Sguardo Contemporaneo, “Salvatore Arancio, l’uomo della … · La mostra ruota attorno...

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Sguardo Contemporaneo, “Salvatore Arancio, l’uomo della foresta”, Nuovo PaeseSera.it, BlitzArt, Monday, 4 February 2013 La galleria Federica Schiavo accoglie, fino al 16 marzo, di nuovo il lavoro di Salvatore Arancio che, per la sua seconda personale a Roma, presenta The Little Man of the Forest with the Big Hat. La mostra ruota attorno all’omonima installazione scultorea, progettata e realizzata dall’artista nel 2012 a Faenza, in occasione della resi- denza presso il Museo Carlo Zauli. Dal 2003 il Museo Carlo Zauli porta avanti il progetto Residenza d’Artista che prevede l’incontro fra un artista, scelto da un curatore, la città di Faenza e il materiale ceramico. Da sempre affascinato dal mondo alchemico e dai culti religiosi di antiche civiltà, l’artista presenta una serie di ceramiche e illu- strazioni manipolate, tratte da libri di micologia, raffiguranti funghi velenosi dalle forme stravaganti, a tratti falliche, che si ispirano sia ai fenomeni geologici, quali i mushrooms stones, sia ai miti e alle leggende legate al potere allucinogeno dei funghi, che per queste loro proprietà erano frequentemente utilizzati in riti di tipo sciamanico e orgiastico. C’è un profondo legame tra l’artista e il materiale utilizzato per scolpire: l’argilla è strettamente connessa al mondo alchemico e visceralmente legata alla terra, alla natura: una materia con cui bisogna confrontarsi energicamente. Non a caso quindi l’artista ha prediletto un materiale così legato al mondo naturale per ri-creare gli elementi che compongono l’installazione. Salvatore Arancio presenta inoltre il nuovo film Birds, girato in Super 8 all’interno del Museo di Zoologia di Bologna sulla collezione ornitologica riunita da Zaifagnini-Bertocchi nella prima metà del secolo. La pellicola, a tratti inquietante, è accompagnata dal suono di Expo 70, progetto musicale di culto di Kansas City, una colonna sonora pensata proprio per caratterizzare questa esperienza visionaria, psichedelica, della visita della collezione, trasformandone l’originario proposito empirico. L’utilizzo del Super 8, i fermo immagine ravvicinati e i lenti movimenti di camera mettono in scena la sinistra e misteriosa natura di ogni inquadratura, l’artista riproduce così la propria esperienza all’interno del Museo, proponendo un punto di vista strettamente personale della collezione. Salvatore Arancio è attratto dai tantis- simi reperti presenti, spesso vi si ritrovano frammenti di ordinari eventi naturali, meticolosamente ricomposti e immortalati, quasi come fossero una serie di stills/tableau dalla qualità filmica, senza tempo. Il fascino estetico legato a passati sistemi di classificazione scientifica è tema centrale anche dell’ultima sala dove, tramite l’allestimento di una nuova opera scultorea e di un’inedita serie di opere su carta, l’artista crea giustapposizioni evocative e seducenti riflettendo sull’idea di natura posta a confronto con la scienza, i miti e le leggende. di sguardo contemporaneo FEDERICA SCHIAVO GALLERY ROMA MILANO

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Sguardo Contemporaneo, “Salvatore Arancio, l’uomo della foresta”, Nuovo PaeseSera.it, BlitzArt, Monday, 4 February 2013

La galleria Federica Schiavo accoglie, fino al 16 marzo, di nuovo il lavoro di Salvatore Arancio che, per la sua seconda personale a Roma, presenta The Little Man of the Forest with the Big Hat. La mostra ruota attorno all’omonima installazione scultorea, progettata e realizzata dall’artista nel 2012 a Faenza, in occasione della resi-denza presso il Museo Carlo Zauli. Dal 2003 il Museo Carlo Zauli porta avanti il progetto Residenza d’Artista che prevede l’incontro fra un artista, scelto da un curatore, la città di Faenza e il materiale ceramico.

Da sempre affascinato dal mondo alchemico e dai culti religiosi di antiche civiltà, l’artista presenta una serie di ceramiche e illu-strazioni manipolate, tratte da libri di micologia, raffiguranti funghi velenosi dalle forme stravaganti, a tratti falliche, che si ispirano sia ai fenomeni geologici, quali i mushrooms stones, sia ai miti e alle leggende legate al potere allucinogeno dei funghi, che per queste loro proprietà erano frequentemente utilizzati in riti di tipo sciamanico e orgiastico. C’è un profondo legame tra l’artista e il materiale utilizzato per scolpire: l’argilla è strettamente connessa al mondo alchemico e visceralmente legata alla terra, alla natura: una materia con cui bisogna confrontarsi energicamente. Non

a caso quindi l’artista ha prediletto un materiale così legato al mondo naturale per ri-creare gli elementi che compongono l’installazione. Salvatore Arancio presenta inoltre il nuovo film Birds, girato in Super 8 all’interno del Museo di Zoologia di Bologna sulla collezione ornitologica riunita da Zaifagnini-Bertocchi nella prima metà del secolo. La pellicola, a tratti inquietante, è accompagnata dal suono di Expo 70, progetto musicale di culto di Kansas City, una colonna sonora pensata proprio per caratterizzare questa esperienza visionaria, psichedelica, della visita della collezione, trasformandone l’originario proposito empirico.

L’utilizzo del Super 8, i fermo immagine ravvicinati e i lenti movimenti di camera mettono in scena la sinistra e misteriosa natura di ogni inquadratura, l’artista riproduce così la propria esperienza all’interno del Museo, proponendo un punto di vista strettamente personale della collezione. Salvatore Arancio è attratto dai tantis-simi reperti presenti, spesso vi si ritrovano frammenti di ordinari eventi naturali, meticolosamente ricomposti e immortalati, quasi come fossero una serie di stills/tableau dalla qualità filmica, senza tempo.

Il fascino estetico legato a passati sistemi di classificazione scientifica è tema centrale anche dell’ultima sala dove, tramite l’allestimento di una nuova opera scultorea e di un’inedita serie di opere su carta, l’artista crea giustapposizioni evocative e seducenti riflettendo sull’idea di natura posta a confronto con la scienza, i miti e le leggende.

di sguardo contemporaneo

FEDERICA SCHIAVO GALLERY ROMA MILANO

La natura perturbante di Salvatore Arancio12 03 2013 (Rubriche / Sentieri dell'Arte)fino al 16 marzo alla Federica Schiavo Gallery (Piazza Montevecchio 16) Salvatore Arancio - "The little man of the forest with the big hat"

La seconda personale romana dell'artista catanese Salvatore Arancio (classe 1974) è un breve viaggio in un mondo nascosto, straniante, fortemente simbolico: sculture, illustrazioni manipolate e video in Super 8 concorrono nel tratteggiare uno sguardo eccentrico verso le forme naturali, in un cortocircuito tra classificazione scientifica e irriducibilità originaria.Il titolo della mostra, “The little man of the forest with the big hat”, sottolinea la dimensione quasi fiabesca della natura, rapidissima però a trasmutare nel grottesco a contatto con l'in-conscio dell'osservatore cui non bastano le consolanti griglie di analisi fornite dalla scienza. Arancio realizza sculture in ceramica che riprendono mimeticamente l'aspetto di una se-rie di strani funghi velenosi, muovendosi tra distese ondeggianti, forme inequivocabilmente falliche e una disordinata organizzazione di spore che sembrano quasi un blob pronto a inglobare qualsiasi cosa incontri. Lo straniamento incontra il perturbante modellando spazi sospesi, dalla fortissima componente onirica.Completa la mostra un video, “Birds”, che regala suggestioni simili da un'angolazione diversa: realizzato all'interno del Museo di Zoologia di Bologna, propone una carrellata di fermo-immagine di uccelli impagliati, imbalsamati e etichettati. La gelida visione dei pennuti, simbolo del volo e della libertà, congelati dietro vetrine trasparenti comunica la facilità di come la vita può essere ridotta a un mero oggetto da museo, perdendo ogni gioia e dinamismo in una terrificante immobilità. L'artista però vuole anche mostrarci la diversità di ogni esemplare, l'unicità che rende speciale ciascun essere vivente, spingendolo a scappare, ad abbandonare la passività fuggendo dalle gabbie spesso invisibili della società: l'ultimo fotogramma mostra un uccello di schiena, come se, finalmente consapevole, avesse compreso che l'unica possi-bilità è farsi coraggio e cominciare a volare. (Domenico Donaddio)

Domenico Donaddio, “La natura perturbante di Salvatore Arancio”, Recensito.net, March 2013

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Arianna Antoniutti“Tutti i doni del maggio romano”, Vedere a Roma, May 2012, p.

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“Consigli da libraio, Francesco Maenza. La proposta”, Leggo, WE Libri, Friday 20 April 2012, p.36

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“Salvatore Arancio”, LucyWilson.org.uk, December 2011

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Skye Sherwin, “Artist of the week 161: Salvatore Arancio”, Guardian.co.uk, Thursday 27 October 2011

Artist of the week 161: SalvatoreArancioAn Italian-born purveyor of images, videos and collages based on landscape prints from the Victorian age of discovery

Skye Sherwinguardian.co.uk, Thursday 27 October 2011 15.56 BSTArticle history

Jurassic spark … Salvatore Arancio’s An Active Volcanic Summit in the Valley of Stones (2011). Photo-graph: Spacex/Federica Schiavo Gallery

Nature goes ka-boom in Salvatore Arancio’s prints, collages and videos. At the core of his work are riveting little prints made from photo-etchings, where volcanoes and geysers projectile-vomit their red-hot contents over bleak, brutal landscapes.

Such images were first seen in cloth-bound 19th-century tomes that chronicled the discove-ries of the Victorian scientists who hiked up mountains and peered into bubbling lava with an Indiana Jones spirit of adventure. Illustrations documenting rock formations (all scored black lines and knife-sharp silhouettes) were once the pinnacle of documentary accuracy. Today they look antiquated, more suited to fairytales than textbooks.

The pioneering enthusiasts who penned these books normally blended natural history with Boy’s Own adventure-style descriptions, spiced with local folklore. Arancio plays up the fan-tasy, scanning and manipulating the original prints on a computer to create impossible vistas. Mountains loom like hell’s chimneys. Birds – or are they pterodactyls? – circle in the smoky air. There’s not a person in sight.

While all this hits a nerve with present-day environmental worries, what we’re looking at is difficult to place, just like the digitally altered prints. It might be a primordial scene, or a vision

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Skye Sherwin, “Artist of the week 161: Salvatore Arancio”, Guardian.co.uk, Thursday 27 October 2011

of post-apocalyptic doom like that witnessed by HG Wells’s time traveller.

Time is similarly knocked out of joint in this London-based Italian’s collages. Here, the Victo-rian prints of ancient landscapes are shot through with abstract squares and circles, as incon-gruous as the monolith that kickstarts human evolution in Kubrick’s 2001: A Space Odyssey. In fact, it’s the opening sequence of this sci-fi classic that gets re-edited in one of Arancio’s videos, Sentinel, from 2009. There’s still monkey chatter, but the weapon-wielding apes have been carefully excised. Instead, the camera pans around an empty sun-bleached dustbowl before landing on the ominous black slab, in an inexplicable collision between nature and the manmade.

Like the sublime as channelled by the first Romantic painters and poets, Arancio’s brutal, mysterious geology leaves us weak at the knees. His works subtly underline that nature is eternally beyond us, just as yesteryear’s attempts to document the world now seem dubious. Arancio’s wild imaginings point to the cracks in what we think we know, whatever the era.

Why we like him: For his recent book Wonders of the Volcano, a meticulously realised recre-ation of a little-known Victorian publication. It comes replete with embossed blue-cloth cover and the original text, while Arancio’s awesome prints depict firework-like eruptions the size of skyscrapers.

Under the volcano: Arancio grew up in the shadow of the live Mount Etna.

Where can I see him? At Spacex, Exeter, until 26 November.

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Guido Molinari, “Salvatore Arancio. Senza tempo”, Flash Art Edizione Italiana, Anno XLV, n. 298, December 2011 - January 2012, p. 42-44

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Guido Molinari, “Salvatore Arancio. Senza tempo”, Flash Art Edizione Italiana, Anno XLV, n. 298, December 2011 - January 2012, p. 42-44

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Guido Molinari, “Salvatore Arancio. Senza tempo”, Flash Art Edizione Italiana, Anno XLV, n. 298, December 2011 - January 2012, p. 42-44

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Daniela Bigi, “Gli scenari fantastico/apocalittici di Salvatore Arancio”, ArteeCritica, n. 69, December 2011 - February 2012, p. 115

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SALVATORE ARANCIOSHASTAMONOLITHS & DIMENSIONSTEXT BY RICCARDO CONTI

The works of Salvatore Arancio give off the sensation of a compact and homogeneous concept regardless of the fact that they are paradoxically composed of contrasting elements. Within each piece contained in the project Shasta there is an intertwining juxtaposition of the roots and representation of the images: natural and artificial, vegetable and mineral, two-dimensional and three-dimensional, scientific and mythological. Each particular work is tied to the others by its focus on the mineral world. A map of an environment is created by the rela-tionship between the works which form a cohesive landscape as each work catalyzes and unravels the meaning of the next. In this bizarre geography there is an absence of the human form, an absence of the possibility of inhabitable space, to the extent that we are left as aliens looking towards an unknown world. We are unable to approach the actual representation due to our own difficulty in imagining any traces of humanity in the plotted space.

This primordial condition demands a full exploration of every sensual perception. A subliminal awe found within a veiled secondary level beneath the works offers the key to understanding the language of this obscure topography. In the first room stands a sculpture sur-rounded by images of desolate and mysterious landscapes. This three-dimensional figure has an immedia-tely perceptible rocky organic form, but on second glance shows the semblance of a human form.

This recognizable object is not the intention of the artist but the natural biology of the material; a spontaneous growth from the kingdoms of vegetable, animal, and mineral. This form becomes the most plausible guide to our exploration of the surreal and inhospitable deserts described in the visions of Salvatore Arancio. The sculpture is titled Luffâh revealing the material of the work. Luffâh is the Arabic word for a mandrake root. This vegetable is renowned for its mythological and chemi-cal powers. In antiquity it was known for its hallucinogenic and mystical properties, and today for its pharmaceutical effects, but it has always been famed for its ambiguous man-like form. It is on this pivotal point that all the significations within the successive works and projections come loose. The ambiguity of form and unknown mystical territory appears as an incan-descent lysergic apparition from an altered state of mind. This first room is permanently in a static state while the next room shows the video that shares its name with the entire exhibition. Shasta is the name of a Californian mountain that lies at the centre of the mythological tradition and fantastic tales of local Native Americans. Once more different contents are layered forming a seamless concept. The visual, formal, scientific, and cultural crystallize into one primordial soup as if the various references sprung all

together from an underground flow of magma, erupting once in a while to the surface solidifying into primordial forms and monolithic totems. Salvatore Arancio’s video production is ideally based on automatism, following physiological approaches that revisit the expressive methodology of the Surrealists in a personal manner. His films follows the cinematographic research tradition of the New American Cinema, figures like Harry Smith and films such as Heaven and Earth Magic (1950-56) as well as the early Dada experiments of Man Ray and Marcel Duchamp’s Anemic Cinema (1926). With his photo etchings, drawings, sculptures, and mixed media installations Arancio has worked consistently on a series of animations with esoteric content. They lack a principle subject and are difficult to classify, they continue to illustrate a timeless and mysterious scene on the fringes of abstraction. It is no coincidence that often in his collages and installations geometrical abstract forms appear, not directly referencing the author but serving as a rhythmic tension in the composition belonging to different styles and genres. He has inherited an intuition of space from the early experimenters Moholi-Nagy and Rodchenko whose legacies reach the present day through the persistent influence in the experiments of independent artists and designers often linked to the imaginative mind set of electronic, noise, and psychedelic music. Each animation is structured following the compositions of geometrical-abstract forms repeated to create visual loops. This mode of composition envelops the entire exhibition. It opens with the mandrake sculpture and closes circularly with the same image presented in two dimensions, re-evaluated through the change from one medium to another. The three-dimensional form is fixed into a photographic print which alters the form completely, including its dimensions.

Repetition is a fundamental mechanism in rituals. To repeat is to create a vocabulary of symbols, to build a new lan-guage. In the works of Salvatore Arancio each image equates to a ‘sampled’ element equally belonging to reality as well as the highly varied and diverse repertoire of figurative produc-tion, especially that of geologi-cal illustrations from the 19th century. His procedures bring to mind an analogy with the

radical experimentation of the avant-garde with its use of colla-ge, assemblage, ready-mades, surrealist exquisite corpse, cut-ups and the contemporary practice of sampling and mixing, giving the images a more physical appeal. These procedures born out of incredibly diverse artistic practices (from painting, cinema, literature, and non-narrative cinema) suggest the possibility of an unfocused gaze into the interior of a symbiotic environment,

Riccardo Conti, “Monoliths & Dimensions”, text for the exhibition ‘Shasta’, February 2011

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open to diverse attitudes. It is the circular and symmetrical composition that repeats itself in the animations and the films of Arancio. Spiral movement and a spherical form manifest themselves with a certain frequency.

It remains equidistant from a beginning and an end creating a diffused, temporal presence. The fragmented yet related asso-ciations are ever-present in his collages suggesting oneiric drifts already underlying the vintage images used by the artist.Curiously, within the collected and re-used images of Salvatore Arancio, there lie the foundations of iconological and concep-tual contrasts central to his oeuvre. The complex functioning of iconography contained in the artist’s collection is probably a lot vaster and heterogeneous than can possibly meet the eye. The image collection, composed of old lithographs, images of volcanic eruptions, scientific texts on geology and volcanology with images reminiscent of the Dictionnaire raisonné des sciences art et métiers, suggest an obsessive search on the part of the artist for these cathartic temples of memory. The historical references supply Arancio’s works with an inve-stigation of classification and predispose a relationship toward a material which is far from raw, but remains ‘frozen’. Even once the references are unveiled, their re-worked combinations demand, once again, a new organization of meaning. The works put together as a whole is the point on which all elements of his work, both visible and invisible, combine.It is a fundamentally European tradition of the collection. That is, the practice of the last three centuries of collecting, accumula-ting, cataloguing, and ultimately giving life to diverse sciences by reorganizing ideas. Up to now, the freedom of imagination com-bined with the impulse of exploration has produced countless masters of pre-pseudoscience, for example the naturalist Ulisse Aldrovandi from Bologna, a central figure in Italian sciences. The inventor of the term ‘geology’, he was also responsible for the compilation of bizarre bestiaries next to facsimiles of actual vegetables and animals. The catalogue includes fantastical beasts next to real ones as well as curious vegetable and anatomical ‘remixes’ such as the mandrake. Salvatore Arancio seems to want to combine the gallery context as a predetermined route from which to observe the artistic, iconographic collection and the ancient botanical modes of representing a collection through the conglomeration of his own works. With this space, which traditionally shows a different sort of collection, he presents a naturalistic catalogue. The entirety of his references acts as an unexplored territory, littered with cultural objects and natural phenomena to create a semi surreal museum of speleology. It implies a certain correla-tion with Plato’s myth of the cave.

This method of collecting, which is necessary within Arancio’s practice, has an aesthetic basis both in the non-narrative asso-ciative structure of the references and the instinctual cognitive eye for cultural and natural objects, even more banal than that which occupies the space that man inhabits. In the carrying out of this visual flow, the objects reveal themselves regardless of the projections and elusive signification. For this reason there is neither formula nor model for classifying individual objects or portions of the image. Each individual reference to the original medium becomes irrelevant in the new context which is much more eloquent in its combined form. The automatism and causality chain in the process is reaffirmed in the titles chosen for the series of photo-etchings. These titles are generated by using the cut-up method through which Aran-cio fuses the original captions of the etchings. The new names might misguide the viewer who, lacking certain references, is pushed into uncertain territory.If the original scientific drawings are largely expressions of the Enlightenment and Diderotian vocation of finding meticulous explanations for every phenomenon through visual catalogues (which is symptomatic of modern files), Arancio’s transforma-tion makes us reflect on our own inability of reading reality and imagining the future. All of our preventive actions seem futile regardless of the unlimited availability of high-tech prosthesis. This weakness is also revealed in the experience of the viewer when he feels an uncertainty; he is not immediately able to

grasp either the author nor the technique behind each individual work - all of which pos-sess the same magneti-sm of hypnotic visions. In this sense the works of Salvatore Arancio function like the pages of an Atlas of confusion, like figures in positivi-stic scientific volumes devoid of any substan-tial image and left only with a vague ambiguous frame. The faith in those ima-ges and those scientific

discoveries and their lost teachings are replaced with a gloomy, anguished horizon dominated by mysterious monoliths, impene-trable and remote.

Riccardo Conti, “Monoliths & Dimensions”, text for the exhibition ‘Shasta’, February 2011

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SALVATORE ARANCIOSHASTAMONOLITI E DIMENSIONITEXT BY RICCARDO CONTI

Quando osserviamo le opere di Salvatore Arancio la sensazio-ne è quella di trovarci di fronte ad un unico testo compatto, omogeneo, formulato però paradossalmente da elementi con-trastanti. In ciascuno dei lavori che compongono la mostra dal titolo Shasta si intrecciano fra loro immagini modellate parten-do da spunti assai diversi: naturali e artificiali, minerali e vegetali, bidimensionali e tridimensionali, scientifici e mitologici.In ciascuna delle opere, l’elemento costante sembra essere il mondo minerale, e conseguentemente l’ambiente e il paesaggio che le costellazioni di queste opere descrive nel suo innescarsi e dipanarsi di lavoro in lavoro. In questa bizzarra geografia, della quale noi siamo spettatori alieni, colpisce appunto l’assenza di spazi umani o un’idea di luogo al quale il nostro inconscio fa riferimento per approcciare e persino ‘abitare’ anche soltan-to virtualmente uno spazio, nell’immaginario così come nella rappresentazione.

A questa condizione iniziale, pri-mitiva, di ritrovarci in un territorio estremo che chiede di esplorare a fondo le nostre capacità sensoriali, si aggiunge però, subliminalmente, un secondo livello che provvede una chiave di lettura precisa quanto fantastica permettendo d’orientarsi in questa oscura topografia: circon-data da immagini che mostrano paesaggi desolati e misteriosi, al centro della prima stanza della galleria incontriamo una figura tridi-mensionale che immediatamente

appare come una formazione rocciosa, assolutamente naturale. A un secondo sguardo ci si accorge però che la piccola scultura presenta appena delle sembianze antropomorfe: tale idea non sembra essere suggerita dal lavoro umano e quindi da un’inten-zione di riproduzione simbolica e mimetica sulla materia, quanto piuttosto una condizione naturale di una forma spontanea in bilico tra regno vegetale, animale o minerale.All’interno di territori così surreali e inospitali, la curiosa figura diventa la guida più plausibile per quanti vogliano avventurarsi in deserti quali quelli descritti nelle visioni di Salvatore Aran-cio. Luffâh è il titolo della piccola scultura che rivela così la sua provenienza: ‘Luffâh’ è il nome arabo con il quale veniva indicata la radice della Mandragola. Questo vegetale noto per il suo portato mitologico e chimico, impiegato nell’antichità per i suoi effetti allucinogeni e mistici, é oggi conosciuto oltre che per le sue effettive proprietà farmaceutiche, per tutto l’immaginario relativo che ha accompagnato, tra realtà e immaginazione, la sua forma ambigua.E’ su questo fondamentale cardine che si snodano tutte le suc-cessive proiezioni e visioni che sembrano appunto emanazioni lisergiche e incandescenti del duplicarsi e sedimentarsi di ‘stati alterati’. Così, se da un lato la prima parte di percorso è con-traddistinta da una sostanziale staticità, la sala successiva ospita il video che dà il titolo dell’intero progetto: Shasta, il nome di

un monte californiano la cui genesi è al centro di mitologie e racconti fantastici dei nativi americani.Ancora una volta, più strati si sovrappongono compattandosi in un unico ipertesto dove i riferimenti visivi, formali, scientifi-ci e culturali si cristallizzano in forme dal sapore primordiale, come se le varie fonti e rimandi fossero affluenti di un unico flusso magmatico sotterrano, che di tanto in tanto riemerge in superficie eruttando e solidificandosi in forme, dall’aspetto di primordiali e monolitici totem.La produzione video di Salvatore Arancio è idealmente costru-ita sull’automatismo, secondo metodologie e approcci psico-logici che rivisitano in chiave personale le tradizionali tecniche espressive surrealiste. Proseguendo la tradizione della ricerca cinematografica di maestri del New American Cinema quali Harry Smith e di film come Heaven and Earth Magic (1950-6), -ed ancora prima con gli esperimenti dadaisti di Man Ray e Anemic Cinema (1926) di Marcel Duchamp- accanto alle fotoincisioni, disegni, sculture e installazioni mixed media, Arancio da tempo realizza una messe di animazioni dai rimandi esoterici e difficilmente classificabili ma simili nell’illustrare una scena atemporale e misteriosa, al limite dell’astrazione. Non è un caso infatti che spesso in alcuni collage e installazioni compaiano vere e proprie incursioni di forme geometriche astratte, non direttamente riconducibile a un autore ma più che altro a una ‘tensione’ compositiva e ritmica appartenente a più stili e più campi. Un’eredità delle intuizioni spaziali di sperimen-tatori Moholi-Nagy e Rodchenko che si fanno strada fino ad oggi attraverso il lavoro ostinato di artisti e grafici indipendenti spesso legati all’immaginario musicale più sperimentale, elettro-nico, noise, e psichedelico.

Ciascuna animazione è perciò strutturata seguendo la com-posizione di forme geome-triche astratte, in porzioni ripetute come a creare dei loop visivi. Tale struttura ingloba la totalità della mostra stessa: essa si apre con la scultura della mandragola e si chiude ‘circolarmente’ con la forma-immagine rielaborata, slittando semplicemente da un medium all’altro e dalla tridimensionalità della scultura alla fissità della

stampa fotografica che, per altro, ne altera anche le dimensioni. Inoltre, il meccanismo coattivo della ripetizione è parte fonda-mentale nel rituale magico, laddove ripetere significa gestire dei simboli, architettare un linguaggio. Nelle opere di Salvatore Arancio ogni immagine equivale così a un elemento ‘campionato’ ugualmente dalla realtà che dai più svariati repertori dalla produzione figurativa, in particolar modo dalle illustrazioni geologiche del XIX secolo.

Riccardo Conti, “Monoliti e Dimensioni”, text for the exhibition ‘Shasta’, February 2011

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L’osservazione di questo procedimento conduce a una significa-tiva analogia con le sperimentazioni più radicali delle avanguar-die in pratiche come il collage, assemblage, ready made, cadavre exquis surrealista, per arrivare al cut-up e alla più contempo-ranea tecnica di campionamento e di mixing, conferendo così un appeal più oggettuale alle immagini. Questi procedimenti e tradizioni nati in ambienti artistici assai differenti (dalla pittura, al cinema, dalla letteratura al cinema non narrativo) suggeri-scono la possibilità di uno sguardo decentrato all’interno di un ambiente sinestetico, attraversabile con differenti attitudini.

E’ proprio questa partitura circolare, simmetrica, che rincorre se stessa -nelle animazioni e nella produzione video di Arancio il movimento circolare e la forma sferica si manifesta con una certa frequenza- mantenendosi equidistante da una reale fine e da un reale inizio a restituire una dimensione atemporale diffusa e potenziata, che sul frammento e l’accostamento associativo di nature differenti suggeriscono derive oniriche, sempre sottese negli assemblaggi delle illustrazioni vintage usate dall’artista. Curiosamente, già nelle stesse immagini collezionate e riutiliz-zate da Salvatore Arancio, si fondano i contrasti iconologici e concettuali che contraddistinguono la natura delle sue opere. Il complesso apparato iconografico collezionato dall’artista è probabilmente molto più vasto ed eterogeneo di quanto sia possibile osservare direttamente. Composto da vecchie litogra-fie, immagini di eruzioni vulcaniche, saggi scientifici tra geologia e vulcanologia ma anche rappresentazioni che hanno il gusto del Dictionnaire raisonné des sciences art et métiers, suggeriscono una frequentazione ossessiva dell’artista per questi luoghi ‘cartacei’, per questi templi della memoria. Le fonti rappresentano, nella dinamica del lavoro di Arancio, il lato per così dire relazionale e tassonomico verso un materiale tutt’altro che grezzo ma in un certo senso ‘inerte’. Ma anche svelate le fonti, la loro ricombinazione sprigiona flussi che si incanalano in una nuova organizzazione di significati. I repertori rappresentano così il punto nel quale confluiscono e precipita-no tutti gli elementi, visibili e invisibili delle sue opere.E’ in fondo un’attitudine tradizionalmente europea quella della collezione, nella quale si sono codificate negli ultimi tre secoli tutte le attività di raccolta, accumulo, e solo in seguito catalo-gazione, dando vita a una serie di diversi ambiti disciplinari e a un grande riordino metodologico dei saperi. Prima di que-sto momento, la libertà d’immaginazione unita alla tensione esplorativa ha prodotto inconsapevoli maestri della ‘fantascienza’ ante litteram. Come ad esempio il naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi, figura capitale della scienza italiana, tra le altre cose, inventore del termine stesso ‘geologia’ e compilatore di bizzarri bestiari dove accanto ad esemplari verosimili del mondo vege-

tale e animale vengono affiancati esseri fantastici e veri e propri ‘remix’ anatomici o vegetali, come la mandragola, appunto. Salvatore Arancio sembra voler fondere attraverso l’accrochage delle sue opere, l’ambiente delle ‘gallerie’ intese come spazi di scorrimento dove osservare collezioni iconografiche e artisti-che, con i luoghi che ospitano un altro tipo di collezione, quella dei repertori naturalistici. L’intero arco di riferimenti si dispiega come un territorio nuovo, inesplorato, costellato di oggetti cul-turali e fenomeni naturali, creando una sorta di museo surreale della speleologia, implicando così anche il mito parallelo della caverna platonica. Le premesse estetiche, ove questa prassi della raccolta si rende così necessaria, si trovano sia nell’interesse per i flussi associativi non narrativi, sia nell’istinto cognitivo per gli oggetti naturali o culturali, anche più banali, che scandiscono l’ambiente e lo scenario nel quale l’uomo organizza la sua vita e suoi mestieri. Nello svolgersi di questo flusso visivo le ‘cose’ si caricano loro malgrado di proiezioni e significati più o meno allusivi. Per que-sto motivo non esiste una formula né un modello per codificare chiaramente ogni soggetto o porzione di immagine: diventa ir-rilevante la scelta di ogni singola fonte del materiale di partenza ma assai più eloquente la nuova forma che si manifesta dal loro ricombinarsi. La componente di casualità e di automatismo è del resto ribadita nei titoli scelti per alcune serie di fotoincisioni, formulati proprio grazie al processo di cut-up e di fusione di più titoli prese da altri incisioni originali, depistando forse il visitatore, che in mancanza di riferimenti viene ulteriormente proiettato in territori incerti.

Se la maggior parte delle illustrazioni scienti-fiche di partenza erano espressione di quella tensione illuministica e diderotiana, impegnata nella spiegazione di tutti i fenomeni attraverso la concezione di catalo-ghi visivi e prodromi dei moderni files, la trasfigurazione operata da Arancio nelle sue opere ci fa riflettere sulla nostra sostanziale incapacità di leggere la realtà e immaginare il futuro: ogni nostra

previsione sembra oggi puntualmente accartocciarsi a dispetto della sfrenata disponibilità di protesi high tech. Tale debolezza si rivela anche nel senso di incertezza da parte del visitatore che nell’immediato non riesce a intuire una tecnica e un autore specifico dietro ciascuna delle opere che possiedono a tratti lo stesso magnetismo di visioni ipnotiche.In questo senso, le opere di Arancio si dispiegano come le pagi-ne di un atlante dello smarrimento, come le tavole di un sapere scientifico e positivistico delle quali rimangono solo le spoglie ma non la sostanza. La fede di quelle scoperte scientifiche e insegnamenti perduti è sostituita da un’attesa cupa, angosciante, in un orizzonte dominato da misteriosi monoliti, impenetrabili e remotissimi.

Riccardo Conti, “Monoliths & Dimensions”, text for the exhibition ‘Shasta’, February 2011

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Caterina Riva, ‘Sentinel’, Kaleidoscope, 2009

FEDERICA SCHIAVO GALLERY ROMA MILANO

Caterina Riva, ‘Sentinel’, Kaleidoscope, 2009

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Caterina Riva, ‘Sentinel’, Kaleidoscope, 2009

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Caterina Riva, ‘Sentinel’, Kaleidoscope, 2009

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Caterina Riva, ‘Sentinel’, Kaleidoscope, 2009

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Caterina Riva, ‘Sentinel’, Kaleidoscope, 2009

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Daniela Bigi, “Salvatore Arancio, Shasta e Altri Miti”, Arte e Critica, n. 66, March - May 2011, p.p 48-49 - Cover Page

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Daniela Bigi, “Salvatore Arancio, Shasta e Altri Miti”, Arte e Critica, n. 66, March - May 2011, p. 48

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Daniela Bigi, “Salvatore Arancio, Shasta e Altri Miti”, Arte e Critica, n. 66, March - May 2011, p. 49

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Caterina Riva, ‘Fargp, North Dakota’, Cura Magazine, 2011

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Caterina Riva, ‘Fargp, North Dakota’, Cura Magazine, 2011

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Caterina Riva, ‘Fargp, North Dakota’, Cura Magazine, 2011

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Caterina Riva, ‘Fargp, North Dakota’, Cura Magazine, 2011

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Caterina Riva, ‘Fargo, North Dakota’, Cura Magazine, 2011

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“Roma - Federica Schiavo Gallery, Salvatore Arancio - Shasta”, EquipèCo, 2011

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“Salvatore Arancio: Shasta”, Flash Art, Num. 292. p.94 April, 2011

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“Federica Schiavo Gallery: Lo spirito della Terra”, Corriere dell’Arte, 2011

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Antonello Tolve, “Natura Arancio”, Artibune verso..., 2011

Natura Arancio

Pulita e precisa, luminosa ed elegante, la personale di Salvatore Arancio (Catania, 1974; vive a Londra) presenta un palinsesto di opere che interrogano i luoghi della vita per schiudere un discorso estetico in cui originario e originale – per dirla con Ebdòmero (de Chirico) – si in-contrano con lo scopo di affrontare i brani impervi del tempo, la natura delle cose, la ruvidità della storia o, meglio, delle storie.Con Shasta - titolo della mostra e di un’installazione video a doppio schermo che trae le mosse dalla leggendaria creazione del californiano Monte Shasta da parte di una tribù autoc-tona -, l’artista dà vita, ora, a una trama fitta di rimandi al mondo della vita mentre la vita tace, tuttavia, in un vuoto sovrastorico (Nietzsche), neutro, mitico e rituale, altamente inospitale, pungentemente mistico, sensualmente alchemico.Saltando il fosso dei grandi racconti, Arancio mette in onda un vocabolario immaginifico legato a una inclinazione antroposferica e d una georiflessione che gravita, da una parte, nei selciati mitici dello slargo geografico, dall’altra nell’interazione tra linguaggi differenti e tra dif-ferenti rapporti sui saperi (Lyotard), tra archeologie di tempi che trasformano lo sguardo in visione, le forme in sapiente sistema e coesistenza cosale dove l’uomo è solo traccia leggera e spettro lontano della rappresentazione.

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Antonello Tolve, “Natura Arancio”, Artibune verso..., 2011

“In questa bizzarra geografia, della quale noi siamo spettatori alieni”, suggerisce Riccardo Conti nel testo (Monoliti e dimensioni) di presentazione alla mostra, “colpisce appunto l’as-senza di spazi umani o un’idea di luogo al quale il nostro inconscio fa riferimento per approc-ciare e persino ‘abitare’ anche soltanto virtualmente uno spazio, nell’immaginario così come nella rappresentazione”.Steam And Expanding Magmatic Gases Disrupting A Large Valley And Its Basalt Pavement, la favolosa Luffâh (una radice di mandragola dal corpo antropomorfo che si fa misura ambigua dell’essere). E poi tutta una serie di fotoincisioni, tra cui Hunebed, Lean Vein, A Glimpse Of A Carboniferous Formation Risen On A High Plateau. O, ancora, la spiazzante Mass Of Cooled Lava Formed Over A Spiracle, opera che impedisce apparentemente il varco dalla prima sala della galleria agli altri due ambienti in cui, come apparizioni silenziose, si presentano Shasta (Room 2) e una gigantografia fotografica di Luffâh che, assieme allo splendido effetto di Stu-dy for the Creation of a Moonchild creano, nello spettatore, un déjà-vu programmato che richiama in causa la linea della prima sala ed evidenzia, contemporaneamente, la totalità di un progetto di cui le opere, il loro disporsi nello spazio, si fanno tasselli di una polifonia ritmata sull’alterazione, l’alterità, l’ambiguità calibrata, questa, sul sentiero romantico dei primordi.

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Antonello Tolve, “Natura Arancio”, Artibune verso..., 2011

Su un mondo esclusivo – “ma quale, tra tutti i mondi, è il più esclusivo?” (Deleuze) – che, per Arancio, è forse quello della sospensione del vivente dalla storia delle cose e della natura. Di una natura, mitica e rituale appunto, che sposta lo sguardo verso un tempo in cui tutte le cose perdono la voce.

Antonello Tolve

dal 17 febbraio al 31 marzo 2011Salvatore Arancio – ShastaFederica Schiavo GalleryPiazza Montevecchio, 16 (zona Parione) – 00186 RomaOrario: da martedì a sabato ore 12-19Ingresso liberoInfo: tel. +39 0645432028; fax +39 0645433739;[email protected]; www.federicaschiavo.com

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“Salvatore Arancio: Shasta”, ArteeRoma, Num. 26. February - March 25, 2011

FEDERICA SCHIAVO GALLERY ROMA MILANO

Pulita e precisa, luminosa ed elegante, la personale di Salvatore Arancio (1974) organizzata negli spazi della Federica Schiavo Gallery presenta un palinsesto di opere che interrogano i luoghi della vita per schiudere un discorso estetico in cui originario e originale – per dirla con Ebdòmero (De Chirico) – si incontrano con lo scopo di affrontare i brani impervi del tempo, la natura delle cose, la ruvidità della storia o, meglio, delle storie.

Con Shasta – titolo della mostra e di un'installazione video a doppio schermo che trae le mosse dalla leggendaria creazione del californiano Monte Shasta da parte di una tribù autoctona –, l'artista dà vita, ora, ad una trama fitta di rimandi al mondo della vita mentre la vita tace, tuttavia, in un vuoto sovrasto-rico (Nietzsche), neutro, mitico e rituale, altamente inospitale, pungentemente mistico, sensualmente alchemico.

Saltando il fosso dei grandi racconti, Salvatore Arancio mette in onda un vocabolario immaginifico legato ad una inclinazione antroposferica e ad una georiflessione che gravita, da una parte nei selciati mitici dello slargo geografico, dall'altra nell'interazione tra linguaggi differenti e tra differenti rapporti sui saperi (Lyotard), tra archeologie di tempi che trasformano lo sguardo in visione, le forme in sapiente sistema e coesistenza cosale dove l'uomo è solo traccia leggera e spettro lontano della rappresentazione. «In questa bizzarra geografia, della quale noi siamo spettatori alieni», suggerisce Riccardo Conti nel testo (Monoliti e dimensioni) di presentazione alla mostra, «colpisce appunto l'assenza di spazi umani o un'i-dea di luogo al quale il nostro inconscio fa riferimento per approcciare e persino 'abitare' anche soltanto virtualmente uno spazio, nell'immaginario così come nella rappresentazione».

IL TERRITORIO MAGICO DI SALVATORE ARANCIO ALLA FEDERICA SCHIAVO GALLERY, ROMA

Data: 11.03.2011

Antonello Tolve, “Il territorio magico di Salvatore Arancio alla Federica Schiavo Gallery, Roma”, Arskey, www.teknemedia.net, 11 March 2011

Autore: Antonello Tolve

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Salvatore Arancio, installation from the solo show ‘Shasta’, 2011, mixed media, photo by Giorgio Benni, installation view at Federica Schiavo Gallery, Roma

Steam And Expanding Magmatic Gases Disrupting A Large Valley And Its Basalt Pavement, la favolosa Luffâh (una radice di mandragola dal corpo antropomorfo che si fa misura ambigua dell’essere). E poi tutta una serie di fotoincisioni tra cui Hunebed, Lean Vein, A Glimpse Of A Carboniferous Formation Risen On A High Plateau. O, ancora, la spiazzante Mass Of Cooled Lava Formed Over A Spiracle, opera che impedisce apparentemente il varco dalla prima sala della galleria agli altri due ambienti in cui, come apparizioni silenziose, si presentano Shasta (Room 2) e una gigantografia fotografica di Luffâh che, as-sieme allo splendido effetto di Study for the Creation of a Moonchild creano, nello spettatore, un déjà vu programmato che richiama in causa la linea della prima sala ed evidenzia, contemporaneamente, la totalità di un progetto di cui le opere, il loro disporsi nello spazio, si fanno tasselli di una polifonia ritmata sull’alterazione, l’alterità, l’ambiguità calibrata, questa, sul sentiero romantico dei primordi. Su un mondo esclusivo – «ma quale, tra tutti i mondi, è il più esclusivo?» (Deleuze) – che, per Arancio, è, forse, quello della sospensione del vivente dalla storia delle cose e della natura. Di una natura, mitica e rituale appunto, che sposta lo sguardo verso un tempo in cui tutte le cose perdono la voce.In copertina: Salvatore Arancio, Luffâh, 2011, mixed media: glicée print on aluminum, ELKA Le-slie Elkatone 615, sound track, variable dimensions, photo by Giorgio Benni, installation view at Federica Schiavo Gallery, Roma

Salvatore Arancio, Shasta, 2011, split screen film installation, duration 2’ 21’’, photo by Giorgio Benni, installation view at Federica Schiavo Gallery, Roma

Antonello Tolve, “Il territorio magico di Salvatore Arancio alla Federica Schiavo Gallery, Roma”, Arskey, www.teknemedia.net, 11 March 2011

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Sara lo Porto, ‘Salvatore Arancio - Shasta’, MP News, 5 March 2011

SALVATORE ARANCIO - SHASTA05.03.2011 - Sara Lo Porto

L’artista, entra subito in relazione con la struttura architettonica della galleria. Nella prima sala, presenta delle im-magini di repertorio geologico- scientifiche che vengono curiosamente ri-lavorate e re-inventate, con l’intento di alterarne il significato originale.

Il dato naturale ricombinato, che si tratti di un vano paesaggio piuttosto che di figure di affascinanti monoliti, tra-sporta l’osservatore in un territorio surreale e misterioso. Una piccola scultura al centro della sala, figura a metà tra un’anonima massa rocciosa e una figura mitologica, sembra l’unico elemento guida in questo ambiente dispersivo. ‘Luffah’ è il nome arabo della piccola scultura, con il quale in tempi remoti veniva designata la radice della Mandra-gola, vegetale biforcuto impiegato nell’antichità per i suoi effetti allucinogeni e mistici.

La seconda sala, ospita un video a doppio schermo che dà nome all’intero progetto: Shasta, nome di un monte californiano la cui genesi è al centro di mitologie e racconti fantastici dei nativi americani. L’installazione del video, inizialmente girata in pellicola Super 8, ripropone quindi allo spettatore una dimensione visiva e sonora atemporale.

Ed è proprio procedendo nella terza sala che riappare inaspettatamente Luffah, questa volta in una gigantesca stam-pa fotografica.

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Sara lo Porto, ‘Salvatore Arancio - Shasta’, MP News, 5 March 2011

Il concetto di “ripetitività” dello stesso soggetto, con variazioni e tecniche differenti, crea dei loop visivi; rimanda anche alla tradizione dei riti magici facilmente identificabili in varie occasioni della vita sociale, attraverso comporta-menti talvolta ripetitivi, che possiedono un significato simbolico per coloro che vi partecipano. La volontà dell’artista di ‘ri-formare’ casualmente il materiale da lui considerato, è frutto di un’ ammaliante passione per il collezionismo di vecchie incisioni e immagini illustrative del XIX sec. La rielaborazione formale e concettuale di tali preziosi materiali avviene attraverso tecniche di forte richiamo surrealista come il collage, la foto-incisione, il mixing o la più contem-poranea tecnica del cup-up, conferendo così alle immagini un appeal decisamente nuovo ed originale.

Salvatore Arancio, attraverso questi nuovi lavori, presenta all’osservatore un orizzonte incerto, costituito da luoghi, forme e segni a metà tra realtà e astrazione. Il fascino di un monolite dalla forma perfetta, di una figura antropomor-fica dal fascino mistico, o di un paesaggio vulcanico, può sviluppare inconsciamente nell’osservatore un sentimento di incertezza, di smarrimento, di vaga ed insicura intercettazione della realtà, probabile metafora delle molteplici paure dell’uomo dinanzi alla grandezza della natura e alle sue manifestazioni.

Dal 18 febbraio al 31 marzo 2011

Federica Schiavo Gallery

Piazza Montevecchio 16 Roma

www.federicaschiavogallery.com

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“Salvatore Arancio”, Zero, 2011

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Serena De Dominicis, “Sindrome Italiana? / Italian Syndrome?”, Arte e Critica, 2010

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Serena De Dominicis, “Sindrome Italiana? / Italian Syndrome?”, Arte e Critica, 2010

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Serena De Dominicis, “Sindrome Italiana? / Italian Syndrome?”, Arte e Critica, 2010

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Serena De Dominicis, “Sindrome Italiana? / Italian Syndrome?”, Arte e Critica, 2010

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“Amateur d’Art par Lunettes Rouges”, Le Monde.fr Blog, October 26, 2010

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“Amateur d’Art par Lunettes Rouges”, Le Monde.fr Blog, October 26, 2010

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“Amateur d’Art par Lunettes Rouges”, Le Monde.fr Blog, October 26, 2010

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