SF 14 Il welfare state - socialcapitalgateway.org · a favore della crescita economica”(come...

47
Il welfare state

Transcript of SF 14 Il welfare state - socialcapitalgateway.org · a favore della crescita economica”(come...

Il welfare state

Un approccio più pragmatico all’intervento pubblico

• Normalmente, i libri di testo scritti negli ultimi due decenni discutono il tema dell’intervento dello stato nell’economia in un contesto teorico neoclassico. Qui l’economia, di per sé, tende a raggiungere nel lungo periodo un equilibrio ottimale, nel quale tutte le risorse sono pienamente impiegate. Non c’è disoccupazione e tutto il risparmio viene “convertito” in investimenti delle imprese grazie ai mercati finanziari.

• La motivazione più comune dell’intervento pubblico è costituita, come abbiamo visto nelle prime lezioni, dai “fallimenti del mercato”, cioè dai casi in cui il mercato, per sua natura o nel caso in cui ricorrano circostanze “eccezionali” (#), non è in grado di produrre da sé il raggiungimento di una situazione ottimale.

• L’implicazione di politica economica è che il ruolo dello stato debba essere molto circoscritto e volto esclusivamente a garantire il buon funzionamento delle istituzioni del mercato, con qualche intervento eccezionale in caso di fallimenti di queste ultime.

La matrice “occidentale” della teoria neoclassica

• Tale impostazione teorica non è soltanto la naturale evoluzione di un libero pensiero scientifico che si è sviluppato a partire dalla fine del settecento. Piuttosto, è dettata dalla storia recente. Nel senso che la teoria economica – e le sue prescrizioni di politica economica – sono fortemente influenzate dalla situazione politica.

• All’inizio degli anni ottanta, periodo in cui l’ortodossia neoclassica ha assunto in modo saldo e definitivo una posizione dominante nel pensiero economico (diventandone l’ortodossia), gli economisti avevano a che fare con un contesto storico assai diverso da quello di oggi. Il blocco comunista sembrava ancora lungi dal disgregarsi –e comunque vi era incertezza sulla direzione di una eventuale transizione istituzionale ed economica – e la Cina non poteva nemmeno considerarsi un’economia di mercato.

• Ogni ragionamento di teoria e politica economica faceva implicito riferimento al “mondo occidentale”.

La matrice “occidentale” della teoria neoclassica

• L’idea che lo stato debba intervenire nell’economia esclusivamente nel caso in cui il mercato non riesca a funzionare in modo ottimale ha senso solo nel contesto di un sistema estremamente liberista, con poche regole e un settore pubblico limitato. In un certo senso, si può affermare che la teoria neoclassica sia “dedicata a una parte del mondo occidentale”.

• In tale contesto, i regimi comunisti sono considerati l’esempio più estremo (e perverso) di intervento pubblico nell’economia, e secondo alcuni rappresentano il pericolo più grave cui si può andare incontro in caso di ampliamento del ruolo dello stato nell’economia.

La matrice “occidentale” della teoria neoclassica

La fotografia satellitare notturna delle due Coree riportata sul manuale di Economia della Crescita di Weil, in apertura del capitolo dedicato allo stato, vuole suonare come un monito: un intervento pubblico eccessivo può portare a sottosviluppo e miseria.

Fonte: Weil, D. N. (2004). Economic Growth. Pearson-Addison Wesley. Trad it. Weil D. N. (2005). Crescita economica. Milano: Hoepli. La figura si trova a p. 329.

E nel resto del mondo (o meglio: nel mondo reale)?

• Dal punto di vista di un paese socialista, o anche fortemente statalista come molte dittature, tale approccio teorico non ha senso, perché descrive come punto di partenza (su cui innestare un eventuale intervento pubblico) una situazione esattamente opposta a quella corrente.

• Oggi, la Cina è la principale economia di mercato del mondo, e si sta avvicinando a un’impostazione di politica economica via via sempre piùliberista partendo dalla forma più estrema di statalismo. In un certo senso, l’impostazione iniziale è stata quella di colmare alcuni fallimenti dello stato con gli interventi del mercato.

• Nel resto del mondo, il ruolo dello stato nell’economia si sta rafforzando ovunque, a partire dagli Stati Uniti di Bush (es. nazionalizzazioni e salvataggi di imprese e banche) e di Obama (salvataggi di banche, acquisto di titoli tossici da parte dello stato, istituzione di un servizio sanitario pubblico), indipendentemente dal colore politico dei governi.

• La crisi degli ultimi anni ha ulteriormente rafforzato le esigenze di intervento dello stato in termini di riduzione delle disuguaglianze, fornitura di beni e servizi, regolazione e controllo dell’attività delle imprese private, soprattutto nei mercati finanziari.

E nel resto del mondo (o meglio: nel mondo reale)?

• Inoltre, in Europa occidentale, il ruolo dello stato è storicamente e strutturalmente forte, e ha preso (anche) la forma delle istituzioni del welfare state.

• Dopo un periodo di crisi e di parziale smantellamento, lo stato sociale sta tornando oggi di moda, sia per considerazioni di ordine morale (equità, eguaglianza, solidarietà), sia per tamponare gli effetti della recessione, sia perché è sempre piùdiffusa la convinzione che la coesione sociale migliori la competitività di sistema.

• In un tale contesto, non sembra molto sensato un approccio allo studio dell’intervento pubblico basato sui fallimenti del mercato oppure tanto fortemente influnzato dalle categorie interpretative neoclassiche, secondo il quale, in generale, “lo stato non opera a favore della crescita economica” (come recita il titolo del penultimo paragrafo del capitolo che Weil dedica allo stato).

Di fronte all’affermazione di Weil, viene da chiedersi: perché la Cina, che teoricamente non è nemmeno un’economia di mercato sta registrando una crescita strepitosa da due decenni?

Fonte: International Energy Agency.

Il welfare state

• Il welfare state viene generalmente identificato con l’insieme delle spese destinate alla previdenza, alla sanità, agli ammortizzatori sociali, all’assistenza, all’istruzione e alle politiche per la casa.

• I sistemi europei di protezione sociale presentano caratteristiche diverse, che riflettono i legami esistenti tra le modalità di sviluppo degli istituti e le esperienze storiche, politiche ed economiche dei singoli paesi.

• I vari sistemi differiscono tra loro principalmente rispetto a:

1. dimensione e alla composizione della spesa pubblica;2. aspetti istituzionali3. tipi di prestazioni erogate4. meccanismi di finanziamento previsti.

Il welfare state

• Quindi, le politiche sociali possono essere classificate sulla base:1. degli strumenti utilizzati (trasferimenti in denaro o erogazione di servizi);2. delle regole di accesso (con accertamento, o meno, delle condizioni di bisogno);3. delle modalità di finanziamento adottate (attraverso la fiscalità generale o tramite contributi sociali) 4. e degli assetti organizzativo-gestionali.

Il welfare state

• La letteratura distingue 4 modelli di welfare:

1) Modello socialdemocratico (o scandinavo)

2) Modello liberale (o anglosassone)

3) Modello corporativo (o continentale)

4) Modello mediterraneo.

Modello socialdemocratico o scandinavo

• Caratterizza i paesi scandinavi (Finlandia, Danimarca, Svezia e Norvegia) e l’Olanda (il cui sistema di welfare ha però delle specificità assimilabili anche al modello continentale). Presenta i livelli più alti di spesa per la protezione sociale (circa 1/3 del PIL).

• La protezione sociale (contro i rischi della vita, come la vecchiaia, la malattia, gli incidenti, le situazioni di disagio) èconsiderata un diritto di cittadinanza, di cui tutti devono godere allo stesso modo.

• Le prestazioni pertanto hanno una copertura universale, e consistono in benefici in somma fissa, erogati automaticamente al verificarsi dei vari rischi.

• In aggiunta, i lavoratori occupati ricevono prestazioni integrative, tramite schemi professionali obbligatorialtamente inclusivi.

• La principale forma di finanziamento è il gettito fiscale, sebbene, a partire dalla metà degli anni ’90, sia stato esteso il ruolo dei contributi sociali obbligatori.

Modello liberale o anglosassone

• Riguarda Irlanda e Regno Unito.• Ha come obiettivo prioritario la riduzione della diffusione

delle povertà estreme e dei fenomeni di emarginazione sociale.

• È caratterizzato da rilevanti programmi di assistenza sociale e di sussidi, la cui erogazione è tuttavia subordinata alla verifica delle condizioni di bisogno (means testing).

• Un ruolo importante è svolto dalle politiche attive del lavoro e da schemi che condizionano l’accesso ai benefici al possesso di un’occupazione regolare.

• Le modalità di finanziamento sono miste: mentre la sanità è interamente fiscalizzata, le prestazioni in denaro sono generalmente finanziate tramite i contributi sociali.

Modello corporativo o continentale

• Comprende i paesi dell’Europa continentale: Austria, Belgio, Francia, Germania e Lussemburgo.

• Risente ancora dell’originaria ispirazione bismarckiana, che prevede uno stretto collegamento tra le prestazioni sociali e la posizione lavorativa degli individui, ed ècentrato sulla protezione dei lavoratori e delle loro famiglie dai rischi di invalidità, malattia, disoccupazione e vecchiaia.

• I programmi sono molto frammentati e diversificati per categorie, spesso più generosi verso i dipendenti pubblici.

• Il finanziamento avviene prevalentemente tramite contributi sociali, distinti per i vari istituti di spesa.

Modello mediterraneo

• Riguarda Grecia, Italia, Portogallo e Spagna.• Comprende sistemi sociali di introduzione relativamente recente,

caratterizzati da livelli più bassi di spesa (circa 1/4 del PIL).• Può essere considerato come una variante di quello

continentale-corporativo, dato che presenta sistemi di garanzia del reddito di impronta bismarckiana, altamente frammentati per categorie occupazionali, in cui è ancora più accentuato il ruolo di ammortizzatore sociale assegnato alla famiglia.

• A differenza dei sistemi dell’Europa continentale, tuttavia, nei paesi mediterranei manca un’articolata rete di protezione minima di base, sebbene, di recente, alcuni paesi abbiano cercato di porre rimedio a questa anomalia, attraverso l’introduzione di schemi di reddito garantito (in Spagna, Portogallo e, a livello sperimentale, in Italia).

• Continuano ad essere poco sviluppati anche i programmi di assistenza sociale e le politiche attive del mercato del lavoro.

La crisi del welfare

• A partire dalla fine degli anni ’80, i sistemi di welfare europei sono stati oggetto di critiche. È stata sempre più evidente la necessità di riforme, per:- ridefinire gli ambiti di applicazione degli schemi di protezione;- garantirne la sostenibilità finanziaria di lungo periodo.

• Si è diffusa l’opinione secondo cui il welfare state, a causa degli effetti disincentivanti dei suoi istituti e del prelievo fiscale necessario al suo finanziamento, sia da ritenere uno dei principali responsabili della insoddisfacente crescita economica, rispetto alla corrispondente performance statunitense e dei paesi emergenti.

• In effetti, negli ultimi anni gli stati sociali europei sono stati soggetti a pressioni che hanno determinato:

a) scollamento tra i nuovi bisogni/rischi che richiedono protezione e le tutele garantite dai programmi esistenti.b) Lievitazione dei costi.

Riepilogo

• Un approccio meno dogmatico: poiché lo stato riveste ovunque un ruolo fondamentale, forse èanacronistico chiedersi se e in quali particolari circostanze quando sia opportuno contaminare l’economia con qualche forma di intervento pubblico.

• I “casi” dell’Europa occidentale e della Cina.• Lo stato sociale in Europa.• I fattori di crisi dello stato sociale (che hanno

alimentato l’idea che l’intervento pubblico danneggi la crescita).

Crisi e prospettive del

welfare

Obiettivo della lezione

• Analizzare i fattori di crisi del welfare in Europa occidentale.Tali elementi di debolezza portano politici ed economisti liberisti a sostenere che il welfare danneggia la competitività – e quindi nel lungo periodo crescita e sviluppo – e andrebbe perciò ridimensionato.

• Descrizione delle tendenze in corso, dall’andamento della spesa sociale ai nuovi programmi di riforma del welfare.

• Introduzione delle ragioni per cui il welfare potrebbe rafforzare la competitività dei sistemi economici, anziché indebolirla. La considerazione di tali elementi di forza consente di effettuare una valutazione più obiettiva del ruolo del welfare, che deve essere considerato anche un fattore di sviluppo.

• Il funzionamento del welfare come fattore di sviluppo richiede però l’attuazione di riforme a volte radicali e impopolari.

I fattori di crisi del welfare

Cambiamento del contesto

Invecchiamento demografico

Vincoli esogeni

Trappole interne

(Ir)responsabilitàdella politica

Ruolo della famiglia

Partecipazione femminile

Vincoli di bilancio

Globalizzazione

Istituzionalizzazione della soglia di età pensionisticaIstituzionalizzazione della soglia di età pensionistica

Trappole della competenza

Rilassamento della logica attuariale

Scivolamento distributivo

Fattori di crisi

Aumento del lavoro atipico

L’invecchiamento demografico nel mondo

Ancora non abbiamo raggiunto il massimo!Fonte: UN, World Population Ageing 1950-2050

L’invecchiamento demografico nel mondo

Fonte: UN, World Population Ageing 1950-2050

L’invecchiamento demografico nella UE

Fonte: Eurostat

Le conseguenze dell’invecchiamento demografico

Maggiori domande di prestazioni in campo pensionistico, sanitario e dei servizi sociali.

Conseguenti maggiori oneri finanziari.

Concentrazione di tali oneri su una quantitàdi lavoratori attivi costante o in diminuzione.

L’invecchiamento demografico ha posto almeno 3 problemi fondamentali:

Concentrazione di tali oneri su una quantitàdi lavoratori attivi costante o in diminuzione.

Sanità: la % di servizi consumata dagli anziani è 2-3 volte superiore alla loro % rispetto alla popolazione, a causa di:

Maggior tasso di morbilità

Maggiore incidenza di patologie croniche.

Pensioni: se il sistema è a ripartizione, si va verso l’insostenibilità finanziaria.

Il ruolo della famiglia

• La famiglia europea è diventata un istituto meno stabile e protettivo che nel passato, come è attestato in tutti i paesi dalla crescita di divorzi e separazioni, famiglie monogenitoriali, nuclei familiari con un solo componente (spesso anziano), diffusione di fenomeni di isolamento ed emarginazione.

• Tale tendenza è più accentuata nell’Europa settentrionale, mentre al sud le reti familiari continuano a svolgere le proprietradizionali funzioni di ammortizzatori sociali.

• Per inciso, come vedremo meglio nel seguito del corso, lo svolgimento di tale ruolo non è privo di effetti collaterali e si accompagna, nel mezzogiorno italiano, al fenomeno del familismo amorale.

• Uno dei problemi è che gli attuali istituti di protezione e di tassazione sono stati concepiti avendo come punto di riferimento la famiglia nucleare di tipo tradizionale.

La partecipazione femminile al mercato del lavoro

Tasso di occupazione femminile in alcuni paesi europei. Nei paesi scandinavi la situazione èquasi invariata. Nei paesi mediterranei si è verificato un grande balzo in avanti. Fonte: Eurostat

La partecipazione femminile al mercato del lavoro

Tasso di occupazione femminile. Nonostante il miglioramento, l’Italia è ancora molto indietro rispetto al resto d’Europa Fonte: Eurostat

Il ruolo della famiglia

• Negli ultimi 30 anni, nei paesi scandinavi i tassi di partecipazione maschile e femminile hanno registrato un allineamento.

• Nei paesi cattolici (Italia, Irlanda e Spagna) l’aumento dell’occupazione femminile è stato più lento, ma comunque significativo.

• Il fenomeno ha originato un’ampia gamma di nuovi bisogni sociali, soprattutto di strumenti capaci di conciliare esigenze e responsabilità attinenti alla sfera lavorativa e quella familiare.

• In particolare, sono emerse necessità di:

- sostegno collettivo alla famiglia;- revisione degli istituti che penalizzano le donne che sono costrette a interrompere la propria attività professionale per assolvere a responsabilità di cura.

Aumento del lavoro atipico

Fonte: EurostatL’Italia è il paese in cui si è verificato l’aumento più netto, anche perché la precarizzazione dei rapporti di lavoro è iniziata più tardi, solo negli anni novanta.

Aumento del lavoro atipico

• L’occupazione fordista (i posti di lavoro stabili e garantiti, con contratti a tempo indeterminato) ha subito un declino costante negli ultimi 25 anni, solo in parte compensato dalla creazione di forme di occupazioni “casuali” o “non convenzionali” (lavoro a tempo parziale, temporaneo o interinale, atipico).

• La disoccupazione ha registrato un’impennata, soprattutto tra alcune categorie, come i giovani e gli ultracinquantenni.

• Ne è derivato:- aumento della domanda di prestazioni tradizionali di sostegno del reddito da parte dello stato sociale.- Necessità di definire corredi minimi di tutela per le nuove forme di occupazione flessibile.- Esigenza di sostenere e accrescere l’occupabilità dei disoccupati.

L’obsolescenza del welfare

• A fronte di questo nuovo insieme di bisogni e di domande sociali, l’impalcatura dei tradizionali sistemi di welfare mostra oggi chiari sintomi di obsolescenza.

• Un tipico esempio è quello degli schemi di tutela contro la disoccupazione:- Nella maggior parte dei paesi, tali schemi si sono limitati a sussidiare le persone affinché non lavorassero, fornendo indennità, integrazioni salariali o prepensionamenti.- Il finanziamento di tali forme di compensazione proviene dalle retribuzioni dei lavoratori occupati (mediante i contributi sociali), e mantiene alto il costo del lavoro.- Gli elevati oneri sociali disincentivano la creazione di nuovi posti regolari (anche al di là del loro declino fisiologico) da parte delle imprese. La disponibilità di sussidi incoraggia i comportamenti opportunistici da parte dei lavoratori meno corretti.- Si innesca un circolo vizioso.

I vincoli di bilancio

• Le dinamiche espansive del welfare sono state la causa principale degli squilibri di finanza pubblica registrati in alcuni paesi a partire dagli anni 70.

• Il Patto di stabilità e crescita obbliga al contenimento del deficit e del debito, e l’aumento del prelievo fiscale è precluso sia dagli effetti negativi che potrebbe avere su competitività e occupazione, sia da problemi di consenso elettorale.

• Pertanto, una ristrutturazione del welfare deve produrre una spesa (relativa) invariata o quasi.

• La strategia obbligata per rispondere ai nuovi bisogni e alle nuove domande è allora quella di ristrutturazioni interne che spostino risorse dai vecchi ai nuovi rischi e dai gruppi sovraprotetti a quelli sottoprotetti.

• Tale vincolo ha conseguenze serie sul piano politico e sociale, perché impone scelte:- esplicitamente redistributive (tolgo ad A per dare a B).- sottrattive (tolgo ad A per il bene di tutta la collettività).

Globalizzazione

• La globalizzazione costituisce un vincolo alla ristrutturazione del welfare nella misura in cui rende svantaggiose alcune modalità di organizzazione e di finanziamento della protezione sociale.

• Tuttavia va sottolineato che ci sono aspetti del “modello sociale europeo” che ostacolano la competitività, e altri che la favoriscono.

• Nei confronti internazionali si omette spesso la quota di spesa sociale non pubblica che grava sulle retribuzioni e dunque incide sulla competitività. Per esempio: negli USA le assicurazioni sanitarie private sono finanziate in larga parte dalle imprese, che se ne lamentano.

• Nel modello asiatico, cresce la domanda di protezione sociale pubblica, sia grazie all’emergere di una sempre piùvasta coscienza sociale sia in seguito all’evidenza di alcuni fallimenti del mercato. Secondo alcuni autori, l’estremo oriente dovrebbe dotarsi di un sistema di welfare come il nostro.

Le trappole interne

• La teoria neoistituzionale respinge la tradizionale posizione funzionalista secondo cui le istituzioni tendono a conformarsi ai propri ambienti, implicitamente coerente con i dettami della teoria neoclassica.

• Come dimostra la ricerca empirica, il rapporto tra istituzioni e ambienti manifesta dinamiche imprecise, discontinue e sub-ottimali.

• Tali dinamiche hanno a che fare anche con la logica “interna” al funzionamento delle istituzioni in quanto tali.

Il ciclo di istituzionalizzazione

1) Nel loro momento genetico, le istituzioni costituiscono di norma un tentativo di dare risposta a problemi ambientali, la cui soluzione richiede interazioni e scelte collettive. In questa fase, la corrispondenza delle istituzioni con il contesto è al suo massimo.

2) In una seconda fase, regole e routine assumono progressivamente valore normativo autonomo e autoreferenziale.

3) Quindi, si verifica una spersonalizzazione delle regole, che diventano indipendenti dalla discrezionalità dei membri dell’istituzione e si trasformano in fattispecie astratte. Al momento del ricambio, i nuovi membri delle istituzioni e i cittadini che ne sono interessati ereditano le regole dal periodo precedente come un dato di fatto scontato.

Dinamiche endogene dell’istituzionalizzazione (North, 1990)

Durante il processo, si verificano 3 dinamiche endogene:1) La validazione autoreferenziale fa si che la pratica sociale

che si istituzionalizza perda il suo carattere strumentale e diventi un valore in sé, la cui efficienza come strumento di soluzione dei problemi non è più messa in discussione.

2) Le pratiche istituzionalizzate diventano vittima di:- trappole della competenza: le istituzioni tendono ad affrontare ogni problema, anche quelli nuovi, con i vecchi mezzi, col risultato di dilatare all’infinito la propria sfera di competenza.- trappole dell’insuccesso.

3) Si producono effetti di chiusura: se un’istituzione presiede all’allocazione di risorse materiali, i suoi membri (e anche gli utenti) maturano interesse al mantenimento delle prerogative e promesse istituzionali � si ha un consolidamento organizzativo e un’espansione dell’organizzazione stessa.

Il rilassamento attuariale

• Nel caso del welfare, il mutamento istituzionale èsfociato (anche) in un rilassamento delle fondamenta attuariali, che garantivano una qualche corrispondenza “matematica” tra il flusso dei contributi e il flusso delle prestazioni.

• Negli anni 70, la protezione sociale ha perso la propria originaria natura di meccanismo redistributivo fondato su di un legame diretto (anche se implicito) fra oneri contributivi (degli assicurati e dei loro datori di lavoro) e spettanze di prestazioni maturate.

Ciclo di istituzionalizzazione: l’esempio delle pensioni

• All’inizio del secolo scorso, vivere oltre i 70 anni era davvero un rischio per la maggioranza della popolazione:- molti morivano prima.- I pochi che sopravvivevano avevano molte probabilità di cadere in uno stato di bisogno.

• Un maschio di 20 anni aveva un’aspettativa media di vita di 62 anni (68 per i quarantenni).

• Quando fu introdotta la pensione pubblica, l’età di accesso venne fissata a 65 anni (Italia, 1919; Francia, 1910) o 70 anni (Regno Unito, 1908, Germania, 1889).

• Rimanere vivi dopo questa età e fruire della pensione era un evento fortemente aleatorio e strettamente connesso a condizioni di bisogno.

Ciclo di istituzionalizzazione: l’esempio delle pensioni

• Una volta formalizzata in disposizioni di legge, questa nozione di vecchiaia ha tuttavia acquisito il carattere di norma sociale autosufficiente, trasformandosi in un dato per l’organizzazione della vita individuale.

• A fronte di una vita più lunga e più sana, la norma non si è adattata all’ambiente, ma al contrario ha indotto quest’ultimo ad adattarsi.

• L’istituzionalizzazione della soglia di età ha provocato un progressivo spiazzamento funzionale dei sistemi previdenziali: dall’iniziale tutela di uno specifico rischio di miseria economica e umiliante dipendenza personale, si è passati al sovvenzionamento di lungo periodo di inattività, non necessariamente indigente.

• Anziché adeguare verso l’alto l’età pensionistica, molti paesi negli anni 60 l’hanno abbassata.

• Il ritiro dal lavoro a fini di riposo e vacanza si è affermato come pratica di massa nelle società europee.

• Ferrera (1998): l’idea che 20-30 di pensione-vacanza sussidiata dallo stato potessero essere economicamente insostenibili è stata ignorata perché controcorrente.

Ciclo di istituzionalizzazione: l’esempio delle pensioni

• Le pensioni sono il miglior esempio anche del rilassamento attuariale. Con l’adozione del finanziamento a ripartizione (in cui i versamenti della generazione contribuente non vengono accantonati, ma immediatamente utilizzati per pagare le prestazioni alla generazione ricevente), in un certo numero di paesi intere coorti di anziani furono ammesse quasi gratuitamente alla fruizione dei benefici: cominciarono cioè a ricevere trattamenti, anche se modesti, poco dopo l’istituzione dei nuovi schemi, a fronte di periodi di contribuzione molto brevi.

• Per esempio, tra i 50 e i 60, in Italia l’assicurazione pensionistica venne estesa istantaneamente a coltivatori, artigiani e commercianti che non avevano mai pagato i contributi.

Pressioni contraddittorie sul welfare

• La globalizzazione, con l’aumento di povertà e disuguaglianze che la accompagnano, determina un aumento della domanda di protezione sociale.

• I fattori di crisi del welfare sono tra i principali argomenti di chi nel dibattito scientifico e politico ne auspica un ridimensionamento.

• In particolare, si fa leva sul tema della globalizzazione e sulla necessità di preservare la competitività di sistema rispetto alle economie emergenti, che praticano dumping sociale e ambientale.

• In pratica, si suggerisce di partecipare a una “gara al ribasso” dei sistemi di welfare, adeguando i nostri sistemi di protezione sociale agli standard statunitensi (per non dire asiatici).

Pressioni contraddittorie sul welfare

• Tale approccio di politica economica è fondato per quanto riguarda la necessità di ristrutturare lo stato sociale, per renderlo più efficiente e perseguire i propri obiettivi. Tuttavia non tiene conto di due fattori:A) Il sistema statunitense, largamente basato su attori privati, è in crisi, e ha portato all’esplosione della domanda di protezione sociale.B) Mancano verifiche empiriche della relazione negativa tra welfare e crescita!B) Un welfare efficiente costituisce un fattore di miglioramento della competitività di sistema. Garantisce infatti una serie di benefici che costituiscono dei fattori di competitività e di sviluppo per l’intero sistema economico e sociale.

Il welfare come fattore di sviluppo

Disuguaglianze

Propensione al rischio

Educazione

Salute

Produttività

Fiducia

Coesione sociale

Fertilità

Tempo di lavoro

Educazione

Welfare state

Sviluppo economico

La riforma del welfare

• Purtroppo, le riforme effettuate finora non sono state in grado di riformare il welfare per garantirne la sostenibilità e rispondere alle nuove domande/bisogni di protezione sociale migliorando al tempostesso la competitività di sistema.

• Nel corso degli anni ’90, i sistemi di protezione sociale e i mercati del lavoro europei sono stati interessati da numerose riforme, che però raramente hanno avuto un carattere radicale.

• Un’analisi delle misure introdotte in Europa tra il 1987 e il 1999 mostra come:- delle quasi 200 riforme introdotte nell’ambito dei sussidi di non-occupazione, delle pensioni e della protezione dell’impiego, circa l’80% possono essere ritenute marginali, non essendo di natura strutturale;- il numero degli interventi che riducono la generosità delle prestazioni e il grado di protezione dell’impiego (107 su 198) è quasi pari a quello dei cambiamenti che agiscono in direzione esattamente opposta (Bertola, Boeri e Nicoletti, 2001).

La riforma del welfare

• Le incoerenze e il carattere marginale della maggior parte delleriforme hanno spesso finito per accrescere la complessità e la frammentazione dei sistemi di sicurezza sociale europei, approfondendo il divario tra individui tutelati e non.

• Uno dei nodi di fondo delle strategie di riforma del welfare ècostituito dalla scelta tra un’impostazione universale o selettiva delle politiche assistenziali pubbliche.- Secondo l’impostazione universale, le prestazioni devono essere estese a tutta la collettività, indipendentemente dalle condizioni di reddito e patrimonio degli individui.- Secondo l’impostazione selettiva, l’erogazione delle prestazioni sociali deve essere subordinata all’accertamento della situazione economica dei beneficiari.

• Nell’impostazione selettiva, non esistono diritti di cittadinanza, ma stati di bisogno.

• Il dibattito internazionale di policy, a partire dagli anni ‘80, ha visto prevalere il principio selettivo come criterio ispiratore degli interventi di riforma.

Riepilogo

• I fattori di crisi del welfare

- Cambiamenti del contesto

- Vincoli esogeni

- Trappole interne

• La necessità della riforma

• Il welfare come fattore produttivo

Possibili domande d’esame

• Non ci sono domande d’esame su questo blocchetto di slides.