Ser Mariano di Nanni da Siena in Terra Santa · Ser Mariano di Nanni da Siena – Viaggio in Terra...

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Ser Mariano di Nanni da Siena in Terra Santa Il terzo pellegrinaggio (1431) Alfredo Pizzuto

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  • Ser Mariano di Nanni da Siena in Terra Santa

    Il terzo pellegrinaggio (1431)

    Alfredo Pizzuto

  • © 2020, Fondazione Terra Santa - MilanoEdizioni Terra Santa - Milano

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    Finito di stampare nel marzo 2020da Mediagraf S.p.A. – Noventa Padovana (PD)

    per conto di Fondazione Terra Santa

    ISBN 978-88-6240-738-0

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    Sommario

    Presentazione 7Prefazione 11Ser Mariano di Nanni da Siena! Chi era costui? 13Audace e determinato 19Quante volte Mariano è stato in Terra Santa? 27Ser Mariano e la sua Siena 31Ser Mariano al Santo Sepolcro 35Personalità di Mariano e suo linguaggio 39La «devota e santa processione» 47Ser Mariano di Nanni da Siena – Viaggio in Terra Santa 99Conclusione 283

    Appendici 285Descrizione di Bonifacio da Ragusa sul restauro dell’edicola del S. Sepolcro (1555) 287Descrizione di Maximos Simaios sul restauro dell’edicola del S. Sepolcro (1809) 289Apertura della tomba di Gesù al S. Sepolcro Memoria di A. Pizzuto (26 ottobre 2016) 291Indice Analitico 297

  • Ai Venerabili Frati Minori di San Francescoche da secoli dimorano nella Basilica

    del S. Sepolcro di N. S. G. C. in Gerusalemmecustodendolo in nome della Chiesa Cattolica

    vivendo e facendo rivivereanche con la processione quotidiana

    il mistero della Passione Morte e Risurrezione del Signore

    S. Francesco e i suoi frati custodi del S. Sepolcro, Elzear Horn (1725)

  • Nel dare alle stampe questo lavoro sento il piacevole dovere di ringraziare coloro che a vario titolo con il loro sostegno e incoraggiamento hanno fatto sì che esso vedesse la luce.

    A padre Giovanni Claudio Bottini ofm, decano emerito dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme che, onorandomi della sua speciale amicizia, oltre all’incoraggiamento, ai preziosi chiarimenti e indicazioni mi ha coadiuvato nell’impianto del mio lavoro.

    A fra Gianfranco Pinto Ostuni ofm, a fra Eugenio Alliata ofm, a fra Rosario Pierri ofm, a fra Theophilo SangWon Kim ofm e Stanislaus Lee una sincera ri-conoscenza per i loro scatti fotografici che illustrano il presente volume e che sono proprietà riservata dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme.

    L’autore è grato alle Edizioni Terra Santa per aver accolto tra le sue pub-blicazioni il presente libro, apparso precedentemente presso altro editore, in un differente formato e con qualche errore e alcune sviste, qui opportunamente corrette DAP.

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    Presentazione

    L’ entusiasmo travolgente dell’amico don Alfredo Pizzuto per Mariano da Siena ha infine coinvolto anche me!Come francescano di Terra Santa, il nome dell’illustre pre-

    te senese non mi era del tutto sconosciuto. Sapevo dalla breve notizia storica che si legge nell’Ordo Processionum e da altre letture che egli è il primo testimone e il più completo relatore dei testi della suggestiva celebrazione che si svolge ogni pome-riggio nella basilica del S. Sepolcro e alla quale da molti anni ho la gioia di partecipare di tanto in tanto.

    Come quello dell’autore del presente libro, il mio sguardo si è allargato dalla descrizione della processione al Santo Se-polcro all’intero racconto di ser Mariano e la lettura del suo «chamino overo itineratio» di Terra Santa mi ha riservato non poche sorprese. Anzitutto il piacere e il gusto di leggere una prosa scorrevole e mai noiosa, neppure quando sembra at-tardarsi su dettagli o nella trascrizione di testi di preghiera o delle indulgenze. Mariano è un fine osservatore della realtà e un forbito narratore delle cose viste e delle esperienze fatte nel suo ripetuto pellegrinaggio in Terra Santa. Del resto gli studio-si (F. Cardini, P. Pirillo) hanno accertato con argomenti interni

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    e esterni all’opera che al tempo del suo terzo viaggio Mariano era un ecclesiastico maturo per età e esperienza.

    Non rare volte apre il suo animo di uomo di fede e con una «cascata» di parole rivela al lettore i sentimenti che lo perva-dono, sia quelli di profonda commozione sui Luoghi Santi, sia quelli di sdegno per le cose o i comportamenti che lo provoca-no. Non nasconde che il suo intento è anche quello di coinvol-gere il lettore e talvolta lo dice espressamente invitandolo a fare la sua stessa esperienza. Credo che questo tratto lo collochi tra i migliori e originali narratori antichi di viaggio in generale e del pellegrinaggio in Terra Santa in particolare. Da tempo sono stati rilevati nel racconto del pellegrinaggio echi della termi-nologia cara a Caterina da Siena, specialmente quella in rife-rimento a Cristo, e F. Cardini caratterizza Mariano come un testimone della «grande stagione mistica senese».

    Se la testimonianza sulla celebrazione quotidiana che i fran-cescani fanno al Santo Sepolcro è particolarmente preziosa, il suo resoconto di viaggio contiene non poche altre informazio-ni interessanti sul piano della storia economica e sociale, della geografia, della navigazione e della viabilità.

    Basti pensare ai tanti nomi di porti, località e personaggi che egli ricorda, alle circostanze e peripezie che accompagnano il suo viaggio di andata e ritorno. Qui la mia sorpresa è stata somma nel trovare i nomi di non pochi luoghi della mia regione d’ori-gine, l’Abruzzo, che costituirono altrettante tappe del viaggio di ritorno dalla Terra Santa di Mariano il quale, con tre compagni di viaggio, risalì via terra lo stivale a partire da Lecce. Sia pure rapidamente, egli fa sapere che il 24 luglio 1431 lui e i suoi com-pagni arrivano a Vasto dove si rifocillano e la sera dello stesso giorno giungono a Torino di Sangro. L’indomani raggiungono Lanciano, si ristorano e la sera sostano a Orsogna. Il 26 luglio

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    fanno tappa a Tocco da Casauria e il giorno dopo raggiungono L’Aquila che Mariano descrive con questi termini: «È una bella città, e grande, et ha una bella piazza, e grande».

    Don Alfredo non ignora gli studi dotti fatti sul testo di Mariano, compresa l’edizione critica di P. Pirillo, ma con intelletto d’amore e passione ha riletto questo magnifico testo da assiduo e appassio-nato pellegrino di Terra Santa e ora lo offre pensando a una vasta cerchia di lettori. Per questo al testo originale egli ha affiancato una utile trascrizione in lingua corrente del racconto che Mariano ci ha lasciato nella lingua senese della metà del Quattrocento.

    Il lettore troverà di certo istruttiva e interessante l’ampia introduzione, dove don Alfredo riversa le sue personali cono-scenze dei Luoghi Santi e in modo speciale della basilica del Santo Sepolcro e del rito della Processione quotidiana. Il suo bagaglio di conoscenze dirette arricchisce le note di commento e chiarimento riguardo a non pochi termini e dettagli del rac-conto di viaggio e gli ha suggerito le felicissime Appendici che fanno di questo libro un «unicum».

    Don Alfredo Pizzuto, senese di adozione, si augura che, anche grazie a questa sua amorosa fatica, i concittadini cono-scano meglio e onorino debitamente «ser Mariano di Nanni da Siena, rectore de sancto Pietro a Uvile et chapellano della chapella del santo Crocifixo del Duomo di Siena». Condivi-do cordialmente questo auspicio e auguro alla pubblicazione la vasta diffusione che meritano l’autore del «chamino overo iti-neratio» di Terra Santa e l’infaticabile autore di questo libro, amico generoso e fedele dei francescani di Terra Santa.

    Gerusalemme, 1 ottobre 2017Giovanni Claudio Bottini OFM

    Decano emerito dello Studium Biblicum Franciscanum

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    Prefazione

    I n questo libro agile e di piacevole lettura, l’autore ci in-troduce con garbata e sapiente pedagogia in un mondo antico, intriso di fede e di amore per il Signore.Con un’interessante operazione di mediazione culturale, Al-

    fredo Pizzuto riesce, e in forma divulgativa, a coniugare la di-mensione della ricerca storiografica con quella della fede vissuta, permettendoci di cogliere uno spaccato del mondo quattrocen-tesco, in Italia e in Terra Santa, attraverso l’opera di un suo prota-gonista “minore” (ma non per questo meno interessante), e insie-me di scandagliare le origini di una “pratica devozionale” ancora oggi esistente e capace di nutrire la fede di tanti: la processione quotidiana, che alle quattro del pomeriggio (ora solare) viene ce-lebrata dai Frati Francescani all’interno del Santo Sepolcro.

    Don Alfredo dichiara fin da subito di essersi appassionato alla figura di ser Mariano di Nanni da Siena, e vuole farcelo co-noscere. È nel resoconto del suo terzo viaggio che si trova, ap-punto, la forma più antica di quella che diverrà poi la quotidia-na processione contemporanea all’interno del Santo Sepolcro.

    Ma il presente lavoro, nonostante la mole esigua e la mode-stia dell’autore, che afferma di non avere “pretese di originalità e completezza”, raggiunge di fatto anche altri esiti significativi.

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    Infatti, don Alfredo, attraverso l’analisi della struttura e dell’eucologia della processione attuale e il confronto con le sue versioni precedenti, permette di comprendere in profondità il significato delle varie tappe di tale “pratica”, in vista di una loro più consapevole appropriazione da parte della fede di chi le vive.

    Inoltre, non solo ci introduce alla conoscenza di un perso-naggio della Siena medievale connotato da un profondo amore per il Signore e per la Sua Terra, di cui sa apprezzare tutto lo spessore “sacramentale”, ma offre anche la possibilità di attinge-re direttamente alle sue parole, cioè alla fonte storiografica che fa da sfondo alla prima parte del volume.

    Quasi prendendoci silenziosamente per mano, nella seconda parte del presente testo, infatti, l’autore ci affida direttamente a ser Mariano, permettendoci di gustare senza intermediari, an-che grazie ad una parafrasi che facilita la lettura del testo quat-trocentesco, la relazione scritta dal sacerdote senese a partire da 9 aprile 1431. Da qui in poi sarà lo stesso protagonista del viaggio a farci comprendere, senza più bisogno di mediazioni, la sincerità della sua fede coraggiosa, la riconoscenza per lo in-namorato, dolce, e benedetto Iesu e la forza della speranza cristia-na corroborata dall’esperienza dei Luoghi Santi, che non solo lo sollecita a desiderare la Vita vera, ma gli consente anche di scrivere: “a Dio piacendo, spero di poter lasciare qui questo mio povero corpo, e a Dio la mia anima”.

    Gerusalemme, 4 ottobre 2017San Francesco d’Assisi

    Pierbattista PizzaballaAmministratore Apostolico

    del Patriarcato latino di Gerusalemme

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    Ser Mariano di Nanni da Siena! Chi era costui?

    N on tutti i pellegrini sanno che nella basilica del Santo Sepolcro di Nostro Signore Gesù Cristo in Gerusalemme tutti i giorni alle quattro del pomeriggio si celebra una processione con alcune stazioni de-vozionali (il carcere di Cristo, la coronazione di spine, ecc.) e altre sui luoghi propri (Calvario, Tomba ecc.) che si venerano da sempre.

    Questa processione è simile alla Via Crucis ma con stazio-ni diverse e si svolge tutta all’interno della basilica. È guidata sempre dai Frati Minori con la partecipazione dei Francescani, del popolo e dei pellegrini presenti. I testi usati sono tutti in latino e per questo è necessario un sussidio per una fruttuosa partecipazione.

    Nell’attesa dell’inizio della processione, mentre si ha tra le mani il rituale1, la curiosità porta a leggere anche le brevi note che si trovano all’inizio del sussidio e così si viene a sapere che «…Fu Mariano da Siena che per primo ha tramandato una

    1 Ordo Processionum quæ Hierosolimis in Basilica S. Sepulchri D. N. Jesu Christi a Fratribus Minoribus peraguntur, Typis Poliglottis Vaticanis, 1947.

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    disposizione ordinata delle preghiere che i Religiosi facevano in ogni stazione annotando sia le preghiere che i versetti appropriati e per il Monte Calvario, la Pietra dell’Unzione e il S. Sepolcro ha tramandato anche i tre inni»2. Come non bastasse, salta fuori anche il nome di un altro testimone della processione: Niccolò da Poggibonsi (1345)3.

    E proprio come al don Abbondio manzoniano nel leggere il nome dello sconosciuto Carneade viene da domandarsi: «ma chi diavolo era costui?».

    Mariano da Siena? Mai sentito nominare! Niccolò da Pog-gibonsi? Nemmeno!

    La curiosità viene alimentata sempre più quando perfino nel modesto sussidio con traduzione a fronte in diverse lingue si legge che «nel 1431 il pellegrino Mariano da Siena precisa che i Francescani facevano la processione per proprio conto e secondo un tragitto analogo all’attuale, benché più breve».

    Anche Stéphane Milovitch nel suo volume Quotidianamen-te da prima del 1336, eccellente monografia tutta sulla proces-sione quotidiana al Santo Sepolcro di Gerusalemme, cita Ma-riano da Siena innumerevoli volte4. Questo vuol dire che il no-stro Mariano è diventato molto importante dopo la decisione, presa al ritorno dal suo terzo viaggio in Terra Santa, di lasciare ai contemporanei e ai posteri il suo racconto: «scripsi et com-posi quando per la divina gratia andai la terza volta a visitare Terra Sancta, cioè la Santa Città di Ierusalem, et lo Sanctissimo

    2 Ivi, 8. Al riguardo si veda l’interessante studio: I. Sabbatini, “Libro di preghiere e racconto di viaggio. Il diario di Bernardino Dinali tra liturgia e odeporica alla fine del 400” in Liber Annuus LX (2010) 273-285.3 Ivi, 12.4 S. Milovitch, Quotidianamente da prima del 1336, Edizioni Terra Santa, Milano, 2014. In questo volume lo scritto di Mariano è siglato ITS 1431.

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    Sepulcro del benedecto, e nostro Redemtore dolcie Iesu et tucti gli altri sancti luogi».

    Mariano da Siena e fra Niccolò da Poggibonsi che all’inizio sono stati oggetto di curiosità e poi di approfondimento, han-no fatto sì che nascesse questo piccolo contributo il quale vuole onorare un pellegrino d’eccezione che, tra gli antichi pellegrini, ha avuto l’ardire di compiere ben tre volte il santo viaggio du-rante la prima metà del Quattrocento, lasciando una cronaca dettagliata della sua terza peregrinazione verso la Terra di Pro-missione. Anche Siena e i senesi, specialmente quelli che non hanno mai sentito nominare ser Mariano e nemmeno fra Nic-colò della vicina Poggibonsi, attraverso queste pagine potranno conoscere meglio l’illustre concittadino.

    È stato facile trovare il Libro d’Oltramare di fra Niccolò da Poggibonsi perché edito più volte, anche di recente.5 Più dif-ficile è stata la ricerca dello scritto di ser Mariano che fu edito dalla Stamperia Margheri di Firenze nel 18226 e poi, con uno studio di Paolo Pirillo pubblicato da Pacini Editore nel 19917. Così si è potuto sapere molto di più e finalmente conoscere meglio ser Mariano di Nanni da Siena.

    Proprio da questo ultimo testo si apprende che Mariano quando intraprese il suo terzo viaggio sembra che avesse cir-

    5 Fra Niccolò da Poggibonsi, Libro d’Oltramare, II vol., Ed. Alberto della Lega, Bologna, 1881.Fra Niccolò da Poggibonsi, Libro d’Oltramare, Franciscan Printing Press, Gerusalemme, 1996.6 D. Moreni (a cura di), Del viaggio in Terra Santa fatto e descritto da ser Mariano da Siena, Stamperia Magheri, Firenze, 1822.7 Mariano da Siena. Viaggio fatto al Santo Sepolcro 1431 a cura di P. Piril-lo. Il volume in questione è il primo della collana “Corpus peregrinationum Italicarum” a cura di F. Cardini.

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    ca quarantasette anni secondo un’indagine di Franco Cardini sui registri di battesimo della cattedrale di Siena, redatti negli ultimi decenni del XIV secolo. Infatti tra altri omonimi, un «Mariano di Nanni» battezzato l’otto settembre del 1384 è sembrato al Cardini, con notevole grado di attendibilità, il fu-turo autore del «Chamino o vero itineratio»8.

    Sono poche e scarne le notizie su questo personaggio co-nosciuto per aver deciso di scrivere «di giornata in giornata el santo camino» del suo terzo viaggio in Terra Santa.

    All’inizio del suo trattato egli stesso si presenta facendoci sa-pere che era Rettore di San Pietro a Ovile e Cappellano della Cappella del Crocifisso del duomo di Siena. Che fosse rettore di San Pietro a Ovile risulta anche dalla Visita Pastorale compiuta dal vescovo Carlo Bartoli nei mesi a cavallo tra il 1427 e il 1428 e in quella occasione, rispondendo a un questionario, di se stesso afferma essere «onesto e di vita morigerata»9.

    8 F. Cardini (a cura di), Nota su Mariano di Nanni rettore di S. Pietro a Ovile in Siena, in Toscana e Terra Santa, Alinea, Firenze, 1982, 184.9 Ivi, 186.

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    Pianta della Gerusalemme crociata, contenuta nel codice di Cambrai (circa 1150)

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    Audace e determinato

    L a prima cosa da rilevare è il coraggio di Mariano nell’affrontare per ben tre volte un viaggio impe-gnativo, lungo, difficile e pericoloso come era nel sec. XV. Erano in centoventicinque i pellegrini, fra i quali c’e-rano un Vescovo, sette Cavalieri, e quaranta fra preti e frati ma solo sei, tra tutti, erano quelli che avevano fatto più volte il pellegrinaggio.

    La cronaca che ci ha lasciato è quella relativa al suo terzo viaggio perché proprio in chiusura ci fa sapere che «Questa ul-tima volta penammo cento cinque dì. La prima volta penammo sei mesi, et quattro dì; la seconda volta penammo sei mesi, meno quattro dì».

    Il termine penare è sinonimo di patire, soffrire e forse non lo usa a caso se da subito, a causa di ciò che si prospetta, avendo già vissuto la stessa esperienza per ben due volte, è tentato di tornare indietro. Erano appena partiti il giorno nove di aprile e la stessa sera scrive: «Io stetti in Buon Convento pessimamente dello stoma-co, e fui per tornare adrieto»; lo stesso dice il giorno diciassette del medesimo mese quando, arrivato a Venezia, annota:

    «Io in questo dì stetti pessimamente; e se ‘l padrone della barca ci avesse voluto porre a Chiogia, sarei tornato a drieto»

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    ma non lo fece. Proseguì imperterrito verso la destinazione convinto che il suo star male era opera del demonio e attribui-sce la sua guarigione alla grazia di Dio: «… Credo, e tengo, che tutto ‘l male, che ho avuto, sia stato operazione dello adversario nostro per stroppiare tanto bene; e come fumo passati Malomocho per grazia di Dio, fui guarito».

    Risultano davvero audaci e determinati tutti quei pellegri-ni compagni di Mariano nell’affrontare il pellegrinaggio che, tutto sommato, dall’arrivo a Giaffa alla partenza dallo stesso luogo, permette loro di rimanere nei luoghi santi solo tredici giorni. I rimanenti centocinque sono stati trascorsi in terra e in mare per arrivare a destinazione e ritornare alle proprie case1. È davvero singolare il coraggio e ammirevole la fede che sostie-ne quei pellegrini nell’intraprendere un così difficile e lungo viaggio di ben centodiciotto giorni che in definitiva consente loro di trascorrerne una minima parte nella meta desiderata: sei giorni a Gerusalemme, uno a Betlemme, uno ad Ain Ka-rem e quasi tre tra Gerico, Giordano e Quarantena passando da Betania e da Betfage. Tutto ciò dimostra determinazione e audacia sorretta da fede salda.

    Tutto questo non è paragonabile ad un pellegrinaggio dei nostri giorni sia per i mezzi che per il tempo, la spesa e le condi-zioni. Nonostante tutto, Mariano e i suoi compagni non han-no desistito andando incontro a pericolosi imprevisti come il naufragio scampato e, per un negato permesso di sbarco a Capo d’Otranto, il raggiungere la riva Dio solo sa come: «In questo

    1 Nel suo computo di centocinque dì Mariano non ha inserito i tredici giorni di permanenza in Terra Santa e cioè dall’arrivo al porto di Giaffa alla partenza dallo stesso porto. Pertanto il viaggio completo è stato di cento-diciotto giorni.

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    dì fu per annegare la barca con tutti noi. Squarciossi la vela da capo a’ piei, et eravamo tutti fracassati. Non fummo lassati pi-gliar porto a Capo d’Otranto, perché dicevano, che noi venivamo di Terra di moria; denci el bando. Stemmo tutta la notte volteg-giando con grande fortuna, e pericoli di Corsari [...] col nome del benedetto, e buono Iesu in tutto escimo di mare a certe spiagge con grande fatica».

    Leggendo l’itinerario si ricava la seguente tabella di marcia con le relative date e soste.

    Aprile 1431

    9 Lunedì Partenza: Siena – Buonconvento10 Martedì Sarteano11 Mercoledì ore 9 a Chiusi – la sera a Perugia12 Giovedì fermi a Perugia

    13 Venerdì al vespro partono per Gubbio con sosta a Ta-varnelle14 Sabato arrivo ad Urbino15 Domenica Rimini16 Lunedì In barca fino a Ravenna

    17 Martedì All’alba partenza per Venezia – alloggio allo Storione18 Mercoledì19 Giovedì20 Venerdì21 Sabato22 Domenica23 Lunedì24 Martedì

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    25 Mercoledì – San Marco Partenza per la Terra Santa

    26 Giovedì27 Venerdì Pola28 Sabato29 Domenica30 Lunedì Arrivo a Zara

    Maggio 1431

    1 Martedì2 Mercoledì3 Giovedì verso le 9 arrivo a Curzola in Croazia4 Venerdì Ragusa in Dalmazia5 Sabato6 Domenica Corfù7 Lunedì8 Martedì9 Mercoledì10 Giovedì – Ascensione

    Modone in Grecia

    11 Venerdì12 Sabato13 Domenica Candia nell’isola di Creta14 Lunedì15 Martedì16 Mercoledì17 Giovedì Rodi18 Venerdì19 Sabato

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    20 Domenica – Pentecoste

    Cipro

    21 Lunedì22 Martedì23 Mercoledì24 Giovedì Giaffa25 Venerdì sbarco a Giaffa e verso il vespro partenza per

    Ramla26 Sabato Ramla – Lidda – Ramla27 Domenica – SS.ma Trinità

    da Ramla verso le 22 partenza per Gerusalem-me – alle 2 arrivo a Gottofredi (Latrun) con sosta di 5 ore – Emmaus – Ramata (Arimatea) [?] – Nebi Samuel

    28 Lunedì verso le 9 arrivo a Gerusalemme29 Martedì all’aurora raduno al Santo Sepolcro – visita dei

    luoghi santi con il “santo circolo” fino a mezzo-giorno – al Vespro entrata al Santo Sepolcro – processione e permanenza fino all’alba

    30 Mercoledì al vespro partenza per Betlemme – chiesa dell’apparizione della stella ai Magi (Kathi-sma) – sant’Elia – alle 22 arrivo a Betlemme – permanenza in basilica fino all’alba

    31 Giovedì – Corpus Domini

    all’alba partenza da Betlemme – San Giovanni Battista – visitazione. Ore 9 arrivo a Gerusalem-me. Dal vespro fino all’alba nel Santo Sepolcro

    Giugno 1431

    1 Venerdì Al Vespro partenza per il Giordano – Terra Rossa (Khan el Hatruri)

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    2 Sabato a mezzanotte partenza per il Giordano – alle 2 a Gerico – all’alba arrivo al Giordano con sosta di mezz’ora – El Chane – Quarantena – El Chane (riposo fino al vespro) e partenza per Terra Rossa (Khan el Hatruri) a mezzanotte partenza

    3 Domenica all’alba arrivo a Betania – Betfage e arrivo a Gerusalemme dopo le 9. Visita al Cenacolo e al vespro di nuovo al Santo Sepolcro fino all’alba.

    4 Lunedì Visita dei luoghi santi in Gerusalemme5 Martedì nuova peregrinatio nella città santa e verso le

    19 partenza da Gerusalemme fino a Gottofredi6 Mercoledì alle 2 del mattino partenza – arrivo a Ramla

    dopo le 9 – alle 19 partenza per Giaffa e arrivo a tarda sera

    7 Giovedì Partenza da Giaffa8 Venerdì9 Sabato10 Domenica11 Lunedì12 Martedì13 Mercoledì14 Giovedì arrivo a Cacavo in Turchia sosta di tre ore e ri-

    partenza15 Venerdì arrivo a Castello Rosso in Turchia con perma-

    nenza di due notti e un giorno16 Sabato17 Domenica18 Lunedì di notte arrivo a Rodi19 Martedì Barletta19 Martedì20 Mercoledì partenza da Rodi21 Giovedì

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    22 Venerdì23 Sabato24 Domenica25 Lunedì26 Martedì27 Mercoledì28 Giovedì29 Venerdì Arrivo a Modone30 Sabato

    Luglio 1431

    1 Domenica Partenza da Modone2 Lunedì3 Martedì4 Mercoledì5 Giovedì arrivo a Corfù e sosta di tre giorni e quattro

    notti6 Venerdì7 Sabato8 Domenica9 Lunedì alle due di notte partenza da Corfù10 Martedì arrivo a santa Maria di Leuca con sosta di un

    giorno e una notte11 Mercoledì12 Giovedì arrivo a Capo d’Otranto senza poter sbarcare13 Venerdì approdo fortuito sulla costa e arrivo a Rocca

    Vecchia (Lecce)14 Sabato Lecce15 Domenica Mesagne16 Lunedì Ostuni

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    17 Martedì Monopoli – Polignano18 Mercoledì Mola di Bari – Bari19 Giovedì Giovinazzo20 Venerdì Barletta21 Sabato Monte sant’Angelo – San Giovanni Rotondo22 Domenica San Severo23 Lunedì Serracapriola – Termoli24 Martedì Vasto – Torino di Sangro25 Mercoledì Lanciano – Orsogna26 Giovedì Tocco da Casauria27 Venerdì L’Aquila28 Sabato Civita di Cascia29 Domenica Norcia – Preci30 Lunedì Foligno31 Martedì Assisi

    Agosto 1431

    1 Mercoledì Santa Maria degli Angeli – Perugia2 Giovedì Panicale sul Lago3 Venerdì Chiusi – Sarteano – Spedaletto d’Orcia – San

    Quirico4 Sabato Siena

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    Quante volte Mariano è stato in Terra Santa?

    I l prete senese proprio all’inizio del suo lavoro chiede ai suoi lettori: «Unde prego ciascheduna devota perso-na, che leggierà questo itinerario, che preghi lo innamo-rato Iesu che mi conceda gratia, che io vi possa ritornare tanto che io lassi questo misero corpo in quelli sancti luoghi, et l’anima nella Sancta Ierusalem Celestiale». Va sottolineato l’episodio in cui Mariano racconta di aver preso in anticipo un posto nel-la valle di Giosafat mediante l’apposizione di un segno; atto che accentua la dimensione escatologica col desiderio di resu-scitare nello stesso luogo del Giudizio premurandosi anche che quel «segno» destinato a lui e ai suoi amici non venisse perso: «purché non mi sia tolto [...] facciamo sì che nol perdiamo». Uscendo da Gerusalemme per tornare in patria, si preoccupa di far sapere ai suoi lettori che come ultima cosa chiede a Dio «che mi conceda tanta grazia, che prestamente possi ritornare a visitare questi santissimi luoghi, e lassarvi questa misera vita». Torna sull’argomento alla fine del suo libro:

    «…il dolce Iesu, … mi concieda tanta gratia, che tante volte vi torni, ch’io vi lassi questa misera vita, dove esso volse morire pe’ mie’ peccati». Siamo autorizzati a credere, dunque, che egli

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    abbia davvero intrapreso il quarto viaggio col desiderio di ri-manervi per sempre. Del resto, dalle tante ricerche effettuate da molti, di Mariano si può parlare della nascita e del Batte-simo. Si hanno alcuni riscontri su di lui come rettore di San Pietro a Ovile e nello stesso tempo cappellano della cappella del Crocifisso nel duomo di Siena come pure di riscossioni per alcune funzioni officiate nella stessa cattedrale ecc., ma nulla si trova scritto di lui dopo il suo terzo viaggio. Né esiste docu-mento sulla sua morte, funerale o sepoltura. Ciò fa supporre che quell’ardente desiderio di lasciare il suo corpo a Gerusa-lemme non fosse una sua esagerazione, una sua idea fantasiosa o una fissazione ma che potrebbe essersi davvero realizzato in un modo del tutto sconosciuto.

    Possiamo dunque affermare con certezza che fino al 4 ago-sto 1431 Mariano si è recato in Terra Santa tre volte, come dice lui stesso, ma cosa sia accaduto dopo rimane ignoto.

  • Città di Gerusalemme, Frate Noè (1518)

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    Ser Mariano e la sua Siena

    C he Siena, prima durante e dopo il secolo XV, fosse ricca di monasteri ed eremi è noto a tutti.In città e soprattutto nel contado, in molti luo-ghi nati a tale scopo, tanti vivevano la spiritualità in modo mi-rabile. L’eremo di Lecceto, l’eremo di San Leonardo al Lago e Monte Oliveto sono esempio e riassunto di tutti gli altri che al tempo di Mariano erano molto frequentati da uomini la cui spiritualità ha raggiunto alte vette.

    Mariano è stato contemporaneo di san Bernardino da Siena. Soli quattro anni intercorrono tra la nascita del grande predi-catore e quella di Mariano. Il primo nacque l’8 settembre del 1380 e il secondo l’8 settembre del 1384 fu battezzato.

    San Bernardino morì il venti maggio 1444 cioè tredici anni dopo il ritorno di Mariano dal suo terzo viaggio in Terra Santa.

    Tutti e due fanno parte di una catena di senesi illustri per santità: Bernardino venne alla luce quattro mesi dopo la morte di santa Caterina che avvenne il 29 aprile del 1380; a sua volta santa Caterina nacque nel 1347 anno che precede la morte di san Bernardo Tolomei avvenuta il 20 agosto del 1348.

    Sicuramente l’animo del nostro Mariano è stato coinvolto dagli esempi dei tre santi senesi così vicini a lui.

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    Nel 1425 san Bernardino teneva il quaresimale a Firenze quando Siena gli spedì una ambasceria con l’invito a predicare nella sua città; egli accettò e vi si recò dal 20 aprile al 10 giugno di quello stesso anno.

    Mariano aveva 43 anni nel 1427 quando san Bernardino aveva rifiutato la nomina (4 giugno 1427) di papa Martino V che lo voleva vescovo di Siena1 e in quello stesso anno per qua-rantacinque giorni consecutivi, a partire dal 15 agosto, predi-cava in piazza del Campo.

    È lecito supporre che ser Mariano come rettore della chiesa di San Pietro a Ovile conoscesse queste vicende e, se proprio in quegli anni non avesse intrapreso uno dei due pellegrinaggi precedenti al terzo, avrebbe potuto – oltre che invogliare i suoi fedeli ad andare ad ascoltare i sermoni in volgare del grande predicatore – parteciparvi anche personalmente.

    La fama acquisita dal santo francescano più celebre di Siena, chiamato dovunque «apostolo d’Italia»2 non poteva rimanere sconosciuta al senese rettore di San Pietro a Ovile. Bernardino infatti era conosciuto non solo per la fama di santità ed eccel-lente predicatore ma anche perché, a causa di quel suo singo-lare culto per il nome di Gesù scritto su una tavoletta (IHS) che faceva baciare, fu accusato di culto superstizioso e tre volte processato; la terza volta il processo fu interrotto per interven-to di papa Eugenio IV tra il 1431-1432. Mariano era appena tornato dal suo terzo viaggio in Terra Santa.

    1 Il vescovo di Siena Antonio Casini si era dimesso il 24 maggio 1426 e, dopo il deciso rifiuto di san Bernardino che fu proposto come vescovo di Siena dal papa Martino V, il 12 settembre 1427 ebbe come successore il vescovo Carlo Bartoli.2 «Italicæ apostolus ubique nominabatur».

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    Sepolcro, Codex Urbinatis (1362)

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    Ser Mariano al Santo Sepolcro

    T utti i luoghi santi sono importanti ma, tra tutti, il luogo per eccellenza rimane la basilica che noi chia-miamo del Santo Sepolcro mentre gli Ortodossi Greci più appropriatamente la chiamano basilica della Risur-rezione. È questa la meta più desiderata dai pellegrini di tutti i tempi, tanto è vero che dopo aver visitato Emmaus il 27 mag-gio 1431, in vista della città santa da Nabi Samuel, Mariano scrive: «pare, che l’anima si voglia partire dal corpo, e non possa aspettare per andare più presto a visitare dove lo innamorato Iesu Creatore, e Salvatore dello Vniverso fu, e volse essare passionato, schernito, crocifisso, morto, e glorioso resuscitò».

    Varcare la soglia della basilica, che racchiude i due luoghi più santi della cristianità, il Sepolcro vuoto di Cristo e il Calva-rio, genera e amplifica nei fedeli più sensibili l’emozione per i misteri lì avvenuti e che lì continuamente sono celebrati.

    Oltre al Sepolcro e al Calvario la basilica racchiude anche vari altri luoghi importanti: quello dove Cristo, sotto le ap-parenze di giardiniere «hortulani in habitu» (così si canta ogni giorno nell’inno), apparve a Maria Maddalena, il luogo dove, secondo fonte apocrifa, il Figlio risorto si mostrò a sua

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    Madre1 e inoltre il luogo dove Sant’Elena, madre dell’impe-ratore Costantino, ritrovò la vera Croce.

    Martedì 29 maggio 1431 verso l’aurora tutti i pellegrini com-pagni di Mariano erano radunati nella piazza antistante il San-to Sepolcro per la visita ai luoghi santi con il cosiddetto «santo circolo». Pur essendo la terza volta che Mariano viveva quell’e-sperienza, sembra che le emozioni non avessero subìto modifica alcuna. Ancora oggi è commovente leggere le sue parole: «Come fummo raunati, el Guardiano ci fece una bella, e devota diciarìa, e tutti co’ lumi in mano cominciamo la santissima Processione con tanta devozione, con tanti pianti, con tante lacrime, con tanto gau-dio, con tanta festa, che non è a me possibile el dirlo, e chi non mi crede el vadi al pruovare, e come è gionto ine gli possi crepare el cuore d’amore, di tenerezza, e di contrizione». È possibile che la bella e devota diciaria (il sermone) del padre guardiano abbia rafforzato i loro sentimenti ma sicuramente tanta devozione unita a tanti pianti, tante lacrime, e a tanto gaudio non potevano esplodere in quel modo se non si fossero posseduti in pienezza nel proprio ani-mo. Nemmeno si può pensare a una esagerazione dello scrittore, visto che quelle emozioni riesplodono all’interno della basilica; nel luogo dove Gesù apparve alla Maddalena così descrive i sen-timenti: «Dinansi alla porta di questa Cappella fu ell’orto, dove el dolce Ortulano, e Maestro Iesu apparve alla innamorata Magdale-na. E’ pianti, sospiri, consolazioni, e dolcezze spirituali, che v’erano, non son sufficiente io a dirlo, sicchè le taciarò; chie le vuol sapere, le vada a pruovare». Quando si trovano sul Calvario, comunica che i sentimenti e le emozioni diventano incontrollabili: «Quì si vorrebbe fare un longo, bello, e devoto sermone a voler narrare, e

    1 L’episodio è descritto con abbondanza di particolari nei capitoli 5 e 6 del Vangelo di Gamaliele.

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    dimostrare l’ardente infocato amore, e carità di dolcezza, che senti-vamo tutti; e perché a me non è possibile, e non mi sento sofficiente a narrare tanto gaudio, e tanta dolcezza, lassarollo alle devozioni, e coscienzie vostre. Ma pure dirò questa parola. Tutti e peregrini pa-revano pazzi, e briachi, che la natura per se stessa a dispetto nostro ci faceva striderre, piagnere, e bociare, ogni cosa mescolato con grande gaudio, e quanto più ci volavamo ritenere, peggio faciavamo».

    Il nostro Mariano si sente incapace di descrivere i sentimen-ti che prova, come se non avesse detto a sufficienza, lasciando integrare alla devozione e alla coscienza del suo lettore ciò che a lui non è possibile descrivere: «Immagina tu quanta emozione e devozione si può provare».

    Mariano e i suoi compagni perdono la padronanza di sé quan-do «la natura per se stessa a dispetto nostro» per quel luogo e in quel luogo fa prevalere il culto, la pietà e i sentimenti di quell’ar-dente infocato amore verso il dolce, benedetto, diletto, amoroso, appassionato e affannato Iesu, tanto che non riescono a superare l’intento di trattenersi e reprimere ciò che suggeriva la ragione. Lì, in quel momento, a predominare erano il cuore e gli affetti.

    All’ora di vespro di quello stesso 29 maggio «[...] el Guardia-no del sacro Monte Syon ci ragunò tutti in sulla piazza della Chie-sa del Sepulcro, e poi fummo tutti annoverati, e messi dentro, et inserrati». Vi restano fino al levar del sole del 30 maggio pagan-do 7,17 ducati. Cominciarono subito con la processione e vi tra-scorsero tutta la notte intenti a vivere i misteri della Redenzione dando retta ai consigli del padre Guardiano il quale: «Anco ci avvisò, che la notte ognuno si confessasse o da lui, o da quelli, che lui ponesse a tale offizio, e che ognuno s’apparecchiasse la mattina a comunicare, e chi fusse Prete, a dire Messa». La permanenza in basilica si concludeva con la partecipazione ad una solennissima Messa sul Calvario prima che fossero «in sul levare del sole tutti

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    cacciati fuore, come porci, da quelli maladetti Sarraìni».Il 30 maggio verso il vespro tutti partirono per Betlemme

    rimanendovi fino al giorno successivo, ma appena tornati furo-no calamitati ancora dalla basilica del Santo Sepolcro e quindi «in sul Vesparo fummo messi la seconda volta nella Chiesa del Santo Sepolcro», pagando 4 grossi a testa per rimanervi tutta la notte e il «primo di Giugno fummo tutti cacciati fuore».

    Il pellegrinaggio prosegue fino al Giordano e alla Quaran-tena passando da Betania e Betfage ma il 3 giugno, sempre at-tratti dal Santo Sepolcro, «in sul Vesparo fummo messi la terza volta nella chiesa del Sepulcro» pagando 2 grossi e vi rimasero ancora una volta tutta la notte fino a che «A dì 4 fumo tutti cacciati fuore, e andamo visitando tutti e Santi Luoghi per la cit-tà, nella valle di Iosaphat, nel Monte Oliveto, e nel Monte Syon».

    Si può dire a ragion veduta che il Santo Sepolcro con le me-morie ivi contenute siano stati l’oggetto primario, la brama e la sintesi di tutto il loro pellegrinaggio. Dei sei giorni trascorsi a Gerusalemme tre notti intere sono state passate inserrati den-tro il Santo Sepolcro.

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    Personalità di Mariano e suo linguaggio

    M ariano è, senza dubbio, una persona sensibile e religiosissima; lo dimostra con il suo linguaggio, espressione del suo immedesimarsi negli avveni-menti che racconta, usando aggettivi e termini coinvolgenti so-prattutto quando fa riferimento a Gesù e a sua Madre Maria.

    È frequente, anzi costante e connaturale per lui, come per i senesi del suo tempo a partire da santa Caterina, l’uso di as-sociare a Gesù aggettivi e titoli come: dolce, diletto, amoroso, isviscerato e innamorato amore, transgosciato, affannato, tribo-lato, umile, salute del mondo, Agnello immaculato, Signore dei Signori, Re de’ Re, Mansueto Agnello, benigno, glorioso, dolce maestro, vero sole, benedetto e buono ecc.

    La devozione e venerazione per Maria Santissima, attraver-so la lettura de «El camino o vero itineratio», sono espresse con ricchezza di parole come: dolce Madre Vergine, dolcissima Madre Vergine, dolce diletta et afflitta Madre, diletta Vergine Maria, diletta Madre di Iesu, gloriosa Vergine Maria, dolce et amorosa Madre Vergine, preziosa Madre, preziosa rosa, ecc.

    Mariano venera anche i Luoghi e non trascura di associare all’idea stessa di santità le mete del suo pellegrinaggio; Geru-

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    salemme è sempre qualificata Città Santa e, quando parla del Sepolcro di Cristo, premette ogni volta l’aggettivo Santissi-mo. Per Mariano è santo il pellegrinaggio o viaggio in Terra di promissione e santa è anche la processione nella basilica del-la Risurrezione.

    Tutto questo modo di esprimersi rivela sì il linguaggio del suo tempo ma anche una sensibilità di fede molto radicata nel suo animo fino al punto che qualunque cosa contraria alla fede Cat-tolica, a Cristo, alla Madonna e alla Chiesa porta Mariano a una reazione pronta e decisa adoperando termini che oggi risultano duri e difficili da accettare. Non rimane impassibile il nostro Ma-riano quando vede cose e comportamenti molto contrari alla sua fede e alle persone ad essa collegate fino al punto da non nascon-dere la sua irritazione rimanendo vittima della sua ira legata a doppio filo con la sua intransigenza.

    Non deve sorprendere più di tanto l’uso che egli fa di una terminologia piuttosto rude come maladetto/i, lupi, arrabbia-ti, sozzi, porci, cani, assassini ecc.; erano modi per condannare più quei comportamenti contrari alla sua fede che non le sin-gole persone a cui quei termini si riferiscono. A giustificazione di Mariano si potrebbe citare il salmo che dice «Lo zelo per la tua casa mi divora, ricadono su di me gli oltraggi di chi ti insul-ta» citato dall’evangelista Giovanni nell’episodio in cui Gesù scacciò i mercanti dal Tempio1.

    È definito maladetto Spirito Satana che, sul monte della Quarantena, si permise di tentare tre volte il Signore.

    Giuda è definito più volte e senza mezzi termini maladetto traditore, per via del suo tradimento.

    1 Sal 68,10; cfr Gv 2,13-25: “I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora”.

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    Anche Pilato è maladetto per aver condannato «lo innamorato Iesu» in cui non aveva trovato nessuna colpa e per giunta «facendo-lo tutto flagellato, et incoronato di spine, quando lo mostrò al populo».

    Mariano si ostina a usare lo stesso termine e definisce «ma-ladetti cristianucci» persino quei cristiani che osano bestem-miare come vedremo in seguito.

    Altre due categorie di persone sono oggetto di aggettivi ag-gressivi e irriverenti da parte di Mariano. Oggi sarebbero in-concepibili e unanimemente deplorati, ma per Mariano e la sua sensibilità circa la sua fede e l’amore verso Dio, i suoi Santi e i Luoghi Santi della Redenzione, si devono intendere più come condanna e rimprovero per azioni passate e presenti che non come insulti e mancanza di rispetto per le persone. Solo la lettu-ra contestualizzata alla cultura del tempo consente di interpreta-re al meglio l’intenzione profonda del suo scrivere, radicalmente estraneo alla gratuita denigrazione delle persone.

    La fede ai tempi di Mariano, e in Mariano stesso, non era fiacca ma viva e vitale. I cristiani – in tempi lontani e, per certi versi, op-posti a quelli che oggi hanno reso possibile la maturazione di un autentico spirito ecumenico, principalmente basato sulla dichiara-zione Nostra Ætate del Concilio Ecumenico Vaticano II – subi-vano la cultura del tempo e, se si trovavano in Terra Santa, erano costretti a constatare di persona alcuni comportamenti molto sgra-devoli nei loro confronti e perciò, almeno a parole e in uno scrit-to-relazione, si ritenevano autorizzati a reagire di conseguenza.

    Le categorie di persone oggetto dell’irriverente giudizio di ser Mariano sono i Giuderi e i Sarraini2.

    2 I Sarraini, Saraceni o Soriani sono, per tutto il Medioevo, gli Arabi, anzi i musulmani tutti, coi quali la cristianità ebbe a combattere durante le Cro-ciate per rivendicare il possesso dei luoghi santi.

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    Per quanto riguarda i primi, la cattura del Figlio di Dio organizzata dai sacerdoti del Tempio, la condanna estorta al procuratore di Roma, l’infelice e assurda scelta tra Cristo e Barabba, l’ossessivo crucifice, la flagellazione e la coronazione di spine fino alla crocifissione che Mariano e i pellegrini rivi-vevano nel loro peregrinare, non lasciavano certo indifferen-ti: per via di questi dolorosi episodi della narrazione evangeli-ca, sebbene solo a parole, si sentivano autorizzati a deplorarli.

    Per quanto riguarda i secondi – i sarraini – non si può non considerare che costoro erano avvezzi a usare nei confronti dei cristiani ogni sorta di prepotenze, angherie e maltrattamenti3. Il

    3 È interessante trascrivere come Fra Niccolò da Poggibonsi racconta i maltrattamenti fisici che subivano i pellegrini da parte dei sarraini: «Quan-do fummo presentati all’ammiraglio di Gerusalemme che ci chiese il tributo a nome del sultano noi gli facemmo dire, tramite il nostro interprete, che non avevamo denari perché eravamo come i frati del monte Sion che con sé non portano né oro né argento. Per questo immediatamente l’ammiraglio fece ba-stonare il nostro interprete davanti a noi. Alla vista di quelle bastonate io ero convinto che poi sarebbe toccato a me e perciò, con grandissima paura aspettavo in un angolo tra quei maledetti che mi tenevano bloccato per le braccia e pen-savo di morire perché i saracini che mi tenevano immobilizzato guardavano le mani dell’ammiraglio in attesa del segno che dicesse: picchiatelo. L’inter-prete era battuto con tanta veemenza che ci era impossibile parlare per il gran rumore che c’era nel cortile. Quando smisero di colpirlo io e il mio compagno fummo portati vicino all’ammiraglio e allora l’interprete disse a noi frati: io sono stato fustigato al posto vostro perché ho detto che voi non avete danari per pagare perciò o pagate o preparatevi ad essere frustati a morte. L’ammiraglio mi fece perquisire e io non stavo in piedi per la paura; mi chiedeva i soldi per pagare il tributo e io, tramite l’interprete, gli dissi che non li avevo ma me li sarei procurati oggi stesso. Allora l’ammiraglio parlò con i fustigatori che mi afferrarono per le braccia come se volessero cominciare a battermi e la paura ricominciò daccapo. Così presi ci conducevano per le vie di Gerusalemme e io domandai all’interprete dove stavamo andando e ci rispose che li stavano por-tando in prigione. A questo punto i mali aumentavano ma mentre eravamo

  • Personalità di Mariano e suo linguaggio

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    fatto che per entrare nella basilica del Santo Sepolcro di Cristo non solo dovevano pagare ogni volta che entravano ma erano costretti a subire, secondo quanto ci tramandano lo stesso Ma-riano e i pellegrini prima e dopo di lui, un trattamento non solo rude ma disumano. Di certo l’animo di Mariano era sconvolto e si esprimeva con parole pesanti di fronte a certi comportamenti quali: «in sul levare del sole fummo tutti cacciati fuore, come por-ci». Sentimenti e espressioni amare erano motivate dal dover constatare durante tutto il pellegrinare che i luoghi santi, oltre al Santo Sepolcro più volte distrutto e sfigurato, per mano dei sar-raini erano stati profanati e danneggiati. Di fatto al Getsemani constata che «Fuvvi fatta una bella Chiesa, e nobile. Ora non v’è nè casa, nè tetto»; sul luogo del Pater noster dice: «Quì allato si è una Chiesa mezza disfatta» e sulla Casa di Caifa «fucci fatta una nobile Chiesa. Ora non vi si vede niente». Tutte queste consta-tazioni e altre analoghe non potevano che esacerbare gli animi.

    Per Mariano è insopportabile che «tanto tesoro sia gover-nato, e retto» dai sarraini e arriva a rimproverare Papi e Impe-ratori, convinto che tutti i luoghi santi dovrebbero essere «ca-vati dalle loro mani». Questi erano i rimproveri e le speranze

    così condotti incontrai un cristiano di Cipro a cui avevo portato delle lettere il quale, vedendomi arrestato, mi chiese cosa stesse succedendo e io gli raccontai tutto; egli ci fece riportare dall’ammiraglio e promise di pagare per noi. Ci rilasciarono e andammo al monte Sion tra quei santi frati. Ci affrettammo a pagare il tributo al sultano che fu di settantadue drammi [?] che, secondo la nostra moneta, sono quattro fiorini a testa» (Fra Niccolò da Poggibonsi, Libro d’Oltramare, cap. X, 9-10).Lo stesso Fra Niccolò racconta che nel giorno del sabato santo, davanti al Santo Sepolcro, l’ammiraglio dei saracini con la sua famiglia blocca l’in-gresso della basilica per non fare entrare i cristiani e “da’ loro di molte basto-nate” mentre le donne saracine “per fare allegrezza ... menano la lingua per la bocca e fanno suoni a mo’ di ranocchi ...” (Ivi, cap XXXV, 28).

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    di Mariano e più tardi anche l’Ariosto nell’Orlando Furioso non userà termini più blandi e mitigati rispetto a quelli usati da Mariano4.

    Per completezza è da notare che Mariano non fa uso di un linguaggio aggressivo e risoluto nei confronti dei sarraini per mero pregiudizio o per partito preso. Talora riesce a ravvisare nei suoi avversari anche qualità edificanti. Singolare, in que-sto senso, è l’annotazione di un episodio – vissuto da Maria-no in prima persona alla Tomba della Madonna – che ha per protagonisti i sarraini di cui elogia e perfino addita ai cristiani la devozione mariana! In uno slancio di sincera ammirazione, scrive: «In questo luogo, e in tutti gli altri, dove la dolce Madre fece alcuna cosa, hanno que’ Sarraìni grandissima devozione». Il racconto si dipana intorno alla minuziosa cronaca della vi-sita di Mariano e dei suoi compagni alla Tomba della Vergine. Mentre si trovava con alcuni suoi compagni di pellegrinaggio davanti a quella chiesa nella valle di Giosafat e stavano per entrare, videro arrivare l’ammiraglio di Gerusalemme con duecento musulmani che si recavano nella medesima chiesa. I pellegrini con Mariano furono presi da tanto spavento che volevano andarsene per la paura, ma si meravigliarono quando l’ammiraglio invitò lui e i suoi compagni di pellegrinaggio ad entrare con loro e alla meraviglia si aggiunse una vera ammi-razione, tanto che Mariano usa il termine «trasecolammo», nel vederli entrare senza scarpe e scoprirsi il capo togliendosi la kefiah che non si tolgono mai nemmeno davanti al sultano5 scendendo con «tanta devozione e reverenzia». Mariano ag-

    4 L. Ariosto, Orlando Furioso, Canto XVII, 73-75.5 «E cavoronsi di capo quella tela, che portano in capo, che mai a creatura, nè al Soldano non si cavano di capo».

  • Personalità di Mariano e suo linguaggio

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    giunge: «E questo ho voluto dire per confusione degli arrabbiati, maladetti cristianucci traditori, fastigiosi, che tanto vituperosa-mente pongono bocca a sì preziosa Madre». In questo caso non parole di biasimo e di condanna ma di stima e di rispetto fino al punto da additare i musulmani a esempio per i cristiani stessi.

  • Calvario, Bibliotheca Terrae Sanctae, Zuallardo (1595)

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    La «devota e santa processione»

    F u Mariano da Siena, come si è detto, che per primo ha tramandato una disposizione ordinata delle pre-ghiere che i Francescani facevano – e ancora fanno – in ogni stazione della processione quotidiana annotando sia le preghiere che i versetti appropriati e per il Monte Calvario, la Pietra dell’Unzione e il Santo Sepolcro anche i tre inni.

    Questo è il motivo principale per cui Mariano, anche se poco o per niente conosciuto nella sua città, è divenuto im-portante a Gerusalemme, per la Chiesa di rito latino, e per la Custodia di Terra Santa.

    Per questo motivo la processione in questione, in vigore da prima del 1336 – senza il carattere di quotidianità ma effet-tuata solo quando al Santo Sepolcro arrivavano i pellegrini – merita un’attenzione particolare. Ricercatori ed esperti hanno messo mano a trattazioni approfondite e particolareggiate1;

    1 Le processioni praticate dai Frati Minori nei santuari di Terra Santa, Studio storico-liturgico del P. Augusto Facchini O.F.M., Editions du Centre Franciscain d’études orientales chretiènnes, Franciscan Printing Press, Jeru-salem, 1986. A. Mulé Stagno, La processione quotidiana al Santo Sepolcro, considerazioni teologiche-liturgiche, in F. Mosetto (a cura di), Ecce ascendi-mus Jerosolymam (Lc 18,31), Roma 2003, 267-286.

  • Ser Mariano di Nanni da Siena

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    ultimo in ordine di tempo lo studio storico-liturgico già cita-to di Stéphane Milovitch, francescano della Custodia di Terra Santa, «Quotidianamente da prima del 1336».

    Tuttavia, senza pretese, si può raccontare quanto quella pro-cessione abbia impressionato i pellegrini come Mariano e i suoi compagni e quanto ancora oggi possa incidere nell’animo dei pellegrini. Chi oggi si ritrovasse nella basilica del Santo Sepolcro alle quattro del pomeriggio in sul vesparo, – come Mariano nel 1431 – e colle candele accese in mano in compagnia dei Frati della Corda che guidano e accompagnano non potrebbe non prova-re tanta devozione, gaudio jocundità, e lacrime, che anche oggi, come a Mariano allora, non è possibile el dirlo. Non di meno, con un po’ di audacia, qualcosa si può raccontare.

    Durante i secoli, la processione ha avuto bisogno di revisioni ma chi vi ha messo mano non ha potuto non tener conto della relazione fissata da ser Mariano di Nanni da Siena.

    Tre sono state le attenzioni più significative che hanno ri-guardato la processione apportandovi qualche modifica da parte dei Custodi di Terra Santa: il primo fu P. Bonifacio da Ragusa2 che nel 1567, pur non avendo fatto una riforma vera

    2 Fr Bonifacio Stefani da Ragusa (Dalmazia). Fu più volte Custode di Terra Santa dal 1551 al 1565. Nel 1555 ottenne l’autorizzazione per proce-dere ad alcuni restauri e alla costruzione di una nuova edicola sulla Tomba di Cristo. Dal 1009 questa fu la prima volta che venne scoperto il banco di roccia sul quale era stato deposto il corpo del Salvatore. Si trattò di un restauro di grande importanza di cui Bonifacio lasciò anche una descrizio-ne (Liber de perenni cultu Terræ Sanctæ et de fructuosa eius peregrinatione, Venezia, 1875, 279-80, 25 agosto 1555). Vedi Appendice I pag. 285. Durante gli oltre quattrocentosessant’anni che seguiranno quel banco di roc-cia è stato scoperto due sole volte. La prima volta fu nel 1809 durante i restau-ri dell’Edicola dopo l’incendio dell’anno precedente; dell’evento il monaco greco ortodosso Maximos Simaios ha lasciato una descrizione (M. Simaios,

  • La «devota e santa processione»

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    e propria della processione, nel suo Liber de perenni cultu Ter-ræ Sanctæ et de fructuosa eius peregrinatione, ha apportato delle importanti indicazioni liturgiche; poi intervenne P. Tommaso Obicini da Novara3 la cui riforma viene attuata nel 16234 e in-fine P. Ferdinando Diotallevi5 che il 17 febbraio 1924 attuò l’ultima riforma ancora in vigore.

    Relazione sul restauro dell’Edicola del S. Sepolcro, in: Papadopulus Kerameus, Analekta Hierosolymikes Stachuologias, Petropolis 1897, T. III, 113-118). Vedi Appendice II pag. 287. La seconda volta risale alla sera del 26 ottobre 2016, chi scrive trovandosi in servizio al S. Sepolcro ospite della comunità francescana, ebbe la fortuna e la gioia di essere nella lista ristretta degli invitati e perciò presente e testimone dello storico evento condividendo la fortissima commozione dei presenti nel vedere e poter toccare la roccia originale su cui fu adagiato il corpo del Signore Gesù. Vedi Appendice III pag. 289.A Bonifacio da Ragusa nel Capitolo Generale di Alvernia (1563) fu con-ferito il titolo di Padre dell’Ordine. Fu Predicatore Apostolico, Vescovo di Stagno fino alla morte (1564 al 1582) e partecipò al Concilio di Trento.3 Tommaso Obicini da Novara, palestinologo e arabista. Fu nominato Custode di Terra Santa il 14 marzo 1620 e nell’aprile del 1622 rinunziò all’ufficio. Recuperò al culto cattolico il santuario dell’Annunciazione a Nazareth recandosi a Beirut dall’Emiro Fakhr ad-Din e ottenne la restitu-zione prendendone possesso il 29 novembre 1620. Inoltre ebbe il merito di aver recuperato anche il santuario di san Giovanni Battista in Ain Karem e il 29 aprile del 1621 ne prese possesso. Fu esperto in lingua araba e pioniere di studi orientalistici. Morì a Roma il 7 novembre 1632.4 Cfr S. De Sandoli, Riedizione e traduzione degli opuscoli di P. Tomma-so Obicini da Novara sulle processioni nei Luoghi Santi e sull’acquisto dei santuari di Nazaret (1620) e Ain Karem (1621), in SOC Collectanea 22 (1989) 175-466. Per la processione al S. Sepolcro 201-302.5 Ferdinando Diotallevi fu Custode di Terra Santa dal 1918 al 1924, fon-datore dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme. Sotto il suo mandato furono inaugurate le due chiese del Getsemani e del Monte Tabor, (1924) affidate all’architetto A. Barluzzi (Cfr G. Mandolini, P. Ferdinando Diotallevi 1869-1958, Provincia Picena San Giacomo Della Marca dei Frati Minori, Ostra Vetere, 2011).

  • Ser Mariano di Nanni da Siena

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    Nel 1974, vista la riforma liturgica operata dal Concilio Ecu-menico Vaticano II, un tentativo di modifica fu suggerito da P. Sabino De Sandoli che però non ha ottenuto alcun risultato.

    Bisogna riconoscere che ognuna delle riforme ha apportato un miglioramento all’antica consuetudine: è stata rivista e ag-giornata la successione delle Stazioni, sono state aggiunte la I, VIII e X stazione, che ai tempi di Mariano non c’erano; così anche le stazioni all’interno della basilica raggiungono il nu-mero di quattordici come quelle della Via Crucis6. Per quanto riguarda i testi, va detto che le modifiche apportate sono state significative ma non hanno mutato più di tanto ciò che ha tra-mandato Mariano nella sua relazione.

    Le tabelle che seguono mettono a confronto le stazioni della processione ai tempi del pellegrinaggio di Mariano (1431) con quelle odierne.

    6 Cfr A. da Zedelgem, Saggio storico sulla devozione alla Via Crucis, Cen-tro di Documentazione dei Sacri Monti, Calvari e Complessi devozionali europei, Ponzano Monferrato, 2004.

  • La «devota e santa processione»

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    Si potrebbe dar retta al consiglio di Mariano che proprio all’i-nizio della processione dice ai suoi lettori: «chi el vuol sapere, el vadi a cercare». Quanto si dirà qui di seguito potrebbe, seppur vagamente, servire a guidarci e farci vivere con i pellegrini dei se-coli passati o rievocare, per coloro che già vi hanno partecipato, quelle emozioni che ogni stazione trasmette.

    Ai tempi di Mariano i pellegrini iniziavano la processione dalla Cappella dell’Apparizione del Risorto a sua Madre e, come prima stazione, facevano memoria di quel ricordo tra-mandatoci dal vangelo apocrifo di Gamaliele. Oggi la proces-sione inizia dal medesimo luogo: la prima stazione è quella davanti al SS.mo Sacramento lì conservato, mentre la memoria dell’apparizione a sua Madre ha preso posto nella XIV e ulti-ma stazione. La celebrazione si conclude con la benedizione eucaristica.

    Non è trascurabile questa felice innovazione in quanto tutto si compie tenendo presente che il Signore Gesù ha promesso di rimanere con i suoi fino alla fine del mondo7 e il suo multifor-me rimanere è sublimato dalla sua presenza eucaristica. È giu-sto partire e concludere alla presenza di Colui che lì ha subito la Passione, la morte e la sepoltura ma che sempre lì è risorto e con i segni della passione vive immortale8. Chiare risuonano le prime parole della processione da parte del frate francescano che presiede: «O Sacrum Convivium»9 che quasi incantano facendoci uscire per un attimo dalla basilica e portandoci al

    7 Mt 28,20b.8 Messale Romano, Prefazio Pasquale III.9 «O Sacro Convito nel quale Cristo è nostro cibo; si rinnova la memoria della sua passione; l’anima si colma di grazia e ci viene dato il pegno della futura gloria».

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    cenacolo, luogo di quella cena così ardentemente attesa da Cri-sto con quel «desiderio»10 che si identifica con «amore» e ne diventa sinonimo.

    Proprio nel cenacolo, infatti, con l’ultima cena comincia la passione di Gesù e in breve si ricorda tutto quanto è avvenuto prima delle stazioni che si stanno per rivivere durante la pro-cessione: il tradimento, l’Eucarestia, il Getsemani e la cattura, per poi rientrare e continuare con il carcere, gli improperi e la coronazione di spine, la spoliazione delle vesti, la crocifissione e la morte sul calvario. Il percorso prosegue con la deposizio-ne dalla croce, la sepoltura, la resurrezione e le apparizioni alla Maddalena e alla Madre. Con Lui vivo si torna ancora spiri-tualmente al cenacolo stando davanti al suo Corpo Eucaristi-co. Senza dimenticarsi che fu proprio quello il luogo in cui la sera di Pasqua tornò il Signore dai suoi discepoli alitando su di loro mentre su tutti coloro che hanno partecipato e rivissu-to i misteri della redenzione scende la benedizione tramite il celebrante che traccia un segno di croce avendo tra le mani il Cristo vivente nell’eucarestia.

    Dentro la stessa cappella dell’apparizione di Cristo a sua Madre è venerato, come nel 1431, un resto commemorativo della Colonna della Flagellazione ricordato anche dal nostro Mariano: «Dall’altro lato dell’Altare maggiore si è una finestra murata intorno dinansi una grata di correnti; dentro v’è circa un braccio di colonna di pietra grossa, e di colore come quella, ch’è alle scalelle del Duomo di Siena; alla qual colonna fu fragellato, battuto, e schernito la salute del mondo Cristo Iesu». Davanti a questa colonna si celebra la II stazione odierna.

    10 «Desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum» / «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi» (Lc 22,15).

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    La Colonna in questione, agli occhi del pellegrino attento ai testi, diventa viva come una persona. A lei direttamente si rivolgono le parole dell’inno che comincia con un saluto osan-nante «Salve Columna nobilis»11 perché essa è testimone di una parte dei patimenti di Cristo e, come Gesù insanguinato,

    11 1. Salve, Columna nobilis,

    Christi dolorum conscia: Queis fracta virtus dæmonis, Exempta nobis vincula.

    1. Ave, o nobile Colonna, che conosci le sofferenze di Cristo le quali vinsero le forze dei demoni sciogliendo le nostre catene.

    2. Cruore Abelis illita Tellus ad astra clamitat: Clamas, Columna, ad sidera Inuncta Jesu sanguine;

    2. La terra imbevuta dal sangue di Abele grida vendetta al Cielo. Tu, o Colonna, bagnata dal sangue di Gesù chiedi a Dio pietà.

    Colonna della flagellazione

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    è stata insanguinata dal suo stesso sangue e quindi cosciente di quelle sofferenze (prima strofa); nella seconda e terza strofa dell’inno essa è associata alla terra che fu intrisa dal sangue di Abele ma mentre quella grida vendetta dal Cielo questa non può che implorare pietà: quella reclamava la giusta ira del Giu-dice divino, questa giustamente chiede il perdono del mansue-to Gesù. È davvero viva! Ad essa si rivolge il pellegrino perché sia essa stessa a placare lo sdegno divino e chiedere (clamat) a Dio pace per i peccatori (pacemque quæris sontibus).

    Nel resoconto di Mariano con antifona, versetto e preghiera, si evidenzia che proprio da questa Colonna parte l’alta missione di Cristo: quella di prendere su di sé i peccati del mondo e siccome è stata tinta dal suo sangue – prezzo della nostra redenzione – è resa anche venerabile fino al punto, parlando di salvezza e di glo-ria, da chiedere il frutto della Passione e il gaudio della vita eterna.

    Ora la processione – tralasciando quella che per Mariano era la II stazione e cioè il Luogo dove Cristo apparve alla Maddalena e che ha preso il giusto posto subito dopo la Tomba vuota del Risorto – prosegue verso l’attuale III stazione che commemora

    3. Sed illa ad iram vindicem Clamat severi Judicis Iram foves tu Numinis Pacemque quæris sontibus.

    3. Se quella all’ira del Giudice chiede vendetta, tu plachi l’ira divina e chiedi la pace per i peccatori.

    4. O perge semper flectere Pœnas minantem dexteram: Quæ sanguis emit præmia Christi fruamur perpetim.

    4. Continua sempre a distogliere la destra che minaccia castighi; riscattati dal sangue di Cristo fa’ che godiamo il premio eternamente.

    5. Cæso flagellis gloria, Iesu, tibi sit iugiter, Cum Patre et almo Spiritu, Nunc et per omne sæculum. Amen.

    5. O Gesù, percosso dai flagelli, a te sia perenne gloria con il Padre e l’almo Spirito per tutti i secoli dei secoli. Amen.

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    il «carcere di Cristo» descritto da Mariano come «una pregio-netta, che appena vi sta una persona, et io lo provai per mia devo-zione». Si parte con l’inno «En efferata rabies»12, il quale nelle

    12 1. En efferata rabies

    Satellitum Christum rapit, Post impium Iudæ osculum, Et stringit arctis nexibus.

    1. Con efferata violenza, dopo l’empio bacio di Giuda, gli sgherri trascinano Cristo strettamente incatenato.

    2. Qui sponte venit ut cruce Mortem subire innocens, Vitamque ferret sontibus, Ut latro victus trahitur.

    2. Venne liberamente a subire da innocente la morte di croce per dare la vita ai peccatori; come reo è catturato e incatenato.

    3. Amore victus venerat Vincire nos per gratiam; Hunc vinculis multinodis Servus nec horret stringere.

    3. Era venuto indotto dall’amore per cingerci di grazia; l’uomo non inorridisce quando lo lega con molti nodi.

    Prigione di Cristo – “E ine si è una pregionetta, che appena vi sta una persona, et io lo provai per mia devozione, nella quale stette quello, del quale el cielo, la terra, e ‘l mare non è capace, Cristo Iesu, e stettevi tanto, che s’apparecchiorono tutte le cose appartenenti alla sua santissima Passione”

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    prime tre strofe, dopo aver accennato all’empio bacio di Giuda, ricorda come Cristo è venuto in questo mondo spontaneamente, innocente a dare la vita per i peccatori ma è stato catturato e inca-tenato come un reo; lui era venuto come schiavo d’amore (amo-re vinctus) per legarci a Dio con la sua grazia, ma l’uomo non si vergogna a umiliarlo: catturato, incatenato, legato e trascinato. Con la quarta e quinta strofa è arrivato il momento che i fedeli si rivolgono a Cristo perché hanno bisogno di essere sciolti, liberati dalle catene del peccato (liberos a dæmone) e di essere incatenati sì (constringe amoris nexibus) ma con l’abbraccio dell’amore.

    In questa stazione sia l’antifona che il versetto sono rimasti quelli del 1431. La prima mette sulle labbra di Cristo le parole del profeta Michea «Che ti ho fatto, popolo mio? Forse perché ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto e dalla schiavitù»13 e aggiunge le parole della liturgia del venerdì santo «tu mi hai consegna-to in catene ai capi dei sacerdoti». L’attuale orazione rivolge a Dio la richiesta di spezzare le catene dei nostri peccati affinché, liberi da quei ceppi, i suoi figli ottengano la libertà di spirito.

    4. Absolve, Iesu, servulos A criminum ligamine, Et liberos a dæmone Constringe amoris nexibus.

    4. O Gesù, perdona i tuoi fedeli stretti dai lacci dei peccati. E, liberati dal demonio, legali con vincoli d’amore.

    5. O dulce, Iesu, gaudium, Ob vincla sacri corporis, Culpa reis remittere Dignare dona gratiam.

    5. O Gesù, dolce gaudio, per il tuo sacro corpo incatenato perdona il peccato ai rei concedi loro grazia.

    6. Duris ligate vinculis, Iesu, tibi sit gloria, Cum Patre et almo Spiritu In sempiterna sæcula. Amen.

    6. Crudelmente incatenato a te, Gesù, sia gloria, col Padre e il Santo Spirito nei secoli dei secoli. Amen.

    13 Mi 6,4.

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    La processione procede raggiungendo quella che ai tem-pi di Mariano era la quinta stazione mentre oggi è la quar-ta dove si commemora lo spogliamento e la divisione delle vesti di Cristo come se si fosse già sul Golgota. La proces-sione a quell’altare è accompagnata dall’inno «Adeste, pa-cis Angeli»14 il quale esordisce con un pressante invito agli Angeli affinché coprano con le loro ali le membra del Signore denudato dai soldati: è uno scempio che venga denudato Co-

    14 1. Adeste Pacis Angeli,

    De sede cœli nobili, Alasque vestras tendite, Et membra Christi condite.

    1. Venite, Angeli di pace, dalla sublime dimora dei cieli: stendete le vostre ali e coprite le membra di Cristo.

    Altare della spogliazione delle vesti – “Al tondo della Chiesa è una Cap-pella sopra del luogo, dove furono messe le sorte sopra de’ panni dello Agnello immaculato Iesu”

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    lui che copre il cielo di luce e riveste la terra e i campi di fiori! Così le prime due strofe; le due seguenti invece focalizzano l’attenzione sul capovolgimento di due fatti: mentre Gesù en-tra solennemente in Gerusalemme (i Giudei) stendono le loro vesti davanti a lui ma lo denudano ora che sta per lasciarla; sul Tabor le sue vesti sono apparse risplendenti di luce mentre ora sul Calvario sono macchiate di sangue e contese dai soldati. La quinta strofa ricorda che tutto ciò doveva accadere perché Davide lo aveva previsto quando disse: si dividono le mie vesti,

    2. Qui cœlum implet lumine Terramque adornat floribus, Quem flexi adorant cœlites, Hunc veste privant milites.

    2. Colui che riempie i cieli di luce, adorna la terra di fiori e gli angeli prostrati adorano, qui dai soldati è denudato.

    3. O differens receptio! Vestes, dum intrat Solymas, Sternunt Iesu proprias, Sed exeunti detrahunt.

    3. Che differente accoglienza! Quando entra a Gerusalemme stendono davanti a lui le loro vesti, quando sta per lasciarla lo denudano.

    4. Vestes velut nix candidæ Visæ in Thabore et splendidæ, Modo rubescunt sanguine, Divisæ in hoc Calvario.

    4. Le sue vesti candide come neve, sul Tabor si videro splendenti, ora diventano rosse di sangue contese su questo Calvario.

    5. Impleta sunt quæ dixerat Davidicum præconium: Partiti amictus, tunicæ Fecere sortes arbitras.

    5. Si compie ciò che predisse la profezia di Davide: si dividono le sue vesti e sulla tunica decide la sorte.

    6. Precamur ergo supplices Te, Sæculorum Conditor, Sic spoliatum vestibus, Nos induas virtutibus.

    6. Ti preghiamo, dunque, supplici, o Creatore del mondo così spogliato delle vesti, ricoprici di virtù.

    7. Jesu, tibi sit gloria, Qui passus es pro servulis, Cum Patre et almo Spiritu, In sempiterna sæcula. Amen.

    7. A te, Gesù, sia gloria che hai sofferto per i tuoi fedeli, col Padre e l’almo Spirito per gli infiniti secoli. Amen.

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    sul mio vestito gettano la sorte15. La sesta strofa con un effica-ce ossimoro «Sic spoliatum vestibus nos induas virtutibus» (spogliare-indossare) anticipa quanto dirà anche l’orazione finale rivolta al Creatore dell’universo, implorando di essere spogliati anche noi, ma dai vizi (spoliati vitiis), per essere rive-stiti di virtù (virtutibusque adornati), sapendo che davanti a Lui bisogna presentarsi in veste candida.

    A questo punto la sequenza dei fatti che riguardano la Pas-sione si interrompe a motivo dell’itinerario. Infatti, sul percor-so si trova il Luogo dove Sant’Elena ritrovò la santa croce: si tratta solo di scendere «una bellissima scala, larghissima, longa trentuno scalone dal piano della Chiesa, sicchè viene ad essare sotterra». Queste le parole di Mariano che oggi si troverebbe forse disorientato, in quanto ai suoi tempi subito si staziona-va a Sant’Elena quando, scesi dalla suddetta scala «viensi in una bella Cappella: chiamasi Santa Elena, madre di Costanti-no Imperadore». L’ultima revisione della processione tenendo presente che la croce, oggetto dei desideri di Sant’Elena, era per lei come anche per noi la cosa più importante, ha preferito invertire le stazioni anteponendo il Luogo dove la croce è stata ritrovata e poi sostare nella cappella in onore di colei che fece di tutto per cercarla.

    Ne consegue, dunque, che oggi è necessario proseguire e, per dirla con le stesse parole di Mariano «dal piano di questa Cap-pella si scende undici scaloni, et è una scala fatta per forza in un sasso, e viensi a modo, che in un pozzo. In questo luogo furon git-tate le croci, e chiovi, la lancia, e la corona, che s’adoperarono alla Passione, e quì stettero longo tempo nascose per infino al tempo di S. Elena, che le ritruovò».

    15 Sal 21,19.

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    Questa interruzione, anche se esterna agli episodi della Pas-sione, potrebbe non essere fuori contesto in quanto anticipa l’importante tematica della Croce, come anche la successiva stazione dove si venera Sant’Elena che qui la ritrovò.

    La stazione perciò è la V odierna mentre ai tempi di Mariano era la VII. L’inno «Crux fidelis»16 che accompagna i pellegrini nel luogo più basso della basilica è impressionante nell’esaltare la Croce proprio come si fa nella liturgia del venerdì santo. È

    16 1. Crux fidelis, inter omnes

    Arbor una nobilis: Silva talem nulla profert Fronde, flore, germine: Dulce ferrum, dulce lignum, Dulce pondus sustinet.

    1. O croce fedele, tra tutti unico e nobile albero: nessuna selva produce uno simile per fronde, fiore e frutto. Dolce chiodo, dolce legno, quale dolce peso sostieni!

    Dove fu ritrovata la croce

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    composto da cinque densissime strofe e celebra lo strumento più importante dell’azione redentrice di Cristo e massimo sim-bolo della cristianità. I termini con cui l’inno qualifica la santa croce sono tutti molto felici: fidelis, nobilis, dulce, sola digna, unica spes e poi – nell’antifona e nella orazione – benedicta, salutifera e vitalis.

    Nella prima strofa l’inno canta con solennità quel legno riconoscendogli una dignità singolare per il suo ruolo; viene qualificato con il termine dolce; insieme con i chiodi perché dolce è Cristo, il carico che ad esso è stato appeso (dulce pondus

    2. Flecte ramos, arbor alta, Tensa laxa viscera, Et rigor lentescat ille, Quem dedit nativitas: Et superni membra Regis Tende miti stipite.

    2. Piega i rami, insigne albero, rilassati, allenta le tue fibre, sia tenera quella rigidità che ti diede la natura: alle membra del Re divino rendi dolce il tuo tronco.

    3. Sola digna tu fuisti Ferre mundi victimam, Atque portum præparare Arca mundo naufrago: Quam sacer cruor perunxit, Fusus Agni corpore.

    3. Tu sola sei stata degna di sorreggere la vittima del mondo e preparare un approdo rifugio al mondo naufrago giacché macchiata dal sangue versato dal corpo dell’Agnello.

    4. Unica spes, o Crux, ave, Hic inventa ab Helena: Per hanc salva, rege vagos, Tua, Deus, gratia: Auge piis spem et fidem, Et da reis veniam.

    4. Ave, o Croce, unica speranza, qui ritrovata da Elena. Per suo mezzo salva e guida gli erranti: con la tua grazia, o Dio, accresci fede e speranza ai buoni, ai peccatori perdona le colpe.

    5. Sempiterna sit beatæ Trinitati gloria: Æqua Patri, Filioque, Par decus Paraclito: Unius Trinique nomen Laudet universitas. Amen.

    5. Sia gloria sempiterna alla beata Trinità: tanto al Padre che al Figlio e stesso onore al Paraclito: il nome del Dio Trino e Unico sia lodato dal mondo intero. Amen.

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    sustinet). Nelle tre strofe successive, come è stato per la colon-na della flagellazione, l’inno si rivolge direttamente al santo legno e amorevolmente i fedeli gli chiedono di abbandonare la sua naturale rigidità per accogliere quasi con un abbraccio il corpo del Signore: «alle membra del Re divino rendi dolce il tuo tronco» (seconda strofa); gli riconosce l’onore di aver sostenuto tale Vittima e il decoro per essere stato segnato dal sangue sgorgato dall’Agnello del mondo: «Tu sola sei stata de-gna di sorreggere la vittima del mondo – tu irrorata dal sangue dell’Agnello» (terza strofa). Non è trascurabile l’afflato con cui il fedele si rivolge a Dio, in virtù della Croce, chiedendo-gli grazia, speranza, fede per i giusti e perdono per i peccatori: «Per suo mezzo salva e guida gli erranti con la tua grazia, o Dio, accresci fede e speranza ai buoni, ai peccatori perdona le colpe» (quarta strofa).

    “Si scende una bellissima scala, larghissima, longa trentuno scalone dal piano della Chiesa, sicchè viene ad essare sotterra, e viensi in una bella Cappella: chiamasi Santa Elena”

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    Qui sono rimasti intatti il versetto e l’orazione tramandatici da Mariano con i quali si ricorda ai fedeli che nel segno della Croce il Signore verrà a giudicare e in virtù della stessa si ottie-ne la vita eterna.

    Risalendo quegli undici scaloni la processione continua facen-do una statio nella cappella di Sant’Elena che anche oggi, come ai tempi di Mariano, è la VI stazione. L’inno «Fortem virili pectore»17 è stato preso dal comune delle donne sante nella sua interezza, sostituendo «lodiamo tutti la donna» con «lodiamo tutti Elena» nella prima strofa, mentre nella seconda viene sot-tolineato l’ardente amore di Elena per la Croce personalizzando il testo con «Colpita d’amore per Cristo e dallo zelo nel cercare la

    17 1. Fortem virili pectore

    Laudemus omnes Helenam, Quæ sanctitatis gloria Ubique fulget inclita.

    1. Lodiamo tutti l’energico e coraggioso carattere di Elena la cui illustre fama di santità gloriosa brilla dovunque.

    2. Hæc Jesu amore saucia, Dum Christi crucem fervida Inquirit ad cælestia Iter peregit arduum.

    2. Colpita d’amore per Cristo e dallo zelo nel cercare la croce bramò tenacemente la via verso le realtà celesti.

    3. Carnem domans ieiuniis, Dulcique mentem pabulo Orationis nutriens, Cæli potitur gaudiis.

    3. Dominò se stessa con digiuni e nutrendo la sua mente col dolce cibo della preghiera conseguì le gioie del cielo.

    4. Rex Christe, virtus fortium, Qui magna solus efficis, Huius precatu, quæsumus, Audi benignus supplices.

    4. O Cristo, vigore dei forti, solo tu compi i grandi desideri; per le preghiere di Elena ascolta benigno noi supplici.

    5. Deo Patri sit gloria, Eiusque soli Filio Cum Spiritu Paraclito Nunc et per omne sæculum. Amen.

    5. A Dio Padre sia gloria e all’unico suo Figlio con lo Spirito Paraclito ora e per tutti i secoli. Amen.

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    croce». Anche qui l’antifona e l’orazione tramandate da Maria-no sono rimaste quasi intatte. Le piccole modifiche di migliora-mento offrono ai fedeli il ricordo di Elena, che come loro, si recò in pellegrinaggio a Gerusalemme, e facendo risaltare il culto che lei ebbe per il desiderato legno della santa croce che qui ritrovò (hic desideratum sanctæ Crucis lignum invenit).

    A questo punto la processione prosegue risalendo fino al li-vello della basilica e, facendo parlare ancora lo stesso Mariano: «di longa all’entrata di questa cappella quattro passi è un’altra cappella, nella quale è uno Altare, nel quale è un pezzo circa un braccio, e mezzo di colonna grossa, alla quale el Re dello Vniver-so fu incoronato per dilegione, et istraziato di corona di spine». Riallacciandosi alla sequenza dei fatti che riguardano la Passio-ne, interrotta per una semplice questione di itinerario, si arriva

    Basilica del S. Sepolcro, Cappella di sant’Elena

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    all’odierna VII stazione (VIII al tempo di Mariano) che è detta appunto «della coronazione e degli improperi».

    L’inno «Cœtus piorum exeat»18 che accompagna i pellegri-ni inizia con un invito rivolto ai devoti di tutto il mondo affin-ché vengano a vedere, anzi a contemplare colui che all’entrata trionfale in Gerusalemme era giustamente acclamato come

    18 1. Cœtus piorum exeat

    Davidis prolem cernere: Non in paratu splendido, Sed cunctis, heu! ludibrio.

    1. Accorra la schiera dei fedeli a guardare il figlio di Davide non in splendide vesti ma ahimé ludibrio di tutti.

    2. Contemptior est omnibus, Et omnium novissimus; Hunc multitudo opprobriis Coram lacessit asperis.

    2. È il più disprezzato tra tutti e l’ultimo di tutti pubblicamente oltraggiato qui la folla lo deride con insulti.

    3. Hoc Isaias dixerat: Corpus percutientibus Præbet, genas vellentibus, Vultumque conspuentibus.

    3. Lo aveva predetto Isaia: offre il corpo a chi lo percuote, porge la guancia a chi gli strappa la barba e la faccia a chi lo ricopre di sputi.

    4. In tui Christi faciem O respice nunc, anima; A planta ad usque verticem Non est in eo sanitas.

    4. Ora fissa lo sguardo, o anima, sull’aspetto del tuo Cristo dalla testa fino ai piedi è una sola piaga.

    5. Vidisti, Moyses, Dominum in rubo ardenti fulgidum: Sed nos videmus languidum et spinis, Sputo sordidum.

    5. Tu, Mosè, contemplasti il Signore splendente nel roveto ardente ma noi lo vediamo debole, di spine coronato e sporco di sputi.

    6. Dum velut Isaac typicus Mactandus modo cernitur; Ut aries in vepribus Sic sentibus, heu, cingitur.

    6. Lo vediamo nella figura di Isacco consegnato alla morte, circondato di spine come un ariete tra i rovi.

    7. Precemur Christum lacrimis, Pro chlamyde coccinea, Spinis, flagris, arundine, Ut nos coronet gloria. Amen.

    7. In lacrime ti preghiamo, Cristo: affinché, per il mantello scarlatto, la canna, le spine e i flagelli, tu ci doni la corona di gloria. Amen.

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    Figlio di Davide: venite, guardatelo, non ha abiti splendenti «non in paratu splendido», ma è completamente abbandona-to al ludibrio «sed cunctis heu ludibrio!»; la seconda e terza strofa esplicitano quel disprezzo rendendo attuale quanto dis-se di lui il profeta «hoc Isaias dixerat»19: disprezzato da tutti e ultimo tra tutti, deriso pubblicamente, schiaffeggiato e sputa-to. L’anima di ciascuno guardi bene, dice la quarta strofa, e lo vedrà come una sola piaga dalla pianta dei piedi alla cima del capo proprio come il biblico Giobbe a cui questa strofa fa riferimento20. Questa stazione invita a contemplare il Cristo coronato di spine e a questo provvedono le due strofe seguen-ti, la quinta e la sesta, dove entrano in scena prima Mosè a cui l’inno si rivolge col dire: tu nel roveto hai visto splendente il volto del Signore «vidisti, Moyses, Dominum in rubo ardenti fulgidum» mentre noi lo vediamo sì ma annientato e del rove-to ha la corona di spine «sed nos videmus languidum et spinis, sputo sordidum». Subito dopo si evoca Isacco, tipica imma-gine di Cristo per essere anch’egli votato alla morte «Dum velut Isaac typicus mactandus modo cernitur» e anche l’ariete imbrigliato negli spinosi rovi21 è figura di Gesù coronato di spine e destinato a essere immolato «Ut aries in vepribus sic sentibus, heu, cingitur». Nell’ultima strofa, tralasciata la con-sueta dossologia, i fedeli in pianto si rivolgono a quel Cristo, diventato oggetto di burla, avvolto da un mantello di porpora con una canna come scettro, perché un giorno conceda loro la corona di gloria.

    19 Is 50,6; 53,2-5.20 «Satana si ritirò dalla presenza del Signore e colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo» (Gb 2,7).21 Gn 22,13.

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    Tutto questo è quanto offre l’inno in modo esplicito ed ef-ficace perché il fedele possa rivivere gli eventi della passione di Cristo che lì si ricordano. Si conclude questa stazione con l’antifona il versetto e l’orazione: l’antifona è la stessa riferita da Mariano presa dagli improperi del venerdì santo «Io ti ho posto in mano uno scettro regale e tu hai posto sul mio capo una corona di spine»22, mentre il versetto è stato aggiornato con un brano tratto dal vangelo23 al posto del salmo24 ma in ambo i

    22 Ego dedi tibi sceptrum regale: Et tu dedisti capiti meo spineam coronam.23 «Intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo...» (Mt 27,29).24 «Di gloria e onore lo hai coronato, Signore. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani» (Sal 8,6-7).

    Altare della coronazione di spine – “È una Cappel-la, nella quale è uno Al-tare, nel quale è un pezzo circa un braccio, e mezzo di colonna grossa, alla quale el Re dello Vniverso fu incoronato per dilegio-ne, et istraziato di corona di spine”

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    casi è evidente il riferimento alla corona di spine come altret-tanto chiara ed efficace è l’antitesi contenuta nella preghiera finale con la quale si chiede la grazia di deporre la corona della superbia per indossare un giorno quella di gloria.

    A questo punto mancano pochi passi per salire sul Calvario e celebrare l’unica stazione esistente all’epoca di Mariano, la IX (dove Cristo spirò sulla Croce); oggi sul Calvario vi sono tre stazioni come vedremo: l’VIII (dove Cristo fu crocifisso), la IX (dove Cristo spirò sulla Croce) e la X (all’altare dell’Ad-dolorata). Fino a questo punto la processione nella forma ordi-naria è recitata con un sobrio recto tono, ma da questo momen-to in poi comincia il canto a partire dall’inno.

    Mariano, nostra guida in questa processione, ha scritto che: «a quindici braccia oltre questa cappella, [della corona-zione e degli improperi] dal piano della Chiesa, si sale alla

    Calvario, Incensazione al luogo dove Cristo fu crocifisso

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    devotissima Cappella del Monte Calvario attraverso due scale di diciotto gradini, una con una sola rampa e l’altra con due»; il frate solista intona il «Vexilla Regis prodeunt»25 l’inno che accompagna e introduce i pellegrini sul Calvario, il Golgota evangelico, e con sentimenti lirici dà modo di riflettere anco-ra una volta sulla Croce senza trascurare il Crocifisso, fino a

    25 1. Vexilla Regis prodeunt

    Fulget crucis mysterium Qua vita mortem pertulit, Et morte vitam protulit.

    1. Procedono i vessilli del Re, brilla il mistero della Croce su cui la Vita subì la morte e la morte generò la vita.

    2. Quæ vulneratus lanceæ Mucrone diro criminum Ut nos lavaret sordibus, Manavit unda et sanguine.

    2. Cristo fu trafitto dalla punta crudele di una lancia affinché acqua e sangue ci lavassero le sozzure.

    3. Impleta sunt quæ concinit David fideli carmine Dicendo nationibus: Regnavit a ligno Deus.

    3. È compiuto ciò che Davide con verace profezia disse a tutte le genti: Dio regnò dal legno.

    4. Arbor decora et fulgida, Ornata Regis purpura Suscepit hic quæ Domini Corpus flagellis lividum.

    4. Albero glorioso e fulgido, ornato dalla porpora del Re, qui accolse il corpo del Signore coi lividi dei flagelli.

    5. Beata, cuius brachiis Pretium pependit sæculi: Statera facta corporis, Tulitque prædam tartari.

    5. Te Beata, i cui bracci diventati bilancia del corpo di Cristo, han sostenuto il prezzo del riscatto strappando la preda all’inferno.

    6. O Crux ave, spes unica, Hic unda Christi sanguine Piis adauge gratiam, Reisque dele crimina.

    6. Ave, o Croce, unica speranza, qui col sangue di Cristo ai giusti accresci la grazia, ai rei cancelli le colpe.

    7. Te, fons salutis Trinitas, Collaudet omnis spiritus: Quibus Crucis victoriam Largiris, adde præmium. Amen.

    7. O Trinità, fonte di salvezza, ogni uomo ti esalti. Aggiungi l’eterno premio a chi donasti la vittoria della Croce. Amen.

  • Ser Mariano di Nanni da Siena

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    condurre l’animo sensibile alla commozione26. La prima stro-fa da sola proietta l’animo dei fedeli oltre la morte e fa intra-vedere la resurrezione parlando della vita «Brilla il mistero della Croce: su di essa la vita subì la morte e su di essa la morte offrì la vita»27; per questo la Croce, divenuta il vessillo del Re, brilla e per lo stesso motivo è indicata lungo tutto l’inno come gloriosa e fulgida; è proclamata beata per aver sostenu-to, come bilancia, il corpo di Cristo ed è dichiarata unica spe-ranza come nel precedente inno Crux fidelis, in quanto è per mezzo suo che i buoni si vedono accrescere la grazia e i cattivi ottengono il perdono.