Servi della Sofferenza

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Tariffa Associazioni Senza Fini di Lucro: “Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 2, DCB Taranto Transiti

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N. 12 Dicembre 2009

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«NEL BAMBINO DI BETLEMME DIO SI CHINA SULLE MISERIE DELL’UMANITÀ. DIO SCENDE REAL-MENTE. DIVENTA UN BAMBINO E SI METTE NELLA CONDIZIONE DI DIPENDENZA TOTALE CHE È PRO-PRIA DI UN ESSERE UMANO APPENA NATO. IL CREATORE CHE TUTTO TIENE NELLE SUE MANI, DAL

QUALE NOI TUTTI DIPENDIAMO, SI FA PICCOLO E BISOGNOSO DELL’AMORE UMANO. NIENTE PUÒ

ESSERE PIÙ SUBLIME, PIÙ GRANDE DELL’AMORE CHE IN QUESTA MANIERA SI CHINA, DISCENDE, SI

RENDE DIPENDENTE. LA GLORIA DEL VERO DIO DIVENTA VISIBILE QUANDO CI SI APRONO GLI OCCHI

DEL CUORE DAVANTI ALLA STALLA DI BETLEMME» (BENEDETTO XVI. OMELIA. NOTTE DI NATALE, 24DICEMBRE 2008).

LA SANTITà NELLA ChIESA

Il Beato AgostinoThevarparampil, sacerdote diocesanoTiziana Franchin

SCIENzA E FEDE

Seguendo la stellaCostantino Sigismondi

L’educazione in una scuolasvizzeraStefanie Schildknecht

Giampiero è diacono!don Giuseppe Marino

Venite in disparte… e ritemprate lo spiritoMaddalena Verdoliva

gArgANo: TErrA DI SANTI

Rignano Garganico,il paese che diventa presepeMaria Stella Alemanno

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EDITorIALE

Il Natale don Pierino Galeone

L’arte: il linguaggiodella bellezzaIncontro del Papa Benedetto XVI con gli artisti, 21 novembre 2009Michela Sacchetti

LE grANDI SCuoLE

DI SPIrITuALITà CrISTIANA

Gli Istituti SecolariUna vocazione donata dalloSpirito alla Chiesadon Giuseppe Ancora

I PAPI DI PADrE PIo

San Pio da Pietrelcina e il Servo di Dio Giovanni Paolo II2ª partedon Francesco Castelli

uN ALTro ProCESSo A gESù

La sentenza della Corte europea sul CrocifissoMarco Ferraresi

Mons. Migliore: «La comunitàpiù discriminata al mondo?Quella cristiana»Roberta Alfano

Sommario

Editore:Casa Servi della Sofferenza coop. srI.

Registrazione:Tribunale di Taranto n. 424 del 7 febbraio 1992

Redazione e amministrazione:Via IV Novembre, 41 74027 San Giorgio Jonico (Ta)Tel. 099.5918824Fax 099.5925111c.c.p. n. 10661742www.servidellasofferenza.org

Direttore responsabile:Mons. Pierino Galeone

Redattori:Mons. Emanuele TaglienteGiorgina TocciFrancesco Mastronuzzi

Abbonamento annuo:ordinario 20,00 euroestero 30,00 eurosostenitore 50,00 euro

Grafica ed impaginazione:PuntoLinea ~ [email protected]

Stampa: Brizio Industrie GraficheTaranto Lama

Anno XVIII • Numero 12Dicembre 2009

In copertina: un presepe

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Il Nataledon Pierino Galeone

EDITORIALE

L’incarnazione di Gesùè stata pensata e volutadal Padre celeste. Fudeciso dal Padre di

mandare suo Figlio sullaterra e prendere l’umanità.

Il Figlio di Dio ha ubbidi-to al Padre e, per opera delloSpirito Santo, ha assuntol’umanità dal grembo diMaria, sottoponendosi atutte le vicende della naturaumana e degli uomini, eccet-to il peccato.

Come in una formula consacratoria, il“fiat” di Maria ha reso presente il Figlio diDio che si incarnava nel suo grembo.

La luce è entrata nel buio, il giornosenza tramonto è entrato nella notte, ilcalore dell’amore di Dio è entrato nel fred-do, la Parola di Dio si è fatta silenzio.

Entrando nella capanna di Betlemme, ilFiglio di Dio si allontana dal Padre discen-dendo dal cielo per stare a fianco a duecreature, Maria e Giuseppe. Lascia il tronoper stare in una mangiatoia Colui che hacreato il cielo e la terra. Colui attorno alquale ci sono miriadi di angeli è lì, in unastalla, in mezzo al bue e all’asinello, secon-do la pietà popolare.

Cristo è la luce che si è fatta, per noi,buio nella grotta della natività.

Egli è compimento e perfezionamentodi una promessa rivelata dallo Spirito aiprofeti.

Il Natale, infatti, fa memoria degli inizidella nostra salvezza. Gabriele a Maria dice:“Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lochiamerai Gesù, che significa Dio-che-salva”(Lc 1,31). Un angelo disse in sogno aGiuseppe: “Non temere Giuseppe di prenderecon te Maria tua sposa. Essa partorirà un figlioe tu lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suopopolo dai peccati” (cfr Mt 1, 20-22). Ancora,

un angelo apparve ai pastori:“Non temete, ecco vi annunziouna grande gioia che sarà di tuttoil popolo: oggi ci è nato nella cittàdi Davide il Salvatore, che èCristo Signore” (Lc 2, 10). E ilvecchio Simeone prese inbraccio il bambino Gesù ebenedisse Dio: “Ora lascia, oSignore, che il tuo servo vada inpace, secondo la tua parola, per-ché i miei occhi han visto la tuasalvezza” (Lc 2, 29).

Maria, mediatrice di santità, comunicain anticipo la salvezza a Giovanni, santifi-candolo ancora in grembo a sua madreElisabetta: “Appena Elisabetta ebbe udito ilsaluto di Maria, il bambino le sussultò nelgrembo” (Lc 1, 41).

Il Natale è, dunque, una grande gioia.Ma tu, nel Natale, dove cerchi la gioia?Nel mondo o in Cristo?

Non pensare solo alle feste del Natale,al presepe, agli abiti nuovi; vai incontro aGesù Bambino con un cuore puro, con unavolontà nuova e risoluta.

Fa’ sorgere la speranza nel tuo cuore,sciogli le fasce che ti hanno avvolto nellafragilità e nella debolezza! Torna ad esserelibero! Lasciati abbracciare dal Figlio diDio, dalla Madonna, da san Giuseppe.Segui la stella che viene dal cielo, Cristo:Lui solo ti può condurre sulla via giusta,per farti incontrare con il Padre celeste.

Il Natale va vissuto per ciò che concre-tamente è: attesa di Cristo, luce delmondo.

L’attesa è vigilia, veglia; un’attesapaziente e operosa, perché la luce chedeve manifestarsi non ci colga imprepara-ti, perché seguiamo l’esempio delle vergi-ni prudenti del Vangelo e le nostre lampa-de siano piene di fede e opere buone, per-ché nelle tenebre il maligno non abbia ad

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approfittare del nostro torpore. Cristo è luce, nella sua luce vediamo la

luce.Come la luce naturale evidenzia le real-

tà naturali, la sua luce svela quelle sopran-naturali.

La luce vince le tenebre e per accoglie-re la luce, affinché stabilmente dimori innoi e sia “lampada ai nostri passi” non v’èche un mezzo: l’ubbidienza alla fede e aisacramenti.

Tu ti metti in cammino per andare allacapanna di Betlemme? Cosa dici a GesùBambino? Di voler essere più buono? Divoler essere veramente figlio di Dio? Divoler essere un vero cristiano? Di volerlasciare il male e fare il bene? Di voler fareuna radicale conversione?

Com’è bella questa notte! Diceva PadrePio “La notte più bella di tutto l’universo pas-sato, presente e futuro è la notte del Natale”.Che bella questa notte, che dolcezza, chesoavità, che consolazione, che gioia, che

pace dello spirito!Quel Bambino tenero, semplice, umile,

bello, che allarga le manine per abbrac-ciarsi al tuo collo, tu forse lo rifiuti ancora?

Com’è bello il Natale, ma rendilo tubello! Fa’ in modo che dentro di te vibridavvero, fremente, la vera gioia e la veraconsolazione, che è il Bambino Gesù,Colui che si è fatto “piccolo” per occuparequei “piccoli” spazi che hai lasciato nel tuocuore per Lui.

Diceva Padre Pio: “La tenerezza di GesùBambino mi fa liquefare il cuore, mi brucia, miincenerisce. Vorrei rimanere liquefatto pertutta l’eternità in quella grotta, ai piedi diGesù Bambino”.

Quanto ha fatto il Figlio di Dio perincarnarsi!

Nella sua umanità Cristo ha racchiuso,oltre al suo amore per noi, anche l’amoredel Padre verso tutti gli uomini e l’amoredi Maria, madre di Dio e madre nostra.

Grazie, Gesù! �

La Natività diGiotto nella

Basilica di Assisi

L’attenzione del Papa nei confrontidegli artisti è indice di un voler porrein risalto anche l’aspetto positivodell’espressione artistica. Questo

ovviamente in un contesto in cui l’arte èvista come una sorta di “merce” che si vuol

barattare in cambio di denaro, fama e suc-cesso, ci porta a riflettere.

Non pochi sono gli artisti che non ave-vano mai letto l’espressione artistica dalpunto di vista espresso loro dal Papa.Una nuova prospettiva gli si è spalancata

Michela Sacchetti

L’ARTE:IL LINGUAGGIODELLA BELLEZZA

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Papa Benedetto XVIentra nellaCappella Sistina

Incontro del Papa Benedetto XVI con gli artisti.Cappella Sistina, 21 novembre 2009

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innanzi. Il Papa apre il suo discorso sottolinean-

do l’importanza dell’amicizia della Chiesacon il mondo dell’arte, un’amicizia che,tiene a precisare il Santo Padre, si è conso-lidata nel tempo, poiché il Cristianesimo,fin dalle sue origini, ha ben compreso ilvalore delle arti e ne ha utilizzato sapiente-mente i multiformi linguaggi per comuni-care il suo immutabile messaggio di salvez-za. Sempre sulla stessa linea, il Papa ritieneche questa amicizia vada promossa e soste-nuta, affinché sia autentica e feconda, ade-guata ai tempi e tenga conto delle situazio-ni e dei cambiamenti sociali e culturali.

Il Papa quindi si fa portavoce di unmessaggio che è quello di un invito alla col-laborazione, al dialogo e all’amicizia e lo fapraticamente a quelli presenti ma ideal-mente a tutti gli artisti.

Suggestivo lo scenario offerto dallaCappella Sistina, dove si è tenuto sia l’in-contro del 21 novembre scorso. PapaBenedetto sottolinea la bellezza della pittu-ra michelangiolesca e fornisce una spiega-zione del “Giudizio Universale” che è raffi-gurato alle sue spalle: esso rappresenta unatensione verso la pienezza, verso la felicitàultima, verso un orizzonte che sempreeccede il presente mentre lo attraversa.

Nella lettura che ne dà il Papa emergechiaramente il concetto di speranza. Ilnostro sguardo di fronte a questo affrescodeve proiettarci proprio lì, verso l’orizzon-te ultimo, dove vedremo Dio “faccia a fac-cia” e finalmente la nostra gioia sarà piena.Questo binomio bellezza-speranza erastato anche il nucleo essenziale di un mes-saggio che Paolo VI indirizzò agli artisti, inoccasione della chiusura del ConcilioEcumenico Vaticano II, l’8 dicembre 1965.

«Questo mondo nel quale viviamo habisogno di bellezza – esortava Paolo VI –per non sprofondare nella disperazione. Labellezza, come la verità, è ciò che infondegioia al cuore degli uomini, è quel fruttoprezioso che resiste al logorio del tempo,che unisce le generazioni e le fa comunica-re nell’ammirazione. E questo grazie allevostre mani… Ricordatevi che siete i custo-di della bellezza nel mondo».

Per Papa Benedetto la bellezza rappre-senta in questa nostra società una sicuraancora per non naufragare nel mare del-

l’aggressività e della disperazione e cheallo stesso tempo può ridare entusiasmo efiducia e incoraggiare l’animo umano aritrovare il cammino.

Il Santo Padre prosegue il suo discorsocitando dapprima Platone. Per il filosofo labellezza scuote l’individuo, lo fa uscire dase stesso ma lo fa anche soffrire, aprendogligli occhi del cuore e della mente, spingen-dolo verso l’alto. Anche la citazione diDostoevskij rimane sulla stessa linea, purtoccando il limite del paradosso: «L’uma-nità può vivere senza la scienza, può vive-re senza pane, ma soltanto senza la bellez-za non potrebbe più vivere, perché non cisarebbe più nulla da fare al mondo». MaPapa Benedetto fa riferimento ai “grandi”della filosofia, della letteratura e anche

Duecentosessantaartisti di ogni credo

religioso nellaCappella Sistina

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della pittura per avvalorare il senso del suodiscorso trovandosi di fronte ad uditoriforse lontani da una prospettiva di fede.

Da una parte quindi nel suo discorsomette in risalto “la bellezza” della bellezzae dall’altra però è consapevole delle conse-guenze negative che la bellezza può porta-re, dell’erroneo utilizzo che purtroppo oggise ne fa. Un bellezza quindi che può ancherendere schiavi, imprigionare in se stessi eche ridesta la brama di possesso e disopraffazione sull’altro.

Il Papa però insiste sul fatto che la bel-lezza, sia quella del creato che quella che siesprime attraverso le creazioni artistiche,proprio per la sua caratteristica di aprire eallargare gli orizzonti della coscienzaumana, di rimandare oltre se stessa, puòdiventare una via verso il Trascendente,verso Dio. Una bellezza dunque che ciconduce a cogliere il Tutto nel frammento,l’Infinito nel finito, che può assumere unavalenza religiosa e trasformarsi in un per-corso di profonda riflessione interiore e dispiritualità.

Quella del Papa è una visione stilnovi-stica dell’arte, come la bellezza delle crea-ture deve rimandarci al suo Creatore,anche la bellezza dell’arte deve proiettarci

verso il Sommo Bene, «l’amor che move ilsole e l’altre stelle».

Il Santo Padre termina così il suodiscorso agli artisti, esortandoli ed inco-raggiandoli: «Voi siete custodi della bel-lezza; voi avete, grazie al vostro talento,la possibilità di parlare al cuore dell’uma-nità, di toccare la sensibilità individuale ecollettiva, di suscitare sogni e speranze, diampliare gli orizzonti della conoscenza edell’impegno umano. Siate perciò gratidei doni ricevuti e pienamente consape-voli della grande responsabilità di comu-nicare la bellezza, di far comunicare nellabellezza e attraverso la bellezza! Siateanche voi, attraverso la vostra arte,annunciatori e testimoni di speranza perl’umanità! E non abbiate paura di con-frontarvi con la sorgente prima e ultimadella bellezza, di dialogare con i credenti,con chi, come voi, si sente pellegrino nelmondo e nella storia verso la Bellezzainfinita! La fede non toglie nulla al vostrogenio, alla vostra arte, anzi li esalta e linutre, li incoraggia a varcare la soglia e acontemplare con occhi affascinati e com-mossi la méta ultima e definitiva, il solesenza tramonto che illumina e fa bello ilpresente». �

Il Papa rivolge agli artisti un amichevole e appassionato appello: «comunicate speranza al mondo»

Da alcuni decenni esiste nella Chiesa

una forma nuova di consacrazione a

Dio: la Consacrazione Secolare

Le grandi scuole di spiritualità cristiana

Gli Istituti SecolariUna vocazione donata dallo Spirito alla Chiesa

don Giuseppe ancora

Gli Istituti Secolari si distinguonoda tutte le altre forme di vitaconsacrata, perché per i loromembri rimanere nel “secolo”,

cioè in pieno mondo, senza obbligo di vitacomune, è elemento essenziale e determi-nante della loro vocazione, al pari dellealtre consacrazioni a Dio.

Una forma di consacrazione a Dio vissu-ta nel mondo, nella propria famiglia, ci fuanche nei primissimi secoli dell’era cristia-na: era la verginità consacrata o il celibatoper il Regno, in conformità ad un’osservan-za integrale del Vangelo. Tra i cristiani iso-lati e sparsi in una società ancora in buonaparte pagana, queste vocazioni ad una con-sacrazione a Dio vissuta in pieno mondofiorivano come seme di rinnovamento e lie-vito nascosto nella massa.

Nel 19° secolo si ebbero i primi tentatividi vere e proprie associazioni di laici consa-crati a Dio; e anche i primi interventi dellaChiesa, precisamente con il Decreto EcclesiaCattolica, in cui si davano norme per l’ap-provazione d’organismi i cui membri rima-nevano nel mondo e non portavano unabito che li distinguesse dagli altri laici.

Un altro passo in avanti fu compiuto nelmarzo del 1947, quando fu promulgata laCostituzione apostolica Provida MaterEcclesia. In essa s’inseriscono le nuove isti-tuzioni di laici e di sacerdoti consacrati aDio, alle quali si attribuisce il nome di

“Istituti Secolari”. Era un passo decisivo,una conquista che dava un fondamentogiuridico e un posto nella Chiesa allanuova forma di vita consacrata in pienomondo.

Il 12 marzo 1948 Pio XII emanò il Motuproprio Primo Feliciter, con il quale si defi-niva lo stile di vita e l’impegno nel mondodei membri degli Istituti Secolari.

Con il Concilio Vaticano II, infine, siarrivò ad affermare esplicitamente alcuniprincipi in cui si trovano le motivazioni piùprofonde e valide della vocazione dei laiciconsacrati a Dio nel mondo, tra l’altro: ilriconoscimento della dignità e dell’autono-mia della “città terrena” (GS 34 e 43); ladignità dei laici e la loro missione nelmondo (LG 31-38, 41); la vocazione allasantità per tutti gli uomini (LG 39-42); unavisione unitaria e grandiosa dell’universocreato e della storia umana ricapitolata inCristo (GS 45). Sono i concetti che stannoalla base d’ogni consacrazione nel mondo:sentirli proclamare da fonte così autorevolefu per gli Istituti secolari una confermadella validità della loro vocazione.

Gli Istituti Secolari, dunque, donorecente dello Spirito alla Chiesa, rappresen-

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tano una nuova e origi-nale forma di vocazionee partecipazione all’e-spansione e alla crescitadel Regno di Dio nelmondo.

Essi si caratterizzanoin: laicali (maschili efemminili) e sacerdotali.

I loro membri sonouomini, donne e sacer-doti che, vivendo nelmondo la vita ordinariadi tutti, in risposta a unachiamata di Cristo,s’impegnano ad incar-

nare il Vangelo in povertà, castità, obbe-dienza nello spirito delle Beatitudini.

I membri laici rimangono a pieno titolonello stato laico: sono cioè semplici battez-zati, ma che, in risposta ad una particolarechiamata, qualificano il loro stato di laiciconsacrandosi “interamente” a Dio con laprofessione dei consigli evangelici:

“Partecipano della funzione evangelizzatri-ce della Chiesa sia mediante la testimonianza divita cristiana e di fedeltà alla propria consacra-zione, sia attraverso l’aiuto che danno perché lerealtà temporali siano ordinate secondo Dio e ilmondo sia vivificato dalla forza del Vangelo”(CDC 713-2).

Una parola particolare per i sacerdoti,che si uniscono negli Istituti Secolari. Di persé, il sacerdote in quanto tale ha anch’egli,come il laico cristiano, una essenziale rela-zione al mondo, che egli deve esemplar-mente realizzare nella propria vita, perrispondere alla propria vocazione, per cui è

mandato nel mondo come Cristo è statoinviato dal Padre (Cfr. Io. 20, 21). Ma,come sacerdote, egli assume una respon-sabilità specificatamente sacerdotale perla retta conformazione dell’ordine tem-porale. A differenza del laico, egli nonesercita questa responsabilità conun’azione diretta e immediata nell’ordinetemporale, ma con la sua azione ministe-riale e mediante il suo ruolo di educatorealla fede (Cfr. Decr. Presbyterorum ordinis,6): ed è il mezzo più alto per contribuirea far sì che il mondo si perfezioni costan-temente, secondo l’ordine e il significatodella creazione.

Aggregandosi a Istituti Secolari, il

sacerdote, proprio in quanto secolare, rima-ne collegato in intima unione di obbedien-za e di collaborazione col Vescovo e, insie-me con gli altri membri del presbiterio, è diaiuto ai confratelli nella grande missione diessere «cooperatori della verità», curando i«particolari vincoli di carità apostolica, diministero e di fraternità» (Ibid. 8) che deb-bono distinguere tale organismo diocesano.In forza della sua appartenenza agli IstitutiSecolari, il sacerdote trova inoltre un aiutoper coltivare i consigli evangelici:

“I membri chierici sono di aiuto ai confratel-li con una peculiare carità apostolica, attraver-so la testimonianza della vita consacrata,soprattutto nel presbiterio, ed in mezzo al popo-lo di Dio lavorano alla santificazione del mondocome proprio ministero sacro” (CDC 713-3).

Lievito che fermenta,immerso neL mondo,per La sua santificazione

La Chiesa è luce che deve illuminarevisibilmente il mondo e il rapporto fraChiesa e mondo è quello del lievito nellapasta: essa cioè è chiamata ad immergersinel mondo, vivendo ed operando dovestanno gli uomini e dentro la loro storia,per farli fermentare secondo lo spirito delVangelo.

Lo specifico degli Istituti Secolari è quel-lo di richiamarsi a questa spiritualità dellievito che, pur essendo propria di tutta laChiesa, è vissuta da essi in modo peculiare.Anche la secolarità è propria di tutta laChiesa, ma la passione per il mondo e iltotale impegno per il mondo dei membridegli Istituti Secolari intende esprimerla inmodo specifico. Così essi costituiscono unsegno vivente ed una sollecitazione perma-nente per tutta la Chiesa, perché tutta sianel mondo e per il mondo.

I membri degli Istituti Secolari portanoa pienezza la propria specifica vocazione,collaborando con tutti gli uomini comeoperatori di storia e per la costruzione delRegno. Condividendo le ordinarie condi-zioni degli uomini del loro tempo, parteci-pano pienamente all’opera di evangelizza-zione propria di tutti i fedeli. “Sono chiama-ti a contribuire, quasi dall’interno a modo difermento, alla santificazione del mondo median-te l’esercizio del proprio ufficio” (LG 31).

Per questo scopo fanno di tutta la loro

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esistenza una missione permanente ovun-que vivono e ovunque siano inseriti: fami-glia, professione, strutture socio-politiche.Il comune carisma è poi ulteriormentearricchito da quello tipico del proprioIstituto.

i consigLi evangeLici:castità, povertà, obbedienza

I membri degli Istituti Secolari sonochiamati a vivere il radicalismo del Vangeloalla sequela di Cristo vergine, povero eobbediente, per essere nel mondo fermentoe testimonianza dell’amore che Dio ha peresso.

La loro “castità dice al mondo che si puòamare con il disinteresse e l’inesauribilità cheattinge al cuore di Dio” (Paolo VI) e ci si puòdedicare gioiosamente a tutti con cuorelibero. Questa libertà trova la sua sorgentee la sua forza in uno stato permanente dipreghiera, di unione intima con Dio, di cen-tralità di Cristo da cui tutto deriva e a cuitutto ritorna, nella concretezza degli incon-tri e dei rapporti con gli altri.

La loro “povertà dice al mondo che si puòvivere tra i beni temporali e si può usare deimezzi della civiltà del progresso senza farsischiavi di nessuno di essi” (Paolo VI). Il con-sacrato secolare usa dei beni che è chiama-to ad amministrare, con distacco interiore,valorizzandoli quali doni di Dio in modoche diventino segni di carità e di giustiziatra i fratelli. La povertà è condivisione ditutto ciò che “è” e che “ha” con ogni pover-tà degli uomini del suo tempo. Questo loimpegna anche ad una costante lettura deisegni dei tempi avendo come criterio ildiscernimento della fede.

La loro “obbedienza dice al mondo che sipuò essere felici restando pienamente disponibi-li alla volontà di Dio, come appare dalla vitaquotidiana, dai segni dei tempi e dalle esigenzedi salvezza del mondo d’oggi” (Paolo VI).

Il consacrato secolare si verifica costan-temente nei confronti del Regno di Dio, perfare solamente ciò che risponde al disegnodi Dio su di lui. Si abitua perciò all’ascoltodella voce dello Spirito che risuona nellaParola, nelle indicazioni del Magistero, nelcammino della Chiesa locale nella qualevive e alla cui missione collabora, nellaverifica con il proprio gruppo e i responsa-bili dell’Istituto di ap-partenenza, nel dove-

re quotidiano, nella sto-ria degli uomini.

Le costituzioni diciascun Istituto stabili-scono i vincoli sacri concui vengono assuntinell’istituto i consiglievangelici, definisconogli obblighi che essicomportano, salva sem-pre, però, nello stile divita, la secolarità pro-pria dell’istituto (CDC,712).

La comunione

fraterna

Nel pluralismo delle forme, gli IstitutiSecolari si sentono impegnati a testimonia-re la vera comunione nella Chiesa e nelmondo.

I loro membri, proprio perché in “dia-spora”, ossia in uno stato permanente didispersione, alimentano nel loro spirito unvivo senso della comunione, che li facciasentire appartenenti con i propri fratelli diideale, ad una vera e propria comunità.

Attraverso un ricco pluralismo di formee secondo la spiritualità propria, ogniIstituto promuove la crescita dei suoi mem-bri nello spirito della fraternità evangelica.Accomuna però tutti, il quotidiano impe-gno a vivere la comunione, particolarmen-te con la testimonianza della carità e delservizio nella Chiesa e nel mondo.L’organizzazione dei tempi per stare insie-me e la scelta dei modi per sentirsi comuni-tà sono indicati nelle Costituzioni dei sin-goli Istituti e affidati anche alla creativitàdei loro membri. Sono, questi, momentiindispensabiliper una forma-zione specifica epermanente, perla riflessione e lapreghiera comu-ne, per l’appro-f o n d i m e n t odella propriaspiritualità, perla verifica con iresponsabili econ il gruppo diappartenenza. �

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un nuovo contatto

Il tempo passa e un nuovo contatto giun-ge solo nel 1962. Don Karol, ora, è vesco-vo a Cracovia, in qualità di vicario capi-tolare. Una giovane mamma della sua diocesi,

la dottoressa Wanda Poltawska, si è amma-lata di cancro e per questo il futuroPontefice scrive al frate stigmatizzato. Nellaprima missiva, datata 17 novembre 1962,chiede preghiere perché guarisca.

Pochi giorni dopo, la donna guariscemisteriosamente prima di entrare in salaoperatoria. Informato dell’accaduto mons.Wojtyła sa a chi attribuire la scomparsaimprovvisa e istantanea del tumore e il 28novembre dello stesso anno scrive di nuovoa Padre Pio per ringraziarlo.

Da allora, si pensava sino ad oggi, i duenon ebbero più alcun contatto e mons.Wojtyła non avrebbe più beneficiato dellapreghiera del frate stigmatizzato.

Leggendo le due brevi missive, ai fini diun giudizio sul rapporto tra mons. Wojtiyłae Padre Pio, colpisce un dato: nelle due let-tere mons. Wojtyła domanda solo per altri,mai per sé. Nella prima missiva, infatti,richiede la guarigione per la donna medico.Nella seconda ringrazia per l’avvenuta gra-zia ma non coglie l’occasione per domanda-re qualcosa per sé. Sembrerebbe così chePadre Pio ha pregato solo per gli ammalatidi mons. Wojtyła e mai per il futuro papa.

La nuova Lettera

Dell’esistenza di un’ulteriore letteranon sapevamo ancora nulla.

Durante le accurate ricerche archivisti-che di raccolta della documentazione delServo di Dio Giovanni Paolo II è emersoche, conservato nell’Archivio della Curiadi Cracovia, fondo K. Wojtyła, BI 3123 a,esiste la copia dattiloscritta di una letteradi mons. Wojtyła a Padre Pio. Sulle prime,quando il Postulatore del Processo di

In una sera dei primi giorni dell’aprile 1948, giunge a

S. Giovanni Rotondo, con un seminarista, un giova-

nissimo sacerdote non italiano, alto e biondo: don Karol Wojtyla. Arriva nel piccolo paese gargani-

co per incontrare padre Pio da Pietrelcina, il sacerdote stimmatizzato del quale la fama e la notorie-

tà ha raggiunto paesi e luoghi lontani. Apparentemente don Karol è un visitatore come tanti, ma la

sua storia precedente e quella futura lo distinguono in modo decisivo.

Proviene da lontano, dall’Europa dell’Est, da una terra cattolicissima: la Polonia. 2ª parte

San Pio daPietrelcina e il Servo di DioGiovanni Paolo II

don Francesco Castelli

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I Papi di Padre Pio

Servi della Sofferenza

Don Karol Wojtyla

Servi della Sofferenza 13

Beatificazione e di Canonizzazione delServo di Dio Giovanni Paolo II mons.Slawomir Oder mi ha passato la lettera,credevo che si trattasse della copia datti-loscritta di una di quelle che già conosce-vamo. Poi, dalla lettura, è emersa la sor-presa: il testo ha una data e un contenutodifferente da quelle già pubblicate.

Ma adesso entriamo nel merito.La missiva è datata 14 dicembre 1963.

Come le due precedenti è stata scritta nonin Polonia ma in Italia a Roma, probabil-mente a conclusione della II sessione delConcilio Vaticano II a cui mons. Wojtyła,come ogni vescovo, partecipava. Il testodel copialettere è dattiloscritto; questavolta la lingua usata non è il latino comenelle due precedenti, ma l’italiano.

In alto, accanto alle collocazione archi-vistica scritta a penna, è indicato il desti-natario: “O. Pio Forgione – San GiovanniRotondo”. “O.” sta per “Ojciec”, cioè“Padre”.

A differenza delle due precedenti,alquanto brevi e laconiche, questo testo èpiù ampio, diremmo quasi più “confiden-ziale” e forse proprio per questa ragionenon è scritto in latino. A differenza delledue precedenti – dove mons. Wojtyła silimitava ad una semplice richiesta e ad unsemplice ringraziamento e non facevaalcun accenno personale – questa letteraporta con sé il felice ricordo degli esaudi-menti precedenti. Ma non è tutto. Ilvescovo avanza ora una richiesta perso-nale, non per motivi di salute, ma legati alsuo ministero episcopale. È questo, comevedremo, l’aspetto più importante dellanuova missiva.

Il testo si apre con una affermazione pernoi inattesa: “Molto Reverendo Padre, lapaternità vostra si ricorderà certamente chegià alcune volte nel passato mi sono per-messo di raccomandare alle Sue preghierecasi particolarmente drammatici e degni diattenzione”. In realtà, stando alle informa-zioni di cui siamo in possesso, ci è nota solouna richiesta di guarigione sollecitata damons. Wojtyła. Sorge allora la domanda suquante richieste, di fatto, mons. Wojtyłaabbia rivolto a Padre Pio. L’interrogativo siscioglie immediatamente dopo.

Mons. Wojtyła ringrazia il frate per laguarigione di una donna ammalata di can-cro – è chiaro che si tratta di WandaPoltawska – ma nel novero dei sanatiaggiunge il figlio di un avvocato, grave-mente ammalato dalla nascita. “Ambeduele persone stanno bene”, dichiara mons.Wojtyła. Dunque, oltre a questa lettera ealla seconda del 28 novembre 1962, esistealmeno un’altra missiva o almeno un altrocontatto – telegramma ect – con il qualemons. Wojtyła chiede la guarigione del gio-vane. E conoscendo la garbatezza delvescovo, dovrebbe esistere anche un’altralettera o un altro riscontro con il quale rin-grazia per la guarigione di quest’ultimo.

Viene da chiederci: chi è questo figlio diavvocato guarito per le preghiere di PadrePio? Dove si trovano le altre lettere inviatedal futuro pontefice al frate stimmatizzato?Esistono ancora o sono state distrutte?Furono spedite o recapitate a mano comeavvenne per la prima missiva? Le ha con-servate qualcuno e poi le ha dimenticatecome avvenne inizialmente a Battisti? Sitratta di domande ancora senza risposta.

mons. Wojtyła,padre pio e cracovia

Proseguendo nel testo, mons. Wojtyłasi rivolge a Padre Pio per una signoraparalizzata della sua diocesi e chiede pre-

Paolo VI e mons.Wojtyła

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ghiere per lei.Poi, il vescovo aggiunge una richiesta

personale: “Nello stesso tempo mi permet-to di raccomandarle le ingenti difficoltàpastorali che la mia povera opera incontranella presente situazione”. Colpisce questarichiesta. A differenza delle altre due lette-re, è la prima volta che mons. Wojtyła chie-de qualcosa per se stesso. Si capisce che inlui è aumentato il legame spirituale conPadre Pio e per questo il desiderio di chie-dere per sé. Alla luce di questa lettera, per-tanto, il rapporto tra mons. Wojtiła e PadrePio si rivela più consistente di una sempli-ce richiesta di aiuto per ammalati ed entranel vissuto concreto dei due.

In altri termini è l’affidamento delvescovo alle preghiere del frate stigmatiz-zato che costituisce l’originalità più impor-tante di questo documento, prova della cre-scente intensità nel rapporto tra i due.Nelle precedenti lettere il loro legame rima-neva nell’ombra: il richiedente domanda-va per altri, non per sé. Ora, invece, mons.Wojtyła – sia pur brevemente – domandaper se stesso, espone le sue difficoltà, i suoiproblemi e chiede l’aiuto della preghieraper le sue necessità. Il testo si rivela alloranon una semplice richiesta di preghiere perammalati, ma la sollecitazione di vescovoper il suo ministero episcopale, per la suaopera pastorale a Cracovia, in senso latoper la sua Cracovia. In certa misura,potremmo dire che mons. Wojtyła ha chie-

sto preghiere per sé ma anche per la suadiocesi e che Padre Pio ha pregato per laChiesa di Cracovia.

Rimane un interrogativo: perché ilvescovo, non titolare di Cracovia peraltro,lamenta questa situazione di “ingenti diffi-coltà”?

La richiesta di preghiere per

Le ingenti difficoLtà pastoraLi

La ragione è semplice. Il 15 giugno1962 mons. Baziak, arcivescovo diCracovia, muore e mons. Wojtyła, giàvescovo ausiliare della stessa diocesi,viene nominato vicario capitolare. Nelfrattempo, in Polonia si apre la ricerca diun candidato successore gradito alPrimate e contemporaneamente accettatodall’autorità politica. L’individuazionedel successore, tuttavia, non è semplice: iltempo passa e il peso della diocesi gravasu mons. Wojtyła per più di un anno emezzo fino a quando lui stesso non vieneeletto nuovo arcivescovo di Cracovia.

Ecco, dunque, la ragione di questarichiesta di aiuto a Padre Pio.

Ma non è ancora tutto. Le ingenti diffi-coltà a cui allude il futuro Pontefice sonotali non solo per la giovane età del vesco-vo e per il cumulo di lavoro pastorale aCracovia. Le difficoltà sono grandi perchéil vescovo ha di fronte a sé un avversarioeccezionale della fede e della Chiesa: ilcomunismo. Contro di esso, come mostre-ranno i fatti, mons. Wojtyła si rivelerà,prima come vescovo, poi come cardinale,ed infine come papa un avversario inso-spettabilmente decisivo per la tutela dellafede.

L’uLtima parte deLLa Lettera

Il testo si conclude con una formula disaluto comunemente usata nelle lettererivolte ad ecclesiastici: “Della paternitàvostra devotissimo in Gesù Cristo”.

Ma, la distanza geografica dei due inter-locutori e la lontananza temporale del loroprimo ed unico incontro de visu, lascianointuire quale legame profondo esista tra idue se il vescovo scrive varie lettere al fratee il frate accoglie sempre le sue richieste.

Sì, ci pare di poter dire che le accoglie

Servi della Sofferenza

15

sempre.Sarà una coincidenza ma dopo 15 gior-

ni dalla richiesta di mons. Wojtyła di prega-re per le sue necessità pastorali, il 30 dicem-bre 1963 mons. Wojtyła riceve l’ingiunzio-ne di recarsi a Roma da Paolo VI: è statonominato arcivescovo metropolita diCracovia, sede cardinalizia, trampolino dilancio per il luminoso Pontificato del Papavenuto dall’Est.

La spedizione deLLa Lettera

Non possediamo, purtroppo, alcunanotizia sulla modalità con cui questa lette-ra è stata inviata a Padre Pio. Peraltro,neanche a S. Giovanni Rotondo vi è alcunatraccia in quanto ogni giorno, per il fratestimmatizzato, giungevano alcuni sacchi dilettere e per questa ragione, per la loroenorme mole, tutta la corrispondenza epi-stolare – eccettuato un campione – è statadistrutta.

Viene subito da chiederci se mons.Wojtyła abbia spedito tramite posta ordi-naria questa lettera o se l’abbia fatta reca-pitare a mano. Qui entriamo nel campodelle ipotesi.

Ritenere che mons. Wojtyła abbia spe-dito la lettera senza utilizzare nessun“aiuto” o nessun corridoio preferenziale,nella consapevolezza che sarebbe statauna delle tante, è improbabile e decisa-mente infondato. È, dunque, un’ipotesiche il buon senso chiede di scartare.

E questo per varie ragioni. In primo luogo – come dicevamo più

sopra – conoscendo l’enorme mole di let-tere che giungevano a S. GiovanniRotondo ogni giorno, mons. Wojtyła deveaver pensato a qualche soluzione chegarantisse alla sua lettera un buon fine.

Il fatto acquista un rilievo maggiore se sitiene presente quanto avvenne per laprima lettera, nell’imminenza della spedi-zione: “Per essere certo che arrivi a destina-zione mons. Wojtyła chiede aiuto a un suoamico, il monsignore polacco, AndrzejMaria Descur, […] all’epoca sottosegretariodella Pontificia Commissione per laCinematografia, la Radio e la Televisione esegretario del Segretariato preparatorio perla Stampa e lo Spettacolo del Concilio

Ecumenico Vaticano II”. Mons. Deskur,come è noto, si rivolgerà ad Angelo Battisti,un dattilografo della Congregazione delSant’Ufficio, che la porterà a Padre Pio.

Ora, se già nel primo caso mons.Wojtyła non si è affidato alla buona sortema ha chiesto l’interessamento di “amiciromani” per ottenere la certezza che la let-tera venisse recapitata al destinatario, nonsembra conseguente ritenere che si sia affi-dato “ciecamente” alla posta per far arriva-re la sua lettera. Una tra migliaia!

In secondo luogo, pur non consideran-do i precedenti argomenti – schiaccianti dalnostro punto di vista –, è da rilevare cheper la Poltawska mons. Wojtyła aveva giàsperimentato l’efficacia dell’intercessionedi Padre Pio. Poteva ora lasciare al caso oalla “fortuna” la speranza certa di un ulte-riore esaudimento? Difficile crederlo!

In terzo luogo, dalla lettera si compren-de che è già in giro un’altra richiesta, e que-sta probabilmente inviata dalla Polonia. Ilfatto che anch’essa sia stata esaudita lasciaritenere che Padre Pio ne sia venuto a cono-scenza. Come? Anche qui non lo sappiamoma l’effettiva guarigione dà certezza sullaricezione personale di Padre Pio.

Sarà forse un telegramma, forse l’in-termediazione di un “amico romano” o diqualche conoscente, forse una telefonata aqualche frate del convento per “avvisar-lo” di una lettera del vicario capitolare diCracovia da leggere a Padre Pio: ecco le

Karol Wojtylaeletto papa il

16 ottobre 1978

Servi della Sofferenza

Servi della Sofferenza16

ipotesi possibili.Ma di sicuro mons. Wojtyła non era un

tipo da lasciare al caso il recapito di lette-re importanti ad un destinatario impor-tantissimo.

Un’ultima notazione. Non c’è dameravigliarsi che lettere così importantipossano andare smarrite. La storia èpiena di casi analoghi. D’altronde, perfi-no Angelo Battisti a cui Padre Pio avevaaffidato le prime due lettere le avevadimenticate e le ha ritrovate per caso.

iL papa da padre pio

Mons. Wojtyła ritorna a S. GiovanniRotondo quando è già divenuto papa, nel1987. In occasione della visita apostolica in

Capitanata si recò a s. Giovanni Rotondo ein quella circostanza, additando padre Piocome modello di vita sacerdotale, disse:«Un aspetto essenziale del sacro ministero– affermò – e ravvisabile nella vita di PadrePio, è l’offerta che il sacerdote fa di se stes-so, in Cristo e con Cristo, come vittima diespiazione e di riparazione per i peccatidegli uomini». […] «Questa offerta deveraggiungere la sua massima espressionenella celebrazione del Sacrificio eucaristico.E chi non ricorda il fervore col quale PadrePio riviveva, nella Messa, la Passione diCristo? Da qui la stima che egli aveva dellaMessa, da lui chiamata “un mistero tre-mendo”, come momento decisivo della sal-vezza e della santificazione dell’uomo

mediante la partecipazione alle sofferenzestesse del Crocifisso. “C’è nella Messa –diceva – tutto il Calvario”. La Messa fu perlui la “fonte e il culmine”, il perno e il cen-tro di tutta la sua vita e di tutta la suaopera». Infine, Giovanni Paolo II conclude-va: «Questa intima e amorosa partecipazio-ne al Sacrificio di Cristo fu per Padre Pio laorigine della dedizione e disponibilità neiconfronti delle anime, di quelle soprattuttoimpigliate nei lacci del peccato e nelleangustie della miseria umana… Anchequesto può essere un esempio per moltisacerdoti a riprendere o a migliorare un“servizio ai fratelli” così legato alla loromissione specifica, che è sempre stato edancor oggi dev’essere ricco di frutti spiri-tuali per l’intero popolo di Dio, soprattuttoin ordine alla promozione della santità edelle sacre vocazioni». L’intervento delPontefice si è concluso con parole che sem-bravano un profetico accenno di spiegazio-ne della missione di Padre Pio: «Voglio rin-graziare con voi il Signore per averci dona-to il caro Padre, per averlo donato, in que-sto secolo così tormentato, a questa nostragenerazione. Nel suo amore a Dio e ai fra-telli, egli è un segno di grande speranza etutti invita, soprattutto noi sacerdoti, a nonlasciarlo solo in questa missione di carità».

Dopo il suo discorso, Giovanni Paoloscende nella cripta dove sono custodire lespoglie mortali del cappuccino e qui, ina-spettatamente, rimane a lungo in ginocchioin preghiera.

Nel frattempo venne introdotto il pro-cesso di beatificazione. I lavori furono lun-ghi e complessi. Dopo un ampio lavoroprodotto dalla Postulazione, le tappe delprocesso procedettero felicemente finoall’esito auspicato: il 2 maggio 1999 P. Piovenne beatificato e il 16 giugno 2002 cano-nizzato. Proprio durante quest’ultimaoccasione, Giovanni Paolo II disse:«Nell’esortare ciascuno a perseverare sulleorme di san Pio da Pietrelcina, sono lieto diannunciare che la sua memoria liturgica,con il grado di “obbligatoria”, sarà inseritanel Calendario Romano generale il 23 set-tembre, giorno della sua nascita al Cielo».Si chiude così la storia dell’amicizia traGiovanni Paolo II e s. Pio da Pietrelcina. �

Giovanni Paolo II accanto alla tomba di padre Pio a SanGiovanni Rotondo

Marco Ferraresi

Presidente Unione Giuristi Cattolici di Pavia “Beato Contardo Ferrini”

Un altro processo a Gesù

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Nulla di nuovo sotto il sole: ci sonouomini di potere convinti chetogliendo di mezzo Gesù Cristol’umanità possa diventare più libera

ed eguale, o almeno alleggerita di un “pro-blema”. Così, dalla famosa sentenza diPonzio Pilato sino ad oggi, periodicamentealcuni giudici si esercitano nel giudicare ilSupremo Giudice. Ma l’assunto secondo cuila giustizia possa fare a meno della Giustizia,di Colui che - come dice il Salmo - “ama ildiritto e la giustizia”, è chiaramente fallace.

Due millenni dopo Pilato, una sganghe-rata sentenza a firma di sette giudici dellaCorte di Strasburgo (istituita dallaConvenzione europea per la salvaguardiadei diritti dell’uomo e delle libertà fonda-mentali, stipulata a Roma il 4 novembre1950) ha deciso di infliggere a Gesù un’altracondanna, per cui il Crocifisso dovrebbe oraessere rimosso dalle scuole pubbliche.

Paradossalmente, tuttavia, oggi come allo-ra le cose non sono andate esattamente secon-do le vostre intenzioni, cari giudici. Come allo-ra Gesù trasse dalla condanna a morte la suaresurrezione, rendendosi e rendendoci piùvivi di prima, così oggi da questa pronuncia ilsimbolo del Crocifisso esce più che mai raffor-zato. Sì, paradossalmente dobbiamo ringra-ziare la Corte europea “dei diritti dell’uomo”

per aver risvegliatol’attaccamento di ita-liani ed europei al sim-bolo che, più di ognialtro, rappresenta ciòche siamo e ciò che dibene vogliamo.

E, anzi, se duemilaanni fa la folla del crucifige indusse Pilato aconsegnare Gesù ai suoi aguzzini, oggi un tri-bunale tutto ideologia e niente diritto ha falli-to nel tentativo di sobillare la folla a staccare,dalle mura dei luoghi di istruzione ed educa-zione, l’Appeso al quale è appesa ogni nostrasperanza, l’amore sofferente ed innocente checi salva dalla morte e dalla distruzione.

È stato sorprendente e consolante vede-re schierarsi compatti, contro la sentenza e afavore dell’esposizione di nostro Signore, ilgoverno (che ha deciso di presentare ricor-so contro la pronuncia), la maggioranza el’opposizione, comunisti e liberali, sindacidi comuni, presidi ed insegnanti, associa-zioni, atei, ebrei e musulmani, genitori estudenti, gente comune…

Essi hanno anche percepito che, se levassi-mo oggi il Crocifisso dai luoghi di educazione,domani qualcuno potrebbe pretendere ditoglierlo da altri edifici pubblici, dai campani-li e dalle chiese che vediamo passeggiando per

Servi della Sofferenza

La sentenza della Corte europea sul Crocifisso

In alto: l’edificio che ospita la Corte di

giustizia europea

strada, dalle opere d’arte presenti inluoghi di uso civile. In una civiltà,quella italiana e quella europea, chetale può definirsi per la decisiva pre-senza del cristianesimo, dovrebbeessere smantellato non un simbolosoltanto, ma un intero patrimonio

culturale. Senza la nostra religione, però, lenazioni sarebbero destinate ad imbarbarirsi.

“Ma che male ha fatto?”, si chiedeva echiedeva Ponzio Pilato alla folla. Egli feceesperienza dell’innocenza di Gesù, ma perpaura e calcolo politico decise di liberarse-ne. “Ma che male ha fatto?”, chiediamo noioggi agli estensori di questo provvedimen-to, i quali tuttavia, a differenza del procura-tore romano, ritengono che qualche male ilCrocifisso l’abbia commesso.

Infatti, essi reputano che la presenza delCrocifisso in un’aula scolastica comprima ildiritto dei genitori di educare i figli secondole proprie convinzioni e il diritto degli sco-lari di credere o di non credere (punto 57della sentenza). In particolare perché questi,se non appartenenti alla religione cristiana,ad avviso della Corte europea potrebberoessere “turbati dal punto di vista emoziona-le” e “si sentirebbero educati in un ambien-te scolastico contrassegnato da una religio-ne particolare” (punto 55 della sentenza). E,conclusivamente, lo Stato italiano sarebbevenuto meno ad un dovere di “neutralità”nell’esercizio di una funzione pubblica,quale l’erogazione del servizio educativo.

Ma non occorre una laurea in giurispru-denza per riconoscere l’insensatezza di questemotivazioni. Infatti, appare fin ovvio far nota-re come la presenza del Crocifisso nullaimponga ad alcuno, tanto meno un obbligo dicredere. Ed è altrettanto scontato che i genitoriseguiteranno - come probabilmente avrà fattola madre ricorrente - ad educare i figli secondole proprie credenze, perché un uomoCrocifisso non è in grado di imporre nulla,essendo al contrario egli stesso vittima di unaimposizione. Lo Stato italiano dal canto suocontinuerà ad impartire i propri programmid’insegnamento, che non hanno alcun caratte-re confessionale. Sfiora infine il ridicolo il rife-rimento ai “turbamenti emotivi” che ilCrocifisso, a detta della Corte, potrebbe inge-nerare negli scolari. Dispiace peraltro che iredattori della sentenza non abbiano compre-so il dato elementare secondo cui il diritto nonè fatto per accogliere i capricci e i piagnistei delprimo che capita, ma per ordinare le relazioni

umane secondo principi di vera giustizia. Obastano le lagne di uno o due persone perimporre usi e costumi ad una intera popola-zione?

Stupisce pertanto che giudici tanto qualifi-cati abbiano potuto addurre simili argomenta-zioni, che, se non sono da ascriversi ad “erro-re” (dovremmo desumerne una grave incom-petenza tecnica), sottendono necessariamenteun intento demolitorio delle radici cristianedell’Europa, l’Europa di cui tale Corte porta ilnome. A rafforzare questo sospetto sta un’altracondanna inflitta dalla Corte medesima alloStato italiano, nei giorni immediatamente pre-cedenti questa sentenza, riguardo ad unavicenda in cui l’Università Cattolica aveva(giustamente) deciso di non rinnovare il con-tratto di insegnamento ad un docente che, con-vertitosi dal cattolicesimo al buddismo, propo-neva ai propri studenti la meditazione zennelle aule universitarie di lezione…

Cosa cambia, dunque, questa sentenza?Operativamente nulla, al momento, almeno inattesa dell’esito del ricorso governativo: ilCrocifisso resta dove la saggezza dei legislato-ri, sin dall’unità d’Italia, intese collocarlo, cioènei luoghi pubblici di istruzione – per ricordar-ci che sono preposti ad educare alla ricercadella verità – e in quelli della giustizia – perricordare ai suoi responsabili quanto è delicatogiudicare un uomo. Verità e giustizia: qualemigliore icona del Crocifisso potrebbero trova-re questi valori?

Certo, il nostro impegno di cristiani nonsarà mai circoscritto a questi soli aspetti, per-ché non possiamo accettare che il Crocifisso siaridotto ad un simbolo o alla sintesi di significa-ti culturali. Il Crocifisso è il Risorto, il Salvatoree il Redentore universale, la Via, la Verità e laVita. Egli deve essere prima di tutto bene affis-so alle pareti del nostro cuore, “portando sem-pre e dovunque nel nostro corpo la morte diGesù, perché anche la vita di Gesù si manifestinel nostro corpo” (2Cor 4,10).

Sappiamo bene che il Crocifisso è per talu-ni scandalo, per altri stoltezza. Ma continue-remo a difenderlo, dentro e fuori di noi, per-ché senza la predicazione di Cristo Crocifisso,potenza di Dio e sapienza di Dio, non possia-mo vivere: “E, richiamatili, ordinarono loro dinon parlare assolutamente né di insegnarenel nome di Gesù. Ma Pietro e Giovanni repli-carono: «Se sia giusto innanzi a Dio obbedirea voi più che a lui, giudicatelo voi stessi; noinon possiamo tacere quello che abbiamovisto e ascoltato»” (At 4,18-20). �

18 Servi della Sofferenza

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roberta alfano

Oltre 200 milioni i cristiani perseguitati. Discriminazioni anche in Europa

Irak, infermiere cristiano rapito, tortura-to e ucciso; Pakistan, 51 abitazioni cri-stiane incendiate e sette persone brucia-te vive in seguito ad un presunto caso di

blasfemia; Sudan, sette fedeli crocifissi suassi di legno piantate per terra; Filippine,rapito il missionario cattolico irlandesepadre Michael Sinnot; Nuovo Messico,suora missionaria uccisa durante la nottenel convento in cui viveva. Sono eufemisti-camente casi d’intolleranza religiosa, reali-sticamente episodi di scellerata violenzapartorita da nuovi totalitarismi che anni-chiliscono la libertà d’espressione, edifican-do un regime di odio spietato ed abbruti-mento della persona umana. Ma, modica-mente, se così si può dire, “tranquillizzan-te” è il fatto che ci troviamo in Asia, MedioOriente, Africa. E quando tutto questoaccade in Paesi molto più vicino a noi, inEuropa, in maniera certamente menocruenta, ma ugualmente frutto di un’inac-cettabile discriminazione?

Inghilterra, un dipendente aeroportualesospeso per aver affisso un’immagine diGesù; Francia, incendiata la scuola cattolicae la cappella di Notre Dame; Italia, al Santo

Padre è impedito l’ingresso all’Uni-versità La Sapienza di Roma; Padova,la Corte europea di Strasburgo impe-disce di appendere in una scuola ilcrocifisso al muro.

Forme diverse di discriminazioneche violano in tutti i casi il diritto allalibertà religiosa. È recente la denun-cia di Mons. Celestino Migliore,Osservatore permanente della SantaSede presso le Nazioni Unite, chedurante l’Assemblea Generale dell’Onu,

Mons. CelestinoMigliore.

In alto, cortei di protesta contro le

uccisioni di cristianiin India e in Pakistan

Servi della Sofferenza

Mons. Migliore: «La comunità più discriminata al mondo?

Quella cristiana»

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svoltasi a fine ottobre a New York, hadichiarato che non c’è alcuna religione almondo che sia esente da discriminazione.Ad essere maggiormente perseguitata, harilevato l’arcivescovo, è quella cristiana.Sarebbero, infatti, oltre 200 milioni le perso-ne, di diverse confessioni cristiane, chesubiscono discriminazioni sul piano legalee culturale. A dimostrarlo sono gli atti diintolleranza religiosa “perpetrati in molteforme” e gli “innumerevoli casi portatiall’attenzione delle Corti e degli organismiche si occupano di diritti umani”. Di frontea queste manifestazioni discriminatorieserve recuperare il concetto di libertà, nellasua reale accezione. «L’autentica libertà diespressione – ha affermato Mons. Migliore– può contribuire a un maggior rispetto pertutti e fornire l’opportunità di parlare con-tro violazioni come l’intolleranza religiosae il razzismo e di promuovere l’ugualedignità di tutti».

Il diplomatico vaticano ha avallatoquanto segnalato nel marzo scorso daMario Mauro, vicepresidente del Parla-mento Europeo e rappresentante dell’Osce

(Organizzazione per la Sicurezza e laCooperazione in Europa che conta attual-mente 56 Paesi membri): «la discriminazio-ne nei confronti dei cristiani è in aumento».Le manifestazioni di intolleranza verso lareligione cristiana, soprattutto cattolica, econtro la Chiesa ed il Papa crescono semprepiù. L’ostilità che si diffonde anche neinostri Paesi ci porta a temere che prima opoi quella libertà religiosa che pensavamoci spettasse di diritto, la perderemo deltutto giacché imbavagliate (o forse soloincapaci di parlare) sembrano essere le boc-che dei cristiani che vestono un ruolo nellavita pubblica e politica del Paese. Perché, cisi chiede? Perché in Europa una forma di«laicismo deteriore» viene scambiata perlaicità. Quella stessa laicità che fa vivere unlaico (ossia un non ecclesiastico) nellasocietà, testimoniando la propria fede edevangelizzando nel suo quotidiano. Oggi,invece, al contrario i più credono che percombattere l’intolleranza serva quellacosiddetta «apertura» che altro non è chespalancare le porte al secolarismo e al rela-tivismo, alimentando gli atteggiamenti di

Chiese cristianedistrutte in Irak, a Baghdad e Mosul

Mario Mauro, vicepresidente delParlamento Europeoe rappresentantedell’Osce

Servi della Sofferenza

Servi della Sofferenza 21

intolleranza e minacciando la libertà.Il caso recente di Abano Terme e della

Corte Europea di Strasburgo, secondo cuilasciare esposta nelle scuole la raffigurazio-ne di Cristo in Croce viola la libertà religio-sa, è sì paradossale, ma un chiaro sintomodi tutto questo. E siamo in Italia. Il crocifis-so è il simbolo della nostra storia. Nel 1958Robert Schuman, primo presidente delParlamento europeo dichiarò: «Tutti i Paesidell’Europa sono permeati della civiltà cri-stiana. Essa è l’anima dell’Europa cheoccorre ridarle». Invece, ad oggi, al Vecchiocontinente non vengono più riconosciute lesue radici cristiane. L’odio contro i cristianicresce così anche in Occidente. Il SantoPadre Benedetto XVI, sulla scia tracciatadal Suo predecessore Giovanni Paolo II,palesa l’urgenza di una «nuova evangeliz-zazione» perché vengano ritrovate la storia,la cultura e la tradizione che hanno dato alnostro Continente le basi ed i valori fon-danti. Invitando ad una «maggiore traspa-renza e collaborazione fiduciosa con lacomunità internazionale», il Santo Padre haaffermato, in occasione della visita il 29

ottobre scorso di Ali Akbar Naseri, nuovoAmbasciatore della Repubblica Islamicadell’Iran, che «tra i diritti universali, lalibertà religiosa e la libertà di coscienzaoccupano un posto fondamentale, poichèsono la sorgente delle altre libertà». “Aicristiani discriminati e perseguitati a causadel nome di Cristo” devono essere “ricono-sciuti i diritti umani, l’uguaglianza e lalibertà religiosa” (Messaggio di BenedettoXVI , Agosto 2009).

Può sembrare assurdo, ma dal 2003 siutilizza l’espressione “cristianofobia”,introdotta durante una risoluzione delTerzo comitato della 58ª Assemblea genera-le dell’Onu. Il termine sta ad indicare «leviolenze, le persecuzioni, l’intolleranza e ladiscriminazione subita dai cittadini cristia-ni, a causa della legislazione o di provvedi-menti amministrativi, rispetto a quanti pro-fessano altre religioni, oppure non neseguono alcuna».

Ma di persecuzioni contro i cristiani nonne abbiamo sentito già parlare? Tanto cherisalirebbero a più di 2000 anni fa? Beh, ilNatale del Signore, ormai alle porte, ciricorderà l’innocenza del piccolo BambinoGesù perseguitato per donarci la salvezza ela beatitudine che spetta ai perseguitati aiquali appartiene il regno dei Cieli. �

Chiese cristianedistrutte in India e

Pakistan

Al centro: unmomento dei lavoridell’Osce a Viennanel Luglio 2009.

In basso: i 56 Statimembri

Tiziana Franchin

Il Beato AgostinoThevarparampil, sacerdote diocesano(1891-1973)

Agostino nacque in una povera fami-glia cristiana e subito fu battezzatocon il nome del patrono della par-rocchia di appartenenza. Terminati

gli studi scolastici, il beato entrò in semina-rio e fu ordinato sacerdote il 17 dicembre1921 dal vescovo Mar Tommaso Kuria-lacherry. Don Agostino fu subito sopranno-minato “Kunjachan”, “piccolo prete”, a

causa della sua bassastatura che si rivelòuna vera benedizioneper la missione che, dilì a poco, avrebbe ini-ziato a compiere. Nelfebbraio 1923 Kunja-chan fu mandato qualevice parroco alla par-rocchia di San Seba-stiano a Kadanad, magià nel marzo 1926 futrasferito quale terzoassistente della parroc-chia del paese natale, acausa di una malattiache lo costrinse al ripo-so.

Il ritorno nella suaparrocchia coincise con

la sua svolta pastorale e ministeriale: inquel periodo un sacerdote carmelitanoesortava i fedeli della diocesi a condurre inchiesa gli “intoccabili” e gli “inavvicinabi-li”, cioè, gli appartenenti alle classi piùbasse della società. Era stato Gandhi a chia-marli per primo Harijan, cioè, ‘popolo diDio’ (oggi vengono detti Dalit). Questi nonavevano il diritto a possedere beni propri evivevano nella società come schiavi, brac-cianti e forza di lavoro degli appartenentialle altre caste. L’incontro con la miseria diquesti poveri abbandonati spinse donAgostino a radicalizzare la donazione dellasua vita a Dio per l’evangelizzazione e peril sostentamento degli Harijans, dedican-dosi alle loro necessità materiali e spiritua-li. Seppur non dotato di grandi capacitàorganizzative, né di consistenti risorse eco-nomiche, per più di 40 anni il beato fu mis-sionario tra i diseredati, educatore dell’in-fanzia, nonché assistente sociale e persinomedico, mai venendo meno al suo incaricodiocesano nella parrocchia di Ramapuram.

La sua santità cresceva al crescere delledifficoltà incontrate in quest’opera. La gior-nata di Don Agostino iniziava alle 4 delmattino. Dopo la Messa, accompagnato daun catechista, andava a visitare le povere e

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Il 1 aprile 1891 a Ramapuram, un piccolo paesino dell'India meri-

dionale, nacque il Beato Agostino Thevarparampil, un sacerdote

che ha testimoniato al mondo la semplicità del vivere la carità nel

quotidiano

Servi della Sofferenza

La cittadina diRamapuram, nellostato di Kerala, suddell’India

La Santità nella Chiesa

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basse capanne degli intoccabili, nelle quali,vista la sua piccola statura, poteva entrare euscire con facilità riuscendo così a raggiun-gere anche coloro che non sempre eranoaperti a tale incontro. Imitando Gesù buonPastore, don Agostino si preoccupava ditutte le sue “pecorelle”, confortando ecurando le ammalate, andando alla ricercadi quelle sperdute, sostenendo con laParola di Dio e con la preghiera coloro cheiniziavano a percorrere un cammino di san-tità insieme a lui. Come il Curato d’Ars,nella semplicità della sua fede vissuta, pre-dicava al popolo con l’eloquenza della pro-pria testimonianza di vita evangelica,seguendo l’esortazione di San Giovanni:“Figlioli, non amiamo a parole né con lalingua, ma coi fatti e nella verità” (1Gv 3,18).

L’incessante ed ardente preghiera ani-mava mirabilmente la sua opera pastorale.Seppe combinare mirabilmente il coman-damento dell’amore a Dio e dell’amore alprossimo, tanto da dedicarsi all’assistenzaai poveri senza limitare mai la preghiera.L’adorazione al cospetto del SantissimoSacramento gli conferiva la forza e il corag-gio di affrontare le situazioni più difficili,come quando si recò ben 18 volte a piedipresso la distante casa di un’anziana donnaHarijan, al fine di portarle l’annuncio delvangelo, ricevendone sempre ostilità erifiuto. Quando però la donna, in condizio-ni irreversibili di salute, insistette per vede-re il piccolo sacerdote, egli accorse da leicon sollecitudine e, dietro richiesta dellastessa, la battezzò poche ore primadi vederla spirare in pace. Il desi-derio di riportare l’umanità aCristo non gli faceva perdere ilcoraggio e la pazienza nell’evange-lizzazione.

L’amore al Signore riempivacopiosamente ogni azione e ogniparola di questo piccolo sacerdoteil quale non mancava mai di visita-re i “suoi figlioli” e di portar lorouna parola di speranza e un sorri-so ricco della gioia dell’amore peril Signore. Nulla lo abbatteva anzi,di fronte alle difficoltà, si tempravail suo amore per Dio e per il greg-ge da Egli affidato. Di fronte allaremissività ed alla rassegnazione

inerme degli Harijans, donAgostino rispondeva con paro-le di fiducia e di abbandono allavolontà di Dio. Con grandepazienza li visitava spesso e, sealcuni cercavano di evitarlo o sinascondevano alla sua presen-za, non si dissuadeva dal suoimpegno, anzi aveva sempreuna parola di incoraggiamentoper coloro che lo aiutavanonella sua missione: diceva, dichi non lo accoglieva, «Sonogente buona e semplice.Migliorerà».

La sua umiltà, semplicità epovertà gli permettevano di avvicinarsi achiunque: in lui erano radicate le virtùdella prudenza, della giustizia e della for-tezza, tanto da convincere anche i più dise-redati a confidare in Dio e a prenderecoscienza dei propri diritti di fronte allasocietà. Don Agostino lavorò per l’emanci-pazione sociale, culturale, intellettuale eartistica degli Harijans. Resistette all’oppo-sizione con calma e mitezza e, ricco dellagrazia e della fede in Dio, non si scoraggiòné si ribellò quando il governo negò privi-legi agli Harijans convertiti al cristianesi-mo. Tale atteggiamento era frutto di quel-l’adesione a Cristo che lo portavano adubbidire, in maniera indiscussa e gioiosa,alla volontà di Dio e che risaltava agli occhidi tutti coloro che avevano esperienza delsuo operato. Vinceva la diffidenza e acqui-stava la confidenza di chi si fermava ad

Le due chiese di St. Augustine's Forane Church,

a Ramapuram, Palai,dove ha celebrato la Messa AgostinoThevarparampila

AgostinoThevarparampil

Servi della Sofferenza

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ascoltarlo e molti furono i frutti: nella suavita si contano circa sei mila persone bat-tezzate personalmente da don Agostino.

La dedizione verso il prossimo e la cari-tà verso tutti lo resero testimone silenzioso«dell’universale linguaggio della carità»,come il Servo di Dio Giovanni Paolo II ebbemodo di affermare, anche in mezzo a per-sone appartenenti a diverse religioni. Inparticolare, un leader della comunitàinduista di Ramapuram, in un commentosu una rivista cattolica per l’anniversariodella morte di Kunjachan, sottolineò bene-volmente l’azione del Servo di Dio di con-durre persone illetterate a uno stile di vitacivilizzato ed aperto alle essenziali istanzeculturali. Per la medesima rivista, un’inse-gnante hindù, dichiarò che, durante le suevisite alle famiglie disagiate, il Servo di Dioparlava loro con il linguaggio del cuore,insegnando i comandamenti di Dio, cercan-do di comprendere i loro problemi, intratte-nendosi con essi, aiutandoli a venir fuoridal loro complesso di inferiorità e suscitan-do in essi la consapevolezza dei loro diritti.

Don Agostino era un esempio per tutti

di fedeltà e radicalità all’insegnamentodella fede cattolica: pur vivendo ed acco-gliendo uomini e donne di diverse religionie caste sociali, non mancava mai di eviden-ziare la grandezza dell’insegnamento dellaChiesa tanto da fargli esclamare «Beatisono i cristiani governati dal Papa!».

Dopo grave malattia morì in odore disantità il 16 Ottobre 1973, all’età di ottanta-due anni. Voleva essere sepolto fra i suoibeneamati «figli», ma consci della sua san-tità, i parrocchiani preferirono seppellirlodavanti all’altare dedicato a Sant’Agostino,patrono della parrocchia. Da quel giornomigliaia di pellegrini iniziarono a visitarela sua tomba, specialmente il 16 ottobre,anniversario della sua beata morte.

Le testimonianze legate alla vita umiledei poveri, come quella di quando bastòl’invocazione del nome di don Agostinoper calmare una mucca imbizzarrita o perguarire delle galline infestate dalle cimici,lasciarono pensare a come il piccolo sacer-dote continuasse a prendersi cura delle suepecorelle sia nei loro bisogni spirituali sianelle loro indigenze materiali. A causa della

grande fama di santità,nel 1986 si cominciava ilProcesso di Beatifi-cazione e Canoniz-zazione. Sua SantitàGiovanni Paolo II ordi-nava poi la promulga-zione del Decreto sullevirtù eroiche di Ago-stino Thevarparampil,conferendogli il titolo diVenerabile il 22 giugno2004. Nel frattempo erastata avviata presso laCuria ecclesiastica diKottayam un’Inchiestadiocesana su un presun-

to miracolo a favore del piccoloGilson Varghese, affetto da piedetorto congenito, la cui guarigionefu riconosciuta scientificamenteinspiegabile e la si attribuì all’inter-cessione del Servo di Dio. SuaSantità Benedetto XVI ordinava laPromulgazione del Decreto delmiracolo il 19 dicembre 2005 e il 30aprile 2006, a Ramapuram in India,fu dichiarato beato. �

Le due chiese diSant’Agostino aRamapuram e latomba del beatoKunjachan, comeThevarparampil vienechiamato nella localelingua Malayalam

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Scienza e Fede

Un astrofisico “rogatus a pluribus”doveva occuparsi prima o poi dellaStella di Betlemme, ma devo direche all’inizio mi sembrava un argo-

mento su cui fare solo uno studio di rasse-gna. Avevo sentito parlare dell’”ipotesi diKeplero” e cercai di fare chiarezza su quel-la, e cominciarono le sorprese. Keplero(1571-1630) la aveva pubblicata prima intedesco nel 1611 e poi in latino nel 1614. Iltitolo completo è “Sul vero anno in cui laBeata Vergine Maria ha messo al mondo ilSalvatore…”e meno male che era prote-stante! Documenti storici alla mano, l’ope-ra di Flavio Giuseppe, Keplero mostrò cheErode il grande era morto nel 4 a.C. perchéaccadde in concomitanza con un’eclissi diLuna a Pasqua, e la strage degli Innocentiera stata ordinata da Erode per i bimbi di 2anni, quindi Gesù nacque nel 6-7 a.C.. Inquel periodo Giove e Saturno ebbero unatripla congiunzione, sicuramente oggettodi interesse degli astronomi di allora, cheavrebbe prodotto un “aliquid novi”, qualco-sa di nuovo nel cielo: la Stella. Per Kepleroc’era dunque un rapporto di causa-effettotra la congiunzione planetaria e l’appari-zione di una stella nuova. Del resto nel

1604 proprio durante una congiun-zione Giove - Saturno – Marte com-parve nella costellazione delSerpentario quella che poi fu chia-mata proprio la Supernova diKeplero. Oggi questo rapporto dicausa effetto non sarebbe neppureplausibile: pure alla velocità dellaluce ci vogliono anni perché le infor-mazioni passino da una stella allealtre. Dopo Keplero, al ritmo di unlibro all’anno sono stati scritti fiumi diparole per identificare le candidate miglio-ri al ruolo di guida dei Magi, rappresentan-ti degli uomini di scienza che giungono allaconoscenza della Verità.

Sul fatto che Gesù sia nato il 25 dicem-bre ci sono delle indicazioni storiche con-fermate a Qumran: Zaccaria padre diGiovanni Battista era della classe di Abìa(Luca 1), che serviva il tempio nella setti-mana del 24 settembre (dati di Qumran),dopo 6 mesi ci fu l’Annunciazione a Maria,25 marzo, e 9 mesi dopo, 25 dicembre, lanascita di Gesù.

Nel “Presepio Astronomico” inauguratonella notte di Natale del 2008 nella parroc-chia romana di S. Maria Madre della

Seguendo la stella

Costantino Sigismondi

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Un bentornato sulle nostre pagine a Costantino

Sigismondi. Nell’aprile scorso l’abbiamo provocato

con un’intervista sulla conciliabilità tra scienza e fede,

lui che è allo stesso tempo astrofisico e teologo.

Questa volta gli lasciamo la parola per un racconto

di Natale, autobiografico e rigorosamente scientifico:

la ricerca della Stella di Betlemme

L’astronomo tedescoKeplero (Johannes

Kepler, 1571-1630).In alto: il presepioastronomico della

parrocchia romana diS. Maria Madre dellaDivina Provvidenza,inaugurato la notte diNatale del 2008 in

occasione dell’iniziodell’anno internazio-nale dell’astronomia.La posizione degliastri rappresentatirispecchia quella

della notte di Lunapiena del 4 gennaio

del 6 a. C. come riferito nel testo

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Provvidenza in occasione dell’inizio del-l’anno internazionale dell’astronomia,abbiamo voluto rappresentare il cielo dellanotte di Luna piena del 4 gennaio dell’anno6 a.C., 747 ab Urbe Còndita. La Luna è alta nelCancro, a sinistra si vede il Leone e a destrasono tratteggiati i Gemelli; il Sole, oppostoalla Luna, sta nel Capricorno. A destrasplendono Giove e Saturno in congiunzionenei Pesci ed una stellina rossa… Questo pre-sepio, oltre che nel sito dedicato all’annoastronomico dall’Istituto Nazionale diAstrofisica, è stato pure recensitodall’ANSA nel comunicato di inaugurazio-ne dell’anno dell’astronomia secondo tra ledieci iniziative nazionali più rilevanti del-l’anno.

La Stella dei Magi è menzionata solo daMatteo, come del resto i Magi stessi; tutta-via, pare fossero personaggi ben noti aDamasco come scienziati dall’autorità indi-scutibile, alla cui comunità era destinatoquel Vangelo. Nel vangelo si parla di astèr,e quattro volte si usa il termine anatolé,oriente, “che sorge”: una, proprio nel canti-co di Zaccaria: “verrà a visitarvi dall’alto unanatolé” (Lc 1, 78), tradotto con “Sole chesorge”, “oriens” nella Volgata. Che sia unaeco lucana, o meglio un bagliore della Stelladel Natale?

Nel 1997 osservai la stella variabile MiraCeti, la “Meravigliosa” della Balena al suomassimo splendore: era ben visibile adocchio nudo. Essendo la Balena vicino aiPesci era probabile che gli antichi Magi,

mentre osservava-no Giove e Saturnoabbiano notato lìvicino quella stellain più, mentre eraal suo massimosplendore. Mira,che significa Mera-vigliosa, fu chia-

mata così da Hevelius, grande astronomopolacco, dopo che ne fu riconosciuta lanatura variabile, con periodo 11 mesi. Nel1998 mi accontentai di questa tesi, suppor-tata dal fatto che Mira era stata scoperta nel1596 da David Fabricius quando Giove lepassò vicino, e riscoperta 12 anni più tardidi nuovo con Giove vicino. Nel 2000 però sipresentò l’occasione giusta per andareavanti, quando nel dipartimento diAstronomia di Yale conobbi Dorritt Hoffleit(1907-2007) che è nella foto con Janet AkyuzMattei (1943-2004). Bussai al suo ufficio;“Come in” e mi accolse con un bel sorriso:aveva 93 anni all’epoca e continuava a lavo-rare. Le parlai di Mira, che lei considerava“the educational star” (la stella istruttiva pereccellenza, ndr) e fu subito entusiasta e miindicò i libri dove avrei potuto trovare i datidegli ultimi 4 secoli di questa stella.Dovevamo verificare l’ipotesi che ad unmassimo di luminosità particolarmente bril-lante ne potesse seguire uno altrettantoluminoso, per spiegare il fatto che i Magi laavevano rivista e provarono grande gioia. Ilrisultato delle ricerche fu che, statisticamen-te, ad un massimo brillante ne segue unodebole. 1

Questo dato era confermato anche daaltre stelle variabili a lungo periodo: cCygni, R Leonis ed R Hydrae.2 Questa pro-prietà delle variabili di tipo Mira non eramai stata scoperta… seguendo la Stella diBetlemme avevamo fatto una scopertascientifica. Janet Mattei, direttrice del-

l’American Association of VariableStars Observers, presentò il nostroarticolo al congresso annuale aMadison, Wisconsin del 2002. OraDorritt e Janet conoscono la veraStella di Betlemme, e Mira ha sve-lato proprio lo scorso anno unacoda! Visibile solo nei raggi UV èuna scia che nel suo moto attraver-

so gli spazi siderali ha lasciato negli ultimi30000 anni. �

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1 www.quodlibet.net/sigismondi-mira.shtml (2002) e www.aavso.org/publications/ejaavso/v30n1/31.pdf (2001)

2 www.aavso.org/publications/ejaavso/v32n1/34.pdf (2004)

Un’immagine ai falsicolori dellaSupernova diKeplero, osservata la prima volta dall’astronomo nel1604. A dispetto delnome, non si tratta diuna stella nuova madi un’esplosione chesi verifica nelle fasifinali di vita dellastella.A lato: DorrittHoffleit (1907-2007)e Janet Akyuz Mattei(1943-2004), giàastronome pressol’università di Yale etra le personalità piùautorevoli nel campo

Mira e la sua coda,svelata dall’esperi-mento GALEX,GALactic EXplorer,della NASA nel 2007(http://www.jpl.nasa.gov/news/news.cfm?release=2007-090,2007)

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Ciò che disse lo scrittore Johann W.Goethe, Papa Benedetto XVI loapprofondisce nella Lettera alladiocesi e alla città di Roma sul compi-

to urgente dell’educazione del 21 gennaio2008:

Cari fratelli e sorelle, per rendere più concre-te queste mie riflessioni, può essere utile indivi-duare alcune esigenze comuni di un’autenticaeducazione. Essa ha bisogno anzitutto di quellavicinanza e di quella fiducia che nascono dal-l’amore: penso a quella prima e fondamentaleesperienza dell’amore che i bambini fanno, oalmeno dovrebbero fare, con i loro genitori. Maogni vero educatore sa che per educare devedonare qualcosa di se stesso e che soltanto cosìpuò aiutare i suoi allievi a superare gli egoismie a diventare a loro volta capaci di autenticoamore.

Già in un piccolo bambino c’è inoltre ungrande desiderio di sapere e di capire, che simanifesta nelle sue continue domande e richie-ste di spiegazioni. Sarebbe dunque una benpovera educazione quella che si limitasse a daredelle nozioni e delle informazioni, ma lasciasseda parte la grande domanda riguardo alla veri-tà, soprattutto a quella verità che può essere diguida nella vita.

Il successo dell’educazione dipendequindi sia dai genitori che dagli insegnanti.

Bambini che vengono da famiglie congenitori che non sono all’altezza di educarei propri figli saranno difficilmente gestibilianche a scuola. In Svizzera si trovano sem-pre più genitori che demandano completa-mente alla scuola l’educazione dei loro figli

e così viene ostacolata la trasmissione delsapere, che rappresenta il compito fonda-mentale della scuola.

Nella scuola di Rickenbach , circa 2500abitanti il 50% degli alunni proviene dafamiglie di immigrati, di cui molti daiBalcani. Nei loro paesi sono i nonni adoccuparsi dell’educazione dei ragazzi, madi solito loro non vengono in Svizzera percui, qualche volta, i ragazzi sono trascurati,anche se una parte di questi alunni posso-no essere recuperati.

Come è organizzata la scuola inSvizzera? La scuola materna è poco diffusae organizzata soprattutto privatamente,anche se in questi ultimi anni sta diventan-

L’educazionein una scuolasvizzera

«Si impara soltanto da colui che si ama!» (Johann Wolfgang Goethe)

Stefanie Schildknecht

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do sempre più importante la voce delledonne che lavorano fuori casa e che chiedo-no la scuola materna statale.

I bambini di sette anni iniziano la scuo-la in agosto. Dopo sei anni di scuola ele-mentare qualcuno frequenta i tre anni dellascuola secondaria suddivisa in due livelli equelli che hanno i voti migliori passano alliceo o al ginnasio.

La maggioranza dei giovani, invece,dopo i nove anni di scuola obbligatoria sce-glie un apprendistato in una professioneche preferisce; questo è considerato damolti svizzeri il percorso migliore, dalmomento che conduce i giovani ad averecompetenze non solo teoriche, ma soprat-tutto pratiche, assumendosi alcune respon-sabilità e diventando alquanto autonomi,percependo un piccolo salario che aumen-terà di anno in anno.

Ogni professione ha il proprio piano diapprendimento che dura dai due ai quattroanni; un futuro falegname, ad esempio, stu-dierà materie diverse rispetto ad un futuroelettricista, anche se ci sono insegnamenticomuni a tutti. Anche il datore di lavoroche vuole assumere apprendisti deve con-seguire il cosiddetto “diploma di maestro”(Meisterpruefung) per acquisire le necessa-rie abilità per poter seguire il giovane nelsuo cammino di formazione.

Inoltre, per evitare il più possibile losfruttamento dell’adolescente, ogni profes-sione ha una specie di sindacato che stabili-sce il piano di apprendimento che sarà con-trollato dal professore della scuola, il qualecercando di costruire un rapporto di fidu-cia con gli alunni, controlla anche il rappor-

tino che ogni apprendista compila. Per risolvere eventuali problemi, giova-

ni ed imprenditori possono contare sul-l’aiuto di personale qualificato che attra-verso appositi sportelli, cerca di mediare icasi difficili e può anche arrivare a sanzio-nare le situazioni più gravi. L’apprendi-stato finisce con un esame che comprendetre prove: scritta, orale e pratica e il diplo-ma così acquisito apre le porte del mercatodel lavoro oppure dà la possibilità di prose-guire gli studi in scuole superiori o all’uni-versità, arrivando anche alla laurea.

Dopo questa piccola digressione sullacarriera scolastica, torniamo alla scuola ele-mentare nella quale insegno.

Il nostro paese conta 26 cantoni uniti inuna federazione. Ogni cantone è quindiuno stato e deve occuparsi dell’educazionee della formazione dei ragazzi; questo com-porta 26 diversi sistemi scolastici che sonostati parzialmente unificati.

L’obiettivo è arrivare ad un solo sistemascolastico unificando anche i piani di stu-dio; questo comporterà certamente vantag-gi per gli studenti che, spostandosi, ritrova-no le stesse discipline. Qualche svantaggioè legato al fatto che potranno venire intro-dotte anche discipline come l’educazionesessuale che, se non insegnate in manieracorretta, possono risultare pericolose.

In Svizzera, ogni cantone ha le proprieleggi, i comuni finanziano le scuole e quellipiù ricchi danno un sostegno ai più poveri.

Il popolo elegge il consiglio scolasticoche ha il compito di coordinare l’insegna-mento, mentre i dirigenti scolastici organiz-zano le attività all’interno di ogni scuola.

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Per la presenza della grande comunitàdi stranieri in Rickenbach, con tutti i pro-blemi annessi, il comune riceve dal cantonefinanziamenti per il sostegno degli alunnipiù svantaggiati e questi soldi vengonoinvestiti per aumentare il numero di lezio-ni di tedesco, per pagare l’insegnante disostegno e per le lezioni di recupero; ulti-mamente è stato assunto anche un’assisten-te sociale in part time che segue i bambinidi famiglie molto disagiate e di questo ser-vizio approfittano anche i ragazzi in diffi-coltà provenienti da famiglie svizzere.

Anche per gli alunni particolarmentebravi vengono messi a disposizione deifondi, così loro possono seguire 2-3 lezionisettimanali di perfezionamento.

Ogni scuola cerca sempre di creare alsuo interno un clima sereno e a questoscopo si realizzano progetti all’interno ditutto l’istituto per educare i ragazzi allaconvivenza civile, spiegando loro l’assurdi-tà di ogni tipo di violenza, verso la qualepurtroppo essi tendono in modo più omeno nascosto, in quanto sono continua-mente influenzati dai loro giocattoli, dainternet e dalla televisione.

Riprendendo l’intervento di PapaBenedetto XVI, molto spesso mi chiedo:“quali valori un’insegnante può trasmette-re con la sua testimonianza di vita?” Credoche chi ha i fondamenti cristiani, ha anchebuone possibilità di donare qualcosa di sestesso.

In Svizzera, Stato e Chiesa sono collega-ti per cui il catechismo della Chiesa cattoli-ca e protestante viene insegnato durante lelezioni scolastiche, lo Stato dà alla Chiesa la

possibilità di inserirsi nell’orario scolastico,anche con una disciplina che si chiamaStoria biblica.

Insegnare la storia biblica a tutti glialunni, indipendentemente che siano direligione islamica, hindu o cristiana è moltointeressante. È bello far conoscere a tutti leradici del nostro paese e i ragazzi si entu-siasmano molto paragonando le varie reli-gioni. Per esempio, parlando del digiuno,gli alunni islamici partecipano vivacemen-te e si ha la possibilità di fare riferimento aitempi di digiuno anche nella Chiesa catto-lica che, purtroppo, non sono più moltosentiti da parte di alcuni cristiani. Dopoqueste lezioni, capita spesso che i ragazziislamici si incuriosiscano e prendano inprestito dalla biblioteca scolastica unaBibbia, per saperne di più.

Insomma, l’insegnamento è una grandesfida che, però, procura molta soddisfazio-ne.

Credo che soltanto con l’aiuto e la forzadi Dio sarà possibile mettere in pratica ciòche ci suggerisce il Santo Padre:

“Il punto forse più delicato dell’opera educa-tiva è trovare un giusto equilibrio tra la libertàe la disciplina.

Il rapporto educativo è però anzitutto l’in-contro di due libertà e l’educazione ben riuscitaè formazione al retto uso della libertà.

Anche la sofferenza fa parte della verità dellanostra vita. Perciò, cercando di tenere al riparo ipiù giovani da ogni difficoltà ed esperienza deldolore, rischiamo di far crescere, nonostante lenostre buone intenzioni, persone fragili e pocogenerose: la capacità di amare corrisponde infattialla capacità di soffrire, e di soffrire insieme”. �

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30 Servi della Sofferenza

«Agli inizi della tua Chiesa gliapostoli del tuo Figlio, guidatidallo Spirito Santo, scelserosette uomini stimati dal popolo,

come collaboratori nel ministero. Con lapreghiera e con l’imposizione delle maniaffidarono loro il servizio della carità, perpotersi dedicare pienamente all’orazione eall’annunzio della parola.

Ora o Padre, ascolta la nostra preghiera:guarda con bontà questo tuo figlio che noiconsacriamo come diacono perché serva altuo altare nella santa Chiesa. Ti supplichia-mo, o Signore, effondi in lui lo SpiritoSanto, che lo fortifichi con i sette doni dellatua grazia, perché compia fedelmentel’opera del ministero».

Ecco qui la descrizione perfetta delmistero dell’ordinazione diaconale. Eccoqui le parole centrali, quelle parole chehanno fatto di Gianpiero don Gianpiero,cioè un ministro ordinato e sacerdote nelgrado del diaconato. Ecco qui quello che è

accaduto oggi, domenica 6 dicembre 2009,nella parrocchia Santa Maria del Popolo diSan Giorgio Ionico.

Alla presenza di un gran numero disacerdoti, amici e parenti, dinanzi agliocchi commossi e pieni di gioia dei genito-ri, della sorella e della nonna, accanto a suofratello, don Ciro Savino, sacerdote daquasi quattro anni, sostenuto dalla preghie-ra del padre, don Pierino Galeone, e di donGiuseppe Ancora, punti fermi della suavocazione, per l’imposizione della mani diS. Ecc. Mons. Benigno Luigi Papa,Arcivescovo di Taranto, Gianpiero è statoordinato diacono, dopo cinque anni emezzo di preparazione spirituale e intensostudio presso il Pontificio SeminarioRomano, coronamento di una formazionecristiana autentica che già aveva postodelle solide basi nella sua famiglia e in par-rocchia, vere culle della sua vocazione.

Come infatti ha sottolineato il padre,don Pierino Galeone, nella presentazione

Giampiero è diacono!«… umile e determinato, riservato e socievole… sempre gradito a tutti»

don Giuseppe Marino

del candidato, in Gianpierola crescita spirituale haseguito di pari passo la cre-scita umana, garantendosolidità alla chiamata che ilSignore gli ha rivolto. E luipuò ben dirlo, avendoloconosciuto quando già dapiccolo frequentava concostanza ed entusiasmo ilcatechismo in parrocchia masoprattutto il gruppo deiministranti, oggi presenti in gran numeroper l’occasione (e di pari passo, tra l’altro,coltivava un’abilità indiscussa nel calciobalilla che per anni lo ha visto trionfare neitornei interni nel Seminario Maggiore diRoma).

La sua serenità, la sua riservatezza, ilsuo sorriso e il suo equilibrio, anche oggicome sempre, sono la conferma di una vitatrascorsa alla presenza di Dio fin dallaprima infanzia.

Nell’omelia, Mons. Arcivescovo, sottoli-nea gli ambiti in cui Gianpiero sarà chiama-to a svolgere il suo ministero: la Parola,l’Eucaristia e la Carità. Tre ambiti che sonola sintesi del servizio che gli è affidato e chesaranno gli strumenti necessari per prepa-rare la strada al Signore che viene, cosìcome più di 2000 anni fa fece GiovanniBattista, a da allora fino ad oggi tanti gene-rosi ministri. È proprio questo infatti il suocompito: preparare la strada per coloro cheancora non hanno incontrato Cristo e ren-dere costoro familiari agli strumenti del-l’incontro con Cristo: Parola, Eucaristia e

Carità.Con l’ordinazione diaconale di don

Gianpiero l’anno sacerdotale si mostra par-ticolarmente fecondo per la parrocchiaSanta Maria del Popolo, per la Diocesi diTaranto e per l’Istituto Secolare Servi dellaSofferenza.

Per te, caro don Gianpiero, l’augurio peril tuo ministero prende, ancora una volta, laforma della preghiera, rivolta al PadreCeleste, che ti ha consacrato e che da annisostiene con vigore tutti i sacerdoti e i dia-coni della Chiesa: «sia pieno di ogni virtù:sincero nella carità, premuroso verso ipoveri e i deboli, umile nel servizio, retto epuro di cuore, vigilante e fedele nello spiri-to. L’esempio della sua vita generosa ecasta, sia un richiamo costante al vangelo esusciti imitatori nel tuo popolo santo.Sostenuto dalla coscienza del bene compiu-to, forte e perseverante nella fede sia imma-gine del tuo Figlio, che non è venuto peressere servito ma per servire, e giunga conlui alla gloria del tuo regno». Auguri ebuon lavoro Gianpiè! �

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PRESENTAZIONE DI GIANPIERO SAVINODA PARTE DI MONS. PIERINO GALEONE

« Eccellenza Reverendissima,Gianpiero Savino è un giovane nel quale la crescita spirituale con quella umana è avvenuta di pari

passo nella famiglia, nella scuola e, particolarmente nella comunità.La sua vocazione ha avuto un percorso ordinario di maturità.La vita spirituale ha radicalizzato in lui la convinzione sempre più chiara di essere chiamato dal

Signore a diventare Sacerdote.Il suo carattere umile e determinato, riservato e socievole ha evidenziato comportamenti ordinati

non solo dalla saggezza umana, ma anche da una intensa spiritualità che lo rende sempre gradito.Ha saputo coniugare l’intelligenza con la modestia, la carità col servizio e la indiscussa socialità

con un sano umorismo.La nostra comunità insieme con me non solo è convinta della autenticità della sua vocazione ma anche di un futu-

ro di generosa dedizione di servizio alla Chiesa nella fedeltà al celibato e nella radicale ubbidienza al proprio Vescovo.Per queste motivazioni penso che Gianpiero Savino sia idoneo a ricevere il dono del Diaconato, mentre affido alla

Sua Paterna benevolenza il definitivo consenso».

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Oggi 27 novembre inizia aSan Giovanni Rotondol’incontro degli AssociatiServi della Sofferenza.

Dopo un viaggio – per alcuni lungo,per altri meno – ci ritroviamo tutti lì.

Sono passati poco meno di tremesi dall’ultimo ritiro, e, comespesso accade, il quotidiano con isuoi piccoli o grandi problemi harosicchiato gli entusiasmi e i propo-siti che faticosamente il Padre, conla sua parola, aveva acceso neinostri cuori. Questo incontro èdiventato essenziale, vitale perognuno di noi e per le nostre fami-glie, è diventato la nostra oasi,luogo di ristoro dell’anima e delcorpo, di riposo e di condivisionegioiosa.

Con piacere ci si rivede e ci siscambiano saluti e abbracci. Il ritro-vare i volti familiari e sorridentiriempie il cuore; il desiderio di rive-dere il Padre e la Madre, i sacerdo-ti, le sorelle della reception o lesorelle che generosamente intrat-tengono i nostri figli si fa semprepiù impellente. La sensazione èquella del ritorno a casa dopo unlungo e stancante viaggio, e ritrova-re il piacere di una calda accoglien-za di persone che ti amano.

In questo clima l’anima si risto-ra, proprio come capitava ai disce-poli, quando su invito di Gesù, siappartavano per riposarsi. In Gesùnulla è perso! Infatti è in questoclima che la parola del Padre viene

provvidenzialmente a guarire,riempire e illuminare i lati oscuridel carattere che ognuno di noi ha.Ecco perché è importante prepararele orecchie all’ascolto, il cuoreall’accoglienza, arare un po’ il terre-no dell’anima così che il seme dellaparola possa portare frutti abbon-danti.

Tutto questo accade nei pochigiorni in cui il Padre ci raduna intor-no a sé, proprio come fa una chiocciacon i suoi pulcini. Anche questavolta il Padre ci ha fatto dono dellasua sapienza. Nell’incontro haaffrontato il tema della responsabili-tà e della coerenza che ogni cristianodeve avere in famiglia e nella società.Nelle profonde catechesi è stato sot-tolineato il ruolo della sovranità delcristiano, colui che conosce il suocompito di sovrano che domina laterra (Gen. 1,28-29), ma sa anche chela sua è una sovranità delegata, chedeve rispondere di ogni suo agire,pensare, dire, al Creatore e Re asso-

luto, che sarà anche il suo remunera-tore. Certamente, il Padre ci ha fattoben intendere che la sovranità di Dioe il suo giudizio non sono da temerese ci manteniamo nella Sua volontà,e la Sua ricompensa sarà per noi ilParadiso.

Questa è quindi la nostra respon-sabilità: riconoscere il nostro ruolo,ubbidire ai comandi del Sovrano, edonare noi stessi al prossimo. È lastrada maestra, il percorso che Gesùha tracciato, e che Lui stesso haseguito facendosi umile servo puressendo Re dei Re, per ubbidire alPadre pur essendo Dio, al fine diriscattare non solo l’uomo, ma tuttoil creato che soffre e geme aspettan-do la redenzione che avverrà allafine dei tempi. Tante altre cose hadetto il Padre, che hanno infiamma-to i cuori. I suoi insegnamenti sonofonte di salvezza per chi li mette inpratica. Grazie Padre, tutti noi desi-deriamo rendervi fiero davanti allaMadonna a Gesù e S. Pio. �

Maddalena Verdoliva

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La formazione degli Associati

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Venitein disparte… e ritempratelo spirito

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“Se vuoi che celebriamo a Greccio ilNatale di Gesù, precedimi e prepa-ra quanto ti dico: vorrei rappre-sentare il Bambino nato a

Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhidel corpo i disagi in cui si è trovato per la man-canza delle cose necessarie ad un neonato, comefu adagiato in una greppia e come giaceva sulfieno tra il bue e l’asinello”.

Per desiderio di Francesco d’Assisi,nasceva così il presepe: la rappresentazionesacra della nascita di Gesù, erano gli inizi didicembre dell’anno 1223 e le cronache rac-contano che la notte del 24 il popolo accorsenumeroso, il Cardinale Ugolino celebrò lamessa e San Francesco rievocò con paroledolcissime il neonato Re povero la cui sta-tuetta, secondo alcuni, si animò fra le suebraccia.

Da allora sono passati otto secoli, maripresentare le scene della nascita di Gesù,in forza del Mistero a cui rimandano, signi-fica ancora toccare le fibre più profonde delcuore di ogni uomo, fede a parte.

E proprio imitando la devozione di SanFrancesco per il “Bambino di Betlemme”,

questa volta ci addentriamo nei vicoli delpiù piccolo comune del Gargano: RignanoGarganico, appunto.

Seicento metri sul livello del mare, defi-nito il “balcone della Puglia”, siamo a stra-piombo sul Tavoliere, ma da qui lo sguardopuò abbracciare un orizzonte molto vasto,dalle colline brune del Subappen-nino, al Golfo di Manfredonia, alCandelaro e, nelle giornate terse,anche i monti della Maiella…

Guardando dalla pianura que-sto paesino, viene quasi immedia-ta l’immagine di un presepe, maquando si sale e ci si addentra nelborgo medievale, con stradine,vicoli e gradoni… si ha proprio lasensazione di aver fatto un tuffonel passato e, se è una seratadicembrina, fredda e con la neb-bia… il gioco è fatto! E anchequest’anno, complice un pae-saggio d’incanto, per la dodice-sima volta, Rignano rievoca laNotte Santa e il paese intero sitrasforma in un grande prese-

Rignano Garganico,il paese che diventa presepe

Maria Stella alemanno

Gargano: terra di santi

Rignano dalla sua posizione è proprio ilbalcone del Gargano!

Il manifesto del presepe vivente

2009-2010

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pe vivente. I 2000 abitanti, o poco più, si attivano

tutti a vario titolo e così questo piccoloborgo vive il suo momento di celebrità,accogliendo migliaia di visitatori e offrendoloro, anche se fugacemente, la possibilità didimenticare per un attimo le luminariescintillanti delle città e delle vetrine, perimmergersi in un’atmosfera, fatta di sem-plicità e di amicizia che vuole rievocare lanascita del Bambinello. Organizzare questoevento richiede tempo e tante energie:un’idea, uno scorcio o una lettura costitui-scono la materia prima da pensare, rielabo-

rare, immaginare per tantimesi, fino a quando non cisi ritrova con gli altri percondividere e organizzarsioperativamente. L’opera dicostruzione vera e propriainizia alla fine di novembree comporta tutto un lavoroper realizzare le diversescene, per reperire gli abiti egli oggetti d’epoca per alle-stire in modo realistico ivari ambienti. Gli abitanti diRignano non si risparmia-no, sono affiatati e lavoranoinsieme: l’armonia, l’entu-siasmo e l’amicizia rende-ranno possibile anche que-st’anno la manifestazioneche, tra l’altro, è l’occasione

giusta per valorizzare e tute-lare il paesaggio, l’identità popolare e letradizioni.

Le antiche case del suggestivo centrostorico offrono l’ambientazione ideale perricostruire scene di vita contadina e ripre-sentare vecchi mestieri per lo più dimenti-cati. Le persone anziane, depositarie diantichi saperi ed usanze, accettano di con-dividere i loro ricordi con i piccoli, i qualiapprofittano per assaporare, anche se perpoco, il gusto della vita faticosa e bonariadi altri tempi. E così ecco ricomparire levarie botteghe: il falegname che pialla e

spiana le informi tavole dilegno, il fabbro, con tanto difocolare e mantice per ali-mentare il fuoco e rendereincandescente il ferro, ilseggiaio, il calzolaio e il cia-battino, il conciabrocche edil casaro che prepara almomento formaggio e ricot-ta con il latte fresco; si vedo-no, forse per la prima volta,tanti arnesi ricostruiti erestituiti alla loro funzione.E poi ci sono le donne:fanno il bucato, utilizzandola cenere per sbiancare ipanni, o lavorano la lana ela filano, tessendola sui telaidi legno, oppure sfornanodolci natalizi da offrire

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Il suggestivo borgomedievale di Rignano

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La bottega del calzolaio

ancora caldi ai visitatori. E, in un anfratto vicino al Palazzo

Baronale, è collocata la grotta della Natività:è proprio una stalla! Mucche, asini e pecoresono la cornice della Santa Famiglia: unuomo e una donna chini su un bimbo infa-gottato, pastori e schiere di angeli a far festaal Re… “Sulle ali di un Bambino, sorridiamoalla Vita” questo il titolo della manifestazio-ne di quest’anno e anche chi passa distratta-mente e forse si sente arido, freddo e assilla-to da tante preoccupazioni, non può nonsentire un fremito di speranza, perchè difronte a questa scena riaffiora tutta l’ansia di

divino, di pace e dipurezza che ognuno siporta dentro.

E se questo fosse il senso del Natale? San Pio, in una lettera ad Antonietta

Vona nel 1918 scriveva: “Sta molto vicino allaculla di questo graziosissimo Bambino, partico-larmente nel tempo in cui ce lo rappresentiamocosì come Egli era picciolo Bambino diBetlemme: perché, a che fine piglia Egli quelladolce ed amabile condizione di Bambino se nonper provocarci ad amarlo confidentemente e aconfidarci amorosamente a lui?”.

Buon Natale a tutti! �

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Si ringrazia per lacollaborazione

il comitato organizzatore del

presepe, in partico-lare il presidente,

sig. antonio Paglia,e il responsabile

dell’ufficio stampa, sig. angeloDel Vecchio

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Dolci di Nataleper i più piccoli

Alle prese con la lana