Senz’arma che dia carne all’imperium

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Quella di Ianus Pravo è una poesia che ‘si svincola’. Alla lettura, si è immersi in un agone. Vi è rappresentata la lotta particolare dell’autore con se stesso, la volontà di sopprimere il proprio io che va disarmato, cioè va privato di un corpo-carne su cui esercitare il proprio imperium. È questa l’idea di fondo che anima il libro. Essa è sintetizzata dal titolo che riproduce parte di un verso («Ignòrati, senz’arma che dia carne all’imperium») del volume Nostra Signora d’Auschwitz (2007).

Transcript of Senz’arma che dia carne all’imperium

Quella di Ianus Pravo è una poesia che ‘si svincola’. Alla lettura, si è immersi in un agone. Vi è rappresentata la lotta particolare dell’autore con se stesso, la volontà di sopprimere il proprio io che va disarmato, cioè va privato di un corpo-carne su cui esercitare il proprio imperium. È questa l’idea di fondo che anima il libro. Essa è sintetizzata dal titolo che riproduce parte di un verso («Ignòrati, senz’arma che dia carne all’imperium») del volume Nostra Signo-ra d’Auschwitz (2007). Solo una volontà autoriale ‘disarmata’ e smantellata rende la poesia libera di occupare lo spazio a lei destinato e diventare poesia che cancella l’autobiografia e rilancia il valore del sovraumano inteso prima di tutto come ‘non quotidiano’. Sono versi terribili e difficili, ma davvero sinceri. E la difficoltà non è posa e maschera, bensì adeguata espressione di una ma-teria profonda che aspira alla libertà e non è dunque richiamo di un vissuto perspicuo. Una libertà che si manifesta anche nella struttura generale del vo-lume tutto costruito sulla impossibilità del dialogo e della vittoria dell’uno sul due, della solitudine sull’alterità conosciuta. (Alessandro Polcri)

In questo volume a quattro mani dal lungo titolo, la parte di Panero (scritta in italiano) è quella che sembra confermare una voce dal timbro nichilistico, che ripete l’antico topos: “l’unico crimine che esiste è esistere” ed esclama: «vorrei con un colpo di nausea distruggere il mondo». Ma questo tono è troppo insistito per non suscitare il sospetto che, più che di nichilismo, qui si tratti di una forma di idealismo deluso. Per esempio, un’immagine continuamente presente, ac-canto a quella della pagina, è quella della rosa: la cui fondamentale dolcezza non è smentita, anzi è romanticamente confermata, dal suo essere presentata come “malata”, “morta” ecc. Anche il continuo omaggio, esplicitamente cita-zionale, che Panero offre alla tradizione poetica e artistica internazionale è una mossa fondamentalmente costruttiva anzi edificante. Dietro il nichilismo, in-somma, affiora la questione dell’umanesimo, o almeno dell’umano; se il lavoro sulla pagina è visto come il centro vocazionale della vita, scatta tuttavia a un certo punto la frase tagliente: «ma la pagina non è un uomo». E il richiamo alla composizione dal titolo apocalittico di un grande musicista – «o tu Olivier Mes-siaen / Quartetto per la fine dei tempi» – è pur sempre il richiamo a un artista profondamente religioso. La presenza di Cavalcanti in questo libro evoca anche la genealogia di Pound (menzionato altrove nel testo); e l’associazione tradizio-nalmente pasoliniana di Gramsci con la cenere (ma “cenere” è un’altra parola chiave nel codice poetico paneriano) nel finale di una delle poesie è ravvivata dall’apparizione, all’inizio di quella stessa poesia, dello spettro del suo condan-natore. L’effetto Panero nasce dalla ripetizione martellante di certe immagini chiave; ma ciò che soprattutto resta nella memoria è una quartina extra-ordi-naria perché tessuta su immagini non ricorrenti: «L’arancia cade dalla mia mano morta / e rotola sulla strada / perseguitata dal cane dell’immondizia / dal cane atroce della vita». (Paolo Valesio)

Leopoldo María Panero (Madrid, 1948) è auto-re dell’opera più radicale e originale della poesia spagnola contemporanea. Ha pubblicato più di cinquanta libri, tra poesia, narrativa, saggisti-ca. Attualmente vive nel manicomio di Las Pal-mas di Gran Canaria.

Ianus Pravo è nato nel Veneto, ma risiede a Bar-cellona, in Catalogna, dagli anni Ottanta. Oltre a due volumi di poesia ha pubblicato una traduzione dei Canti Orfici di Dino Campana (Zaragoza, 1999).

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collana di poesia, traduzioni e saggi diretta daPaolo Valesio e Alessandro Polcri

«Ungarettiana» si interessa a un’esperienza di poesia che sappia fare convivere un forte senso della situazione italiana con una significativa apertura internazionale. Nel repertorio della collana rientrano libri monolingui in italiano, libri bifronti (tradotti in italiano) e saggi. Siamo convinti che la poesia sia in prima istanza ricerca di linguaggio e linguaggio della ricerca. Ma quello che noi in ultima analisi cerchiamo non è, come spesso accade di trovare nella lirica contemporanea, un eccesso di esistenza al ribasso, spesso ridotta a catalogo di fatti insignificanti narrati con una lingua scolorita; è, semmai, una nuova e accresciuta quantità di vita e di pensiero. Lo stile sarà la forma di quella quantità e sarà a volte semplice, a volte –perché no? – complesso e seletto. Ma saranno i poeti che sceglieremo a condurci là dove ancora non sappiamo di voler andare.

Leopoldo María Panero Ianus Pravo

Senz’arma che dia carneall’imperium

introduzione diAndrea Ponso

Editrice FiorentinaSocietà

© 2011 Società Editrice Fiorentinavia Aretina, 298 - 50136 Firenze

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isbn 978-88-6032-187-9

Proprietà letteraria riservataRiproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata

Copertina a cura diRaffaele Ricciardi (Grafica elettronica, Napoli)

In copertinaAndrea Rossetti, Auschwitz Residenz #9, stampa e acrilico su tela

(per gentile concessione)

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dandoci la mano: la mano mozzata

Non mi è facile scrivere qualcosa su questo libro; credo non sia facile per nessuno. Il motivo è chiaro ed è il motore immobile di tutta l’opera: è il rifiuto impossi-bile dell’altro e il desiderio, altrettanto impossibile, per l’altro, nei confronti dell’altro. I testi che si susseguono in un testa a testa, letterale potremmo dire e fuor di metafora, finché una delle due teste si spacchi nell’altra, finalmente, in una catastrofe che è allo stesso tempo negativa e rigenerativa, come il cancro citato nello scrit-to iniziale di Panero – i testi, dicevo, hanno magari in alcuni punti costruzioni ellittiche, quale torsione sot-terranea di tipo grammaticale, quasi impercettibile, e un ritmo difficile da percepire ad un primo ascolto (e forse la sordità è l’unico mezzo di condivisione?), ma non sono “difficili” in sé: ripetono ossessivamente pa-role fruste, scavano nella tradizione maledetta come si rovista nella spazzatura di un retrobottega della let-teratura e del mondo. Eppure. Eppure non si penetra e nemmeno si è penetrati: come si trattasse di un coito a vuoto, di un conato, di una copula a cui si è dannati controvoglia, al di là del piacere (e del piacersi, soprat-tutto). Non c’è ragione per sperare perché la ragione, quella interna al testo, ha sempre ragione, è inflessibile, non dà vie di fuga, scappatoie, momenti di pausa – ed in questo, mi pare, soprattutto nel nostro tempo, tutto questo risulta altamente morale, proprio nel non farsi

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condannare alla tirannia del sentimento, della “fanta-sia”, dell’ammicco e dell’amicizia –. Solo l’inconsolabile egoista sembra saper ancora dire parole pure – pure ma non separate, non sacre (nell’etimo) –. Non può che tornare alla mente il profeta Ezechiele, sacerdote e pa-drone delle mille rubriche del tempio e della liturgia, delle formule e dei riti, ma, nello stesso tempo, costret-to all’esilio, al Tempio distrutto, alla contaminazione con l’impuro; una marionetta balocco di Dio o di Nes-suno, non ci è dato sapere. Ezechiele che mangia il li-bro con lamenti e guai, dolci come il miele; Ezechiele che mima l’assedio al suo stesso popolo, che lo rende vero, paradossalmente profetando il presente, ciò che è, ciò che accade, in una duplicazione, in un doppio che non è altro che l’Uno della storia e della sua catastrofe in vista di una redenzione sempre più lontana e che magari assume la figura ambigua della ricostruzione del Tempio, con tanto di misure, planimetrie e pesanti lat-erizi: un Tempio che diventerà ancora Due, redenzione e ostacolo ad un Divino che deve passare dal Tempio al Tempo – salvezza e trattenimento della verità svelata –. E cosa rimane di questa non-lettura, di questa dislet-tura (potrei anche pensare alla teoria dell’influenza di Bloom, nella quale ogni autore lotta con il suo doppio, il suo Due, il suo Padre, ma non verso il futuro, quanto piuttosto verso il passato, in una torsione che cerca di modificare ciò che già è dato perché doppio portatore di interferenze e prigione)? Forse, a conti fatti (e qui i conti tornano tutti al Due, e vorrebbero invece smentir-si nell’Uno) e, ancora, paradossalmente, ciò che rimane è una libertà paradossale del Desiderio del lettore, del Desiderio dell’altro per eccellenza, del tanto vituperato e terroristico prossimo – un Desiderio contrario a Eros,

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direbbe Carmelo Bene, e molto vicino all’oggettità ir-reciproca del porno, dell’osceno –. Avremo il coraggio di guardare ciò che per sua natura è letteralmente “fuori scena”?

Andrea Ponso

senz,armache dia carne all,«imperium»

che il due, un numero, sia uno

Ianus Pravo Nostra Signora d’Auschwitz, 2007

essere due è tutto

Leopoldo María PaneroDioscuros, 1982

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del due e del cancro*

Come ho saputo direttamente per bocca di Jung, Freud gli disse all’udito, quando ormai erano vicini agli occhi della celebre statua che illumina l’universo: «Non sanno che gli portiamo la peste. Non mi sorprenderei se avessero aggiunto un biglietto di ritorno in prima classe». Jacques Lacan

Se ciò che Mallarmé chiamava «la parola vuota (una mo-neta il cui conio è stato cancellato e che gli uomini si passano di mano in mano in silenzio)» ha un doppio senso, ha in sé una frattura della cui operatività ammo-nisce Lacan («l’uomo dimentica il significante, ma il significante non lo dimentica»), la parola poesia invece ha soltanto un senso: generazione (poíêsis), cioè enuncia-zione della generazione. E l’atto di scrivere rassomiglia al digiuno e alla penitenza. La poesia deve essere un sa-crificio e una lotta contro quella che Mallarmé chiamava «l’âme lamartinienne», che è l’anima cursi, cioè maniera-ta. Ora, tutta la poesia è manierata. Tutta la poesia è fal-

* La seguente introduzione di Panero e le poesie da lui firmate in que-sto libro sono state tutte dettate direttamente in italiano a Ianus Pravo che ha solo corretto qualche raro ispanismo al momento della dettatura e sempre d’accordo con Panero che ben conosce la lingua italiana per avere frequentato negli anni Sessanta il Liceo Italiano di Madrid [nota dei direttori della collana].

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sa, e il poeta è sempre solo. Come diceva un verso di mio padre «estamos siempre solos, siempre en vela». E l’altro non esiste, è solo pensabile che esista. Il cosiddetto pros-simo risponde a una dualità che giammai si supera, è la pallida ombra di una donna intravista in un quadro di Willem de Kooning, questa impossibilità chiamata pros-simo. È così che tutta la storia si riassume nel quinto po-stulato di Euclide, che dice che due linee parallele non possono unirsi nell’infinito – ma per Lobachewski sì, si possono unire –: e questo quinto postulato di Eucli-de metamorfizza questa impossibile unità dell’uno con l’altro: è così che il desiderio dell’uomo ha origine in questa misteriosa manque dell’altro o, è lo stesso, dell’io. È perciò, citiamo, che il desiderio umano è per Hegel il desiderio di un desiderio: come per Lacan il desiderio di un uomo è desiderio dell’altro, dell’«“Autre”, avec une grande A»; con la “A” senza nome di Dio; ed è così che nella poesia con e di Ianus Pravo io torno a cercare l’uni-tà perduta dell’uomo, la cui mancanza disegna lo Stato come un’escrescenza: o, il che è lo stesso, traccia i limiti della follia: una catastrofe invece dell’uomo. La poesia di Ianus Pravo, di questa testa che spacca la mia testa, spaccata sulla mia testa, di questa testa che mi fa due, è soltanto la vergogna di esistere senza il prossimo, essen-do solo due. Euclide contro Lobachewski nascondendo il segreto dell’uomo, perché non esiste l’io, non esiste il tu. L’uomo è soltanto un pronome eretto sul vuoto. Gra-zie, Satana, per queste mie pagine scritte contro l’uomo, queste pagine che producono cancro, e il cancro è una rigenerazione negativa.

Leopoldo María Panero

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Guarda il grido sanguinare.Guarda il grido sanguinare.Sangue a muro che si apremuro a corpo che si apreche si apre corpo redditocorpo reddito a corruzione,vuole, può, non vuole reddito,solo è reddito, a corruzione.

Ianus Pravo

Indice

7 Dandoci la mano: la mano mozzata di Andrea Ponso

Senz’arma che dia carne all’imperium 13 Del due e del cancro di Leopoldo María Panero

15 Guarda il grido sanguinare (I. Pravo) 16 Corpo come ciò che è stato (I. Pravo) 17 Grida sull’erba (I. Pravo) 18 Il gelo ai gelidi, per esser gelidi (I. Pravo) 19 Cenere si cum cors envers il koto (I. Pravo) 20 L’arancia cade dalla mia mano morta (L.M. Panero) 21 La vita è una bestia immonda (L.M. Panero) 22 La vita non esiste e Dio cade sulla pagina (L.M. Panero) 23 I miei piedi sono d’inchiostro (L.M. Panero) 24 La pagina è un vecchio che sussurra all’oscurità (L.M. Panero) 25 Morte, sputo, viso, cenere (I. Pravo)

26 Bricks thought into being ex nihil (I. Pravo) 27 Nato. Nato due volte perché non nato (I. Pravo) 28 Ho portato una stecca di Camel (I. Pravo) 29 Dos brais e criz dei pani e dei pesci (I. Pravo) 30 Ah lo spettro di Benito Mussolini (L.M. Panero) 31 Il doppio è una rosa malata che cade sulla pagina (L.M. Panero) 32 A te Ovidio, principe della pagina (L.M. Panero) 33 Chi è questo stronzo che si rispecchia nel mio viso (L.M. Panero) 34 La vita è una vecchia dai capelli bianchi (L.M. Panero) 35 Nero murena sul banco del mercato (I. Pravo) 36 Stabat Mater, politis lachrymis, crux (I. Pravo) 37 La città sommersa dell’intimo viola (I. Pravo) 38 Oh ouraní, viola a cui è stato succhiato il sangue (I. Pravo) 39 Questa è la mano di Muzio (I. Pravo) 40 Di chi è questa mano che scrive (L.M. Panero) 41 La parola è un oscuro assassino (L.M. Panero) 42 La magia del verso che distrugge la realtà (L.M. Panero) 43 Non c’è altro spirito che lo spirito della mia mano (L.M. Panero)

44 Domattina scenderò dalla croce del verso (L.M. Panero) 45 La murena del Neckar, che è bianca come il verso (I. Pravo) 46 Schibboleth de Las Canteras il Schibboleth (I. Pravo) 47 Lallen und lallen. Laleîn, in greco (I. Pravo) 48 Le unghie lunghe, le unghie dei morti (I. Pravo) 49 Orina (I. Pravo) 50 Che cosa strana il pianto (L.M. Panero) 52 La vita è sporcizia che insudicia la morte (L.M. Panero) 53 Death you shall die (L.M. Panero) 54 I bimbi sporcano il ventre della madre (L.M. Panero) 55 Nulla ha peggior odore della speranza (L.M. Panero) 56 A-pollá, se forma di giustizia (I. Pravo) 57 Cerebrum non habet (I. Pravo) 58 La stanchezza ti ha aperto il volto (I. Pravo) 59 O ciò che non è mai stato non lo è stato (I. Pravo) 60 Oh carcere dell’è, copula del manicomio (I. Pravo) 61 Che strana cosa il poema (L.M. Panero) 62 Non so cosa voglio e cosa sia (L.M. Panero) 63 Ho sognato l’uomo che non esiste (L.M. Panero)

64 Il manicomio è un campo di sterminio (L.M. Panero) 65 La nudità nella schiena della vita (L.M. Panero) 66 Nero su bianco invertendo il cielo (L.M. Panero) 67 Tristezza del volere, così non può la mano (I. Pravo) 68 Il Cristo spezzato nei dioscuri (I. Pravo) 69 Furono perle gli occhi, Fleba (I. Pravo) 70 Sum ligneus, ut vides, sono morto (I. Pravo) 71 Poco a poco, affidato alla morte (I. Pravo) 72 Il poema è un’oscura infermità (L.M. Panero) 73 Non giochiamo, siamo giocattoli (L.M. Panero) 74 Todo orgullo humea en la noche (L.M. Panero) 75 La polizia perlustra i resti di un verme (L.M. Panero) 76 E una voce chiede, cos’è la neve? (L.M. Panero)

79 Un corpo a due teste dalla fine del mondo di Ianus Pravo

85 Note bio-bibliografiche