Sguardi Online, la rivista telematica dedicata al mondo...

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SGUARDI N.54 - Settembre 2007 - Pag. 1 Sommario 3 Intervista / Franco Carlisi Gente di fotografia 8 Inviati / Alexandra Boulat e Andrew Lichtenstein Il racconto dei testimoni 12 Celebrità / Cesano Maderno Dietro l’obiettivo 15 Ritratti / Marco Delogu Due Migrazioni 19 Ritratti / Londra National Portrait Gallery 21 Ritratti / Andrzej Dragan Allegories & Macabresques 23 Mostre / Mimmo Jodice & Jessica Dimmock Forma, Centro Internazionale di Fotografia 26 News Libri: I custodi dei fratelli Talebani Vedute posteriori

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Sommario

3 Intervista / Franco CarlisiGente di fotografia

8 Inviati / Alexandra Boulate Andrew LichtensteinIl racconto dei testimoni

12 Celebrità / Cesano MadernoDietro l’obiettivo

15 Ritratti / Marco DeloguDue Migrazioni

19 Ritratti / LondraNational Portrait Gallery

21 Ritratti / Andrzej DraganAllegories & Macabresques

23 Mostre / Mimmo Jodice &Jessica DimmockForma, Centro Internazionale di Fotografia

26 NewsLibri: I custodi dei fratelliTalebaniVedute posteriori

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Editoriale di Antonio Politano

Sguardi torna a chiedersi, e a chiedere - in questo numero al direttore di Gente di fotogra-fia, punto di riferimento di qualità nel panorama italiano di settore - cosa significhi dirigereuna rivista di fotografia, quale risulti, da quel punto di osservazione privilegiato, lo “statodelle cose” del mondo dell’immagine e in particolare della fotografia come forma di espres-sione nell’epoca dell’affermazione della tecnologia digitale.

Doppio compleanno per Grazia Neri: la sua agenzia celebra quarant’anni di attività e lasua galleria dieci, festeggiati con due mostre dedicate al fotogiornalismo. La prima diAlexandra Boulat - cofondatrice della VII di Nacthwey, Kratochvil e Stanmeyer - “Modest,donne in Medio Oriente” è un viaggio nel quotidiano femminile in Iran, Iraq, Afghanistan,Giordania, Siria, Palestina; l’altra, “Never Coming Home” di Andrew Lichtenstein, sui fune-rali di soldati americani in Iraq, ci racconta, da un punto di vista più riservato e insolito, ildramma profondo di quel conflitto.

Doppia proposta anche per Forma, il Centro Internazionale di Fotografia di Milano, cheospita un’antologica di Mimmo Jodice “Perdersi a guardare. Trent’anni di fotografia in Ita-lia” e - in prima mondiale - il lavoro sull’ambiente della droga di Jessica Dimmock “Il nonopiano” che ha vinto la prima edizione del Premio F dedicato alla fotografia di documentazio-ne sociale.

Poi, tre approfondimenti sull’arte/il genere del ritratto, specchio-riproduzione o interpreta-zione creativa, reinvenzione, trasfigurazione. A Londra c’è una straordinaria casa del ri-tratto, la National Portrait Gallery, che oltre alla più vasta collezione di ritratti al mondoospita anche collezioni permanenti e un programma ricchissimo di esposizioni tempora-nee dedicate alla fotografia, come per esempio attualmente la vivace In the Making: Fashion& Advertising. A Roma Marco Delogu propone, con il suo stile asciutto e intenso, una seriedi ritratti dei contadini veneti della Pianura Pontina e dei pastori sardi della Maremmarealizzati fra il 1994 e il 2007, uno sguardo in parallelo su due migrazioni interne, in territorida Far West italiano, dove negli anni sono poi giunti altri migranti, sikh indiani e stagionaliaustraliani e neozelandesi. A Milano Andrzej Dragan, giovane fotografo e fisico quantisticopolacco, espone i suoi ritratti forti e virtuosistici di attori, registi, politici e sconosciutiincontrati per strada, nei manicomi o da amici, frutto di un lungo processo di elaborazionedigitale che ne accentua i dettagli e ne enfatizza i colori.

Quando le celebrità sono, per una volta, dietro e non davanti l’obiettivo, la ribalta, il palco-scenico: a Cesano Maderno Enrica Viganò ha messo assieme 105 immagini scattate dapersonaggi conosciuti di cinema, letteratura, musica, danza, pittura (da Richard Gere aLou Reed e Patti Smith, da Pablo Picasso. a Giuseppe Tornatore a Bruce Chatwin) che,per piacere o impegno personale, hanno fatto della fotografia un altro mezzo espressivodella propria sensibilità.

Le news segnalano la singolare collettiva fotografica “Ocultos” (settanta vedute posterioridel corpo umano realizzate da prestigiosi fotografi come Capa, Cartier-Bresson, LucienClergue, Isabel Muñoz) in mostra alla Fundación Canal di Madrid, la galleria di ritratti ditalebani ritrovata dal fotografo tedesco Thomas Dworzak (membro della Magnum) inAfghanistan, il volume I custodi dei fratelli che mette assieme il lavoro di alcuni tra i piùimportanti protagonisti della fotografia di documentazione (da Berengo Gardin a RaghuRai, passando per Koudelka e Salgado), impegnati nella testimonianza e denuncia di dirit-ti violati.

Buona visione e riflessione con Sguardi.

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Intervista Sguardi torna a chiedersi, e a chiedere, cosa significhi -oggi - dirigere una rivista di fotografia, quale risulti, daquel punto di osservazione privilegiato, lo “stato dellecose” del mondo dell’immagine e in particolare dellafotografia come forma di espressione nell’epocadell’affermazione della tecnologia digitale. Sguardi hainterpellato Franco Carlisi, già ospite delle nostrepagine, nella veste di nuovo direttore di Gente difotografia, storica rivista di qualità del panoramaitaliano (nata a Palermo nel 1994), che per scelta degliautori, individuazione di nuovi talenti, interventi criticie testi di approfondimento sul mezzo fotografico- oltre, non ultima, a un’ottima qualità di stampa - èriuscita a diventare un punto di riferimento riconosciutonell’ambiente fotografico.

Franco, tu sei un fotografo. Da circa un anno ti occupi diGente di Fotografia, rivista che in 13 anni di vita si èritagliata uno spazio prestigioso tra i periodici di fotografiain Italia. Perché sei entrato in Gente di fotografia? In basea quale progetto?In realtà la mia collaborazione con Gente di Fotografiadura, oramai, da diversi anni. Da quando nel 1998l’incontro con il caporedattore Vincenzo Mirisolaha posto le basi per una solida e vivace amicizia. Percui quando, in seguito al cambiamento dell’assettoproprietario, Mirisola ed altri amici mi hanno chiesto diassumere il ruolo di nuovo direttore, ho accettato benvolentieri pensando, modestamente, di poter far delbene alla fotografia. Il fatto che io sia un fotografo è unvalore aggiunto. Mi aspetto che a parlare di matematicail più titolato sia un matematico. Il passo da fotografo adirettore di una rivista di fotografia è stato breve enaturale. Si è trattato di passare dal vedere la vitaattraverso la fotografia al vedere la fotografia attraverso lavita. Come si è evoluto Gente di Fotografia dalla sua nascita?Gente di Fotografia è nata nel 1994 a Palermo percolmare una lacuna culturale e intellettuale all’internodell’editoria italiana del settore. Per rispondere allaesigenza di tanti che non accettavano e non accettanodi considerare una rivista culturale dedicata alla loropassione, alla stregua di un catalogo commerciale. Dicerto, in tempi così superficiali, non è stato facile portareavanti una pubblicazione principalmente rivolta al mondodella cultura. Tuttavia devo dire che fin dall’inizio la rivistaha incontrato il favore di molti appassionati, professionisti,collezionisti e ha goduto della collaborazione di tantiautorevoli intellettuali. Senza tradire gli ideali del primonumero in questi anni Gente di Fotografia si è progressi-vamente arricchita nei contenuti e ha miglioratonotevolmente la sua veste editoriale, adesso di grande

Gente di fotografiaFranco Carlisi

Cover Gente di Fotografia n. 43(Nicola Vinci)

Gente di Fotografia n. 42(Joel Meyerovitz)

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qualità. Attualmente la rivista viene stampata su duetipi di carta di grammatura pesante (una patinata opacaper la prima parte dei portfolio e una patinata avoriataper la seconda parte di approfondimento culturale).Inoltre da quest’anno la rivista ha cambiato l’assettoproprietario. Adesso la proprietà appartiene a PolyoramaEdizioni e questo ha apportato nuove energie e un grandeentusiasmo.

Portfolio, incontri-interviste, saggi critici, articoli di tecnica,presentazione di libri, segnalazione di mostre e rassegne.Come si riconosce, e distingue, la formula editoriale diGente di Fotografia?Gente di Fotografia già dal suo primo numero haassunto una sua precisa identità: siamo una rivista diimmagini perchè riteniamo che la libertà e il piaceredelle immagini restino il fondamento della fotografia,ma approfondiamo anche una riflessione necessariasulle poetiche della fotografia e sulle sue implicazionisociali, filosofiche ed estetiche. Molte delle rivistenazionali parlano più di macchine fotografiche che difotografia. Altre dicono di interessarsi alla fotografiainternazionale riducendo, però di fatto, la loro attenzionealle espressioni artistiche che provengono dallemetropoli della parte privilegiata del mondo. Come seci si potesse innamorare solo in riva alla Senna o sipotesse raggiungere una particolare intensità del sentiresolo all’ombra dei grattacieli di Manhattan. Anche quandosi parla di fotografia cinese, molto in voga in questomomento, non si fa altro che proporre uno sguardoperfettamente omologato: fotografi cinesi che fotografanocome un occidentale. Del resto questo comportamentotradisce un atteggiamento assolutamente provincialedella gran parte degli editor italiani che, se nonguardassero a ciò che succede oltreoceano come unmusulmano guarda a La Mecca, godrebbero di quellalibertà di pensiero che gli consentirebbe di apprezzarequanto di interessante nasce e si evolve nei dintorni dicasa loro. Invece ciò che esula dalla loro esperienzaquotidiana e mediatica viene ritenuto esotico magari,ma comunque altro, rispetto a sé, e quindi pocointeressante. Noi di Gente di Fotografia abbiamo fattotesoro dell’esperienza dell’amico Mario Giacomelli ecrediamo si possa essere grandi fotografi anche senzale k nel cognome. Da sempre abbiamo dato grandevisibilità agli autori italiani emergenti che diversamentenon avrebbero avuto alcuna possibilità di farsiconoscere. Molti sono i fotografi che, in questi anni,abbiamo accompagnato ad una concreta affermazioneprofessionale attraverso la pubblicazione e attraversole nostre rassegne. Ciò naturalmente non ci ha impeditodi pubblicare le anticipazioni sulle tendenze creative alivello internazionale.

Gente di Fotografia n. 42(Marco Barsanti)

Gente di Fotografia n. 43(Nicola Vinci)

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Qual è l’idea - le idee - di fotografia che portate avantiattraverso la rivista?Pensiamo ad una fotografia in grande vitalità che aisuoi significati specifici di documentazione e rappre-sentazione della realtà continua ad affiancare accezionisempre diverse. Siamo consapevoli, infatti, che le nuovetecnologie e la globalizzazione producono un mutamentodella percezione della realtà e quindi della visione. Eche a ciò corrisponda una ricerca fotografica semprepiù attestata sulle possibilità dell’invenzione dell’immagineche sulla ripresa della realtà. Pensiamo ad una fotografiafrutto dell’interazione del fotografo con la realtà maanche ad una fotografia come altrove dell’animo o delpensiero.

Nel tuo ultimo editoriale scrivi “alla fotografia, per continuaread essere, basta tornare a se stessa”. Cosa intendi? Inepoca di multimedialità e tecnologie sempre più rinnovate,quale pensi sia la sua specificità?La frase che tu hai estrapolato fa parte di un editorialeche riprende la questione ormai banalizzata dell’inse-rimento della fotografia nel mondo dell’arte e i suoirisvolti. La fotografia dal suo apparire ha prodottomutamenti radicali nella comunicazione e atteggiamentistravolgenti in seno all’arte. E se per arte si intende larappresentazione del bisogno ancestrale di porsi ledomande urgenti ed essenziali sulla vita, sulla realtà eil suo contrario, la fotografia arte lo è sempre stata econtemporanea. Non si tratta quindi di stabilire se lafotografia sia arte o meno. Come dice FerdinandoScianna se non è arte peggio per l’arte. Si tratta invecedi discutere con preoccupazione del suo adeguamentoal mercato dell’arte. Negli ultimi anni abbiamo assistitoad una devastante operazione, che ha trasformato ilmondo dell’ arte in un bulimico mercato dove l’operaaltro non è che un bene di consumo. In questa logicamercantile gli artisti ufficiali hanno dato fondo allepratiche decorative della moda e della pubblicità,facendosi portatori di segni perfettamente riconoscibilidi un linguaggio omologato, piuttosto che essereanticipatori di fenomeni. Noi che amiamo e conosciamola fotografia, non siamo disposti a sacrificarla all’altaredell’arte contemporanea riducendola allo statoregressivo di oggetto di contemplazione. Cosa pensi dello stato della cultura fotografica in Italia?In generale il mondo della cultura italiano poco siinteressa alla fotografia e la fotografia italiana, tra isuoi addetti ai lavori, soffre di una quasi totalemancanza di autorità culturali. Noi esprimiamocontinuamente un giudizio estetico su quello chevediamo e quindi anche sulle fotografie. Questa abitudineinsieme al fatto che, come disse Nadar, la fotografia è

Gente di Fotografia n. 43(Tano Siracusa)

Gente di Fotografia n. 38(Franco Fontana)

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alla portata del primo imbecille che passa, ha fattocrescere il convincimento diffuso che chiunque possaparlare ed intendere di fotografia. Così vediamo assessoripromuovere, con il denaro pubblico, autori assolutamenteinsignificanti e uomini dotti avventurarsi nella presen-tazione critica di un volume fotografico con discorsi che,quando non sono vuoti esercizi di retorica, nullaaggiungono al progetto fotografico. Anche gli addettiai lavori, curatori di mostre o direttori di musei, se nonsono pagati dai privati, risolvendo il proprio ruolo aduna sorta di funzionariato mercantile, vengono nominatidalla politica, e consapevoli della precarietà del loroposto di lavoro cercano di mantenere il consensoadagiandosi sulla tendenza e proponendo operedi sicuro successo tra il grande pubblico. Vorrei chiuderequesta risposta imbarazzante con una battuta diMolière: “un intellettuale cretino è molto peggio di unanalfabeta cretino.”

Parliamo dell’avvento, ormai stabilizzato, del digitale. Hamutato il senso del fotografare?L’avvento del digitale non investe solo la fotografia. Oggiassistiamo ad una evoluzione senza precedenti delleforme di comunicazione, di percezione e conoscenza. Èuna rivoluzione che impone una nuova grammatica euna nuova sintassi che stiamo cominciando ad imparare.Certo la foto giornalistica dovrà fare i conti con la cattivacoscienza delle immagini di sintesi, ma le infinitepossibilità del medium porteranno molti artisti aguardarsi dentro per cercare di rappresentare, ancorauna volta, ciò che si cela nella profondità dell’animoumano. Una rivoluzione tecnologica non solo da nontemere, ma foriera di nuove possibilità di intendimentofra gli uomini. Come usate il web? Internet ha cambiato il vostro mododi fare informazione?Gente di Fotografia ha completamente rinnovato il suosito per portare sulla rete il flusso di informazioni, diattività e conoscenze che transita attraverso la redazionedella rivista, e che non potendo aspettare i tempidell’edicola, trova nel web la sua sede ideale. Il portaleaggiornato quotidianamente rappresenta un’ulteriorepossibilità di anticipazione, interattività e scambio con inostri lettori.

Gente di fotografia è anche editore (Polyorama). Che tipodi libri pubblicate? Una vostra collana di libri si chiama peresempio “Pictures only”, nel senso che le immagini che vicompaiono non hanno bisogno di parole?In un panorama editoriale nazionale che vede gli editoritrasformarsi in imprenditori con le stesse ansie edaspettative dei produttori di caramelle o lavatrici,

Gente di Fotografia n. 43(Lorenzo Castore)

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Polyorama crede ci sia ancora posto per il coraggio,l’autenticità e la passione per l’arte. Pubblichiamo libridi grande qualità, spesso di autori poco noti ma neiquali crediamo molto. “Pictures only” è una collana dilibri che presenta racconti fotografici capaci di parlareda soli alla mente e al cuore dei lettori senza l’artificiodi parole che spesso impongono una lettura obbligatadelle fotografie. Il fruitore del libro deve solo lasciarsicondurre dalla propria sensibilità alla scoperta delleemozioni e sensazioni che l’immagine gli può dare.

Invece una rivista è fatta di immagini e parole. D’accordosul privilegiare le possibilità emozionali del fotografare, mache tipo di discorso - di parole, applicate alle immagini –provate a usare? I testi sono importanti?L’impaginazione di un libro segue delle dinamiche chenulla hanno a vedere con quelle che presiedono allarealizzazione di una rivista. In un libro un filo intimolega le immagini, il progetto grafico stabilisce il ritmo e ilracconto si affida alla forza della luce e dell’ombra. Iltesto, se non è un testo critico, non deve mai intersecare leimmagini. Una rivista deve essere un laboratorioavanzato. Deve essere critica, analitica e provocatoria.Deve proporre ed aprire discussioni. Deve essere unpunto di incontro e di confronto. In questo caso laparola è necessaria. Che rapporto stabilite con i fotografi? Vi cercano, li cercate?Se c’è una preferenza, privilegiate la pubblicazione diraccolte di immagini o di lavori particolari?Riceviamo diverse centinaia di portfolio in visione manon rinunciamo a continuare a cercare. Una ricerca,più che di nuovi soggetti , di un nuovo modo di sentire,di guardare. Naturalmente, come tutti, anch’io ho dellepreferenze ma queste non influenzano in manieradeterminante le scelte di Gente di Fotografia. Abbiamoinfatti istituito un comitato di redazione che selezionai lavori da pubblicare seguendo criteri di omogeneitàed originalità. La singola foto non viene presa in consi-derazione. Cerchiamo lavori che esprimono valoreautoriale.

Gente di Fotografia n. 43(Luigi Vegini)

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InviatiLa galleria Grazia Neri di Milano compie 10 anni di vitae l’agenzia Grazia Neri ne compie 40. Un doppiocompleanno celebrato con le esposizioni di due reportersensibili al tema della guerra, dei conflitti, della condi-zione dei più umili e sfavoriti: “Modest, donne in MedioOriente” di Alexandra Boulat (dal 17 settembre al 13ottobre) e “Never Coming Home” di AndrewLichtenstein (dal 22 ottobre al 17 novembre).

Spiega Grazia Neri: “La mia è sempre stata una gallerialegata al reportage, attenta ai cambiamenti tecnologicie ai nuovi linguaggi della comunicazionefotogiornalistica. Una galleria sperimentale. Ispirata dascelte personali e talvolta coraggiose. Tra tanti fotografiche hanno documentato o stanno documentando la folliadella guerra ho scelto senza esitazione AndrewLichtenstein. La sua proposta di esporre il proprioreportage sui soldati americani morti in Iraq, compostoda foto minimaliste ma di un’onestà sorprendente, ilmio impegno, alla nascita dell’agenzia, nella diffusionedi immagini legate alla guerra in Vietnam quali presa dicoscienza collettiva dell’assurdità di quel conflitto, mihanno orientata nella scelta di offrire ancora una voltauna riflessione sul dolore, attraverso un lavoro umile eonesto”.

Andrew Lichtenstein racconta: “Ho assistito per la primavolta a un funerale militare nel novembre del 2003.Un giornale locale aveva scritto che Jacob Fletcher, unsoldato ventottenne di Long Island, sarebbe statoseppellito con gli onori militari nel cimitero nazionale diPine Lawn. Centinaia di soldati americani erano già mortiin Iraq; ero profondamente convinto del fatto che il lorosacrificio fosse importante, che le loro morti non dovesseroessere ignorate. La cerimonia in sé fu breve. Un trom-bettiere ha intonato il silenzio, una guardia d’onore disette soldati ha sparato in aria tre scariche di fucile,ventun colpi di saluto, e la bandiera americana checopriva il feretro è stata ripiegata con cura e consegnataalla famiglia di Jacob. Un funerale militare dà l’impressionedi essere stato pensato durante la guerra, sotto il fuoco, alcimitero tutto si svolge in circa otto minuti. Nonostantela tristezza e il dolore attorno a me, ho apprezzato lasemplicità e la bellezza della cerimonia. In quel periodole morti dei soldati in Iraq non venivano ancora raccontatedai media nazionali. È stato lì, accanto alla terra appenasmossa della tomba del soldato Fletcher, che mi sonoreso conto che per me non si trattava più solo di unastoria. Era un compito che dovevo svolgere, una possibilitàdi essere testimone. Nella primavera del 2004, USNews and World Report ha acconsentito a finanziarele mie spese di viaggio per partecipare a dieci funerali

Il racconto dei testimoniAlexandra Boulat e Andrew Lichtenstein

© Andrew Lichtenstein/Agenzia Grazia Neri

Cory Mracek, 26 anni.Ucciso a Iskandariyag, Iraq,il 27 Gennaio 2004.Alcuni scolari guardano passare laprocessione funeraria, Hay springs,Nebraska, 4 Febbraio 2004.

© Andrew Lichtenstein/Agenzia Grazia Neri

Michael Wendling, 20 anni.Ucciso a Shaibah, Iraq,il 26 Settembre 2005.Tomba, Theresa, Wisconsin,5 Ottobre 2005.

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in diversi stati. Dato che le cerimonie erano brevi, e inun certo senso anche simili fra loro, sentivo che eraimportante aggiungere la differenza geografica. Ognibuon fotografo è anche paesaggista: questo viaggiosignificava per me una riscoperta del mio pease attra-verso un percorso determinato dalla sofferenza e dallamorte. Così una settimana andai nelle grandi pianuredel Nebraska, quella dopo nel deserto del suddell’Arizona, poi fra i terreni lottizzati della Floridacentrale. Avevo torto. Non importa quanto standardizzatosia il cerimoniale di ogni funerale militare, non ce nesono due uguali. Nella contea di Berk, nel Massachusettsoccidentale, la polizia locale aveva chiuso tutte le vie altraffico locale tranne che per i partecipanti al funerale.In Arkansas il padre di un ragazzo che aveva dato viatutti i suoi beni più cari prima di partire per la guerra,sapendo che non sarebbe più tornato, mi invitò dopo ilfunerale per un barbecue in ricordo del figlio. Nonsentendomi a mio agio, non volendo offendere nessunoné essere un intruso, e ricordandomi sempre che lepersone che vengono sepolte sono molto più importantirispetto a una foto in più per un saggio fotografico, cisono stati funerali ai quali non ho nemmeno estratto lamacchina fotografica dalla borsa. E poi ce ne sono statialtri in cui sono stato una sorta di fotografo ufficiale,mandando poi le immagini per e-mail agli amici e aifamiliari dei soldati. Il rapporto con la morte è diversoda persona a persona. Per questo libro, dall’autunnodel 2003 alla fine del 2006 ho partecipato a cinquantao sessanta funerali, non so esattamente, non hotenuto il conto. Alcuni sostenevano con tutto il loro cuorela guerra e l’amministrazione Bush che l’aveva iniziata.Una minoranza era arrabbiata col governo. Ma per lamaggior parte di loro la morte del proprio caro era unfatto profondamente personale, al di là della politica. Èda queste famiglie che ho imparato di più. Mi hannoaiutato a mostrare quello che davvero avevano perso,l’incredibile, inestimabile sacrificio umano della guerra”.

Il lavoro di Alexandra Boulat, tra i soci fondatoridell’agenzia VII, raccoglie immagini scattate tra il 2001e il 2007: ritratti e storie di donne che vivono in Iran,Iraq, Afghanistan, Giordania, Siria, Gaza, West Bank,un viaggio nel quotidiano femminile di giovani donneche si confrontano ogni giorno con l’Islam, ilfondamentalismo, la guerra, la violenza domestica. Perdescrivere lo spirito con il quale le donne dell’Islamaffrontano la vita e le relazioni umane e non lanciareuna campagna per i diritti delle donne. L’intero lavoro èispirato dal desiderio di arricchire la visione che inOccidente abbiamo delle donne musulmane, di mostrarela loro forza di carattere e di condividere un momentodel loro destino. Un omaggio alle donne di cultura araba.

© Andrew Lichtenstein/Agenzia Grazia Neri

Prince Teewia, 27 anni.Ucciso a Baghdad, Iraq,il 29 Dicembre 2005.Funerali, Newark, Delaware,13 Gennaio 2006.

© Andrew Lichtenstein/Agenzia Grazia Neri

Bryan Wilson, 22 anni.Morto nella provincia di Anbar, Iraq,il 1° Dicembre 2004.Sua figlia, Breanne, mette unabandiera sulla sua tomba,Pine Village, Indiana, 1 Luglio 2006.

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La parola “modest” identifica la richiesta della societàalla donna di tenere un atteggiamento pudico e riservato.

Così la Boulat presenta il suo lavoro:

Iraq.Le immagini presentate sono un tributo alle donneirachene, i cui diritti sono del tutto svaniti quando èiniziata la guerra. Prima del marzo 2003 l’Iraq era unPaese laico. Né la cultura Mediorientale né la tradizionepermettevano alle donne di comportarsi come le donneoccidentali, ma almeno esse non dovevano preoccuparsidella propria sicurezza e dell’Islamismo. Fino alla cadutadi Saddam Hussein, le donne irachene erano vincolatea una morale molto restrittiva, a costumi conservatorie a ruoli familiari di matrice araba, ma potevano andarein giro per strada, al mercato o nei ristoranti senzaindossare abiti particolari. Posters di Britney Spears eranoappesi nei suk, le ragazze la sera andavano in giro dasole mangiando gelati nei fast-food e le madri portavano ifigli a scuola guidando le proprie auto. Oggi è tuttodiverso. Le fotografie presentate in questa mostra sonostate scattate agli incroci delle strade mentre le forzeAmericane bombardavano la periferia di Bagdad,durante l’invasione dell’Iraq nella primavera 2003 esuccessivamente quando Saddam scomparve lasciandole persone e il paese nel caos più totale.

Afghanistan, burqa blu un po’ sollevati, ma tradizioniancora rigide.Le donne, per la prima volta in 20 anni, sono chiamatea votare. Ragazzi e ragazze siedono insieme nelleuniversità. Tuttavia ancora molte donne muoionocercando di riconquistare la libertà perduta dopo 25anni di guerre e dopo l’ultimo periodo del regimetalebano. Nel nord-ovest dell’Afghanistan, nel repartoustionati dell’ospedale di Herat, Shaima lotta fra la vitae la morte. Come molte altre donne nel Paese, si è datafuoco per sfuggire alla costrizione del proprio ambiente,alla propria matrigna e ad un matrimonio sbagliato. AKabul, Mouna era giovane e ribelle, non voleva seguirele regole imposte dalla società afghana, era divenatatagiornalista e presentava un programma per giovani suTolo TV. Ma è morta presto, suicidandosi, come sostienela famiglia, o forse uccisa dal fratello che voleva difenderel’onore familiare, tradito dal modo di vivere della sorella.

Iran, Chador nero e sciarpa chiara.Le sorelle della Rivoluzione Islamica combattono leinfluenze occidentali. Dalle cadette dell’accademia dipolizia femminile a Teheran, alle donne che pregano inmassa nel cortile della moschea di Mashad, il valore piùapprezzato in una donna mediorientale è la modestia.

© Alexandra BoulatRifugiate afghane a Quetta, inPakistan, pregano per le vittime deibombardamenti americani inAfghanistan.Pakistan, settembre 2001.

© Alexandra BoulatIn un centro governativo di accoglienzaper donne sole o con problemi sociali,un gruppo di orfane attende il proprioturno per parlare con una rappresen-tante del parlamento iraniano (con ilchador) invitata per l’Iftar,momento serale di interruzione deldigiuno durante il mese delRamadam.Teheran, Iran, 21 ottobre 2004.

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Poche donne spingono la moda al limite permessodall’Islam, per cui anche una sciarpa o una calza possonorappresentare un problema. E Kalidja ha deciso dicambiare sesso ed è diventata donna col pieno sostegnodi un’organizzazione governativa iraniana.

Donne di Gaza salvate dall’Islam.Le donne combattenti di Hamas hanno un ruolo attivo,la loro missione è resistere alla violenza quotidiana eportare il loro aiuto a una società disperata. Tra esseredonne kamikaze o strenue militanti sostenitrici dellaPace, le ragazze di Gaza non hanno molta scelta.

Siria e Giordania.Pur essendo la Siria un paese laico e la Giordania unamonarchia aperta all’Occidente, in entrambi i Paesi lagioventù cresce fra valori conservatori e precisi codicifamiliari. Tuttavia i caffè di Amman sono più trendy diquelli di Gaza e a Damasco l’industria dei video clip nonha difficoltà a reclutare schiere di ragazze pronte aballare in jeans e maglietta sui set televisivi dei cantantiarabi.

© Alexandra BoulatAl tempio di Hazrat a Mazar-i-Sharif

nel giorno riservato alle donne.Afghanistan, 29 settembre 2004.

© Alexandra BoulatRifugiate afghane a Quetta.Pakistan, 15 ottobre 2001.

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Dietro l’obiettivoCesano Maderno

CelebritàLa fotografia è una passione profonda per molti, ancheper i cosiddetti personaggi famosi. Dopo il successoregistrato a Madrid nell’ambito di Photo España 2007,fino al 7 ottobre Palazzo Arese Borromeo di CesanoMaderno (Milano) ospita Celebrità dietro l’obiettivo,105 fotografie di personaggi famosi: da Richard Geree Jeff Bridges a Bruce Chatwin e Mikhail Baryshnikov,da Lou Reed e Patti Smith a Giuseppe Tornatore ePedro Almodóvar, fino a Leonard Nimoy, lo Spock diStar Trek, e Pablo Picasso. Ventuno tra attori, scrittori,musicisti, danzatori e pittori, che per l’occasione diventanofotografi, per piacere o impegno personale, non per denaroo qualche tipo di incarico. La mostra è promossa dalComune di Cesano Maderno che ha così dato continuitàal festival “Foto&Photo”, da sei anni organizzato neipalazzi storici e luoghi pubblici cesanesi e che dall’annoprossimo avrà cadenza biennale con il coinvolgimentodi diversi comuni della Brianza. Di seguito pubblichiamouna panoramica sui lavori degli autori riuniti in mostra -raggruppati per affinità creative - della curatricedell’esposizione Enrica Viganò.

C’è chi si avvicina alla fotografia negli anni immediatamentesuccessivi alla sua invenzione, verso la fine del XIX secolo,con l’entusiasmo di chi ha un nuovo strumento persperimentare e dare voce alla propria creatività. EdgarDegas usa la macchina fotografica per documentarequello che è il suo mondo più intimo, con modalità deltutto diverse rispetto a quelle impiegate nella sua pitturaimpressionista: le sue fotografie sono infatti il risultatodi un’attenta ricerca formale e di una complessaorchestrazione degli spazi. Senza spostarci dalla Francia,l’opera fotografica dello scrittore naturalista Emile Zolaconferma e riflette la sua attenzione nei confronti delmondo contemporaneo, con uno sguardo tradizionaleverso il ruolo fondamentale che ricopre la famiglia. Inmostra è esposta proprio una serie di studi dedicatialla figlia.

Ci sono quelli che guardano gli altri. Quelli che usanola macchina fotografica per indagare nel mondo dei propriamici, come potrebbe fare uno qualsiasi di noi, maovviamente in una cerchia molto speciale, ritraendolinei momenti più intimi e a volte più importanti della lorovita (per esempio Graham Nash con Joni Mitchell eNeil Young). Interessante è il caso del poeta e romanziereJean Cocteau che in maniera molto divertente, comesolo può fare chi ha avuto la fortuna di avvicinarsi almezzo fotografico ai suoi albori, ci mostra una vitaparisien quasi recitata da artisti delle avanguardie comeMax Jacob, Amedeo Modigliani e Pablo Picasso.Anche quest’ultimo, soprattutto durante il suo soggior-no francese, si dedica a ritrarre gli amici nei loro studi e

Jeff Bridges. Michelle Pfeiffer, TheFabulous Boys, 1989© Jeff Bridges. Cortesia RoseGallery

Mikhail Baryshnikov. Untitled 10,2006 © Cortesia Edwyn HoukGallery, Nueva York

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in altri momenti della vita, ad esempio il pittore naïfRousseau o il poeta Apollinaire.

Vero omaggio all’amicizia è la serie di fotografie realiz-zate dallo scrittore della Beat Generation AllenGinsberg, attraverso le quali emerge la cronaca dellarinascita intellettuale americana della seconda metà delXX secolo, ripresa dallo sguardo divertente e ironico diuno dei suoi massimi rappresentanti. Nel caso di YulBrynner è l’attore a rimanere imprigionato in questarete di bellezza che circonda l’effervescente mondocinematografico e artistico che ha avuto la fortuna direspirare. Leggendaria è la fotografia scattata almaestro Dalí mentre ritrae una giovanissima AmandaLear. Altri come Bryan Adams fotografano i loro amicidel jet-set. E cosa c’è di più curioso di un VIP che ritraeun altro VIP? Se lo facesse uno qualsiasi di noi lo sipotrebbe imputare al desiderio di saperne sempre dipiù dei personaggi famosi, ma se lo fa lui è lecitodomandarsi perché. Perché al contrario dei paparazzi,le immagini di Adams riescono nell’intento di mostrarela fragilità e l’umanità di questi personaggi come se sitrattasse di persone qualsiasi. Tra coloro che rivolgonolo sguardo all’interno del proprio mondo professionale,possiamo includere l’attore Jeff Bridges, che sembrarimanere affascinato da tutto ciò che succede sul set.Sedotto dalla bellezza delle attrici che lavorano accantoa lui, ci accompagna nel mondo magico e misteriosodella recitazione. Il ballerino Mikhail Baryshnikov portal’agilità e il garbo caratteristici della sua danza, cosìcome l’amore per il movimento che l’accompagna dasempre, al suo modo di fotografare e al tema scelto: ladanza in tutte le sue forme, dal merengue fino allostriptease, protagonista delle foto in mostra, ripresedurante i suoi numerosi viaggi nella RepubblicaDominicana.

C’è chi vede nella fotografia un mezzo complementaredi espressione. In Italia, già a fine ‘800, lo scrittoreGiovanni Verga utilizza una delle prime macchinefotografiche per esplorare l’ambito rurale e per testi-moniare la sua proposta verista, indagando non solonel suo ambiente di possidente siciliano ma anche nellavita dei contadini e dei meno fortunati. Per i registi lamacchina fotografica diventa il “terzo occhio”, un’estensionenaturale del loro approcciarsi alla realtà e a quelleimmagini in movimento di cui essi stessi si fanno inven-tori/creatori. Stanley Kubrick, Giuseppe Tornatore eLuchino Visconti, anche se molto lontani per età eprovenienza geografica, adottano lo stesso sguardocritico, curioso e meticoloso verso il mondo e soprattuttoverso la gente, di cui ci trasmettono immagini estrema-mente vive e coinvolgenti. Peculiare è il caso di PedroAlmodovar che ha deciso di essere l’unico occhio

Leonard Nimoy. Self Portrait withShekhina 2001. Cortesia RichardMichelson Galleries

Bruce Chatwin. Catching the bus,Afganistan © Cortesia TrevillionImages, Londres

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creatore di immagini durante la lavorazione dei suoifilm, tanto in video come in fotografia. Come se non glibastasse registrare, come se attraverso la fotografiariuscisse a fermare la scena, dividerla in elementimolteplici e soffermarsi su quel dettaglio memorabile,sempre più cosciente di dove sta andando.

Un altro caso particolare è quello di August Strindbergche ci ha lasciato un’ingente quantità di autoritratti:una scelta stilistica che probabilmente va messa inrelazione con la schizofrenia di cui soffriva. Soltanto unoscrittore e viaggiatore infaticabile come Bruce Chatwinè in grado di portarci lontano raccontando ciò che hannovisto i suoi occhi. Attraverso le sue fotografie ci illustrai suggestivi racconti che compongono i suoi libri di viaggio.Un altro personaggio che si avvicina al tema dei viaggiè l’attore Richard Gere, attento soprattutto all’armoniaspirituale, un aspetto che ben si riflette nelle sue foto-grafie intimiste, in cui domina il silenzio. Va sottolineatoche quest’attenzione all’uomo e allo spirito non restasolo nelle immagini: i proventi di tutta l’attività fotogra-fica di Gere sono infatti devoluti in beneficenza per lacausa del Tibet. Sempre il silenzio, ma questa volta fattodi paesaggi urbani di luci e ombre, è il protagonistadell’omaggio suggestivo e personale che Lou Reed faa New York, la città che per decenni è stata la suabase creativa. Le fotografie sono impregnate di quellastessa poetica oscura che ha sempre caratterizzato ognisua espressione artistica e professionale.

Un progetto fotografico vero e proprio è quello propostoda Leonard Nimoy. L’attore, che tutti ricordiamo neipanni di Doctor Spock in Star Trek, studiò fotografianegli anni ’70. Le sue immagini più recenti, da cui sonostati scelti gli scatti esposti, rivelano una grandissimasensibilità e attrazione nei confronti del corpo femminile.Nella serie Maximum Beauty l’artista propone unariflessione sul significato comune e sociale della bellezza,mentre in Shekhina indaga nelle pieghe della sensualitàe sessualità contenute negli insegnamenti e nellacultura della religione ebraica.

Patti Smith prima di diventare un’icona dell’universomusicale aveva studiato arte. In seguito ha continuatoa coltivare il suo interesse per la pittura e la fotografia,riuscendo a creare - da vera professionista - un suostile unico, profondo e carico di nostalgia. Commoventecome le sue parole è l’immagine delle pantofole che ilsuo amico Robert Mapplethorpe portava prima di morire.Un’immagine regalata all’eternità. Da una sua frase èpossibile avere la visione chiara del modo in cui interpretale proprie fotografie: “… sono un appunto visivo dioggetti che hanno pochissimo valore materiale, ma cheio, malgrado ciò, amo”.

Lou Reed. Snapper, 2005 © LouReed. Cortesía Steven KasherGallery. Nueva York

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RitrattiFiglio di migranti, Marco Delogu ha sviluppato unaparticolare sensibilità verso gli arrivi e le partenze diindividui, gruppi, popoli, le problematiche di identitàpersonali e di gruppo che implicano, le storie estratificazioni che producono. Nel 1994 ha iniziato aoccuparsi di migrazioni, con una serie di ritratti deiveneti della pianura intorno a Latina (negli anni ‘30,famiglie intere di contadini veneti emigrarono a sud diRoma, bonificando la Pianura Pontina e riuscendo inun’impresa fallita dai Romani e dal papato). Una dozzinadi anni dopo è tornato in quei luoghi e nella Maremmadove, a partire dagli anni ‘50, arrivarono famiglie dipastori sardi, lasciando l’isola per una terra dallabassissima densità di popolazione che permettevapascoli migliori, era collegata bene via mare, facendoapparire il ritorno a casa come qualcosa di più vicino. Eha scattato ancora, si è messo in ascolto, ha raccoltoaltre testimonianze. La prima tappa del suo percorsodi ricerca è ora visibile fino al 30 settembre negli spazidell’Ex Gil di Roma: 59 fotografie, ritratti e paesaggidelle migrazioni: 33 stampate di dimensioni medie 28 x21 cm e 28 x 28 cm e 26 stampate di grandi dimensioni100 x 100 cm e 100 x 80 cm su carta ai sali d’argento.Di seguito riportiamo il testo che l’autore ha scritto perl’occasione.

Sono andato a fotografare i protagonisti della bonificadell’Agro Pontino nel 1994. Volevo entrare in contattocon queste persone al centro di un’impresa del Novecento,una sorta di strano West italiano. Quei piccoli viagginell’Agro Pontino e l’incontro con quelle persone, che,nate nell’Italia del Nord Est, avevano fatto il viaggio intreno a sud di Roma e poi erano state portate neglioltre tremila poderi della bonifica, mi erano rimasti dentro.Da molti anni la grande parete sopra il mio tavolo èallestita con dodici ritratti del ‘94, ed ero andato aritrovare alcuni degli uomini e delle donne che avevofotografato negli anni successivi. Ero e sono moltointeressato ai loro racconti e provo un interesseprofondo per quelle storie forti e autentiche. Ho sempremeditato di ritornare nell’Agro Pontino, e anche diandare nel Triveneto per incontrare quelli che, arrivatiper la bonifica, avevano preferito tornare indietro. L’hofatto solo nel 2007 e ho ritrovato tre dei fotografatinel ‘94: Libero e Bruno Stefani, e Santa Zago, mogliedi Bruno. Per Libero il tempo sembra non passare e trai miei vecchi fogli dei contatti ho ritrovato e stampatouna fotografia molto simile a quella appena realizzata;Bruno ha perso un occhio per un intervento sbagliatoa una cataratta. Abitano a Borgo Montello, nello stessopodere che era del padre sin dal 1933, e mi hanno

Due migrazioniMarco Delogu

© Marco Delogu - Pontina 2007

© Marco Delogu - Mar deep singh,Pontina 2007

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raccontato una storia che non conoscevo e che riguardagli ultimi arrivi per la bonifica: 67 nuovi poderi costruitialla fine degli anni ‘30 nel comune di Ardea per altret-tante famiglie di italiani rimpatriati dall’Ungheria, doveerano arrivati nei primi anni del Novecento dallaprovincia di Trento.Questa storia mi ha subito ricordato un altro incontro eracconto: quello dei fratelli Fantinati, che arrivarono aBorgo Vodice dalla Romania, dove famiglie di roviginiemigrarono nel 1870. Vecchi italiani. Narrano tuttistorie di duro lavoro, di guerra e di morte.

Dina Ada Facco arrivò con la famiglia nel 1931. Suopadre era un operaio che doveva costruire le primestrade per il centro dell’Aeronautica Militare, sua madrelavorava alla mensa; non erano coloni, erano operai, laprima migrazione di operai dal Nord per realizzare leinfrastrutture. Il padre capiva il tedesco e ciò li salvòquando li misero su un treno per i campi di concentra-mento. Capì la destinazione e riuscì a far saltare tuttala famiglia giù dal treno. Dina Ada fu mandata a Romae poi in nove giorni di cammino raggiunse Padova apiedi, scalza, passando sulla via ferroviaria. A fine guerraseppe della morte dei genitori e di tre fratelli saltati suuna mina mentre cercavano di raccogliere del fieno.Tornata a Borgo Grappa sposò Mariano Severin.

Armida Mattia ricorda l’infanzia a Mel nel bellunesequando veniva presa in braccio da Angelo Sbardellotto,un anarchico amico di famiglia che, dopo anni diemigrazione in Francia, il 4 giugno del 1932 venne trovatoin Piazza Venezia con due bombe a mano e una pistolae venne fatto fucilare pochi giorni dopo dal segretariopolitico del suo paese natale, il federale Pace; Armida,ancora bambina, incontrò nella piazza di Borgo Vodiceil duce, che le chiese: “bambina da dove vieni?”, e allarisposta “da Mel” notò un espressione di disappuntosul volto di Mussolini .

Oltre a queste migrazioni, la Pontina ha visto il primocampo profughi degli istriani dopo la Seconda GuerraMondiale, una migrazione di circa trecento uominidall’isola di Pantelleria negli anni ‘60, vari movimentidal Sud d’Italia e le ultime dall’Est Europa e soprattuttodall’India, con una prevalenza di sikh del Punjab chelavorano nelle serre sopportando le alte temperaturee il forte tasso d’umidità. Gli indiani sono quasi tuttilavoratori clandestini arrivati dopo viaggi lunghissimi eterribili, impossibilitati a tornare a casa. Sono parteintegrante dell’economia della zona, ma non vengonolegalmente riconosciuti.

© Marco DeloguBruno Stefani, Pontina 1994

© Marco DeloguBruno Stefani, Pontina 2007

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Sono ritornato per pochi giorni ma ho deciso di passarelì parte dei prossimi mesi, fare nuove fotografie masoprattutto raccogliere altre narrazioni. Le storie chescelgo mi interessano perché legate a qualcosa cheriguarda o ha riguardato la mia vita. Mio nonno paternoera agricoltore, mio padre era medico e ha studiato lamalaria. L’Agro Pontino, la campagna e l’agricoltura permoltissimi aspetti mi interessano e mi riguardano, cosìcome l’identità personale e di gruppo di persone chenon abitano nei loro luoghi d’origine.

Da più di dieci anni trascorro molto del mio tempo inMaremma. La mia famiglia è sarda e io sono la primagenerazione nata e cresciuta nel “continente”. Erainevitabile che mi appassionassi a un’altra migrazione:quella dei pastori sardi che a partire dagli anni ‘50arrivarono in Maremma lasciando l’isola per una terrache permetteva pascoli migliori, era collegata bene viamare, oltre a riprodurre, rara altra terra in Italia, quellabassissima densità di popolazione che contraddistinguela Sardegna. È una migrazione di qualche centinaio dipersone, forse poco più di un migliaio. Portano inMaremma gran parte della cultura sarda e quella grandeabilità nell’allevamento delle pecore. Molti sono nucleifamiliari ancora completamente sardi, rari i matrimonicon donne “maremmane”, e ancora molti i pastori chepassano la vita da soli.

Giovanni Marrone lavora in Maremma da molti anni, eabita solo in una piccola casa di ferro propagginedell’ovile; vive attaccato a una grande centrale elettrica,ma non ha né acqua né luce. Non va mai in paese, camminaavanti e indietro per i pascoli con i suoi cani e mungeall’alba e al tramonto. Una mia amica interessata afotografarlo è andata a trovarlo, e lui dopo poco le hachiesto: “Signorina possiamo fare amicizia?”

Antonio Cuguttu lavora da oltre cinquant’anni, gli ultimiquaranta in continente; torna raramente in Sardegna,dorme in un casale di fronte all’ovile e racconta di quandoandava con i “ragazzi” al night a Viterbo e ogni tantoquando alzavano troppo il gomito tornavano in“autoambulanza”. Ora non ci va più, e mi dice “odio laconfusione”. Raffaele Gungui è stato per otto anni afianco di Marcello Mastroianni: giravano insieme ilmondo e lui risolveva i problemi pratici. Da quasi vent’anniè ritornato a lavorare con le pecore, per lui, dice, è unascelta naturale. Giovanni Antonio Sola ricorda quandolui e suo fratello mungevano ancora a mano, il tempopassava lento, e si parlava in profondità della natura edel senso della vita. “Il branco è come la famiglia,dobbiamo saperlo allevare bene sennò tutto finisce.”

© Marco Delogu - Maremma 2007

© Marco Delogu - CaterinaScaggion, Pontina 2007

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Alla morte di suo fratello ha imparato a tosare senzalegare le pecore, come fanno i neozelandesi: “erorimasto solo, ho dovuto imparare.” Tutti e tre lavoranoinsieme in una terra che sconfina dentro il parcoarcheologico di Vulci. Sono nati in Sardegna ma sono inMaremma da tanto.

A distanza di anni le nuove generazioni raramentevogliono fare il mestiere dei padri: quest’ultimo fattore,insieme all’apertura delle frontiere con l’Est e allacosiddetta “crisi dei Balcani”, ha fatto nascere una nuovamigrazione di pastori, questa volta da est verso ovest,e ai pastori sardi sempre più spesso si affiancanorumeni, albanesi, macedoni, kosovari e montenegrini:uomini spesso soli o raramente accompagnati da moglie figli, ma che considerano questa una migrazionetemporanea, sperando di tornare in patria presto. Aipastori dell’Est si accompagna un’altra migrazionetemporanea, due o tre mesi l’anno nella primaverainoltrata: quella di giovani pastori australiani o neoze-landesi che vengono per la tosatura delle pecore, unaspecializzazione che velocizza i tempi dell’operazionee trasforma un vecchio rito in una strana giornataall’insegna di birra sarda e musica rock.

Chi èMarco Delogu è nato a Roma, dove vive e lavora, nel1960. La sua ricerca si concentra su ritratti di gruppi dipersone con esperienze o linguaggi in comune. Hapubblicato oltre venti libri e esposto in Italia e all’esteroin numerose gallerie e musei, tra i quali: Accademia diFrancia, Villa Medici, Roma; Galleria Comunale d’ArteModerna e Contemporanea, Roma; Palazzo delleEsposizioni, Roma; Warburg Institute, Londra; HenryMoore Foundation, Leeds; IRCAM - Centre GeorgePompidou, Parigi; Museé de l’Elysee, Losanna;PhotoMuseum, Mosca.

© Marco Delogu - Josh Taylor

© Marco Delogu - Maremma 2007

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RitrattiC’è una casa del ritratto, a Londra, in Inghilterra: laNational Portrait Gallery ospita infatti la più vastacollezione di ritratti al mondo che comprende ipersonaggi più illustri della Gran Bretagna, uomini edonne che hanno influito sulla storia mondiale dalMedio Evo fino a oggi, da Enrico VIII a FlorenceNightingale, dai Beatles alla regina Elisabetta: trepiani di esposizione, con più di 1300 opere.

La fotografia, arte contemporanea per eccellenza,ha molto spazio alla National Portrait Gallery, tracollezioni permanenti e un programma ricchissimodi esposizioni temporanee. Fino al 14 ottobre, peresempio, si può vedere In the Making: Fashion &Advertising. La mostra esamina le tecniche contem-poranee di creazione dell’immagine nella moda e nellapubblicità - il lungo e travagliato processo cheprecede il risultato finale, la brillantezza della fotofinita - attraverso il lavoro di cinque fotografi di spicco:Elaine Constantine, Warren Du Preez & Nick ThorntonJones, Alexi Lubomirski, Sølve Sundsbø and PaulWetherell. Dal lavorare con le celebrità alle tecnichedi composizione e l’uso della luce naturale e dellepiattaforme digitali, la mostra offre un colpo d’occhioaffascinante nelle pratiche dell’industria. Lo stile deifotografi è illustrato con esempi del loro lavoro, espostiinsieme a ritratti degli stessi fotografi eseguiti daImmo Klink. Accompagna la mostra un nuovo titolonella serie Rotovision’s World’s Top Photographers’Workshops che presenta il lavoro di dieci fotografiche offrono consigli, usando il portfolio dei fotografiper dibattere dell’estetica e delle tecniche dell’indu-stria. E perciò tecniche di stampa e post-produzione;internet; e, particolarmente significative, le tecnologiedigitali che, eliminando la necessità della pellicola,hanno prodotto cambiamenti significativi nel modoin cui la foto di moda e di pubblicità è commissionatae prodotta. Questa evoluzione, in iz iata conPhotoshop nei primi anni Novanta, continua, macontrariamente a quanto si crede comunemente, ilprocedimento analogico mantiene la sua importanzanella pratica commerciale e dell’editoria. La maggiorparte dei fotografi presenti in questa mostra e nellibro che l’accompagna, lavorano ancora con Polaroide pellicole, sebbene la postproduzione digitale siaora molto diffusa. Persino il fautore della luce naturale,Paul Wetherell, osserva che, sebbene il ritocco sullasua storia Self Service presente nella mostra e nellibro, sia stato minimo, è stato comunque necessario:“magari per spianare leggere rughe sul viso e sulcollo oggi, si usa il digitale. Le riviste se lo aspettanoe lo chiedono.” Una relazione personale con un

National Portrait GalleryLondra

Cate Blanchett by Alexi Lubomirski

Prince Charles e Diana, Princess ofWales by Patrick Lichfield, July 1981© Photo by Lichfield

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ritoccatore che capisce le preferenze estetiche di unfotografo è risultata essere una delle più importantidinamiche nella creazione di immagine editoriale.

C’è tempo fino al 21 ottobre per vedere invece DailyEncounters: Photographs from Fleet Street, unafinestra sugli archivi fotografici dei quotidiani che siaffacciano sulla mitica “strada del giornalismo”londinese. Fino al 25 novembre per vedereDevotional, sulle cantanti di colore della musicainglese, con nomi come (e perciò immagini su) ShirleyBassey, Joan Armatrading, Des’ree e Ms.Dynamite. Efino al 14 gennaio per vedere Diana, Princess ofWales (1961-1997), in occasione del decimoanniversario della sua tragica morte sotto il Pontedell’Alma a Parigi, una panoramica della sua vita dimoglie reale, madre, operatrice umanitaria e iconadi fascino internazionale.

Bloom (Polina Kouklina) by SolveSundsbo

Mica Paris by Derrick Santini ©National Portrait Gallery, London

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Ritratto riproduzione della realtà o interpretazionecreativa? Per Andrzej Dragan, giovane fotografopolacco, nonché fisico quantistico, “qualcuno dice cheun buon ritratto rivelerà sempre una verità sul modello.Sono costretto, purtroppo, a dirvi che chi la pensa inquesto modo non troverà alcunché di interessante nellamia fotografia. La mia fotografia non ha affatto questoscopo”. L’elaborazione informatica gli consente direinventare il ritratto che non appare più come sempliceriproduzione della realtà, ma diviene interpretazionecredibile, spesso metaforica. Ciò non significa stravol-gimento. Dragan non aggiunge cose nuove, ma esa-spera alcuni aspetti: il volto di uno stesso soggettoviene composto utilizzando i particolari di diversi scatti- gli occhi, la bocca, la fronte -, una cicatrice reale simoltiplica virtualmente su un corpo che si trasforma inquello martoriato di Cristo, le rugosità si accentuanoper esaltare la profondità dello sguardo. Le immaginisono insieme intense e sconcertanti, evocative eraccapriccianti. Allegoriche e macabre, come evoca iltitolo del lavoro di Dragan “Allegories &Macabresques”, a cura di Paola Bonini, in mostra nelloSpazio Luigi Salvioli di Milano dal 21 settembre al 21dicembre: venti immagini, realizzate fra il 2004 e il 2007,di personaggi noti come David Lynch, Mads Mikkelseno Jerzy Urban e sconosciuti incontrati per strada, neimanicomi o da amici e familiari, si alternano in una seriedi ritratti, frutto di un lungo processo di elaborazionedigitale che ne accentua i dettagli e ne enfatizza i colori.

Il catalogo, edito dall’associazione Oltre la moda,assieme alla riproduzione delle opere in mostra, raccogliealtre 10 immagini, gli interventi di Paola Bonini, Elisa-betta Longari, Roberto Battaglia e una conversazionecon Andrzej Dragan di Paola Bonini da cui sono estrattii passaggi seguenti.

“Innanzitutto artista visivo devo dire che a me non piacefotografare,” esordisce Dragan alla prima, genericadomanda sul suo lavoro. “Anzi, per dirla tutta è unacosa che detesto … Per qualche ragione ignota, chenon ho ancora scoperto, a volte però mi capita diincontrare qualcuno che ho davvero voglia di fotografare,perché trovo che abbia un volto interessante – maaccade di rado. All’inizio mi limitavo a chiedere a quellapersona – che magari avevo incontrato per strada –di concedermi uno scatto, dopo una breve conversa-zione: il tutto poteva durare anche pochissimi minuti.Con il tempo ho assunto un atteggiamento più scientificonella selezione delle persone che mi interessano, e orafaccio circa una fotografia al mese … Io faccio pochissimefoto, non sono sempre a caccia di scatti o persone, e lefaccio molto in fretta. Il lavoro comincia dopo. Trascorrouna gran quantità di tempo a lavorare sul materiale: mici vuole anche un mese per elaborare una foto – è

Ritratti

Allegories & MacabresquesAndrzej Dragan

© Andrzej Dragan, Jerzy Urban

© Andrzej Dragan, David Lynch

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successo di recente con il ritratto di Mads Mikkelsen,l’attore danese, che ho ritratto con un embrione di gatto.La maggior parte di questo tempo la passo a osservaree pensare, e magari dopo 5-6 ore riesco a deciderequale dei ritratti che ho fatto voglio usare e provo ainiziare a lavorarci. A questo punto inizia il processo dipost-produzione digitale: per certi versi è un metodoche si avvicina alla pittura, perché è come se usassi unpennello – solo che il mio pennello è digitale. Non aggiungocose nuove, mai, piuttosto aumento, esaspero certiaspetti dell’immagine: i contrasti, per esempio, o la visibilitàdi alcuni dettagli, come gli occhi o le rughe. Spesso cambiolo sfondo. Altre volte creo un montaggio di più fotografiedello stesso soggetto – magari di una mi interessa labocca, di un’altra gli occhi, e le uso per ricomporre ilvolto. È molto semplice: se vuoi raggiungere un certoeffetto, devi spendere molto tempo a lavorarci, e senon lo fai quando scatti, perché non vuoi che il modellosi stanchi, devi farlo dopo, da solo … Un ritratto è un’immaginedi qualcuno, nulla di più. Una cosa semplice. La gente siaspetta che un ritratto riveli qualcosa della persona edella sua storia. Non so se questo sia vero, se possaesserlo. in generale, ma se fosse vero sarebbe impos-sibile fare un ritratto di qualcuno che non si conosce:come potrebbe, infatti, dire qualcosa di una personaestranea? Al massimo potrebbe esprimere l’impressioneche ne ha il ritrattista, ma quell’impressione potrebbenon avere nulla, o poco, a che vedere con chi quell’individuoè davvero. Io non ci credo. E non credo nelle definizioni.Io faccio quel che faccio: se la gente lo vuole chiamareritratto, mi sta bene. Non mi preoccupo dei nomi … Unasola delle foto che ho fatto, per esempio, è assoluta-mente vera: è il ritratto di una ragazza anoressica, unamodella di diciotto anni, molto bella e alta, ma estre-mamente magra. Non sono quasi intervenuto, in postproduzione. Ho lasciato l’immagine così com’era. E questaè una delle foto cui le persone credono di meno. Noncredono all’unica verità che gli propongo; è interessantegiocarci, perché è tutto un equivoco. Un altro esempio:il ritratto del mio modello preferito rappresentato comeun Cristo. Ho avuto una conversazione illuminante conmia madre riguardo a quest’immagine. Lei ne è statarespinta, per ragioni religiose. Però io le ho chiesto:non ti piace, d’accordo, ma cosa ci vedi? E lei: vedoCristo. Ma non è Cristo, è qualcun altro. Non ha nemmenoun’aria buona. Ha gli occhi feroci. Non può essere unapersonificazione di Cristo. Non c’è nulla di vero in questolavoro. Se le ferite fossero vere, avrebbe l’aria di chisoffre, e non ce l’ha. È in silenzio, è pacifico, ha la suacorona di spine, falsa a sua volta. Tutto è un falso. Manel complesso risulta vera. Di vero, in mezzo a tute quellepiaghe, c’è una cosa sola, la cicatrice di un’operazione chel’uomo ha subito molti anni fa, ma bisogna guardarecon grande attenzione per distinguerla.Quest’interazione fra quel che è vero e quel che non loè avvincente ...

© Andrzej Dragan, Cold blood

© Andrzej Dragan, Allegory on theTruth

© Andrzej Dragan, Jan Riesenkampf

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Forma, Centro Internazionale di Fotografia di Milanoospita un’antologica di Mimmo Jodice “Perdersi aguardare. Trent’anni di fotografia in Italia” (dal 13settembre al 25 novembre) e - in prima mondiale - illavoro sull’ambiente della droga di Jessica Dimmock“Il nono piano” (dal 19 settembre al 21 ottobre) cheha vinto la prima edizione del Premio F (PremioInternazionale dedicato alla fotografia di documentazionesociale, istituito nel 2006 da Fabrica, Centro di ricercasulla comunicazione del Gruppo Benetton e Forma).

Il nono piano è un piano come un altro di un palazzoqualsiasi di Manhattan. Ma in questo caso è l’appar-tamento dove un gruppo di eroinomani si ritrova,compra e vende droga, dorme, litiga, fa l’amore, vive.Dietro la porta c’è un mondo sconcertante dovevigono altre regole e dove le emozioni e gli affettihanno eccessi e vuoti impensabili. In molti hannofotografato il dramma della droga, ma la forza e lavicinanza emotiva delle immagini di Jessica Dimmockcompongono un racconto nuovo di senso, intimo epartecipe. Per oltre due anni Jessica ha seguito le“storie” del nono piano e dei suoi protagonisti. Tuttoè iniziato incontrando Jim Diamond, uno spacciatoredi cocaina che la invita, come fotografa, a seguirlonella sua lunga notte fatta di incontri fugaci con iclienti, di cocaine-party, di hotel alla moda dove ititolari riforniscono di droga la propria clientela.Jessica per alcuni giorni diventa l’occhio-testimonedi Jim e lo segue, con la sua macchina fotografica,come un’ombra. Fino all’incontro con il fatidico nonopiano e le sue storie intrecciate. In questi due anniJessica Dimmock ha quasi convissuto con gli inquilinidel nono piano e ha potuto in questo modo stabilirerapporti intimi e penetrare nelle esistenze e soffe-renze altrui in maniera totale, realizzando unostraordinario e unico ritratto. La sua compassioneper le persone che ritrae le permette di essere unatestimone unica delle loro vite sconvolte, di captarneil loro intimo mondo. Jessica Dimmock, 28 anni, vivea New York. Si è diplomata all’I.C.P. in DocumentaryPhotography. Il suo lavoro è stato pubblicato suAperture, The New York Times Magazine e molte altretestate. Per questo lavoro ha ricevuto anche ilpremio Inge Morath di Magnum. La mostra è accompagnatadall’uscita del libro, edito da Contrasto, in doppiaedizione, italiana e inglese.

Autore italiano tra i più personali e trent’anni difotografie italiane per il secondo appuntamento diForma. Da Torino a Trieste, da Bolzano a Stromboli lamostra è un inedito viaggio visivo, un lungo e

Mostre

Forma, Centro Internazionale diFotografiaMimmo Jodice & Jessica Dimmock

© Jessica Dimmock

© Jessica Dimmock

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affascinante “Grand Tour” fotografico nel nostro paese,che raccoglie per la prima volta le immagini scattatedal grande autore in trent’anni di vita e di carriera.Durante i quali Mimmo Jodice non ha mai smesso diguardare, scoprire, meravigliarsi di bellezze e armonieinattese, di improvvisi squilibri e di magie dellavisione. Le 160 fotografie in mostra, tutte inbianco e nero e di grande formato, come tante tappeuniscono tra loro, per associazioni visive ed estetiche,foto celebri con altre inedite, vedute di una Napolinascosta e da scoprire con scorci inattesi di Roma edi Milano, del paesaggio in continua trasformazionee di piazze e vicoli, monumenti quasi sconosciuti eriscoperti ora con la macchina fotografica e lo sguardosempre straniato e nuovo di Jodice. Un viaggio travisione e realtà, tra un passato ancora così vivo eun presente problematico, che ci permette di conoscere(e riconoscere) la bellezza composita e varia delnostro paese e la grandezza interpretativa di MimmoJodice, uno dei più sensibili e originali interpreti dellafotografia italiana. La mostra è accompagnata da unvolume omonimo edito da Contrasto con testi diFrancine Prose, Roberta Valtorta e Alessandra Mauro.

“Vorrei citare Fernando Pessoa: ma cosa stavopensando prima di perdermi a guardare? Questa frasesembra scritta per me e descrive bene il mio atteg-giamento ricorrente: perdermi a guardare, immagi-nare, inseguire visioni fuori dalla realtà” (MimmoJodice)

“Le immagini di Perdersi a guardare ci consentono divedere l’Italia com’è realmente, come esiste e persistenei nostri sogni, con uno sguardo unico e completa-mente nuovo. Dopo aver visto queste opere mera-vigliose, non si potrà più incontrare il paesaggioitaliano senza rendersi conto che un paese che sipresume di conoscere possiede un’identità nascosta– e che l’Italia, in fondo, è una serie di fotografie diMimmo Jodice” (dal testo di Francine Prose).

Perdersi a guardare raccoglie una serie di fotografiededicate all’Italia. Immagini uniche, visioni personali, cheMimmo Jodice ha raccolto in trenta anni di vita e di lavoro.Immagine dopo immagine, visione dopo visione. Perchéin tutto questo tempo, Jodice ha fotografato a lungol’Italia. E l’ha fotografata tutta, dalla punta della Siciliaalla cima delle Alpi, grandi città come campagne epiccoli paesi, angoli dimenticati e monumenti celebri,fabbriche dismesse e piazze cittadine. E lo ha fatto perprofessione e mestiere, certamente, ma anche per unincessante bisogno di guardare e di trovare ogni volta,

© Mimmo Jodice - Stromboli, 1999

© Mimmo Jodice - Sibari, 2000

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la ragione del suo essere artista e interprete di unterritorio, di tracce umane, di natura, di storia antica, diun presente complesso e contraddittorio. Come se,prendendo la macchina fotografica, fosse statonecessario per lui trovare il giusto punto di osser-vazione e l’indispensabile sintonia - sempre diversa- per registrare e interpretare le forme dell’incertoequilibrio tra spazio e uomo. Questo continuoesercizio del guardare, libero di perdersi nell’orizzontema anche nei meandri della memoria, nutre la tramadei suoi viaggi visivi che in tanti itinerari a volteeccentrici, costruiscono il ritratto multiforme diun’Italia che diventa subito territorio universale …Abbiamo scelto proprio la chiave del sogno persistemare, una dopo l’altra, le visioni d’Italia di MimmoJodice. Sei divers i percorsi propongono, conindispensabile arbitrarietà, sequenze di immagini,scorci e paesaggi, uniti da un continuo gioco dirimandi, di particolari che si inanellano l’uno dopol’altro creando nuovi tracciati. I percorsi non sonogeografici ma sono quelli della mente, dello sguardo,della memoria, delle libere associazioni che, graziea un dettaglio, ci portano da Napoli alla via Emilia, epoi a Biella e poi a Napoli di nuovo. Oppure da Torinoa Rimini, poi a Milano e poi, inevitabilmente, ancoraa Napoli. Ognuno di questi sei “sogni di sogni”,comincia con un’apertura: una porta che ci immettedirettamente nel flusso onirico e visivo di questa Italiabella e fragile, e nei resti di un passato che è qui,forma e sostanza del nostro presente. Il sogno èdiventato allora la metafora, il pretesto e la guidaper sistemare le immagini preservando tuttavia, perognuna, la grandezza e la magia visiva che questaracchiude. Perché è la capacità visionaria, alta elirica, a rendere unico il percorso artistico di Jodice inquesti anni - limpido e cristallino come altri mai. Ilsuo forte valore di testimonianza, di interpretazionedi un passato vivo, di continuo interrogarsi su unpresente complesso e un futuro che non può nontenere conto della necessità urgente, anzi viscerale,di un gesto artistico per affermare la propriaesistenza (dal testo di Alessandra Mauro).

© Mimmo Jodice - Pompei, 1982

© Mimmo Jodice - Stromboli, 1999

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I custodi dei fratelliQuando il fotogiornalismo è vissuto come un doveremorale e i fotografi denunciano i diritti violati. “Icustodi dei fratelli”, pubblicato da Contrasto (17 x24 cm, 320 pagine, 200 foto a colori e b/n, prezzo 45euro) a cura di Alessandra Mauro, presenta il lavorodi alcuni tra i più importanti protagonisti dellafotografia di documentazione: Bob Adelman, GianniBerengo Gardin, Carla Cerati, Luciano D’Alessandro,Lucinda Devlin, Donna Ferrato, Marc Garanger, LewisW. Hine, Ulrik Jantzen, Philip Jones Griffith, IgorKost in, Josef Koudelka, L i Zhensheng, PeterMagubane, Juan Medina, Gilles Peress, Raghu Rai,Jacob Riis, Sebastião Salgado, David Seymour,Eugene Smith, Tom Stoddart. «Le storie raccolte nelvolume mostrano, ognuna a suo modo, l’impegno ela volontà degli autori di portare alla luce e raccon-tare la violazione di alcuni fondamentali diritti umani.Questi fotografi, scelti in un arco di tempo che vadall’inizio del Novecento ai nostri giorni, hanno decisodi puntare la loro macchina fotografica su una seriedi storie nascoste con l’ intenzione cosciente dir eal izzare un’opera di denuncia e dicontroinformazione. Ogni immagine di sofferenzanon dice solo “è così” ma anche implicitamente “nondeve essere così”. Ogni immagine di sofferenza nondice solo “questo continua” ma anche implicitamente“questo deve finire”. Ogni testimonianza di barbarie,mostrandoci quello che la civiltà non è – mostrandociche cosa succede quando permettiamo al mondo diessere “distrutto” – ci ricorda il significato della parolaciviltà. È questa la dialettica intrinseca alla fotogra-fia» (Susie Linfield).

Il lato nascosto dei talebaniSlate ha pubblicato un video di 7 minuti (http://www.slatev.com/player.html?id=1151557602) in cuimostra alcune foto sconcertanti raccolte dal fotografotedesco Thomas Dworzak, membro dell’agenziaMagnum, durante il suo soggiorno in Afghanistan del2002, che ritraggono gli studenti fondamentalistitalebani in atteggiamenti curiosi e pose effeminate.Il commento (in inglese) è dello stesso Dworzak e diAhmed Rashid, pakistano, corrispondente di “FarEastern Economic Review” e “Daily Telegraph” perl’Asia Centrale, che segue i conflitti in Afghanistandall’invasione sovietica del 1979 ed è stato perlungo tempo l’unico giornalista accreditato nell’area,autore del libro Talebani, il testo più importante ecompleto apparso in Occidente sui problemi che

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Libri: I custodi dei fratelliTalebaniVedute posteriori

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rimangono sullo sfondo dell’attuale crisi mondiale.

Ocultos, Fundación Canal MadridIl 2 ottobre la sala di esposizioni della FundaciónCanal di Madrid ospita la collettiva fotografica“Ocultos”. Settanta ritratti, realizzati da prestigiosifotografi, dal principio del secolo scorso a oggi (tragli altri, Capa, Cartier- Bresson, Mapplethorpe, ManRay, Lucien Clergue, Ramón Masats, Isabel Muñoz),che mostrano le possibilità artistiche multiple delcorpo umano visto da dietro: immagini emblematichedi sederi, catturate con diversi stili e diversi intenti:umoristico, di costume, documentario, intimista, ero-tico. Una singolare panoramica con protagonista ilculo, qui motivo di culto visivo.

El carrer. De la serie La calle, 1959.Fundación Forvm, Tarragona© Joan Colom

Aguadulce, 1980 © Pérez Siquier