Settecento - Johan and Levi editore1394795291... · 2015. 7. 24. · 1820-23, custodite al Prado,...

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Saggi Goya era più aperto di Freud Gli arcani dell'espressività del pittore spagnolo secondo Belpoliti, i suoi dualismi in uno sfavillante studio di Todorov A pochi mesi dal librino di Marco Belpoliti, II segreto di Goya (Johan & Levi), basato sull'i- dea che l'arcano dell'espressività goyesca sia da cercare nella sordità in cui il pittore spro- fondò nel 1792 («Io catastrofe della forma della pittura di Goya, vi si legge, è uno scivolamento contìnuo da un senso, l'udito, all'altro» e se la ma- lattia lo priva d'un senso, ne scatena in lui altri), è uscito per Garzanti un appassionante saggio di Tivetan Todorov. Sfavillante d'in- telligenza, il lavoro del grande studioso intro- duce il lettore alla comprensione dei duali- smi di un'opera divisa tra una linea pubblica (Goya era pittore del re) e una intima (l'ingen- te produzione di disegni, incisioni, dipinti, di cui son culmine i pannelli della Quinta del Sordo, le oggi notissime «Pinturas negras», 1820-23, custodite al Prado, eseguiti non per lucro né per esibirli, ma per autoguarigione). Col rifiuto a vedere per colori e linee conven- zionali («non vedo lìnee, ma solo corpi illuminati o corpi che non lo sono», diceva, impostando i suoi quadri su compenetrazioni d'ombra e luce), molto prima degli impressionisti Goya scavalca il problema della bellezza, iniziando a dipingere il mondo come lo vedeva e non come è; non con precisione storica (e ci si guardi dal vedere nei Disastri della guerra protocronache da reporter di guerra), ma Goya, «La lampada del diavolo», Londra, National Gallery of Art cercando la verità dell'esperienza umana. H pensierofiguraledi Goya esprime la compre- senza e l'inseparabilità degli opposti (salute/ malattia, ragione/follia, giorno/notte...) su cui si fonda l'universo fisico, così come l'univer- so ulteriore di ognuno. Figlio dei Lumi, cioè di un'epoca di cui le ombre della sua arte mettono in luce il lato oscuro, così come lo è Napoleone, che con le violenze delle sue milizie (in Spagna tra 1808 e 1813) mostra quali crimini possano generare le illumina- te ragioni di giustizia e uguaglianza, Goya constata tene le pratiche non sono all'altezza delle teorie» e tscopre che le due ideologie, tradizionale e moderna, ispirate all'ordine divino o a quello degii uomini, si melano altrettanto insoddisfacenti». In risposta alle tragedie del suo tempo, oltre- ché alla malattia, il maestro abbandona così i soggetti che gli son valsi il successo e, con l'intento di mostrare l'invisibile, si addentra in un viaggio nella notte della Storia e della mente, tra streghe, inferni di guerra, mani- comii, briganti, cannibali, stanze di tortura. Tuttavia; osserva Todorov, la «sua interpretozio- ne del mondo dei demoni è più aperta di quella di Freudt: Goya non raduna quelle torme infer- nali (proiezioni di desideri, pulsioni e umane paure) per farne spunto di satira contro la su- perstizione, ma designa per loro tramite un dato di fatto reale: gli uomini si comportano come diavoli. Immaginazione e realtà coin- cidono sempre, per lui, che mai rinnegò gli ideali illuministici, pur vedendone i limiti, e fu impietoso osservatore del mondo senza essere *un maestro di disperazione né un nicnii- sta», tant'è vero che, fedele a un ultimo dua- lismo, Goya morirà di contentezza all'arrivo dell'amatissimo nipote a Bordeaux nell'apri- le 1828. J Alessandro Ruttino II segreto di Goya, di Marco Belpoliti, 56 pp., ili. b/n, Johan & Levi, Milano 2013, € 9,00 Goya, di Tzvetan Todo- rov, 304 pp., ili. col. e b/n, Garzanti, Milano 2013, €29,00

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  • IL GIORNALE DELL'ARTE Numero 340, marzo 2014 19

    U Giornale deiLIBRI A cura di Anna Maria FarinateCome la pensava MondrianII pensiero di Mondrian scintilla nel Novecento, dialoga con ambiti insospettabili, come ha rivelato una volta per tutteil celebre abito inventato da Yves Saint Laurent negli anni Sessanta. Bene ha fatto Mimesis a riproporre lutti gli scritti,

    a distanza di un quarantennio dalla precedente edizione Feltrinelli, in un ampio volume illustrato che permette di

    ripercorrere gli sviluppi di un affondo radicale all'immagine tradizionale. I testi sono spesso manifesti, hanno un intento

    polemico, vogliono dichiarare una nuova necessaria visione del lavoro dell'artista, lontano dalle secche del realismo,

    contro cui si batteva il movimento di pensiero di De Stijl. In questa rivista-campo di battaglia, dove gli esponenti del

    moderno dichiaravano la necessità del neoplasticismo, una visione creativa che coinvolgesse ogni aspetto della

    società, come ben spiegava il pensiero visionario di Theo van Doesburg e le creazioni «per uso quotidiano» di Gerrit

    Rietveld. Mondrian si rivela sempre in dialogo con il proprio tempo, tresca con futuristi (è particolarmente interessato

    a Luigi Russolo e ai suoi straordinari intonarumori), dialoga con i dadaisti, lavora in teatro con Michel Seuphor per una

    pièce, L'effimero è eterno, che divaga in clima surrealista. Egli poi percepisce subito le possibilità di analogia del jazz, e

    coglie la folgorazione del boogie woogie, a cui sono dedicate le sue opere più sorprendenti, nel corso dell'ultima dimora

    negli Stati Uniti. Gli aggettivi che sono nei titoli dei testi: «vero», «puro», indicano un desiderio struggente di sintesi e

    di precisione, a cui l'artista dedica la sua opera e il suo pensiero. I passaggi critici sono quelli che vanno dall'eredità

    del Cubismo al tentativo di definire con la massima esattezza possibile che cosa sia l'arte astratta. Proprio come

    cercava di spiegare, poco prima della scomparsa, nella cristallina prosa di A New Realism, letta di fronte al gruppo degli

    American Abstract Artists alla Nierendorf Gallery di New York, che chiude il volume (nella foto: Piet Mondrian ritratto da

    Andre Kertész, Parigi 1926). • LS.

    Saggi

    Goya era più aperto di FreudGli arcani dell'espressività del pittore spagnolosecondo Belpoliti, i suoi dualismi in unosfavillante studio di Todorov

    A pochi mesi dal librino di Marco Belpoliti,II segreto di Goya (Johan & Levi), basato sull'i-dea che l'arcano dell'espressività goyesca siada cercare nella sordità in cui il pittore spro-fondò nel 1792 («Io catastrofe della forma della

    pittura di Goya, vi si legge, è uno scivolamento

    contìnuo da un senso, l'udito, all'altro» e se la ma-

    lattia lo priva d'un senso, ne scatena in luialtri), è uscito per Garzanti un appassionantesaggio di Tivetan Todorov. Sfavillante d'in-telligenza, il lavoro del grande studioso intro-duce il lettore alla comprensione dei duali-smi di un'opera divisa tra una linea pubblica(Goya era pittore del re) e una intima (l'ingen-te produzione di disegni, incisioni, dipinti, dicui son culmine i pannelli della Quinta delSordo, le oggi notissime «Pinturas negras»,1820-23, custodite al Prado, eseguiti non perlucro né per esibirli, ma per autoguarigione).Col rifiuto a vedere per colori e linee conven-zionali («non vedo lìnee, ma solo corpi illuminati

    o corpi che non lo sono», diceva, impostando i

    suoi quadri su compenetrazioni d'ombra eluce), molto prima degli impressionisti Goyascavalca il problema della bellezza, iniziandoa dipingere il mondo come lo vedeva e noncome è; non con precisione storica (e ci siguardi dal vedere nei Disastri della guerraprotocronache da reporter di guerra), ma

    Goya, «La lampada del diavolo»,Londra, National Gallery of Art

    cercando la verità dell'esperienza umana. Hpensiero figurale di Goya esprime la compre-senza e l'inseparabilità degli opposti (salute/malattia, ragione/follia, giorno/notte...) su cuisi fonda l'universo fisico, così come l'univer-so ulteriore di ognuno. Figlio dei Lumi, cioè

    di un'epoca di cui le ombre della sua artemettono in luce il lato oscuro, così come loè Napoleone, che con le violenze delle suemilizie (in Spagna tra 1808 e 1813) mostraquali crimini possano generare le illumina-te ragioni di giustizia e uguaglianza, Goyaconstata tene le pratiche non sono all'altezza delle

    teorie» e tscopre che le due ideologie, tradizionale e

    moderna, ispirate all'ordine divino o a quello degii

    uomini, si melano altrettanto insoddisfacenti».

    In risposta alle tragedie del suo tempo, oltre-ché alla malattia, il maestro abbandona cosìi soggetti che gli son valsi il successo e, conl'intento di mostrare l'invisibile, si addentrain un viaggio nella notte della Storia e dellamente, tra streghe, inferni di guerra, mani-comii, briganti, cannibali, stanze di tortura.Tuttavia; osserva Todorov, la «sua interpretozio-ne del mondo dei demoni è più aperta di quella di

    Freudt: Goya non raduna quelle torme infer-nali (proiezioni di desideri, pulsioni e umanepaure) per farne spunto di satira contro la su-perstizione, ma designa per loro tramite undato di fatto reale: gli uomini si comportanocome diavoli. Immaginazione e realtà coin-cidono sempre, per lui, che mai rinnegò gliideali illuministici, pur vedendone i limiti, efu impietoso osservatore del mondo senzaessere *un maestro di disperazione né un nicnii-

    sta», tant'è vero che, fedele a un ultimo dua-lismo, Goya morirà di contentezza all'arrivodell'amatissimo nipote a Bordeaux nell'apri-le 1828. J Alessandro Ruttino

    II segreto di Goya, di Marco Belpoliti, 56 pp., ili.

    b/n, Johan & Levi, Milano 2013, € 9,00

    Goya, di Tzvetan Todo-rov, 304 pp., ili. col. e

    b/n, Garzanti, Milano

    2013, €29,00

    Quattrocento

    La vera statura di Della Gatta«Ingegno atto a tutte le cose», superiore a Signorelli, ma meno valorizzato

    Una monografia su Bartolomeo della Gattanon può che coinvolgere anche Luca Signo-relli in una riflessione che tiene legati i dueartisti in serrato confronto. È infatti cruciale,sin da Vasari, il ruolo che il cortonese gioca,nel bene e nel male, nel fare luce da vivo e poiombra da morto, nella vicenda del meno no-to Pietro di Antonio Dei (1448-1502) fiorentinoe dal 1481 priore del monastero camaldolesedi San Clemente ad Arezzo. Preceduta da unadensa introduzione di Andrea De Marchi,significativamente intitolata L'ora di Barto-lomeo, la trattazione ha perciò il suo snodoprincipale nel capitolo dedicato alla CappellaSistina dove Cecilia Martelli letteralmentecapovolge il rapporto fino a oggi fissato tra idue pittori (e il sovvertimento prosegue nellepagine su Luca a Loreto) a partire dall'evo-cazione di un pensiero di Luciano Bellosisecondo il quale Bartolomeo aveva, come ri-corda De Marchi, ama statura superiore a quella

    di luca Signorelli, suo compagno di lavoro ne$i anni

    giovanili, non riconosciuta perché i suoi capolavori

    non erano migrati nei musei del mondo, non erano

    adeguatamente riprodotti e commentati».

    Se questo è l'asse portante della prima metàdel volume, l'autrice ha scelto di tenere sepa-rata l'attività di Bartolomeo miniatore che,a seguire, è preceduta da una seconda e spe-cifica fortuna critica, come nella tradizioneottocentesca che penalizza però la percezic-

    CONTINUA A PAG. 2 0 , 1 COL.

    Bartolomeo della Gatta, «Madonna in trono tra i santi Martino, Benedetto ecommittente», Coro del Monastero delle Cappuccine di Santa Veronica Giuliania Città di Castello

    Settecento

    Verdastro e sgocciolanteGiuseppe Antonio Pianca fu un appartatopittore valsesiano «di natura temporalesca»

    A chi ama i maestri più defilati, le ec-cellenze nate controvento e a dispettodelle regole canoniche dell'arte, negliangoli più negletti, lontane dai campi-dogli dell'arte, dagli stendardi e dalleacclamazioni, non potrà che piacere illibro di Filippo Maria Ferro, dedicatoa un pittore angoloso, «verdastro e sgoccio-lante» come lo definì Testori, e non certofacile come Giuseppe Antonio Pianca. Ilpittore nacque ad Agnona in Valsesia,nel 1703. Della sua vicenda umana po-co si conosce e anche la data di morteè incerta: dopo il 1762. Assai giovane sirecò a Milano, dove portò custodite nelproprio cuore la memoria dei natii Sa-cri Monti e della loro arte spontanea eraffinatissima insieme. Venne a contattocon la pittura di Magnasco e dei con-temporanei pittori genovesi, con l'artecontroriformistica di matrice severa-mente borromea, con la pittura france-se di Van Loo e di Boucher, riuscendo afare di queste quasi inconciliabili veneun magico amalgama. Pianca fu attivo aNovara e nel suo territorio, a Cremona,a Tortona, e poi anche nella natìa Valse-sia e in molte vallate alpine, per chiesedisperse: località che hanno richiestoricerche complesse e pazienti.La sua arte di «natura temporalesca» èstata per lungo tempo negletta e solonel 1962 Giovanni Testori l'ha risusci-tata, insieme con Marco Rosei. Da al-lora gli studi si sono susseguiti, fino aculminare in questa splendida ed esau-stiva monografia a cui Filippo MariaFerro ha lavorato per molti anni. Sfo-gliare il volume, riccamente illustrato,consente di cogliere la lingua famigliaree la gioia dei sentimenti più intimi cheanimano l'opera di questo singolare ar-tista, che oggi si colloca fra le figure dispicco della prima metà del Settecentoitaliano. Non corrono nelle sue tele lesete e i vapori della coeva pittura vene-ziana, né tantomeno le grazie civettuoledell'incipiente Rococò: la bellezza con-tristata di queste opere possiede inveceaccenti che mancano a tele trionfanti ereca la traccia di un lungo transito sot-

    Giuseppe Antonio Pianca, «Mosèsalvato dalle acque», particolare,collezione privata

    terraneo, della notte che hanno dovutoattraversare con il loro autore carico disegreti e di tempo. Da questo volume lafigura di Pianca appare rischiarata, conle sue passioni, le sue sconfitte e le suevittorie: un artista umile e grande oggirisorto sullo sfondo nero del tempo. Co-me affermava Goethe, nel grande cielostellato della storia dell'arte brillanoastri dalla luce corrusca e altri menoluminosi: tutti però contribuiscono acreare l'armonia celeste della bellezza.J Arabella Ch'ani

    • Giuseppe Antonio Piancapittore.valsesiano del '700, diFilippo Maria Ferro, 352 pp., ili.,Edizioni del Soncino, Soncino2013, € 180,00

    Arte come complottoIn un momento di crisi di riferimenti nelle

    relazioni tra intellettuali e potere, quando

    gli showmen diventano capipopolo, e i

    pensatori trescano con le poltrone, torna

    •di grande attualità la relazione tra arte e

    politica, tema spesso trascurato nei tempi

    del postmoderno trionfante. DemetrioPaparonl, curatore di mostre e saggista,racconta la sua visione dell'arte moderna

    e contemporanea come complotto nel

    dettagliato volume // bello, il buono e

    il cattivo, il cui tìtolo cita ironicamente

    Sergio Leone. Nell'introduzione chiarisce

    di avere avuto la folgorazione per questa

    ricerca durante un lavoro curatoriale in

    Israele (Paese in cui il nesso che intende

    esplorare è senz'altro assai forte) e da

    lì ha deciso di affrontare un percorsoche parte da Napoleone e approda allacomplessità del presente, verificando lacronaca della ricerca estetica come mappa

    geopolitica di forze e tensioni. Dal tentativo

    di megamuseo parigino dell'Empereur a

    quello del mancato Hitler Museum di Linz,a cui il dittatore attese fino all'estremo

    della sua vita nel bunker assediato, è

    tutta una sequenza di progetti di collezioni

    tiranniche, ma anche le democrazie non

    sono da meno. Torna in queste pagine

    un filone particolarmente analizzato in

    Francia, dal momento in cui la grandeur

    parigina è tramontata, per cui la Cia avrebbe

    sostenuto i trionfi dell'Espressionismo

    astratto, e specialmente di JacksonPollock. Il tutto, come non manca disottolineare l'autore, in una dinamica

    estremamente contradditoria, anche

    perché a erogare fondi per la diffusione

    di opere di avanguardia sarebbero stati i

    portavoce di un pensiero iperconservatore.

    Le vicende analizzate da Paparoni toccano

    l'Italia fascista e l'altrettanto complessa

    e sfaccettata vicenda di Bottai, in cui ilnome maggiormente in evidenza è quello di

    Guttuso, arrivando alle vicende più recentidelle cronache, in cui è evidenza, tra gli altri,

    il nome di Ai Welwel. L'autore racconta benesnodi e sviluppi che stanno tra le quinte

    della ricerca estetica, concludendo però,

    con sollievo del lettore, che anche i dittatori

    meglio intenzionati hanno alla fine perso

    la sfida con la Storia, che ha buttato per

    aria i loro progetti di un'arte integralmente

    asservita al loro comando. • Luca Scarlini

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