Sezione di Progetto e Costruzione AGATHÓN · 2013. 3. 8. · In copertina: G. B. Piranesi, Veduta...

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2011/1 Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura Sezione di Progetto e Costruzione AGATHÓN AGATHÓN RCAPIA PhD Journal Recupero dei Contesti Antichi e Processi Innovativi nell’Architettura

Transcript of Sezione di Progetto e Costruzione AGATHÓN · 2013. 3. 8. · In copertina: G. B. Piranesi, Veduta...

  • 2011/1

    U n i v e r s i t à d e g l i S t u d i d i P a l e r m oD i p a r t i m e n t o d i A r c h i t e t t u r aS e z i o n e d i P r o g e t t o e C o s t r u z i o n e

    AGATHÓNAGATHÓNR C A P I A P h D J o u r n a lR e c u p e r o d e i C o n t e s t i A n t i c h i e P r o c e s s i I n n o v a t i v i n e l l ’ A r c h i t e t t u r a

  • In copertina:G. B. Piranesi, Veduta del Tempio detto dellaConcordia , 1774, acquaforte.

    università degli Studi di PalermoDipartimento di Architettura,Sezione di Progetto e Costruzione

    Pubblicazione effettuata con fondi di RicercaScientifica ex 60% e Dottorato di Ricerca

    a cura di Alberto Sposito

    Comitato ScientificoAlfonso Acocella, Tarek Brik (E.N.A.u., Tunisi),Tor Broström (Gotland university, Svezia), JosephBurch I Rius (universidad de Girona), Giuseppe DeGiovanni (università di Palermo), Maurizio DeLuca, Antonio De Vecchi (università di Palermo),Gillo Dorfles, Petra Eriksson (Gotland university,Svezia), Maria Luisa Germanà (università diPalermo), Giuseppe Guerrera (università diPalermo), Maria Clara Ruggieri Tricoli (universitàdi Palermo), Marco Vaudetti (Politecnico di Torino)

    Redazione Maria Clara Ruggieri Tricoli

    Editing e Segreteria Santina Di Salvo, Paola La Scala, Alessia Riccobono

    Editore OFFSET STuDIO

    Progetto grafico Giovanni Battista Prestileo

    Traduzioni Andris Ozols

    Collegio dei DocentiAlberto Sposito (Coordinatore), Maria ClaraRuggieri Tricoli (Coordinatore), Valentina Acierno,Antonino Alagna, Giuseppe Alaimo, TizianaCampisi, Simona Colajanni, Rossella Corrao,Giuseppe De Giovanni, Antonio De Vecchi, ErnestoDi Natale, Giovanni Fatta, Tiziana Firrone,Raffaello Frasca, Maria Luisa Germanà, GiuseppeGuerrera, Laura Inzerillo, Marcella La Monica,Renzo Lecardane, Salvatore Lo Presti, AlessandraManiaci, Antonino Margagliotta, GiuseppePellitteri, Silvia Pennisi, Alberto Sposito, CesareSposito, Giovanni Francesco Tuzzolino, RosaMaria Vitrano.

    Finito di stamparenel mese di novembre 2011da OFFSET STuDIO S.n.c., Palermo

    Per richiedere una copia di AGATHÓN in omaggio,rivolgersi alla Biblioteca del Dipartimento diProgetto e Costruzione Edilizia, tel. 091\23896100;le spese di spedizione sono a carico del richiedente.AGATHÓN è consultabile sul sito www.contestiantichi.unipa.it

    agoráFrancesco AstaCONTESTO E IMMAGINE NELLA CITTà ANTICA ....................................................................................................3Gemma Domènech CasadevallLE ARENE IN CATALOGNA: SCOMPARSA O CONVERSIONE......................................................................................9Florian HertweckVERSO LA CITTà CREATIVA? IL PROGETTO METROPOLITANO “BERLINO 2020”................................................... .13Sergio PoggianellaBENI CuLTuRALI DA uNA PROSPETTIVA ESTETICA ANTROPOLOGICA....................................................................21

    SToáAlberto SpositoPIERLuIGI SPADOLINI FRA TECNOLOGIA E COMPOSIzIONE NEGLI ANNI SESSANTA................................................ 25

    gYMNáSIoNGLI ALTARI DELL’ANTICA AGRIGENTO, Alberto Distefano................................................................................35L’ANFITEATRO ROMANO DI LONDINIuM, Santina Di Salvo............................................................................... 41MuSEI E NuOVE TECNOLOGIE PER ALLESTIRE, Paola La Scala..........................................................................47ATTuALITà DEL PAESAGGIO FRA SPAzIO E SOCIETà, A. Katiuscia Sferrazza....................................................51LA RICERCA EuROPEA: COMPLESSITà DI uNA COMPETIzIONE, Giorgio Faraci ..................................................57

    EPILEKTáLA BIBLIOTECA ALExANDRINA: ANAGNÓSEIS EPILEKTOí, Alberto Sposito ........................................................59ANDREINA RICCI: ARCHEoLoGIA E CITTà TRA IDENTITà E PRoGETTo (A. CHIAzzA).............................................61R. CECCHI, P. GASPAROLI: PREVENzIoNE E MANuTENzIoNE PER I BENI CuLTuRALI EDIFICATI (G. FARACI)............63PETER NIELSEN: FLuIDoDINAMICA CoMPuTAzIoNALE NEL PRoGETTo DI VENTILAzIoNE (A. LANzA VOLPE)........ 65MILTON D. ROSENAu JR: SuCCESSFuL PRojECT MANAGEMENT (A. MARSOLO).................................................. 67CATERINA FRETTOLOSO: TECNoLoGIE INNoVATIVE PER IL PATRIMoNIo ARCHEoLoGICo (F. PALAzzO) .................. 69DuE VOLuMI SuLL’ARCHITETTuRA SOSTENIBILE (L. PASTORE) ........................................................................71B. TSCHuMI, I. CHENG: THE STATE oF ARCHITECTuRE AT THE BEGINNING oF THE 21ST CENTuRy (A. RICCOBONO)........73

    A G A T H Ó NRFCA & RCAPIA PhD JournalRecupero e Fruizione dei Contesti AntichiRecupero dei Contesti Antichi e ProcessiInnovativi nell’Architettura

    2011

    EDITORIAL by Alberto Sposito

    AGATHÓN non è una rivista, né un periodico; è una collana, un volume, syllogé o syllogeía, ovve-ro raccolta di scritti significativi sui temi del recupero, del restauro, della museografia, della sto-ria e della tecnologia, maturati dagli autori in varie occasioni e per la maggior parte inediti.Con questa prima edizione del 2011, inauguriamo una nuova sezione, Epilektá, sui volumiscelti dai Dottorandi e da nostri giovani ricercatori, di cui parleremo in seguito. Qui riassumia-mo i contributi presentati in Agorá, la prima sezione di Agathón, che si riferisce allo spazio cen-trale e collettivo della pólis greca: in apertura un contributo di Francesco Asta, seguito da un arti-colo della spagnola Gemma Domènech Casadevall, da un contributo dell’architetto franceseFlorian Hertweck e, a chiusura, da un articolo di Sergio Poggianella.

    Nella seconda sezione, denominata Stoá, è pubblicato un tema a mia firma sull’architetto fio-rentino Pierluigi Spadolini. Nella terza sezione, denominata Gymnásion come il luogo delcimento per i giovani greci che si esercitavano nella ginnastica, nelle arti e nella filosofia, innan-zitutto sono riportati i contributi di Alberto Distefano, di Santina Di Salvo, di Paola La Scala,di Angela K. Sferrazza e di Giorgio Faraci. Infine, nella nuova sezione Epilektá, dopo un miocontributo introduttivo, dal titolo La Biblioteca Alexándrina: Anagnóseis Epilektoí, sono ripor-tate alcune letture scelte dai Dottorandi Antonella Chiazza, Giorgio Faraci, Annalisa LanzaVolpe, Antonio Marsolo, Francesco Palazzo, Luisa Pastore e Alessia Riccobono.

    AGATHÓN is neither a magazine nor a review; it is a series, a publication, syllogé or syl-logeía, i.e. a collection of significant articles on the subject of recovery, restoration, museography,history and technology, mostly unpublished works, written by the authors on various occa-sions. With this first 2011 issue, we are inaugurating a new section, Epilektá, containing the arti-cles chosen by our PhD students and young researchers (about which, more later).We summa-rise the articles presented in Agorá (the first section of Agathón), a reference to the central, com-munal area in the Greek pólis. Firstly there is a work by Francesco Asta, followed by an arti-cle by Gemma Domènech Casadevall (from Spain), an article by the French architect FlorianHertweck and lastly an article by Sergio Poggianella.

    In the second section, titled Stoá, there is an essay presented by myself, deals with theFlorentine architect Pierluigi Spadolini. In the third section, titled Gymnásion (referring to thetesting-area for young Greeks practising gymnastics, studying the arts and philosophy), thereare principally contributions from Alberto Distefano, Santina Di Salvo, Paola La Scala, AngelaK. Sferrazza and Giorgio Faraci. Finally, in the new section, Epilektá, after my own introduc-tion, titled La Biblioteca Alexándrina: Anagnóseis Epilektoí, there are several reading passa-ges chosen by PhD students Antonella Chiazza, Annalisa Lanza Volpe, Antonio Marsolo,Francesco Palazzo, Luisa Pastore and Alessia Riccobono.

  • La materia urbana è, come nell’opera, illuogo e il tempo della manifestazionedell’immagine, la quale non può manifestarsi senon attraverso la dualità tessuto-contesto. Neisistemi linguistici è necessaria la distinzione traforma e sostanza: se prendiamo, ad esempio, untesto poetico la sostanza, che è la materia fonica,necessita di una forma per divenire immagine,nel senso che mentre la materia è il mezzo fisicola forma linguistica ne è il tramite. Cesare Brandiaveva già affrontato il tema della fisicità dell’o-pera poetica o musicale osservando che anchenella poesia esiste una parte fisica che è il suono:«L’esigenza del suono sussiste e il suono anchese non profferito, vive nell’immagine della lin-gua, nella sua totalità che ogni parlante possiedein potenza e realizza in sé via via»1. Allo stessomodo l’immagine urbana si estrinseca dalla mate-ria attraverso il tramite del contesto. Essa, qua-lunque ne sia la complessità e quanti ne siano isuoi attributi, non può manifestarsi al di fuori delcontesto, che riassumerà tutti gli attributi e tuttii valori dentro la sua speciale forma. Da quantodetto discendono due logiche conseguenze.

    Innanzi tutto non può sussistere immagineurbana al di fuori del contesto e di conseguenzase l’obiettivo del restauro urbano è la conserva-zione dell’immagine, dovrà ogni sua azione ten-dere alla tutela del contesto. Correlativamenteogni immagine privata dal suo contesto, può sus-sistere, ma declassandosi a livello della scalaarchitettonica e quindi riguarderà piuttosto ilrestauro architettonico ancorché, per i suoi valo-ri intrinseci, ne sarà possibile il riconoscimento.Il contesto rappresenta anche il grado di com-plessità dell’immagine essendone il tramite, percui, a causa delle sue molteplici tensioni e com-ponenti morfologiche, può restituire immaginirelativamente unitarie o frazionate e discontinue,esteticamente notevoli o mediamente prive divalori a seconda della complessità strutturale deltessuto. Di fatti si deve convenire che il proble-

    ma dell’immagine urbana è alquanto diverso del-l’immagine dell’opera singola e senza entrare nelterreno specifico dell’estetica ci basterà dire chela prima è statica e la seconda è dinamica. Matale aspetto che ne lega il concetto alla dimen-sione temporale del movimento sincronico nellospazio, altrettanto fermamente lo riconduce allamobilità diacronica del divenire del paesaggiourbano a seconda che si voglia fermare il fluiredel tempo nell’attimo della percezione o si vogliaintendere la forma dell’ambiente nel suo evol-versi temporale.

    La dimensione temporale è signora indiscus-sa della costituzione dell’immagine urbana inquanto un altro tempo e un altro spazio, quello delsoggetto individuo, si compenetra con il tempo elo spazio dell’intero urbano. E quindi l’immagi-ne urbana è un’immagine sensoriale ma anchementale, vissuta nella memoria e nella coscienzaattraverso tempi immediati e successivi, che perprocesso iterativo formano l’apprendimento, cioèla conoscenza profonda. L’utente urbano vive lacittà con la stessa inconsapevolezza con cui par-la la sua lingua, ma sia nel primo che nel secon-do caso trae i significati dal contesto. Queste duestrutture, quella urbana e quella linguistica, arri-vano persino a sovrapporsi quando una stradaprende il nome da una attività presente o passata,per cui l’offerta dì servizio di questa strada è unacomponente del contesto in quanto divenutamemoria collettiva connessa anche alla nomina-zione linguistica. L’individuo, quindi, come cata-lizzatore delle sue istanze esistenziali usa il con-testo, la cui privazione, come è avvenuto nei tra-sferimenti di larghe masse sociali nelle periferiesuburbane, induce una dimensione alienata espres-sa quasi sempre dalla violenza e dall’abbandonodi ogni principio di convivenza sociale.

    L’individuo che visita una città ha un’imma-gine di essa estremamente diversa, più povera epiù ingenua, dell’individuo che vi abita, per ilsemplice motivo che il primo percepisce un’im-magine senza contesto. Si può conoscere o sco-noscere una città come una lingua. Infatti, unacittà sconosciuta non solo come ambiente rico-noscibile ma anche nel suo tempo storico, contraela sua immagine nell’immediato sensoriale, cioèentro il limite ottico-tattile della pura visibilitàche, da una parte, costituisce l’immagine ingenuae che sconfina, dall’altra, nella semiosi. Altrisignificati possono essere colti attraverso l’im-magine ingenua: per esempio quelli fotografici

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    CONTESTO E IMMAGINE NELLA CITTÁ ANTICA

    Francesco Asta*

    Modica, Chiesa di S. Giorgio.

    ABSTRACT - The author deals with the relationship betweenthe actual physical lay-out and the image of the historicalcity, in the myriad possible forms in which the notion ofcontext takes on a fundamental role as catalyst, withregard to existential needs and the spatial-temporal dimen-sion of historic city-centres. In the morphological contextthe urban reality evolves through the aestethic and anth-ropological relationships comprising the urban scenario.

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    sinfonia: essa si dà per punti spazio-temporali,che vanno ricostruiti nella loro successione attra-verso un interno soggettivo, e trova nella cono-scenza del contesto la sua dimensione più propria.

    Rosario Assunto chiarisce che il tempo dellastoria e il tempo dell’individuo si compenetranoe si spazializzano nella città: «Abbiamo potutocostatare che l’esperienza estetica della città,come presenza nella storia, viene vissuta al paridi ogni altra esperienza estetica, dall’individuo:la cui temporalità non è soltanto storica ma esi-stenziale. L’individuo è nella città, ma il suo esse-re nella città di cui è cittadino non esaurisce la suaindividualità spaziale più di quanto il suo esserenel tempo, a lui esterno, della storia, come tem-poralità avvolgente gli individui, non esaurisca lasua interna temporalità esistenziale: il modo perognuno diverso di vivere la temporalità storicaentro il tempo della propria vita [...] Diremo allo-ra che dopo il tempo della storia, ma anche oltreil tempo della storia c’è il tempo dell’esistenza»2.Avendo premesso che la «figura della città è ilcostituirsi dello spazio come rappresentazioneestensiva della intensità temporale»3, trova, nel-le descrizioni romane di Emile Male «l’imma-gine spaziale della città come una sorta di tra-sposizione simultanea, entro uno stesso cerchio,di ciò che è contenuto nella spirale del tempo»4.

    Ma tutto ciò assume maggiore rilievo dentroil contesto. Gregotti, citando Gadamer, scrive:«La duplice connessione con il contesto e con loscopo sembra essere per Gadamer la condizionedell’aumento dell’essere»5. In verità Gadamernella sua ontologia dell’immagine, si riferisce alconcetto di rappresentazione come “evento onto-logico” necessario all’originale di cui non è copia.Il contenuto proprio dell’immagine è definitoontologicamente come emanazione dell’origi-nale. Questo quindi «nella rappresentazione subi-sce una crescita nell’essere, un aumento dell’es-sere»6. Ora la questione dell’immagine urbana sigioca nell’assenza del rapporto tra il reale e lasua rappresentazione. Se è vero che nell’imma-gine pittorica, fotografica o letteraria l’originalepresenta se stesso, allora nel caso dell’opera d’ar-te si ha una distanza fra l’originale e l’immagineche è ricoperta dall’evento ontologico il qualecostituisce l’essenza stessa dell’arte poiché intale evento si rivela una verità. Nel caso della

    iconici erratici e discontinui, senza la compren-sione del contesto, che approfondisce la cono-scenza critica non soltanto di tipo scientifico,come qui stiamo incompiutamente tentando, maanche la conoscenza dell’utente inconsapevole,che nel contesto trova il senso della sua dimen-sione esistenziale. È per questo che il turista fret-toloso tenta l’associazione dell’immagine a fuga-ci notizie sulla storia specifica di ogni monu-mento. Ma la comprensione di una città è lungae complessa quanto può essere lungo l’appren-dimento di una lingua. L’immagine urbana èessenzialmente mentale come quella di una

    e cinematografici in cui la forma si autodescrivesenza spessore e profondità associativa, a menoche, attraverso il mezzo fotografico non venga-no selezionati quegli aspetti del reale che tra-sferiscono l’immagine su altri livelli di conno-tazione artistica, i quali, però, riguarderanno l’ar-te fotografica, pittorica e cosi via. In questo casoancora il contesto sarà il luogo di manifestazio-ne dell’immagine, ma un contesto non reale, per-ché traslato nel contesto figurativo e narrativodel film o del racconto.

    L’immagine di un vicolo, di un bel cortile,di un sontuoso palazzo, dunque, restano segni

    Cefalù, Piazza Duomo.

    Ragusa Ibla, la Cattedrale di S.Giorgio.Ragusa Ibla.

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    città non esiste un originale e una sua rappre-sentazione ma tutto è rappresentazione di se stes-so: cioè l’immagine si dà come autorappresen-tazione del reale. Il contesto è il luogo di unaautorappresentazione che coincide con il reale,un reale doppio chiuso in una circolarità nellaquale le cose elementari, gli eventi passati epresenti si attualizzano temporalmente. Il con-testo non ha quindi un’immagine, ma poichési auto-rappresenta è l’immagine di sè. Nel con-testo morfologico dunque la materia urbana tro-va l’aumento dell’essere, poiché i singoli ele-menti e componenti vengono sussunti nell’e-sperienza delle relazioni spazio-temporali, este-tiche e antropologiche che si costituisconocome immagine urbana.

    Lévi-Strauss scriveva quasi cinquantanni orsono: «Le grandi manifestazioni umane dellavita sociale hanno in comune con l’opera d’ar-te il fatto che nascono a livello dell’inconscio, ebenché siano collettive nel primo caso e indivi-duali nel secondo, la differenza resta secondaria,è anzi soltanto apparente, perché le une sonoprodotte dal pubblico e le altre per il pubblico,e questo pubblico costituisce il denominatoredi entrambe, e determina le condizioni della lorocreazione. Non è dunque in senso metaforicoche si ha il diritto di confrontare - come spessoè stato fatto - una città ad una sinfonia o a unpoema; sono infatti oggetti della stessa natura.Più preziosa ancora, forse la città si pone allaconfluenza della natura con l’artificio.Agglomerato di esseri che racchiudono la lorostoria biologica entro i suoi limiti e la modella-no con tutte le loro intenzioni di creature pen-santi, la città, per la sua genesi e la sua forma,risulta contemporaneamente dalla procreazio-ne biologica, dall’evoluzione organica e dallacreazione estetica. Essa è nello stesso tempooggetto di natura e soggetto di cultura; individuoe gruppo; vissuta e sognata; cosa umana pereccellenza»7.

    Come una sinfonia o un poema la città è arti-colata secondo campi espressivi correlati e rela-tivamente autonomi al tempo stesso, che susse-guendosi nell’appercezione dell’utente si riuni-ficano all’interno della conoscenza profonda.L’appercezione è, infatti, secondo Leibniz, «lapercezione di una percezione, cioè l’atto rifles-

    sivo attraverso cui l’uomo (del quale tale atto èproprio) diviene consapevole delle sue percezio-ni che di per sé possono anche rimanere inav-vertite»8. Il significato del termine, rielaboratoda Kant, è stato molto diffuso nella psicologia epedagogia dell’800, come «processo di assimi-lazione e di inserimento di una nuova esperienzanel contesto delle esperienze passate». Il conte-sto è quindi lo schermo dove le singole e semplicipercezioni, che noi avevamo chiamato immagi-ni ingenue, si strutturano integrandosi secondouna polisemica dimensione temporale e l’intrin-seca dimensione spaziale. Nella appercezione

    urbana il tempo moltiplica la sua presenza secon-do livelli molto diversi: il tempo immediato del-la successione delle immagini che rifiutano ognicarattere di staticità, il tempo dell’esistenza del-l’individuo, che si confronta con un suo personalee irripetibile passato incorporato nei luoghi, iltempo storico della città la cui diacronica suc-cessione di forme e stili epocali si attualizza nelpresente. Quanti di noi ritornando nei luoghi del-l’infanzia non hanno percepito nel profondo del-la coscienza il sentimento del tempo? E quantinon hanno mai commisurato la propria vita allalunga durata degli eventi urbani? E quanti anco-

    Tipico suk de Il Cairo.

    un Suk yemenita. Trapani, Chiesa del Purgatorio.

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    ra non hanno capito che la ricerca di quei luoghidello spazio era la ricerca del proprio tempo per-duto? Spazio e tempo quindi si compenetranonei luoghi della città in quanto luoghi della nostravita e luoghi di altre vite, passate e future.Memorie personali, identità e somiglianze, sen-so di appartenenza o disappartenenza pervade lacoscienza del soggetto pensante più o meno con-sapevolmente secondo i gradi diversi dell’ap-percezione. Ogni immagine è un’immagine, nel-la città, di particolare spessore, fatta anche disuoni, di odori, di paura o di benessere, di sicu-rezza o di fastidio, persino di repulsione o diincanto. Tutto questo non può avverarsi fuori dal-la contestualità che lo riassume come senso dicoinvolgimento totale.

    Non può parlarsi quindi dell’immagine sen-za contesto, poiché questo è catalizzatore di quan-to serve alla materia urbana per trasformarsi inimmagine. Dentro la sua dimensione possiamocogliere o non cogliere la città come oggetto este-tico. Al di fuori, infatti, del contesto il bello urba-no è un semplice elenco di fatti esteticamentenotevoli tramezzati da materia sorda, ordinaria,opaca che è la nozione più stereotipa del bello,secondo le molteplici gradazioni del gusto, disan-corato dalle sue ragioni culturali, antropiche, sto-riche e così via.

    La complessità strutturale dell’immagineurbana è quindi dovuta alla compresenza di fat-tori contestuali dentro la materia che non puòessere ridotta al livello della sua mera fisicità.

    Mentre nell’opera singola è possibile limitarel’immagine alla consistenza della materia, maentro certi limiti, nella città essa si manifesta supiani diversificati e immateriali. Brandi avevagià scritto: «un’altra concezione erronea dellamateria nell’opera d’arte, limita questa alla con-sistenza materiale di cui risulta l’opera stessa.’Èconcezione che sembra difficile smontare, mache a dissolverla, basta contrapporre la nozioneche la materia permette l’estrinsecazione del-l’immagine, e che l’immagine non limita la suaspazialità all’involucro della materia trasforma-ta in immagine: potranno essere assunti comemezzi fisici di trasmissione dell’immagine anchealtri elementi intermedi tra l’opera e il riguar-dante. In primissimo luogo si pongono allora laqualità dell’atmosfera e della luce»9.

    Giuseppe La Monica, chiosando il passo diCesare Brandi, ne precisa l’ideologia sottesa esottolinea la problematica della contestualità:«Totalità, dunque, di opera e contesto, difesa con-tro ogni loro, anche minima, separazione (par-zializzante, privatistica, museificante, mercifi-cata, ecc.). Ma tale totalità non va confusa con iltotale degli organismi fisico-naturali ch’è com-posto di parti, ma va identificata con l’unità del-l’intero che, anche nell’opera d’arte fisicamentefrantumata, continua a sussistere potenzialmentecome un tutto in ciascuno dei suoi frammenti»10.Tutto ciò risulta ancora più rilevante per l’im-magine urbana, in cui l’atmosfera, la luce e per-sino le normali condizioni climatiche concorro-no alla definizione di una spazialità che rappre-senta, quanto quella fisica, materia necessariaall’epifania dell’immagine. Se per l’opera d’artetutto questo implica la regola generale di nonrimozione, ove possibile, di essa dal suo luogo diorigine, cioè dal suo contesto, per quanto riguar-da la città dimostra la necessità dì conservazionedella spazialità storica e morfologica definita erappresentata dal contesto. Da tutto questodiscende che il monumento architettonico nonpuò essere privato del suo contesto, in quan-to tra monumento e contesto si stabilisce, nel-la costituzione dell’immagine, un rapportointerattivo.

    Da una parte il monumento concorre prepo-tentemente alla formazione dell’immagine urba-na, dall’altra, la sua stessa immagine architet-

    Siena, Piazza del Campo.

    Salemi, il Castello. Marsala, via Garibaldi.

  • tonica ottiene, nel contesto, l’aumento dell’es-sere. Correlativamente si deduce che la distru-zione del contesto ha, come ha avuto in passato,due tragiche conseguenze: la prima è la disso-luzione dell’immagine urbana e la seconda è ildegrado dell’immagine architettonica del monu-mento singolo. In secondo luogo si evince che iltessuto, anche in assenza di particolari valorimonumentali, si costituisce quale materia del-l’immagine la cui conservazione non può otte-nersi senza la conservazione del tessuto stesso,nella sua contestualità di valori materiali eimmateriali.

    Infine, deduciamo che l’immagine anche del-la singola opera è sempre contestuale. Anche nelcaso del singolo monumento, i significati deltesto architettonico emergono solo nella conte-stualità delle relazioni segniche in esso presenti.Guardare un edificio sub specie contestuale signi-fica, infatti, restituirgli il necessario livello diiconicità plurisemantica con cui si presenta a noinella sua unica e irripetibile realtà testimonialestorico-morfologica. Soltanto l’appercezione delcontesto, strutturale, materico, tecnologico dellafabbrica e la sussunzione delle differenze nelladimensione olistica dell’opera potrà metterci alriparo dalla ricerca idealistica di un’immaginesoprastorica. Potrà sottrarci cioè al rischio, inpassato molto diffuso, di eludere la cultura mate-riale che il monumento innanzi tutto porta consé; sottrarci al rischio del «trionfo dell’appariresull’essere, dell’icona come presunta invarianteatemporale sulla sofferta e peribile fisicità del-l’opera»11.

    Se tutto ciò è afferente alla realtà fisica anco-ra non abbiamo esaminato le componenti nonfisiche che concorrono all’estrinsecazione del-l’immagine. Tra questi l’uso assume il ruolo prin-cipale di formazione e di trasmissione dell’im-magine. La presenza dell’uomo come attività esenso globale della vita associata è nella cosaurbana talmente incidente da divenire compo-nente essenziale dell’immagine e si riferisce aquell’insieme di problematiche che nel restaurourbano sono rappresentate dall’istanza antropica.La mescolanza dei tipi umani, la grana minutadelle attività produttive e di servizio, gli usi indi-viduali e collettivi concorrono alla costituzionedell’immagine. L’uso, che corrisponde alla veri-

    fica continua dell’aderenza delle forme fisicheagli scopi cui erano predisposte, e in tal senso èmotore fondamentale dell’attività morfologica,in sé stesso si semantizza divenendo significato.Roland Barthes afferma: «la funzione si compe-netra di senso; questa semantizzazione è fatale:per il solo fatto che c’è società, ogni uso è con-vertito in segno di questo uso»12. La nozione diuso va visto sotto un duplice significato: l’usocome funzione e l’uso come forma. Nel primocaso è una nozione interna alla disciplina archi-tettonica, nel secondo sconfina nell’antropolo-gia. Tali due nozioni possono essere componen-ti concordi o conflittuali a seconda della evolu-zione storica di ogni singola città o luogo urbano.In ogni caso nella città storica è più sensibile ed

    eloquente la distanza dell’uso come forma dal-l’uso come funzione, cioè dalla destinazione d’u-so originaria di un edificio, di una strada o di unapiazza. una distanza che da una parte è il risultatodell’attività morfologica, che ricopre la realtàfisica riassestandola a nuovi bisogni, ma anchetalvolta tradendone le sue vocazioni in mododistorto o incongruo; dall’altra è la manifesta-zione di una realtà storica più aderente alla com-plessa natura della stanzialità urbana. In qualepiazza moderna potremmo immaginare di svol-gere il palio di Siena? Lo spazio storico nella suasemplicità risulta più idoneo di quello moderno,pervaso e irrigidito dall’idea della funzionalitàdella forma, a esperire diverse forme funzionali,che sono usi differenziali dello stesso luogo e

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    Venezia.

    Noto, la Chiesa Madre di S. Nicolò (foto di G. Leone). Niscemi, Piazza Vittorio Emanuele II.

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    non conflittuali. Il Campo di Siena, pur essendouna delle più belle piazze d’Italia accoglie ilpalio, cioè un uso apparentemente abnorme estraordinario dello stesso spazio. In realtà la sto-ria di Siena è anche la storia delle sue contrade,una storia che si attualizza nell’evento culminedel palio e che diventa immagine non meno del-la eccezionale spazialità fisica del contesto, anziinsieme alla spazialità fisica e alla forma cele-brativa degli usi.

    Ora, se il senso dell’appartenenza e dell’i-dentità è da attribuire all’equilibrio fra le formedello spazio e le forme degli usi è chiaro che nonpossono questi ultimi essere estranei alla nozio-ne di immagine della città storica. Essa sussistee consiste non soltanto nella materia del tessutoe quindi nei singoli elementi che solidalmente siestendono nello spazio urbano, ma anche nellemodalità di fruizione, in quanto queste si mani-festano come principi di conservazione o dimodificazione della materia. Ogni intervento suquesta materia dovrà quindi prendere in esame laquestione delle destinazioni d’uso, non soltantoquale componente, tra le altre tecnologiche, eco-nomiche, giuridiche, della complessa disciplinapianificatoria, ma come elemento fondativo diriassetto, di mantenimento e di recupero dellaidentità di immagine. Qui si individua un puntodi sostanziale divergenza fra le strategie dellaconservazione dell’opera e quelle pianificatricidel recupero, per cui tutto ciò che può esseresecondario nel restauro del monumento, quidiviene essenza e scopo, obiettivo strategico diogni operazione. Gli usi individuali e collettivi diogni spazio, anche minimo, del tessuto conferisceai luoghi il senso dell’identità e dell’appartenen-za. Nella città storica, da questo punto di vistaparticolare, ogni più piccolo andito diviene signi-ficativo: il serrato distendersi delle forme fisichenon lasciano vuoti tra i pieni edilizi, ma spazia-lità aperte, con un senso di internità e di priva-tezza talmente forte da far sembrare al visitatore,estraneo a quel contesto, di violare, nel labirintodei vicoli, l’intimità di un interno vissuto. La vita

    si proietta all’esterno come naturale prolunga-mento dell’interno, come un interno a cielo aper-to. Spazi di gioco, di riposo, di incontro non sidanno con confini netti. Tutto fluisce nella geo-metria morbida delle strade e dei vicoli, in unrapporto di continuità tra pieni e vuoti, in cui lerelazioni di solidarietà, di rimando, dì assonanzae di necessità reciproca ci restituiscono concre-tamente l’immagine di un tessuto edilizio con-naturato al tessuto sociale.

    Spesso opere ancora più elementari e primi-tive esprimono l’identità di un paesaggio attra-verso l’uso sapiente e secolare delle risorse natu-rali e dei materiali tipici di un luogo e diventano«dignitosi segni di un’identità culturale» frauomo e ambiente, come scriveva Mauro Civita,descrivendo il paesaggio dei trulli: «Delimitatida pareti a secco, si susseguono campi coltivati,vigneti, boschi, agglomerati di casette e di trulli,raggiungibili da strade interpoderali che affidanoai muretti a secco, quasi frecce segnaletiche, l’in-vitante messaggio di una irripetibile qualità divita che, con gioia e quotidiana fatica, segue l’i-dentità di quelle contrade. Il primo impatto èofferto dai muretti a secco, espressione di un idio-ma che riassume i codici di lettura di ogni attivitàche si svolge in quell’areale [...] Dalla epifaniadel magistero murario di un muro a secco che sisnoda lungo le strade o i sentieri di quel contestosono desumibili l’interesse, l’impegno e la con-sapevolezza delle risorse che quella terra offre;in altri termini prima ancora della configura-zione della casa, quella della parete a secco,esprime, senza avere la pretesa di descriverla,la cultura di generazioni esistenzialmente lega-te alla loro terra»13.

    Se tutto questo può essere, come è stato,oggetto di studi e ricerche specifiche, che inda-gano il fenomeno da punti di vista anche moltodiversi come la sociologia, l’antropologia, lasemiotica, l’iconologia, la prossemica o ancheattraverso l’analisi storica e la ricostruzione del-le dinamiche insediative, tuttavia nel nostrodiscorso ci interessa per quanto serve a definire

    la nozione di immagine urbana. L’immagineurbana in sostanza deprivata dalla sua compo-nente d’uso, perdendo la sua intima necessità,perde il suo più profondo significato. Moltirisanamenti e riusi hanno sfigurato le imma-gini di molte città pur mantenendone le formefisiche, trasformando l’antico centro in city oaree direzionali, di commercio o servizi,camuffati da un falso recupero limitato allamateria come aspetto esteriore. Qui si indivi-dua, d’altra parte, uno dei nodi più cruciali delrisanamento per la incongruenza delle formefisiche alle singole esigenze dell’oggi, inclu-dendo fra queste la domanda sociale cui è con-nessa la dinamica economica necessaria ad unvero recupero ambientale.

    Per concludere si può affermare che la com-plessa struttura dell’immagine urbana si inveranel contesto. Esso rappresenta la forma dellamateria e ogni equilibrio, degrado fisico o diimmagine va riportato alla dimensione delle rela-zioni contestuali. Attraverso una critica dei con-testi possono essere quindi stabiliti i delicati rap-porti fra materia e immagine per il tramite delprincipio differenziativo che articola per aree iltessuto, definendo le caratteristiche, i valori e lepiù esatte suscettività conservative e trasforma-tive della città antica.

    NoTE

    1).C. BRANDI, Teoria del restauro, Einaudi, Milano 1981,p. 24.2) R. ASSuNTO, Il paesaggio e l’estetica,Vol. I., Ed.Giannini, Napoli, 1973, p. 59.3) Ibidem, p. 58. 4) Ibidem p. 63.5) V. GREGOTTI, Questioni di architettura, Einaudi, Torino1986, pp. xxIx-xxx.6) H. G. GADAMER, Verità e metodo, Bompiani, Milano1983, p. 175.7) C. LEVI STRAuSS, Tristi Tropici, Mondadori, Milano1960, p. 119.8) VOCABOLARIO DELLA LINGuA ITALIANA TRECCANI, voce«Appercezione».9) C. BRANDI, op.cit.,p. 12.10) G. LA MONICA, Ideologia e prassi del restauro,Edizioni Nuova Presenza, Palermo 1974, p. CxxxL11) M. DEzzI BARDESCHI, Restauro punto e da capo. ExFabrica, Franco Angeli, Milano 1994, p. 69.12) R. BARTHES, Elementi di semiologia, Einaudi, Torino1970, p. 3.13) M. CIVITA, «Dignitosi segni di una identità cultura-le», in M. CIVITA (cur.), pp. 99 - 102.

    Praga, Dancing House.

    *Francesco Asta, ricercatore presso la Facoltà diArchitettura dell’università degli Studi di Palermo, èdocente del Laboratorio di Restauro Architettonico e delCorso di Restauro urbano. Da molti anni si interessa aiproblemi della conservazione dei Beni Culturali, consi-derati nell’inscindibile rapporto fra testo architettonico econtesto urbano, producendo oltre a testi monografici,numerosi saggi, articoli e progetti pubblicati su rivistespecializzate.

  • Nei processi di patrimonializzazione sonocoinvolti fattori molto diversi dello stes-so concetto di bene patrimoniale, variabile inogni momento storico, per motivi ideologici eper criteri estetici. All’inizio del sec. xxI, tro-viamo una tipologia architettonica storica, quel-la delle arene, che è in pericolo di estinzione.Tale minaccia è il risultato della combinazione diargomentazioni ideologiche e del declino del-l’attività per cui le arene stesse sono stati costrui-te1. Il 28 luglio 2010, infatti, il Parlamento dellaCatalogna ha vietato le corride2; la nuova legge,che entrerà in vigore a partire dal primo gennaio2012, è il risultato di un’iniziativa popolare pro-mossa dalla Piattaforma ‘Prou’ (Stop), che ha rice-vuto il sostegno di cento ottantamila cittadini.Senza dubbio, questa iniziativa risponde al cam-biamento di sensibilità della nostra società versoi diritti degli animali, ma, anche, ad una ostilitàcaratteristica dei Catalani verso lo spettacolo del-le corridas. La forte strumentalizzazione che laDittatura del Generale Franco (1939-1975) ha fat-to dello spettacolo taurino, fino a convertirlo inicona dell’Ispanità durante il boom del turismo, èuno dei motivi per il disinteresse attuale.

    La passione per le corride nella Catalogna,peraltro, è antica e documentata almeno dal sec.xV, ma in una Catalogna che lotta per ricupera-re la sua identità, gli spettacoli con i tori vengo-no visti ormai come qualcosa di estraneo. Inrealtà, molto prima del divieto, il pubblico avevagià svuotato le arene, fino al punto che, nelmomento dell’adozione della legge, c’era unasola arena in uso in tutta la Catalogna, LaMonumental di Barcellona. La mancanza di pub-blico per degli spettacoli che negli ultimi decen-ni erano rivolti esclusivamente ai turisti, ha obbli-gato infatti gli impresari alla chiusura di moltearene. Inoltre, l’attrazione urbanistica verso lestrutture e le aree sulle quali insistevano le Plazasde Toros ha comportato la demolizione di moltearene ormai inutilizzate. Prima, durante e dopo ladiscussione nel Parlamento della Catalogna pervietare la corrida, ci sono state controversie mol-to accese e notevoli battages sui giornali locali,ma sono del tutto mancate delle voci che abbia-no rivendicato la patrimonializzazione di questearee. Probabilmente l’appropriazione da partedel nazionalismo spagnolo più reazionario diquello che viene chiamata ‘Fiesta Nacional’,impedisce una visione serena del problema.Soltanto Monica Bosch, docente di Storia

    all’università di Girona, ha avvertito la gravitàdelle perdite che si registrano in questo settore,tanto per le demolizioni come per i cattivi restau-ri effettuati3. Monica Bosch ritiene che il faccia-tismo giocato nella maggior parte dei progetti direstauro in corso, distorce il significato dellacostruzione e rende difficile la comprensione.Recuperando il concetto di ‘luoghi della memo-ria’, ha chiesto la patrimonializzazione di questispazi multifunzionali, i quali, al di là del fatto diavere accolto spettacoli di tori, sono stati scenariodi importanti manifestazioni politiche e sindaca-li per la storia del Paese, hanno offerto un teatroespositivo per le attività di artisti nazionali edinternazionali nei loro tour della Catalogna, e,addirittura, sono stati e sono scenario per le com-petizioni di sardanes e castellers, due importan-ti manifestazioni della cultura popolare catalana.

    Il Caso di Barcellona - In Catalogna, la tra-dizione taurina risale al sec. xV, ma bisognaattendere il sec. xIx perché si costruiscano leprime strutture stabili. Fino a quel momento lacorrida si svolgeva in teatri smontabili4. ABarcellona, le prime corride sono documentatenella spianata di fronte al Palazzo Reale nel1387. Da allora in poi si sono svolte in varieparti della città, sia nelle piazze pubbliche che instrutture effimere, fino al 26 luglio 1834, quan-do venne inaugurato El Torín, nel quartiere del-la Barceloneta, la prima arena stabile docu-mentata in Catalogna. Progettata nel 1827 daimaestri Jaume Fàbregas Vieta e MiquelVilardebó Balta, fu costruita dall’architettoJosep Fontseré Domènech. I suoi promotorisono stati i responsabili della Casa de la Caritat,organismo di beneficenza creato nel 1802, i qua-li nelle corride hanno intravisto un mezzo perfinanziare le loro attività. El Torín è stato infunzionamento fino al 1924, quando erano giàstate inaugurate le altre due arene di Barcellona:Les Arenes e La Monumental. L’arena dellaBarceloneta è stata infine demolita nel 1946.Nei suoi terreni, il nuovo proprietario, l’impre-sa Catalana de Gas, ha costruito un campo dicalcio per i suoi lavoratori5.

    Alla fine del sec. xIx, il successo di pubbli-co, che riempiva El Torín, ha incoraggiato l’im-prenditore Josep Marsans a costruire una nuovaPlaza de Toros a Barcellona, quella de LesArenes. Progettata dall’architetto Agust FontCarreras in stile neo-arabo, uno stile molto di

    9

    LE ARENE IN CATALOGNA:SCOMPARSA O CONVERSIONE

    Gemma Domènech Casadevall*

    ABSTRACT - The banning of bullfighting in Catalonia, pas-sed by the Catalan Parliament on 28 july 2010, has endan-gered the continued existence of bullrings. Even beforethe ban, however, lack of public interest had already leftCatalan bullrings largely devoid of spectators. This situa-tion, together with pressure from town planners, has led tothe demolishing of several bullrings. With no more bullfi-ghts in Catalonia, the survival of this type of architectureis dependent on finding new uses for the former bullrings.In this article, we present the two paradigmatic cases ofTarragona and Barcelona. The Plaça de Toros (1883) inTarragona is now a large-format venue for cultural, spor-ting and leisure events. Architect Richard Rogers hasrecently converted Les Arenes bullring in Barcelona(1900) into a cultural and shopping centre.

    Centro Commerciale Les Arenes di Barcellona.

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    te altre. Per esempio a Tortosa, città di impor-tante tradizione taurina, l’arena, costruita nel1843, faceva parte dell’identità culturale cittadi-na. Dopo la Guerra Civile, le nuove autorità, con-statata la rovina dell’edificio, decisero la suademolizione, attuata nel 1943. Sul sito è statacostruita una chiesa12. A Vic, dove sono docu-mentati spettacoli con i tori dal sec xVII, la pri-ma arena stabile s’inaugura il 6 giugno 1917.Dopo quasi mezzo secolo nel quale l’arena haospitato spettacoli taurini e molti altri eventi (sar-dane, concerti, riunioni politiche, ecc.), nel 1963è stata chiusa e demolita. Il posto è stato occupatodalla nuova stazione degli autobus13. Allo stessomodo sono scomparse l’arena di Camprodon,costruita nel 1890 e demolita nel primo terzo delsec. xx e l’arena di Mataró, inaugurata il 27luglio 1894 e chiusa, a causa della concorrenza diquelle di Barcellona, soltanto undici anni dopo14.

    Conversione - La scomparsa definitiva dellacorrida in Catalogna, lega la sopravvivenza diquesto tipo di architettura alla necessità di nuovedestinazioni. Non sappiamo che futuro si prepa-ra per La Monumental, l’unica attualmente inuso, o il destino di quella di Olot, la quale, dopola demolizione di El Torín, è la più antica diCatalogna. Inaugurata il 24 luglio 1859, la Plaçade braus di Olot è stata in attivo fino al 2005,quando la sua licenza per celebrare corridas èstata sospesa. Come tutte le altre, la nascita èdovuta alla iniziativa privata di un gruppo di azio-nisti; questi, nel 1890, l’hanno ceduta al Comunein cambio del diritto al sedile e che il Comune lamantenesse e promuovesse gli eventi delle cor-rida. Ed è proprio quest’ultimo punto al quale siaffidano gli eredi della società fondatrice perrivendicare di nuovo la loro proprietà davanti aitribunali, dopo la sospensione degli spettacoli.In concomitanza con il 125° anniversario dell’i-naugurazione, nel 1984 è stato effettuato unimportante restauro. Tuttavia il contesto è ormaicompletamente trasformato a causa della costru-zione di un edificio moderno sulla spianata difronte. Attualmente non vi sono progetti per suefuture destinazioni15. Le arene per le quali si regi-strano progetti per il futuro sono le altre tre cherestano ancora in piedi in Catalogna: Tarragona,Figueres e Les Arenes di Barcellona; mentre nelcaso di Figueres la conversione è solo un pro-

    ammesso la riclassificazione del terreno), non èstata notata dall’opinione pubblica, sicché la pos-sibilità di mantenere l’arena destinandola a nuo-vi usi non è neppure stata messa sul tavolo delletrattative, né è stata presa in considerazione l’op-portunità rappresentata da uno spazio di 8.000posti a sedere di fronte al Palazzo della Fiera del-la città. Nel luglio 2006 cominciavano i lavoridi demolizione e subito dopo si dava l’avvio allacostruzione di cinque edifici per appartamenti,di un albergo, del nuovo edificio per la AudienciaProvincial e di un parcheggio sotterraneo di 270posti8. L’operazione urbanistica sviluppata aGirona contrasta con la proposta formulata nel1999 da un giovane architetto della città, ElisabetCapdeferro, la quale, in un suo progetto, propo-neva di recuperare per la città uno spazio che allo-ra era praticamente già abbandonato. Il progettodefiniva la nuova struttura come un ‘contenitoredi attività di gruppo all'aria aperta’, nel quale pote-vano essere ospitati spettacoli teatrali, proiezionicinematografiche ed happening di musica dalvivo, servendo inoltre come spazio complemen-tare del Recinto Fieristico antistante9.

    Le arene di Sant Feliu de Guíxols (1956) e diLloret de Mar (1962) rispondono ad una realtàtotalmente diversa. Entrambe costruite durantegli anni del boom turistico della Costa Brava dauno degli architetti più prolifici del momento,Josep Claret Rubira, hanno sofferto le conse-guenze del cambiamento del modello turistico ela perdita dell’affezione locale. Sono edifici, inquesto caso, senza nessun valore estetico, naticome risultato di una moda passeggera e morti,semplicemente, quando la moda è passata. Quelladi Sant Feliu de Guixols, soprannominata con ilpittoresco nome di España Brava, ha ospitatol’ultima corrida nel 1990. Sette anni dopo fuacquistata dal Comune, che nel 1998 la demolìper costruire al suo posto la stazione degli auto-bus, inaugurata nel 200510. L’arena di Lloret, checome quella di Sant Feliu era stato promossa dal-l’uomo d'affari Javier Pascual de zulueta, è sta-ta anologamente acquistata dal Comune. Dopoaver chiuso le sue porte nel 2003, fu demolitanel 2006 ed al suo posto è prevista la costruzio-ne di una piazza, di un parcheggio sotterraneo di400 posti, di un edificio per uffici, di un impian-to sportivo e di un centro commerciale11.

    Prima di queste, ne erano già scomparse mol-

    moda alla fine del sec. xIx, fu inaugurata il 29 digiugno del 1900. Les Arenes ha vissuto il suoultimo pomeriggio di attività il 9 giugno 1977 e,dieci anni più tardi, chiudeva definitivamente leporte, venendo quindi coinvolta in un lungo pro-cesso di degradazione che è durato più di quindicianni6. Dal momento della chiusura di Les Arenes,l’unica arena in attività nella città (e recente-mente anche in Catalogna), è stata la già citataMonumental. Costruita dall’architetto modernistaManuel J. Raspall nel 1914, fu inaugurata con ilnome di L’Sport. I buoni risultati ottenutidurante i primi due anni incoraggiarono ilsuo ampliamento, che è stato guidato dagliarchitetti modernisti Ignasi Mas Morell eDomènec Sugranyes - quest'ultimo collabo-ratore di Gaudí e suo successore nelle operedella Sagrada Familia. La piazza è stata ria-perta il 27 di febbraio del 1916 sotto il nomede La Monumental, e questa estate vivrà lasua ultima stagione di spettacoli. El Torín èstata demolita ventidue anni dopo la suachiusura. Les Arenes, trentaquattro anni dopol’ultima corrida, ha appena aperto le sue por-te come centro commerciale e ricreativo.Non conosciamo quale futuro attende LaMonumental.

    Sparizioni - In altri luoghi della Catalogna learene hanno ceduto per recessione della passio-ne taurina, per la crisi di pubblico e per il degra-do di uno spettacolo orientato puramente al turi-smo di massa; l’espansione urbana durante glianni del boom immobiliare della fine del sec. xxe dell’inizio del xxI hanno fatto il resto. Sonobuoni esempi i casi di Girona, Sant Feliu deGuixols e Lloret de Mar, per citarne alcuni.

    A Girona gli spettacoli taurini sono docu-mentati in varie parti della città a partire dal 1715.Ma, come nel caso di Barcellona, non sarà fino alsec. xIx, che si proporrà la costruzione di unteatro stabile. Di promozione privata, il nuovospazio è stato progettato dall’architetto EugeniCampllong e inaugurato il 29 ottobre 1897. Dopopiù di un centinaio di anni di utilizzo, il 15 ago-sto 2004 la Plaza de Toros di Girona ha trascor-so il suo ultimo pomeriggio d’attività e due annipiù tardi è stato demolita7. Sorprendentemente,la decisione dei suoi proprietari, che ha trovato lacomplicità delle autorità locali (le quali hanno

    La Monumental di Barcellona. Rimodellamento di Les Arenes.

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    getto, negli altri due è ormai una realtà.Nel mese di agosto del 2010 s’inaugurava

    Tarraco Arena Plaça, uno spazio polifunzionaledestinato ad eventi culturali, sportivi e del tempolibero di grande formato, che è il risultato dell’a-deguamento dell’antica Plaça de Toros diTarragona. L’edificio, costruito in stile modernistadall’architetto e urbanista Ramon Salas Ricomà(1883), è stato in funzionamento fino al 2007. Aparte alcuni periodi di chiusura, nei quasi 125 annidi vita, la Plaça de Toros aveva ospitato non sol-tanto spettacoli taurini. Tra gli altri eventi, l’arenadi Tarragona è la sede del concorso biennale dicastellers, dimostrazione di cultura popolare cata-lana dichiarata Patrimonio dell'umanità nel 2010.Facendo riferimento a questo carattere multi-fun-zionale e per guadagnare in versatilità, due anniprima della sua chiusura, la Diputació diTarragona, proprietaria dell’edificio dal 1949, ave-va commissionato un progetto di copertura chepermettesse di utilizzare il complesso per l’interocorso dell’anno.

    Il progetto di ristrutturazione, realizzato dal-l’architetto xavier Romaní, ha incluso il restau-ro e il risanamento della facciata, il rafforzamentodella struttura, la copertura con una cupola inmetallo, con lucernario centrale mobile di 40metri di diametro e oculo centrale di vetro di 10metri, la chiusura delle arcate aperte con doppiacarpenteria per isolare acusticamente il recintodall’esterno, la costruzione di nuove tribune eposti a sedere, e l’adeguamento dell’edificio airegolamenti vigenti in quanto all’accessibilità ealla sicurezza. In un primo momento il progettoaveva previsto il mantenimento della corrida e,per questo scopo, erano state progettate anchenuove strutture sanitarie nel recinto. La previ-sione di un’imminente approvazione da parte delParlamento della Catalogna del divieto di corri-da ha costretto a riesaminare il progetto a pre-scindere da questi spazi. I responsabili del pro-getto segnalano che nonostante la natura spet-tacolare dell’opera, si è stati molto attenti arispettare i valori architettonici del progetto ori-ginario, restaurando la facciata e tutti i suoi ele-menti, e consolidando l'intera struttura dell’edi-ficio. Le opere, con un investimento di quasi 18milioni di euro, hanno fornito la città e la suaarea di influenza di uno spazio polifunzionaleper un massimo di 9.500 persone, il più grande

    Demolizione dell’arena di Girona, agosto 2006. Nuovi edifici presso il sito dell’arena di Girona, settembre 2009.

    spazio coperto della provincia di Tarragona16.La piazza di Les Arenes di Barcellona (1900)

    potrebbe avere ceduto alle scavatrici nel 1988,quando è stato dato l’avvio alla sua demolizioneper costruire un nuovo padiglione per la Fiera diBarcellona, che si trova di fronte. Per fortuna, lapressione di vari gruppi ha ottenuto l’inserimen-to dell’edificio nel Catalogo di Patrimonio delComune di Barcellona. Da allora, numerosi pro-getti sono stati redatti per trasformare l’arena instruttura pubblica, ma, purtroppo, senza alcunrisultato. Infine, nel 1999 la Plaza de Toros è sta-ta acquista da un importante gruppo immobilia-re che ha proposto l’apertura di un centro diintrattenimento di grandi dimensioni. Il progettoè stato affidato all’architetto inglese RichardRogers, nel tentativo di risolvere le difficoltàricorrendo ad un professionista di prestigio.Rogers ha lavorato con l’ufficio di architetti cata-lani Alonso - Balaguer, e insieme hanno avanza-to una proposta basata sul mantenimento e restau-ro della facciata esistente, dietro la quale si gene-ra uno spazio circolare destinato a varie attività.Il programma funzionale si sviluppa in diversiambiti, per un totale di mq 30.940. Vi sono seipiani commerciali e per il tempo libero, quattroparcheggi (con una capacità di 1.250 auto e 500moto). I primi tre piani sono occupati dagli eser-cizi commerciali (alimentari, moda, tecnologia,cultura, ecc.), i tre superiori da attrezzature per iltempo libero (12 sale cinematografiche, il Museodel Rock di Barcellona, un centro sportivo e ter-male e diversi ristoranti con viste panoramichedella città). I vari piani sono collegati da una zonacentrale destinata alle scale mobili, che costitui-scono la spina dorsale dell’intero complesso. Iltutto è coronato da una cupola di zinco di m 90 didiametro (la più grande d’Europa).

    A differenza del caso di Tarragona, il rimo-dellamento di Les Arenes è stato molto piùaggressivo nei confronti della struttura originale.Il nuovo uso ha comportato la demolizione del-le tribune e la scomparsa dell’immagine internatradizionale. Inoltre, si è inserito un piano terra trail corpo centrale, la piazza stessa e il sotterraneo.La conversione di Les Arenes in centro ricreati-vo e commerciale è costato 200 milioni di euro edha impegnato otto anni di lavoro. Problemi tec-nici e difficoltà economiche, che hanno implica-to un cambiamento di proprietari, hanno ritarda-

    to di oltre cinque anni la previsione iniziale d’i-naugurare nel 2006. Nello spinoso cammino per-corso ed a causa di divergenze economiche con inuovi proprietari, Richard Rogers ha lasciato ilprogetto, rimasto nelle mani dei due soci catalani,Alonso e Balaguer. Infine, il 24 marzo di que-st’anno è stato inaugurato il centro commerciale diLes Arenes17.

    Concludiamo l’esame con la città diFigueres. Per la sua arena, aperta nel 1894 echiusa dal 1989, c’è un progetto di riqualifica-zione e di trasformazione in centro sportivo.Durante i più di vent’anni di disuso, lo spaziosi è degradato: una parte delle tribune è crolla-ta, l’arena è stata coperta di vegetazione ed èstata occupata da una famiglia, poi sfrattata perordine giudiziale nel 2008. Il Comune, pro-prietario dell’edificio dal 1989, l’ha poi utiliz-zata come deposito municipale di veicoli, seb-bene nel frattempo si sia curato di far appro-vare una proposta di ristrutturazione. Il pianopreliminare, firmato dall’architetto MoisèsGallego nel 2008, prevede il restauro della fac-ciata e la costruzione di una piscina coperta ecomplesso sportivo all’interno. Il lavoro, conun budget di 8,1 milioni di euro, doveva esse-re svolto da una società privata, che avrebbemantenuto la gestione del complesso sportivoper 40 anni. Nel 2010, però, tutto il progettovenne modificato, con la previsione di ulterio-ri impianti sportivi (piscina scoperta, campi dabasket e da paddle). Per conseguenza, il finan-ziamento sarà privato solo per l’80% e per ilresto pubblico. Si prevede di iniziare questolavoro nel 2011 e terminare nel 201218.

    Conclusioni - La Plaza de Toros stabile, natanel sec. xIx, costituisce un mo dello architetto-nico proprio dei Paesi che possiedono la tradi-zione di spettacoli con i tori. Come abbiamovisto, in Catalogna la disaffezione dei cittadiniverso questo spettacolo ha svuotato progressiva-mente di spettatori questi servizi fin dagli anniSettanta. Quest’ostilità ha raggiunto il suo picconell’estate del 2010, quando, per iniziativa popo-lare, sono state vietate le gare di tori in Catalogna.Bisogna dire, tuttavia, che, nonostante tutto, idifensori dei tori sono un settore francamenteminoritario, come si è fatto palese quando, dopoil divieto e in un atto di protesta, i fautori della

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    Rimodellamento dell’arena di Tarragona, novembre 2006.

    Rimodellamento dell’arena di Tarragona, luglio 2009.

    nuova legge non sono stati in grado di riempireper più di un quarto l’unica arena che è in uso,La Monumental di Barcelona (di 18.000 posti).In ogni caso, nel dibattito tra i fautori delle cor-ridas e gli oppositori, non è stato discusso ilfuturo dei luoghi. Probabilmente, per i difenso-ri delle arene bisogna mantenere l’uso per ilquale sono state costruite, mentre per gli avver-sari, esse costituiscono la penosa testimonianzadella sofferenza degli animali e di una tradizio-ne che considerano imposta in Catalogna dagliSpagnoli. Per un motivo e per l’altro, alla finenon sono stati presi in considerazione i valoristorici, estetici e simbolici di una architetturanata molto prima della Dittatura del GeneraleFranco, costruita negli anni nella pienezza delmodernismo, lo stile che ha fatto conoscere l’ar-chitettura catalana nel mondo e che ha costitui-to il riferimento per importanti manifestazioni dicultura popolare.

    Attualmente, sono sparite tredici dellediciotto arene documentate in Catalogna. Lasopravvivenza delle cinque ancora in piedi, ègarantita solo in due casi: la Plaça de Toros diTarragona (1883) e Les Arenes di Barcelona

    (1900), che, con differente fortuna, hanno ormaivisto in pieno completamento l’opera di riqua-lificazione. C'è speranza per quella di Figueres(1894) che, come abbiamo visto, ha un proget-to ormai approvato. Infine, è incerto il futuroche attende le arene di Olot (1859) e LaMonumental di Barcelona (1916), quando, apartire del gennaio del 2012, diverrà effettivoil divieto della corrida in tutta la Catalogna.

    *Gemma Domènech Casadevall è Dottore di Ricerca inStoria dell'Arte presso l'università Autonoma di Barcelona(2000). Ha svolto il Post-Dottorato di Ricerca nell’IstitutoCatalano di Ricerca in Patrimonio Culturale; ha pubbli-cato diversi saggi sul patrimonio di epoca moderna e sul-l'architettura e gli architetti catalani della prima metà delsec. XX. Attualmente, la sua ricerca si concentra sull'ar-chitettura catalana del sec. XX e sui meccanismi di patri-monializzazione ad essa applicati.

    NoTE

    1) Informazioni sui tipi di rischio, si veda: G. DOMÈNECH,«Fragile heritages: an architecture between disappearan-ce and reutilization» in R. AMOêDA, S. LIRA, C. PINHERIO(eds.), Heritage 2010. Heritage and sustainable develop-ment, Green Lines Institute for Sustainable Development,Bareclos 2010, pp. 837-844.2) La corrida è una forma di intrattenimento con la par-

    tecipazione di tori, tradizionale nella penisola iberica.3) M. BOSCH, Places de braus, “Revista de Girona”, 253,(2009), pp. 78-79.4) G. DíAz, Y. RECASéNS, «Plazas de Toros», in AA. VV.,Plazas de toros, Consejería de Obras Públicas yTransportes, Dirección general de Arquitectura y Vivienda,Sevilla 1992, pp. 17-119; A. GONzáLEz, Bous, toros ibraus. una tauromàquia catalana, El Mèdol, Tarragona1996; R. FELICES, Catalunya taurina. una historia de latauromaquia catalana de la Edad Media a nuestros días,edicions Bellaterra, Barcelona 2010.5) A. GONzáLEz, op. cit., pp. 190-195; R. FELICES, op. cit.,pp. 24-27; “Inventari del fons de les Places de TorosMonumental, Les Arenes i Antiga de la Barceloneta”,Arxiu Biblioteca de Catalunya.6) A. GONzáLEz, op. cit., p. 195-201; R. FELICES, op. cit.,p. 27-31; “Inventari del fons de les Places de TorosMonumental, Les Arenes i Antiga de la Barceloneta”,Arxiu Biblioteca de Catalunya.7) AA. VV., Plazas de toros, Consejería de Obras Públicasy Transportes, Dirección general de Arquitectura yVivienda, Sevilla 1992, pp. 315-318; A. GONzáLEz, op.cit., p. 216-217; R. FELICES, op. cit., p. 40-42.8) M. BARRERA, La plaça de toros de Girona, a terra, “ElPunt”, 08.08.2006, p. 6; D. VILà, De la plaça de braus al’illa dels totxos, “El Punt”, 04.10.2010, p. 4.9) E. CAPDEFERRO, «Plaça de braus. Girona. PFC ETSAB1999», in PFC 94-99. Girona, COAC, Girona 2000, pp.10-11.10) A. GONzáLEz, op. cit., p. 218; R. FELICES, op. cit., pp.65-67.11) A. GONzáLEz, op. cit., p. 218; R. FELICES, op. cit., p.56-57; DIARI DE GIRONA, Part de l’antiga plaça de brausde Lloret serà un aparcament i un espai públic, “Diari deGirona”, 18.12.2010, p. 4.12) A. GONzáLEz, op. cit., pp. 206-209; R. FELICES, op. cit.,p. 67-68.13) A. GONzáLEz, op. cit., p. 217; R. FELICES, op. cit., p.69-70.14) A. GONzáLEz, op. cit., p. 217 e p. 214; R. FELICES,op. cit., pp. 49-50 e p. 60.15) A. GONzáLEz, op. cit., p. 209-211; R. FELICES, op. cit.,pp. 61-64.16) R. FELICES, op. cit., pp. 45-47; La remodelada plaza detoros de Tarragona no acogerá más corridas, “El País”,06.08.2010. S. CASADO, El recinte canvia a imatge cor-porativa i passa a dir-se Tàrraco Arena Plaça, “El Punt”,07.08.2010, p. 3. Si veda inoltre al sito http://www.dipu-taciodetarragona.cat/houdipu/web-dipu/totes_comar-ques/projectes/braus/index.php.17) A. GONzáLEz, op. cit., pp. 195-201; M. RICART, LasArenas, centro de ocio, “La Vanguardia. Vivir”,23.10.1999, p.1; J.V. AROCA, De Manolete a Rogers, “LaVanguardia. Vivir”, 28.06.2000, p. 1; S. ANGuLO, La cate-dral del ocio, “La Vanguardia. Vivir”, 25.03.2011, p. 1.18) A. GONzáLEz, op. cit., p. 214-216; R. FELICES, op. cit.,p. 52-53; J. PuIGBERT, La transformació de la plaça debraus de Figueres en un espai esportiu costarà 8,1 milions,“El Punt”, 13.03.2009, p. 9; J. PuIGBERT, El complex espor-tiu de la plaça de braus de Figueres s’amplia al camp defutbol, “El Punt”, 25.05.2010, p. 4; J. PuIGBERT, un pasmés per transformar la plaça de braus de Figueres, “ElPunt”, 30.07.2010, p. 6; G. TuBERT, Figueres porta laplaça de braus al ple de demà, “Diari de Girona”,17.02.2011, p. 8.

  • mo dei quali fa già parte della storia, permettedi elaborare un primo bilancio e di cogliere uncambiamento di paradigma rispetto al loroapproccio al progresso economico ed ecologico.Vedremo infatti che, in una situazione didecrescita, l’urbanistica opera meno con stru-menti di pianificazione tradizionali, intensifi-cando e ottimizzando invece ciò che già esiste,od opera invece attraverso la suggestione diuna nuova narrazione per il territorio, che siacapace di ri-incantarlo.

    Due teorie opposte - Prima di osservare piùda vicino questi due progetti, propongo di guar-dare indietro di trent’anni, pur rimanendo sulcaso di Berlino. Dopo la prima crisi petrolifera,alla fine degli anni Settanta, insieme alla crisi eco-nomica globale che ne è scaturita e all’idea diun’Europa a crescita zero, si confrontano già dueconcezioni della città completamente opposte, inrapporto al contesto in atto e alle previsioni eco-nomiche e demografiche. È indispensabile ana-lizzare più da vicino queste due concezioni poichéesse tratteggiano i fondamenti teorici dei progettiper Berlino 2000 e per Berlino 2020.

    La prima di queste concezioni, anche se arri-va un po’ più tardi della seconda, denominataricostruzione critica, è opera dell’architetto ber-linese Josef Paul Kleihues (1933-2004) e desi-gna la base teorica dell’InternationaleBauausstellung di Berlino, detta IBA3 1984-87.Ancorata al discorso neo-razionalista italiano4,tale concezione ha suggerito la morfologia stori-ca come ambito di qualsiasi progetto architetto-nico; la città europea veniva considerata comeuna sequenza di piazze, isolati, rue-corridor eparchi urbani. Il corpo spaziale della città ne risul-tava come un’entità chiaramente delimitata dauna volumetria più o meno omogenea, nella qua-le si sarebbe dovuta introdurre qualsiasi nuovaarchitettura. Così, la nozione di ricostruzioneriguardava la morfologia e, se possibile, il par-cellario pre-moderno, mentre il termine criticadescriveva l’atteggiamento verso la ricostruzio-ne esatta del parcellario, ma anche verso un’ar-chitettura storicista. Opponendosi al paesaggiourbano modernista, che aveva dominato la rico-struzione del dopoguerra, la ricostruzione criticapredicava una densificazione più o meno omo-genea del tessuto urbano e una netta divisionetra città e campagna. Sembra logico che le infra-strutture del dopoguerra, in particolare le grandi

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    VERSO LA CITTà CREATIVA?IL PROGETTO BERLIN 2020

    Florian Hertweck*

    ABSTRACT - Starting from two opposing theories that weredeveloped for the city of Berlin at the end of the 1970’s, ina shrinking context – the Archipelago City (oswaldMathias ungers and Rem Koolhaas) and the CriticalReconstruction (josef Paul Kleihues and Vittorio MagnagoLampugnani) – this contribution describes the progressof the project of Berlin 2000 to Berlin 2020. Whereas theBerlin 2000 project was strongly inspired by the CriticalReconstruction (itself inspired from Italian neo-rationali-sm),and aiming to recentralize, re-condense and homo-genize Berlin in order for it to live up to its role as thecapital of unified Germany, , the project for Berlin 2020,on the contrary, bears in mind a real economic and demo-graphic implosion that envisages Berlin as a green, openand creative city.

    As such, this project for the future of Berlin takes intoaccount the principles of the Archipelago City, and oppo-ses the general trend of future projects for metropolis seekexclusively processes of growth. This re-shaping of para-digm in Berlin urban policy shows that, in an uncertaineconomic context, European metropolitan urbanism isundergoing profound changes, shifting from a master-plantype urbanism towards approaches that are more process-driven, more imaginary and less aesthetic.

    Negli anni Ottanta è stata la storia a gui-dare la riflessione europea sulla città,mentre nel corso degli anni Novanta si è affer-mato sempre di più il futuro a determinarla. Iprogetti delle metropoli, elaborati durante l’ulti-mo decennio del sec. xx, erano infatti previstiper un futuro assai lontano. Da Rotterdam 2020a Melbourne 2030, da Chicago 2020 a Abu Dhabi2030, nell’era del villaggio globale1 e dell’effet-to serra, questi progetti hanno l’obiettivo di gene-rare una crescita economica e demografica dellapopolazione, annunciando allo stesso tempo laconversione ecologica. Se la visione a lungo ter-mine torna a essere il tema di architetti e urbani-sti, l’immaginario che si trasmette attraverso que-sti progetti suggerisce che queste città hanno unfuturo per imporsi nella competizione delle cittàdivenute globali e sincrone. Tuttavia, le previ-sioni ci dicono che alcune metropoli occidentalisubiranno un rallentamento economico e unadecrescita demografica in una situazione mon -diale sempre più incerta. Il progetto di ricercaShrinking Cities2, che ha studiato la decrescitadi città in deindustrializzazione come Manchester,Detroit o Lipsia, così come ha fatto l’IBA Saxe-Anhalt 2010, per un territorio che ha perso fino al20% della sua popolazione dopo la caduta delMuro, sono delle testimonianze di questo attua-le fenomeno. Sembra quindi che la decrescitaabbia un futuro e ciò pone delle questioni: qualesarebbe la natura di un progetto per il futuro diuna città che, molto probabilmente, non sarà inve-stita da uno sviluppo economico negli anni avenire? Potrebbe essere un progetto il cui imma-ginario si colloca al di sopra di tutte le previsio-ni per liberare, attraverso il suo ottimismo, forzee azioni capaci d’invertire tale situazione? Osarebbe piuttosto un progetto che accetta ilfuturo incerto per proporre nuove risposte alcalo demografico?

    Dopo la caduta del Muro, la città di Berlinoha adottato in successione tali due strategie con-trapposte. Il progetto di ricostruzione di Berlino,Berlino 2000, aveva prospettato all’inizio deglianni Novanta l’immaginario di un futuro pro-spero - la famosa metafora dei paesaggi in fioredel Cancelliere Kohl - mentre opinioni più criti-che facevano notare l’improbabilità di questostesso scenario. Tuttavia, il progetto per Berlino2020 rende oggi conto del reale rallentamentoeconomico e dell’attuale stagnazione demogra-fica. La successione di questi due progetti, il pri-

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    dell’IBA (e ungers il suo direttore), tiene contodella reale decrescita economica e demograficache aveva colpito Berlino dalla costruzione delMuro, nel 19618. Influenzati dalle città america-ne in declino, ungers e i suoi collaboratori sioppongono all’illusione della ricostruzionemorfologica della città, perché questa densifica-zione contraddiceva la reale evoluzione demo-grafica. Nel primo testo del manifesto, cheKoolhaas aveva redatto nel 1977, si legge:«L’idea attuale che le aree interne alla città possa-no essere riabilitate soltanto attraverso un incre-mento delle costruzioni che ripristini uno statoideale è controproducente e va esorcizzata»9.

    Al contrario, gli autori proponevano ciò cheessi definivano un approccio antitetico10 : da unlato, dopo aver identificato i poli con un poten-ziale di crescita, si dovevano intensificare questipoli nella loro identità; dall’altro, creare dellestrategie capaci di restituire alla natura queglispazi della città che avrebbero sperimentato unadecrescita. «Tali enclaves, liberate dall’anoni-mato della città vorrebbero dare forma - secondoungers, Koolhaas e gli altri - a un arcipelagourbano verde in una laguna naturale, grazie allaloro qualità di pseudo-isole»11. Di conseguenza,Berlino consisterebbe in «una federazione di pic-cole città uniche»12, tra le quali essi propongonodi collocare dei servizi sportivi e ricreativi, deiparchi e dei terreni agricoli. Con un atteggia-mento surrealista, Koolhaas propone addiritturadi animare questi luoghi interstiziali con dellebattute di caccia. Accentuando il carattere estre-mamente policentrico di Berlino, la città arcipe-lago si caratterizza come un concetto di territoriocostituito da poli molto intensi, al fine di mante-nere o addirittura di rinforzare un’urbanità vita-le, e di grandi spazi intermedi per i quali si abban-donerebbe la pianificazione urbana in favore dioperazioni-evento. Per la prima volta nella storiadell’architettura si elabora un manifesto chetematizza la decrescita, integrando nuovi stru-menti urbanistici. Tuttavia, pur essendo questaseconda concezione più realistica riguardo l’in-tegrazione delle previsioni economiche e demo-grafiche, essa era politicamente irrealizzabile,soprattutto perché all’epoca la critica al progres-so economico non era ancora abbastanza poten-te da determinare una reale revisione politica.

    Nell’euforia: Berlino 2000 - Lo scrittore olan-dese Cees Nooteboom così scrive, poco dopo lacaduta del Muro: «Tutti sanno che l’unione poli-

    grande tentativo di applicare il tema della «rico-struzione della città europea» a una realtà urba-na (dopo Bologna e Barcellona, certo, ma aduna scala molto più ampia).

    La seconda di tali due concezioni della città,denominata The City in the city. Berlin, A GreenArchipelago6 è stata elaborata nel 1977 duranteuna Scuola estiva diretta da Oswald Mathiasungers, presso la Cornell university di Berlino,alla quale sono intervenuti con i loro contributi igiovani Rem Koolhaas e Hans Kollhoff7. Talemanifesto, che doveva essere all’origine la base

    autostrade urbane, spine dorsali della ricostru-zione berlinese, siano state avvertite come ostilia questa visione di urbanità. Parallelamenteall’abbandono di progetti di grandi infrastrutturein corso5, alcune di queste autostrade sono stateallora trasformate in strade, non soltanto per recu-perare il tracciato storico della città, ma ancheper rallentare la circolazione e, infine, per elimi-nare il più possibile le automobili dalla città. Acausa del suo disprezzo per le infrastrutture,per il valore ideologico conferito alla densitàe alla tipo-morfologia, l’IBA è stato il primo

    Berlino, ancor prima di Shanghai, ha mostrato al mondo il grande cantiere della metropoli. Questo modello è stato realizzato per ottenere il consenso pubblico al progettodi Berlino 2000.

    Il Manifesto di The City in the City. Berlin, A Green Archipelago è stato presentato nel 1977 da oswald Mathiasungers, Rem Koolhaas, Peter Riemann, Hans Kollhoff e Arthur ovaska, interessati alla decrescita economica edemografica della città.

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    tica sarà presto realtà, ma allo stesso tempo, sia-mo sorpresi dalla velocità con cui ha luogo que-sto processo . Come se i cambiamenti avesseroadottato una propria dinamica che sfugge a qual-siasi controllo»13. È in questa atmosfera incon-trollata, euforica e irrazionale, che è nato il pro-getto di ricostruzione di Berlino. Dopo il votodel Bundestag nel 1991 per eleggere Berlinocome nuova capitale, la grande maggioranza deipolitici, gi ornalisti e intellettuali tedeschi si aspet-tava che l’antica città divisa riprendesse nuova-mente le funzioni politiche, economiche e cul-turali14, e che divenisse, nel processo di allarga-mento dell’unione Europea, una delle grandimetropoli dell’Europa centrale15. Sulla base ditale ottimismo, ci si attendeva ugualmente chela popolazione di Berlino crescesse da 3,5 a 5milioni di abitanti16 nel 2000. Per rafforzare taliprevisioni economiche e demografiche, il Senato

    di Berlino definiva all’inizio degli anni Novantaalcuni progetti politici, urbanistici, infrastrutturalie di eventi, dai quali sperava un effetto recipro-co sugli sviluppi economici e anche su una con-ferma delle proprie previsioni.

    Il primo di questi progetti è la fusione traBerlino e il Brandeburgo per arrestare la com-petizione tra i due Länder e per rendere più effi-caci le decisioni politiche alla scala della grandeagglomerazione. un altro progetto consiste nel-la candidatura ai Giochi Olimpici del 2000 e neiconcorsi di urbanistica, infrastrutture e architet-tura legati alla presentazione della candidatura.Parallelamente a questi progetti, il Senato lanciaanche dei grandi concorsi di urbanistica e archi-tettura come quello dello Spreebogen, per il com-plesso di edifici del Governo o come quelli del-le grandi piazze storiche e dei loro contesti, qua-li ad esempio la Potsdamer Platz e

    l’Alexanderplatz. Il Senato, inoltre, chiede al suosettore di urbanistica di sviluppare una strategiaurbana per la ricostruzione della città, soprattut-to per le molte aree vuote e dismesse di BerlinoEst, il centro antico della città che, secondo leprevisioni più ottimistiche, doveva divenire ilcentro della nuova capitale. Pur se molti archi-tetti, storici e critici chiedono un approccio piùdiversificato ed eterogeneo, soprattutto in ter-mini di densità, in particolare ungers eKoolhaas che difendono la loro idea di cittàarcipelago17, il Senato sceglie la «ricostruzionecritica»18 e la istituzionalizza come dottrina uffi-ciale per qualsiasi progetto architettonico dellanuova Berlino. Tale divisione poteva sostener-si sulla base delle aspettative economiche edemografiche che, in questa fase di euforia col-lettiva, più che negli anni ‘70, sembravano legit-timare una tendenza alla densificazione omo-genea e alla centralizzazione urbana.

    Tuttavia, la «ricostruzione critica» degli anniNovanta non è quella degli anni Ottanta. Menoricostruzione del parcellario, per soddisfare leesigenze fondiarie dei nuovi investitori, e menocritica rispetto all’architettura storicista, la nuo-va versione si confronta adesso con l’immagineurbana. I nuovi protagonisti della ricostruzionecritica, soprattutto il direttore dell’ufficio di urba-nistica Hans Stimmann, che si considerava il nuo-vo Barone Haussmann, ma anche l’architettoHans Kollhoff19 e i teorici Vittorio MagnagoLampugnani e Fritz Neumeyer, che all’iniziodegli anni Novanta si adattano tutti indiscutibil-mente alla nuova dottrina, mirano ad evitare qual-siasi sperimentazione architettonica, al fine direndere omogenea la fisionomia di Berlino.Contrariamente all’IBA, che promoveva unadiversità di diversi approcci architettonici, ovesi integrassero con il tracciato storico, l’architet-tura contemporanea è ormai bandita dalla rico-struzione di Berlino, a profitto dell’immagine-guida della Steinernes Berlin, la «Berlino di pie-tra». Radicalizzando la teoria della permanenzadi Aldo Rossi - la permanenza della strutturaurbana è sostituita dai berlinesi dalla permanen-za materiale dell’architettura - questa immagineconservatrice aveva la vocazione di simboleg-giare la fine della separazione tedesca attraversoun ritorno al passato. «Berlino deve somigliare aBerlino. Ma cosa vuol dire?»20, si domandava ilcritico Paul Goldberger sul New yorker. La rispo-sta data a questa domanda difficile dalla rico-struzione critica è l’immagine di una Berlinoprecedente al Movimento moderno, che è con-siderato anti-urbano e rappresentativo dei dueStati del dopoguerra. Sembra logico che, nel cor-so di questa storicizzazione, il Senato cercassedi distruggere i resti del dopoguerra. Se la famo-sa strategia della Rückbau ovvero della «costru-zione all’indietro» riguardava negli anni Ottantasoltanto le infrastrutture del Moderno, questosinonimo di distruzione, rivelato da tale approc-cio storicista, sarà adesso applicato all’architet-tura moderna. A ciò è conseguito che i sostenitoridella «ricostruzione critica» si siano trasformatinegli anni Novanta in avvocati della ricostruzio-ne cosiddetta «à l’identique» di edifici storicicome il castello degli Hohenzollern o laBauakademie di Karl Friedrich Schinkel, condi-zione che esprime sia la delusione per l’architet-tura contemporanea che l’ambizione conserva-

    La famosa Friedrichstraße, asse nord-sud di Berlino, è stata la prima porzione della ricostruzione criti-ca di Berlino. L’idea della ricostruzione della città europea è stata qui attribuita attraverso l'allinea-mento della strada, il rispetto di un’altezza massima di 22 m, la costruzione di edifici che costituivano unisolato continuo rivestito in pietra.

    L’installazione di una spiaggia temporanea era volta a migliorare una delle tante aree dismesse della città attra-verso un progetto dolce.

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    trice di creare un’identità nazionale. Tale radica-lizzazione della «ricostruzione critica» mostraperò anche che il progetto per Berlino 2000 rap-presenta una transizione in «versione tedesca»del discorso sulle città: mentre guarda verso ilfuturo, il 2000, il vero tema rimane la storia, e inparticolare il suo ideale urbano del sec. xIx.

    Tale postulato retrogrado non risparmiò dicerto le infrastrutture. Esse sono percepite comeparassiti modernisti di quell’immagine roman-tica della città del sec. xIx che si cerca diimpiantare. Bisogna precisare però che è pro-prio una questione di immagine, poiché il Senatoe i suoi sostenitori erano consapevoli dellanecessità di infrastrutture al passo con i tempiper acquisire lo status di metropoli europea. Persuperare questa contraddizione tra il bisognod’infrastrutture e la negazione della loro imma-gine, il Senato perseguì la strategia di una

    modernizzazione invisibile e previde la costru-zione di enormi tunnel: per collegare le lineedella metropolitana, interrotte a seguito dellaseparazione della città, per interrare la nuovarete ferroviaria ad alta velocità21 e, infine, pernascondere un’autostrada urbana22. Così, il pro-getto delle infrastrutture negli anni Novanta con-siste nel trasformare i due sistemi separati,rispettivamente realizzati nel dopoguerra perBerlino-Ovest e Berlino-Est, in un’unica rete,a priori invisibile, per la nuova capitale. A segui-to di questa strategia di unificazione, il Senatosi propose di realizzare dei nuovi progetti diarchitettura che avrebbero accompagnato l’in-gresso e l’uscita dei flussi: invece d’ingrandirei due aeroporti - Tegel a ovest e Schönefeld aest - si preferì realizzare un nuovo aeroporto;piuttosto che ampliare le due stazioni esistenti -Bahnhof zoo a ovest e ostbahnhof a est – si

    avviò il progetto di una nuova stazione centra-le sul sito della vecchia stazione LehrterBahnhof23. Tale nuova stazione sarebbe stata lapiù grande d’Europa e contrasta, per la suamonumentalità, con l’invisibilità delle infra-strutture. Da una parte, si tratta, ancora una vol-ta, di rendere giustizia al futuro ruolo di Berlinocome centro di gravitazione europeo, d’altraparte, la dimensione di questi progetti è desun-ta dalle previsioni economiche e demograficheelaborate per Berlino 2000. La stazione è stataprogettata per servire cinque milioni di abitan-ti e un milione di viaggiatori al giorno. E seoggi appare del tutto fuor di misura, impianta-ta in un luogo che resta un deserto urbano, èperché essa è il frutto, come gli altri progettiper la ricostruzione di Berlino, dell’euforia delprocesso di riunificazione e di una visione estre-mamente ottimistica dell’avvenire.

    Dopo l’euforia: Berlino 2020 - Venti annidopo, constatiamo che le aspettative di quel tem-po sono state deluse e che la maggior parte deiprogetti sono falliti o sono stati elaborati per usiche non esistono. Il progetto di fusione dei dueLänder Berlino e Brandeburgo è stato abbando-nato a causa del voto referendario negativo diBrandeburgo, la candidatura di Berlino per leOlimpiadi è fallita e il progetto vincitore del con-corso per l’Alexanderplatz non sarà realizzatoper mancanza di investitori. Altri progetti, comeil piano di Axel Schultes per il complesso di edi-fici del governo, non sono stati realizzati, seguen-do le indicazioni espresse dai progettisti, perragioni finanziarie. In effetti, la municipalità ècrivellata dai debiti e la città si confronta con unadisoccupazione incrementata del 18%. A ecce-zione della società delle Ferrovie, ancora di pro-prietà dello Stato, nessuna tra le grandi impreseha spostato il suo quartier generale a Berlino.Contrariamente alle previsioni di politici ed eco-nomisti, Berlino non è stata in grado di concen-trare in sé funzioni economiche a livello nazio-nale o europeo. Le principali città tedesche han-no potuto mantenere il loro profilo economico:Francoforte come centro finanziario, Amburgocome città dei media, Monaco di Baviera comepolo tecnologico, Stoccarda come centro indu-striale, ecc. Di conseguenza, il numero di abi-tanti è diminuito: invece di raggiungere 5 milio-ni nel 2000, la popolazione di Berlino si è leg-germente ridotta, scendendo a 3,38 milioni e daallora è stabilizzata a questo livello. Il progettoper Berlino 2000 si è dunque basato su previsio-ni lontane dall’essere divenute realtà.

    L’obiettivo non è qui di emettere un giudi-zio su questo fallimento o d’immaginare cosasarebbe successo se questo progetto di ricostru-zione fosse stato più modesto, dando ascolto allevoci più critiche24 che si erano levate sin dall’i-nizio degli anni Novanta. Ciò che ci interessa ècomprendere la natura di questi progetti di metro-poli e la loro correlazione con gli sviluppi eco-nomici e demografici: più in particolare, interes-sa come, attraverso l’immaginario che tali pro-getti comunicano, i loro iniziatori speravano digenerare crescita economica e demografica.Anche se il progetto per la ricostruzione Berlino2000 era basato su aspettative che, già nei primianni Novanta, erano ritenute altamente impro-babili, esso, attraverso il suo immaginario, ha

    La copertina del futuro nuovo progetto Berlino 2020 esprime il cambiamento di paradigma, da una pianifi-cazione urbana rigorosa a una più dolce.

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    messo in circolo un’energia collettiva che di cer-to non si sarebbe sviluppata con un progetto piùmodesto. Così, Manfred Sinz, ricercatore pressoil Bundesanstalt für Landeskunde undRaumordnung (Istituto Nazionale per laProgettazione del Territorio), nel 1995 avevasuggerito che, sebbene le condizioni economi-che a Berlino fossero catastrofiche «l’ottimismopotrebbe avere l’effetto una profezia ad auto-compimento». La questione essenziale sarebbe,secondo l’economista, «se l’immaginario puòresistere alla realtà, se, cioè, possiamo riuscire acongiungere la realtà all’immagine proiettata»25.

    I progetti per il futuro delle metropoli citatiall’inizio sono di certo motivati da tale correla-zione. Appare chiaro, d’altronde, che il progettoper Berlino 2020 non segue - ancora - la stessalogica. Contrariamente alle aspettative euforichelegate alla caduta del Muro, i dati ufficiali deinostri giorni innescano una forma di pessimi-

    smo. Le previsioni oscillano intorno a una decre-scita demografica stimata tra 10 e 20 milioni del-la popolazione tedesca entro il 205026. Nella pre-fazione alla brochure che presenta il progetto disviluppo urbano Berlino 2020, la neo-senatriceper lo sviluppo urbano Ingeborg Junge-Reyerammette che le previsioni dei primi anni Novantanon si sono realizzate e annuncia l’avvento di unnuovo realismo nella politica urbana dei prossi-mi due decenni. Pertanto, il progetto Berlino 2020non consiste più di grandi progetti architettonici,urbanistici o infrastrutturali, ma prende coscien-za delle qualità intrinseche della città e proponedi intensificarle e ottimizzarle. Poiché il turismoè l’unico mercato in forte crescita a Berlino (aquanto pare, Berlino ha addirittura raddoppiato ilnumero dei turisti rispetto a Roma), il progettoBerlino 2020 mira ad intensificare la correlazio-ne tra la nuova immagine di Berlino e i suoi effet-ti sull’immigrazione a breve o lungo termine, sia

    per ringiovanire e stabilizzare la popolazione cheper rafforzare il mercato del turismo.

    Tre fenomeni spiegano tale cambiamento diparadigma: il primo è l’autenticità storica. SeParigi ci mostra la metropoli del sec. xIx e Romala città antica, Berlino ci racconta invece la sto-ria del sec. xx. Secondo il regista Wim Wenders,Berlino è come un libro di storia recente: è attra-verso gli enormi fronti ciechi e sbiechi, le gran-di aree dismesse al centro della città, i molti col-pi di proiettile sulle facciate degli edifici cheimpariamo a conoscere i crimini del sec. xx. Adifferenza dei monumenti di Parigi o di Roma, aBerlino si tratta di vuoti che svolgono un ruolomnemo-tecnico, come ha fatto notareNooteboom: «Berlino è una città di mancanze,una città bombardata, imprigionata, una città dal-le proibizioni misteriose». I visitatori vengono aBerlino per respirare l’aura della recente storiad’Europa, che comprende anche la storia deldopoguerra: i resti della DDR, il Muro, gli edifi-ci prefabbricati, la Torre delle emittenti televisi-ve e i frammenti del realismo socialista come laStalinallee. Berlino, in quanto luogo per eccel-lenza in cui la storia del sec. xx si è conden-sata, malgrado i tentativi di cancellare questadolorosa parte della storia nazionale, incarnaoggi un museo vivente di questa stessa storia,ciò che spiega in gran parte la sua attrazionein un momento in cui il principio della dispo-nibilità rimpiazza sempre più frequentemente ilvalore dell’autenticità.

    In secondo luogo, temendo che il progetto diricostruzione critica avrebbe trasformato Berlinoin una metropoli internazionale e monumentale,la scena off ha generato una vera e propria con-tro-reazione, riattivando spazi inesplorati, areeurbane dismesse, edifici abbandonati, quei famo-si vuoti berlinesi che i sostenitori di una Berlinodi pietra miravano a occupare. Tali azioni da bio-topo contro-culturale, che includono le spiaggeurbane, le feste illegali, le performance artisticheo i club nomadi, hanno in effetti stregato un cer-to numero di quartieri berlinesi, costituendo ilmito della Nuova Berlino. A tale fenomeno con-tro-culturale si aggiunge la grande offerta pro-dotta dalla cultura alta, una scena straordinariadi musei, filarmoniche, teatri e opera: si tratta diuna scena prestigiosa più del doppio rispetto adaltre città comparabili, in quanto largamentesovvenzionata durante il periodo di divisionedella città, al fine di fare prevalere la superioritàideologica di una parte sull’altra. Tale paesaggioculturale così diversificato, che profitta sia delterreno ancora fertile della guerra fredda chedello statuto di nuova capitale, spiega anche laforza di attrazione della città.

    In terzo luogo, il progetto di una Berlino dipietra non è riuscito a trasformarne il caratterepolicentrico, eterogeneo e frammentato in quel-lo di una città centralizzata, omogenea e unitaria,e ciò è piuttosto una qualità che un difetto.Berlino, il cui perimetro è otto volte maggioredi quello di Parigi intra-muros, è più che mai unacittà-territorio, ciò che noi, urbanisti tedeschi,chiamiamo Stadtlandschaft: un territorio che riu-nisce in sé sia la città che la campagna. È perquesta condizione ibrida tra cultura e natura cheBerlino è vista come una città verde, a differen-za di Parigi o Roma che sono viste come città dipietra, l’urbano per definizione. Proprio per que-

    una caratteristica della città è la presenza di numerosi vuoti urbani; al contrario di ciò che ha spessomostrato Wim Wenders nei suoi films, Berlino è una città aperta e non chiusa.

    I bar lungo la spiaggia somigliano sempre più a quello vicino alla Cancelleria che attrae anche gli uominipolitici.

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    sto motivo (oltre che per il basso costo della vita)molti abitan