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Consorzio Venezia Ricerche Sezione 2 Pagina 1 SEZIONE 2. IMPATTO IDRODINAMICO E PROPULSIONE PLAUSIBILE La resistenza all’avanzamento e l’inquinamento idrodinamico In mare aperto, conoscere l’altezza dell’onda generata da una nave riveste poco interesse: per quanto alta, l’onda si disperde e si attenua in spazi più piccoli di quelli che sono i minimi prudenziali nelle manovre fra una nave e l’altra, vale a dire svariate centinaia di metri; inoltre per mare non c’è grande affollamento. Un interesse a limitare quest’altezza d’onda in realtà esiste, ma è d’altra natura: l’onda generata dalla carena è solo una dispersione dell’energia che è stata fornita dal motore e va a muovere l’acqua invece che lo scafo. Un’efficienza propulsiva massima si raggiungerebbe, idealmente, muovendo lo scafo senza muovere l’acqua: generare un’onda elevata equivale ad una bassa efficienza della nave ed uno spreco di risorse. Su una nave con impianti propulsivi da decine di migliaia di cavalli, qualche percento in più od in meno di energia sfruttata significano centinaia e migliaia di cavalli, decine di tonnellate di combustibile ogni giorno. Un criterio identico è stato seguito empiricamente per secoli dai costruttori di navi e battelli in tutto il mondo: se la potenza disponibile è limitata (il vento od i remi) o costosa (i primi motori a vapore od endotermici, i grandi motori attuali), allora più è efficiente la carena, maggiore sarà la velocità raggiunta a pari impiego di risorse. Del tutto casualmente, la

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SEZIONE 2. IMPATTO IDRODINAMICO E PROPULSIONE PLAUSIBILE

La resistenza all’avanzamento e l’inquinamento idrodinamico

In mare aperto, conoscere l’altezza dell’onda generata da una nave riveste poco interesse:

per quanto alta, l’onda si disperde e si attenua in spazi più piccoli di quelli che sono i

minimi prudenziali nelle manovre fra una nave e l’altra, vale a dire svariate centinaia di

metri; inoltre per mare non c’è grande affollamento.

Un interesse a limitare quest’altezza d’onda in realtà esiste, ma è d’altra natura: l’onda

generata dalla carena è solo una dispersione dell’energia che è stata fornita dal motore e

va a muovere l’acqua invece che lo scafo. Un’efficienza propulsiva massima si

raggiungerebbe, idealmente, muovendo lo scafo senza muovere l’acqua: generare

un’onda elevata equivale ad una bassa efficienza della nave ed uno spreco di risorse.

Su una nave con impianti propulsivi da decine di migliaia di cavalli, qualche percento in più

od in meno di energia sfruttata significano centinaia e migliaia di cavalli, decine di

tonnellate di combustibile ogni giorno.

Un criterio identico è stato seguito empiricamente per secoli dai costruttori di navi e battelli

in tutto il mondo: se la potenza disponibile è limitata (il vento od i remi) o costosa (i primi

motori a vapore od endotermici, i grandi motori attuali), allora più è efficiente la carena,

maggiore sarà la velocità raggiunta a pari impiego di risorse. Del tutto casualmente, la

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carena efficiente fa anche poca onda, ma è, per così dire, un effetto riflesso che interessa

solo l’ambito lagunare.

In questo caso però, la dissipazione è nefasta innanzitutto per i danni che arreca alle

barene ed alle murature, ed i termini del problema s’invertono. Il guadagno del

contenimento di dispersione energetica non viene all’operatore del battello, per spendere

meno a produrre trasporto, ma al bene pubblico, che deve essere mantenuto con costi

minimi.

Beneficiato e responsabile non coincidono più: non solo, hanno in questo caso interessi

contrapposti. E’ caduto così il fattore principale che ha spinto nei secoli a far buone

carene, migliori di quelle attuali: costruire carene efficienti nelle piccole barche non è

purtroppo utile per commerciarle, perché il loro maggior prezzo non porta vantaggi

all’acquirente.

Le carene a bassa dissipazione

In un’imbarcazione le forme dello scafo immerso, in altre parole la sua descrizione sul

foglio da disegno, sono chiamate fra gli specialisti ‘le linee di carena’. Per loro tutto quanto

di una nave o di un galleggiante sta sotto l’acqua è la carena.

Sempre per gli specialisti, quello che conta sta sott’acqua, non sopra. Una tradizione

marinaresca ormai quasi scomparsa distingue lo scafo in opera viva, la carena, quella

importante per essere nave e per confrontarsi con l’acqua, e l’opera morta, quella che sta

sopra l’acqua. Si vede, ma non conta quasi nulla per le qualità marine, che sono invece

molto per chi va per mare.

Una progressiva e recente rivoluzione nella sensibilità generale ha portato in ogni campo a

preferire l’apparenza alla sostanza. E’ diventato anche molto più difficile far comprendere

che in un battello quello che conta in verità sta sotto, e non si vede. Quanto si vede, che

entusiasma e che si vende invece sta sopra, accessibile a tutti e non solo agli esperti. A

questo non ha dato un aiuto l’ambiente lagunare, che in effetti, onde a parte, è poco

esigente per le altre qualità marine di una carena, come la tenuta al mare, il ridotto

movimento in mare, la sensibilità al timone etc.

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L’altro grosso problema di popolarità, per una carena, è che nessuno è ancora riuscito ad

inchiodarla su una forma fissa, in un criterio canonico facile da ricopiare ed adatto alla

maggior parte dei casi pratici. La buona carena non è quella che appaga l’occhio, ma

quella che piace all’acqua, e l’acqua ha gusti complicati. Per molti secoli è esistito un forte

motivo per costruire belle carene che piacessero all’acqua. Si chiama ‘legge della

massima economia dello sforzo’: se la carena andava avanti a forza di vento o di remi,

andare più in fretta del nemico, dei pesci, dei concorrenti era bene. Anche con i remi, i

rematori facevano meno fatica, e lavoravano più a lungo. Né la situazione migliorò molto

con i motori appena inventati, così piccoli ed inaffidabili fino a pochi decenni fa. Insomma,

per venti secoli è valsa la pena di cercare almeno di fare buone carene, anche se

costavano molto in soldi e fatica. Far carene a bassa dissipazione, od elevato rendimento

che dir si voglia, è stata un’arte sviluppata per secoli specialmente a scopo militare: quasi

nessun commercio giustificava tali spese se non, proprio da ultimo, il lucrossimo traffico

del tè, il contrabbando od il traffico degli schiavi. Anche ora il traffico di clandestini o

d’eroina, o le competizioni motonautiche sono i soli che giustificano i forti investimenti a

studiare carene efficienti, in questo caso plananti.

Il cutter delle dogane statunitensi del 1832, le cui linee di carena sono mostrate in figura

sottostante ha le dimensioni approssimative di un lancione GT attuale. Era in grado di

superare i 14 nodi, grazie anche ad una velatura perfezionata almeno quanto la sua

carena. Questa barca, nonostante le dimensioni, generava un’onda quasi impercettibile

richiedendo potenze equivalenti a poche decine di cavalli, ma è profondamente diversa da

quanto adesso propone il mercato.

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La motorizzazione e l’inquinamento idrodinamico

La motorizzazione a basso costo degli ultimi trenta-quarant’anni ha definitivamente

rovesciato i termini del problema: non c’è più vincolo né tecnico né economico nel disporre

di potenza propulsiva esuberante da installare. La velocità è cresciuta, senza dubbio, e

non in modo proporzionato alla crescita di potenza, bensì molto meno.

Sui battelli medio-piccoli la direzione della ricerca e del mercato insomma si è invertita:

non si riecrcano più forme idrodinamicamente accurate senza badare alle spese della

costruzione, ma verso forme sempre più semplici e rozze badando principalmente

all’economia di costruzione, perché al resto pensa il motore. Questa tendenza ha un

calcolo economico ben corretto alla sua base che non è proprio solo del campo navale.

Esteriorizzare i costi indiretti minimizzando quelli diretti è tipica evoluzione della tecnologia

‘pesante’ e della civiltà della macchina.

Dell’inquinamento ambientale, dei danni indiretti, dell’eccessiva standardizzazione

produttiva e dei suoi costi in pochi si sono preoccupati: tutto ciò che portava un vantaggio

economico diretto ed immediato ha avuto il predominio su quanto è travasato ad altri, sotto

forma di costo e di danno, specie in mancanza d’un efficace ed organizzato contrappeso

politico. Trovare modi per far pagare costi all’esterno, tenendo per sé guadagni e risparmi,

è una prassi abbastanza comune. Questa tendenza nei paesi avanzati è stata in costante

affermazione anche se cominciano a crearsi stimoli di contrasto e di reazione, cominciati

negli Stati Uniti già quindici – venti anni fa ed in via di diffusione anche in Europa.

Sulle imbarcazioni lagunari, il meccanismo di esteriorizzazione dei costi è quello già

descritto, non diverso da quello verificatosi nella motorizzazione di massa, o nel turismo

non pianificato.

Basta aggiungere, in questa luce, che qualunque scostamento sia intervenuto nella

tradizione costruttiva consolidata nei materiali, nelle forme o per la motorizzazione stessa,

ha portato un effetto positivo sulla riduzione dei costi iniziali d’acquisto dell’oggetto, ma

uno negativo sulla riduzione della sua efficienza idrodinamica. 1

1 Si pensi al ben diverso costo della manodopera specializzata fra adesso e nel XVII° secolo, ed anche alla

ricchezza inventiva che derivava dal numero. Gli esperti maestri d’ascia nel XVII° secolo, ma anche bottai o scalpellini erano molto più numerosi, abili ed assai più a buon mercato di oggi.

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Il primo scostamento di base dallo scenario tradizionale è stata la richiesta d’aumento di

velocità. L’effetto dell’introduzione del motore in massa, negli ultimi decenni, è stato quindi

di un deterioramento veloce e sotterraneo della qualità della flotta lagunare in termini

d’efficienza idrodinamica.

Discutere dunque se esista o no una carena ‘ottima’ per andare in laguna è fuorviante, e

serve solo a distogliere dall’essenza del problema. Non esisteva nel passato una

soluzione unica alla limitazione del moto ondoso, perché il problema del moto ondoso non

si è mai posto: non si è quindi sviluppata una ‘selezione naturale’ delle carene in tal senso.

Sotto il profilo tecnico il fatto che alcune linee di carena siano antiche non significa nulla

sulla loro bontà, se questa ‘antichità’, o ‘capacità di sopravvivenza’ non è la conseguenza

di una qualità intrinseca di risposta ad un problema ancora attuale, affinata dal tempo.

Le linee idrodinamiche del passato non sono una arcadico rimedio tecnico ad un problema

di oggi: quelle linee vanno preservate e protette per ragioni storiche, filologiche e

sentimentali, magari anche per un calcolo economico-turistico che forse dovrebbe più

frequentemente 2 esser presente all’opinione pubblica, e non perché quelle linee fossero

con due secoli d’anticipo le migliori soluzioni idrodinamiche ad un problema che a quel

tempo non esisteva e che è nato col motore. 3

Nel momento in cui si coniugano a quelle linee un motore, (o si costruiscono in VTR

invece che in legno) non si parte più dalle stesse condizioni d’origine, e la loro efficienza

crolla.4

2 Una vera ed inesauribile ricchezza turistica, che si apprezzerà sempre di più, sta nella originalità autentica

con cui nessuna imitazione, per quanto accurata, riesce a competere, se non altro per gli elevatissimi costi che un’’imitazione moderna’ attendibile e credibile comporta. Insomma, costa meno conservare le gondole a Venezia, che ricostruire Venezia a Las Vegas.

3 Le imbarcazioni tipiche lagunari non sono soluzioni idrodinamiche ottime, specie a velocità più alte. Specialmente le imbarcazioni venete per uso locale a remi sono soluzioni funzionali allo scopo, ma non idrodinamicamente parlando. La stessa gondola è una brillante soluzione ad un problema di trasporto locale, ma le sue qualità marine sono scarse anche con due rematori. Non a caso le gondole evitano l’attraversamento del canale della Giudecca per l’eccessivo momento di inerzia longitudinale e conseguente esagerato beccheggio in acqua appena poco agitata.

4 Questo perché cambiano in modo totale i pesi, gli sforzi, le reazioni dell’acqua, insomma tutto quanto contribuisce a plasmare una carena in modo piuttosto che in un altro, indipendentemente dall’età.

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Alcuni elementi d’idrodinamica delle carene dislocanti

Sono molti i fattori che intervengono nel disegno di una carena, tanto che tradizionalmente

la si considerava più un’arte che una scienza. L’uso d’elaboratore con programmi per

soluzioni preconfezionate e la diffusa mancanza d’interesse alle prestazioni ha appiattito il

disegno a semplice ripetizione di linee molto semplici e schematiche. Non è così come

visto per le navi maggiori, dove i risparmi di potenza e di combustibile sono imponenti e

ben giustificano studi ed affinamenti caso per caso, e neppure per le barche a vela

moderne, anche se piccine 5.

La resistenza all’avanzamento nell’acqua è sostanzialmente dovuta a due fattori,

• l’attrito che l’acqua esercita sulla superficie in movimento, e fra le proprie

molecole (resistenza d’attrito). Un carena foderata di cartavetro chiede più

potenza di una lucidata a specchio, anche se di forma identica;

• l’energia che è trasmessa alle molecole come impulso dal corpo immerso che si

sposta (resistenza residua o, grossolanamente, resistenza d’onda). Questa

dipende sostanzialmente dalla forma, dimensioni e posizione di avanzamento

dello scafo.

Esistono altre voci nel bilancio della resistenza all’avanzamento, come la resistenza dei

vortici, di frangente etc, ma non cambiano la natura del fenomeno: una parte di sforzo va

fatto per ‘strisciare attraverso l’acqua’, e l’altro per ‘separare e farsi strada nell’acqua’.

La trasmissione d’energia all’acqua che lo scafo deve garantire per ‘farsi strada’

intuitivamente dipende dalla sua forma, dalle dimensioni e dalla sua velocità. Essendo

l’acqua un fluido, con un peso ma privo di forma propria, non ha problemi particolari ad

adattarsi e ‘farsi da parte’ se sollecitato con gentilezza, cioè a bassa velocità e bassa

intensità di energia. La sua inerzia – è un fluido ma non è privo di peso - gli impedisce

invece di ‘farsi da parte molto ed in fretta’. L’acqua assume allora la consistenza del

cemento armato, perché non sa più dove trasmettere a sua volta l’energia ricevuta, ed

5 Un noto progettista di yachts a vela ha scritto che “… il processo di disegno di una buona carena è molto

simile al successo nella conquista di una bella donna: per quanto si conoscano in anticipo i principi generali, quando si arriva in fondo non si ha la più pallida idea di come sia effettivamente potuto accadere”

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obbedire così all’universale principio di conservazione dell’energia. Si rifiuta di obbedire,

insomma, perché violerebbe una legge di natura: tanta energia ricevo, tanta ne devo

trasmettere, immagazzinandola o riversandola sull’esterno.

La conservazione dell’energia, tanto prendo e tanto do, nei fluidi incomprimibili come

l’acqua assume la forma di un bilancio profitti e perdite noto come ‘teorema di Bernouilli’.

Dice in sostanza Bernouilli che l’energia totale nell’acqua può essere sotto forma di

velocità, oppure di pressione statica, o di una combinazione delle due, ma che il totale non

può cambiare. In altre parole, se un punto di una massa d’acqua si sposta con una data

velocità, arrestandosi improvvisamente si deve mantenere l’ energia totale costante, e

quindi deve aumentare la pressione statica nel punto. All’atto pratico, in un volume

d’acqua che non è limitato superiormente da alcun vincolo e che è soggetto alla forza di

gravità, la pressione nei vari punti aumenta perché si solleva il livello, e scende quando il

livello scende. Non esiste, nel piano verticale, correlazione migliore fra la superficie del

pelo libero ed il regime delle pressioni sottostanti di quella che si instaura

spontaneamente.

Il risultato è mostrato in figura: per seguire la forma dello scafo e l’ostacolo che impone,

l’acqua varia via via la sua velocità, e la superficie si alza ed abbassa di conseguenza.

Questi movimenti delle masse d’acqua comportano però un dispendio di energia non

reversibile, dato che ben difficilmente questi giochi di pressione-altezza-velocità potranno

ricombinarsi nel senso di ‘spingere’ la carena in avanti. Il va e vieni, una volta iniziato, si

disperde all’acqua circostante e non torna al corpo immerso.

Il fenomeno è chiaramente disssipativo, si trasmette energia all’acqua e quest’energia non

torna più indietro.

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Sono questi contributi di pressione-velocità che impattano contro muri e barene che

provocano danni: anche i muri e le barene, o dissipano energia dentro di sé stessi, o la

trasmettono ad altri. Dato che sono materiali già poco coerenti di per sé per natura e per

età, metton poco a degradarsi. 6 La somma di questi contributi è quanto stato chiamato,

precedentemente, ‘densità di energia meccanica dispersa’ dallo scafo.

Si deve anche dire che la faccenda si fa ulteriormente più complicata quando i contributi di

pressione-velocità-altezze dovuti ai vari punti della carena si sommano o si sottraggono fra

loro: alcuni progettisti di carene sfruttano le proprietà di elisione dei ‘treni d’onda’ che

nascono nei punti di minor velocità del flusso, con ottimi risultati complessivi. E’ una specie

di direzione d’orchestra: se si riesce a far andare a tempo i treni d’onda, l’uno annulla o

riduce l’altro. Questo naturalmente funziona solo per una velocità, al massimo per due.

6 Non esistono cioè nella navigazione lagunare ‘onde di pressione’ subacquee e non visibili, per cui chi non

fa onda farebbe ugualmente danno. Ogni aumento di pressione in un punto qualunque di fluido perfetto incomprimibile, comunque orientato, genera inevitabilmente, come conseguenza del principio di Pascal, una variazione di livello del pelo libero rispetto alla condizione indisturbata. Cfr O.M. Faltinsen Sea loads on ships and offshore structures, Cambridge University Press1999.

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E’ evidente che, non potendo disporre di una carena a geometria modificabile in

navigazione secondo le esigenze 7, i disegnatori di carene devono accontentarsi: la

soluzione congelata in ciascuna forma di carena va bene solo e soltanto (forse) in ben

precise condizioni di esercizio, di volumi immersi e pesi, di assetto e di velocità. Si

potrebbe invece ben dire che un buon progettista di carene non è tanto colui che produce

una carena ottima per ben definite e limitate condizioni di progetto, quanto colui che ne

realizza una accettabilmente buona in tutte le condizioni di funzionamento previste per il

battello.

Tutto questo non accade solitamente più per le imbarcazioni lagunari: quelle tradizionali,

andavano un tempo lente, ed ora sono più veloci del dovuto.

Le carene moderne dovrebbero andare veloci e sono obbligate alla lentezza.

Riassumendo:

• La resistenza all’avanzamento è costituita dalle quote

o d’attrito

o residua (grossolanamente uguale alla resistenza d’onda)

Inoltre • La resistenza d’attrito si riduce levigando e lucidando gli scafi

• La resistenza residua minimizzando i giochi di pressione dissipati irreversibilmente nell’acqua

circostante.

• Le forme dello scafo generano onde in modo limitato solo e soltanto in poche e definite

condizioni di progetto e di velocità.

7 Il problema è quello della affidabilità e compelssità di un sistema di variazione della forma di carena in

navigazione Esistono però tentativi sperimentali di modifica della geometria complessiva su carene molto veloci. La modifica della geometria invece è comunemente applicata ad un altro scopo, per ridurre l’attrito delle appendici come pinne, timoni e derive, rendendole retrattili.

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La resistenza residua. Il concetto di ‘resistenza residua’, di quella quota di energia che si disperde in movimento

non voluto del fluido, è quindi relativamente semplice da comprendere, ma non è banale

da affrontare: per certo non esistono soluzioni buone a tutte le condizioni, e che

permettano di ridurla al minimo a colpo sicuro.

Quello che si vede, però, è tutto quello che c’è: una cattiva carena fa onda, una pessima

carena fa onda frangente, un’ottima carena non fa onda, almeno nell’intorno delle

condizioni di progetto. E’ impossibile misurarne o valutare le prestazioni di una carena

incognita prima di averla costruita al vero, od almeno in un modello da provare in vasca:

esistono solo criteri statistici di ampio margine d’errore, che non servono nulla per

confrontare una carena con l’altra, meno che meno per disegnarne una efficace. Se la

carena appartiene ad una famiglia ampiamente provata, esistono invece strumenti

matematici per affermare a priori che la sorella, se non proprio la cugina, avrà determinate

prestazioni.

In ambito lagunare sono stati fatti numerosi tentativi di correlare le altezze delle onde con

le potenze, le velocità e le forme degli scafi al vero ed in vasca: a prescindere dalle norme

di esecuzione adottate per le prove, alle volte discutibili sotto il profilo metodologico, la

validità di questi rilievi si è rivelata molto limitata. Riguardo alle prove in vasca, non si

possono ad esempio riprodurre in scala le caratteristiche fisiche dell’acqua (cioè non si

può variare in scala con il modello anche la viscosità e la massa volumica dell’acqua) e

quindi il profilo e l’altezza dell’onda sul modello restano legate in qualche modo, ma non

sono certo trasferibili alle analoghe grandezze al vero le dissipazioni energetiche.

Nelle prove al vero, poi, esistono troppi fattori fuori controllo sperimentale, come l’assetto,

il peso, la propulsione, il fondale e la distanza dalla sponde etc che influenzano ogni

tentativo di correlazione, inquinandoli con errori non determinabili. Accade anche l’inverso:

una ottima carena provata in acqua profonda potrebbe rivelarsi assai mediocre quando

provata in acque basse, nei canali o con assetti diversi da quelli di progetto.

Alcune certezze però esistono al di là deglòi esperimenti, in particolare circa le relazioni

dimensionali fra i treni d’onda, e fra questi e le dimensioni del battello, la lunghezza in

particolare. Si sa con sicurezza che uno scafo lungo e stretto fa meno onda di uno corto e

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largo, che un angolo delle linee di prua stretto è meglio di una prua tozza e larga, si sa che

riducendo il peso si diminuisce anche il peso dell’acqua spostata, e quindi l’altezza delle

onde prodotte. Si sa che un battello leggero e snello, a pari lunghezza, fa meno onda di

uno largo e pesante, e così via.

Insomma, si sa parecchio più di quanto non sembri, anche se non tanto da eliminare le

approssimazioni ed i sensazionalismi sull’argomento, che sono invece normale conse-

guenza quando manca la percezione della vera complessità del fenomeno.

Novanta anni di carene nell'America's Cup (1840-1936)

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Altezze, forma d’onda e forme dello scafo

Senza annoiare con particolari accademici, assai meglio descritti nella letteratura

specializzata, basti dire che treni d’onda geometricamente simili, anche su carene diverse,

si sviluppano uguali se non cambia il rapporto della lunghezza L e della velocità V, in

particolare quando si opera ugual V/√ L. 8

8 Il ‘numero di Froude’ è nel seguito sempre inteso da esprimersi in misure imperiali, piedi e nodi. E’ una

prassi frequente nell’architettura navale.

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Questa similitudine sulla base di V/√ L (rapporto chiamato “velocità relativa di Froude” F

dove V è la velocità nave in nodi, ed L è la lunghezza al galleggiamento in piedi) comporta

che, quando due carene diverse viaggiano con F identico, i treni delle onde di una e

dell’altra si sommano e si elidono allo stesso modo. La condizione migliore per ridurre

l’altezza d’onda generata è ovviamente che il treno di prua si sviluppi in modo da cadere,

sulla poppa, con un cavo. Infatti il treno sia a poppa che a prua iniziano sempre con una

cresta: nella condizione descritta il treno complessivo risultante, ad una certa distanza dal

battello, è minimo.

Ogni carena, solo in base alla sua lunghezza al galleggiamento, ha quindi una o più

condizioni di dissipazione ottimale 9, che capitano quando F = 0.63, F = 0.776, F = 1.16.

Dopo F = 1.3 la resistenza d’onda cresce a tal punto che non si distingue più alcun effetto

positivo dall’interferenza dei treni d’onda. E’ una condizione di funzionamento, se

possibile, da evitare. 10

Quando la velocità cresce ulteriormente, ammesso che sia disponibile potenza sufficiente

e si raggiungano velocità relative di 1.8 -2, il principio di trasmissione energetica dallo

scafo all’acqua cambia completamente, e si entra in regime di planata (hump speed).

Le conseguenze della similitudine di Froude non sono trascurabili: quella che è un regime

di alta velocità relativa per un battello corto, è un regime di velocità relativa bassissima per

uno lungo, nonostante abbiano, per ogni altro effetto pratico, una velocità reale uguale.

Per dare qualche numero su questo concetto, un taxi da 8.5m al galleggiamento (28 piedi)

ha dissipazioni ottimali, con treni d’onda che si cancellano, a 3.2 nodi (6 km/h), 4.11 nodi

(7.6 km/h) e 6.15 nodi (11.4 km/h). Oltre questo valore le onde prodotte non possono che

crescere sempre in altezza col crescere della velocità. Un nave da 100 m avrebbe effetti di

9 Sono condizioni di minimo locale ricavate matematicamente, e possono differire leggermente nei casi

pratici. Cfr C. Wigley Ship wave resistance NECI 1931 e C. Wigley, Calculated and Measured Wavemaking resistance for a series of forms defined algebraically, the Prismatic coefficient and angle of entrance varied independently, INA 1942.

10 Ne consegue che i motoscafi ACTV hanno circa 21m (70 ft) al galleggiamento ed hanno una velocità massima di circa 20 km/h (11 kn), principalmente perché ne deriva un F = 1.3.

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interferenza uguali da 11.4 nodi (21 km/h) in su. Per ridurre le onde, non si può imporre

una velocità uguale a tutti i battelli , ma solo alle barche di ugual lunghezza.

E’ quindi molto difficile focalizzare un limite di ‘resistenza residua’ valido per tutti gli scafi,

specie se le imbarcazioni hanno dimensioni molto diverse fra loro. Su una carena ‘lunga’,

la resistenza residua può rimanere quasi trascurabile anche per velocità assolute

abbastanza alte; su una ‘corta’, può essere immediatamente molto elevata, anche per

velocità assolute abbastanza basse.11

Un dato resta pressoché costante, indipendentemente dalla forma, dalla pienezza, dalla

lunghezza di ciascuna carena: quando si supera un rapporto F = 1.3 la resistenza, cioè la

produzione e la dissipazione energetica delle onde cresce molto. Non per nulla per fare

meno onda a velocità data occorrono carene lunghe, e non per nulla è voce popolare che

gli scafi lunghi richiedano meno potenza per uguale velocità 12 rispetto ai corti.

Ne deriva, se si vuol ridurre la formazione d’onda, che i ‘corti’ devono andar piano, mentre

i ‘lunghi’ possono correre di più, per onde uguali o comparabili. Per ciascuna velocità

relativa cambia poi la proporzione fra le quote di ‘attrito’ ed ‘onda’ che compongono la

resistenza totale, naturalmente in modo diverso per ciascun tipo di carena, e quindi

‘quanto più’ o ‘quanto meno’ energia va in onda.

A chiarimento di quanto conti la resistenza residua sul totale della resistenza di uno scafo,

a titolo puramente indicativo un testo di architettura navale molto famoso 13 riporta la

tabella seguente:

11 Si intende, a parità di dislocamento, cioè di peso del battello. 12 Sbagliando, perché a far carene lunghe ne cresce anche la superficie immersa, quindi l’attrito. Non è detto

che la potenza che si guadagna da una parte non si perda dall’altra, anche se, otticamente, l’effetto d’onda è sicuramente migliore.

13 Skene’s elements of yacht design - Dodd, Mead & Co, New York, 1927

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Si noti che, in condizione di planata, la frazione di wave making resistance sul totale, cioè

frazione della resistenza residua sul totale, effettivamente scende. Si tornerà

sull’argomento in seguito, parlando della planata: in effetti di solito una barca che plana fa

meno onda di quando non è ancora in planata, cioè di quando va più adagio. La

ripartizione dell’energia fra l’uno e l’altro modo è ovviamente indicativa, e solo d’ordine

generale per carene ‘normali’: ciascuna avrà invece una sua diversa ripartizione. 14

Nulla di meno adatto, quindi, che un limite di velocità unico per tutte le lunghezze di scafo,

anche se dal punto di vista ondogeno non viene premiato il piccolo, bensì il grande. Anche

questa ‘controintuitività’ contribuisce, insieme ad un oggettivo problema di controllo, a

rendere difficoltosa una regolamentazione semplice della produzione di onda sui battelli

lagunari.

Formule empiriche di valutazione della resistenza residua

Esistono alcune formule empiriche che, partendo da dati geometrici della carena, dànno

un’idea di quale possa essere la resistenza residua ad una data velocità. Non sono in

genere molto precise, e soprattutto considerano poco la ‘descrizione’ della singola carena,

e partono sostanzialmente dalle sole dimensioni. In sostanza, due carene di uguali

dimensioni secondo queste formule sono circa uguali nelle prestazioni ondogene. Per la

resistenza d’attrito esistono al contrario formule ben precise ed attendibili, che tengono

perfino conto dei mesi di vita delle alghe attaccate allo scafo, o del verso delle saldature.

Essendo la resistenza totale la somma di questi due termini, dei quali uno ben noto e

l’altro pressappoco sconosciuto, il risultato totale è piuttosto impreciso: appena possibile,

cioè appena il budget lo permette, si preferisce ottenere un’esperienza diretta sul modello

in vasca, specie quando, per F superiori a 1, la quota di resistenza dovuta all’onda

diventa rilevante.

Alcune formule empirico-statistiche di questo genere sono riportate in appendice, ed una

serie di queste, opportunamente modificate sulla base dei risultati delle esperienze alla 14 Si spiega anche in parte perché le carene tonde producano in genere meno onda rispetto a quelle a

spigolo: gli spigoli, e le relative superfici piane vanno assai bene per creare ‘superfici di appoggio dinamiche’ nelle carene ad alta velocità, ma sono molto inefficaci per equalizzare i giochi di pressione idrodinamica che provocano le onde maggiori onde a F bassi.

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Vasca di Trieste per natanti lagunari e le carene plananti in velocità sub hump, sono

proposte come un possibile criterio per ciascuna categoria, per soddisfare le esigenze

dell’art. 21 del Regolamento della navigazione lagunare, primo comma. Il dettaglio è

riportato nel contributo del prof Zotti in appendice.

Per analogia, la risposta al problema “quanto alta può essere la statura di uomo ?”, cioè

stabilire una classifica rispetto all’assoluto, implica che tutti i Pigmei, per quanti sono,

risultano assai mal piazzati. Un altro problema è invece dire “quanto alta è la statura di

questi uomini Pigmei ?”, per cui un Pigmeo fra i Pigmei farà migliore o peggior figura: in

questo caso però nulla sappiamo di quanto un Pigmeo si differenzia da un Watusso, ma

se nello specifico dovessimo stabilire che dimensioni dare alla capanna, le informazioni

hanno maggior senso.

Come un Pigmeo non potrà mai diventare un Watusso, le barche lagunari, nella loro quasi

totalità, per motivi diversi, storici, culturali ed economici non potranno mai diventare una

carena di Taylor.15

15 La famiglia della carene dell’amm. Taylor, che risalgono ai primi del ‘900, nell’architettura navale sono per

tradizione le carene usate come riferimento delle prestazioni: disegnare una carena migliore di una Taylor, dal punto di vista della resistenza, è particolarmente difficile, anche se non impossibile.

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Riflessi pratici della maggiore o minore resistenza residua di una carena che naviga in laguna.

Accertato che la resistenza residua è collegata alla produzione dell’onda – in modo F

semplice, ma si sa che una relazione esiste – e che stabilito la resistenza stessa cresce

con la velocità in modo iperbolico dopo un certo valore, basso, di velocità relativa , si è

visto che la produzione di onda diventa ben visibile appena superato F =1.3.

Per un tipico battello da laguna, lungo circa 10m, questo significa che l’onda cresce molto

appena nell’intorno dei 13 km/h, diciamo fra 10 e 13 km/h.

Se il battello fosse lungo il doppio, circa 20 m, il momento fatale è rinviato a velocità di

circa 19 km/h: un battello di ugual peso da 20m che viaggiasse a 13 km/h avrebbe invece

un F = 0.85, ed onde di conseguenza ben più piccole.

Buona parte del segreto delle scarse onde sui motoscafi ACTV è in questa semplice

considerazione: basta farli lunghi abbastanza da corrispondere le prestazioni alle velocità

volute. 16

Allo stesso modo, buona parte delle pessime prestazioni ondogene dei ‘barchini’ da 5

metri (V= 10 km/h) è ancora in questa stessa semplice considerazione: quando i barchini

navigano a 15 km/h, velocità consentita, il loro F sale a più di 2.1, cioè a condizioni in cui

dissipano in onde fino all’80% della potenza propulsiva 17 e sono vicini alla condizione di

planata. Poco o tanta che sia, la potenza che va per la loro propulsione se ne va quasi

tutta in onda, almeno quanto su un vaporetto ACTV lungo quattro volte tanto (anche se il

vaporetto richiede più potenza perché ne dissipa parecchia di più in attrito, però non la si

vede e non fa danno)

La condizione di planata Un battello rimane sulla superficie dell’acqua, senza affondare, grazie ad una spinta che si

può generare con due fenomeni fisici distinti.

16 Non è solo questo, ovviamente: i lancioni sono lunghi altrettanto e fanno onde ben più visibili. Qui è

importante solo capire il meccanismo. 17 In realtà di più, perché la lunghezza al galleggiamento diminuisce e l’assetto peggiora considerevolmente.

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La prima è quella c.d. ‘spinta di Archimede’, in sostanza il battello sta a galla perché il suo

peso specifico (o peso per unità di volume) è inferiore a quello dell’acqua. La sua parte

immersa (‘la carena’) sposta un volume di acqua di peso esattamente uguale al peso del

battello, e questa situazione è di equilibrio: il battello né sale, né affonda.

La condizione universale di equilibrio (lo ‘stare a galla’), funziona per velocità di

spostamento basse o nulle. Una carena che sta a galla in virtù della spinta di Archimede si

dice ‘dislocante’: se non ha un rapporto peso/volume sufficiente, affonda.

Forze in equilibrio su uno scafo planante.

L’altra condizione di sostentamento nasce invece dal movimento attraverso l’acqua, ed è

apprezzabile solo a velocità adeguata. Le forze che si esercitano sulla carena in velocità

non sono equilibrate fra loro, ma danno origine ad una spinta verso l’alto tanto più forte

quanto più elevata è la velocità.

E’ un fenomeno simile a quello che sostiene gli aerei. Il rapporto peso/volume può essere

ben diverso, ed inferiore a quello di dislocamento.

Un’immediata conseguenza è che, sollevandosi il battello in velocità per questo motivo,

sposta meno acqua (e la spinta archimedea di galleggiamento diminuisce), e sempre

meno acqua è spostata al crescere della velocità stessa.

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Contemporaneamente, però, l’attrito che l’acqua esercita sulle pareti dello scafo aumenta,

e quindi, prima o poi, si raggiunge un nuovo punto di equilibrio in cui la somma dei due

contributi di spinta equivale di nuovo al peso del battello, a potenza propulsiva costante.

Se la potenza disponibile è sufficiente 18, questa è nuovamente una condizione stabile,

definita come ‘condizione di planata pienamente sviluppata’.

In linea di principio tutte le carene possono planare, ciascuna ad una velocità sua propria

che dipende anche dal peso. La velocità di inizio planata dipende poi fra l’altro dalla

geometria, dalle proporzioni, dalla distribuzione del volume sulla lunghezza etc. E’

evidente che esistono carene più adatte alla planata, ed altre meno, ma, prima o poi, con

un numero di cavalli sufficienti planerebbero tutte.

Le più leggere sono sempre quelle più adatte, naturalmente, e qualche ulteriore

accorgimento costruttivo aiuta a raggiungere e mantenere la planata con minori potenze.

18 Si noti il ‘...se la potenza disponibile è sufficiente...”.E’ possibile far planare sciatori d’acqua a piedi nudi,

se la potenza è sufficiente, come pure moto d’acqua e blocchi di cemento. La disponibilità di elevate potenze a basso costo ha giustificato scafi economicissimi ma quanto mai rozzi sotto l’aspetto idrodinamico, e di conseguenza l’eccesso motoristico.

Carene plananti a spigolo e carene plananti tonde

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Ad es. le carene a spigolo tendono a planare a velocità leggermente inferiori, a parità di

condizioni, rispetto alle carene tonde a pari peso e dimensioni.

Resistenza residua in dislocamento ed in planata

La produzione di onda è conseguenza della quantità di acqua spostata (quindi dipende dal

peso del battello) e dell’energia che all’acqua spostata è trasmessa dallo scafo in velocità

(quindi anche dalla sua geometria, dalle dimensioni e da quanto ‘poco efficiente’ è la

trasmissione): posto che i due principi di sostentamento nascono in due contesti fisici

diversi, non deve meravigliare che

• A bassissima velocità, l’onda prodotta sia quasi invisibile (anche se il peso del battello è grande,

l’energia trasmessa all’esterno è limitata);

• A velocità ancora maggiore, l’onda prodotta cresce (perché cresce l’energia trasmessa dallo

scafo, e la trasmissione di energia alla massa d’acqua diventa sempre maggiore, malgrado ogni

sforzo di contrastarla tramite un buon disegno della carena)

• A velocità sufficientemente alta, la trasmissione è così grande da raggiungere il massimo di

altezza d’onda generata e dispersa all’esterno, cioè, per il battello, il massimo locale di resistenza d’onda. In altre parole, l’inefficienza della carena all’avanzamento raggiunge un massimo, l’acqua

si ‘materializza’ sempre di più e cominciano a svilupparsi forti reazioni dinamiche con lo scafo. E’

la condizione c.d. di ‘inizio planata’.

• Da questo momento in poi, le forze dinamiche prendono il sopravvento, e la carena comincia a

sollevarsi sull’acqua, diminuisce il volume d’acqua spostato e la frazione di resistenza d’onda

diminuisce. Cresce la componente di resistenza d’attrito, ma la resistenza d’onda scende di più, nonostante la velocità cresca sempre. E’ la condizione c.d. di ‘sviluppo della planata’.

• Si raggiunge una nuova condizione di equilibrio delle forze, in cui parte del peso del battello è

sostenuto dinamicamente, e parte dalla spinta dell’acqua spostata. La generazione d’onda

diventa relativamente più scarsa, legata come è al volume di acqua spostato, che ora è più

piccolo perché il battello si è sollevato e parte del peso è sostenuto per altra via. Nasce un’altra

componente di resistenza ( resistenza indotta), che cresce sempre più con la velocità. Un battello idroscivolante, od un aliscafo, quando sono in sostentamento a 70-80 km/h di fatto non generano

onde.

E’ difficile definire, per un’imbarcazione, una condizione precisa di ‘inizio planata’, cioè di

passaggio dal regime di sostentamento idrostatico a quello dinamico. Si tratta infatti di una

transizione graduale, che ha inizio in un certo intorno di velocità e prosegue fino a che non

si ristabilisce una condizione d’equilibrio dinamico stabile su nuovi e diversi principi fisici.

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Durante la transizione, in effetti, l’equilibrio delle forze agenti sullo scafo non è stabile a

costanza di potenza propulsiva applicata, e lo scafo tende ad accelerare o decelerare fino

a trovare una condizione di equilibrio, in alto od in basso della gamma di velocità. Accade

quindi che per un barchino di data geometria (5m) e peso (600 kg), ad esempio, la

planata possa dirsi esistente a 18-20 km/h (inizio) come a 30-32 km/h (fine), ma si può

dire anche che l’unica condizione di equilibrio idrodinamico stabile, in realtà, è sopra i 30

km/h, o sotto i 20. Questa precisazione serve a sgombrare il campo da dubbi e

interpretazioni maliziose: se è vero che “la barca che plana fa meno onda” allora bisogna

anche dire “si, ma deve planare sul serio, e non solo essere solo sul punto di, o nel mentre

di …“, giacché questo stato precario può estendersi su una gamma di velocità piuttosto

ampia, oltre tutto non è stabile e non è confrontabile. L’affermazione ‘ad andar veloci si fa

meno onda’, detta così è un lugo comune, ma non è vera in assoluto. Dipende da come si

va in planata, quanto veloci, con che dimensioni di carena e in che condizioni di assetto.

Inoltre, come si vedrà, molte barche lagunari in realtà non sono in grado di planare sul

serio fino in fondo, ma capaci solo di “conati di planata” senza poterla effettivamente

portare a termine, per mancanza di potenza, robustezza e progetto adeguato.

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Verifiche sulla planata dei battelli lagunari

Per coerenza, date anche le altre semplificazioni adottate su dimensioni e pesi, per

identificare la planata il prof Zotti ha adottato un criterio molto tecnico ma corretto e ben

accertato: la planata esiste da quando l’angolo di assetto longitudinale dell’imbarcazione

raggiunge un massimo e da questo momento in poi comincia a diminuire. E’ un criterio

facilmente verificabile al vero, ed è idrodinamicamente ineccepibile, anche se le ragioni

sono complesse da spiegare 19. Si è certi però che oltre quella velocità la sostentazione

idrodinamica è prevalente e, senza variazioni nella propulsione, la barca accelera fino a

raggiungere una planata totale. Un punto però non va dimenticato: la barca accelera dopo

aver raggiunto l’angolo di assetto massimo, d’inizio planata, tenendo il gas costante. Se si

toglie gas, la barca decelera. E’ quasi impossibile restare in bilico su una sola velocità: si è

visto infatti che la transizione di planata non è una condizione di equilibrio stabile.

Planata dei taxi lagunari

Con questa premessa, è stato calcolato che un taxi tipico da 9 m e 4.5 t di peso può

iniziare la planata, in condizioni ideali di calma di mare e di vento, con almeno 150-180 HP

motore installati 20, ed una velocità di 28-29 km/h. Planata che sarebbe completamente

sviluppata solo a 35-38 km/h, tenendo costante la potenza. A questa velocità l’onda

prodotta sarebbe però certamente minore che a 25 km/h.

Ribaltando il discorso, se la potenza è limitata a 100 HP installati, un taxi tipico quasi

certamente non è in grado di planare nel senso vero della parola, almeno a pieno carico

od appena con un po’ di mare e di vento contrario. E’ una specie di castrazione

motoristica. Con 100 HP, e le approssimazioni di cui prima, la sua velocità non dovrebbe

infatti poter superare i 20-22 km/h, ben lontano dalla completa planata ma abbastanza

prossima all’inizio di questa, cioè proprio, come visto, nelle peggiori condizioni di

produzione d’onda propria. La limitazione di potenza a 100 HP, che di per sé impedisce

19 La ragione è legata alla applicazione progressiva delle forze dinamiche sul fondo dello scafo. 20 Prof Zotti ipotizza a calcolo 150 HP con rendimento standard dell’elica 50%. In verità, il meccanismo del

piede porta via un altro 5-8% e l’elica probabilmente ha anche un rendimento inferiore, considerando usure e laschi. Da qui la valutazione cautelativa di 180 HP installati, a titolo d’ipotesi, ed un margine di imprecisione fra teoria e pratica difficilmente eliminabile.

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solo di raggiungere velocità più elevate di 25 km/h, non impedisce comunque alla carena

di lavorare in un punto di funzionamento molto negativo, quindi è un limite inutile ai fini di

contenere il moto ondoso. Il taxi può superare ugualmente i limiti di velocità, ma in più crea

altri problemi di tipo motoristico.

Planata dei lancioni lagunari Di media, i lancioni GT ora hanno 350-400 HP installati, hanno quindi circa 180-200

sfruttabili alle eliche 21. I lancioni da 23 m e 45 t di peso raggiungono i 20 km/h con 170-

190 HP installati, circa la metà del totale disponibile, e sono quindi ben lontani dalla

condizioni di planata quando navigano in laguna a pieno carico22. A tutta forza, da scarichi,

vanno relativamente veloci, forse 25-28 km/h, ma per iniziare la planata occorrerebbero

comunuqe almeno 800-900 HP installati, il doppio, ed una velocità di almeno 33-35 km/h

(15-16 kn). La planata si stabilizzerebbe a non meno di 55-60 km/h (27-30 kn).

Occorrerebbero motori così grandi, potenti e pesanti che cambierebbero pesi ed assetti,

quindi in realtà non si sta parlando di un’ipotesi realistica: per planare sul serio, un

lancione non dovrebbe essere fatto come un lancione, ma come una motosilurante 23. E’

un simulacro di barca planante, ma nulla più.

Planata dei topi lagunari

Anche la curva potenza velocità di un mototopo è piuttosto ripida: appena superata la fase

delle interferenze, oltre al F = 1.3 che corrisponde a circa 8-10 km/h, l’andamento è come

appare nella in figura della pagina seguente.

21 Subentra qui un altro aspetto, se quanto a proporzioni le eliche siano o no adatte a sfruttare la potenza

per produrre velocità. In generale sui lancioni GT sono montate eliche concepite per dare forte spinta per la manovra a bassa velocità, quindi poco adatte a prestazioni velocistiche.

22 Cento passeggeri sono un carico fra le 8 e le 10 t, quindi circa il 30% del peso totale del battello GT è costituito dal carico. A paragone, un taxi trasporta quasi il 50%, ed un mototopo supera la metà. Nel diporto la percentuale crolla al 15-20%.

23 Non a caso, le motosiluranti avevano linee esteticamente molto aggraziate e filanti. Non così la maggior parte delle imbarcazioni moderne.

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Potenza - velocità per tipico mototopo

0

20

40

60

80

100

120

140

6.0 7.0 8.0 9.0 10.0 11.0 12.0

Velocità km/h

Pote

nza

(hp)

In sostanza, al topo costa relativamente poca energia viaggiare a 9-10 km/h, con il solito

F=1.3 ma ad aumenti consistenti di potenza non corrispondono aumenti comparabili di

velocità: raddoppiando la potenza la velocità cresce solo di un paio di km/h. Più si va

veloci, sui topi, e meno ci si avvantaggia della potenza spesa in più.

Questo non è un fenomeno proprio solo dei topi, sia chiaro, ma di tutte le carene

dislocanti. Ciò non impedisce, come si è detto, che disponendo di cavalli a sufficienza e

con un topo sufficientemente leggero si possa raggiungere la condizione di inizio planata,

probabilmente verso i 22-24 km/h e potenze non inferiori a 220-250 Hp. 24

Planata dei barchini lagunari

Un barchino da 650 kg , 5.2m x 2m a pieno carico inizia a planare, all’incirca, a 18-20 km/h

e con una ventina di HP installati. La variabilità dipende dal disegno, dalle proporzioni e,

non ultimo, dall’assetto. La potenza necessaria a viaggiare a 30 km/h è poco superiore,

una trentina di cavalli, ma per le ragioni già dette l’onda prodotta è assai più ridotta che a

velocità più basse. Di fatto anche il barchino prima di uscire dal transitorio di planata è già 24 Facendo riferimento ad un taxi, che pesa carico poco più di un topo scarico, ed ha dimensioni analoghe.

La carena a fondo piatto del topo abbassa la velocità di inizio planata, ma è scadentissima dal punto di vista idrodinamico, e la crescita di velocità quindi si ferma subito lì.

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molto oltre i limiti di velocità prescritti, che hanno ragioni d’esistere diverse dal semplice

contenimento del moto ondoso, ad es. per ragioni di sicurezza della navigazione.

Riassumendo Un rapidissimo riassunto critico sulla resistenza residua:

• tutte le barche lagunari, taxi, lancioni, barchini, hanno scafi a spigolo teoricamente pensati per la

planata , tranne i topi…

• … ma nessuna di loro è in grado di sviluppare appieno la planata fino in fondo, eccezion fatta per i barchini, corti e leggeri;

• I battelli lagunari sono quasi tutti solo apparentemente costruiti per planare, ma i pesi, gli assetti e

la robustezza degli scafi, sempre con l’eccezione dei leggerissimi barchini, sono quanto di meno

appropriato può essere costruito a tale scopo. Sono in gran parte solo ‘simulacri di barche

plananti’. I taxi sono decisamente pesanti, con assetto errato e generalmente sottopotenziati, con una carena inadatta all’urto sulle onde, mentre i lancioni non possono neppure avvicinarsi

all’inizio planata tanto sono sottoptenziati rispetto all’esigenza, per la quale mancano comunque

probabilmente di sufficiente robustezza strutturale

• Le motorizzazioni attuali, sempre eccetto che per i barchini, non consentono quindi ai battelli

lagunari di entrare in planata stabile, ma solo di arrivare fino alla peggiori condizione possibile di

generazione d’onda, e non oltre. Per le dimensioni delle barche lagunari, fra 8 e 15 metri, la

velocità di 20 km/h è particolarmente negativa dal punto di vista delle produzioni d’onda. Per le dimensioni standard, fra i 5 ed i 12 metri, occorrerebbe viaggiare sempre a velocità parecchio

superiori (30-40 km/h) , o decisamente inferiori (meno di 10-12 km/h). Per far poca onda a 20

km/h, tutti gli scafi infatti dovrebbero essere lunghi 18-20m almeno. In planata sviluppata, poi, gli

scafi di alcuni taxi in VTR e di molti lancioni probabilmente si lesionerebbero, perché non in realtà

sono progettati né costruiti per sostenere i relativi carichi dinamici.

• Nel diporto maggiore, quello dei cabinati in VTR con carena a V, la situazione è assolutamente analoga. La maggior parte delle imbarcazioni più grosse e pesanti ha scafo a spigolo, facile da

costruire ma non adatto alla velocità che effettivamente il battello può poi raggiungere, ad es. in

base ai motori installati ed alla robustezza strutturale dell’insieme. La motorizzazione così, allo

stesso tempo, è esuberante rispetto a quanto si potrebbe ottenere con scafi più adatti ed

efficienti, e pari velocità, ma troppo scarsa rispetto alle vere necessità di planata che lo scafo,

esteriormente, sembrerebbe in condizioni di permettere. Unico risultato certo è che la produzione

di onda a bassi regimi è superiore a quella che sarebbe logico ottenere con scafi migliori e più centrati sulle vere esigenze.

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• Le barche a vela, eccetto alcune leggerissime derive non pontate, non hanno carene concepite

per planare, e anche più raramente usano carene monoedriche a spigolo; a velocità pari o

superiore generano onde minori degli scafi a spigolo ‘pseudo velocistici’ di uguali dimensioni,

anche se sono più mediamente pesanti e profonde, e spostano più acqua. Però la spostano

meglio. Le velocità sono raggiunte con ‘potenze’ assai più piccole, e questo malgrado siano barche con necessità di zavorre e derive, e la ben maggiore resistenza aerodinamica.

• Le barche ‘tradizionali’ a fondo piatto, come i topi, concepite per muoversi a remi, hanno velocità

naturali molto più basse di quelle che permettono loro i motori attuali, e quindi generano onde

sproporzionate ad ogni velocità appena apprezzabile per i criteri moderni. Le gondole mosse a

remi vanno sì veloci, con poca onda, ma sono leggerissime, molto lunghe e strette, e ben lontane

dal regime di planata (perché sono lunghe). Appesantendole con un ipotetico motore, e cambiando di conseguenza l’assetto, produrrebbero anch’esse onde inaccettabili.

Va da sé infatti che gli scafi geometricamente adatti ad un regime di velocità, e che

operano in un altro regime assai diverso da quello loro proprio, sono seriamente

inefficienti da punto di vista della resistenza al moto e della produzione stessa di onda.

Se le loro caratteristiche dimensionali sono molto fuori gamma, imporre un efficace

limite di resistenza residua significherebbe soltanto doverli eliminare completamente, ed

è questo il caso di alcune tipologie di barche lagunari, almeno sotto il semplice profilo

idrodinamico. 25

Purtroppo però, anche se la planata non si può verificare per motivi per così dire

‘meccanici’ , gli scafi a spigolo simil-plananti sono facili da costruire, costano assai di

meno e comunque meno di ogni altra forma di scafo eccetto quelli a scatola schietta

delle chiatte VESTA.

Inoltre, le forme scattanti e spigolose pseudovelocistiche si vendono molto meglio di

forme di scafo più costose ed elaborate, ed il mercato le ha tramutate ormai da tempo

da una moda in un obbligo.

25 Ad esempio dei taxi, che sono pronipoti un po’ imbolsiti di battelli da diporto degli anni ’50, che erano

potenziati con 300-400 Hp, assai più leggeri e con velocità di 25-30 nodi almeno. Cfr in appendice i dati tecnici delle produzioni motonautiche di riferimento. Al contrario, i topi sono spinti a velocità più che doppie di quelle dei topi ‘storici’ a remi od a punta.

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Inquinamento idrodinamico ed efficienza degli scafi: quanto sono buoni gli scafi attuali.

Un corpo, una carena che si sposta galleggiando sulla superficie d’un fluido genera per

necessità un’onda. Un’onda di forma ed altezza variabile con la velocità del corpo, ma

anche con la forma, con le dimensioni e la sua posizione rispetto all’acqua (l’assetto) del

corpo stesso.

L’onda generata dalla carena è solo una dispersione dell’energia fornita dal motore, che

va a muovere l’acqua invece che accelerare lo scafo. Una dispersione che è spreco

d’energia. L’efficienza propulsiva massima si raggiungerebbe, idealmente, senza muovere

l’acqua e passando ogni energia al solo scafo, non all’acqua: a tutti gli effetti, generare

un’onda elevata equivale ad minor efficienza ed uno spreco di risorse energetiche.

Uno studio innovativo, e mai abbastanza considerato come criterio dell’efficienza del

trasporto, è stato compiuto da Gabrielli e von Kàrmàn negli anni Cinquanta. 26 Questo

criterio molto semplice stabilisce che esiste una relazione fra peso, potenza e velocità di

ogni mezzo di trasporto, dai puledri alle astronavi. L’efficienza massima teorica si

raggiunge in corrispondenza di una retta inclinata (retta limite 1950) che in verità è ora

stata traslata un po’ verso destra con l’avanzare della tecnica: come dire che – proprio per

le navi a grandissimo tonnellaggio – si era giunti verso gli anni ’70 a superare il massimo

teorico di efficienza prima conosciuto. Ovviamente, quanto più ci si discosta da questo

limite, tanto più inefficiente è il sistema di trasporto dal punto di vista energetico.

Si vede nel grafico della pagina seguente quanto lontani siano i mezzi di trasporto

lagunare dalla retta limite di Gabrielli-von Kàrmàn: i più vicini al limite, si fa per dire, sono i

motoscafi ACTV, che sono curiosamente e casualmente quasi sovrapposti all’efficienza

del podista. 27

26 G. Gabrielli, T. von Kàrmàn ‘Studio sull’efficienza dei trasporti’, in Rivista italiana di ingegneria, 1951 –

What price for speed in J. of Appl. Mech., 1950 27 Sicuramente andare a piedi o con il motoscafo non comporta, a regime, una richiesta di energia tanto

diversa (a parte chi sia il fornitore della stessa): i centocinquanta passeggeri di un motoscafo ACTV richiedono ciascuno appena 0.2-0.3 HP per la navigazione normale, equivalenti ai 30-40 Hp assorbiti nel

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complesso, cioè quanto un podista. Va considerato che il motoscafo oltre al peso del trasportato porta anche la propria massa.

ACTV

Topi

Taxi

GT

Diporto

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Allo stesso modo si vede con chiarezza quanto i battelli lagunari siano lontani dalle

efficienze consuete sulle navi mercantili 28, il che giustifica in parte alcune radicalizzazioni

specialistiche del problema da parte di chi pratica il problema sulle navi maggiori. Gli

ingegneri navali non riescono normalmente a capacitarsi di tanto spreco di energia nella

laguna. Sulle grandi navi si sta più attenti all’efficienza delle carene che non sui piccoli

battelli, dove un cavallo in più od in meno non significa nulla in termini di quattrini. Sulle

grandi navi esistono giustificazioni ben più sostanziose ad investire in vista di eventuali

risparmi, ma sui piccoli battelli esistono altre validissime ragioni per non essere tanto

pedanti in fatto di propulsione.

Un criterio per misurare l’efficienza assoluta delle carene quindi esiste, ed è semplice:

tutto quanto si discosta dal ‘meglio teorico’ di Gabrielli-von Kàrmàn è uno spreco, sotto

forma di onde. Nel resto del mondo resterebbe uno spreco e basta, sostenibile o no

dall’operatore: nel caso lagunare è spreco che fa danno attorno. Se in tutto od in parte

questo spreco sia eliminabile, è ben diverso problema: eliminarlo completamente non si

può se non bloccando ogni spostamento, ma l’ineluttabilità di un certo grado di impatto

esterno non può essere un alibi per mancanza di ogni attenzione.

Almeno come criterio grossolano a velocità costante, il minimo teorico di Gabrielli-von

Kàrmàn dipende solo dalla ‘potenza specifica’, cioè da quanti cavalli per tonnellata sono

necessari nel modo di trasportare prescelto. Alcuni modi di trasporto sono esigentissimi, il

volo ad esempio, altri molto meno. Il trasporto su acqua è uno dei meno esosi e sta in

basso nel grafico.

Il minimo teorico per velocità di 20-25 km/h (10-12 nodi) è di 0.2-0.3 Hp/tonnellata, quasi

raggiunto sulle grandi petroliere ( = 0.9 rispetto al minimo teorico). Almeno sotto

l’aspetto del moto ondoso e dissipazione energetica, la presenza di petroliere in laguna

sarebbe paradossalmente benvenuta, perché non fanno praticamente onde. 29

28 Ricompare in pratica dal Gabrielli-v. Karman, sotto altra forma, l’osservazione fatta sulle carene Taylor a

nota 15 . 29 Il passaggio a lento moto di una grande nave da passeggeri da 20.000 tonnellate di dislocamento nei

canali portuali non impegna più di 0.05-0.1 Hp/ton, dissipati quasi esclusivamente in attrito. In realtà il problema pratico che si pone sulle grandi navi è di mantenere e regolare così piccole erogazioni di potenza su impianti molto più potenti.

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Le ottime carene ACTV sono dieci-quindici volte meno efficienti del minimo teorico, con

circa 3-5 Hp/tonnellata ( = 10%), all’incirca 1 Hp installato per ogni passeggero. E’ una

valida ragione tecnica per concedere loro una velocità leggermente superiore che alle altre

categorie.

Anche i topi non sono lontani da questo numero, circa 5-7 Hp/tonnellata a 10 km/h ( =

10%), ma decisamente peggiori a 20 km/h ( = 5%).

Seguono i lancioni GT, venti-trenta volte più inefficienti del minimo teorico, con 10-15

Hp/tonnellata ( = 5%) a 20 km/h. La potenzialità energetica installata per passeggero

sale a 2-4 Hp.

Quindi, molto distanziati i taxi, con 30 Hp/ton a 30 km/h ed efficienza = 2%. La

potenzialità energetica a passeggero è fra 7-10 Hp cadauno.

Poi i natanti da diporto, che hanno potenze specifiche di 80-100 Hp/tonnellata, simili a

quelle dei cacciabombardieri ma con velocità venti-trenta volte più basse di questi ( =

0.5%). Per ogni passeggero può essere montata una potenza anche di 50-80 Hp.

Un’inefficienza considerevole, come si vede, sia in senso assoluto che relativo agli altri

trasporti lagunari.

Sulla base di queste rapide notazioni, solo allo scopo di inquadrare il problema di proporre

un ‘limite accettabile alla dissipazione energetica’ nel muoversi per acqua ad una data

velocità, si può disegnare una curva del tipo

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Sezione 2 Pagina 31

Potenze specifiche vs peso per alcune categorie di natanti lagunari a velocità prefissata

0

20

40

60

80

100

120

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45

Peso in tonnellate

Hp/to

nn

ACTV

Lancioni

Topi

Taxi

Diporto

limite di 75 Hp/tonn

Minimo teorico

in cui la curva in rosso è un’interpolazione con il significato ‘in laguna si usano tot cavalli a

tonnellata di peso proprio e trasportato’, in funzione del peso totale del battello.

La curva ‘tipica’ illustrata è semplicemente una curva interpolante dei dati disponibili. Il

margine disponibile per miglioramento è quello fino alla retta tratteggiata, minimo teorico.

Che il battello sia un vaporetto, una chiatta VESTA od un cacciapesca, cioè svolga una

funzione qualunque, ciò ha poca rilevanza dal punto di vista dissipativo individuale.

Esisteranno quelli più efficienti (sotto la curva interpolante) e quelli meno efficienti (sopra

la curva interpolante). Tanto peso si trasporta a quella velocità, arbitraria, tanto dissipa o

dovrebbe dissipare ogni battello individuo. Si vede con chiarezza che le potenze

specifiche richieste si impennano per le imbarcazioni più piccole e leggere, di uso

tipicamente privato e non di massa: la comodità personale costa, perché impianti

similmente complessi sono destinati all’uso di pochi (maggiori potenza specifiche).

La curva illustra di conseguenza uno stato di fatto: nulla impedisce di concepire una curva

‘obiettivo’ più bassa, che spinga a ridurre le dissipazioni ondogene, ammesso che sia poi

praticamente possibile raggiungerla, o che esistano gli strumenti legislativi per

implementarla. Non è necessaria una verifica sul campo, prove in vasca od altre misure

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Sezione 2 Pagina 32

complesse: è sufficiente stabilire che, in funzione del peso finale del battello, esso possa

montare non più di N cavalli/tonnellata, stabiliti rispetto ad un grafico simile a quello

rappresentato.

Stabilire un confronto fra un battello esistente di peso e potenza nota, e la curva ‘tipica’

non è molto difficile, come pure passare da questo criterio a quello di un valore di

resistenza residua specifica ammissibile (cioè riferita a tonnellata di peso) che, come visto,

è strettamente legato alla potenza propulsiva necessaria all’avanzamento.

E’ però fondamentale che la curva sia in qualche modo legata alle dimensioni del battello:

non ha senso fisico una curva uguale per tutti i battelli, come non ha senso fisico un

consumo di carburante a km uguale per un autobus da 100 persone e per uno scooter.

La potenza di avanzamento è infatti

PA =0.5*1/76 (RT * V)

dove PA è la potenza all’avanzamento in Hp, RT è la resistenza totale all’avanzamento in

kg e V la velocità di avanzamento in m/s. Il fattore (0.5) tiene conto forfettariamente

dell’efficienza della propulsione ad elica.

Posta d’arbitrio a 5.5 m/s (20 km/h) la velocità massima in ambito lagunare, e sapendo

che la frazione di resistenza residua sul totale, per le lunghezze dei battelli lagunari si può

esprimere in funzione delle dimensioni con una curva simile a quella di figura seguente

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Sezione 2 Pagina 33

Rapporto Rr / Rt per tipici battelli lagunari alla velocità di 25 km/h

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45

Peso in tonnelate

Rr/R

t

si può allora ‘riscrivere’ la curva delle potenze specifiche ammissibili, questa volta in

termini di ‘resistenze residue ammissibili’ specifiche, cioè riferite alla tonnellata di peso del

battello

Peso (T) Hp/T RR/RT RT/T @ V

(kg/T) RR/T @ V

(kg/T) Diporto 1 100 0.8 547 438 Taxi 5 30 0.7 164 115 Topi 12 8 0.6 44 26 Lancioni 30 15 0.5 82 41 ACTV 40 5 0.5 27 14 V (km/h) 20 V (m/s) 5.5

mentre va ricordato che, alla stessa velocità di 20 km/h, le velocità relative di questi

battelli, che governano la loro resistenza residua specifica, sono assai diverse:

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Sezione 2 Pagina 34

V = 5 km/h V = 10 km/h V = 15 km/h V = 20 km/h

Lunghezza gall. indicativa (m) V / √ L V / √ L V / √ L V / √ L

Diporto 5 0.7 1.3 2.0 2.7 Taxi 9 0.5 1.0 1.5 2.0 Topi 10 0.5 0.9 1.4 1.9 Lancioni 20 0.3 0.7 1.0 1.3 ACTV 22 0.3 0.6 1.0 1.3

E’ opportuno ribadire che questa curva è una delle tante che si possono tracciare, in

particolare è quella basata sulle caratteristiche (lunghezze, peso) del parco esistente. Si

può essere più precisi utilizzando i dati sperimentali riportati in appendice ricavati da prove

alla vasca, come pure disegnare altre curve, simili, per differenti velocità massime

imposte. Od anche tracciarne un’arbitraria, imponendola poi come obiettivo, e confidando

che esistano le risorse tecniche per realizzarla praticamente.

Proposta di curva di resistenza residua ammissibile specifica per battelli lagunari @ 20 km/h

0

50

100

150

200

250

300

350

400

450

500

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45

Tonnellate di peso del battello

kg/to

nn

Diporto, V/√L =2.7

Taxi, V/√L =2

Topi V/√L =1.9 GT V/√L =1.3 ACTV V/√L =1.3

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Sezione 2 Pagina 35

E’ da osservare che i concetti di ‘resistenza residua limite’ e di ‘potenza installabile

massima’, a meno di un fattore moltiplicativo, sono per una data velocità quasi

assolutamente equivalenti.

Infatti le possibilità per il progettista di incidere sul rapporto relativo fra resistenza d’attrito e

resistenza residua sono allo stato attuale della tecnica molto limitate. 30

30 Farlo non è impossibile, ma assai complesso. I veicoli a cuscino d’aria, o le carene lubrificate ad aria ne

sono un esempio, ma la complessità meccanica ha finora sconsigliato queste soluzioni.

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Sezione 2 Pagina 36

Una diversa formulazione del criterio di rispondenza della resistenza residua dei natanti lagunari alla curva di resistenza limite.

Per elaborare un criterio normativo applicabile, senza cioè dover ricorrere a prove in vasca

e calcoli di difficile applicazione, si è fatto ricorso ad una formula citata nella letteratura

come formula di Taylor 31 che permette su base statistica di valutare, con un errore

accettabile, la resistenza residua in kilogrammi di una carena con data lunghezza al

galleggiamento e dato dislocamento, nota la sua forma in modo abbastanza generico

(snella, media, tozza). La formula di Taylor, in formulazione originale è

R0 = K (Velocità in nodi) 4 * (Dislocamento in tonn ) (2/3) / (Lunghezza al galleggiamento in m)

dove K varia da 0.048 a 0.070, e l’ambito di applicazione è per V / √L < 2.

Per ricondurre il tutto alle unità consuete in ambito lagunare (lunghezze fuoritutto,

dislocamento in tonnellate, velocità in km/h) e soprattutto per adeguare la formula alle

prestazioni delle carene esistenti, la formula è stata riscritta con

K1 = 0.52 per trasporto pubblico passeggeri di linea

K2 = 1.19 per taxi e simili

K3 = 0.83 per lancioni e simili

K4 = 0.85 per trasporto merci

31 Cfr A. Parilli – Elementi di Architettura navale vol. II – Accademia Navale, 1952

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Sezione 2 Pagina 37

nella formulazione

R0 = Kn (Velocità in km/h) 4 * (Dislocamento in tonn ) (2/3) / (100*(Lunghezza fuoritutto in m))

dove Kn cambia, come visto, da categoria a categoria a seconda della maggior o minor

‘snellezza’ della carena.

Rispetto alla curva di resistenza residua limite stabilita dalla Commissione moto ondoso

negli anni passati, che risponde all’equazione (kg, km/h)

RR = -39.2778 + 16.9561 V – 1.78759 V2 + 0.0895655 V3 + 0.00134761 V4

ed in forma tabulare

V (km/h) RR (kg)

4 7 6 17 8 33

10 57 12 91 14 144 16 224 18 357 20 515

per le diverse categorie di natanti lagunari la formula di Taylor modificata fornisce le curve

di resistenza residua 32 riportate nelle pagine seguenti. I relativi fogli di calcolo sono

allegati in appendice.

32 Le due curve della resistenza residua limite fornite dalla Commissione danno in realtà risultati diversi fra

loro nella forma tabulare ed in quella forma parametrica. E’ stata adottata quella tabulare.

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Sezione 2 Pagina 38

Curva diresistenza residua per ACTV vs curva limite

0.0

100.0

200.0

300.0

400.0

500.0

600.0

0 5 10 15 20 25

V (km/h)

R (k

g)

Resistenza residua dalla formula di Taylor modificata per trasporto pubblico pax di linea K = 0.52 Lft (m) = 21.5 Disl. (t)= 34

V (km/h) R0 (kg) RR Lim (kg) Verifica

4 0.6 6.0 OK 6 3.3 18.9 OK 8 10.4 32.5 OK

10 25.4 52.4 OK 12 52.6 85.1 OK 14 97.5 137.1 OK 16 166.4 215.6 OK 18 266.5 328.2 OK 20 406.1 482.9 OK

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Sezione 2 Pagina 39

Curva resistenza residua di taxi vs curva limite

0.0

100.0

200.0

300.0

400.0

500.0

600.0

700.0

800.0

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

V (km/h)

R (k

g)

Resistenza residua dalla formula di Taylor modificata per taxi K = 1.19 Lft (m) = 9.5 Disl. (t)= 4.5

V (km/h) R0 (kg) RR Lim (kg) Verifica

4 0.9 7 OK 6 4.4 17 OK 8 14.0 33 OK 10 34.1 57 OK 12 70.8 91 OK 14 131.2 144 OK 16 223.8 224 OK 18 358.4 359 OK 20 546.3 515 NON OK

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Sezione 2 Pagina 40

Curva resistenza residua di lancioni vs curva limite

0.0

100.0

200.0

300.0

400.0

500.0

600.0

700.0

800.0

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

V (km/h)

R (k

g)

Resistenza residua dalla formula di Taylor modificata per lancioni K = 0.83 Lft (m) = 21.5 Disl. (t)= 29

V (km/h) R0 (kg) RR Lim (kg) Verifica

4 0.9 7 OK 6 4.7 17 OK 8 14.9 33 OK 10 36.4 57 OK 12 75.6 91 OK 14 140.0 144 OK 16 238.8 224 NON OK 18 382.5 357 NON OK 20 583.0 515 NON OK

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Sezione 2 Pagina 41

Curva resistenza residua di topo vs curva limite

0.0

100.0

200.0

300.0

400.0

500.0

600.0

700.0

800.0

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

V (km/h)

R (k

g)

Resistenza residua dalla formula di Taylor modificata per trasporto merci K = 0.85 Lft (m) = 11.5 Disl. (t)= 13.5

V (km/h) R0 (kg) RR Lim (kg) Verifica

4 1.1 7 OK 6 5.4 17 OK 8 17.2 33 OK

10 41.9 57 OK 12 86.9 91 OK 14 161.0 144 16 274.6 224 18 439.9 357 20 670.5 515

Questo metodo consente quindi di verificare, entro un margine di approssimazione, a che

velocità siano rispettati i vincoli della curva definita dalla Commissione moto ondoso.

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Sezione 2 Pagina 42

Risultati sperimentali di resistenza a rimorchio e propulsione per scafi lagunari.

Il tracciamento di curve di ‘resistenza residua ammissibile’ è naturalmente assai più

precisa ed attendibile utilizzando risultati sperimentali su modelli come quelli raccolti dalla

Vasca di Trieste. I dati sperimentali hanno anche lo scopo di permettere il calcolo delle

potenze minime richieste per l’avanzamento, per i diversi tipi di battelli, alle velocità

massime consentite.

In sostanza, l’uso dei dati sperimentali amplia ulteriormente le prerogative del progettista,

che dispone in questo modo anche di una possibilità di previsione e confronto preliminare.

Gli scafi di battelli lagunari che sono stati provati in vasca sono

• Un taxi con motore al centro

• Un taxi con piede poppiero

• Minitaxi

• Una chiatta VESTA - AMAV

• Un topo, provato a mezzo carico (1) ed a carico pieno (2)

• Un lancione GT tradizionale

• Un lancione GT a trimarano

• Un lancione GT a spigoli

• Un motoscafo ACTV

• Un vaporetto ACTV

• Un cofano

• Una sampierota

• Un barchino

• Una topa

• Un grande pontone

Da queste prove, riportate in appendice, sono state ricavate le componenti di resistenza

residua sia in valore assoluto, che in percentuale sulla resistenza totale, in una gamma di

velocità estesa fino a 25 km/h circa (tranne che per alcune categorie).

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Sezione 2 Pagina 43

Il dettagliato lavoro, che è riportato integralmente in appendice, è proseguito adattando

‘equazioni di regressione’ tipiche di serie sistematiche esistenti, ai dati ottenuti per i singoli

scafi, in modo da calcolare con precisione le componenti di resistenza anche per

dimensioni di scafo variate rispetto al battello originale capostipite.

Questo procedimento consente al progettista od al valutatore di confrontare la singola

carena, con le dimensioni sue proprie anche se è differente dalla carena originariamente

provata. In buona sostanza, sapendo che ad es. per un topo la curva di previsione e stima

della resistenza è ben descritta dal metodo di van Oortmessen e di Compton, adottando

questi metodi per dimensioni diverse (ma ugual tipologia di carena ! )l’errore si manterrà

entro limiti noti ed accettabili.

Le curve di resistenza dei singoli scafi hanno costituito poi la base per elaborare i calcoli di

necessità di potenza propulsiva teorica, cioè di valutare con precisione ragguardevole,

intorno al 2%, quale fosse la potenza necessaria a propellere ciascun battello provato in

vasca alla velocità di 20-25 km/h.

I complessi calcoli, che sono riportati integralmente in appendice, si possono condensare

nella tabella di pagina seguente, dove per ciascun esemplare provato è riportata la

potenza teoricamente sufficiente alla propulsione alla velocità indicata.

IMBARCAZIONE Va 1-w 1-t 1−ξ n D p Ae/Ao Z ηtr P_min(knots) (rpm) (m) (m) (kW)

TAXI 1 (P/C) 10.89 0.96 0.92 0.97 1700 0.5 0.315 0.715 3 0.95 70TAXI 1 (Z o M/C) 10.89 0.96 0.92 0.97 1650 0.5 0.27 0.715 3 0.95 43

CHIATTA AMAV (P/C) 5.45 0.9 0.83 0.97 600 0.6 0.43 0.65 5 0.95 11CHIATTA AMAV (Z o M/C) 5.45 0.9 0.83 0.97 500 0.6 0.435 0.65 5 0.95 5.5

TOPO (P/C) 8.17 0.94 0.87 0.97 750 0.58 0.59 0.85 4 0.95 36TOPO (Z o M/C) 8.71 0.94 0.87 0.97 650 0.58 0.57 0.85 4 0.95 16

GRANTURISMO (P/C) 10.89 0.95 0.92 0.97 900 0.66 0.62 0.82 4 0.95 97GRANTURISMO (Z o M/C) 10.89 0.95 0.92 0.97 800 0.66 0.675 0.82 4 0.95 77

MOTOSCAFO ACTV (P/C) 10.89 0.95 0.92 0.97 900 0.66 0.601 0.75 4 0.95 88MOTOSCAFO ACTV (Z o M/C) 10.89 0.95 0.92 0.97 800 0.66 62 0.75 4 0.95 59

VAPORETTO ACTV (P/C) 10.89 0.95 0.92 0.97 900 0.69 0.61 0.77 4 0.95 106VAPORETTO ACTV (Z o M/C) 10.89 0.95 0.92 0.97 850 0.69 0.63 0.77 4 0.95 92

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Sezione 2 Pagina 44

Nella tabella le velocità sono espresse in nodi (1 nodo = 1.852 km/h). I fattori (1-w) ed (1-t)

sono rispettivamente il ‘fattore di scìa’ ed il ‘fattore di riduzione della spinta’, dovuti

all’accoppiamento scafo-elica. N, P, Ae/Ao e D sono i parametri di funzionamento e

geometrici dell’elica, Z il numero delle pale ed Eta il rendimento meccanico. Un’analisi dei

fattori considerati nel calcolo è riportata nel contributo del prof. Quaggiotti, in appendice.

Alla velocità leggermente superiore a 20 km/h le potenze della tabella, che comprendono il

rendimento proprio dell’elica, le perdite di potenza attraverso il riduttore, le dissipazioni

dovute all’accoppiamento elica-scafo, sarebbero quelle che si misurerebbero fra motore e

gruppo di riduzione, con il battello che procede in acque calme, profonde, in assenza di

vento, di onde e di corrente ed in assetto identico a quello provato in vasca.

In effetti, però, un motore che generasse solo e soltanto queste potenze permetterebbe sì

al battello di raggiungere la velocità in questo contesto ideale, ma nulla più.

Esiste comunque la necessità pratica di mantenere i margini di sicurezza di

funzionamento, necessità che saranno esaminate successivamente, e che costringono a

dimensionare il motore in modo più abbondante del minimo teorico.

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Sezione 2 Pagina 45

I tre metodi proposti per valutare la resistenza residua ammissibile sugli scafi lagunari.

Riassumendo, i tre metodi proposti per stabilire quale sia la resistenza residua ammissibile

nei natanti lagunari sono :

1. Fissare un valore massimo di kg/Tonn di resistenza residua, quindi in funzione del dislocamento.

Questo valore può essere stabilito sulla base delle caratteristiche della flotta esistente (come la

tabella riportata nel testo) e sulla base di una velocità comune. Oppure ancora i valori possono

essere fissati categoria per categoria, oppure ancora in modo completamente arbitrario, senza ovviamente alcuna garanzia che siano effettivamente rispettabili da parte della tecnica attuale. La

verifica che ogni battello rispetti circa il limite di potenza dissipata viene dalla potenza motrice necessaria al raggiungimento della velocità massima: se con tot cavalli installati si raggiunge la

velocità X, e sapendo che a quella velocità la resistenza d’attrito si può calcolare con precisione, si

conosce anche la resistenza residua (per tonnellata di dislocamento) che si sta dissipando. E’, come

si vede, un modo un po’ macchinoso, ma che offre il vantaggio di graduare la dissipazione accettabile

per le diverse categorie senza penalizzare necessariamente la velocità.

2. Valutare con la formula di Taylor modificata la corrispondenza dei natanti lagunari alle esigenze di

dissipazione dettate dalla curva di resistenza limite, variando la velocità massima consentita per

ciascuna categoria in caso di superamento. Eventuali migliori prestazioni di singoli scafi, rispetto a

eusto metodo convenzionale, possono comunque essere dimostrate da prove in vasca.

3. Utilizzare i metodi sistematici identificati nello studio del prof. Zotti come ‘corrispondenti’ in termini di

errore accettabile per la previsione della resistenza residua, il che costituisce un affinamento

considerevole in termini di precisione del metodo (2)

4. Provare alla vasca il modello della carena.

Il più semplice ed immediato è quindi il metodo (2), che può naturalmente essere

sostenuto e dettagliato, caso per caso, con i metodi (3) e (4), ad esempio nel caso di

richieste di deroga.

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Sezione 2 Pagina 46

Adeguamento impiantistici ed operativi della potenza propulsiva teorica installata per la propulsione su navi e battelli.

Il minimo teorico di potenza installabile, sulle navi ma anche su altri mezzi di trasporto, va

adeguato a requisiti d’impianto e requisiti d’ambiente.

I requisiti d’impianto costringono di fatto, tranne che nel caso di motori da competizione,

a dimensionare la macchina in modo da lavorare all’80-85% della sua potenza di targa,

ma non di più. Un margine più ridotto è deleterio per la vita del motore, che sarebbe

almeno per la maggior parte della sua esistenza in regime estremo di temperature, usure

e consumi, , con ovvi riflessi sulla durata della stessa. Inoltre, occorre considerare che

difficilmente una macchina mantiene le prestazioni della gioventù, e non è raro vederle

scendere nel corso della vita, malgrado le manutenzioni, anche di un 10-15%. E’ un

fenomeno ben noto anche nei motori delle automobili, che hanno impieghi assai più blandi

di molti motori marini professionali, e che comprende non solo le carenze acquisite dal

motore in sé, ma anche l’aumento di rugosità dello scafo per vegetazione e sporcizia, lo

sbocconcellamento delle pale delle eliche per normale usura, la difettosa polverizzazione

degli iniettori non più nuovi e perfetti, la qualità del combustibile.

I requisiti d’ambiente sono tutti i fattori che sul battello in esercizio alterano il quadro

teorico di marcia costante rettilinea, in calma di mare e di vento, ed in assetto perfetto, che

sono alla base della valutazione di potenza precedente. Tener conto di un incremento di

resistenza dovuto al vento contrario ed alla corrente è una precauzione equivalente a

considerare che un’auto può dover percorrere una salita, e non solamente procedere su

una corsia d’autostrada, particolarmente sui battelli più grossi, esposti e pesanti. L’assetto

del battello, poi, per ragioni comprensibilissime può non essere quello ideale di prova – ed

ogni variazione induce un peggioramento delle prestazioni propulsive. Ugualmente va

considerata una correzione per basso fondale, poiché la vasca navale riproduce una

condizione di propulsione in acque libere e profonde, mentre in canali con profondità

inferiore a 20 volte l’immersione la resistenza residua aumenta sensibilmente.

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Sezione 2 Pagina 47

Esistono però altri requisiti d’ambiente, come il dover considerare che la potenza installata

su un battello costituisce anche la sua capacità frenante, e la sua capacità di manovra in

acque ristrette. Fattori questi particolarmente rilevanti nel contesto lagunare, e

maggiormente sulle imbarcazioni più grosse, pesanti e con delicato carico di passeggeri.

Per queste ragioni, un sovradimensionamento della potenza disponibile in confronto a

quella teoricamente necessaria non è una velleitaria scelta del costruttore o dell’operatore,

ma una normale pratica progettuale.

Naturalmente, esistono margini di discrezionalità nel definire quanto il

sovradimensionamento debba essere ampio. La plausibilità del sovradimensionamento, si

è visto nella prima sezione, è diversamente valutata persino dagli stessi operatori e

cantieri: se fosse esistito un criterio uniforme, tutti i taxi o tutti i lancioni avrebbero più o

meno uguale potenza, maggiorata rispetto al minimo teorico di un fattore circa omogeneo

fra tutti gli esemplari. Invece si è visto che non è così: non sono infrequenti i casi di

sovradimensionamento del 200-300% rispetto al minimo teorico, e comunque sono valori

sparsi. Sulla base invece delle considerazioni fatte, si propone invece un budget

ragionato dei fattori di maggiorazione, arrotondati per praticità e che, si noti, vanno

moltiplicati fra loro e non sommati, data la presunta contemporaneità delle esigenze

Denominazione del fattore d’incremento Fattore percentuale di incremento del valore

teorico di potenza installata

Margine di sfruttamento motore 115%

Margine di deterioramento impianto 110%

Margine per vento e corrente 110%

Margine per assetto variato 105%

Margine per basso fondale 105%

Margine per fermo e manovra 110%

MARGINE MASSIMO (circa) 170%

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Sezione 2 Pagina 48

La tabella serve a rendere evidente il meccanismo di scelta dei fattori, ed il totale

rappresenta il caso limite e non superabile di contemporanea applicazione di tutti i fattori di

maggiorazione e per tutte le voci.

Dipende però dal contesto, dal servizio, dalle politiche manutentive e da svariati altri

elementi se considerare sempre e comunque le maggiorazioni in contemporanea, e quali.

Ad esempio, le politiche di rotazione dei motori adottate dai taxisti portano ad escludere

l’applicazioni di margini rilevanti per il degrado delle macchine in questa categoria, mentre

questo fattore è ben presente nei lancioni GT e nei trasportatori merci.

Inoltre molti servizi non richiedono che eccezionalmente la piena velocità, quindi il margine

di sfruttamento dei motori è assorbito dal profilo di servizio: è il caso dei taxi, o quello dei

topi, ma non quello dell’ACTV. Oppure taluni fattori sono compresi all’origine nella

configurazione del motore: è il caso dell’ACTV, che installa motori depotenziati per non

sfruttarli fino in fondo già come default.

Valorizzando opportunamente tutte queste differenze, ed alleggerendo di conseguenza le

maggiorazioni, la tabella delle potenze minime teoricamente necessarie a raggiungere le

velocità consentite diventa quindi

Battello tipo provato alla vasca

Potenza teorica necessaria alla propulsione di

imbarcazione ‘tipo’

(Hp)

Fattore percentuale di incremento del valore teorico di

potenza installata

Potenza plausibile

installata totale su imbarcazione

‘tipo’

(Hp)

Taxi 95 130% 125

Chiatta VESTA 15 160% 25

Topo 50 140% 70

Lancione GT 124 170% 210

Motoscafo ACTV 120 150% 180

Vaporetto ACTV 144 170% 245

Consorzio Venezia Ricerche

Sezione 2 Pagina 49

Questi valori sono naturalmente riferiti alle dimensioni dei battelli ‘tipo’, quelli provati in

vasca, e non coincidono con tutte le dimensioni, portate e capacità dei battelli di ciascuna

categoria: se il lancione a cui si vuol attribuire un valore plausibile di potenza installata è

più grande o più piccolo di quello provato in vasca occorrono adattamenti, per ricavare

valori adatti alle caratteristiche che non siano di quelli medi. Ad es. il topo standard da 9-

11 m avrà potenza plausibile di 70 Hp, ma i topi fuori standard, più grandi o più piccoli,

avranno potenze plausibili di conseguenza, variate rispetto al valore centrale secondo un

criterio che identifichi in modo immediato la ‘diversità’.

I parametri che sono stati assunti come ‘indici tipici di diversità’ delle diverse esigenze

propulsive sono stati:

• per i taxi, il diverso peso dello scafo allestito

• per i lancioni, la portata massima di passeggeri in estate

• per i mezzi di trasporto pubblico di linea, la portata massima di passeggeri in estate

• per i mezzi di trasporto merci, la capacità di carico in quintali

• per il diporto, la lunghezza fuoritutto dello scafo

• per i mezzi da lavoro, la lunghezza dello scafo

I differenti criteri adottati sono riportati nella seguente sezione 4, insieme ad un dettagliato

riepilogo delle motivazioni dell’articolazione per ciascun criterio.