.

Nella gestione dei pazienti con ri-scontro di E. sakazakii nel sangue o nelliquido cerebrospinale, è utile eseguire laTC dell’encefalo che, in quasi tutti i casi,documenta la presenza di alterazioni cisti-che, ascessi, raccolte di fluidi, ventricolitio infarcimenti cerebrali. Poiché il rischiodi idrocefalo è elevato, tali pazienti vannoseguiti con un attento follow-up e con TCdell’encefalo ripetute nel tempo.

Terapia

Tradizionalmente la meningite da E.sakazakii viene trattata con ampicillinae gentamicina o ampicillina e cloranfe-nicolo. Tuttavia, per l’aumentata resi-stenza all’antibiotico, vengono oggipresi in considerazione i carbapenemi ole più recenti cefalosporine associate aun secondo agente antibatterico, comeun aminoglicoside.

Profilassi

La prof i lassi è aspecif ica e siidentifica, per il lattante, nell’utilizzo

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della formula liquida sterilizzata dispo-nibile in commercio, poiché il latte inpolvere non è sterile e può quindi rap-presentare un buon mezzo di colturaper l’E. sakazakii; inoltre, periodi pro-lungati di stoccaggio e la sommini-strazione a temperatura ambientepossono amplificare la carica battericapresente. Un’alternativa all’util izzodella formula liquida, è rappresentatadall’adozione di procedure asettichedurante la preparazione del latte inpolvere, condotte esclusivamente dapersonale specializzato. A questo finesono state avanzate delle linee-guidadall’American Dietetic Association(ADA) che indicano la corretta normadi preparazione e di conservazione delprodotto.

Vibrio cholerae

Eziologia

Vibrio cholerae è un batter ioGram-negativo, mobile per mezzo di unsingolo flagello polare, di cui si cono-scono diversi sierogruppi. Non è invasi-vo e colpisce di solito l’intestino tenue.Produce un’enterotossina composta dasubunità A e B. La subunità A è la par-te attiva della tossina, che entra nellacellula ed è responsabile del cambia-mento del metabolismo cellulare stes-so. Questo condizionamento cellulareinduce un aumento di secrezione di ac-qua e sali, determinando una diarreasecretiva. V. cholerae 01, di cui il bioti-po El Tor è attualmente dominante, èresponsabile della settima pandemia,attualmente in corso (Figura 1).

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19701971 1971

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1964

1963

Figura 1

Diffusione globaledi colera durante lasettima pandemia

Questa pandemia è iniziata nel1961, quando il vibrione è comparsocome causa del colera epidemico inIndonesia. Da allora, la malattia si èrapidamente estesa ad altr i paesidell’Asia (Bangladesh, India, Urss,Iran e Iraq); negli anni ’70 l’epidemiaha raggiunto l’Africa, che non avevaavvertito la presenza di epidemie dicolera da più di 100 anni, diventandoendemica nel la maggior parte delcontinente. Nel 1991 El Tor ha rag-giunto l’America Latina dove in un an-no si è diffuso in 11 paesi.

Disast r i natura l i e provocat idall’uomo possono aumentare consi-derevolmente il rischio di epidemie: adesempio nel 1994 nei campi di rifu-giati ruandesi si sono verificati almeno48.000 casi di colera.

Fino al 1992, soltanto il siero-gruppo 01 di V. cholerae ha causatoil colera epidemico, mentre altri siero-gruppi sono stati responsabili di casisporadici di diarrea. In quell’anno, In-dia e Bangladesh hanno conosciutoun’epidemia provocata da un siero-gruppo precedentemente sconosciu-to, V. cholerae 0139, denominatoBengala.

Attualmente solo i ceppi 01 e 0139sono in grado di causare epidemie.

Ciò non esclude però la possibilità

di nuove pandemie. Ad esempio, ElTor fu originariamente isolato comeceppo non virulento nel 1905, ma inseguito ha acquisito sufficiente viru-lenza per causare la pandemia attuale.

I casi ufficiali riportati dall’Organiz-zazione Mondiale del la Sanità nel2002 sono 123.986 con 3.763 de-cessi. La grande maggioranza di essisi è verificata in Africa, soprattutto inCongo, Malawi, Mozambico e SudAfrica, dove si sono verificati oltre90.000 casi pari al 72,6% del totaleannuo. In Europa sono stati segnalati5 casi e nessun decesso, tutti attribui-bili a malattia da importazione. Tali nu-meri sono da considerarsi una sotto-stima dei casi reali, dato che in moltipaesi del sud del mondo i sistemi disorveglianza e di denuncia di malattiasono poco organizzati e capillari.

Trasmissione

L’uomo è l’unico ospite naturalecerto; è possibile dimostrare la pre-senza di organismi vitali nelle acquedove la presenza del Vibrio cholerae èassociata alla fioritura di alghe (planc-ton), influenzata dalla temperaturadell’acqua. Liberato nell’ambiente, ilvibrione del colera non sopravvive piùdi 7 giorni.

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La più comune via di contagio èrappresentata dall’ingestione di acquacontaminata, oppure da crostacei, mol-luschi crudi o poco cotti, grano umidoconservato a temperatura ambiente epesce crudo o parzialmente secco.

La bollitura dell’acqua, il trattamen-to con iodio o cloro e l’adeguata cotturadei cibi uccidono il germe.

I soggetti con bassa acidità gastricasono a maggior rischio di infezione co-lerica. Non vi è prova di possibile tra-smissione interumana.

Nelle zone altamente endemiche, ilcolera è prevalentemente una malattiadei bambini in giovane età, mentre gliallattati al seno ne sono meno frequen-temente colpiti.

Manifestazioni cliniche

Il periodo di incubazione è solita-mente di 1-3 giorni, variando da alcuneore fino a 5 giorni, quando comparediarrea acquosa non accompagnata dadolore addominale o febbre. Il vomito èpresente nella maggior parte dei casi.

Nelle sue manifestazioni severe, èuna delle malattie infettive che può piùrapidamente portare a disidratazione ea morte se il trattamento non viene ini-ziato prontamente. Nel giro di 4-12 orepuò causare disidratazione, ipopotas-

siemia e acidosi che possono condurrea shock ipovolemico, coma, convulsionie ipoglicemia.

Le feci sono caratteristiche e sipresentano incolori con “fiocchi di mu-co”; vengono definite ad “acqua di riso”.

La maggior parte delle persone in-fettate non contrae la malattia, anchese il batterio è presente nelle feci per7-14 giorni. Nei casi di contagio, piùdel 90% degli episodi sono di severitàlieve o moderata e sono difficili da di-stinguersi clinicamente da altri tipi didiarree acute.

Meno del 10% dei casi sviluppa ilcolera nella sua forma più grave.

Tale variabilità è data dalla caricabatterica ingerita, dal numero di recet-tori intestinali per il colera e per le suetossine. Inoltre un ruolo di primo pianonel manifestarsi della malattia è giocatodalla memoria immunitaria, come è di-mostrato nei paesi fortemente endemiciin cui l’incidenza di malattia è relativa-mente bassa tra gli adulti rispetto aibambini.

Diagnosi

La diagnosi avviene con esame del-le feci al microscopio in contrasto di fa-se e deve essere confermata con esa-me colturale su terreni specifici.

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Trattamento

Quando il colera si presenta in unacomunità che non possiede un adegua-to sistema di sorveglianza o qualoramanchino le condizioni per la diagnosi eil trattamento, i tassi di letalità possonoarrivare al 50%. Di contro, in un paeseorganizzato dal punto di vista sanitariola percentuale di decessi causati dallamalattia può essere inferiore all’1%.

La maggior parte dei casi di diarreacausati da V. cholerae possono esseretrattati adeguatamente con una terapiareidratante per bocca (il sacchetto stan-dard ORS-Oral rehidratation-salt diOMS/UNICEF è considerato uno deipresidi di salute pubblica a miglior co-sto/beneficio).

Durante l’epidemia, l’80-90% deipazienti con diarrea può essere curatotramite la reidratazione orale, ma i pa-zienti che sono severamente disidratatidevono essere trattati con soluzioni rei-dratanti per via endovenosa.

Nei casi severi, un antibiotico effi-cace può ridurre volume e durata delladiarrea, oltre che il periodo di escrezio-ne del v ibr ione. Tetracicl ina (50mg/kg/die fino a un massimo di 2g/die, in 4 somministrazioni per 3 gior-ni) oppure doxiciclina (6 mg/kg/die finoa un massimo di 300 mg in singola do-

se), sono gli antibiotici di scelta; la resi-stenza alla tetraciclina sta aumentandoe tale antibiotico non è raccomandatonei bambini sotto gli 8 anni, a causa deidanni ossei e allo smalto dentale, ma incaso di colera i benefici possono supera-re i rischi. Altri antibiotici efficaci sono eri-tromicina (40 mg/kg/die fino al massimodi 1 g), trimetoprim/sulfametossazolo (8mg/kg/die TMP + 40 mg/kg/die SMX)ed il furazolidone (5,5 mg/kg/die fino aun massimo di 1400 mg).

Controllo epidemico e

misure preventive

Quando il colera compare in unacomunità è essenziale:1) l’eliminazione igienica delle feci

umane;

2) un rifornimento sufficiente di acquapotabile;

3) la predisposizione di misure efficacidi igiene alimentare.

Le misure efficaci di igiene alimen-tare includono la cottura completadell’alimento e il suo consumo mentre èancora caldo. Evitare la contaminazionedegli alimenti cucinati, tramite il contat-to con superfici contaminate o con mo-sche ed evitare frutta e ortaggi nonsbucciati. Lavarsi le mani dopo defeca-

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zione e prima del contatto con alimentio acqua potabile.

Il trattamento sistematico di unacomunità con antibiotici, "la chemiopro-filassi totale", non ha effetto sulla diffu-sione del colera.

L’installazione di cordoni sanitari al-le frontiere coinvolge risorse umane edeconomiche che dovrebbero essere de-dicate a misure di controllo efficaci eimpedisce la collaborazione fra istituzio-ni e paesi che dovrebbero unire i lorosforzi per combattere il colera.

Recentemente sono diventati dispo-nibili in alcuni paesi stock limitati di duevaccini orali anti colera che assicurano laprotezione ad alto livello per parecchimesi contro il colera causato da V. cho-lerae 01. Entrambi sono consigliabili aiviaggiatori, anche se non sono stati an-cora usati su vasta scala per scopi di sa-nità pubblica. L’uso del sistema vaccina-le per evitare gli scoppi delle epidemienon è suggerito, perchè può dare unsenso falso di sicurezza agli individui vac-cinati e ai servizi sanitari, portandoli a tra-scurare le misure più efficaci.

Nel 1973 la Organizzazione Mon-diale della Sanità ha cancellato dalle re-golazioni internazionali di salute il requi-sito della presentazione di un certificatodi vaccinazione del colera. Oggi nessunpaese richiede la prova della vaccinazio-

ne del colera come condizione indi-spensabile per l’ingresso e il certificatodi vaccinazione internazionale non pos-siede più uno spazio specifico per la re-gistrazione di tali vaccinazioni.

Vaccinazione

Vibrio cholerae 01L’osservazione che l’infezione natu-

rale conferisce immunità di lunga durataha spinto la ricerca a sviluppare vaccini.Il primo tentativo di vaccino è del 1960:somministrato per via parenterale con-feriva protezione immunitaria del 90%ed efficacia per un anno.

Le caratteristiche ideali del vaccinodovrebbero essere il mantenimento deirequisiti di patogenicità per la colonizza-zione intestinale (motilità, fimbrie, neu-roaminidasi), senza produrre tossinecomplete, ma solo la subunità B: que-st’ultima determina la produzione di an-ticorpi che andrebbero a competere alivello recettoriale sul sito di legame tos-sina-cellula epiteliale.

Il rischio di infezione per i viaggiatoriche seguono norme precauzionali èmolto basso anche in zone endemiche,tanto che la vaccinazione non è gene-ralmente consigliata.

Sono stati sviluppati due nuovi vac-cini anticolera che hanno dimostrato di

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possedere una buona efficacia e immu-nogenicità. Un vaccino (Cholerix, SBLVaccin AB, Stoccolma) è costituito da vi-brioni del sierotipo 01 uccisi associati omeno con la subunità B ricombinantedella tossina colerica (WC/rBS). Speri-mentazioni cliniche condotte in Bangla-desh, Colombia, Perù e Svezia hannoevidenziato che due dosi conferiscono unalto grado di immunità (85%) e una bre-ve protezione (per 4-6 mesi) nei confrontidel biotipo El Tor. Il secondo è un vaccinoorale vivo attenuato, costituito da vibrionidel ceppo Inaba 569 (CVD 103 HgR) re-si deficitari del gene che codifica la subu-nità A della tossina (Orochol Berna Istitu-to Svizzero di Sieri e Vaccini, Berna). Sitratta di una preparazione liofilizzata (con-tenente 5x108 batteri) che viene discioltacon un tampone in acqua e assunta astomaco vuoto. La protezione comparedopo una settimana e perdura per circa 6mesi; non è attualmente raccomandatauna dose di richiamo. Non vanno sommi-nistrati contemporaneamente farmaci an-timalarici, chinoloni o altri antibiotici attivinei confronti di V. cholerae; la vaccina-zione antitifica orale va differita di almeno3 settimane. Il vaccino è controindicato incaso di gastroenteriti e nei pazienti conimmunodeficienza. Dopo una singolasomministrazione sembra conferire un’ot-tima protezione nei confronti del colera

sostenuto da biotipi classici o El Tor,mentre non induce una protezione neiconfronti del ceppo di V. cholerae 0139.

I vaccini possono essere indicati perviaggiatori ad alto rischio che passinoperiodi prolungati in aree rurali o incampi profughi in paesi in cui la malattiaè endemica.

Vibrio cholerae BengalaEsiste un vaccino acellulare attivo

contro Vibrio cholerae Bengala, mache non produce immunità residua daVibrio cholerae 01.

Denuncia

In tutti i paesi del mondo il colera èuna malattia da denunciare alle autoritàsanitarie che devono essere informateprontamente di ogni caso di colera notoo presunto dovuto a V. cholerae 01 e0139 Bengala.

Commercio di prodotti

alimentari che vengono

dalle regioni infettate

dal colera

Il Vibrio Cholerae 01 può sopravvi-vere in una vasta varietà di derrate ali-mentari fino a cinque giorni a temperatu-ra ambiente e fino a 10 giorni a 5-10 °C.

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Il microrganismo può sopravvivere anchecongelato. Le basse temperature, tutta-via, limitano la proliferazione del vibrionee possono impedire che il livello di conta-minazione raggiunga una dose infettiva.

Il vibrione è sensibile all’acidità eall’essiccamento e gli alimenti silicei(pH 4,5) o secchi sono quindi senza ri-schio.

L’irradiazione e le temperature su-periori a 70 °C distruggono il vibrione.

Gli alimenti che causano la preoc-cupazione più grande ai paesi di impor-tazione sono frutti di mare e verdureche possono essere consumati crudi.Tuttavia, soltanto in rari casi tossinfezio-ni da colera si sono presentate comeconseguenza del consumo di un ali-mento. L’OMS a oggi non ha documen-tato un’epidemia significativa di coleracausata da alimenti provenienti da paesi“a rischio”.

Di conseguenza, l’OMS non ritienegiustificate limitazioni di importazione ali-mentari basate sul solo fatto che il colerasia epidemico o endemico in un paese.

Clostridium Perfrigens

Il Clostridium perfrigens è re-sponsabile di una importante tossinfe-zione alimentare; in particolare alcuni

ceppi di C. perfrigens di tipo A sonoin grado di elaborare una potente en-terotossina termolabile, capace di pro-vocare una profusa diarrea, mentre iceppi di tipo C provocano una graveforma di enterite necrotizzante.

Eziologia

Appartenente alla famiglia dei Clo-stridium, è un bacillo Gram-positivo,anaerobio, capsulato, immobile. In for-ma vegetativa, poco resistente agliagenti chimici e fisici, elabora esotossi-na ad azione necrotizzante ed emolitica.È un batterio sporigeno e le spore pro-dotte sono molto resistenti al calore, alfreddo all’essiccamento.

Epidemiologia

I l C. per f r igens è ubiqui tar ionell’ambiente e spesso è presente sucarne e pollami crudi. L’inquinamentopuò avvenire nei mattatoi o nelle cuci-ne. L’agente eziologico può essereisolato da numerosi campioni di carnecruda, da feci di animali o umane(soggetti sani). Sporulando, il germesopravvive all’iniziale cottura; le sporegerminano e proliferano durante il raf-freddamento, dando luogo a forme ve-getative con produzione di tossine.

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Una volta ingerite, le spore continuanoa germinare nel tubo digerente, elabo-rando nuova tossina, i cui effetti si som-mano a quelli della tossina preformataeventualmente presente nell’alimento(tossinfezione). Dopo essere state ingeri-te, le spore e l’enterotossina provocanola sintomatologia caratteristica.

Le fonti alimentari più comuni sonocarne di manzo, pollame, sughi e cibiliofilizzati e precotti.

Frequentemente l’infezione vienecontratta in banchetti, scuole, campeg-gi, o da cibi prodotti in grande quantitàe mantenuti riscaldati per lungo tempo.

Questa forma di enterite non hatrasmissione interpersonale.

Il periodo d’incubazione è di circa6-24 ore.

Patogenesi

Una volta ingerite le spore e pro-dotta la tossina, questa altera la viametabolica dell’adenilato-ciclasi, ini-bendo così il sistema di riassorbimentodel sodio nelle cellule dei villi, e attiva ilsistema di escrezione dei cloruri dallecripte; si verifica così un progressivoaumento della quantità di cloruro disodio contenuta nel lume intestinale,cui segue passivamente l ’acqua.Quando il volume di tale liquido supera

le capacità di riassorbimento del restodell’intestino, si instaura diarrea ac-quosa.

Buona parte della sintomatologiaderiva invece dall’assunzione della tos-sina preformata. Da qui la definizionedi tossinfezioni alimentari.

Clinica

L’intossicazione alimentare da C.perfrigens è caratterizzata dall’improv-visa insorgenza, a distanza all’incirca di8 ore dall’ingestione dell’alimento inqui-nato, di diarrea acquosa, dolore epiga-strico crampiforme (moderato o grave).Raramente si osserva vomito o febbre.In genere la sintomatologia si risolve nelgiro di 24-48 ore.

L’assenza di febbre permette di di-stinguere questa enterite dalla shigellosie dalla salmonellosi, mentre la rarità delvomito e il più lungo periodo d’incuba-zione la differenziano dall’intossicazioneal imentare da metal l i pesanti, daStaphylococcus aureus e da pesci emolluschi.

Spesso l’enterite da C. perfrigensè indistinguibile da quella da Bacilluscereus. L’enterite necrotizzante è dif-fusa in Papua e Nuova Guinea, dove èresponsabile di grave malattia e dimorte.

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Diagnosi

È possibile isolare l’agente re-sponsabile dalle feci del paziente odall’alimento inquinato. Consideratoche il C. perfrigens è di frequente ri-scontro nelle feci di soggetti sani, perparlare di infezione è necessario iso-lare almeno 106 spore di C. perfri-gens per grammo di feci raccolte en-tro 48 ore dall’esordio della sintoma-tologia. L’enterotossina in causa puòessere messa in evidenza nelle fecianche con metodiche immunoenzima-tiche (ELISA) o ricorrendo a specificikit.

Per considerare inquinato unospecifico alimento è necessario dimo-strare una concentrazione di formevegetative di almeno 105 per gram-mo.

La diagnosi andrebbe fatta sullefeci piuttosto che su tamponi rettali,per poter in questo modo valutare ilnumero di spore.

Terapia

È unicamente sintomatica. Nei casidi grave disidratazione è utile ricorrere auna terapia reidratante orale o endove-nosa. Non è indicata alcuna terapia an-tibiotica.

Profilassi

Si basa essenzialmente sulle oppor-tune norme di manipolazione e di con-servazione degli alimenti (cottura, refri-gerazione).

Clostridium Botulinum

Il botulismo è una grave malattianeuroparalitica causata dalla potenteneurotossina del Clostridium botuli-num. Tale tossina produce la paralisidei muscoli scheletrici tramite l’inibi-zione del rilascio presinaptico di acetil-colina.

Si riconoscono quattro differentientità cliniche, a seconda della via dicontagio verificatasi.

Il botulismo alimentare si osservaquando cibi inquinati dalle spore di C.botulinum siano stati conservati in con-dizioni inadeguate e in anaerobiosi, per-mettendone in questo modo la germina-zione, la moltiplicazione e la produzionedi tossine. La malattia consegue dunqueall’ingestione di cibo non adeguatamentecotto contenente la neurotossina.

Il botulismo infantile insorge quan-do le spore di C. botulinum colonizza-

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no l’intestino dove producono la tossinabotulinica.

Il botulismo da ferita comparequando, in seguito alla penetrazionedelle spore attraverso soluzioni di conti-nuo della cute, si verifica la produzionedella tossina nei tegumenti.

Infine, una percentuale variabile dicasi di botulismo è di natura indeter-minata.

Eziologia

Il Clostridium botulinum è un bacilloanaerobio obbligato, Gram-positivo, cheproduce spore molto resistenti al calore(fino a 120 °C), presenti nel suolo e nelleacque marine, dove spesso contaminanoprodotti agricoli e ittici. Dopo la germina-zione delle spore avviene l’elaborazionedella neurotossina, della quale ne sonostati identificati sette tipi. Il botulismoumano è provocato dalle tossine A, B, E,F, mentre quello che colpisce gli altri ani-mali è causato dai tipi C e D. La quasi to-talità dei casi di botulismo infantile e ali-mentare è provocato dai tipi A e B.

Epidemiologia

Il botulismo alimentare (medianaannua dei casi = 24) consegue abitual-

mente all’ingestione di cibo conservatoin scatola (soprattutto pesce e verdure),di insaccati o di mascarpone contami-nati dalla tossina preformata. In partico-lare fattori favorenti la germinazionedelle spore e la produzione di tossinesono un pH poco acido, una bassa ten-sione di ossigeno e un alto contenuto diossigeno stesso. Nel 90% dei casi sitratta di alimenti conservati artigianal-mente in ambiente domestico; i prodottiindustriali infatti risultano meno perico-losi grazie alle procedure di controlloutilizzate dalle aziende produttrici. Ge-neralmente l’intossicazione alimentaresi presenta in piccoli episodi epidemici.Il botulismo alimentare è di rara osser-vazione nei bambini.

Il botulismo alimentare può esserecausato dalle tossine A, B, E; in parti-colare la neurotossina E si associa ge-neralmente all’ingestione di pesce con-taminato, il tipo A determina casi clini-camente severi, mentre il tipo B si as-socia a casi di modesta gravità.

Ha un periodo d’incubazione di 12-36 ore e non sviluppa immunità contro latossina anche dopo una grave malattia.

Il botulismo da ferita rappresentala forma più rara. Dovuto alla crescitadel batterio e alla sua produzione di tos-sine all’interno di tessuti traumatizzati,

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riconosce come eventi predisponenti leferite traumatiche o chirurgiche di gran-de entità e, negli ultimi anni, l’uso didroghe per via iniettiva. Il periodo di in-cubazione è di 4-14 giorni tra il mo-mento della lesione e l’esordio dellasintomatologia.

Il botulismo infantile (mediana an-nua dei casi = 71) secondo i CDC rap-presenta ormai la forma più frequente,superando ampiamente come incidenzaquella della forma alimentare. Esso sisviluppa quasi esclusivamente in bambinidi età inferiore a sei mesi e deriva dall’in-gestione di spore di C. botulinum; unavolta ingerite, le spore germinano, proli-ferano e producono la tossina nell’inte-stino. Il periodo d’incubazione è variabileda 3 a 30 giorni dall’ingestione del cibocontaminato da spore.

Non è noto perché la malattia colpi-sca alcuni lattanti mentre in altri l’inge-stione delle spore rimanga inoffensiva.

Flora intestinale

e botulismo infantile

Sembra che lo sviluppo delle sporenell’intestino sia strettamente correlatoal tipo di microflora che colonizza l’inte-stino. È stato dimostrato che basso pH,carenza di nutrienti, presenza di acidi

grassi volatili e di numerosi microrgani-smi intestinali (Bacteroides sp, Lacto-bacillus e altri clostridi), sono fattori ingrado di inibire la crescita di C. botuli-num.

Alcuni studi effettuati su ratti hannoidentificato come fattori di rischio perl’impianto di C. botulinum la presenzaa livello intestinale di batteri coliformi edi enterococchi, preceduta da una colo-nizzazione anaerobia (condizione che siverifica al momento del divezzamento).

I bambini allattati artificialmentehanno una flora di tipo putrefattivo, concrescita predominante di batteri anaero-bi e Bacteroides sp. mentre i bambiniallattati al seno hanno una flora di tipofermentativo con predominanza di latto-bacilli e bifidobatteri, un basso pH inte-stinale e alti livelli di lattoferrina, tuttifattori che sembrano sfavorire la cresci-ta del C. botulinum. In questi bambiniperò, all’inizio del divezzamento l’intro-duzione di alimenti diversi dal latte ma-terno determina una modificazione dellaflora intestinale, aumentando così il ri-schio di colonizzazione da parte del C.botulinum.

Questo è dimostrato anche da unostudio condotto in Pennsylvania, nelquale sono stati valutati 43 casi di botuli-smo infantile verificatisi tra il 1976 ed il1983: di questi, il 100% era allattato al

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seno al momento dell’insorgenza dei sin-tomi e quasi tutti i bambini erano stati di-vezzati nelle quattro settimane preceden-ti l’esordio della malattia.

Nella flora intestinale dei soggettiaffetti è stata poi identificata la predo-minanza di Enterobacteriaceae e di al-tri anaerobi, facendo così ipotizzare cheil maggior rischio per la colonizzazioneda parte del C. botulinum si abbia inmomenti diversi a seconda del tipo diallattamento. In particolare il bambinoallattato con formula sembra essere amaggior rischio già dalle prime settima-ne di vita, durante le quali sono presentielevati livelli di enterococchi e Bacteroi-des. L’allattato al seno, invece, sembrapresentare un livello massimo di rischiopiù tardivamente, in relazione all’epocadi inizio del divezzamento, conseguentealle modificazioni della flora intestinaleche si verifica in questo periodo.

Sin dalla scoperta della malattia si èposto il problema di individuare la fontedelle spore del clostridio. Molteplici so-no gli alimenti che possono essere con-taminati da spore del C. botulinum; traquesti il maggiormente implicato è ilmiele. Analisi microbiologiche condottesu questo alimento hanno evidenziato lapresenza di spore del botulino nel 25%dei prodotti.

In letteratura sono stati riportati

molti casi di botulismo infantile secon-dari al consumo di miele; in particolareindagini effettuate in occasione di casiaccertati di botulismo infantile in Cana-da, USA, Italia, Giappone, Argentina eNorvegia, solo il miele è stato dimostra-to veicolare le spore di C. botulinum.L’analisi di residui di miele utilizzato daquesti bambini ha evidenziato la pre-senza di una discreta carica di spore emai di tossina.

Questo è dovuto al fatto che il pro-cesso di maturazione del miele favori-sce la crescita delle spore al suo inter-no, soprattutto se le condizioni di mi-croanaerobiosi sono state create dalmetabolismo ossidativo del Bacillus al-vei, un altro comune contaminante delmiele. Purtroppo i trattamenti conven-zionali per distruggere le spore nonpossono essere utilizzati per il miele,perché ne altererebbero profondamentele caratteristiche organolettiche.

Per tale motivo le più importanti as-sociazioni sanitarie in Usa e in Europa,compresa l’Italia, hanno raccomandatodi evitare l’uso del miele nei bambini aldi sotto del primo anno di vita.

Clinica

Tranne che nel botulismo infantile,la malattia può esordire acutamente in

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poche ore, o più gradualmente in alcunigiorni.

Nelle primissime fasi si osserva unaparalisi flaccida della muscolatura bul-bare cui segue una progressiva discesasimmetrica; solo in un secondo mo-mento si ha un coinvolgimento dellamuscolatura somatica. A questo puntola paralisi simmetrica può evolvere rapi-damente. Per questo motivo i bambinicon forme rapidamente progressive, al-la prima visita possono già avere segnidi ipotonia e debolezza generalizzata.

Nei bambini più grandi possonocomparire diplopia, offuscamento dellavista, secchezza della bocca, disfagia,disfonia e disartria.

Nel botulismo infantile il primo sinto-mo è rappresentato da costipazione che,già nelle prime fasi della malattia, si ac-compagna a letargia, scarsa alimentazio-ne, pianto flebile, diminuzione dei riflessirotulei, lieve paralisi oculare. Nell’arco ditre giorni compaiono scarsa suzione,perdita del controllo del capo, ipotonia edebolezza generalizzate (floppy infant),riduzione dei movimenti spontanei. Aquesti segni e sintomi si associano tachi-cardia, ipotensione, vescica neurologica.

La malattia può presentare unospettro clinico ampio, potendo andareda un’iniziale manifestazione lieve chepuò passare inosservata, alla forma di

botulismo fulminante, indistinguibile perstoria e presentazione dalla morte im-provvisa in culla (SIDS).

Test diagnostici

Un test di bioneutralizzazione dellatossina del topo viene utilizzato peridentificare la tossina botulinica incampioni di siero, feci o cibi sospetti,mentre terreni arricchiti e selettivi so-no utilizzati per isolare il C. botulinumdalle feci e dai cibi.

Nelle forme infantili o da ferita, ladiagnosi viene posta dimostrando ilmicrorganismo o la neurotossina nellefeci, nell’essudato delle ferite o incampioni tissutali.

Andrebbero esaminati sia il sierosia le feci dei bambini con sospettobotulismo. Se i campioni di siero sonostati raccolti a più di tre giorni di di-stanza dall’ingestione delle spore nonsono da considerarsi attendibili e biso-gna ricorrere all’esame di coprocolturee a colture di aspirati gastrici.

Anche l’elettromiografia può fornireelementi utili per la diagnosi. Si può in-fatti osservare con stimolazione nervosaad alta frequenza (più di 20 cicli per se-condo) una risposta aumentata dei po-tenziali muscolari evocati e, più fre-quentemente, si può osservare un

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aspetto caratteristico con potenziali mo-tori brevi, piccoli e frequenti (BSAP).

Terapia

Il principale supporto terapeutico èrappresentato da un’attenta terapia disupporto, soprattutto da un punto di vi-sta nutrizionale e respiratorio.

Sembra essere efficace il ricorso altrattamento con antitossina ottenutadall’uomo: il suo utilizzo sembra essereassociato a una riduzione significativadei giorni di ospedalizzazione, della du-rata della ventilazione meccanica e dellanutrizione parenterale.

Il trattamento con antitossina va ini-ziato al più presto, senza attendere laconferma laboratoristica della diagnosi.

Il ricorso alla terapia antibiotica nellaforma infantile va riservato alla cura di

infezioni secondarie, perché la lisi cellu-lare può aumentare il rilascio di neuro-tossina da parte del C. botulinum. Daevitare l’uso di aminoglicosidi.

Prevenzione

Nei soggetti asintomatici che hannoingerito cibi contenenti la tossina botuli-nica non è raccomandata una profilassipassiva e il ricorso ad antitossina uma-na va attentamente ponderato.

L’eliminazione della tossina può es-sere facilitata inducendo il vomito o ri-correndo alla lavanda gastrica. Questemisure non vanno però adottate nel bo-tulismo infantile.

Cardine della prevenzione restaperò un’adeguata informazione circa ilmetodo di inscatolamento artigianaledegli alimenti.

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Tabella 4Diagnosi differenziali del botulinismo

Botulinismo Segni e sintomi a livello dei muscoli oculobulbari

Sindrome Debolezza progressiva, segni di neuropatia,di Guillan-Barr elevati livelli di proteine nel liquor

Miastenia grave Anticorpi anti-recettori acetilcolinergici, “edrophonium test”

Neuropatia Essudato tonsillare,da difterite neuropatia periferica tardiva

Variante Riflessi tendinei profondi assenti, atassiadi Miller-Fischer

Poliomelite Attacco acuto di debolezza simmetrica, elevati livelli di proteine e cellule nel liquor

EPATITE A

L’epatite A è un’infiammazioneacuta del fegato che non cronicizzamai.

Eziologia

Il virus dell’epatite A (HAV) è un vi-rus a RNA, di diametro di 27-28 nm,privo di involucro, classificato come en-terovirus 72 appartenente alla famigliaPicornaviridae.

L’HAV è stabile in ambiente acido ealla temperatura di 60 °C per un’ora; eviene inattivato dalla bollitura in acqua,dalla formalina per tempi prolungati edai raggi ultravioletti.

L’HAV è presente nel fegato, nellabile, nelle feci e, per un breve periodo,nel sangue durante l’ultima fase del pe-riodo d’incubazione.

Modalità di trasmissione

ed epidemiologia

La più frequente via di trasmissioneè da persona a persona per contamina-zione fecale e ingestione orale (via oro-fecale). Va comunque ricordato che so-no stati descritti, seppur eccezional-mente, casi di epatite A contratti a se-guito di emotrasfusioni.

Le fonti d’infezione dei casi denun-ciati ai CDC sono:• rapporto stretto con una persona in-fetta in famiglia o nell’ambito di piccolecomunità;• viaggi internazionali;• epidemie associate a cibo (cozze,molluschi, verdure crude) o acqua (ac-qua da fonti non controllate, bevandecon ghiaccio preparato con acqua infet-ta, bagni vicino a fognature) infetti;• att iv i tà omosessuale maschi le; • uso di droghe per via endovenosa;• rara è la trasmissione madre-bambino.

La trasmissione oro-fecale fra per-sone asintomatiche, particolarmentebambini piccoli, probabilmente rendeconto della maggior parte dei casi concausa non riconoscibile.

Va sottolineato a questo propositoche non esiste lo stato di portatorecronico del virus HAV e che il serbatoiod’infezione è pertanto rappresentatosolo dai soggetti con infezione acuta.Anche in assenza di qualsiasi sintoma-tologia essi, infatti, eliminano il viruscon le feci per un breve periodo ditempo. L’eliminazione fecale è massi-ma nell’ultimo periodo della fase d’in-cubazione (1-2 settimane prima dell’in-sorgenza dei sintomi) e si riduce rapi-damente dopo la comparsa dell’ittero(1 settimana). Tuttavia, particolarmente

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nel neonato e nel bambino piccolo, ilvirus si può ritrovare per periodi piùlunghi.

L’epatite A è diffusa in tutto il mon-do sia in forma sporadica sia in formaepidemica.

Nei paesi in via di sviluppo, caratte-rizzati da scarse condizioni igienico-sani-tarie, l’infezione si trasmette rapidamen-te tra i bambini, nei quali la malattia èspesso asintomatica, e molti adulti risul-tano, pertanto, già immuni all’infezione.

Nei paesi economicamente piùavanzati, le migliori condizioni igienico-sanitarie hanno, invece, determinatouna riduzione della diffusione dell’infe-zione tra i bambini e una conseguentemaggior diffusione tra gli adulti, a causadi una più alta proporzione di soggettisuscettibili che hanno un maggior ri-schio di contrarre forme cliniche evi-denti e severe.

Nei paesi industrializzati, la trasmis-sione è frequente in ambito familiare e siverifica sporadicamente negli asili nido,dove sono presenti bambini che fannouso dei pannolini.

L’infezione è altrettanto frequentefra i soggetti che fanno viaggi in paesiin cui la malattia è endemica (Africa,Sud-Est Asiatico, Messico, Sud Ame-rica).

In Italia, l’infezione è, ancora oggi,assai diffusa. Tuttavia il sensibile mi-glioramento delle condizioni igienico-sanitarie ha modificato il quadro epide-miologico: sensibile riduzione del tassod’ incidenza (passato da 5 a2/100.000 abitanti nel corso degli an-ni 1985-1995) e progressiva riduzionedella prevalenza di soggetti con eviden-za sierologica d’infezione pregressa(positività per anticorpi anti HAV diclasse IgG) fra i giovani.

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Tabella 5

Casi notificati di epatite A con fattore di rischio identificato. SEIEVA 2002

Fattori di rischio Fasce di età

0-14 (%) 15-24 (%) >25 (%) TOTALE (%)

Consumo di63 (44) 116 (71) 255 (70) 434 (65)frutti di mare

Contatto con itterico17 (14) 12 (8) 18 (6) 47 (8)nelle 6 settimane

Notte fuori città 62 (43) 47 (29) 161 (44) 270 (40)

Totale 142 175 434 751

Patogenesi

La patogenesi dell’epatite A non èstata ancora chiarita.

Il virus viene diffuso nell’ambienteattraverso le feci dove giunge con la bi-le, dopo essere stato liberato dagli epa-tociti infettati. È ignoto come il virus,una volta ingerito con cibo o acqua con-taminati, attraversi la mucosa intestinalee si localizzi nel parenchima epatico.

Oltrettutto, il passaggio attraversoil canale intestinale non sembra costi-tuire una tappa fondamentale ai fini del-la localizzazione epatica; basti pensareai rari casi di trasmissione dell’infezioneattraverso emotrasfusioni.

Ancora da chiarire sono i meccanismiresponsabili della necrosi cellulare. Nu-merose osservazioni suggeriscono che lanecrosi epatocitaria non sia conseguenzadell’attività citopatica del virus, ma dellarisposta immunitaria dell’ospite all’infezio-ne: l’assenza di attività citopatica “in vi-tro”, la presenza di replicazione virale nel-le settimane precedenti l’esordio clinicodella malattia, l’esistenza di un infiltratoinfiammatorio (linfomonociti) nel paren-chima epatico nel corso della fase acuta.

Secondo recenti indagini, inoltre, lagran parte di tali cellule è costituita dalinfociti T citotossici (CD8+) che ricono-scono in modo specifico cellule infetta-

te dall’HAV. L’effetto citopatico è quindivirus-specifico e funzionalmente colle-gato al complesso maggiore di isto-compatibilità.

Diagnosi

La diagnosi di infezione da HAV sibasa sulla ricerca degli anticorpi specifici.Test sierologici per gli anticorpi IgG e IgManti-HAV sono disponibili in commercio.

Anticorpi IgM anti-HAV sono presentiall’inizio della malattia e generalmentescompaiono entro 4 mesi, tuttavia posso-no essere presenti per 6 mesi o più. Lapresenza di IgM indica infezione recente oin atto, anche se vi sono dei falsi positivi.

Le IgG anti-HAV si sviluppano pocodopo le IgM; esse, in assenza di IgM,indicano una passata infezione e prote-zione verso l’infezione.

Altri dati di laboratorio importanti aifini della diagnosi sono:• iperbilirubinemia di tipo misto (conprevalenza della bilirubina diretta) e diintensità molto variabile;• aumento spiccato degli indici di ne-crosi epatocitaria (AST, ALT);• aumento del tempo di protrombina (inmodo proporzionale alla gravità dell’epi-sodio epatitico);• modesto aumento delle gammaglo-buline.

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Manifestazioni cliniche

Un episodio di epatite acuta puòessere distinto in 4 fasi diverse:

1) periodo d’incubazione: 15-50 gior-ni con una media di 25-30;

2) periodo preitterico: caratterizzato dauna sintomatologia aspecifica (ano-ressia, nausea, vomito, talora febbree alterazione dell’alvo, astenia inten-sa e malessere) della durata variabiletra alcuni giorni (3-4) e qualche set-timana (2-3);

3) periodo itterico: caratterizzato daun aumento della bilirubinemia divariabile entità e durata, i sintomiprodromici si risolvono spontanea-mente; in questa fase, le feci ap-paiono ipocoliche, le urine ipercro-

miche e l’esame obiettivo mette inevidenza epatomegalia e talorasplenomegalia;

4) periodo della convalescenza.

Clinicamente si possono distinguere3 forme cliniche di epatite A.

Epatite acuta asintomatica: formafrequente nei bambini di età inferioreai 6 anni. La malattia non causa di-sturbi o solo alcuni, aspecifici e perbrevi periodi di tempo (astenia, dispe-psia, febbricola).

Epatite acuta sintomatica: tipica del-le persone adulte e dei bambini piùgrandi; i disturbi sono più evidenti, siprotraggono a lungo (non oltre 6 me-s i ) e comprendono la comparsadell’itttero.

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Epatite DA HAV

Settimane dopo l’esposizione all’HAV

Live

lli

ALTIgG anti-HAV

IgM anti-HAV

Virus nelle feci

Sintomi

0 2 4 6 8 10 12

Figura 3

Epatite fulminante: è rara, ma più fre-quente in persone con un’epatopatiadi base.

Non esistono forme croniche diepatite A.

Terapia

Il trattamento dell’epatite A è disupporto, in quanto non esiste una te-rapia specifica.

Il paziente deve essere isolato perun periodo di 7 giorni dalla comparsadell’ittero. La terapia si basa su riposoe dieta che deve essere molto limita-ta: liquidi zuccherati nei primi giorni dimalattia, quando viene riferita anores-sia spiccata, nausea e vomito, poi conla scomparsa di tale sintomatologia,viene consigliata una dieta ricca diglucidi e protidi, senza tuttavia unaesclusione dei lipidi troppo rigida.

Prevenzione

La principale misura di prevenzioneper le infezioni da HAV è rappresenta-ta dal miglioramento delle struttureigieniche (fornitura di acqua e prepara-zione del cibo) e dell’igiene personale(es. pulizia delle mani dopo il cambio dipannolini negli asili).

Nelle scuole, negli asili e sul posto

di lavoro, i bambini e gli adulti con in-fezione da HAV devono essere allon-tanati per una settimana dopo l’iniziodei sintomi.

Un’altra possibile misura di preven-zione è l’uso delle immunoglobuline (IgG,0,02 ml/Kg) che contengono anticorpicontro il virus HAV: sono utili per un bre-ve periodo di tempo e debbono esseresomministrate entro 2 settimane dal mo-mento in cui il soggetto è venuto a con-tatto con il virus.

Esiste anche i l vaccino control’epatite A. In Italia, sono disponibili duediversi vaccini che forniscono una pro-tezione dall’infezione già dopo 14-21giorni dalla somministrazione. I vaccinisono costituiti da antigeni virali purifi-cati da colture di fibroblasti umani di-ploidi infettati dall’HAV inattivati allaformalina e adsorbit i su al luminioidrossido (Havrix e Vaqta). Tutti i vac-cini sono per uso intramuscolare.

In studi randomizzati in doppio ciecol’efficacia protrettiva del vaccino control’epatite A è stata del 94-100%.

La necessità di richiami non èstabilita in quanto i vaccini anti-HAVsono in studio da troppo poco tempo,tuttavia si è osservato che il vaccinodetermina, dopo la seconda dose,un’immunità della durata di almeno10 anni.

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Gli effetti collaterali sono moderatie includono dolore locale e, menospesso, indurimento della sede di vac-cinazione. Non sono mai stati segnala-ti effetti collaterali gravi attribuibili consicurezza al vaccino.

Nel bambino, prima dell’immunizza-zione, non è richiesta la ricerca deglianticorpi anti-HAV. Il test potrebbe ave-re un buon rapporto costo-efficacia, inindividui con un’alta probabilità di esse-re immuni per una precedente infezio-ne, come quelli che hanno passato laloro infanzia in zone ad alta endemia,quelli con storia di ittero e soggetti dietà superiore ai 40 anni.

Chi deve essere vaccinato?

1) Soggetti suscettibili che si recanoo lavorano in paesi con incidenzaintermedia o alta di infezione daHAV. La scelta dell’immunoprofi-

lassi passiva o attiva dipende daltempo che manca alla partenza,dal costo e dalla disponibilità diIgG e vacc ino, da l la duratadell’esposizione e dalla probabilitàdi ulteriori esposizioni. Le immu-noglobuline sono protettive control’HAV subito dopo la somministra-zione, mentre il tempo preciso cheserve per l’insorgenza di un titoloprotettivo in seguito a una dose divaccino è di 2-4 settimane. I bam-bini di età inferiore a 2 anni do-vrebbero ricevere solo le IgG, inquanto l’uso del vaccino per que-sta età non è ancora stato appro-vato.

2) Bambini appartenenti a comunitàcon alta endemia o epidemie pe-riodiche di epatite A.

3) Pazienti con malattia epatica cro-nica, i quali hanno un maggior ri-schio di contrarre gravi epatit i

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Tabella 6

Dosi e schedule raccomandate per il vaccino inattivato anti epatite A.

Età (anni) Vaccino Dose di Volume per N. dosi Schedulaantigene dose (ml)

2-18 Havrix 750 ELU 0,5 2 inizio e dopo 6/12 mesi

2-17 Vaqta 25 U 0,5 2 inizio e dopo 6/18 mesi

> 19 Havrix 1440 ELU 1 2 inizio e dopo 6/18 mesi

> 18 Vaqta 50 U 1 2 inizio e dopo 6 mesi

fulminanti durante l’infezione daHAV.

4) Omosessuali maschi.

5) Tossicodipendenti per via endove-nosa.

6) Pazienti con disordini dei fattoridella coagulazione

La profilassi post-esposizione conIgG, invece, è raccomandata in alcunicasi ben definiti.1) Familiari e persone con contatti

sessuali suscettibili devono riceve-re immunoglobuline (IgG) entro 2settimane dall’esposizione; l’usodi IgG oltre 2 sett imane dopol’esposizione non è indicato;

2) Neonati nati da madri infette daHAV; la trasmissione materno-fe-tale del virus è rara; alcuni espertihanno consigliato la somministra-zione di IgG al bambino (0,02ml/Kg) nel caso in cui i sintomidella madre siano insorti da 2 set-timane prima a 1 settimana dopoil parto, tuttavia, l’efficacia deltrattamento non è stata ancorastabilita;

3) Personale dei centri diurni perbambini, bambini e loro contatti fa-miliari. Quando un caso di epatiteA è identificato tra il personale o

tra i bambini di un centro dove tuttii bambini hanno il controllo deglisfinteri e sanno usare il WC, le IgGsono raccomandate per il persona-le suscettibile a contatto con il ca-so indice e per i bambini suscetti-bili della stessa classe. Quando uncaso d’infezione da HAV è identifi-cato tra il personale o i bambini otra i contatti familiari di due o piùbambini che frequentano un asilonido dove non tutti i bambini usanoil WC, la somministrazione di IgG èraccomandata per tutto il persona-le e per tutti i bambini.

4) Scuole: l’esposizione scolasticageneralmente non comporta un ri-schio significativo di infezione e leIgG non sono indicate.

5) Istituzioni e ospedali: negli istitutidi custodia, quando si verif icaun’epidemia, gli ospiti e gli opera-tori in stretto contatto personalecon il paziente devono ricevere leIgG. La somministrazione di IgG alpersonale ospedaliero che segueun paziente con infezione da HAVnon è invece di norma indicata.

6) Esposizione a fonti comuni: la fon-te è generalmente indiv iduatatroppo tardi perché le IgG sianoefficaci.

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TOXOPLASMOSI

La toxoplasmosi è una zoonosi so-stenuta dal Toxoplasma gondii, unprotozoo intracellulare obbligato. IlToxoplasma è presente in natura intre forme diverse: l’oocita, escreto conle feci dai gatti infetti, la forma prolife-rativa (trofozoita o tachizoita) e quellacistica (cistozoite) che si trova invecenei tessuti degli animali infetti.

L’ospite principale della malattiapiù vicino all’uomo è il gatto, ma latrasmissione non avviene solitamenteper diretto contatto con l’animale,bensì con le sue feci. Il Toxoplasmain natura può avere moltissimi altri ospititra gli animali, dai mammiferi agli uccellifino ai rettili, e può trasmettersi da unanimale all’altro attraverso l’alimentazio-ne con carne infetta.

L’uomo, ospite intermedio, pre-senta solo la fase di sviluppo ases-suato extraintestinale.

Epidemiologia

Secondo i dati presentati da HealthCanada, nel mondo l’incidenza dellatoxoplasmosi è estremamente variabile:dal 3 al 70% degli adulti risulta sieropo-sitivo per la malattia. La sieroprevalenzaaumenta con l’età; studi italiani riporta-

no una sieroprevalenza delle donne inetà fertile del 25%; il rischio di infezio-ne primaria in una gravida sieronegativaè del 0,7%. La percentuale di infettiperò è nettamente più elevata nel casodi pazienti già affetti da immunodefi-cienza, come ad esempio i malati diAIDS, che raggiungono percentuali del50%.

Uno studio europeo effettuato insei grandi città (tra cui anche Milano eNapoli), pubblicato sul British MedicalJournal nel 2000, dà una stima di 1-10casi di toxoplasmosi congenita ogni 10mila bambini nel nostro continente, dicui 1-2 % muoiono o sviluppano formedi ritardo mentale, mentre il 4-27%presentano corioretinite che porta a unacondizione di cecità unilaterale perma-nente. Risulta chiaro che i fattori di ri-schio principali sono legati all’alimenta-zione (dal 30 al 63% dei casi dovutiall’assunzione di carne di maiale e agnel-lo poco cotta), contatti con suolo conta-minato (6-17% dei casi) e viaggi in pae-si dove le condizioni igieniche sono me-no controllate. Nessuno dei casi sembradovuto a contatto diretto con gatti.

Clinica

La malattia è spesso asintomatica;nel 10-20% dei casi può presentarsi con

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1

3 2

i Oocistifecali

Siero, liquidocerebrospinale

i = stadio infettivo

d

d

d

d

= stadio diagnostico

i Cistitissutali

) )) ))) ))Figura 4

Stadio diagnostico

1) diagnosi sierologia

2) identificazione diretta del parassita da sangue periferico, liquido amniotico o sezioni di tessuto

Sia le oocisti sia le cisti tissutali si trasformanorapidamente in tachizoiti dopo l’ingestione. I tachizoiti si localizzano nei tessuti nervoso emuscolare e si trasformano in cisti tissutali(bradizoiti). Se una donna gravida si infetta, i tachizoitipossono infettare il feto per via ematica.

sintomi simil-influenzali quali linfoadeno-patia, rinite e dolore muscolare e linfoci-tosi. Nel soggetto immunocompetente, laparassitemia viene facilmente contrasta-ta, ma le cisti di Toxoplasma, possonosopravvivere nei tessuti e riattivarsi in se-guito a compromissione del sistema im-munitario. Nei soggetti immunocompro-messi, bambini, malati di HIV, trapiantatio in corso di chemioterapia, la malattiapuò presentarsi in forma severa con dan-ni cerebrali e oculari. La toxoplasmosi èad alto rischio nel caso in cui venga con-tratta in gravidanza, diventando così unimportante elemento di cui tenere contonel campo della salute materno-infantile;se trasmessa al feto può causare malfor-mazioni gravi e rischio di aborto.

In gravidanza, per le gestanti siero-negative, la ricerca degli anticorpi è daeseguire ogni 40 giorni fino al momentodel parto.

Qualora fosse accertata un’infe-zione materna, si deve considerarel’eventualità che il protozoo passi laplacenta ed infetti il feto.

La probabilità di trasmissione al fe-to solitamente aumenta con l’avanzaredella gravidanza e non è correlata con isintomi materni, andando da un 15%del primo trimestre ad oltre il 60% nelterzo. Tuttavia, la gravità del danno fe-tale è direttamente proporzionale all’età

gestazionale al momento dell’infezione,con una gravità maggiore tanto più pre-coce è l’infezione.

Di norma, la malattia può causarenel bambino infettato in epoca pre-na-tale tre condizioni cliniche: corioretinite,idrocefalo e calcificazioni intracraniche.Questi sintomi sono presenti solo nel10-30% dei casi, mentre più del 75%dei neonati è asintomatico alla nascitae può presentare sintomi più tardiva-mente. Altre possibili manifestazioni diinfezione fetale sono ritardo di accre-scimento endouterino e prematuritàcon ittero e anemia spiccati. L’infezionecongenita può presentare segni neuro-logici gravi, e i più frequenti sono leconvulsioni, il nistagmo, la microcefalia,l’idrocefalia, l’epilessia e il ritardo psi-comotorio.

Trattamento

Nel caso in cui venga contratta ingravidanza o anche solo sospettata, latoxoplasmosi va trattata con spiramicinafino all’esclusione dell’infezione o fino alparto se l’infezione è confermata. Iltrattamento della malattia, secondo al-cuni studi, riesce a ridurre fino al 60%la trasmissione fetale, ma non sembraavere efficacia nel migliorare la progno-si nel soggetto infetto.

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Essa sembrerebbe migliorare conl’associazione sulfadiazina/pirimetami-na, anche se una revisione dei lavoriscientifici pubblicati (BMJ) evidenzia ladifficoltà di produrre una stima dell’effi-cacia del trattamento per la scarsità distudi randomizzati confrontabili.

Il neonato subclinico con anticorpinegativi è indistinguibile dal neonato sa-no; il trattamento iniziato alla nascita puòproteggere dalle gravi sequele a distanzadella malattia; non esiste uniformità digiudizio sul tipo di protocollo da adottarenel neonato infetto né in quello dubbio.

Il protocollo più largamente utilizza-to comprende un’associazione di piri-metamina, sulfadiazina e acido folinicoalternato a cicli di spiramicina. In casodi corioretinite va aggiunta la terapiacon prednisone.

I pazienti sottoposti a terapia devo-no eseguire emocromi seriati ed esamiperiodici delle urine per controllare glieffetti collaterali della terapia, quali ane-mia, leucopenia, piastrinopenia, aciduriaed albuminuria.

Il trattamento nel primo anno di vitanon previene del tutto il rischio di “out-come” neurologico né la riattivazione diun focolaio di corioretinite.

Esistono programmi di follow-upper i soggetti infetti, fino a tutto il se-condo anno di vita.

Prevenzione

Il toxoplasma può essere prevenutocon una serie di norme igieniche e ali-mentari. Per inattivare le sue cisti, è ne-cessario esporle ad alte temperature

F. Salv in i , S . D i G iacomo

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Schema di trattamento della Toxoplasmosi

Gravità clinica d’esordio Farmaci di scelta Durata terapia totale 12 mesi

FORMA SUBCLINICA

1a fase Pirimetamina + sulfadiazina+ac. folico 6 settimane

2a fase Spiramicina 6 settimane

3a fase Pirimetamina + sulfadiazina+ac. folico 4 settimane

FORMA CLINICA

1a fase Pirimetamina + sulfadiazina+ac. folico 6 mesi

2a fase Spiramicina 4 settimane

Pirimetamina + sulfadiazina+ac. folico 4 settimane

Tabella 5

(>70 °C) o congelarle per 48 ore atemperature inferiori ai 20 °C. È quindiconsigliabile, in particolare per i soggettia rischio, evitare carne cruda (soprattut-to quella di maiale e quindi la maggiorparte dei salumi), latte non pastorizzato,uova crude, né toccare la mucosa di oc-chi e bocca quando si maneggiano que-sti alimenti. Inoltre, è necessario lavareaccuratamente frutta e verdura che pos-sa essere venuta a contatto con feci dianimali e usare i guanti nelle attività digiardinaggio. Infine, per chi ospitassegatti in casa, è importante evitare di ve-nire a contatto con la lettiera e lavarsifrequentemente le mani dopo ogni con-tatto diretto con l’animale.

Conviene alimentare il proprio ani-male con cibi essiccati o in scatola.

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