SENSO TIPO 1 di 4 Preambolo

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Massimo Vianello

SENSO E TIPO Modi di comprendere la crisi tra passato e futuro: la Casa dei Bambini di Amsterdam e la Libera Università di Berlino

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PREAMBOLO

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Preambolo 0.00.01

Seguendo la ricerca di quale poteva essere la radice più robusta delle differenze culturali, in architettura e urbanistica, nelle generazioni uscite dalla seconda guerra mondiale, su cui si stavano sedimentando le posizioni teoriche più autorevoli, può venire in aiuto, come analogia, la strada. Tra le vicende che ci si troverà a considerare la seconda guerra mondiale costituisce la netta, imprescindibile, linea di catastrofe tra epoche e la sua conclusione avvia il processo di ricominciamento con le difficoltà di abbandonare il passato e rigenerare le aspettative verso il nuovo. Nell‟immediata ripresa post-bellica, più i libri e i progetti che le costruzioni potevano offrire il sostegno alla ricerca di questa nuova direzione. Tra i testi cui si attribuisce maggior rilievo, anche per i riflessi che avranno sui successivi approcci ecologici, vi è I tre insediamenti umani e Maniera di pensare l’urbanistica1 di Le Corbusier. In particolare il primo, elaborato

durante il conflitto da un gruppo di studiosi presieduto da Le Corbusier, l‟Ascoral, ridisegna il modo di abitare e produrre a uso della nuova società. L‟oggetto principale di attenzione non è l‟architettura in sé, ma le modalità di aggregazione tra le attività umane e la strada diviene l‟unico elemento di permanenza dichiarata con il passato. Il fatto che, nelle aree maggiormente colpite dalle distruzioni belliche, le strade siano rimaste l‟unico elemento fisico persistente nello sguardo sul paesaggio e sulla città2 attribuisce alla prosa di Le Corbusier un risvolto poetico che contiene assieme malinconia e speranza. Si inseguono nella descrizione di Le Corbusier le situazioni che accadono attraversando il paesaggio, gli incroci, le città, il riconoscimento dell‟essenza della strada: la strada è continua, non conosce frontiere, è il soggetto operante del rapporto

1 Pubblicati entrambi a Parigi rispettivamente nel 1943-45 e 1946. 2 Per esempio nel caso dell‟architettura del Giappone, le proposte di Arata Isozaki in particolare, ma anche di Kenzo Tange e Fuhimiko Maki, risultano indecifrabili se non lette in proiezione storica degli avvenimenti bellici. La Francia non ha risentito fisicamente dei disastri occorsi in Giappone, ma ha pur sempre dovuto subire un‟occupazione che ha influenzato profondamente l‟impegno nella politica coloniale del dopoguerra. Tra Berlino e Amsterdam, le due città di cui ci si occuperà, Berlino certamente è la città che più ha risentito degli effetti bellici delle distruzioni, divenendo per i successivi vent‟anni l‟ago della bilancia nelle tensioni politiche rimaste irrisolte nella definizione dei nuovi equilibri. Amsterdam, tra le città olandesi, avrà un destino meno segnato di altre realtà urbane, come Rotterdam, che dovranno affrontare processi di totale ricostruzione.

dell‟uomo con il territorio. “La strada è probabilmente il primo strumento di cui si dotarono gli uomini”3.

“La nuova scala in urbanistica” descritta da Sigfried Giedion nella

parte conclusiva di Space, time and architecture apre a sua volta un

confronto tra la nuova idea di strada che si era sviluppata in America, la parkway che “Up to this point the parkway may be said to be identical with the European autostrade, the highway without grades. But it is not like

certain Continental highways laid out for military purposes, driver through the country in rigid and dangerously straight lines. Nor it is built, as are railways, for the sake of the most direct and rapid transit. Instead it humanizes the highway by carefully following and utilizing the terrain, rising and falling with the contours of the earth, merging completely into the landscape”4. In particolare, senza intervenire sulle differenze continentali

nell‟organizzazione infrastrutturale tra Europa e America5, si può notare che anche Le Corbusier utilizzerà simili argomentazioni. Entrambi riflettono sugli aspetti naturalistici della strada a curve6, del piacere nella percezione di variazioni del paesaggio, che implica una sorpresa a ogni svolta e condividono le reazioni alla monotonia della strada dritta7. Sul piano percettivo dimostrano una sensibilità simile e infine Le Corbusier raccoglierà, entusiasta, la descrizione e le soluzioni di Giedion sulla park-way come modello che interviene a risolvere i problemi di congestione del traffico meccanizzato nella città, con l‟intento di “liberare le città dalla costrizione e dalla tirannia della strada”8. Vi è un modo quindi di intendere il

problema della meccanizzazione nelle città su posizioni di mutua convergenza, ma vi sono anche, nel percorso per giungere a queste

3 Le Corbusier (a cura di Jean Petit), L’urbanistica dei tre insediamenti umani, Edizioni Comunità, Milano 1961, pag. 100. 4 Sigfried Giedion, Space, time and architecture, The Harvard University Press, Cambridge 1947, pag. 551. 5 Guglielmo Zambrini in un saggio dal titolo Dopo l’automobile in “Casabella”, n. 553-554, monografico Sulla strada, gennaio-febbraio 1989, definisce i caratteri essenziali di tale differenza. Qui basta riportare che la rete stradale americana e in particolre le park-way a cui ci si riferisce sono state tracciate esclusivamente per le esigenze della motorizzazione. 6 Le Corbusier fa esplicito riferimento: “L‟autostrada sarà del tipo „park-way‟, integrata cioè al paesaggio”. L’urbanistica dei tre insediamenti umani, op.cit., pag. 104 7 Sebbene con accezioni molto diverse tra loro che emergeranno nel corso del testo. 8 Le Corbusier, Maniera di pensare l’urbanistica, Editori Laterza, Roma-Bari 1965, pagg. 81-88.

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posizioni, profonde divergenze che, lette in termini sincronici, si rivelano come due posizioni chiave per le vicende a venire. Infatti, oltre a questo momento di sintonia, il punto di partenza di Le Corbusier e il punto di arrivo di Giedion sono contrapposti.

L‟interlocutore cui Giedion cerca di offrire uno scenario a venire

trattando della storia della città nel 19519 è un uomo che oggi ha bisogno di “segni e di simboli che tocchino direttamente i sensi senz‟altra spiegazione”10. Giedion rappresenta i bisogni della società, riconosce nel cuore della città quei valori cui gli architetti devono dare una soluzione progettuale e la strada liberata dal traffico, nel suo racconto, torna a essere il centro della comunità. Le Corbusier apriva il suo trattato sull‟urbanistica del 1925 con l‟immagine di un uomo “che avanza diritto per la propria strada perché ha una meta; sa dove va, ha deciso di raggiungere un determinato luogo e vi s‟incammina per la via più diretta”11. Dedicava un paragrafo alla “strada a curve, strada dritta” dove l‟architettura della strada dritta domina sul pittoresco della curva. La strada curva, la strada definita dal percorso dell‟asino, viene identificata come il sommarsi di eventi accidentali e quindi da escludere dal repertorio delle scelte progettuali, a

9 Sigfried Giedion, I precedenti storici, in E.N. Rogers, J.L. Sert, J. Tyrwhitt (a cura di), Il Cuore della Città, Hoepli Editore, Milano 1954, pagg. 17-26 10 Ibidem, pag. 17. Si tratta di una citazione di Sartre di cui Giedion non fornisce il riferimento (e a causa della doppia traduzione sarà di difficile recupero). Interessa cogliere questa attenzione a Sarte poiché anche se non viene trattata in modo diretto in questa ricerca senza dubbio i suoi trattati sull‟immagine hanno dato uno spessore e un sostegno alla tendenza umanistica che stava investendo l‟architettura. Le parole conclusive di L’immaginazione nel 1936 portano già a una attenzione ai fatti psichici: “…Ogni fatto psichico è forma e possiede una struttura. … Tutto il guaio è nato dal fatto che ci si è accostati all’immagine con l’idea di sintesi invece di ricavare una certa concezione della sintesi da una riflessione sull‟immagine”. (Jean-Paul Sartre, L’immaginazione, Bompiani, Milano 2004, pag. 149, 150). La testimonianza di Vittorio Gregotti che a Hoddesdon apprende da Van Eyck dell‟attività dei convegni di Darmstadt ed in particolare dell‟intervento di Martin Heidegger rende conto del coinvolgimento dei temi dell‟esistenzialismo nel dibattito disciplinare. La conferenza di Darmstadt (Costruire abitare pensare) ma ancor di più la successiva a ottobre dello stesso anno (Siamo sempre nel 1951) “… poeticamente abita l‟uomo…”, (per quanto qui non rientri tra gli argomenti trattati) richiede la massima considerazione per l‟impulso a ritrovare un luogo di riflessione sospeso oltre i problemi contingenti della ricostruzione postbellica. 11 Le Corbusier, Urbanistica, Il Saggiatore, Milano 1983, pag. 19.

meno che non intervenga a sostenerla l‟evidenza delle caratteristiche morfologiche del terreno. Queste due posizioni culturali ci rivelano, oltre alla convergenza/divergenza sul rapporto dell‟artefatto strada con la natura e la città, due modi di intendere il progresso: in modo critico e riflessivo sui suoi benefici, oppure come inesauribile propulsore di un cambiamento prefigurato. La meccanizzazione e l‟invasione del motore a scoppio intese come causa o come effetto divengono nel dopoguerra argomenti rilevanti nelle scelte progettuali sul destino delle città. L‟ evoluzione del ruolo della strada urbana e le posizioni culturali sull‟idea di progresso che Giedion e Le Corbusier esprimono, come dramatis personae, sono l‟orizzonte su cui

delineare le due opere che si andranno a comparare: l‟Orphanage di Amsterdam, l‟opera che ha definito in modo emblematico l‟approccio teorico di Aldo van Eyck e la Freie Universität (BFU)12 di Berlino, edifico che ha rappresentato l‟apice della ricerca sperimentale del gruppo Candilis Josic Woods. Le ragioni della ricerca

0.00.02 L‟architettura e l‟urbanistica intervengono nella trasformazione dello

spazio fisico agendo a diverse scale sul medesimo campo di azione13. Gli ambiti di ciascuna disciplina variano secondo l‟ordine dei problemi e le aspettative che la società in cui operano produce in quel periodo storico. Il problema non riguarda la definizione delle figure professionali o dei protagonisti che sostengono il dibattito culturale, in quanto gli attori tendono a essere i medesimi, ma è diverso il ruolo che vengono ad assumere verso la società. Identificare la diversità dei ruoli potrebbe già definire una presa di posizione sulla difficoltà di intendere un‟unità disciplinare, in grado di intervenire sull‟organizzazione dell‟ambiente umano. L‟articolazione di punti di vista rivolti a custodire le differenze tra

12 La sigla BFU definisce non l‟intero complesso universitario, ma esclusivamente la parte oggetto del concorso del 1963 denominato in quell‟occasione Obstbaugelaende, in quanto era un frutteto. A sua volta l‟edifico, una volta realizzato, viene chiamato Rostlaube per il trattamento a ruggine delle partizioni esterne e il suo ampliamento prende il nome di Silberlaube. 13 La differenza scalare è stata la discriminante più evidente che si è riscontrata negli studi e progetti degli anni cinquanta e sessanta che sono stati affrontati. Si intende che la questione è aperta. Un tentativo di affrontare tale problema viene sviluppato in questo lavoro, in quanto le due opere che andremo ad analizzare cercheranno una scala di mezzo in grado di tenere assieme le problematiche, o meglio di superarle.

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due ambiti disciplinari, tra architettura e città, potrebbe fornire parametri autonomi di verifica dei due complessi edilizi in esame, ignorando che erano entrambi esplicitamente rivolti a superare tale separazione. La strada che si è scelta è quella di verificare la consistenza di questa intenzione „integrativa‟ comune ad alcuni architetti, in riferimento alle esigenze di cambiamento radicale della società che costituiva lo scenario in cui si riconoscevano.

Il tentativo di integrare gli obiettivi delle due discipline, architettura e urbanistica, può essere letto, nel corso del XX secolo, come una tendenza fluttuante del rapporto tra città e architettura, nei momenti in cui nuove esigenze ne modificavano il grado di trasformazione, con l‟aumentare delle esigenze di inurbamento. L‟individuazione di una disciplina che trattava le problematiche di crescita della città in modo autonomo ha provocato nel secondo dopoguerra alcune reazioni, con una sempre maggiore tensione, per ri-portare le discipline che operano nella trasformazione dello spazio fisico all‟interno di un unico campo d‟azione. Le esperienze di costruzione che hanno coinvolto e portato al proprio interno, nell‟architettura, la dimensione complessa della città, ricercando nel progetto il modo di ricomporre i dissidi e la conflittualità propria della città tramite un habitat, non vengono qui studiate per la loro ripetibilità, all‟opposto l‟interesse è rivolto alla specificità di tempo e azione. L‟ordine dei problemi affrontati e le reazioni che sono „precipitate‟ nei due casi di studio analizzati non è quindi riproponibile per un immediato impiego progettuale. Tuttavia nel momento in cui si storicizza quell‟esperienza, essa offre un considerevole materiale di riflessione sul versante metodologico, per approfondire le relazioni tra significati e valori in rapporto alle scelte tipologiche.

Il caso di studio che apre la questione, velata da influssi poetici, è la realizzazione della Kindertehuis o Burgerweeshuis (Orphanage) ad Amsterdam di Aldo van Eyck su cui l‟architetto fonda ed esplicita la sua teoria alla ricerca di un luogo sospeso nella omologia14 della piccola città e

14 Omologia, dal greco homoios ("simile, uguale") e logos ("discorso"); ovvero, "uguale logica, uguale discorso". L'omologia è la corrispondenza logica tra due cose, per cui ciò che accade in una accade anche nell'altra a motivo della stessa logica. Omologo è quindi sinonimo di analogo, pur significando non solo una somiglianza, ma un'identità (da Msn Charta). Qui si utilizzano i due termini, analogia e omologia, rifacendosi al significato loro attribuito in biologia, quindi tra corpo umano ed edificio vi è analogia, tra casa e città omologia.

grande casa. Il termine di confronto viene identificato in un sistema insediativo aperto, dovuto alla sperimentazione progettuale del gruppo Candilis Josic Woods per la realizzazione della Freie Universität a Berlino (BFU). Una sequenza ravvicinata tra la costruzione dell‟Orphanage, terminata e divulgata nel 1959 e la presentazione della proposta progettuale vincitrice del concorso per la Freie Universität nell‟autunno del 1963. In questo lasso di tempo si definisce l‟intervallo per individuare se vi siano stati, ed eventualmente quali siano, gli elementi di riflessione comune che abbiano avuto continuità tra le due opere. Si dovrà comunque partire dalla formazione e dagli obiettivi comuni che sono stati precedentemente elaborati prima nel CIAM15 e poi nel team 1016, cercando una base comune di azione per intendere quali furono gli equilibri culturali tra architetti che operarono in un confronto diretto.

L‟indagine trova un punto fermo nel fatto che si tratta del medesimo tipo insediativo, definito da un prevalente sviluppo orizzontale dei volumi, basato su una maglia regolare, che aggrega, secondo un principio iterativo, più unità funzionali in un organismo edilizio di ordine superiore alla somma delle singole parti. La definizione del tipo specificato non ha trovato una denominazione consolidata, se non a posteriori, con il termine inglese mat-building ulteriormente specificato come matrix, dizione che

risulta la più aderente per questo fenomeno insediativo. Altre dizioni come kasbhaism sono intervenute, con accenti critici, a contrassegnare l‟effetto

di densificazione a sviluppo orizzontale dei tessuti edilizi con cui si manifestava questa tendenza. Infine nella pratica corrente ci si riferisce a termini come piastra o griglia per intendere tipi edilizi che hanno evidenti affinità con il tipo-matrice. L‟inserimento nel dibattito disciplinare del termine „matrice‟ interviene in ogni modo, quando il fenomeno si era di fatto concluso, in occasione degli incontri per la realizzazione della BFU nel 1973 e comunque è una denominazione non immediata e ora sostanzialmente rimossa dal lessico disciplinare. Infatti, nel periodo del suo sviluppo, il tipo insediativo oggetto di studio non ha un nome definito e

15 Congrès Internationaux d‟Architecture Moderne. 16 Si specificheranno nei capitoli successivi le modalità operative del gruppo di architetti raccolti attorno al team 10. Qui si vuole solo specificare che il lavoro non è rivolto a verificare le dinamiche dei gruppi di architetti, ma alla costruzione e quando si sposta ad affrontare le evoluzioni teoriche, che in questo fenomeno hanno avuto un ruolo determinante, definisce la lettura delle teorie tramite le costruzioni.

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comprensivo, per quanto la tendenza che individuava fosse esplicitamente riconosciuta da una equipe disciplinare.

Un fenomeno quello degli insediamenti a matrice che ha un inizio e una fine, intesa come rilievo nel dibattito disciplinare, in quanto il tipo rimane poi „dormiente‟. Il fenomeno appare e scompare con una velocità ancor più rapida, quasi come una „moda‟, ma moda non è, appartiene anzi a quei fenomeni senza storia che potrebbero potenzialmente riapparire, qualora le condizioni sociali e culturali dessero un nuovo impulso umanistico alle interrelazioni tra individuo e collettività. O forse proprio per questo motivo irripetibile, in quanto la dimensione ideologica messa in campo era la combinazione di fattori la cui ricomposizione appare oggi improbabile; così come per Woods il Falansterio rappresentava uno stile di vita, completo di un‟adeguata architettura, per un uomo nuovo nel XIX secolo allo stesso modo il dibattito degli architetti nel dopoguerra era rivolto a „a new type of man‟. Il grado di associazione tra le attività umane era il problema in discussione sul versante ideologico; l‟architettura iniziava un‟evoluzione di cui gli architetti divenivano interpreti. Questa condizione eccezionale, riconoscibile con intensità nei documenti per un breve lasso di tempo attorno l‟inizio degli anni sessanta, proprio in quanto eccezione, può contenere con evidenza una relazione tra un senso e un tipo che interpretava queste „nuove‟ esigenze sociali. Durante la ricerca il tentativo di cogliere le tensioni tra senso e tipo è stata come la „fondazione‟ del testo, ha indirizzato la scelta degli argomenti, ma un riferimento diretto si troverà solo alla fine del lavoro, nella terza parte, come emersione di relazioni del significato di continuo e discontinuo nella rigenerazione del rapporto tra spazio e tempo; così da riconoscere quanto il tipo a matrice abbia assecondato la sperimentazione progettuale che rifletteva due scoperte del secolo: la relatività e la reciprocità.

L‟ipotesi di lavoro era sostenuta da motivazioni che hanno resistito lungo il suo svolgimento, consistenti nel tentativo di esplorare i confini tra architettura e città in un preciso momento storico; un periodo in cui questo confine era assediato da un intenso impulso di trasformazione della società. Questo scenario presupponeva nell‟ipotesi di ricerca una verifica delle interrelazioni tra architetto e società, e ha portato a ridurre la complessità della congiunzione „e‟ tra i due soggetti (di cui solo il primo qui sarà oggetto di ricerca) nei termini di senso e tipo, con l‟aspettativa, entro questi limiti, di comprendere gli argomenti della società all‟interno dei temi disciplinari dell‟architettura. Senso e tipo ricreano tra loro la tensione che si

esprime nella congiunzione contenuta tra architetto „e‟ società e nell‟ipotesi di ricerca si affida a questa prima serie il ruolo di considerare la reciprocità tra gli strumenti impiegati nelle sperimentazioni progettuali e le aspettative che gli architetti raccoglievano dalla società.

Il lavoro di ricerca ha portato a riconoscere con continuità lungo tre diverse fasi, critica-analitica-„supplementare‟, la convergenza nel definire una forte consequenzialità tra opera e contesto sociale, „costruire per uomini e non per gli dei‟, usando una proposizione che tiene assieme alcuni dei protagonisti di queste vicende17. La relazione tra l‟oggetto e il suo contesto viene affrontata in entrambe le direzioni dall‟oggetto verso le sue condizioni culturali di esistenza e, nel verso contrario, di come l‟oggetto influisce nella modificazione del dibattito disciplinare. Si è sentita la necessità di frazionare il resoconto della ricerca in tre parti, coglibili nel porsi con diversi punti di vista, il primo criterio è rappresentato dall‟alternativa diacronico-sincronico, e poi, sulla scorta di questo primo lavoro di organizzazione dei materiali, si attiva una rilettura sulla base della coppia oggettivo-soggettivo. Struttura

0.00.03 L‟organizzazione del testo è articolata in tre parti, corrispondenti a tre livelli di considerazioni che, per quanto abbiano richiesto un‟interfaccia continuo, esprimono altresì diversi domini della riflessione sulle opere. Il primo livello dell‟indagine è costituito da ripetuti sopralluoghi e rilievi fotografici, e in questa fase riveste notevole importanza anche l‟osservazione dei materiali fotografici che illustrano le vicende degli edifici e ne restituiscono la vita e le trasformazioni. L‟operazione di ridisegno delle sezioni orizzontali e verticali degli edifici offre un necessario e privilegiato livello d‟indagine delle caratteristiche organizzative, costruttive e tecnologiche. Questo livello rappresenta la dimensione che può presumere una piena conoscenza, mentre si ritiene che i casi di studio ambiscano a comprendere fenomeni con un grado di complessità eclissato allo sguardo analitico, limitato alle caratteristiche fisiche dell‟artefatto. La ricerca tuttavia inizia ed è motivata dalla dimensione fisica degli artefatti oggetto di studio. La lettura di altre forme di espressione dei progettisti ruota attorno a questo interesse e viene affrontata per riconoscere la coerenza tra intenti ed esiti.

17 Ci si riferisce a Le Corbusier che cita una frase di Marcel Griaule, ed Ecochard che in parte la riprende; questioni sviluppate successivamente nel testo.

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Il punto di riferimento per ciascun dubbio, ciascuna svolta nel corso del lavoro, ha avuto come riferimento la realtà fisica interpretabile dalle due realizzazioni per poi espandersi su altri livelli di lettura.

Il secondo livello attiene allo „spazio mentale‟ in cui si è sviluppato ciascun progetto18. Possiamo avvicinare questi luoghi, senza pretese di misurarne la distanza in termini assoluti, ma solo in rapporto alla relazione tra loro19. Questa distanza può risultare attenuata in procedimenti progettuali razionali oppure dilatarsi di fronte alla rivendicazione dell‟architetto alla propria immaginazione, resta comunque una distanza per quanto macro o micro, la cui evidenza si rileva tramite „congetture inconfutabili‟20. I percorsi d‟interpretazione possono iniziare seguendo la ricostruzione dei processi progettuali o tornare sulle pagine dei libri, aprirsi alla contemplazione di un cristallo, sempre comunque compresi nella forbice tra intenti ed esiti. Questa sezione conclusiva della ricerca interviene sulla questione dell‟interpretazione del tempo; come diverse posizioni sull‟intendere il proprio tempo influiscano sulle caratteristiche fisiche degli edifici, per sondare in che modo la concezione del tempo individua in ciascun autore un proprio modo di intendere l‟architettura. Un‟operazione, che si vuole eseguire senza i vincoli di dover dimostrare, eventualmente mostrare, oppure semplicemente provare ad avvicinarsi al punto di sintesi delle componenti soggettive nella concezione architettonica. Non è possibile rinunciare a cogliere questa dimensione del tempo in cui ciascun architetto opera, poiché contiene la chiave di lettura del rapporto su cui viene fondato il suo agire, ma al tempo stesso va tenuta distinta dalla realtà dei fenomeni insediativi. “…Non possiamo comprendere il mondo 2 [esperienze mentali], cioè il mondo popolato dai nostri stessi stati mentali, senza comprendere che la sua principale funzione è quella di produrre oggetti del mondo 3 [prodotti della mente umana], ed essere soggetti all‟azione di oggetti del mondo 3. Il mondo 2 interagisce infatti non soltanto con il mondo 1 [oggetti fisici], come pensava Cartesio, ma anche con il mondo 3; e oggetti del mondo 3 possono agire

18 Potremmo definirlo come il “luogo degli stati mentali” che attribuiamo agli autori. 19 Quelle che nello strutturalismo vengono indicate come relazioni topologiche. 20 Per accentuare il livello soggettivo di tale sezione conclusiva del presente lavoro si ricorre a un ossimoro e alla libertà concessa a tale figura retorica per tenere assieme fenomeni opposti (anche se in Karl Popper l‟inconfutabilità non è una virtù ma un difetto).

sul mondo 1 soltanto attraverso il mondo 2, che funziona da intermediario.”21

L‟utilizzo dei rapporti indicati da Karl R. Popper per “il problema corpo-mente” è la guida utilizzata per la distinzione dei tre livelli su cui opera la ricerca; il terzo livello allora è quello che contiene oltre gli stati fisici e quelli mentali ciò che viene fatto dall‟uomo e l‟autonomia che questo mondo 3 acquisisce tramite le conseguenze non intenzionali dei suoi prodotti. Il mondo 3 di Popper comprende allora “un‟automobile, un grattacielo, un libro o, cosa più importante di tutte, un problema e una teoria”22. La necessità di riflettere in un luogo intermedio e autonomo, in cui si scambiano le conoscenze, costituisce un‟attitudine per prendere la misura tra le cose in sé e gli avvenimenti in cui si inseriscono. Il riferire il mondo 3 al corpus disciplinare dell‟architettura23 rivela anche l‟ulteriore opportunità di liberare potenzialità per scoprire un racconto anche sul mondo 2, che rappresenta l‟attività mentale dell‟architetto. In questo studio ciò che si raccoglie da Popper è principalmente una questione, la quale consiste nell‟autonomia del mondo 3, il considerare un luogo dove i pensieri si influenzano a vicenda, malgrado noi.

La questione è centrata sull‟interesse a considerare la crescita della conoscenza in architettura e quindi di superare la dicotomia tra soggettivo e oggettivo. In un modo somigliante, ma da un altro punto di vista, Gilles Deleuze esprime una simile esigenza nella definizione dei criteri d‟identificazione dello strutturalismo: “Quindi il primo criterio dello strutturalismo è la scoperta e il riconoscimento di un terzo ordine, di un terzo regno: quello del simbolico. Il rifiuto di confondere il simbolico con l‟immaginario, come con il reale, costituisce la prima dimensione dello strutturalismo”24. La definizione dei criteri di organizzazione dei materiali e delle riflessioni è intervenuta nel corso dell‟elaborazione ed è in

21 Karl R. Popper, La conoscenza e il problema corpo-mente, il Mulino, Bologna 1994, pag. 17. 22 Ibidem, pag. 67. 23 Come viene proposto da Carlos Martì Aris in Le variazioni dell’identità – il tipo in architettura, CLUP, Milano 1999, pagg. 30-39. 24 Gilles Deleuze, Lo strutturalismo, Rizzoli, Milano 1976, pagg. 13-14. La diversità tra i riferimenti culturali che ricorrono nel testo può essere avvertita come un‟incapacità di scegliere la propria strada, e confondere ambiti di pensiero; qui si è posta a contatto da subito questa attitudine a „vagabondare‟ tra le discipline con la ricerca di punti di tangenza.

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conseguenza di un approccio frazionato, definito dagli argomenti che la ricerca ha sollevato, che si è tentato di trasformare la somma degli argomenti in testo. Poi ci si è accorti che questa volontà di tenere il discorso svolto su tre livelli aveva molto a che fare con una pagina, mai dimenticata, di Calvino posta alla fine di Palomar, un supplemento posto lì dove, oramai a lettura conclusa, non ci si aspetta più nient‟altro, ma che inatteso sollecita a ricominciare il testo da capo.

Il terzo livello tratta dei contributi teorici intervenuti come patrimonio comune dei progettisti impegnati nella realizzazione dei casi di studio ed è suddiviso in capitoli che distinguono quattro periodi: la definizione di basi comuni con l‟emergere del „problema dell‟habitat‟; la prima realizzazione (Orphanage); il dibattito intercorso; la seconda realizzazione (BFU). Ciascun capitolo è scandito in paragrafi che commentano i principali avvenimenti e costituiscono la prima sezione dello scritto dal titolo Successione e analisi degli eventi. La seconda sezione si rivolge allo studio comparato degli edifici, restringendo il campo d‟indagine attivato dalle loro valenze costruttive, che corrisponde al primo livello di cui sono stati individuati i criteri di ricerca. Infine nella terza sezione, riferita agli stati mentali, dal titolo Interpretazione del tempo, si cerca una conclusione nella

soggettiva inclinazione di ciascun progettista a interpretare il proprio tempo.

Il resoconto della ricerca risulta così suddiviso in tre parti che hanno un ordine nel testo individuato per ricostruire la consecutività tra gli avvenimenti, ma non corrisponde alle fasi di sviluppo della ricerca che è iniziata con la comparazione dei due artefatti, così come l‟impulso a iniziare il lavoro è contenuto nella verifica dell‟ipotesi sull‟interpretazione del tempo, contenuta nella sezione conclusiva. Di fatto l‟ordine degli argomenti così come è organizzato nel testo risulta rovesciato rispetto all‟organizzazione con cui il lavoro di ricerca è stato portato avanti e scontando alcune ripetizioni nelle tre sezioni si è cercato di tenerle tra loro relativamente indipendenti, così che la lettura possa essere limitata a ciascuna sezione ed eventualmente alterata. Riconoscendo l‟autonomia relativa di ciascuna sezione rispetto a un punto di vista, si è cercato al tempo stesso un livello di coerenza interna. Il resoconto della ricerca trova in una suggestione, che ha percorso a tratti l‟intero testo, un suggerimento per esprimere i criteri di organizzazione delle tre sezioni corrispondenti alle tre fasi di un lavoro che in termini figurati, appunto, possiamo indicare come filare, stendere l‟ordito e passare alla tessitura. Questo per cercare di

aumentare la comprensione di un testo che, consapevolmente, ha un limite nella sua leggibilità, in quanto contiene la somma di argomenti disposti in modo estensivo e riflessioni rivolte a scorgere le loro potenzialità intensive. L‟esito di un procedimento estensivo e intensivo, definito tramite i due nuclei tematici di senso-tipo, e rivolto ad argomenti e riflessioni imbastite

tra loro in un progetto mai concluso .

Alcune mesi fa, nel mezzo della stesura del rendiconto di questa ricerca, Joseph Rykwert durante una conversazione allo IUAV parlando del suo libro L’idea di città aveva esordito affermando che per scrivere un libro bisogna essere contro qualcosa; la sostanza del discorso era evidentemente legata a riflettere il contesto in cui si inseriva il suo libro. A lezione terminata, quando questa necessità di dover essere contro è tornata alla memoria, una considerazione analoga, di Deleuze, esattamente di segno opposto, “nessun libro contro qualcosa ma sono utili solo i libri per… qualcosa di nuovo e che sanno produrlo”. Cosa dire. Certo l‟uno si riferiva allo scrittore e l‟altro al lettore, ma la cosa più interessante è che rispetto all‟agire i criteri sembrebbero incrociati, per cui chi è contro unisce e chi separa è a favore. Deleuze seziona freddamente, per esempio, i racconti di Alice e Rykwert tende a unire in una storia le vicende di mille città. Questo episodio poi nel corso del lavoro è divenuto una condizione costante, dover scegliere se essere per o contro è stata la condizione permanente e necessaria in cui la comparazione delle due opere ha posto, con la consapevolezza della difficoltà di mantenere l‟equilibrio di giudizio. Si è scelto, anche in questo caso, di non cercare la conclusione, poiché si ritiene che questa sospensione tra ‟per e contro‟ sia la condizione d‟impulso di un progetto di ricerca.

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INDICE

SUCCESSIONE E ANALISI DEGLI EVENTI 1.01 Habitat

1.01.01 Esame di recupero 1.01.02 Casablanca e l‟emergenza del grande numero 1.01.03 Immaginazione come nesso tra vita e arte 1.01.04 L‟approccio ecologico 1.01.05 The greater reality of the doorstep

1.02 Sulle spalle dei giganti

1.02.01 Crisi (e perdita) d‟identità 1.02.02 Anomalie 1.02.03 Autonomia e riconciliazione 1.02.04 Knowledge is a servant of thought and thought is a

satellite of feeling

1.02.05 Rettifiche 1.03 Dialoghi costruttivi

1.03.01 Altre idee 1.03.02 La sfera architettura-città 1.03.03 Il cliente anonimo: intenti ed esiti 1.03.04 The door to the future must be left open

1.03.05 Città e Società, trasformazioni reciproche 1.03.06 Il dattiloscritto di Clarissa Woods 1.03.07 Riflessioni sul dominio della città

1.04 Nuova dimensione insediativa

1.04.01 I limiti dell‟Architettura 1.04.02 Processo di trasformazione del sistema insediativo 1.04.03 La trama urbana 1.04.04 Il nuovo paradigma 1.04.05 Un progetto di frontiera

LETTURA COMPARATA DEGLI ARTEFATTI 2.01 Sequenze di avvicinamento

2.01.01 Relazioni con il contesto (cercate e/o trovate) 2.01.02 Modi d‟uso: efficienza e trasformazioni 2.01.03 Osservazioni in dettaglio

2.02 Dai requisiti funzionali ai principi progettuali

2.02.01 L‟Orphanage: un caso difficile 2.02.02 La varietà rigorosa, una tessitura composta 2.02.03 BFU: nuovi modelli organizzativi per l‟università 2.02.04 L‟ordine flessibile, la maglia a due scale Modulor + M 2.02.05 Lo spazio in funzione del tempo

2.03 Concezione dello spazio

2.03.01 Notte e giorno 2.03.02 La strada interna 2.03.03 A bunch of places

2.03.04 L‟edificio come strumento 2.04 Procedimenti progettuali

2.04.01 Il processo compositivo dell‟Orphanage: pensiero obliquo 2.04.02 I dieci punti del paradigma di un‟equipe per la BFU 2.04.03 Confronto

INTERPRETAZIONE DEL TEMPO 3.01 Aldo van Eyck e “gli incontri con Ogotemmeli” 3.02 Shadrach Woods e il ritorno al mito della quarta dimensione

3.03 Tipo e senso

3.04 L‟archeologo del futuro