SENSO E TIPO 3 Di 4 Lettura Comparata Degli Artefatti

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Massimo Vianello SENSO E TIPO Modi di comprendere la crisi tra passato e futuro: la Casa dei Bambini di Amsterdam e la Libera Università di Berlino 3 / 4 LETTURA COMPARATA DEGLI ARTEFATTI

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Massimo Vianello

SENSO E TIPO Modi di comprendere la crisi tra passato e futuro: la Casa dei Bambini di Amsterdam e la Libera Università di Berlino

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LETTURA COMPARATA DEGLI ARTEFATTI

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LETTURA COMPARATA DEGLI ARTEFATTI

2.01 Sequenze di avvicinamento

2.01.01 Relazioni con il contesto (cercate e/o trovate) 2.01.02 Modi d‟uso: efficienza e trasformazioni 2.01.03 Osservazioni in dettaglio

2.02 Dai requisiti funzionali ai principi progettuali

2.02.01 L‟Orphanage: un caso difficile 2.02.02 La varietà rigorosa, una tessitura composta

2.02.03 BFU: nuovi modelli organizzativi per l‟università 2.02.04 L‟ordine flessibile, la maglia a due scale Modulor +

misura 2.02.05 Lo spazio in funzione del tempo

2.03 Concezione dello spazio

2.03.01 Notte e giorno 2.03.02 La strada interna 2.03.03 A bunch of places 2.03.04 L‟edificio come strumento

2.04 Procedimenti progettuali

2.04.01 Il processo compositivo dell‟Orphanage:pensiero obliquo 2.04.02 Il paradigma di un‟equipé per la BFU in dieci punti 2.04.03 Confronto

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SEQUENZE D’AVVICINAMENTO

Relazioni con il contesto (cercate e/o trovate!)

2.01.01

Le condizioni all‟intorno dell‟Orphanage di Amsterdam sono ora profondamente mutate da come appare nelle immagini pubblicate all‟indomani della conclusione dei lavori nel 1960 [mat. ril. 2.a]. Infatti, anche in considerazione del fatto di trovarsi sulla direttrice dell‟aeroporto di Schiphol, quest‟area ha avuto negli ultimi trent‟anni un intenso sviluppo edilizio. Oltre alla presenza di edifici direzionali realizzati recentemente, il carattere dell‟area viene rimarcato da tre elementi, di cui il più rilevante volumetricamente è lo stadio olimpico. Il secondo elemento è lo spazio aperto che lo stadio richiede attorno agli accessi principali, il quale viene tagliato dalla Amstelveenseweg a definire uno spazio dal carattere incerto anche a causa del tracciato sinuoso della strada che prosegue oltre il ponte sul Zuider Amstel Kanal. L‟Orphanage è situato subito dopo il ponte. Lo stadio e il piazzale sono la parte conclusiva della città consolidata, così come si presentava nell‟immediato dopoguerra, a cui l‟Orphanage è più direttamente in relazione. Il terzo elemento è costituito da un perimetro di diverse componenti infrastrutturali che delimitano un sedime omogeneo i cui bordi sono costituiti a est dall‟Amstelveenseweg, con una sezione stradale che si è progressivamente ampliata, dal canale Zuider Amstel verso nord e da altri due tracciati, quello della ferrovia (ora utilizzato come rete metropolitana) diretto in direzione nord-sud e uno di grande rilievo per l‟assetto viabilistico della città, sviluppato nel dopoguerra, ma presente a livello di tracciati già nel piano di van Eesteren (1935), che raccoglie verso sud il traffico stradale di grande scorrimento (A10 e ferrovia). Un‟area d‟intervento chiaramente definita nei suoi bordi che nel 1954, quando è stata prescelta per la collocazione dell‟Orphanage, a scala urbana costituiva la parte conclusiva di una lunga fascia di verde in attesa di definizione che oltre la Amstelveenseweg proseguiva fino all‟Amstel.

Alla scala dell‟intera città questa fascia costituisce un‟area di parziale sviluppo residenziale, un‟area interposta, una sorta di „intervallo‟ tra l‟anello delle infrastrutture e il bordo dell‟ampliamento di Amsterdam Sud [mat. 2.01.01b] disegnato da Hendrik Petrus Berlage. Il piano Berlage del 1915 prevedeva di occupare interamente questa fascia oltre il Zuider Amstel Kanal, poiché data la conformazione a semicerchio di Amsterdam costituiva la maggiore potenzialità di sviluppo della città. Tuttavia gli

interventi si fermarono sul bordo interno del canale, per poi proseguire secondo le indicazioni del piano di van Eesteren, in cui l‟area che occuperà l‟Orphanage viene destinata a verde, come fondale dello stadio olimpico realizzato per i giochi del 19281. Lo stesso van Eesteren, con la collaborazione per il progetto architettonico di Jan Wils, progetterà questa attrezzatura pubblica composta da ampie pareti in mattoni, disegnate da sottili corsi di pietra. Le pareti che definiscono il volume dello stadio

1 Nel piano di Berlage per Amsterdam Zuid del 1915 [mat. 2.01.01b] (AA.VV, Hendrik Petrus Berlage, Edizioni La Biennale, Venezia 1986, pag. 134; catalogo della Biennale in occasione della mostra del 1986 a villa Farsetti) compare nella parte occidentale un quasi-ovale campito con il colore rosso, che identifica le preesistenze poste a est della Amstelveenseweg nello spazio in cui ora vi è il grande piazzale antistante l‟attuale stadio e la prima schiera di edifici residenziali. Questo spazio indefinito e la piazza che viene ritagliata costringe la strada a una curva a gomito per recuperare la continuità con la strada oltre il ponte verso sud. Si presume ciò sia dovuto al fatto che durante le opere di realizzazione del nuovo stadio sia stato mantenuto in funzione l‟edificio preesistente successivamente demolito. Lo spazio vuoto coincide in parte con il primo stadio e le relazioni tra i due edifici possono essere la chiave per intendere lo sviluppo dell‟area tra il 1915 e il 1928. Un‟altra osservazione riguarda l‟orientamento dello stadio esistente prima del 1928, che risulta impostato sull‟asse est-ovest, mentre il successivo viene ruotato secondo i requisiti di orientamento adeguati al gioco del calcio e atre attività. Per affrontare le vicende di Amsterdam Zuid, e in particolare il piano del 1915 sembra che la collocazione del primo e del secondo stadio siano un punto di partenza soprattutto per quanto riguarda l‟organizzazione dell‟area ovest rispetto il disegno dell‟Amstellaan. L‟inserimento della geometria del primo stadio ha un considerevole influenza nelle variazioni dei tracciati stradali e il loro discostarsi dalla geometria definita dalla parte occidentale. Berlage infatti deve ricorrere a successivi aggiustamenti per raccordarsi alla geometria che segue la disposizione del primo stadio, anzi questo sembra aver fornito la scintilla per definire il tridente nord-sud che consente di integrare la sola rilevante figura urbana esistente nel suo disegno complessivo escludendo, quindi, una relazione geometrica diretta con il disegno dell‟Amstellaan. Van Esteeren, che si occupa anche del disegno complessivo dell‟area del nuovo stadio, ha l‟occasione di riportare lo stadio sulle tracce dell‟Amstellaan il cui asse è ora parallelo a quello della strada disegnata da Berlage. Queste considerazioni emergono in modo evidente verificando le variazioni geometriche degli assetti stradali riportati in alcuni disegni preparatori dal 1913 al 1915 redatti dall‟ufficio tecnico sotto la direzione di Berlage; van Eyck, che dal 1947 al 1949 lavora presso gli uffici di van Eesteren, allora direttore dell‟ufficio comunale per l‟urbanistica, avrà avuto modo di verificare i passaggi di questa vicenda e quindi possiede una maggior consapevolezza della rilevanza della figura dello stadio nell‟evoluzione del disegno di questa parte di città.

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seguono a tratti la conformazione curvilinea della pista interna e i volumi squadrati delle tribune articolano la grande massa edilizia, dichiarata dalla continuità dell‟anello superiore delle tribune, frazionate ad arte nella fascia basamentale. L‟introduzione di ampi varchi di accesso evidenzia l‟abilità compositiva di Wils nel tenere assieme le grandi superfici in laterizio, fino alla definizione dei dettagli costruttivi dei cancelli d‟ingresso. Lo stadio ha un ruolo rilevante nella forma urbana della parte sud della città anche in quanto completa a ovest l‟opera iniziata all‟estremità opposta da Berlage composta dalla „Y‟ di cui l‟Asmtelaan costituisce la base della ipsilon e l‟edifico a torre (Wolkenkrabber) di Jan Frederick Staal il vertice del

sistema urbano. Si viene così a costituire un insieme con inizio e fine formalmente incisivo e definito che a sua volta esprime in maniera evidente ciò che viene escluso ciò che è estraneo al sistema, fuori della città. Il sedime dell‟Orphanage pur essendo ora circondato da edifici pluripiano rende conto di essere stato pensato e realizzato per essere fuori della città per quanto confinante con il suo limite, una considerazione che risulta evidente osservando la principale cartografia della città prodotta prima della seconda guerra mondiale, dove lo stadio fissava il margine inferiore della mappa. [mat. 2.01.01c]

Nelle lettere di Franz van Meurs, direttore dell‟Orphanage e committente di van Eyck, il desiderio e l‟ambizione più radicati nel direttore è di portare i suoi giovani ospiti al di fuori della città, a contatto con la natura dove possano giocare e muoversi liberamente nel verde. E quell‟area rispondeva allora specificamente ai requisiti. Le conseguenze vanno colte sino in fondo perché sono costitutive del fondamento del progetto. La condizione per elaborare a quella scala una omologia tra lo spazio urbano e l‟edificio era resa sostanziale dal fatto che si era fuori della città2. Ma al tempo stesso l‟area di progetto non era posta in una posizione marginale, anzi la strada su cui si affacciava conduceva verso le aree ricreative più a sud, così come una grande attrezzatura urbana come lo stadio creava una consistente affluenza di persone, fattori che van Eyck annota tra i pregi di quella particolare ubicazione. L‟attenzione di van Eyck alle condizioni contestuali è uno dei punti rilevanti delle sue attitudini

2 In conclusione di questo lavoro si evidenzierà come in Alberti e soprattutto in Palladio l‟omologia casa-città verrà inserita nei trattati nel punto in cui si affrontano le caratteristiche delle case di campagna.

progettuali: nelle due principali relazioni3 che elabora sull‟Orphanage la descrizione si concentra non solo sull‟entità fisica degli artefatti che lo circondano, ma sulle azioni che si svolgono attorno. Il suo punto di vista nel descrivere non è statico, ma si muove nel tempo a seguire il paesaggio umano che circonda quel luogo. La descrizione di van Eyck consiste nel riportare un dialogo visivo tra ciò che i bambini trovano attorno alla loro nuova casa per poi suggerire di portare uno sguardo anche dagli aeroplani che a bassa quota sorvolano la zona4. In apertura della seconda versione della relazione si aggiunge una parola alla frase che, dopo la parte che fornisce le coordinate di individuazione del luogo, apre il commento vero e proprio: emphatic. “The site content is simple and emphatic”5. Il commento

risulta a sua volta enfatico nel far valere il senso di contemporaneità, di come le condizioni ambientali che gravitano attorno all‟edificio siano rappresentative della metropoli del giorno d‟oggi, così da escludere l‟intenzione di voler creare una condizione di isolamento e rifugio, ma anzi tenere attiva la tensione tra gli spazi interni dell‟edificio e la complessità dell‟intorno, il movimento, la folla, il rumore che esprime, “place near and far are present here”6.

La questione di considerare il punto di vista dall‟alto e in movimento

sono quindi due chiavi di lettura già fornite dalla relazione del progettista. Nel disegno scarno che illustra la situazione planimetrica compare, campita in nero, la sagoma articolata dell‟Orphanage disposta in prossimità dell‟incrocio delle strade e il canale che lambisce una metà dell‟ovale dello stadio; altri due oggetti compaiono come elementi di riferimento, due aeroplani che segnalano chiaramente la rotta di atterraggio7. Una selezione motivata di riferimenti che preclude una disponibilità generica a considerare indistintamente più ruoli che non quelli assegnati e circoscritti dal progettista, sebbene l‟atteggiamento sia prevalentemente inclusivo nel corso del processo progettuale [mat. 2.01.01d]. Vi è anche una relazione che lega i tre oggetti del disegno, gli aerei in volo e la sagoma nera che,

3 La prima descrizione verbale a Otterlo e poi trascritta nel catalogo (CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit.) e una successiva per “Forum”, n. 6-7, 1960-61 (op.cit.) dal titolo De milde raderen van de reciprociteit – The medicine of reciprocity tentatively illustrated. 4 Posta sulla traiettoria dell‟aeroporto in prossimità della pista di atterraggio. 5 “Forum”, n. 6-7, 1960-61, op.cit., pag. 89 6 Ibidem. 7 Una planimetria (pubblicata in Lefaivre and Tzonis, Aldo van Eyck Humanist Rebel, op.cit.) riporta anche in grigio le scie di atterraggio [mat.2.01.01d].

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disposta con l‟intreccio della sua figura lungo la dirittura di atterraggio degli aerei risulta geometricamente evidente; un‟altra combinazione è il rapporto dimensionale che lo stadio e la sagoma articolata dell‟edifico mettono in gioco, la relazione tra grande e piccolo. Per enfatizzare la relatività delle dimensioni fisiche, un‟altra convinzione di van Eyck – usando il punto di vista sospeso dall‟aereo – si riconosce che la contiguità del nuovo artefatto fa sembrare, a chi osserverà dall‟alto, lo stadio un po‟ meno piccolo visto assieme a tante piccole cupole e al tempo stesso una moltitudine di cupole che può essere contenuta nel vuoto definito dall‟ovale. Il vedere piccolo dal finestrino dell‟aereo alimenta così un effetto di retroazione sulla lettura delle scelte compositive che viene verificato sugli altri artefatti che ci si trova a osservare. Inoltre, viste le combinazioni tra i tre elementi, ci si potrebbe chiedere se vi sia stata la determinazione a chiudere questo sistema di relazioni tra i tre oggetti (la casa dei bambini, lo stadio e l‟aereo), con una mutualità che ricorda le relazioni già osservate tra i tre attori sulla scena urbana “the city, the child and the artist”8 [mat. 2.01.01f]

Il discorso progettuale, almeno per quanto riguarda gli aspetti di

relazione con l‟intorno, proprio per il suo obiettivo di rappresentare città ed edificio al tempo stesso richiede di cercare al suo interno la propria referenzialità. La tendenza all‟introversione, caratteristica decisiva del tipo insediativo che si stava definendo, comporta la riconoscibilità della comunità insediata. Si potrebbe così ritenere che le ragioni del progetto possano limitarsi alle relazioni interne e a osservare con distacco l‟eloquente narrazione urbanistica che le vicende dei precedenti piani per Amsterdam Sud istituivano in modo inequivocabile per l‟intera cultura urbanistica. L‟attenzione rivolta da Giedion alle vicende urbanistiche di Amsterdam come luogo di “rinascita” della disciplina dal 1900 a oggi9 è emblematica in questo senso per la continuità operativa. Le argomentazioni di Giedion si rivolgono alla „riforma‟ del ruolo della strada residenziale intesa come spazio pubblico per il piano di Berlage e poi, tramite un processo di miglioramento progressivo arrivano alla definizione dei nuovi strumenti dell‟urbanista, con un‟analisi del piano di ampliamento

8 In questo caso, non trattandosi di “ourselves” che possono possedere l‟immaginazione, questa va richiesta a chi osserva. 9 Sigfried Giedion, Space, Time and Architecture, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1954; trad. it. Hoepli, Milano 1984, pagg. 683-704.

del 1934 eseguito dall‟ufficio dei lavori pubblici10. La rilevanza della componente analitica nelle previsioni di piano porta a una distinzione funzionale delle parti residenziali che vengono ridisegnate secondo i contributi acquisiti dallo studio del singolo alloggio e separate dalle attività commerciali e artigianali, secondo un aggiornamento nell‟indirizzo progettuale che aprirà a una serie di questioni rilevanti per cogliere i successivi sviluppi disciplinari. [mat. 2.01.01b])

Il grande isolato, riferimento di Berlage, viene così superato da una

distribuzione aperta dove le aree a verde penetrano all‟interno della residenza e i parchi e le zone ricreative vengono collocati con una distanza minima definita da precisi standard. La descrizione di Giedion si conclude con una affermazione: “Il concetto di spazio-tempo – fondamento di una urbanistica aggiornata – si può già sentire nel tracciato della nuova Amsterdam”. Il peso attribuito da Giedion alle scelte pianificatorie per Asterdam Sud sono quindi emblematiche di una città-campione a cui rivolge le sue aspettative per il futuro e così apre il capitolo successivo, dove, riferendosi alle tesi di van Eesteren, sostiene l‟idea di una città a misura d‟uomo e in trasformazione, una “città che può passare da una condizione statica all‟equilibrio libero di un organismo”11. L‟orizzonte culturale su cui Giedion proiettava nel futuro le illuminanti soluzioni urbane del piano del 1934 era quello delineato da Minkowski12 e in Amsterdam vede l‟inizio del dissolversi delle “pure ombre” e aprirsi la possibilità del cambiamento anticipato dalle scoperte della fisica. [mat. 2.01.01e]

10 Giedion non cita il nome di van Eesteren nel corso della presentazione del piano e utilizza tale presentazione in guisa di modello da seguire per altre amministrazioni con espliciti intenti divulgativi di un atteggiamento progettuale per poi dedicare quindi all‟opera di van Eesteren il capitolo successivo “atteggiamento contemporaneo di fronte all‟urbanistica”. Questa operazione di separare l‟urbanista dalla riconoscibilità immediata del suo lavoro (di van Eesteren) ma come lavoro espressione di una compagine e di una volontà assai più complessa rende conto del ruolo specialistico che l‟urbanistica aveva assunto. Spazio, tempo e architettura, op.cit., pag 706-708. 11 Ibidem, pag. 708. 12 Giedion ricorre due volte alla citazione del brano di apertura del testo di Minkowsi Space and Time: “D‟ora in poi lo spazio in se stesso e il tempo in se stesso sono destinati a svanire trasformandosi in pure ombre; e soltanto una specie di unione delle due entità conserverà una realtà autonoma”, Space, Time and Architecture, op.cit., pag. 14.

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Abbiamo finora allargato lo sguardo su un ambito urbano ampio e sulla sua evoluzione lungo due generazioni di piani per considerare la collocazione del progetto; precedentemente abbiamo avanzato l‟ipotesi di una sintesi progettuale considerando una selezione di tre elementi, la casa dei bambini, lo stadio e l‟aeroplano. In questa preliminare indagine osservata da lontano nello spazio e da vicino alle intenzioni del progettista si richiede di collegare questi due piani, per verificare quali relazioni e il grado di introversione che l‟edifico ha assunto rispetto all‟intorno. La verifica ora è virtuale in quanto molti degli elementi si sono radicalmente modificati: oltre al contesto immediato, l‟intera parte di città ha acquisito un altro ruolo. Perfino gli aeroplani, che attualmente utilizzano due nuove piste adiacenti al nuovo scalo, [mat. 2.01.01d] non ci sono più, così come sono cambiate radicalmente anche le condizioni in cui si rilevava la distinzione tra dentro e fuori della città assegnata dalla cartografia; di fatto si potrebbe dire che l‟edificio progettato nel 1955 non esiste, almeno non esiste più così come era stato concepito, poiché le relazioni di appartenenza e di esclusione che intratteneva a distanza si sono talmente modificate che lo rendono irriconoscibile. Anzi si potrebbe dire che oggi i ruoli si sono invertiti, le masse edilizie degli edifici circostanti lo fanno percepire come un quasi vuoto anziché un pieno dilatato. La ripetizione delle pareti che si allontanano progressivamente dalla strada principale, anziché far sfuggire il fronte dell‟edifico lungo la strada, che verso sud proseguiva nella campagna, perdono il senso di dilatazione della loro ripetizione che diviene all‟inverso una sequenza compatta. Così al profilo con l‟orizzonte aperto (azzurro, nuvole e tramonto), dei cinque volumi rilevati in altezza rispetto al piano verticale delle pareti in laterizio si è sostituita la maglia strutturale di un edificio pluripiano. . E ancora leggendo all‟inverso la scansione dei volumi dell‟edificio nella direzione di ritorno dalle aree verdi verso la città, come introduzione allo spazio costruito, una porta aperta verso la città, diviene uno spazio indefinito o meglio ridefinito dalle tre nuove torri. Un edificio-città, come un animale in cattività, aveva bisogno di un grande spazio per sopravvivere: ora si trova rinchiuso, la relazione più solida percettivamente con il profilo ovale del bordo superiore delle tribune dello stadio è stato rimosso e sostituito da una densa edificazione che si è interposta verso il canale. Rimane un dialogo aperto, ed è il fatto che fa percepire questa condizione di sacrificio, con l‟edificio direzionale denominato “Tripolis”, realizzato dallo stesso van Eyck, dove i tre corpi edilizi articolati lasciano aperto uno varco, aperto nella direzione in cui si estendono a sud i corpi di fabbrica dell‟Orphanage. La sfida progettuale decisiva per gli architetti olandesi del dopoguerra, nell‟insediare nuove

comunità, era la capacità di comprendere la dimensione aperta del paesaggio, confrontarsi con la linea dell‟orizzonte: l‟Orphanage allora coglieva questa sfida, apriva una nuova strada e raggiungeva un traguardo, ma oggi la linea d‟arrivo è stata cancellata. [mat. ril 2.a]

Questo rovesciamento delle condizioni fisiche ci spinge inoltre su

un percorso, da considerare facoltativo, che suggerisce di tornare sul rapporto città-edifcio, riflettendo sull‟inversione del rapporto edificio-città, guardando a questa casa dei bambini come un frammento dell‟universo con le parole di Martin Buber: “His home is that solid fragment man has torn from the frightening infinity of space; it is his shelter from the chaos which ever threatenes to envelope him”13 e seguendo il suo percorso, su cui van Eyck si era inoltrato, ritroviamo la promozione di una città e della relazione dell‟uomo con l‟ambiente urbano ancora rovesciato rispetto ai requisiti espressi dalla città funzionalista disegnata nel 1934. La distanza tra le posizioni di Buber “the house of man for which he really cares stands now between houses…”14 rinvia alla possibilità di indagare un terzo passaggio nell‟evoluzione di Amsterdam Zuid rappresentato da un edificio, ora sempre più piccolo, che voleva divenire città. Questa suggestione di guardare all‟Orphanage come un terzo passaggio evolutivo, interrotto, della città viene sostenuto ovviamente non su ragioni di ordine fisico-dimensionali, ma sul fatto che matura in quegli anni un indirizzo culturale che operava verso un futuro distinto da comunità a carattere “introverso”. Un‟“utopia” di Erwin A. Gutkind15 e Martin Buber che rimuovendo

13Martin Buber, Foreword by Martin Buber, in Erwin A. Gutkind, community and environment, Watts and Co, London 1953. pag. viii. 14 Ibidem. 15 La biografia curata da Francis Strauven su Aldo van Eyck non riporta contatti tra i due sebbene sia evidente la relazione con altri membri del team 10; in particolare Tom Avermaete indica il contributo di Gutkind nel definire l‟approccio per la definizione di Stem, in quanto le tavole esposte venivano riprese dai suoi testi.. L‟attività didattica di Gutkind alla Pensilvania University a Philadelphia dal 1956 potrebbe essere un primo punto e il saggio di Ian McHarg sull‟introversione come elemento di costruzione della città riferito alle case a patio pubblicato su “Architect‟s year Book” nel 1957 è da considerasi un pezzo del puzzle che potrebbe ricomporre quella scena (tenuto conto come già si è riferito che proprio McHarg inviterà nella primavera 1960 van Eyck come visiting professor a Philadelphia). Un altro elemento rilevante da considerare è la sintonia tra Gutkind e Kahn, se torniamo sulla proposizione che più ha colpito dell‟intervento di Kahn a Otterlo “knowledge is a servant of thought and thought is a satellite of feeling” e leggiamo le considerazioni di Gutkind sul

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l‟atteggiamento analitico offre una riflessione complessiva del rapporto tra uomo e ambiente con sorprendenti analogie con le posizioni di van Eyck. Qui non si tratta di definire le possibili influenze16, ma interessa cogliere una teoria che stava affiorando e un artefatto che la poteva rappresentare nell‟evoluzione di quella parte della città. Se poi a prescindere dall‟influenza diretta o meno di Gutkind, l‟intenzione di van Eyck fosse esplicita nel misurarsi con i due campioni in campo (Berlage e van Eesteren) lo si può almeno supporre in quanto conoscendo van Eyck il testo di Giedion era improbabile che questo scenario di un dialogo generazionale a distanza non fosse stato almeno inteso, così come poi dissimulato.

Le caratteristiche fisiche dei terreni che richiedono un rigoroso

regime delle acque, i tempi e i costi di bonifica e la fondazione degli edifici, che richiedono onerose palificazioni, sono gli aspetti materiali che vengono indicati per intendere le ragioni per cui in Olanda non si è percorsa la strada del progetto utopico, ma si è seguita la strada della concretezza costruttiva. Gutkind, nelle sue ricerche sullo sviluppo delle città europee,17 aggiunge a questa reticenza verso l‟utopia le ragioni di una vita permeata da austerità calvinista e democratico egualitarismo, per predisporre alla comprensione dell‟evoluzione della città olandese. Questo è un versante di cui tener conto nel tornare a osservare la chiarezza di definizione delle parti, la necessità di ogni singolo gesto nello sviluppo complessivo di Amsterdam Zuid fino al 1960. Le osservazioni di Gutkind sulle radici dello sviluppo urbano olandese si concludono con lo studio di una città ideale tardo rinascimentale, poiché questo modello esprime l‟atteggiamento verso

ruolo della conoscenza: anche senza il bisogno che coinvolga direttamente il feeling riconosciamo una sintonia che potrebbe trasformarsi in una interessante influenza da definire. Al momento in questa ricerca non sono stati individuati studiosi che hanno approfondito le eventuali relazioni per cui ci si ferma a evidenziare la coincidenza di temi e luoghi. Per alcune utili notizie sull‟attività alla University of Pennsylvania dal 1960 al 1966 si veda Mimi Lobell e John Lobell, La scuola di Philadelphia: una filosofia dell‟architettura, in Alessandra Latour (a cura di) Louis I. Kahn l‟uomo, il maestro, Edizioni Kappa, Roma 1986, pagg. 381-396. 16 Indicate da Jos Bosman che riferisce del ruolo del testo di Erwin Gutkind The expanding Universe attorno al congresso di Aix en Provence e in particolare in van Eyck. Vedi I CIAM del dopoguerra: un bilancio del Movimento Moderno, op. cit., pag.17. 17 Erwin A. Gutkind, Urban Development in Western Europe: the Netherlands and Great Britain, the Free Press New York 1971, pagg. 30-35.

la città di quella cultura. La città ideale di Simon Stevin, con la sua insistita maglia quadrata, potrebbe essere un terreno suggestivo per recuperare da questa concezione iterativa una posizione culturale in cui cercare una radice comune tra l‟Orphanage e la BFU. Il modello urbano che il matematico Simon Stevin propone si avvale delle potenzialità di uno sviluppo longitudinale con un limite definito dalla rete dei canali, ma con l‟estensione del tracciato degli isolati che prosegue indefinitamente nello sviluppo delle fasce longitudinali. Lo schema di Stevin deriva dalla contrapposizione alle piante di città radiale e il suo riferimento diretto era Palma(nova), quindi il medesimo riferimento a cui si contrapponeva Woods nel suo rifiuto delle tecniche compositive18. Il modello della casa ideale di Stevin poi presenta oltre a uno sviluppo tendenzialmente introverso una particolare attenzione agli spazi di distribuzione, prevedendo un percorso pubblico coperto, “looven”, che viene riservato ai pedoni, “tanto poveri quanto benestanti entrambi protetti da carrozze e cavalli”19. La particolarità di questo percorso pubblico rispetto al portico è che non viene ricavato all‟interno del volume dell‟edificio ma corrisponde a una componente aggregata all‟edificio [mat. 2.01.01h]. Vi sono dei tratti comuni tra Stevin e il suo approccio scientifico con alcune questioni sviluppate da Candilis e Woods, anche se non vi sono riscontri documentali della loro conoscenza dei trattati del matematico e costruttore di fortezze olandese. Inoltre abbiamo riconosciuto la loro tensione a fondare i progetti sulle aspettative future, anche se al tempo stesso abbiamo messo in luce che vi era un interesse alla dimensione arcaica dei fenomeni insediativi, ma non verso il passato, inteso come origine, ma come un laboratorio aperto sul cambiamento.

L‟azzardo di questa combinazione dovrebbe venire attenuato dal

confronto con la pianta della BFU. La somiglianza tra i due sistemi di sviluppo urbano esprime questo ordine di “challenge of a new era”20, come Gutkind definisce il progetto ideale di Stevin concludendone la presentazione che si ritiene costituisca un contesto „ideale‟ a cui riferire la BFU. È intrinseco nell‟esemplarità della proposta urbana di Stevin così come per la BFU, di intendere il progetto come applicazione di un sistema. In questo caso non si cerca nell‟area specifica assegnata dal concorso per

18 Non solo certo in questo caso la città di Palmanova è il riferimento per prendere posizione rispetto le potenzialità degli schemi radiali o seriali. 19 Urban Development in Western Europe: the Netherlands and Great Britain, op.cit. 20 Ibidem, pag. 35

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la BFU il supporto delle riflessioni progettuali, ma una combinazione di conoscenze rivolte all‟ambito scientifico, di rigore metodologico e sensibilità a condividere i valori degli atteggiamenti collettivi. La proposta per la BFU e in particolare l‟ipotesi presentata per il concorso nel settembre 1963 non si riconosce per i condizionamenti dall‟intorno immediato, se non per specificare l‟origine dei flussi pedonali di attraversamento e per verificare la dimensione dell‟estensione del sistema nell‟intorno. L‟introversione del sistema, un dimensionamento che dipende da una modularità giocata secondo regole interne al sistema e le sue proprie modalità di crescita, sempre uguale in qualsiasi posizione intervenga, sono evidenti presupposti che fanno ritenere l‟analisi del contesto come un falso punto di partenza. Questo non significa che poi l‟inserimento nel contesto produca un effetto indifferenziato, anzi rispetto ai requisiti posti dal concorso il sistema di Candilis Josic Woods offre le condizioni organizzative più adeguate anche in relazione all‟esterno dell‟università, ma questi aspetti verranno successivamente considerati come effetti e non come causa.

La Freie Universität era stata costituita nel 1948 da un gruppo di

docenti e studenti distaccatasi dalla Humboldt Universität, i quali lasciavano il prestigioso edificio con un monumentale affaccio sull‟Unter den Linden per spostarsi in un‟area residenziale a bassa densità, costitu ita prevalentemente da case unifamiliari lungo il percorso della S-Bahn che conduce a Potsdam21. Il villaggio che dà il nome alla località Da(h)lem risulta quasi sempre fuori campo nella cartografia della città di Berlino: lo ritroviamo sull‟angolo inferiore sinistro, a sud-ovest rispetto a Mitte nella “Karte vom Weichbilde Berlins” del 184822 all‟incrocio tra Thiel Allee e Koenigin Luise Strasse rappresentato da due corpi edilizi disposti a ridosso della strada. Da questo disegno si deduce che al 1848 l‟area non aveva subito interventi di trasformazione oltre al tracciato delle due strade ed era definita dai due villaggi di Stegelitz che veniva già servito dalla Eisenbahn diretta a Potsdam a est e Schmargendorf a nord; gli altri lati erano definiti dalle propaggini del Grunewald [mat. 2.01.01i]. Una situazione dell‟area di studio vicina a quella in cui è stato bandito il concorso si ritrova nella carta di Berlino che verifica la situazione delle distruzioni belliche “Berlin – Kriegsschaeden stand 1945”. L‟assetto viario rappresentato nel 1945 è

21 Individuabile tracciando una linea che congiunge l‟estremità superiore del Krumme Lanke e l‟estremità inferiore del perimetro dell‟aeroporto di Tempelhof. 22 Prodotta da Simon Schropp et Comp. in Berlin.

rimasto sostanzialmente invariato, anche se non compare il tracciato della linea della U-Bahn che in quel tratto corre in trincea mentre, già nel 1963, la linea sarà attiva e le stazioni di Dahlem-Dorf e Thiel-Platz saranno i punti principali di collegamento con la città. Il carattere di Dahlem, sebbene vi siano importanti istituzioni di carattere culturale come un museo e l‟orto botanico, è evidentemente suburbano23 e anche le progressive addizioni24 per l‟università compiute fino al 196125 non facevano altro che accentuare questo aspetto di eterogeneità; quindi il concorso26 per il masterplan, bandito il primo marzo 1963, era il risultato di una variazione di strategia per ottenere una crescita organicamente integrata del complesso universitario.

Gli elaborati grafici di inquadramento territoriale presentati per il

concorso dal gruppo Candilis Josic Woods definiscono dei percorsi di attraversamento dell‟area con caratteri simili a quelli presentati per la proposta urbana di Francoforte. Gli elementi rilevanti che vengono individuati per definire i tracciati sono, oltre alle due stazioni della U-Bahn, la definizione di un asse nord-est sud-ovest che collega le principali sedi universitarie, disposto parallelo al corridoio infrastrutturale costituito dalla strada per Potsdam e dalla Potsdamer Eisenbahn. L‟inclinazione di questo asse27 raccoglie la traccia insediativa più rilevante di quella parte di

23 La tavola di analisi delle densità edilizie del piano di Berlino del 1957 indica una densità inferiore ai 200 abitanti per ettaro. 24 In questa sede si segnala il progetto di Hermann Jansen del 1911 per l‟urbanizzazione dell‟intera area e la creazione di un complesso didattico-culturale, di cui non è stato compiuto approfondimento in quanto non ha comportato significative trasformazioni, a eccezione di tener conto del tracciato della U-Bahn e ininfluente per le scelte a venire. Per approfondire la condizione fondiaria dell‟area si segnala uno stralcio della pianta catastale del Domaene Dahlem che fornisce utili indicazioni degli elementi permanenti del territorio. Vedi AA.VV., Berlin und seine Bauten – Teil V – Band B Hochschulen, Michael Imhof Verlag, Petersberg 2004. [mat. 2.01.01i]. 25 Vedi Berlin und seine Bauten Teil V, op.cit., pagg. 87-99. 26 Il bando di concorso è reperibile presso l‟ufficio tecnico della BFU (FU Dokumentation 1971, Heft 5 S. 64-65). 27 Non si dispone degli elaborati grafici intermedi del progetto e non si conosce se vi siano state previsioni di altre direttrici distributive; dalle condizioni dell‟area per ciò che si è detto sinora si potrebbe anzi escludere tali ipotesi tanto risulta forte e necessaria la direzione trascelta per i percorsi. Anzi una riflessione, anche in riferimento al progetto per Francoforte

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territorio e rimarrà invariata lungo l‟intero sviluppo progettuale che, come si vedrà, richiederà successive approssimazioni lungo i dieci anni necessari per giungere all‟esecuzione del primo stralcio dell‟attrezzatura. Un ulteriore schema organizzativo dimostra le potenzialità di sviluppo del complesso edilizio, oltre al nucleo iniziale rispondente ai requisiti del concorso. La propagazione della matrice che definisce il nucleo di partenza si estende verso nord e verso sud con una tensione volta a riconnettere gli episodi edilizi frammentari che ospitano le altre attività universitarie. Lo stesso bando di concorso richiedeva la previsione di un‟ipotesi di sviluppo più ampia rispetto ai requisiti definiti. Per soddisfare questa crescita, il sistema studiato da Candilis Josic Woods avanza con l‟intenzione di riconnettere le attività adiacenti alle aree libere, e modifica il percorso delle strade che sbarravano il propagarsi del sistema verso sud, prevedendo in particolare l‟eliminazione della Habelschwerdter Allee e la variazione del tracciato della Landottstrasse e il suo parziale interramento. La nuova costruzione conquista terreno superando gli ostacoli per una crescita che oltre allo schema proposto si immagina possa ulteriormente proseguire, così viene esaltata questa opportunità, visto che i requisiti di definizione delle modalità di crescita dell‟organismo edilizio corrispondevano al nodo tematico più rilevante a cui il gruppo aveva dedicato le sue ultime attività. Questa ipotesi progettuale risponde con un manufatto che interviene con un‟unica soluzione per risolvere, e contemporaneamente lasciare aperte, le esigenze organizzative tanto alla scala edilizia quanto a quella infrastrutturale. La costruzione supera così i limiti che l‟assetto viario le impone e acquista per la sua possibilità di crescente espansione un livello di „nuova‟ complessità.

Il „tutto costruito‟ che ne deriva impone un ordine

nell‟organizzazione dell‟area che risponde alle esigenze di integrazione e connette nella sua ipotesi di massimo sviluppo le due aree a verde pregiato dell‟orto botanico e del parco a sviluppo lineare che si prolunga a sud della Landottstrasse e prosegue in direzione del bosco Grunewald. L‟inizio e la fine dei percorsi interni vengono così definiti da aree con un rilevante pregio ambientale con l‟obiettivo (o solo l‟effetto?) di realizzare un forte contrasto tra le aree verdi alle estremità del sistema e la serie delle strade interne parallele disposte in direzione nord-est sud-ovest che le

consiste nel ritenere le condizioni stringenti dell‟assetto organizzativo dell‟area come eventuale sostegno a definire uno sviluppo longitudinale dei percorsi anziché ortogonale.

collegano; un „continuo urbano‟28 della lunghezza di 1.200 m compreso tra il giardino botanico e l‟estremità del bosco. La flessibilità di estensione del sistema, sempre uguale a se stesso, fa ritenere l‟intervento estraneo al contesto in cui si inserisce; d‟altronde il superamento delle condizioni di organizzazione esistenti era già un presupposto assunto dal bando di concorso. Possiamo assumere che in continuità con le caratteristiche del contesto, nel suo assetto fisico e organizzativo, sono stati selezionati solo alcuni requisiti di mobilità che hanno definito i tracciati e il sedime delle strade interne. L‟introversione è la caratteristica dominante della proposta che ridefinisce programmaticamente un altro ambiente rispetto a un esterno che a sua volta non reagisce a questa intrusione. Non reagisce modificandosi a sua volta per un processo di retroazione, come avviene nella città o con le costruzioni in altezza, poiché il carattere della costruzione, dalle sue proporzioni al materiale di rivestimento fino al dettaglio degli ingressi, trasmette questa intenzione di costruire uno strumento che si può modificare nel tempo e non un edificio che deve sopportare il tempo. La sensazione di questa provvisorietà attenua il riflesso della sua presenza nel contesto, come ebbe a osservare Oswald Mathias Ungers in una sua valutazione a opera appena conclusa: “It lies there like an old, rotting „battleship on a dry rock‟ amidst the apple trees in Dahlem”29.

La considerazione di Banham che vede riaffiorare a Berlino la „maglia‟ che era stata impostata per il centro storico di Francoforte offre uno spunto suggestivo. Ma già a una prima osservazione si verifica che i due sistemi sono definiti da criteri organizzativi differenti. Infatti lo schema per il centro di Francoforte prevede una maglia ortogonale bidirezionale che si sviluppa omogeneamente nelle direzioni ortogonali del piano mentre a Berlino, fuori della città, le strade interne (stem) sono chiaramente sviluppate sull‟asse longitudinale del sistema. Quindi in termini direttamente percepibili tra i luoghi centrali che fungono da baricentro urbano e le aree periferiche da organizzare sulle direzioni di movimento si riscontra una modificazione degli assetti organizzativi da ortogonali a lineari. La differenza sostanziale tra la griglia bidirezionale omogenea in ciascuna direzione di Francoforte e il sistema gerarchizzato dei percorsi della BFU è tale che omologarle al medesimo sistema non ci consente di

28 Almeno nelle intenzioni dei progettisti. 29 Oswald Mathias Ungers, BFU/ Nine evaluations, in “Architecture Plus”, n. 1, 1974, vol. 2, pag. 46.

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riconoscere l‟evoluzione di un altro modo di misurarsi con la città. Trascurare la differenza tra il sistema bidirezionale e quello longitudinale vuol dire perdere la reazione che il sistema riflette verso il contesto con cui si misura: le relazioni tra progetto e contesto infatti non si manifestano in modo diretto ma riflesso, indirettamente. Una immagine speculare, che raccoglie le caratteristiche dominanti della struttura delle relazioni della parte di città o territorio in cui intervengono, per tradurla nell‟organizzazione gerarchica dei percorsi.

Coincidenze: entrambi fuori della città, sul bordo delle mappe, riflettono i valori della città come luogo dell‟interrelazione umana, ma con un grado di coinvolgimento molto diverso rispetto al luogo in cui si trovano. Ad Amsterdam il dialogo è inteso nel ruolo di protagonista che per quanto con una breve apparizione, modifica la lettura degli eventi; di contro a Berlino un sistema organizzativo flessibile occupa il territorio e si estende in tutte le direzioni con la funzione di ordinare le attività che è destinato a ospitare, lasciando al tempo il suo spazio di manovra. Modi d’uso: modificazioni ed efficienza

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Guardare a Berlino, in particolar modo nel 1963, richiede una specifica cautela nell‟intendere la scala dei problemi che si vanno a toccare. Infatti la tensione politica che animava i momenti successivi alla costruzione del muro implicava che qualunque azione compiuta in una situazione tanto fragile potesse avere un‟eco indefinibile. Certamente30 il processo del confronto ideologico tra est e ovest, della rivalità e dell‟ostilità tra i due fronti aveva già compiuto il suo corso, restava la constatazione e la graduale unanime acquisizione della consapevolezza dell‟inconciliabilità reciproca. Concluso il periodo della difficile mediazione dei grandi progetti di trasformazione urbana31, volti a forzare la realtà con idee e visioni di città distanti da un quotidiano assurdo, così da far sembrare possibile un futuro improbabile. Si apre il momento concreto della riorganizzazione, in particolare di Berlino Ovest, che aveva lasciato oltre il muro il centro culturale della città. Il concorso per la Freie Universität è inserito all‟interno

30 Qui si dà ancora per scontata la conoscenza dei fatti compresi tra la separazione della Germania e le tensioni che hanno portato alla realizzazione del muro di Berlino (13 agosto 1961-9 novembre 1989). 31 Il concorso Haupstadt Berlin in effetti fu voluto e gestito senza la partecipazione del quarto alleato, la Russia, così come fu boicottato dagli architetti dell‟est.

di questo processo dove la componente ideologica assume un peso rilevante e il concorso viene inteso con un significato di indirizzo trasmissibile e divulgabile ben oltre i suoi (nuovi) confini geografici.

D‟altronde i primi venticinque anni di storia della Freie Universität, dal suo insediamento a Dahlem fino al 1973, anno di conclusione dei lavori del Rostlaube32, il primo stralcio realizzato del progetto di Candilis Josic

Woods, sono caratterizzati da una sostenuta conflittualità dei gruppi studenteschi che riflettono in modo emblematico queste tensioni, dapprima rivolte contro i regimi comunisti, e poi in seguito alla guerra in Vietnam, a un‟accesa ostilità verso gli Stati Uniti con il formarsi di gruppi marxisti e maoisti. Proprio per l‟inaugurazione dell‟anno accademico, nel 1973, la cerimonia fu sospesa33 e sarebbe interessante conoscere quali furono le azioni adottate dalle autorità per la gestione degli spazi collettivi, che di certo non consentivano un efficace controllo dei flussi di studenti, così come la disponibilità a un uso informale degli spazi stessi da parte degli studenti. Proprio per la sua struttura organizzativa senza un centro, l‟interscambiabilità tra i livelli, un rapporto con l‟esterno non gerarchizzato, la continuità tra i patii e le coperture e una distribuzione diffusa degli accessi lungo tutto il perimetro, l‟edificio non consentiva nessuna forma reale di controllo da parte delle autorità. Viene da domandarsi quindi cosa sarebbe accaduto di quel luogo se si fosse reso disponibile sin dall‟inizio delle proteste alla metà degli anni sessanta. Un aneddoto può avvicinarci alla questione della rappresentatività delle istituzioni che la casa dei bambini e la Libera Università andavano a ospitare e il rapporto che i progettisti stabiliscono nell‟equilibrio tra le istituzioni e gli utenti. Nel 1959, in occasione del congresso di Otterlo, Candilis e altri (Louis Kahn e probabilmente anche Woods) vengono accompagnati da van Eyck a visitare il cantiere dell‟Orphanage oramai concluso. Candilis riferisce delle caratteristiche della costruzione come di una grande lezione di architettura, poi smorza il tono degli elogi e riferisce

32 Rostlaube è il nome adottato per il primo stralcio della BFU chiamato così perché rivestito in CorTen (trattamento del ferro che blocca l‟effetto di ossidazione e conserva la caratteristica a ruggine delle superfici); il secondo ampliamento successivo al 1974 in alluminio è denominato Silberlaube. 33 Una sintesi dei principali avvenimenti riguardanti le manifestazioni presso la BFU si trova in: Stanley Abercrombie, BFU The most radical architectural departure of the 1960s is finally built, in “Architecture Plus”, n. 1, 1974, vol. 2, pagg. 33-40.

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come l‟attenzione di van Eyck si spingeva alla vita e ai gesti dei futuri piccoli ospiti: “Il me montrait un petit recoin dans un grand local en me disant: voilà, ça c‟est très important, parce qu‟à cet endroit, le petit garçon pourra se cacher pour fumer une cigarette”34. La confidenza a Candilis, oltre a dimostrare un‟evidente contiguità di interesse sugli aspetti vissuti delle loro opere, apre la questione dell‟impulso anti-autoritario nella concezione degli architetti per questi edifici per comunità, che tradizionalmente rappresentavano l‟autorità, se non addirittura attività connesse alla coercizione. L‟ironia è uno degli strumenti che sono utilizzati per dissimulare l‟autorità che nel caso dell‟Orphanage era un obiettivo condiviso dagli stessi promotori dell‟iniziativa. La disposizione delle attività amministrative e di tutor che dovevano trovare posto all‟ingresso dell‟Orphanage per garantire le necessarie forme di controllo, ciene organizzata da van Eyck sui due lati opposti della corte d‟ingresso, separata dallo spazio aperto della corte d‟ingresso. La separazione delle attività amministrative, le quali circondano la corte d‟ingresso, è una trasgressione rispetto agli schemi organizzativi consolidati che vedono queste funzioni raccolte in un nucleo centrale. Egli afferma: “I sliced the administration in two to make a room for a more gentle heart. People adore this organization stuff for its own sake but I don‟t, so I cut in two – just for the fun of it”35. Questa attenzione a definire la variazione tra un controllo di carattere autoritario verso una forma di confidenziale protezione che l‟attività attorno alla corte d‟ingresso viene a svolgere è un‟ulteriore, e concreta, manifestazione di una procedura progettuale che vede in primo piano, come materiale primario del progetto, le reazioni emotive dei giovani ospiti. Un materiale difficile da trattare: infatti, si potrebbe facilmente obiettare che le trasgressioni comportamentali, piccole o grandi, proprio per il loro statuto non vanno pianificate. L‟architetto in questo caso illustra delle situazioni spaziali che definiscono degli ambiti, degli angoli, con un maggior grado di riservatezza, e questo era il proposito illustrato a Candilis36.

34 L‟aneddoto viene riportato in più pubblicazioni; il testo originale in francese si può trovare sulla terza di copertina di: Francis Strauven, Aldo van Eyck‟s Orphanage – a Modern Monument, Nai Publishers, Amsterdam 1996. 35 CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit., pag. 31. 36 L‟argomento degli „angoli‟ della permeabilità della superficie abitate è frequente nei saggi e nelle discussioni degli architetti olandesi; in molte occasioni Bakema svolge il tema degli angoli nella città e nelle case e così per esempio nel resoconto del convegno ad Abbey Royamount “A man can identify himselve in total space by means of trees and sun but also

Una prova della difficoltà a intervenire sul territorio dei comportamenti, così incerto, ma non per questo inesplorabile, si trova alcuni anni dopo l‟inizio dell‟attività dell‟Orphanage. La nuova generazione di educatori formatisi sull‟onda delle istanze anti-autoritarie, ritennero che l‟interpretazione dello spazio interno ed esterno con artefatti progettati come strumenti per il gioco, specchi, conche d‟acqua, arredi biomorfi etc., fosse di ostacolo all‟espressione spontanea dei bambini, perciò in antitesi con il loro metodo educativo. I nuovi pedagoghi quindi fecero demolire (“and the sooner the better”)37 parte delle costruzioni che caratterizzavano soprattutto le aeree per i più piccoli. L‟Orphanage subisce così una severa verifica che consiste nell‟applicazione di una nuova metodologia educativa che modifica sostanzialmente gli indirizzi progettuali, in conformità a un presupposto di ordine ideologico. La conoscenza di van Eyck dei meccanismi segreti del gioco era, anche allora, un fatto incontestabile e la testimonianza ad Amsterdam era evidente; inoltre proprio in Olanda il gioco aveva una tradizione culturale riflessa su più fronti disciplinari38, quindi si poteva ritenere vi fosse una consistente tradizione a contenere variazioni repentine di atteggiamento metodologico. Questo episodio dell‟annullamento della caratterizzazione di quel “bunch of places” e del tentativo, di fatto impossibile se non con la demolizione quasi totale, di ridurre un luogo definito dalla cura di ciascun dettaglio, a uno spazio tendenzialmente indifferenziato, è indicativo della modificazione di un atteggiamento nella fruizione dello spazio interno, e della disponibilità al

by house and corners in houses and towns. So our houses and towns must have many many corners” (Bakema Archive, NAI Rotterdam, s.d. s.l.. titolo Architecture as a tool in man‟s identification process, op.cit.); e l‟intervento di Herman Hertzberger dal titolo Permeable Surface of the City (“World Architecture”, 1, 1964, pagg. 194-201) prosegue su questa direzione e richiederà uno specifico approfondimento: per ora si riferisce che l‟Orphanage costituisce il modello di questa attenzione e Hertzberger conclude “The form we decide upon must be voluntarly directed towards a certain purpose, and thanks to the secret intentions of designer, must be suggestive as regards every other possible content. It is the rhythm of existence that decides the meaning of things, and thus form and content provoke one another. House is there, where one feels at home (everywhere should be home); a town without playgrounds (since all is playground)” pag. 195. [mat. 2.01.02a] 37 Aldo van Eyck‟s Orphanage – a Modern Monument, op.cit., pag. 44. 38 Si vedano a proposito le osservazioni di Alexander Tzonis in Aldo van Eyck- Humanist Rebell, op.cit., pagg. 55,56; una trattazione specifica dell‟argomento richiede uno stretto confronto con il saggio di Johan Huizinga, Homo Ludens, Einaudi, Torino 2002.

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cambiamento, tramite la flessibilità, che veniva richiesta come segnale di disponibilità verso il futuro. La BFU avrebbe probabilmente risposto, nella concezione e disposizione degli spazi, alle attese di quel gruppo di pedagoghi che intervenirono nella „normalizzazione‟ dell‟Orphanage; questo episodio offre l‟occasione di riflettere sul rapporto tra progettista e le potenzialità verso il grado di definizione dei manufatti. Si intende da quest‟esempio che il principio di flessibilità su cui Woods si era impegnato a organizzare ogni singola parte dell‟edificio, in termini sino allora raramente39 portati fino a quel punto di reversibilità, non consisteva in un‟astratta pretesa di sperimentazione tecnologica, ma rispondeva a esigenze che erano, se non esplicitamente richieste, quantomeno in corso di definizione, come aspettative verso i nuovi organismi edilizi. Una situazione simile alla reazione di insofferenza dei „nuovi pedagoghi dell‟Orphanage‟ verso gli argomenti progettuali che definiscono la costruzione si è verificata recentemente nei confronti della BFU con il progetto per la nuova biblioteca dello studio Foster and Partner40. L‟intervento di ristrutturazione e l‟inserimento della biblioteca della facoltà di Filologia, anziché proseguire seguendo le caratteristiche costruttive definite dall‟impianto generale, ha portato alla realizzazione di un “blob”41, un edificio avulso dal criterio costruttivo dominante l‟intero complesso edilizio, che si ispira nell‟organizzazione dei livelli del nuovo edificio a un‟improbabile metafora, proponendo un‟ingenua (ma non naive) caricatura dei ventricoli del

cervello. Questo esercizio disinvolto di formalismo evita

39 La maison du Peuple di Beaudouin & Lods con la collaborazione di Bodiansky e Jean Prouvé (in particolare per le partizioni esterne) era dal punto di vista delle soluzioni tecnologiche e formali il riferimento che oltre a essere il più evidente deve essere ritenuto imprescindibile. 40 L‟incarico è stato conseguito con il primo posto in un concorso di progettazione che prevedeva per la biblioteca una soluzione assai più sobria e molto diversa da quella poi realizzata. Per conservare una testimonianza della condizione precedente nel fascicolo della Architectural Association dedicato alla Free University si trovano i disegni esecutivi per questa parte dell‟edificio offeso. Non si evidenzierà mai abbastanza che un edificio predisposto per essere modificato, l‟esempio più evidente nella storia recente dell‟architettura, che più ha riconosciuto un ruolo a questa esigenza anziché seguire il tracciato della sua trasformazione è stato incomprensibilmente stravolto. 41 Blob viene definita la costruzione della nuova biblioteca nella relazione di progetto (vedi scheda sul sito internet dello studio Foster and Partners).

programmaticamente di misurarsi con il sistema BFU, che già prevedeva simili evenienze di ampliamento di superficie, e ignorando le soluzioni già per tempo anticipate da Woods42 mutila il corpo occidentale per occupare lo spazio di sei corti con l‟inserimento di una calotta rivestita in pannelli di alluminio.

Sfuggono le ragioni di un intervento così invasivo e compromettente la continuità dell‟insieme che è uno dei suoi valori più evidenti, oltre a essere l‟unica parte dell‟intero complesso edilizio non percorribile sulla copertura. Le argomentazioni, per verificare l‟attendibilità della soluzione realizzata dallo studio Foster dovrebbero spingersi poi, oltre alla relazione con l‟edificio in cui viene inserito, sull‟oggetto architettonico in sé, ma ciò esula dai compiti di questo lavoro43. Ciò che è rilevante invece è domandarsi perché si è voluto ignorare in modo così plateale le potenzialità di trasformazione del complesso edilizio, che era stato progettato da Woods e Prouvé sulla base proprio del presupposto della sua modificazione. Le ragioni della nuova forma inserita, prossima a una calotta ellittica, vengono individuate dai progettisti, in una trasformazione progressiva, da un corpo edilizio a base rettangolare (la versione vincitrice del concorso nel 1997), ancora legato con un certo grado di consequenzialità con l‟edificio in cui si inseriva, a una progressiva metamorfosi motivata dalla “Minimierung der Kubatur und Optimizierung der Form”44 che ha portato all‟oggetto successivamente realizzato. Non quindi un‟idea irrinunciabile tale da compromettere l‟intero sistema e non è neanche possibile cercare le ragioni esclusivamente nell‟egotismo del progettista, poiché la soluzione progettuale è un esito ampiamente condiviso dal committente. Certamente oltre al prestigio internazionale dell‟architetto Foster avrà influito nelle scelte una certa voglia di cambiamento, e il fatto di ridare prestigio all‟Università che si trova in una

42 Juergen Nottmeyer, Freie Universität Berlin – Konstruktionswettbewerb für einen ersten Bauabschnitt der Erweiterung auf „Obstbaugelände‟, in “Deutscche Bauzeitung”, n. 7, 1967 pag. 54. Nello schema Woods prevede le tre fasi in cui realizzare l‟ampliamento contemplando anche la disponibilità degli spazi residui nel corso della trasformazione. 43 La critica verso le relazioni e l‟effetto dell‟insieme è un dovere e qui si è intervenuti limitandosi alle prestazioni complessive dell‟edificio. Per quanto riguarda il problema di scala tra i volumi, il più evidente che pone la realizzazione di Foster and Partners, si rimanda alla documentazione fotografica. 44 L‟iter progettuale e il progetto, ora interamente realizzato, erano illustrati da pannelli informativi posti nel foyer dell‟auditorio principale del RostLaube.

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posizione marginale rispetto ai nuovi equilibri della città. Per quante motivazioni si possano addurre resta da constatare che l‟unica vera occasione che si è presentata nell‟arco di trent‟anni per verificare la flessibilità del sistema ha portato all‟intrusione di un oggetto estraneo. Il progetto della BFU era impostato partendo dal riconoscimento della difficoltà di tenere il controllo di trasformazioni che richiedono sviluppi successivi e avrebbe dovuto essere risolto con la predisposizione di un sistema che conteneva al suo interno le modalità di cambiamento e trasformazione. L‟esempio dell‟organizzazione a padiglioni del Campus dell‟University of California è servito a Woods per illustrare l‟alterazione dell‟impianto originale e le trasformazioni portate nel corso dei successivi sviluppi, che fanno risultare infine quasi illeggibile l‟intenzione iniziale. Le recenti vicende della BFU aggiungono un capitolo importante di verifica e dimostrano che questo obiettivo, perseguito con tenacia, probabilmente una delle esperienze più convinte sul versante della modificazione dell‟organismo edilizio, non è risultato perseguibile. Comunque malgrado le recenti trasformazioni45 la BFU con il successivo ampliamento realizzato, secondo l‟impianto planimetrico originale, da Manfred Schiedhelm46 nel 1978 rappresenta, nel confronto con il Campus della University of California, una sfida progettuale portata a termine con successo. Infatti, se la prova della trasformabilità, affidata a un sistema costruttivo flessibile prodotto industrialmente, è naufragata, percorrere una delle tre Strasse L, K, J, per i 300 metri di lunghezza, offre il senso di condividere lo spazio di una comunità dedita allo studio, così le aule per l‟attività didattica e le aree più riservate dei dipartimenti presentano un considerevole comfort ambientale47 e nell‟insieme i differenti gradi di relazione tra spazi collettivi e individuali rispondono ai requisiti di accessibilità e riservatezza che ciascun livello di organizzazione richiede. Oltre a questi aspetti organizzativi la rilevanza architettonica dell‟intervento consiste nell‟aver rivalutato e interpretato lo spazio aperto interno, in relazione con l‟uso (semi-)pubblico

45 La biblioteca progettata dallo studio Foster and Partner nel corso di un sopralluogo nel maggio 2005 risultava completata ed erano in corso di allestimento le apparecchiature informatiche. 46 Manfred Schiedhelm collaboratore di Candilis Josic Woods sin dal concorso per Francoforte partecipa al concorso e diviene coprogettista dell‟opera e successivamente progettista dell‟ampliamento del secondo stralcio. 47 Ambientale riferito ai sensi, quindi anche udito etc. Sono stati però rilevati inconvenienti nel periodo estivo.

delle strade interne: infatti si crea una relazione tra questi due spazi, le corti con alberi e prato e gli ampi percorsi pubblici all‟interno, che rovescia la percezione consueta del rapporto pubblico-privato in relazione a esterno e interno. Si crea così un intreccio inconsueto tra un fuori-individuale e un dentro-collettivo, traducibile in un momento di sospensione, displacement,

per riallineare le coordinate di orientamento, un rovesciamento che può essere riconosciuto come impronta di una tradizione progettuale. I modi d‟uso della BFU, rimanendo sostanzialmente invariati48 secondo le funzioni che erano state inizialmente previste, consentono di verificare ancora oggi la funzionalità dell‟edificio, mentre una situazione più complessa si presenta nell‟affrontare l‟Orphanage; attualmente viene utilizzato da alcune attività terziarie operanti nel marketing che si sono suddivise i 4.400 mq di superficie dell‟edificio49. Questa condizione di un uso privato è la conclusione di una vicenda che nel 1986 portò al rischio della demolizione dell‟edificio, conseguente a un progressivo stato di abbandono e alla dismissione dal suo uso originale, poiché le cure dei bambini senza parenti sono prestate, da subito, da famiglie adottive. A una più umana soluzione di un grave problema sociale rimase testimone l‟edificio abbandonato e in una grave situazione di dissesto. Una campagna di sensibilizzazione in difesa dell‟Orphanage condotta da Herman Hertzberger ottenne il restauro dell‟edificio e furono ripristinate anche parte delle manomissioni sulle opere interne avvenute nel corso della gestione „anti-autoritaria‟. Van Eyck progettò e realizzò il grande edificio direzionale composto da tre coppie di torri che funge da sfondo meridionale dell‟Orphanage. Hertzberger, allora direttore del Berlage Institute, si insediò nell‟Orphanage. Un‟abile regia dunque e quasi una storia a lieto fine, se non che, l‟appetibilità delle condizioni di lavoro

48 Manfred Schiedhelm riporta che nei primi due anni di attività del nuovo edificio furono eseguite variazioni considerevoli, ma non si è stati in grado di riconoscerle. Schiedhelm offre anche un‟interpretazione della priorità che la flessibilità aveva acquisito nel programma in quanto costituiva un rimedio all‟incertezza sul futuro che caratterizzava quegli anni. Architectural Association, Berlin Free University - Exemplary Project 3, op.cit., pagg. 97-98. 49 Non è stato possibile approfondire come l‟edificio è stato suddiviso e come viene utilizzato.

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all‟interno dell‟Orphanage ha reso le richieste economiche per la locazione eccessive per l‟istituto di studi urbani50.

Questa breve storia non viene riportata per „dovere di cronaca‟ ma per affrontare la questione dell‟adattabilità da un uso specifico a uno generico, non solo in riferimento alla disseminazione di questi dispositivi per la sperimentazione delle proprie azioni quali gradoni circolari, specchi deformanti etc. ma in conseguenza della misura della costruzione. La casa dei bambini viene costruita sulla loro taglia non perché dovesse essere solo banalmente più piccola o più bassa. Le proporzioni delle parti calibrano la giusta misura tra il grande e il piccolo. La dilatazione e la compressione dello spazio interno continua a riflettere questa ricerca tra il grande e il piccolo e ritornando con il pensiero all‟ostinata ripetizioni delle filastrocche di van Eyck, ci si rende conto quanto questo edificio sia intimamente legato alle sue riflessioni teoriche. Osservando le persone che si muovono tra questi spazi-luoghi sembrano essere sempre un po‟ troppo grandi avendo perso l‟altro elemento della coppia, il piccolo. Si avverte ancora una sorta di assenza dei protagonisti di questi spazi nel vedere le sagome troppo grandi delle persone adulte che operano nell‟edificio e ciò consente di riconoscere un‟attitudine speciale dell‟autore nel misurare, calibrando il proprio strumento, in considerazione di un criterio di relatività tra grande e piccolo. Per chiarire questa osservazione possiamo riferirci alla BFU e all‟uso del modulor per il disegno delle partizioni. Una misura

che parte da un valore di riferimento nell‟altezza media dell‟uomo „scoperta‟ per organizzare la produzione industrializzata, uno standard volto ad armonizzare il rapporto tra la costruzione e l‟uomo. Si riconoscono nella BFU figure che si muovono in questi ambienti con un‟ampiezza di movimenti diversa; probabilmente questi stessi spazi interni intesi come luoghi o come strumenti promuovono diversi comportamenti. L‟interno dell‟Orphanage richiede attenzione e cautela girovagando tra situazioni che si articolano in un percorso narrativo “a bunch of places”; nella BFU il

50 Andrei Mead, High rent forces Berlage to quit Eyck‟s orphanage, in “The architect‟s journal”, 21 dicembre 1995. L‟affermazione dell‟autore dell‟articolo riferita a van Eyck “he always envisaged the building could be adapted to alternative uses” rispetto alle posizioni espresse nelle relazioni di progetto non sembra emergere una tale eventualità, tanto che furono necessarie alcune varianti per l‟utilizzo da parte di Berlage. Sicuramente riscontrato il superamento del ruolo sociale dell‟istituzione l‟edificio poteva essere adattato ad altri usi, così come è avvenuto, ma non sembra che fosse nelle intenzioni iniziali fare „due guanti per la stessa mano‟.

criterio di relazione tra le parti prevede che le strade secondarie intersechino le primarie a un minuto di distanza l‟una dall‟altra, riferito allo spazio che un uomo copre con un‟andatura media.

I sei minuti necessari a percorrere da un‟estremità all‟altra i percorsi

longitudinali della BFU non sono neanche paragonabili, in termini di percezione del tempo, al girovagare senza meta nella varietà dei luoghi dell‟Orphanage. Riscontrare questa consequenzialità tra tempo e spazio deve venire intesa come conseguente alla vita che vi si svolgeva. Il tempo di studenti e ricercatori che si muovono funzionalmente nell‟edificio-macchina scorre in un modo diverso da quello dei bambini che si trovavano a passare giorno dopo giorno una parte significativa della loro esistenza nella casa-città. In questo senso entrambi gli edifici sono funzionali e determinati a una stringente biforcazione tra spazio discontinuo e continuo in riferimento a un‟idea di come la forma influiva sullo scorrere del tempo tramite l‟articolazione degli elementi distributivi. L‟approccio compositivo di van Eyck e la metodologia progettuale di Woods esprimono in queste due situazioni una opposizione di intenzioni che assieme offre un significativo, per quanto parziale, esempio all‟intricato problema della relazione tra spazio e tempo in architettura. Osservazioni in dettaglio

2.01.03

La BFU51, con una superficie utile complessiva dei due stralci di 31.700 mq, è più ampia di sette volte la superficie dell‟Orphanage pari a 4.400 mq e occupa un sedime di poco superiore al doppio dell‟Orphanage, ma descrivere i due interventi richiede un tempo e una quantità di informazioni inversamente proporzionale ai loro rapporti dimensionali. La descrizione della BFU corrisponde all‟esplicitazione di un sistema verificabile in ogni suo punto seguendo una partizione gerarchica di elementi che ne definiscono l‟ordine generale e all‟interno di questa griglia organizzativa trovano posizione unità d‟uso modificabili secondo le specifiche esigenze funzionali. I percorsi sono gli elementi strutturanti definiti e il vuoto che contengono al loro interno lo spazio utilizzabile. L‟organizzazione della sezione verticale prevede un basamento destinato

51 La sigla BFU definisce non l‟intero complesso universitario pari a 139.000 mq dislocati in 24 differenti sedi (dati aggiornati [sic] al 1981), ma esclusivamente la parte oggetto del concorso del 1963 denominato in quell‟occasione Obstbaugelaende (nella documentazione fotografica successiva alla guerra si riconosce che il terreno veniva utilizzato come frutteto).

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alla distribuzione meccanica, dall‟accessibilità carrabile a tutte le componenti impiantistiche, e quindi i tre livelli superiori per le attività collettive, due chiusi e l‟ultimo aperto52. Gli elementi di collegamento verticale tra i due livelli chiusi sono composti di una rampa e una scala disposte lungo la strada interna; la posizione delle rampe è contrapposta nella strada adiacente e alternata con la scala che si sviluppa in lunghezza al centro della strada interna. Proseguendo si potrebbe arrivare a esaurire la descrizione, a completare l‟edificio. La stessa attività per l‟Orphanage risulterebbe più difficile, ma soprattutto finché non viene disegnata non è coglibile mentre ci si può avvicinare al sistema della BFU nel proprio spazio mentale anche solo con la descrizione verbale.

La leggibilità dell‟edifico è rilevabile non solo nell‟impianto generale ma in ciascun dettaglio. L‟immediatezza „anti-retorica‟ dei dettagli costruttivi della BFU, in particolare del primo stralcio terminato nel 1973 denominato “Rostlaube”, risponde a questo ideale dell‟edificio-macchina53 che viene ora realmente messo in opera. L‟attenzione che è posta nel raccordare l‟edificio con il terreno, così come tutti gli elementi ancorati al suolo che sono in collegamento con l‟edificio, vengono trattati con soluzioni tecniche che prevedono una netta discontinuità tra ciò che è la fondazione e l‟edificio sovrapposto. Sono le caratteristiche tecniche delle giunzioni che utilizzano il neoprene, materiale utilizzato per le guarnizioni delle costruzioni meccaniche54, che richiedono estrema cautela nell‟individuare i punti di separazione tra ciò che è solidale al suolo e ciò che è parte del manufatto. La discontinuità tra la base in calcestruzzo gettato e la parte dei due piani superiori suscettibile di modificazione viene intesa immediatamente in prossimità degli accessi alle strade interne: i due gradoni esterni in calcestruzzo che raccordano la quota interna sono troncati a circa 50 centimetri e una griglia metallica garantisce continuità con il pavimento interno. Una pensilina in ferro composta da pilastrini realizzati con profili HE e una lamiera orizzontale, piegata sui bordi come protezione, costituisce assieme alla corrispondente griglia del breve collegamento pedonale una mediazione affidata a soluzioni tanto rigorose quanto raffinate. Il carattere denotativo (anti-retorico) si evidenzia nel fatto

52 Vi era Inoltre la previsione di aggiungere un quarto livello per ospitare le residenze degli studenti. 53 Si dovrà verificare nei dettagli questa contraddizione nei termini per anti-retorica riferito all‟idea di edificio-macchina . 54 Lo stesso tipo di giunto utilizzato per esempio per il parabrezza di un‟autovettura.

che, anche lì dove si concretizza il significato, questo viene fatto senza aggregare altri possibili valori, se non la riduzione alla loro elementare essenza costruttiva. [mat. ril. 2b]

La chiarezza con cui sono definiti i punti di giunzione risulta ancora

più evidente sulla copertura, dove le conseguenze di una esecuzione irrisolta portano a un rapido deterioramento se non a problemi ancor più evidenti. Il piano della copertura non ha quindi elementi costruttivi solidali al piano stesso ma solo parti che vi si appoggiano55. Le scale a chiocciola che indistintamente all‟interno come all‟esterno costituiscono il collegamento rapido tra i livelli, nel caso della loro installazione esterna, scavalcano di pochi centimetri il bordo superiore del piano d‟arrivo tramite una soluzione ricercata, composta da una piastra in calcestruzzo, sagomata per ricevere il ripiano della scala. Così anche gli elementi di protezione alla caduta, i parapetti, sono realizzati con un bordo di elementi a U, di circa 0.50 m di lato, in calcestruzzo messi in fila accostati e semplicemente appoggiati alla copertura per poi essere riempiti in terra a cui quindi fissare il parapetto in tubolare d‟acciaio. La soluzione dei parapetti e le vasche riempite di terra fanno della copertura della BFU un efficace esempio di realizzazione di tetto verde56, per quanto inizialmente soggetto a critiche da parte dei committenti. Preoccupazione risolta in termini quasi immediati a giudicare dalla foto del modulo sperimentale installato a pié d‟opera57, ma anche evidente segnale che la copertura praticabile se non addirittura il tetto-giardino in Germania era rimasta una questione prima forse solo di ordine estetico e successivamente anche ideologico ma non un vero fatto d‟uso. Queste coperture verdi funzionano, nel senso che sono facilmente utilizzabili, in quanto sono messe in stretta relazione con gli spazi interni delle biblioteche o delle aule, ma conservano al tempo stesso il carattere di luoghi riservati; lo spazio aperto interno e in

55 Da un sopralluogo accurato della copertura non sono stati riscontrati punti di discontinuità della copertura; infatti, il clima di Berlino richiede una particolare cautela poiché il ghiaccio risulta essere una grave minaccia per questo genere di soluzioni tecnologiche a secco. 56 Lo scetticismo di una parte della committenza nella riuscita del tetto verde potrebbe essere un argomento per verificare la diffidenza che molte delle soluzioni innovative di questo edificio hanno ricevuto; in questo caso non si trattava di una nostalgia come per la “Dacheskrieg” della precedente generazione di architetti ma semplicemente di preoccupazioni sulla crescita del manto erboso in copertura. 57 Una foto è pubblicata sul volume edito dalla Architectural Association, Berlin Free University - Exemplary Project 3, op.cit., pag. 33.

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particolare le terrazze rappresentano questa inconsueta dimensione di riservatezza che costituisce un‟eccezione nell‟uso degli spazi a cui ci abituano le attrezzature collettive.

Altri dettagli consentono di riannodare esperienze costruttive

precedenti di Le Corbusier e ovviamente di Prouvé come i corrimano con la protezione in fili di acciaio tesi, ma lì dove le critiche e le lodi si sono condensate è riguardo alle partizioni esterne verticali58 in acciaio CorTen disegnate da Jean Prouvé. I pannelli ora sono stati sostituiti con una soluzione ordinaria59 per quanto sia evidente l‟intenzione di avvicinarsi alla tonalità di colore originale. La documentazione fotografica allegata eseguita nel momento della sostituzione dei pannelli disegnati da Prouvé consente di fare un confronto a cui si rinvia il giudizio. Anche se un materiale come il CorTen va visto da vicino e toccato per cogliere le sue qualità epidermiche, i nuovi pannelli in bronzo con il tempo perderanno l‟attuale lucentezza, così da attenuare la diversità di superficie. Sono evidenti a prima vista le motivazioni per la sostituzione dei pannelli, in quanto la ruggine ha proseguito il suo lavoro oltre le aspettative e il grado di disfacimento del rivestimento esterno; tenendo conto che il CorTen di fatto non è riparabile, non offriva altre soluzioni. Inoltre si devono anche considerare i disagi patiti dagli utenti durante l‟estate per il surriscaldamento a causa della scarsa capacità di riflessione dei raggi solari su un materiale scuro e opaco, e certamente ciò non ha favorito soprattutto in termini economici un „restauro‟ dell‟opera di Prouvé60.

58 Ibidem, pagg. 101-103, la descrizione di Mohsen Mostafavi dal titolo Performative Skin riporta utili informazioni sui pregi e gli inconvenienti delle partizioni esterne. In particolare l‟inconveniente più penalizzante è risultato l‟assorbimento del calore del rivestimento in Cor-ten che durante l‟estate portava l‟interno a temperature non sopportabili: da qui la decisione di utilizzare un rivestimento in alluminio assa più riflettente per il secondo stralcio. 59 La soluzione ordinaria consiste in serramenti in profilati a taglio-termico con doppio telaio; i tamponamenti sono eseguiti in opera da una lastra di rivestimento in bronzo e viene interposto un cuscinetto di isolamento termico. 60 È un peccato che almeno alcune parti non siano state conservate: si ritiene che la qualità degli infissi con le particolari modalità di chiusura e movimentazione avessero un valore da conservare. Comunque, la perdita di chiarezza e definizione delle figure dei serramenti con la sostituzione degli infissi tipo ferro-finestra con serramenti a taglio termico, con maggiori dimensioni dei profili, per ottenere migliori prestazioni di isolamento termico è una vicenda comune al restauro di moltissimi edifici moderni, un po‟ ovunque. In questo caso specifico vista la sperimentalità e l‟originalità della soluzione adottata da Prouvé e Woods e forse

I pannelli che rivestono il Rostlaube, dello spessore di 80 mm sono

stati prodotti in officina secondo un processo di tipo industriale e consistono in due scocche conglobate con una schiuma di poliuretano; lo strato esterno è costituito da una lastra in acciaio CorTen dello spessore di 2 mm, il lato interno sempre da una lastra in acciaio rifinito con smalto applicato a forno, le guarnizioni tra i pannelli sono ottenute tramite l‟interposizione di una profilo dato da una estrusione in neoprene che va a colmare una tolleranza tra gli elementi di 10 mm. Non si conosce il peso dichiarato dei pannelli che è uno dei parametri fondamentali per la reversibilità, ma dalla documentazione fotografica di cantiere si può verificare che vengono maneggiati e installati da due addetti senza l‟ausilio di altri mezzi per la movimentazione61. [mat. cfr. 07] I pannelli sono indipendenti strutturalmente dai solai in lastre di calcestruzzo armato e sono direttamente ancorati tramite le travi di bordo alla struttura portante in acciaio; tutti i fissaggi sono reversibili e tutti gli elementi costruttivi sono smontabili e rimontabili in altre posizioni62. Si e potuto verificare constatando che solette, pilastri, travi nonché scala a chiocciola etc.63 smontate per far spazio al “blob” erano stoccate in cantiere in discrete condizioni pronte per un eventuale reimpiego.

Il progetto esecutivo della BFU è stato in parte pubblicato nel

196764, in quanto oggetto di una particolare procedura di selezione dell‟impresa di costruzione con una modalità che lasciava aperta alle stesse imprese di sottoporre l‟ipotesi costruttiva da loro ritenuta più adeguata, a partire da un quadro di requisiti definiti dai progettisti. Oltre agli aspetti strutturali che vertevano principalmente sul genere di materiali da impiegare, calcestruzzo, ferro o misto viene pubblicato anche uno schema

forzando le ritrosie dei committenti, sarebbe stato importante fare un tentativo più consistente per salvaguardare l‟identità di questo edificio. 61 Dalle fotografie risulta che un operaio sosteneva il pannello mentre il secondo provvedeva al corretto posizionamento; si ritiene che il peso si aggirasse attorno ai 30 kg. A una verifica analitica sulla composizione del pannello da 1.15 m risulta un peso di 36 kg. Sarebbe interessante e sarà stato verificato a suo tempo conoscere i tempi e le modalità di esecuzione per la posa previsti da Prouvé. 62 Le due locuzioni possono sembrare pleonastiche e in parte lo sono se riferite al medesimo componente. 63 A esclusione delle partizioni verticali. 64 “Deutsche Bauzeitung”, n. 7, 1967 pag. 551-564.

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della parete esterna. L‟abaco pubblicato presenta le soluzioni di assemblaggio dei pannelli in relazione all‟illuminazione interna richiesta. Le variazioni dei pannelli, tutti della medesima altezza, consistono in due larghezze pari a 0.70 e 1.13 m (modulor) con cinque possibilità di disporre lungo l‟altezza le parti vetrate. Le variazioni divengono molteplici così da escludere la possibilità di definire un partito architettonico, ma piuttosto di promuovere un controllo delle parti opache e trasparenti in corrispondenza di specifiche funzioni; poiché l‟ipotesi della flessibilità del sistema richiedeva di abbandonare ogni pretesa di relazioni formali predefinite e nella dimensione complessiva, la differenziazione tra parti tamponate e vetrate non copre dal punto di vista percettivo un ruolo rilevante. [mat. 2.01.03a]

L‟effetto d‟insieme dell‟edificio è di una ricercata unitarietà ottenuta

tramite una stringente coerenza esecutiva tra parti a diversa scala. Per esempio la tecnica della piegatura dei laminati con cui vengono ottenuti i montanti esterni di fissaggio dei pannelli, che hanno una parte rilevante nell‟immagine complessiva, evitano l‟angolo retto e presentano uno spigolo arrotondato; alla scala dell‟intera parete anche il raccordo ortogonale tra due pareti è ottenuto con un giunto angolare arrotondato che risolve l‟angolo in modo omogeneo lungo l‟intero perimetro dell‟edificio, con la sola variante del tamponamento opaco oppure trasparente. L‟attacco a terra può fornire un altro esempio della coerenza tra la situazione specifica della scala d‟ingresso che abbiamo illustrato in apertura del paragrafo e la coerenza di quella soluzione lungo l‟intero perimetro esterno. Lo stacco da terra delle pareti avviene con un rigonfiamento della parte terminale, a coprire la testa della fondazione in calcestruzzo, e lasciando visibili circa 0.25 m della base che contrastando con i toni di colore scuro del pannello denuncia il cambio di regime strutturale da puntiforme in acciaio per la parte in elevazione a setti in calcestruzzo per le fondazioni. A questa soluzione consistente dell‟attacco a terra rispetto alle articolazioni volumetriche delle pareti si contrappone un „attacco al cielo‟ sfuggevole, ottenuto con un sottile profilo, che non comporta alcuna variazione del piano verticale. La sagoma pronunciata del bordo inferiore e il leggero profilo di conclusione dell‟edificio scorrono paralleli tra loro lungo il lato nord seguendo tre lievi variazioni del terreno che vengono riprodotte dall‟articolazione dell‟edificio ottenendo, oltre alle reazioni negative di alcuni critici, un forte senso di continuità che assieme ad alcune variazioni geometriche nella partizione degli infissi suggeriscono una dissimulazione del volume staccato dal suolo.

Viceversa, l‟Orphanage è tutto ciò che non è la BFU. Le componenti costruttive sono il campo più evidente per riconoscere la contrapposizione delle due soluzioni progettuali. Alla flessibilità del sistema della BFU ritroviamo ad Amsterdam un‟articolata composizione di massicci setti in muratura (blocchetti in Klinker 0.09x0.09x0.18 m lavorati a tre teste) sprofondanti (o emergenti) nel terreno direttamente, senza alcuna mediazione a eccezione dell‟appoggio di esili colonne (diametro 26 cm) su un sottile piedistallo in calcestruzzo che sostengono una copertura tutt‟altro che praticabile, anzi in un certo senso quasi misteriosa. E ancora, a Berlino l‟immagine della nave arrugginita che si è arenata nel campo di meli a Dahlem deriva dall‟omogeneità di trattamento dell‟involucro, dove le variazioni possibili vengono previste dal progettista secondo una serie di istruzioni funzionali, a prescindere dal loro rapporto in quanto la continuità era garantita dall‟appartenenza al sistema. Di contro ad Amsterdam la composizione segue il precetto vitruviano65 del rapporto delle parti con l‟insieme e se dovessimo trasfigurare la realtà con un‟immagine potrebbe essere quella della ricostruzione di un palazzo-città divenuto testimonianza archeologica di se stesso. Ad Amsterdam l‟elemento architettonico che tiene assieme la storia dei frammenti è l‟architrave, l‟indizio che suggerisce66 la composizione analoga delle due ali, basata su quattro elementi ripetuti. L‟architrave appoggiato sui grevi setti o sulle esili colonne si ripete come segno costante lungo l‟intero perimetro dell‟edificio e diviene come l‟ordito per tenere assieme differenti episodi architettonici. La conformazione degli spazi, denotati dal carattere di protezione dei setti per i corpi più bassi o dallo sviluppo verticale dei padiglioni, si riflette come il luogo idoneo alle fasi della vita dei giovani ospiti. Elementi differenti che rispondono alle esigenze ambientali di bambini e ragazzi in fasi molto diverse della loro vita vengono tenuti assieme, innanzitutto dalla „disposizione‟ e poi da questo elemento architettonico, che in termini

65 I dieci libri dell‟Architettuta di M. Vitruvio – Tradotti e commentati da Mons. Daniel Barbaro, vedi ristampa originale edito a Venezia nel 1567, Bardi Editore, Roma 1993. Ci si riferisce in particolare all‟interpretazione di Daniele Barbaro del Cap. I, Libro III, pagg. 108-122, Delle compositioni, & compartimenti de i tempj. Et della misura del corpo humano. 66 Van Eyck comunque offre nei suoi scritti più indizi sulla continuità del livello orizzontale della copertura come traccia per la comprensione del progetto.

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classici può essere associato a una trabeazione, che non svolge un ruolo strutturale, ma viene interposto tra la struttura in elevazione (setti murari e colonne) realizzata in opera e la copertura realizzata con elementi prefabbricati. L‟esecuzione di opere miste comporta la predisposizione di elementi di mediazione tra la precisione dei manufatti fabbricati in stabilimento e la tolleranza richiesta a opere gettate direttamente in sito. Il manufatto prefabbricato dell‟architrave in calcestruzzo vibrato ha una lunghezza di 3.36 m corrispondente al passo che organizza l‟organismo edilizio, uno spessore di 0.38 m e un‟altezza di 0.48 m con un foro longitudinale posto al centro di 0.21 m; la lunghezza del foro si ricava ipotizzando due „dadi‟ all‟estremità e il profilo pieno che contorna il foro (il pezzo speciale per gli angoli presenta la maggiorazione dello spessore del setto, essendo simmetrico e non avendo differenze tra interno ed esterno con un solo pezzo speciale risulta possibile risolvere tutti gli angoli retti). Potremmo intendere che il foro posto al centro dell‟architrave, oltre a fornire illuminazione naturale, ricorda lo strumento che viene utilizzato per la verifica della corretta esecuzione del piano di giacitura degli elementi della copertura o più semplicemente può servire da alleggerimento per facilitare le operazioni di montaggio. Inoltre le conseguenze di stabilire un „orizzonte‟ costante ha consentito un‟articolazione rilevante del piano di calpestio, oppure questa volontà progettuale ne ha suggerito la definizione; infatti, qualora come nel caso della palestra si richiedeva un‟altezza maggiore, la si è ottenuta ribassando il piano del pavimento. Non si riscontrano eccezioni nell‟altezza di posizionamento dell‟elemento architettonico mentre i piani interni ed esterni di calpestio variano frequentemente in più punti. Questa determinazione costante di una linea dell‟architrave che corre al medesimo livello lungo l‟intero perimetro deve essere considerata un importante ausilio per l‟esecuzione dell‟opera67. L‟esito formale di questa scelta ha un rilevante valore nella percezione dell‟edificio poiché oltre alla continuità, la successione dei vuoti ricavati nell‟architrave fornisce la traccia per seguire il ritmo nell‟articolazione planimetrica dei volumi e l‟evidenza del rettangolo nero contornato da una

67 Queste considerazioni vengono svolte sulla base di esperienze con tipi di componenti edilizi affini e utilizzando alcune foto di cantiere pubblicate su Niet om het even van en over, Uitgevereij van Gennep, Amsterdam, s.d.; per informazioni sugli aspetti costruttivi e per disegni di dettaglio si veda S. Umberto Barbieri & Leen van Duin (a cura di), Honderd Jaar architectuur, 1901-2000, Uitgevereij SUN, Nijmegen 1999, pagg. 247-256.

sottile fascia chiara di calcestruzzo costituisce come una risultanza dell‟impianto planimetrico, un nesso didascalico tra pianta e alzato.

Si è accennato precedentemente della difficoltà a descrivere questo edificio, in quanto non è catalogabile secondo le categorie, grande-piccolo, continuo-discontinuo, aperto-chiuso…, classico-anticlassico, poiché a ogni tentativo di catalogazione, anziché poter soppesare giudizi, ci si trova a camminare su un filo come il funambolo68 di Klee. D‟altronde da più punti di vista lo si esamina maggiore diviene la convinzione della interrelazione tra la costruzione della casa dei bambini e la teoria in van Eyck; la sensazione, verificando il materiale grafico a disposizione, è che prima il processo compositivo, poi la costruzione si siano sostenute in modo inestricabile a un approccio teorico che si specificava e diventava sempre più mirato man mano che la verifica costruttiva dava il suo sostegno alla consapevolezza teorica. Questa intima coerenza tra fare e pensare potrebbe essere definita come la marca di ogni buon progettista e aprire verso due linee d‟interpretazione entrambe ugualmente praticabili. La prima che si presenta per la sua potenzialità di suggestione porta a riconoscere nell‟Orphanage una traccia discorsiva. Una seconda ipotesi di lettura, sostenuta dalla distanza tra l‟astrazione del pensiero che si dirige sul versante poetico e la concretezza della costruzione, non lascia spazio a fatti connotativi né tanto meno retorici69. Si prova a indovinare questa seconda strada poiché non si cerca un terreno di mezzo dove l‟architettura “dice” ciò che l‟architetto pensa: ogni linguaggio appartiene a un mondo diverso, il mondo delle parole non ammicca allo spazio per scrutarne i segreti, né tanto meno l‟architettura si fa parlante, l‟unico punto di mediazione possibile è l‟uomo, ma non lo specialista che pensa, critica, valuta; non sembra vi sia molto spazio per questi atteggiamenti, forse si potrebbe suggerire che il modo migliore per capire questa architettura nella

68 Camminare su un filo teso sospeso sopra la città è appunto il soggetto di una litografia di Paul Klee del 1923 dal titolo Tightrope Walker (Francis Strauven riporta che una copia appartiene alla collezione A and H. van Eyck). Si è riportata come immagine di riferimento e si mette in risalto lo sguardo duplice (soggetto anche di Picasso e molti altri artisti anche primitivi) poiché rispecchia l‟atteggiamento di ricerca con cui sono stati analizzati i due edifici [mat. 2.00.00]. 69 Un‟opinione che utilizza concetti assimilati dal testo di Umberto Eco, La struttura assente, Bompiani, Milano 1968. Con i termini denotativo e connotativi si rimanda a pagg. 202-206, per una definizione del termine retorico aggiornato all‟interpretazione semiotica si rimanda a pagg. 83-99.

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sua „reciprocità‟ tra teoria e pratica non sta nello scrutare il dettaglio o stabilire le relazioni più ampie possibili ma nell‟osservare gli atteggiamenti di chi lo abita. Per uscire dal gioco di specchi tra parte-intero, grande-piccolo, in cui ci trascina l‟abilità compositiva di van Eyck, possiamo usare le immagini scattate dai fotografi che hanno ripreso i bambini (ospiti o solo visitatori70). Scoprire questi luoghi e le loro „sorprese‟ tramite le immagini prese dai bambini durante i loro giochi è lo strumento più adatto ora per vedere l‟Orphanage nei suoi dettagli e nella sua dimensione cercata71. La testimonianza di queste fotografie è quindi il punto di osservazione privilegiato72.

Ciò che la lettura di piante e sezioni ancora ci consente di

apprezzare sebbene nella realtà dell‟uso attuale sia probabilmente interpretato più come un disturbo dagli utenti dell‟Orphanage, rappresentato da tende e cancelli è la permeabilità tra interno ed esterno. Una continuità intesa non nella sola immediatezza di stabilire relazioni, come una successione di soglie che non tendono ad annullare la differenza tra interno ed esterno, ma a interpretarla. La varietà di soluzioni che ritroviamo nell‟Orphanage viene studiata da van Eyck secondo le esigenze date dall‟età degli ospiti, dissimulando nelle aree per i più piccoli

70 Tra le immagini più suggestive vi è la serie della fotografa Violette Cornelius dal titolo Girl in Aldo van Eyck Burgerweeshuis vedi Liane Lefaivre and Ingeborg de Roode (a cura di), Aldo van Eyck – the playgrounds and the city, Staedelijk Museum, Amsterdam – Nai Publishers, Rotterdam 2002, pag. 105. Le fotografie della Cornelius pubblicate nel numero di “Forum”, 6-7, 1960-61 ritraggono una bambina ospite occasionale, pagg. 116,117. Il lavoro di Louis van Pardon, presumibilmente (un indizio è il taglio dei capelli uguale per tutti i protagonisti) ritrae scene di vita della comunità. 71 L‟edificio nella situazione attuale oltre a non essere propriamente accessibile presenta l‟inserimento di tendaggi e molte apparecchiature per ufficio che fanno degli interni un‟area su cui è difficile svolgere approfondite considerazioni; un altro motivo per far riferimento come scenario al materiale fotografico per quanto concerne le parti non accessibili dell‟edificio 72 La contraddizione tra la descrizione delle immagini di Henderson [1.01.03 l‟immaginazione come nesso tra vita e arte] e la sottrazione ora quando la descrizione riguarda l‟oggetto di studio va motivata. Nel caso di Bethnal Green si poteva descrivere l‟opera in sé, ora vi è un passaggio in più: descrivere la foto dell‟opera e questa posizione inevitabilmente mette in secondo piano una delle due opere, l‟architettura o l‟immagine. Una seconda questione è l‟evidenza del messaggio contenuto nelle immagini che renderebbe la descrizione pleonastica.

la sensazione di essere dentro o fuori, come se si fosse dentro e fuori allo stesso momento. Viceversa nei padiglioni per i più grandi alcuni dei punti di transizione verso l‟esterno presentano in corrispondenza delle porte un gradone circolare in calcestruzzo con il diametro di un passo. Altre forme circolari compaiono a definire un angolo per la conversazione nella sala delle feste. L‟impianto geometrico complessivo basato sul quadrato e l‟angolo retto presenta tramite le parti circolari un secondo livello di articolazione che viene comunque trattato in modo diversificato: se a volte rinvia al suo centro come micro-ambito di incontro a volte viene negato avendo come centro una colonna. Le letture di carattere psicologico di questi arredi sono state tentate in più occasioni73 e le indicazioni che ne emergono portano a evidenziare la disponibilità della caratterizzazione di questi luoghi, a interagire e a sviluppare l‟istinto alla curiosità, senza per questo assegnare atteggiamenti precostituiti. Tutto diviene gioco, ma nulla è solo gioco, così una chiave per intendere questa serie di artefatti ci rimanda alla città desiderata da Hertzberger che, grazie alle „segrete intenzioni‟ del progettista, non ha più bisogno dei campi da gioco poiché tutto diverrà un gioco. Se per gioco si sostituisce, gioco = arte, si torna a Mondrian.

73 Vedi J. Van Goethem, Casa dei Ragazzi ad Amsterdam, in “L‟architettura Cronaca e Storia”, n. 72, ottobre 1961, e Bruno Zevi, Convitto di Aldo van Eyck – Parlare con la propria eco non è dialogare, in “L‟Espresso”, 3 settembre 1961.

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DAI REQUISITI FUNZIONALI AI PRINCIPI PROGETTUALI

L’orfanotrofio: un caso difficile 2.02.01

Se la casa-città dei bambini di Amsterdam non ha più i suoi ospiti ciò è un sollievo per una società che ha trovato un più profondo senso di partecipazione verso la condizione dell‟abbandono. È importante, per tornare alle condizioni di partenza del progetto, iniziare dal presupposto che allora queste istituzioni erano ritenute necessarie e svolgevano uno specifico ruolo sociale, per intendere il coinvolgimento nella missione che animava il lavoro di Franz van Meurs, direttore dell‟antica istituzione di Amsterdam che si prendeva cura dei bambini abbandonati [mat.2.02.01a]. La figura di van Meurs è importante per comprendere l‟Orphanage, poiché saranno la sua esperienza e sensibilità a definire il programma funzionale che è la premessa per il nuovo Orphanage. La determinazione nell‟impostazione “orizzontale”74 della comunità, come una grande famiglia, e la sicurezza nella definizione del programma funzionale probabilmente hanno consentito a van Meurs di selezionare il progettista meno esperto, ma più disponibile a seguirlo nei suoi pensieri rispetto agli altri candidati, professionisti affermati (Mart Stam e Arthur Staal). Van Eyck, per suo conto, con la realizzazione dei playground aveva dimostrato un‟evidente sensibilità per inoltrarsi in un così delicato tema progettuale. La missione di van Meurs di portare i suoi ragazzi fuori della città nel verde, all‟aria aperta, era un‟intenzione già avanzata sin prima della guerra. Una visita al Museo di storia di Amsterdam, sede della benemerita istituzione dell‟orfanotrofio dal XVI secolo fino al trasloco in Ysbaanpad (area di progetto), può far comprendere le ragioni del direttore. L‟istituto75 era originalmente organizzato all‟interno di un complesso edilizio a corte nella città antica il

74 L‟organizzazione orizzontale implica una comunità raccolta per fasce di età omogenea, quella verticale prevede l‟aggregazione in più nuclei ristretti con un‟ampia escursione d‟età; in totale venivano assistiti 120 bambini suddivisi omogeneamente in ciascun gruppo. 75 Amsterdam Burgerweeshuis, Staatsuitgeverij, „S-Gravenhage 1975; questa pubblicazione ripercorre l‟intera storia del vecchio orfanotrofio presentando un ricco apparato iconografico e la possibilità di ricostruire le fasi costruttive del complesso edilizio. La rappresentatività che si riconosce nell‟edificio, il peso della sua storia erano probabilmente divenuti un limite all‟adozione di nuovi metodi di assistenza così come le istanze igieniste e il clima funzionalista devono aver giocato un forte ruolo persuasivo per cercare un‟altra sede.

quale, come un convento, costituiva un microcosmo separato dalla vita della città. Questa impostazione è rimasta inalterata nel corso dei secoli e riconfermata nei successivi ampliamenti, che includevano altre porzioni di isolato e definivano una seconda corte. Il complesso edilizio aveva accumulato nel tempo anche una serie di dotazioni tipiche di quel genere di attività che contrastavano con le istanze educative che van Meurs stava promuovendo. In Olanda erano oramai acquisite nuove istanze educative rappresentate da capolavori come la scuola all‟aria aperta in Cliostraat di Duiker e Bijovet (1927-30) [mat. 2.02.01b]. Inoltre le condizioni ambientali dei giovani ospiti erano molto severe, come severa era l‟architettura del luogo che li ospitava, dove tutte le aree esterne erano pavimentate e l‟unico elemento naturale del vasto complesso edilizio era un albero posto al centro della corte.

Le prescrizioni d‟incarico che van Meurs indica a van Eyck nella

descrizione riportata da Strauven potrebbero essere lette, a conclusione dell‟elaborazione progettuale, come la descrizione funzionale delle piante dell‟edificio, quanto per ogni questione evidenziata nelle lettere del committente è possibile rintracciare la sua corrispondenza nella pianta. Così diamo per acquisita la piena aderenza e continuità tra le istruzioni della committenza e la risposta progettuale dell‟architetto per quanto riguarda i requisiti organizzativi e anche un‟intesa, evidente in alcuni brani della corrispondenza riportata da Strauven, che evidenziano il peso delle scelte rivolte a questioni di ordine emotivo. Probabilmente la stessa esperienza da scolaro all‟Alfred King School76 a Hampstead aveva aiutato van Eyck a comprendere i desideri del direttore, ma vi è una questione che catalizza la sua attenzione: “On approaching our house, the child must enter it gladly; its outward appearance should ooze friendliness, beckoning to the child, as it were, to enter”77. Il riferimento a quello che poi per van Eyck diverrà un tema su cui tornerà “I have even called architecture BUILT HOMECOMING”78. L‟influenza che van Meurs ha avuto in van Eyck nel suo ruolo di committente, ma anche il tema dominante della sua presentazione

76 King Alfred School è una scuola condotta con metodo di insegnamento progressista a Hampstead-Londra che tuttora svolge la propria attività prevalentemente all‟aria aperta: le aule non sono raccolte all‟interno di un singolo edificio ma disposte ad anfiteatro verso il giardino.] 77 Aldo van Eyck – The shape of relativity, op.cit. pag. 285. 78 Aldo van Eyck, Labyrinthian Clarity, in “World Architecture 3”, Studio Vista, London 1966, pag. 121.

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a Otterlo non è solo una sensazione generica di benvenuto ma probabilmente è connesso anche con la negazione di un simbolo, la porta del vecchio istituto. La rappresentazione del portale d‟ingresso realizzato nel 1581 può essere considerata la cifra di ciò che van Meurs vuole lasciare alle spalle nel nuovo Orphanage79; se osserviamo l‟incisione di Jacob Olie del portale d‟ingresso, con la porta semichiusa e due bambini sullo sfondo intenti a giocare per terra, possiamo cogliere il ruolo evocativo di questo artefatto che diverrà il controcampo su cui poi si costruirà la filosofia del nuovo Orphanage, che non deriva quindi solo da generiche pretese sociologiche, ma nasce dalla discontinuità rispetto a un passato da lasciare alle spalle [mat. 2.02.01a].

Il ruolo del committente incide in modo rilevante nell‟esito finale e gli

argomenti progettuali su cui ha condotto il giovane architetto lasceranno una traccia oltre questa esperienza, una sinergia d‟intenti tra committente e architetto riconoscibile non solo nella specificità dei singoli ruoli, ma alla ricerca del punto in comune, dove ciascun apporto viene condotto a sintesi. Negli ultimi passaggi delle raccomandazioni riportate da Strauven vi è una descrizione dei requisiti degli spazi di distribuzione che rende conto oltre della chiarezza dei „desiderata‟ di van Meurs dell‟ampiezza del suo contributo in cui rivolge all‟architetto un‟accorata sfida all‟ideale di unità: “What do we desire of the architect? … For even though the house has differing components, the highest ideal of its internal architecture order must nonetheless be to create a unity, whose parts will ultimately form living constituents of a living, lively whole”80. Anche se queste considerazioni sono dedotte solo da alcuni brevi stralci di una corrispondenza, possiamo tornare e a parlare di reciprocità. Il testo con cui van Eyck pubblicherà la realizzazione, su un numero speciale di “Forum” dal titolo The medicine of reciprocity tentatively illustrated81, si conclude in

79 Questa considerazione viene dalla sovrapposizione della lettura dei due edifici, intercalata dai testi di van Eyck e van Meurs, ma non è definita da riscontri diretti. Questa ipotesi potrebbe essere definita con maggior precisione tramite un articolo apparso su “Goed Wonen”, n. 11, novembre 1960 dal titolo Remarks on pictures on the old and new Municipal Orphanage, che sino a ora non è stato possibile consultare. 80 Aldo van Eyck – The shape of relativity, op.cit., pag. 287. 81 Il titolo potrebbe attivare alcune considerazioni sul continuo ricorso ad analogia con il funzionamento del corpo umano che ritornano con insistenza nel corso della discrezione: oltre al respiro, la circolazione del sangue etc. All‟inverso la reciprocità del „farmaco‟ poi rinvia a quella che è la concezione di farmaco in Platone appunto nel suo rapporto

modo tale da poter essere la risposta che van Meurs già si attendeva: “A small world in a large world, a large world in a small world, a house like a city, a city like a house; a home for children, a place w(h)ere they can live rather then survive …”82

Verificando dai primi appunti grafici fino alla soluzione definitiva

della pianta dell‟Orphanage si può verificare che il programma funzionale, predisposto inizialmente da van Meurs, a cui rispondono i diversi elaborati grafici non subisce variazioni significative: due gruppi di attività composti ciascuno di quattro corpi distinti costituiscono il tema progettuale principale, la cui differente modalità di aggregazione scandisce le varie ipotesi organizzative nel corso del processo progettuale. Altre due figure regolari (rettangoli) si aggregano in questi schemi base, accoppiate o contrapposte, e trovano spazio nell‟impianto, ubicate costantemente sul fronte nord. Nella soluzione architettonica i due gruppi di cellule per l‟ospitalità vengono chiaramente distinti tra loro per forma e disposizione, poiché corrispondono alla divisione di età legata alla pubertà che viene a definire una variazione di comportamento con diverse aspettative nelle relazioni con i compagni, così come nella necessità di una maggiore riservatezza. L‟ala rivolta a est ospita le unità per i bambini fino a dieci anni suddivisi per quattro fasce di età di due anni; ciascuna unità è a sua volta composta da due elementi, una parte conformata a L che ospita in un braccio la zona notte con delle piccole camere (box), nell‟altro braccio un‟area di soggiorno illuminata su due lati est e ovest e infine nella congiunzione delle due aste della L l‟area per i servizi igienici. Completa ciascun dipartimento83 un secondo elemento di maggiore dimensione (circa 100 mq di superficie) per le attività collettive coperto da una grande cupola, (grande rispetto le piccole). Lo sfalsamento tra gli elementi a L organizzati sulla diagonale del rettangolo composto da due quadrati della maglia definisce uno spazio aperto, un patio, contenuto dalla parete dell‟unità successiva che corrisponde allo spazio voltato, così che ogni unità (a parte l‟ultima, l‟infermeria che non lo richiede) dispone di un‟area all‟aperto per le attività ricreative della medesima dimensione di quella interna. Definito

reciproco di veleno e rimedio come è stata successivamente analizzata da Jacques Derrida in La farmacia di Platone, Jaka Book, Milano 1985. Reciprocità è al tempo stesso una parola chiave in antropologia a cui ci si riferirà nella terza parte. 82 “Forum” n. 6-7 1960-61, pag. 94, numero speciale. 83 Dipartimento si riferisce a ciascuna delle otto unità d‟uso in cui era organizzato l‟istituto e la stessa suddivisione era adottata anche nel precedente istituto in Kalverstraat.

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questo schema generale, ogni singolo dipartimento ha ricevuto una definizione nel disegno degli arredi fissi, e differenziazioni sia delle aree delle attività che nella disposizione della zona notte, per rispondere alle esigenze di ciascuna fascia di età. Questo schema si ripete per quattro volte, con una variazione distributiva per quanto riguarda l‟ultima unità rivolta a sud che ospita l‟infermeria nella L che doveva rimanere isolata per garantire maggiore quiete e per comprensibili ragioni igienico-sanitarie, mentre nel vano di maggior superficie adiacente all‟infermeria viene collocata la nursery. Nell‟ala ovest ragazzi e ragazze nell‟età della pubertà, divisi per sesso, con un intervallo d‟età di quattro anni per ciascun dipartimento completano l‟organizzazione “orizzontale” della comunità che viene a contare circa centoventi ospiti.

Nel dettaglio gli spazi che definiscono i dipartimenti delle due ali

sono differenti tra loro mentre le misure e la disposizione nell‟insieme sono omogenei, la protezione e intimità dell‟ala est per i più piccoli è definita dai setti in muratura rivolti verso la strada, il patio definisce lo spazio aperto con più evidenti caratteristiche di protezione, ma con un rapporto diretto verso la strada interna che si apre verso ovest. A ovest i quattro padiglioni per ragazzi e ragazze si aprono con vetrate sui tre lati della zona delle attività collettive e sull‟area giochi antistante che è rivolta verso l‟ampio specchio d‟acqua Nieuwe Meer. Ogni padiglione ha una parte inferiore, per le attività collettive, separata dalla zona del riposo posta al livello superiore cui si accede indipendentemente tramite una scala posta sul lato nord. I due padiglioni per i ragazzi e le ragazze più grandi con un‟età compresa tra i 14 e 20 anni sono posti all‟estremità del percorso; i ragazzi, per ultimi, sono adiacenti alla palestra-teatro. Questi ultimi due dipartimenti presentano un‟organizzazione simile con i servizi igienici posti (alla rovescia) in prossimità dell‟accesso all‟unità e in fondo le aree per lo studio, e per quanto occupino lo stesso volume destinato i loro compagni più piccoli si distinguono per l‟essenzialità delle rifiniture e l‟assenza di dispositivi di interpretazione dello spazio. Quindi poche variazioni come la posizione dei servizi e la disposizione dell‟accesso modificano in modo evidente l‟organizzazione delle attività. Al contrario per le ragazze più piccole la casa si trasforma; van Meurs aveva richiesto che fosse “the cosiest of all … Their age implores it”84. L‟ingresso al loro ambito presenta un grande tavolo sormontato da una elegante cappa con dei cilindri per seduta, tutti gli arredi sono fissati al pavimento o realizzati in muratura così

84 Aldo van Eyck – The shape of relativity, op.cit. pag. 286

l‟insieme è caratterizzato da una solidità e stabilità che trasmette un‟evidente intenzione di creare una condizione emotiva rassicurante nel luogo che funge da mediazione con la strada interna. Se il tavolo-cucina fa capire, senza sentimentalismi, di voler portare un senso di domesticità e di aggregazione nel primo punto di contatto lle ragazze con il mondo esterno; nell‟unità per i ragazzi al tavolo si sostituiscono due panche accoppiate e un teatrino per marionette, cogliendo la disponibilità all‟esibizione e a imparare a prendere coscienza delle proprie azioni mostrandosi agli altri. L‟insistenza di van Eyck a separare e riunire le cose, per soffermarsi nel punto che le congiunge come luogo di consapevolezza e superamento delle differenze diviene leggibile, comprensibile in questi luoghi, tramite un disegno al tempo stesso fantastico e reale. Questa poetica compresa attraverso gli scritti di Martin Buber è infine trasformata da un sistema di relazioni sofisticato dove l‟integrazione ricercata tra casa e città prosegue nel rapporto tra casa e oggetti, e diviene infine un mondo di cilindri disposti a cerchio, tulipani che illuminano, nicchie etc. che danno il senso di leggerezza di un lavoro risolto.

Un commento specifico sarebbe richiesto per ciascuna delle

mediazioni tra il percorso di distribuzione e le unità che vi si affacciano in quanto, sebbene con lievi variazioni, ciascuna ha avuto una particolare attenzione nel definire un adeguato livello di soglia. Per intendere questa relazione ci si deve soffermare sul percorso e le sue modalità di svolgimento, poiché la relazione ha un suo verso, direzione, per essere riconosciuta, che è distinta da pareti in muratura piene o a volte solo con una piccola porta. Un paesaggio di muri di case con un‟evidente intenzione protettiva arrivando dall‟esterno è rivolto a nord (quindi una protezione associata alle condizioni climatiche), mentre per chi vuole uscire diviene aerea, trasparente, dominata quasi interamente dalle superfici vetrate aperte verso il sole85. Orchestrando in una nuova versione una scena che già è consuetudinariamente nello stato delle cose, nel rapporto tra ogni strada e ogni casa. Entrare o uscire da un luogo non produce la medesima condizione emotiva e la porta che abbiamo visto nel vecchio orfanotrofio essere il simbolo stesso dell‟istituzione qui scompare ed è sostituita da una piazza in cui van Eyck racconta, prima che fosse abitata, le scene di vita, apprensioni, paure, allegria, scrutando nella gamma di escursione delle emozioni degli abitanti, ricordandoci la necessità dell‟attitudine

85 L‟attività scolastica e sportiva dei piccoli abitanti si svolgeva durante il giorno all‟infuori della casa che funzionava con i medesimi ritmi di una famiglia.

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all‟immaginare. La strada interna non ha propriamente un inizio e una fine, la richiesta di van Meurs di evitare lunghi corridoi ciechi fa sorridere ora che si vede l‟esito delle sue raccomandazioni. Il corridoio non c‟è così come la rue interieuer ancorata al terreno resta sospesa tra due dimensioni

e tra l‟interno e l‟esterno. I punti critici, l‟inizio e la fine del percorso, lì dove si riconosce con più evidenza il rapporto tra dentro e fuori, sono risolti insediando le due principali attività collettive, la palestra-teatro a nord e la sala delle feste a sud. La palestra-teatro occupa l‟estremità nord-ovest, raggiungibile tramite un percorso che accentua nel modo più marcato dell‟intero complesso la condizione d‟introversione, per poi aprirsi, una volta all‟interno della sala, sullo spazio pubblico della Ysbaanpad con una grande superficie trasparente, come una proiezione verso l‟esterno, amplificata sulla strada, del loro luogo di rappresentazione, e così dalla strada, nell‟unico punto in cui l‟Orphanage è permeabile alla vista dallo spazio pubblico.

Volendo cercare una conclusione al percorso la sala delle feste

nell‟estremità sud sarebbe senza dubbio il luogo dove arrivare. Una volta al centro della sala già si riconoscono almeno altre due vie per proseguire, la prima immediata verso l‟esterno seguendo la copertura con le piccole cupole che proseguono oltre il serramento, una seconda via più discreta e da trovare che non conduce verso altre stanze ma attraverso il simulacro di una porta apre un varco su un gradone dell‟altezza adeguata per sedersi. Attraverso la porta86 libera nello spazio si accede a un primo cerchio che

86 Il trattamento scultoreo ricorda il significato simbolico di „porta‟ ossia il sollevamento dello strumento che definiva il confine dell‟insediamento per consentire il passaggio, così come troviamo situazioni analoghe di porte nel vuoto, volte a segnare un passaggio senza intenti celebrativi nelle documentazioni fotografiche di van Eyck sui villaggi africani. Il numero 3 di “Forum” dedica un intero numero a porte e finestre, vol. XV n. 3, 1960-61, pagg. 85-122; curato da Joop Hardy e Aldo van Eyck e si capisce che non si tratta di un problema tecnico: “Metamorphosis – dream – hallucination – poetry. / We in motion our movements – our step - our eyes – our sight – our nose – our smell – our ear – our hearing must have an upportunity of experiencing the transition from one to the other - experiencing on the threshold of each spere”, Joop Hardy, pag. 121. Il testo fa intendere l‟apertura del tema che però trova non nel testo ma nelle immagini tra la giustapposizione di diversi modi di aprire gli edifici il luogo dove viene messo in luce il ruolo poetico di comunicare tra dentro e fuori. Compaiono anche alcune foto dell‟Orphanage: la proiezione sulla parete di una scena filmata nell‟atrio e la riproduzione di una fotografia di Violette Cornelius con la ragazza sulla porta nel vuoto.

tramite uno stretto passaggio conduce al secondo cerchio87 dove infine si trova riflessa la propria immagine in uno specchio. L‟incisione di Jacob Olie della porta dell‟antica istituzione e qualche frase del direttore ci suggeriscono anche del piacere che si prova alla fine del percorso progettuale ad affrontare questa dimensione narrativa che tramite oggetti discreti diviene lo spazio ideale per raccontare una storia88.

Il percorso del quotidiano andare e venire, trascorrere il tempo in un

dispositivo spaziale creato per definire occasioni di incontri e di gioco, come un campo giochi che diviene casa-città, ripropone gli atteggiamenti informali che ritroviamo lungo una strada. Questi aspetti di vita urbana, trasfigurata in un interno, si manifestano nell‟architettura dei luoghi che si susseguono tra loro, ricordando il breve testo inviato a Le Corbusier: “a „bunch of „places‟ rather then a sequense of „spaces‟”89. La qualità architettonica dello spazio sembra che non voglia mostrarsi direttamente nelle corrispondenze ortogonali, ma si rivela sulle diagonali, nello sguardo obliquo, tra un angolo e l‟altro. Questa posizione per traguardare deve essere cercata da un occhio mobile che si muove per estendere lo sguardo nella profondità, o altrimenti, può trovare protezione tra le sue mura. La varietà di punti di vista ottenuta è una condizione inusuale, poiché solitamente si manifesta nelle città „stratificate‟ in episodi accidentali. Di contro, gli elementi della composizione, in particolare il materiale di base di van Eyck, è sostanzialmente rigido; gli elementi modulari quadrati richiedevano un‟altra disposizione per articolare percettivamente lo spazio, in quanto la ripetizione ortogonale avrebbe indirizzato a una rigidità e monotonia che in quel momento era percepita dagli architetti come un

87 La figura dei due cerchi raccordati da uno stretto passaggio ritorna in alcuni playground tra cui Radioweg (1949) e Dulongstraat (1954 progetto, 1957 realizzazione); il motivo potrebbe esse stato influenzato inizialmente da alcune opere contemporanee di Hans Harp. Il disegno della “pointless playbox” e la divertente vicenda (vedi AvE The shape of relativity, op.cit. pag. 316, 317) della loro realizzazione acquisiscono una grande rilevanza nelle pubblicazioni che successivamente illustreranno la realizzazione rappresentando la sintesi della sua attitudine a operare attraverso forme binarie. 88 La porta e il passaggio sono anche una trasposizione figurata dei testi che abbiamo affrontato in apertura, preparati da van Eyck dopo l‟incontro di Doorn per il X congresso CIAM maturati nel periodo in cui incontrava van Meurs, nei giorni in cui scriveva la prima sezione del documento The greater reality of the doorstep. 89 Vedi [mat. 1.02.03b].

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pericolo90. Un gruppo di luoghi anziché una sequenza di spazi, gli elementi della composizione costituiscono una sequenza obliqua, un lavoro di coordinamento sulla diagonale che ricorda più i movimenti rituali di una danza che l‟organizzazione funzionale di un‟attrezzatura collettiva. Questa considerazione è suggerita anche da un disegno della pianta del dipartimento dei bambini più piccoli dove van Eyck segna con una freccia azzurra la diagonale libera allo sguardo che dal fondo della sala dei giochi arriva al giardino. Questa possibilità di aprire lo sguardo in diagonale non è offerta solo in questa occasione, ma è il modo di cogliere la continuità e l‟affinità tra i luoghi e mettere in gioco le superfici trasparenti e traslucide, che nell‟offrire altri oggetti sul loro sfondo danno un senso al loro essere trasparenti. In questo gioco di scatole di vetro si intende la posizione „trasgressiva‟91 dei serramenti, posti sull‟asse delle colonne, quasi a volerle tagliare lungo il loro diametro, così da accentuare l‟ambiguità tra interno ed esterno nella sovrapposizione degli oggetti architettonici offerta dalle trasparenze. La presenza di superfici traslucide in vetrocemento lungo tratti dei percorsi comuni consente un pieno utilizzo di queste per favorire le attività tipiche dei giochi di strada. Giocare con la palla per esempio, eliminando i pericoli dei vetri infranti92. I muri traslucidi, oltre a risolvere questo problema evidente giocano un ruolo nell‟articolare gli spazi per trattenere l‟attenzione all‟interno degli spazi collettivi, orientando i punti di vista. La profondità di campo che deriva dallo sguardo obliquo si ripropone poi a due diverse scale, nel singolo dipartimento così come negli spazi comuni con lo stesso criterio compositivo ma con effetti di scala assai

90 Ci si riferisce al dibattito, in corso in Olanda alla fine degli anni cinquanta sulla questione della monotonia e la ricerca di una manifoldness che era al centro delle discussioni tra van Eyck e Bakema. 91 La posizione dei serramenti posti con l‟asse lungo il diametro delle colonne non è ortodossa dal punto di vista del linguaggio del Movimento Moderno in cui il serramento viene posto distanziato dalla colonna. La vocazione di van Eyck a cogliere gli aspetti ambigui in questo caso fa apprezzare „l‟errore‟ per la consequenzialità della sua impostazione metodologica. La scelta a prima vista comunque difficile da motivare trova una sua plausibilità quando si osservano in sequenza più serramenti in successione tra loro dove interno ed esterno si rincorrono, condizione possibile solo escludendo la scelta di posizionare il serramento dentro o fuori ma portandolo nella posizione di mezzo. Una soluzione anti-classica ma che può essere avvicinata dal punto di vista percettivo al padiglione Korulu Yalisi nel palazzo Top-Kapi a Istanbul. 92 I vetri rotti sono un‟immagine richiamata più volte da van Eyck per esprimere un senso di disapprovazione; si pensi per esempio gli specchi rotti alla XIV Triennale di Milano.

diversi. Non è in gioco la differenza tra esterno e interno, poiché il gioco delle trasparenze sostanzialmente non cambia, ciò che si modifica tra l‟ambito della „casa‟ e quello della „città‟ è una questione di misura, che prende forza dalla differenza tra il grande e il piccolo. La varietà rigorosa, una tessitura composta

2.02.02

Per riconoscere i principi progettuali di un edificio, la ricerca si spinge a considerare diverse dimensioni per avvicinarsi al nodo che tiene assieme le componenti morfologiche, strutturali, distributive, tecnologiche e ideologiche, secondo l‟ordine che l‟architetto imprime o subisce dalla loro combinazione. Il passaggio tra l‟individuazione dei singoli problemi, questioni, attese, coinvolti nel progetto richiede di essere soppesato, di avere una decantazione che si può ottenere tramite una procedura, prima di ridisegno dell‟edifico, poi di individuazione delle componenti che incidono la „memorabililtà‟. Imparare una poesia a memoria consente di entrare in confidenza con i versi, così selezionare il tipo di rappresentazione, piante, prospetti, sezioni di un edificio e riprodurlo utilizzando la memoria costringe a fissare l‟ordine degli elementi e può aprire la strada a una più nitida comprensione dei principi organizzativi. Questa procedura congenita nelle opere che partono da un atteggiamento compositivo non è lineare e richiede disponibilità a un‟apertura che porta a sospendere il proprio giudizio sull‟opera. Così in architettura l‟identità che coinvolge, dalla pianta fino ai dettagli della copertura, la cappella dell‟IIT a Chicago, consente, ricordando la forma delle due C contrapposte, oltre a ricordare l‟edificio e riprodurlo, di avvicinarsi al discorso progettuale di Mies van der Rohe tramite un meccanismo della memoria molto diverso da quello, per esempio, gerarchicamente organizzato su una traccia narrativa che utilizziamo nel ridisegnare gli episodi che messi in fila l‟uno all‟altro e intrecciati tra di loro ricompongono le figure del convento de La Tourette93.

Ritornando al nostro compito vediamo che, come in un organismo

elementare, un pezzo di tessuto estratto casualmente dalla BFU contiene in sé tutte le informazioni per definire l‟insieme, mentre tale procedura è

93 I processi di memorizzazione sono evidentemente un fatto individuale: qui si è posto l‟esempio della cappella dell‟IIT per la coerenza morfologica della struttura e la Tourette per la sua struttura interna di relazioni, poiché nel processo, si ripete, soggettivo, di memorizzazione è possibile allinearli come procedura di memorizzazione ai due casi in esame seguendo l‟organizzazione in due serie IIT – Tourette e BFU – Orphanage.

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impraticabile per l‟Orphanage che richiede di misurarsi contemporaneamente tra la parte e l‟insieme. Disegnare la BFU è sostanzialmente semplice una volta che si è preso confidenza con alcune norme. Il rebus dell‟Orphanage nella certezza che si coglie in modo immediato di una regola, ma al tempo stesso la necessità di trovarla, è all‟opposto un rompicapo intrigante che richiede attenzione nell‟essere colto.

Per eseguire l‟esercizio di ridisegno dell‟Orphanage si dispone una

griglia quadra in cui ciascun quadrato corrisponde al modulo base della cupola, la cui base inizialmente era stata dimensionata su un passo costruttivo di 3.60 m di lato e successivamente ridotto a 3.36 m per motivi economici94. Questo già è un indizio dell‟organicità e unità dell‟impianto che dovendo ridurre la superficie non comporta l‟eliminazione di una parte ma la riduzione omogenea del tutto. La sensazione di trovarsi all‟interno di un rompicapo95 ben congegnato emerge da subito disegnando la griglia che sottende la pianta del piano terra. Il primo dato rilevante è che non compaiono eccezioni, ciascun elemento strutturale e di partizione verticale è disposto in corrispondenza degli assi della griglia, le uniche trasgressioni sono costituite dai serramenti esposti a sud di due dei tre dipartimenti per i più piccoli che arretrano di solo mezzo modulo96 per evidenti problemi di soleggiamento (si deve tener conto che ci si trova in una condizione, estremamente vincolante, in cui passo strutturale e modulo coincidono). La numerazione degli assi consente di verificare che l‟edificio è contenuto „circa‟ all‟interno di un quadrato che misura trentasei riquadri sull‟asse delle ascisse e trentasette sulle ordinate (orientando il nord verso l‟alto). Andando a verificare l‟eccezione che esclude il quadrato come figura che contiene l‟intero edificio, si riconosce che l‟unità posta all‟estremità sud presenta la maggiorazione di un modulo rispetto alle due precedenti unità rivolte a est, e si può escludere che la lieve variazione corrisponda a esigenze di maggiore superficie, anche se ospitando l‟infermeria il modulo parzialmente svuotato, „in più‟, potrebbe essere stato inserito per aumentare l‟isolamento dell‟area; un‟altra motivazione potrebbe essere

94 AvE, the shape of relativity, op.cit. pag. 312. 95 Qui si intende rompicapo come nella trattazione fatta da Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1969; in particolare il capitolo quarto La scienza normale come risoluzione di rompicapo. 96 Resta da verificare cosa accade della chiusura verticale compresa tra la linea dell‟architrave e la volta.

rinvenuta osservando che un modulo supplementare viene inserito, in una condizione analoga, nella prima unità dell‟ala est (dipartimento per i bambini in età compresa tra i 6-10 anni) così da contenere, con queste due propaggini allungate, la sequenza di riseghe che definiscono il ritmo del fronte su Amstelveense Weg. È evidente da questi riscontri che la coerenza geometrica sostiene la costruzione e pur conservando il rigore essa trova anche la sua eccezione, la regola così non diviene un fatto esibito, emerge nella lettura, si svela, ma non domina.

Questi indizi di un disegno alla ricerca di combinazioni viene

confermato osservando l‟edificio dall‟alto, dalla tribuna del vicino stadio o atterrando all‟aeroporto di Schipol o in ogni caso passando con il bus poiché l‟edificio a un solo piano rende la sua copertura facilmente accessibile allo sguardo. Il movimento dello sguardo tra l‟altezza dell‟occhio di un uomo sulla strada e l„alzarsi del punto di vista verso l‟alto di solo un paio di metri, realizza due paesaggi estremamente diversi, tanto il disegno delle cupole in copertura risulta imprevisto. Dall‟immagine fortemente strutturata della copertura si intende che la geometria è il primo strumento per identificare le modalità di aggregazioni di un insieme, il quale si caratterizza per un‟articolata aggregazione di tre tipi di figure.97 La moltitudine di piccole cupole identiche e impostate tutte rigorosamente alla medesima quota si capisce da subito che non offre appigli per il nostro obiettivo di memorizzare l‟organismo edilizio. I volumi che emergono da questo fitto intreccio di cupole invece, definiscono una circostanza decifrabile dell‟organizzazione delle figure tramite l‟aggregazione delle due serie di grandi cupole che si riconoscono per la loro orditura e il contrasto con il corpo-ponte parallelepipedo che definisce il riferimento ortogonale della composizione. Un primo tentativo di cercare la disposizione geometrica tramite il tracciamento di assi sulla diagonale del quadrato, non trova soluzioni adeguate, poiché non sono evidenti immediatamente né simmetrie né allineamenti. Il rapporto che definisce l‟aggregazione tra questi elementi deriva da una traslazione sulla diagonale di due moduli accoppiati; questa successione delle quattro cupole è uguale nelle due ali, ma posta una ortogonale all‟altra. Dalla definizione di una linea di partenza, il parallelepipedo-ponte soprastante l‟ingresso schiera le due ali in avanzamento verso sud e convergenti al centro tramite uno slittamento

97 Qui non si interviene sulla „forma‟, poiché porterebbe il discorso a riconoscere l‟unitarietà, ma si preferisce fermarsi alla geometria, come strumento, per arrivare a cogliere la dimensione del movimento che l‟impianto esprime.

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costante tra le unità d‟uso di ciascuna ala. Riuscendo a controllare questa figura, ripetuta due volte, possiamo fissare un baricentro dell‟insieme nella convergenza delle due serie di padiglioni nella corte d‟ingresso, non un centro statico, ma un luogo attorno a cui ruotano le due figure in riferimento al parallelepipedo che consente di misurare questa tensione. Le opportunità di un disegno tanto articolato vanno lette assieme ai vantaggi di ottimizzare le condizioni di affaccio e di penetrazione della luce all‟interno dell‟organismo edilizio, ampliando considerevolmente le superfici verticali esposte alla luce e all‟aria. Si crea così un modo inedito di restituire porosità ai volumi architettonici di cui si stavano ricercando le tracce nelle antiche città arabe e di cui l‟Orphanage reinterpreta l‟ordine98.

“The situation to be hoped for should be recognize as one in which

both buildings and spaces exist in an equality of sustained debate.”99 Questa proposizione di Rowe estrapolata dal suo contesto di aspettativa per una dialettica tra oggetti e spazi aperti converge con una diversa angolatura a ricordare le parole di Mondrian, “una opposizione neutralizzante che annulla ogni esclusivismo”. Sullo sfondo di queste due intenzioni critiche si delinea il principio progettuale dell‟Orphanage, leggibile nella alternanza dei pieni e dei vuoti. I padiglioni che emergono dalla tessitura omogenea delle cupole e i patii imprimono il gioco del pieno e del vuoto che è presente nell‟Orphanage senza un effetto esibito, ma con una motivazione solida, nell‟offrire modi diversi di abitare tra ragazzi e bambini, come tra la città nuova e la città antica. Quando van Eyck parla di casa-città ci mostra nella stessa casa più modi di abitare la città o meglio ambedue i modi di vivere la casa100. La definizione del patio come luogo

98Non si tratta, ora, dei meccanismi mnemonici per ricostruire il disegno

complessivo: l‟impressione è che van Eyck abbia voluto nascondere il punto di partenza, per cui restano solo supposizioni e ognuno in questo caso può trovare il suo inizio (Un possibile punto di inizio verrà valutato alla conclusione di questo lavoro ). Poi, seguendo un altro livello rivolto alle intime convinzioni, un ambito celato del progetto che si manifesta nei numeri, le 336 cupole disposte su 36 assi per ciascun lato distante ciascuno 3.60 m (successivamente 3.36 m), potrebbe superare il complicato rincorrersi delle coincidenze ed esprimere la nostalgia di un mondo dove tutto ciò, come nei racconti del cacciatore cieco Ogotemmeli a Marcel Griaule, è inevitabile. 99 Crisis of the object: predicament of the structure, op.cit. 100 “The force of the argument, from van Eyck‟s Orphanage to Hertzberger‟s Old Age Home, manifests itself both in the ideas While the ultimate corruption of the technological

ideale per i bambini e il requisito della sala con luce naturale diretta su ambedue i lati est e ovest, oltre alla presa di distanza dalla strada diretta all‟aeroporto, vengono a definire l‟unità d‟uso che si pone in modo introverso, come da un pieno scavare un vuoto; di contro i quattro padiglioni che avanzano dal fronte ovest verso sud sono oggetti che tendono a liberarsi dalla maglia dei percorsi. Il tentativo di van Eyck di incrociare queste due tendenze è stato certamente favorito da questioni organizzative: la suddivisione dei dipartimenti in quattro e quattro era già applicata nel vecchio Orfanotrofio e costituisce assieme alla disposizione su due piani una buona condizione di partenza. Le altre parti come l‟amministrazione e le attività logistiche svolgono un ruolo „ancillare‟ e il corpo rettangolare sollevato e allungato destinato agli alloggi degli assistenti con il ballatoio a nord e scale in ciascuna estremità si trasforma nel ponte tra le attività che van Eyck si era divertito a separare. Un ponte al

metaphor, the architect is forced to search outside of the machinery of his imagery. But even beyond this, the calamity of 1945 finally forces into question the value of the object of man‟s conception that have traditionally marked his existence. This crisis suggests that the relathionship of man and his object world may no longer be sustained by the anthropocentrism of a unitary geometry.” Così l‟editoriale di Peter Eisenman su “Oppositions”, n. 9, estate 1977, pag. 20; questa contrapposizione a chi non conosce propriamente le dinamiche d‟oltreoceano (Gorge Baird, Colin Rowe: l‟opera, l‟insegnamento e l‟influenza sull‟architettura contemporanea, in “Zodiac” n. 20, gennaio 1999) rimanda a un testo di Colin Rowe su cui torna due volte (Collage City, op.cit, pagg. 50-86; e “Perspecta”, n. 16-1980 op.cit.) dopo questo intervento di Eisenman. Rowe interviene due volte associando la matrice a De Stijl e la disputa tra van Doesburg e Mondrian paragonando, con qualche scusa, la BFU a Victory Boogie-Woogie e abbiamo già rilevato della contiguità nella scelta delle figure tra Woods e van Doesburg. E ancora: “In the end, the Berlin grid is all too normative, all too pragmatic, and, intentions apart, all too unresponsive to violation”. Se Rowe avesse paragonato l‟Orphanage a Victory Boggie-Woogie, (confronto che poi Lefiavre-Tzonis svolgeranno in AvE Humanist Rebell op.cit. Boogie-Woogie in the polder) che impressione ne avrebbe tratto? Alla conclusione del capitolo Crisis of the object: predicament of the structure in Collage City, Rowe ritiene „giudizioso‟ anziché aspettare il declino dell‟oggetto rivolgere l‟attenzione alla testura, alla matrice e ancora “the situation to be hoped for should be recognize as one in which both buildings and spaces exist in an equality of sustained debate”. La pianta di Wiesbaden o il celebre confronto tra l‟Unité di Marsiglia e gli Uffizi a Firenze e la riconquista di una dialettica tra vuoto e pieno sono un aspetto da considerare risolto nell‟Orphanage, anche se Rowe si riferisce non al singolo edificio ma all‟intera città. Non risulta, al momento, vi sia stata una presa di posizione di Rowe sull‟Orphanage.

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posto della porta si potrebbe pensare visto che il corpo sospeso è il primo limite individuabile per accedere alla casa, oppure un ponte e una porta al tempo stesso in un‟opposizione neutralizzante, simboli di un dialogo aperto sull‟essere-limite che non ha limite101. Freie Universität Berlin: nuovi modelli organizzativi per le università

2.02.03

Una nuova fase di sviluppo degli insediamenti universitari in Germania Ovest diviene operativo, nel 1960 in seguito a un provvedimento legislativo102 che portò ai concorsi di progettazione per l‟università della Ruhr a Bochum, Marburg an der Lahn etc.; per la Freie Universität prevedeva l‟aumento di 74 nuove cattedre e un incremento della popolazione studentesca da 2.140 a 15.000 studenti. In Europa all‟inizio degli anni sessanta il tema progettuale degli edifici universitari era divenuto la nuova sfida associato anche ai problemi di verifica delle modalità di organizzazione della didattica. In Inghilterra, dove vi era storicamente un sistema consolidato di istruzione superiore, ci si rende ben presto conto che comunque l‟organizzazione non era assolutamente in grado di far fronte alla domanda di istruzione di massa che si stava creando e di cui sembrava difficile fornire una chiara definizione e quantificazione. Nella complessità del fenomeno di espansione dell‟educazione universitaria il caso della BFU diverrà un termine di riferimento, poiché affronta in modo radicale un‟esigenza di integrazione che si riconosceva impellente, ma di cui non si riusciva a definire i confini. Un seminario interdisciplinare tenuto all‟Architectural Association103 nel 1964 offre un quadro di grande preoccupazione e aspettative nell‟immediato futuro sulla gestione del grande numero, che anche se rivolto prevalentemente alla condizione anglosassone e americana propone tramite il punto di vista di sociologi dell‟educazione un quadro utile per comprendere le motivazioni alla base

101 Gerog Simmel, Il ponte e la porta, in Massimo Cacciari (a cura di), Gerorg Simmel, Saggi di estetica, Liviana Editrice, Padova 1970, pagg. 3-8; edizione originale “Der Tag”, n. 683, Morgenblatt vom 15 September 1909, ci si riferisce alla conclusione del saggio dove Simmel afferma che: “Und ebenso ist der Mensch das Grenzwesen das keine Grenz hat”. 102 Empfehlungen des Wissenschaftsrates zum Ausbau der wissenschaftlichen Enrichtungen, Teil 1, novembre 1960. Alcune informazioni sullo stato dell‟edilizia universitaria a Berlino sono raccolte nell‟articolo di presentazione dell‟esito del concorso per la BFU; Wettbewerb Freie Universitat Berlin, in “Bauwelt” 1964, Heft 6, pagg. 162, 172. 103 Cedric Price, John Smith (a cura di), New thinking for new universities, in “Architectural Association Journal”, giugno 1964.

del progetto per la BFU. In particolare Harold L. Cohen propone con l‟analogia della serra una ridefinizione dell‟approccio al luogo di studio. La serra e i termini dell‟analogia, la ricchezza del suolo su cui si pianta il seme, le condizioni ambientali, aria, luce divengono gli elementi determinanti per analizzare la crescita e conclude: “It cannot be predicted what forms and what stages the physical plant will evolute into, for the changing educational methodology and increased technology are moving in a vertical line on the chart of human progress”104. L‟indeterminatezza del compito è la condizione di base su cui si articolano la maggior parte delle riflessioni che contribuiscono al dibattito interdisciplinare.

Le varianti in campo, all‟inizio degli anni sessanta, sono tali sia dal

punto di vista dell‟evoluzione tecnologica sia della popolazione studentesca in continua crescita, che aprono alla discussione su una nuova metodologia didattica, con la consapevolezza di trovarsi di fronte a un quadro di riferimento in repentino cambiamento. Le difficoltà poi non si limitavano a definire i nuovi percorsi didattici, ma dovevano anche iniziare un nuovo confronto con le reazioni degli studenti stessi. Queste reazioni più evidenti hanno una ricaduta sul tema progettuale che apre grandi aspettative, alle quali gli architetti erano chiamati a intervenire con nuovi strumenti. Una visualizzazione architettonica di questa problematica emergenza può essere considerato il progetto Potteries Thinkbelt di Cedric Price per un‟università tecnica nello Staffordshire. Lungo i binari in disuso di un‟area industriale dismessa si vengono a organizzare, come in una catena di montaggio, le aree per le attività di ricerca „f lexible faculty zone‟, con torri residenziali e aree di socializzazione; in uno schema governato dalla sezione trasversale che definisce i rapporti tra le parti, ma che longitudinalmente è estensibile fino a dove i binari si incrociano nella campagna. L‟esempio di Thinkbelt rappresenta un apice, o meglio un estremo, della ricerca progettuale, e in generale le potenzialità di sviluppo dell‟edilizia universitaria diverrà all‟inizio degli anni sessanta un terreno fecondo per la sperimentazione di nuovi modi di aggregazione comunitaria. Infatti, la problematica dell‟università coinvolge anche una riflessione sul modo di abitare per una comunità ideale, il rapporto residenza-luogo di lavoro-svago è, a scala ridotta con un‟utenza selezionata e ricettiva al cambiamento, la problematica urbana che sarà così possibile sperimentare. Queste considerazioni svolte prevalentemente in Inghilterra e negli Stati Uniti divengono presto patrimonio comune e gli esempi che

104 Harold L. Cohen, Behavioural Architecture, in ibidem, pag. 7-12

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veicolano tale analogia tra il campus universitario e la città vengono alimentati da progetti europei tra cui la BFU rappresenta il modello rivolto alla massima densità105.

Vi sono più motivi per considerare la tradizione del campus

americano come influente, ma non risolutivo, nel lavoro di Woods: il primo, banale, riguarda il fatto che era la base della sua esperienza universitaria, avendo frequentato i primi anni di ingegneria alla New York University106; un secondo motivo riguarda il fatto che Dahlem di fatto era sotto il controllo della componente americana delle forze alleate che presidiavano la città e la parte di Berlino che più facilmente ne aveva assorbito l‟influenza107; il terzo motivo, già anticipato, è che lo stesso Woods utilizza nella presentazione del progetto per Berlino due schemi planimetrici dell‟università della California a Berkeley per dimostrare lo scarto tra la composizione urbana originale del 1914, le trasformazioni e le successive aggregazioni che la modificarono in modo irriconoscibile rispetto ai presupposti di partenza. L‟università a Dahlem era stata insediata nelle ville108 attorno all‟area del museo e all‟orto botanico, un sistema a padiglioni disposti nel verde che, sebbene non fosse autonomo rispetto alla città, riecheggiava il carattere del campus. Con questo non si vuole enfatizzare la questione per far pendere la preferenza verso il modello europeo dell‟università insediata all‟interno della città o quello americano della struttura autonoma, ma considerare entrambi come influenti e riconoscere nell‟intenzione progettuale l‟impulso a superarli entrambi.

105 The new Campus, in “Architectural Forum”, maggio 1966, pagg. 43-47. 106 Lo stesso Woods riconosce i pregi della New York University inserita all‟interno della città e quanto rappresenti un‟eccezione nell‟organizzazione delle attività universitarie americane; vedi The Man in the street, op.cit., pag. 53; La recensione di Jacqueline Tyrwhitt a The Man in the street, (ma il titolo riportato era People in the Street) basa le sue considerazioni su una nota biografica su Woods per la sua radicata antipatia per le aree suburbane, intese come luoghi di esclusione. Ekistics, 223, June 1974, pag. 405. 107 Si deve tener conto anche della sintonia verso il modello americano nell‟ambiente della BFU che nel 1963 non era, probabilmente, ancora entrato in crisi. 108 Per esempio l‟Istituto di archeologia era ospitato dal 1957 nella splendida villa Wiegand, dell‟architetto Peter Beherens con alcune tracce nel disegno dei serramenti del suo collaboratore Ludwig Mies van der Rohe.

Se leggiamo l‟intervento di John Voelcker109 al seminario dell‟Architectural Association, di cui abbiamo riferito, che illustrava appunto il progetto della BFU, ritroviamo enfatizzato il superamento di questa separazione tra città e università. Voelcker, utilizzando una comparazione di Erwyn Panofsky110 tra università europea e americana, conclude affermando l‟intenzione di rendere la BFU una parte di città: “If this project for the Free University of Berlin is considered with the architect‟s urban project for Toulouse-le-Mirail, Bilbao and Frankfurt it can be seen that the same fundamental intention underlies them all: the search for a structuring method capable of taking on a comprehensible form yet sufficiently generalized to acomodate all the elements which make up a great urban environment”. Questo obiettivo si rese da subito difficile da raggiungere, dipendendo dalla dimensione in cui il sistema veniva esteso: probabilmente se fosse stata raggiunta la dimensione complessiva prevista dal masterplan del 1967, circa tre volte superiore a quella previsto dal progetto di concorso, allora avrebbe potuto ambire a un ruolo a scala maggiore, ma la realtà dell‟utilizzo dell‟edifico è rimasto distante dalle speranze riflesse da Voelcker. Lo stesso Woods in The man in the street,

quindi dieci anni dopo il concorso, tornava ad affrontare in termini critici il criterio secondo il quale si riteneva negativa la creazione di “educational ghettos … The dissociation of life and education especially high education has long been seen as a desiderable situation. … The localization of universities, either in urban ghettos or exurban fortresses makes no sense

109 John Voelcker, New thinking for new universities: 4. The Free University of Berlin, in “Architectural Association Journal”, giugno 1964, pagg. 14-17. L‟analisi di Voelcker si basa non su un suo studio approfondito del progetto in esame, ma sulla presentazione del progetto di concorso che aveva avuto modo di discutere in anteprima al convegno del team 10 nel settembre 1963 a Parigi. L‟incontro si svolse presso lo studio di Candilis Josic Woods. 110 Erwin Panofsky, Tre decenni di storia dell‟arte negli stati uniti, in: Il significato nelle arti visive, Einaudi, Torino 1962 (prima edizione 1953), pag. 316-318. Voelcker riassume la questione della mobilità tra studenti e professori notando che negli Stati Uniti si muovono i docenti e gli studenti appartengono all‟istituto mentre in Europa si muovono gli studenti e i docenti restano vincolati alla propria istituzione . Il saggio citato da Voelcker potrebbe essere stato un materiale di discussione anche per l‟incontro di settembre 1963 a Parigi, in particolare la parte relativa al danno creato alla suddivisione in dipartimenti avrebbe potuto fornire un utile indirizzo per la definizione del programma organizzativo che sembra rispondere nell‟organizzazione delle attività didattiche a un superamento delle difficoltà anticipate da Panofsky.

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in view of today‟s social priorities. The city is the university; the university is part of the city”111.

La posizione di Woods sul rapporto tra università e città nel 1973 è

inequivocabile, gli avvenimenti del 1968-69 certamente hanno influenzato il suo, come di tutti, modo di intendere la comunità universitaria all‟interno della società. Abbiamo anticipato come il dispositivo spaziale predisposto da Woods avrebbe costituito una „cittadella inespugnabile‟, in caso di occupazioni studentesche, e come la sua anti-monumentalità fosse lo specchio dell‟ambizione di „una rivoluzione culturale permanente‟112. L‟affermazione „malinconica‟ di G. Wagner che l‟architetto “threw a party and nobody came”113 coglie questo interesse nell‟immaginare la reazione di quegli spazi a una condizione di protesta, che se non fosse stato per problemi di ordine burocratico nella realizzazione, sarebbe intervenuta sulla scena con una perfetta sincronia (concorso 1963, inizio lavori 1965) e capacità di interpretare le reazioni sociali.

Il rapporto irrisolto tra università e città probabilmente può essere

considerato la più probabile motivazione per l‟esclusione da The man in

111 The Man in the Street, op.cit. pagg. 52,53. Difficile in questo caso evitare di riprendere la proposizione di van Eyck che abbiamo seguito fino a ora. L‟omologia tra la casa dei bambini e la città aveva un altro tono; le aspettative di Woods non hanno un influsso poetico ma determinata operatività. 112 Shadrach Woods, Waiting for printout, in “”, n. 12, 1969; si insiste nel riportare brani estesi da questo saggio arrabbiato poiché sembra una rilettura sedimentata delle sue ipotesi teoriche. La questione che Woods solleva sull‟organizzazione definita sinteticamente in quattro punti è importante per verificare il clima culturale nel periodo della costruzione della BFU. “1 The only viable organization is one which is potentially dynamic. / 2 The dynamic of organization is concerned with the evolution of human habitat. / 3 The organization with which we must deal are global in scope and discipline. They are conditioned by everything that happens in the world. / 4 In urbanism there are not three but at least four dimensions, of which the time dimension is perhaps the most important. (This obliges us to restrain irresponsible graphic gestures.)” 113 Looking Back Towards the Free University Berlin, in Free University Berlin – Exemplary projects 3, op.cit. pag. 23. La lettura deve ritenersi personale e non direttamente espressa nel saggio; una possibile risposta a Wagner potrebbe essere che forse non è proprio vero che nessuno andò alla festa, è che semplicemente al momento della realizzazione the party was over.

the street di utili riferimenti diretti alla BFU114. Analizzando le ragioni di una

tale assenza si deve tener conto inoltre che il libro è stato pubblicato postumo (e quindi non congedato dall‟autore), ma tra il primo capitolo What is the Problem? e l‟ultimo capitolo The global City il testo non lascia alcun

varco aperto, anzi ha una tale stringente consequenzialità da non poterlo ritenere incompleto. L‟ipotesi per l‟omissione potrebbe risiedere nella semplice constatazione che l‟esito del progetto nella sua parziale realizzazione era ritenuto da Woods in contrasto con l‟aspettativa di un complesso universitario come parte della città: “The city is the university; the university is part of the city”.

Rileggendo proprio le osservazioni di Voelcker e Woods si

riconosce, in negativo, quanto il modello di insediamento universitario americano fosse parte delle riflessioni progettuali. Questioni notevoli sollevate da Panofsky riguardano le modalità di interazione tra le diverse discipline e gli effetti negativi della rigidità delle relazioni istituzionali tra le discipline organizzate per comparti autonomi. Ora senza entrare nei motivi di queste differenze, possiamo riconoscere come gli effetti negativi di queste due tendenze siano elaborati, nell‟ipotesi di Woods, ponendo come obiettivo dell‟organizzazione la creazione di uno strumento per l‟integrazione dei saperi. Rispetto alle problematiche sollevate dal progetto, tenuto conto delle altre proposte sottoposte al giudizio della giuria115 del

114Ll‟assenza di riferimenti al progetto per Berlino nel testo in cui Woods rilegge la sua esperienza di architetto-urbanista va compresa in quanto la BFU rappresenta il suo contributo professionale più rilevante e il libro affronta apertamente la questione università 115 Il primo e il secondo progetto classificati vengono presentati in “Le carré bleu”, n. 1. 1964 (interamente dedicato al concorso). Tra i possibili progetti da selezionare per il confronto la proposta di Larsen, seconda classificata, è la più stimolante tra quelle pubblicate (in “Bauwelt” 1964, Heft 6, pagg. 162-171) e il fatto che i membri della giuria, Jaap Bakema, Werner Duettman e Arne Jacobsen (e altri membri non riconosciuti) abbiano assegnato il secondo premio suggerisce il quadro decisionale in cui la giuria ha operato. I testi di presentazione dei progetti non intervengono su questioni di ordine teorico, forniscono una scarna enunciazione delle motivazioni progettuali. Ciò che qui interessa non sono le implicazioni ideologiche, il terreno su cui i due progetti si confrontano è, il rapporto con il contesto. Dopo aver investigato le premesse ideologiche del Web, sembra che il dato dell‟efficienza delle relazioni contestuali possa passare in secondo piano e invece vi sono più indizi che possono farle ritenere le ragioni del successo. Entrambe le proposte si appoggiano su di una maglia che riprende la geometria dominante dettata dagli edifici preesistenti, escludono interessi monumentalistici e interpretano una sobrietà che la città di

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concorso, il tema dell‟interrelazione tra i saperi, in uno spazio che favorisce l‟occasione di frequentazioni e di scambi, ha costituito l‟interpretazione più appropriata alle istanze emergenti nella metodologia didattica e di ricerca.

L‟integrazione tra le attività si mostra nella strada interna, come

luogo di incontro e di confronto. La coppia trasformabilità-flessibilità del sistema così come viene messa in luce da Schiedhelm “since no one had a convincing answer, flexibility seemed to be the remedy”116 è la questione fondamentale che nella BFU costituisce l‟interfaccia realizzato dal progettista tra committente e utente. In particolare la flessibilità, riconosciuta allora come un requisito indispensabile, richiede un ulteriore approfondimento separando la questione pratica dell‟indeterminatezza da quella di ordine teorico della ricerca di un sistema. Dobbiamo innanzitutto escludere che la flessibilità fosse solo una scelta del progettista. Lo sviluppo dell‟attività di prefabbricazione, soprattutto in Francia e Germania, costituiva un campo di ricerca assai rilevante e che si prestava a intervenire con metodi costruttivi che consentivano almeno la parziale reversibilità della costruzione; quindi lo sviluppo di tecnologie edilizie che si stavano specializzando in questa direzione coinvolgeva direttamente il mercato e i livelli decisionali politico-economici. Gli architetti “Phlexophily”, come venivano chiamati ironicamente da van Eyck, avevano infine trovato una risposta nel mercato, ma la posizione di Woods, maturata nell‟analisi

Berlino in quel momento richiedeva. I punti di forza, che si presumono tali, a favore della BFU, osservando le esigenze di un disegno urbano, a prescindere dalla qualificazione dello spazio collettivo, consistono nell‟articolazione dei percorsi in modo da costituire una gerarchia calibrata rispetto al nucleo storico del complesso universitario, che si inserisce come una parte dell‟insieme, senza competere con il sistema esistente, ma integrandosi. Larsen propone un sistema calibrato di corpi di fabbrica compatti con un‟evidente formalizzazione delle principali caratteristiche funzionali, aggregati attorno a un vuoto, una piazza allungata, ortogonale rispetto a un reinventato ed enfatizzato asse di organizzazione principale con forma inflessa; il risultato è che l‟inizio e la fine dell‟asse di organizzazione non riescono a trovare le condizioni per ancorarsi ai due tessuti edilizi esistenti, risultando con le sue proporzioni fuori-gioco per entrambe le estremità. In comune le due proposte erano predisposte, secondo specifica richiesta del bando, per risultare aperte a successivi sviluppi, a garantire un processo di crescita. La scelta di inserire entrambe i progetti nella scheda sui i nuovi metodi pianificatori per l‟università nella collezione curata da Giancarlo De Carlo testimonia dell‟interesse del confronto, sdi veda AA.VV. Pianificazione e disegno della Universita,: Stamperia di Venezia, - Studio DMV, Venezia, 1968. 116 The Berlin Free University experience, op.cit., pag. 97

delle trasformazioni delle molte realizzazioni portate a termine dal gruppo di progettazione, non può venir indicata come un semplice rimedio alla difficoltà di definire programmi funzionali stabili nel tempo. L‟ambizione cu i il sistema aspira è fornire certamente un maggior grado di libertà, ma al tempo stesso esso diviene per definizione immutabile “…il sistema non è mai modificato direttamente, in se stesso è immutabile; solo certi elementi vengono alterati prescindendo dalla solidarietà che li lega al tutto” così nel Corso di linguistica generale de Saussure esprime un concetto che diverrà

la marca culturale più evidente del decennio che stiamo affrontando. Architettura e linguaggio trovano in questa „ricerca del sistema‟ un punto d‟incontro, „precipitante‟ nelle costruzioni, le quali ne emanano le influenze o meglio la partecipazione dalla visione d‟insieme al dettaglio.

La questione del grado di coinvolgimento nello strutturalismo

dell‟attività di Candilis Josic Woods, così come ancor più per van Eyck, richiede un capitolo a sé. Qui fino a ora è rilevante fermarsi sul concetto di sistema, poiché la lezione di de Saussure, a prescindere dalla dimostrazione dell‟influenza diretta su Woods117 contiene una tale chiarezza che contribuisce a intendere le potenzialità e le aspettative insite nella ricerca teorica e nella realizzazione della BFU. “Una lingua costituisce un sistema. [107] … Ma che cos‟è una lingua? … Essa è al tempo stesso un prodotto sociale della facoltà del linguaggio e un insieme di convenzioni necessarie, adottate dal corpo sociale per consentire l‟esercizio di questa facoltà negli individui. Preso nella sua totalità, il linguaggio è multiforme ed eteroclito; a cavallo di parecchi campi, nello stesso tempo fisico, fisiologico, psichico, esso appartiene anche al dominio individuale e al dominio sociale, non si lascia classificare in alcuna categoria di fatti umani, poiché non si sa come enucleare la sua unità. La lingua al contrario, è in sé una totalità e un principio di classificazione. Dal momento in cui le assegniamo il primo posto tra i fatti di linguaggio, introduciamo un ordine naturale in un insieme che non si presta ad altra classificazione [25-26]”118. Si potrebbe dire che nella BFU scompaiono le preoccupazioni di ordine linguistico riferite al vocabolario architettonico, poiché la stessa costruzione del sistema diviene lingua e i singoli elementi, pannelli di facciata, pilastri, travi

117 Il tempo come agente tra massa parlante e lingua in De Saussure sarebbe il punto su cui innestare la più profonda corrispondenza tra il modo analogo di intendere il sistema di Woods. I paragrafi 3.1 Il tempo causa essenziale, e 3.2 Azione del tempo su un territorio continuo, potrebbero costituire l‟inizio di questa riflessione. 118 Corso di linguistica generale, op.cit. (riferimenti direttamente sul testo).

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e solai, un‟associazione di segni arbitrari. Utilizzando l‟analogia con il linguaggio e l‟articolazione in lingua e parole ci avviciniamo a un chiarimento delle relazioni tra sistema, utenti e la necessaria mediazione del tempo che va ben oltre la semplice disponibilità all‟ovviare, con un rimedio, a esigenze impreviste, ma riflette un‟organizzazione del pensiero progettuale che persegue un‟ambizione propriamente archi-tettonica119. L’ordine flessibile, la maglia a due scale Modulor + misura

2.02.04 Per ricostruire percettivamente le intenzioni progettuali cui la BFU ambiva120, secondo le previsioni di soddisfare con il sistema l‟intero fabbisogno di superfici per attività didattiche e di ricerche di circa 15 ha, dobbiamo immaginare che le tre attuali Strasse L, K e J si prolunghino per una lunghezza pari a un altro stralcio corrispondente a tre corti e venga costruita la parte nord-ovest con le strade M, N e O che andrebbero a chiudere a nord-ovest lo spazio scoperto del teatro all‟aperto. La circostanza di accentuare ulteriormente la prospettiva delle strade interne attorno ai 500 m ci porta vicino a un limite percettivo dove l‟anomala lunghezza può suggerire un senso di disagio dovuto alla monotonia a percorrerlo. Ciò che è riscontrabile nella strada K sulla lunghezza di 300 m è la condizione che una tale lunghezza, riferita all‟altezza ordinaria del piano (3 m dal pavimento al controsoffitto) e alla larghezza consistente della strada stessa (pari a 5.80 m), si annulla nella varietà di episodi che caratterizzano il percorso. L‟effetto variegato della luce che proviene dalle corti, le scale e le rampe poste in mezzeria del percorso contribuiscono a disinnescare situazioni psicologiche negative come si potrebbe sospettare da una lettura delle piante, anche se certamente gli effetti di queste

119 Sul rapporto tra architettura e tettonica si veda Cesare Brandi, Struttura e architettura, Einaudi Editore, Torino 1967, pagg. 42-45. 120 Il tentativo di offrire una descrizione sul senso di abitare l‟edificio non è risolvibile se non accettando qualche rischio per rinviare agli scenari che quell‟ambiente suggerisce. Certamente l‟intenzione di Woods di costruire un pezzo di città non è la prima cosa che viene in mente, ciò che suggerisce invece è un paesaggio artificiale, come muoversi dentro una di quelle stazioni nello spazio che in quegli anni e poi sempre più negli anni settanta certa cinematografia fantascientifica produceva in grande quantità. Da questo punto di vista si rimanda alla sensazione bizzarra che si ha quando si rivede un vecchio film di fantascienza, che se nel momento della sua produzione poteva affascinare ora fa sorridere, poiché le grandi aspirazioni che trasmetteva sono state superate dalla realtà e i mezzi con cui rappresenta il futuro sono già parte del passato.

considerevoli dimensioni andrebbero verificati su più soggetti e per un periodo esteso di tempo. Queste considerazioni sono svolte esaminando lo spazio vuoto, senza le persone e valutandone le caratteristiche dal punto di vista architettonico con una serie di sopralluoghi nei momenti di scarsa attività didattica; poi conclusa la verifica della reazione a uno spazio così artefatto, quando l‟edificio realmente comincia a vivere, quest‟ordine di problemi diventano trascurabili, i dettagli si perdono e ciò che prima era una scarna, quasi anonima, definizione delle pareti diviene solo fondale per attività e incontri con la continua variabile che maggiore è l‟affluenza tanto più lo spazio reagisce trasformandosi in un luogo per essere in tanti. “Il Phalanstère può essere definito un macchinario umano. Non si tratta di

un rimprovero, né si vuole alludere a qualcosa di meccanicistico: con questa espressione si designa soltanto la grande complicazione della sua costruzione. Si tratta di una macchina costruita di esseri umani.”121

La qualità dello spazio non è tuttavia attribuibile intrinsecamente alla conformazione degli spazi interni ma al rapporto che si instaura tra lo spazio chiuso interno a uso collettivo e lo spazio aperto interno (i patii); maggiore diviene la distanza dalle strade (semi-)pubbliche di accesso e più le corti interne isolate dall‟esterno divengono luoghi protetti e discreti. Ritornando allo schema di progetto del concorso si intende allora il ruolo che avrebbe svolto lo spazio aperto centrale, posto nel baricentro del sistema, e sorprendentemente simile per le relazioni che instaura con l‟edificio, allo sahn (la corte centrale) di una moschea. Il ritrovare uno

spazio pubblico di incontro, una piazza, attrezzata con un teatro all‟aperto e altre attività per il tempo libero avrebbe dato un centro rappresentato dal vuoto del luogo di aggregazione; non un centro dal punto di vista distributivo e gerarchico ma un luogo da raggiungere che avrebbe costituito l‟identità dell‟intero complesso [mat. 2.01.01m]. Lo schema dei percorsi, rimasto inalterato nella sua organizzazione verticale dal concorso all‟edificio realizzato ha tre livelli, è improntato all‟omogeneità tra ciascun livello in quanto non vi sono gerarchie definite tra i percorsi longitudinali (Strasse) nelle intenzioni così come nell‟esito progettuale, tanto meno vi è la definizione di un centro della composizione attorno cui tutti gli elementi ruotano. Vi è comunque questo vuoto posto al centro del sistema che, per quanto parzialmente realizzato, non essendo chiuso sui quattro lati, e ora immediatamente raggiungibile dal di fuori del sistema, non contiene le

121 Walter Benjamin, I „passages‟ di Parigi, Einaudi, Torino 2002, pag. 696 (secondo volume).

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aspettative che esprime nello studio della pianta. Il calo di tensione che si percepisce nell‟uscire in questo spazio, che avrebbe dovuto essere il cuore della comunità, da subito riporta in una condizione di „esterno‟, e rende conto del fatto che la situazione ambientale che si è creata precedentemente, all‟interno, era sostenuta dall‟introversione e dall‟isolamento del sistema rispetto al contesto. Il gioco del dentro e del fuori riferito allo spazio aperto-naturale e chiuso-artificiale è la regola che governa la percezione del muoversi. L‟attrazione di questo dispositivo spaziale consiste nel creare una condizione di astrazione e si basa su un equilibrio definito dall‟esclusione dell‟esterno. È difficile immaginare invece come questa parte di città protetta potesse raccordarsi e trovare una mediazione con le dimensioni della città reale, se nell‟Orphanage il variare delle scale dal grande al piccolo, così come la dialettica tra aperto e chiuso istituivano tra loro un continuo gioco di mediazioni; di contro per la BFU questa dialettica è annullata dal rovesciamento tra lo spazio chiuso collettivo e lo spazio aperto individuale.

Una lettura rivolta a verificare quest‟ordine di controcampi

successivi non può non guardare al confronto con la prima esperienza progettuale autonoma di Candilis e Woods. Il progetto per le Carrières centrales presenta un‟analoga attitudine a considerare a tutto campo le possibilità insediative. L‟approccio critico alle modalità di aggregazione orizzontale delle unità d‟uso e la sperimentazione di sviluppi verticali in edifici pluripiano che abbiamo analizzato in base alla resistenza a straordinarie spinte trasformative negli interventi di Casablanca, sono lo specchio di un‟attitudine parallela che avrebbe potuto (dovuto) manifestarsi a Berlino. Il riconoscimento dei repentini ampliamenti e sopraelevazioni avvenuti negli interventi residenziali estensivi a Casablanca negli anni cinquanta offriva un evidente esempio di come un tipo edilizio a corti multiple poteva sostenere consistenti trasformazioni; ecco che allora se paragoniamo l‟intensità di quelle trasformazioni edilizie possiamo ricostruire lo scenario di modificazione continua a cui ambiva il sistema pensato da Candilis e Woods, ma che non aveva tenuto conto adeguatamente delle differenti attitudini culturali degli utenti e la loro predisposizione a modificare il proprio ambiente. Riconosciamo così, nell‟atteggiamento progettuale verso le componenti strutturali di trasformazione urbana, un modo di operare che vede nell‟esportazione, nell‟esame della traslazione dei principi insediativi, un metodo per sollecitare, riconoscere e interpretare le istanze associative della

comunità122. L‟apertura di questo confronto mette in evidenza, oltre a una questione di ordine strutturale, un aspetto congiunturale di grande rilevanza nel progetto per Berlino relativo alla disponibilità di un livello di produzione industriale tecnologicamente avanzata. Questo interesse a enfatizzare gli aspetti tecnologici e a sondare la versatilità di elementi industrializzati per l‟edilizia costituirà anche la definizione di punti di vista di una tale distanza all‟interno del gruppo di progettazione che porterà di fatto alla cura esclusiva di Woods con l‟ausilio di Prouvé per la parte del progetto della BFU successiva all‟esito concorsuale123.

Riepilogando. In seguito all‟assegnazione del primo premio al

concorso di progettazione per l‟assetto generale (masterplan) nel dicembre 1963 seguì nell‟agosto 1965 l‟incarico a Candilis Josic Woods per la progettazione esecutiva della struttura portante del primo stralcio che corrispondeva a una quarta parte del progetto generale; la progettazione esecutiva delle partizioni verticali esterne e delle altre componenti dell‟edifcio fu completata nel maggio 1967; l‟intervento di Prouvé per la progettazione delle strutture e delle partizioni iniziò con la fase esecutiva del progetto dal 1965. L‟edificio fu completato nel 1973 e durante la realizzazione occorsero inconvenienti che bloccarono l‟attività del cantiere a causa, oppure soltanto motivati, dell‟intervento di nuove normative tecniche per la sicurezza124 nel corso dell‟esecuzione dell‟opera125. L‟intero

122 Questa attitudine allo scambio avrebbe potuto distinguersi a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta come una terza via nel dibattito tra internazionalismo e regionalismo che ritroviamo nei testi divulgativi di Levi-Strauss a sostenere la necessità e l‟utilità degli “scarti differenziali” tra culture (Razza e storia, op.cit pagg. 45-49). Per un‟analisi a caldo delle tendenze indicate con regionalismo si è tenuto conto del quadro definito dal saggio di James Stirling, Regionalism and Modern Architecture, pubblicato in “Architect‟s year Book”, n. 8, op.cit. 123 Vedi intervento di Candilis a Rotterdam nel 1974, critico riguardo all‟operato di Prouvé. “I think that Berlin has enormously lost … Cor-Ten is shit, is simply shit, who knows what kind of shape it takes after two years. This is not architectural argument after all; Prouvé has a little part of history: what is the result? All that realization delayed during three years without reason. Because the technology by Prouvé is unrealizable. But as result of that story, if you look at Berlin, it has a robust architecture; it is constructed.” Team 10 meetings, op.cit. pagg. 130-133. 124 ll problema delle porte tagliafuoco per esempio sembra sia emerso solo nelle fasi conclusive della realizzazione. 125 Team 10 meetings, op.cit. pagg. 130-133.

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iter progettuale nella prima fase per la realizzazione della struttura risulta influenzato da un contrasto tra l‟ufficio tecnico dell‟università e i progettisti126, a causa di differenti valutazioni tecniche relative alla tipologia strutturale e ai materiali da impiegare. Si ricorse così a una procedura per quel tempo inusuale, una gara per l‟appalto con la particolarità di essere bandita non sulla base del progetto esecutivo ma corredata da un quadro prestazionale. I progettisti predisposero degli schizzi che identificavano genericamente, senza riferirsi a una parte specifica dell‟edificio, le caratteristiche della struttura per le aree a uso didattico e per i percorsi pedonali definendo un passo strutturale di 7.20 m per il dimensionamento dei vani, ma senza definire la modularità che dipendeva dalla tipologia costruttiva proposta da ciascuna impresa. Le prestazioni richieste al sistema costruttivo erano valutate in seguito alla facilità di montaggio e smontaggio di ogni singolo pezzo, alla possibilità di trasformazione e ampliamento, con particolare attenzione all‟integrazione delle componenti impiantistiche. Il dispositivo di gara mirava a selezionare quel sistema costruttivo che consentisse, completata la fase del cantiere, di provvedere con facilità a ulteriori modificazioni con il minor disagio possibile. Vista la particolare conformazione orizzontale del complesso edilizio e le ipotesi di crescita, l‟approvvigionamento del cantiere doveva risultare possibile utilizzando il solo percorso carrabile per l‟accesso dei mezzi di sicurezza, poiché l‟impiego di gru risultava alquanto complesso, vista la profondità dell‟edificio. È interessante notare come la complessità dei requisiti abbia comportato una considerevole ampiezza nelle ipotesi sottoposte dalle imprese di costruzioni [mat. 2.02.04a,b].

Di fatto, il problema preliminare cui sia i progettisti che i committenti

cercavano una risposta non consisteva tanto nella tipologia strutturale, in quanto tutte le indicazioni portavano verso la scelta di un tipo a traliccio

126 I contrasti poi si trasferirono verso l‟impresa e comportarono la difficoltà di Woods a intervenire efficacemente nella direzione lavori. Le questioni relative alle difficoltà incontrate durante l‟esecuzione dei lavori della BFU emergono durante i colloqui del team 10 in particolare a Rotterdam nel 1974 e a Spoleto nel 1976. A volte richiamati in modo diretto in altri casi riferendosi indirettamente alle difficoltà riscontrate operando con imprese che assorbono il completo controllo dell‟opera (riferiti alla Krupp che era il general-contract della BFU). Il cantiere industrializzato della BFU poneva la questione, che superava il limite di questa specifica costruzione, di salvaguardare un rapporto equilibrato tra committente architetto e impresa e i rischi di sbilanciamento che l‟industrializzazione delle componenti edilizie avrebbe comportato (nel caso operasse in regime monopolistico).

(puntiforme); il problema consisteva principalmente in una determinante disputa sulle caratteristiche tecnologiche tra l‟ufficio tecnico dell‟istituzione che richiedeva l‟utilizzo di una struttura in calcestruzzo armato, rispetto all‟ipotesi di impiegare una struttura in ferro sostenuta dai progettisti. Dalla scelta del materiale127 quindi dipendeva il dimensionamento dei singoli pezzi per ottenere la migliore maneggevolezza, conservando efficienza nei tempi di montaggio e versatilità nell‟eseguire sbalzi, variazioni nella posizione dei pilastri per la predisposizione di impianti, compatibilità con strutture di maggiore luce per gli auditorium, predisposizione di travi di bordo per il fissaggio dei pannelli di tamponamento e non ultime le caratteristiche di resistenza al fuoco. La pubblicazione degli esiti della gara128 costituisce un‟interessante documentazione dal punto di vista tecnologico sullo stato dell‟arte, alla fine degli anni sessanta, per quanto concerne la prefabbricazione delle strutture edilizie. Le soluzioni presentate da nove ditte, qualificate per un intervento così impegnativo, furono analizzate e confrontate secondo 34 parametri e risultò vincitrice la soluzione con strutture verticali e orizzontali in acciaio e solette in calcestruzzo proposto dalla celeberrima Krupp. La selezione di questa soluzione fu di grande importanza per garantire le caratteristiche finali dell‟edificio e in seguito la stessa Krupp si aggiudicò la gara per la fornitura dei pannelli di tamponamento. La definizione del sistema non si riconosce solo dalla disponibilità alla flessibilità delle partizioni interne verticali nel corso del tempo, ma presenta questa libertà di organizzazione anche nella selezione dei suoi elementi strutturali. Per molti architetti questa disponibilità a far definire la costruzione da agenti esterni risultò allora e si potrebbe ritenere anche oggi un‟intromissione in un campo inviolabile; invece la coerenza del procedimento condotto da Woods trova in questa disponibilità a raccogliere i contributi dall‟offerta tecnologica più avanzata un modo di intendere la professione al di fuori dei limiti tradizionali dell‟architetto.

127 Gli schemi predisposti da Woods Prouvé non lasciavano un grande spazio di manovra nelle scelte in quanto i soli requisiti per la disposizione dei pilastri lungo i percorsi richiedevano un grado di flessibilità che difficilmente un sistema prefabbricato in calcestruzzo sarebbe riuscito a soddisfare. L‟opzione per il calcestruzzo era probabilmente dovuta a questioni di sicurezza. 128 Jürgen Nottmeyer, Freie Universität Berlin – Konstruktionswettbewerb für einen ersten Bauabschnitt der Erweiterungsbauten auf dem Obstbaugelände, in “Deutsche Bauzeitung”, n. 7, luglio 1967, pagg. 551-564; la variabile economica non compare nella documentazione perciò la valutazione non è verificabile in tutti i suoi parametri.

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All‟architetto quindi cosa resta da fare? Semplicemente ciò che ha

sempre fatto. Definire le cose che non cambiano, che restano definite nel rapporto tra le parti e il tutto, a disposizione degli uomini, per soddisfare al meglio i loro bisogni. In questo senso Woods cerca di definire le condizioni per un ordine che possa sostenere quel cambiamento verso “uno spazio totale e una società universale”. Per ottenere questo risultato da più parti si era riferito come indispensabile un contributo di immaginazione129 degli utenti (docenti e studenti) poiché le modalità di variazione e adeguamento del sistema dipendono dalla loro interpretazione. La suddivisione in tre aree d‟attività in prossimità delle strade interne, quelle con caratteristiche pubbliche, quelle raggiungibili dagli innesti delle strade secondarie per le aree di lavoro dei singoli dipartimenti e infine le zone di relax nei patii e sulle terrazze costituiscono la gerarchia definita per i tipi di interrelazioni. Oltre a questa „scala di associazioni‟ le variazioni organizzative tra i dipartimenti sono libere di ridefinire le attività secondo il variare delle loro necessità. Gli elementi che restano fissi sono le strade principali di distribuzione che si sviluppano linearmente e contengono sui tre livelli, compreso il basamento, le dorsali degli impianti tecnologici.130 La costruzione dell‟edificio, riferendosi a un assemblaggio di pezzi riconoscibili tra loro come il “meccano” ha la pretesa, delusa, di rendere conto delle modalità di montaggio. Una volta garantiti il coordinamento degli elementi portanti verticali e orizzontali, le componenti impiantistiche principali e le cellule dei servizi igienici (disposti lungo la strada principale alternati sugli incroci con le strade secondarie), rimangono da definire gli elementi di partizione verticale per completare la definizione dell‟edificio che così può

129 “It is too early to judge if all the advantages which the building offers are being used, only time will tell, and it will also depend on the amount of courage and imagination the administration will use.” In “Architectur Plus”, n. 1, 1974, pag. 49. Alla verifica dei fatti questa valutazione prudenziale di Werner Duettman formulata in occasione dell‟inizio dell‟attività dell‟edificio coglie in pieno le responsabilità dell‟amministrazione nell‟attivare un uso adeguato dell‟edificio. Il giudizio di Duettman qualificato dal fatto che ricopriva in quegli anni la carica di „assessore‟ all‟urbanistica di Berlino e in quella veste anche di autorevole membro della giuria del concorso fa intendere l‟accettazione consapevole da parte dell‟amministrazione della città dell‟elevato grado di sperimentalità del progetto. Anche l‟Architet‟s statement a conclusione della prima fase riportava un concetto analogo: “The fate of the building depends on the imaginative faculties of the people who use it.” In Berlin Free University, Architectural Association – Exemplary Project n. 3, op.cit., pag. 31. 130 Un principio analogo era stato utilizzato per Toulouse Le Mirail.

essere ripetuto fino a dove le necessità funzionali lo richiedono. Il principio progettuale a questo punto coincide con la definizione del sistema, poiché non deve svolgere un ruolo di intermediario con il contesto con cui interloquisce in quanto il sistema stesso assorbe il contesto al suo interno. Potremmo definirla, rovesciando le intenzioni del progettista, una costruzione autoreferenziale.

La seconda fase di realizzazione dell‟edificio denominato

Silberlaube, completata nel 1978 sotto la guida di Manfred Schiedhelm, comporta delle considerevoli variazioni sull‟efficienza del sistema così com‟era stato immaginato e costruito da Woods, ma consente di comprendere anche i limiti della sua „realizzazione utopica‟, proiettata verso un domani che era stato troppo breve. Le variazioni già anticipate da Duettman nel 1974131 riguardano l‟abbandono del requisito di smonatabilità del sistema e per ragioni economiche l‟eliminazione dei due regimi di misure riportando la modulazione delle partizioni verticali sulla base dei 0.30 m e tralasciando l‟applicazione del modulor. La più evidente variazione, comunque, consiste nella sostituzione del CorTen per i rivestimenti esterni dei pannelli con lamiera in alluminio (colore naturale), da cui il secondo stralcio prende il nome di Silberlaube. Per quanto

riguarda la produzione dei pannelli in alluminio, avendo conservato la suddivisione in moduli di due diverse larghezze, non è chiaro quale genere di economie, rispetto alle misure indicate dal modulor, potevano consentire per richiedere di modificare l‟impostazione iniziale, in quanto la somma dei pannelli con le nuove misure risulta invariato. Probabilmente la forzatura imposta da Woods di prevedere due regimi di misure aveva comportato maggiori problemi di quelli risolti dalla somma di due pannelli da 1.13 m e uno da 0.70 m che con un „aggiustaggio‟ di 0.04 m consentivano di raggiungere i 3.00 m per intercettare il multiplo del modulo costruttivo di base, che sui tre metri risultava eccessivamente rigido.

La pretesa semplicità dell‟edificio, a parte questa evidente difficoltà

di coordinare modulor e modulo costruttivo (variando su base dei 0.30 m, aveva una modulazione effettiva di 1.20-1.80 m per le strutture e 0.60 m per le finiture e 3.00 m come interasse tra struttura e rivestimenti), viene tradita dall‟osservazione della disposizione degli elementi verticali portanti. Il requisito, imposto nella selezione della soluzione strutturale, di differenziare la posizione dei pilastri rispetto alla griglia strutturale, oltre a

131 “Architectur Plus”, n. 1, 1974, op.cit., pag. 49

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comportare, di fatto, l‟eliminazione della opzione per le strutture in calcestruzzo prefabbricato, rende conto di un requisito proprio del sistema per la interdipendenza e l‟assenza di una componente costruttiva che governa le altre. Questo „dettaglio‟ rende evidente che era escluso il primato della struttura per definire in via gerarchica la disposizione delle componenti tecnologiche, distributive e le ulteriori finiture. L‟applicazione della diversificazione della struttura viene utilizzato prevalentemente nei punti dove sono collocati i giunti strutturali, ma in molti punti dell‟edificio compaiono scarti di 0.30 m, 0.60 m a cui trovare ragioni differenti. Il ridisegno delle piante del Rostlaube denota una rilevante presenza di

eccezioni dell‟allineamento dei pilastri sull‟intero edificio dcui si intuisce la presenza di una griglia virtuale che governa il sistema. Il riscontro fisico del pilastro allineato sull‟intera lunghezza del corpo di fabbrica si trova solo in corrispondenza delle strade interne, ma anche qui a un interasse costante riscontriamo variazioni nella luce tra i pilastri con oscillazioni di 0.60 m senza alcuna preoccupazione per l‟ordine percettivo dei pilastri, anzi comportando un contributo alla varietà del percorso.

La struttura degli impalcati viene organizzata su una doppia orditura

di travi, due C contrapposte per la struttura primaria e a un intervallo fisso di 1.80 m l‟orditura secondaria, che portando le lastre in calcestruzzo del solaio rappresenta il multiplo del passo dei telai. La struttura portante così definita consente anche considerevoli sbalzi e variazioni nel posizionamento dei pilastri sebbene con diversi gradi di versatilità lungo l‟asse principale rispetto a quello dell‟orditura secondaria. Anche questa sostanziale differenziazione non preclude considerevoli variazioni che divengono evidenti nelle ampie aree tecniche senza partizioni del piano interrato, dove l‟allineamento dei pilastri non trova le sue ragioni nella definizione dei singoli vani. In effetti, non possono essere le partizioni a influenzare la struttura visto che l‟organizzazione richiederà una loro flessibilità nel tempo e neanche le componenti impiantistiche poiché sono indipendenti dalla struttura e organizzate con grande disponibilità di spazio di manovra al piano seminterrato. Una delle motivazioni resta la volontà di consentire differenti scelte organizzative tra un piano e l‟altro, anche se considerevoli variazioni occorrono anche lì dove l‟edificio ha un solo piano. L‟organizzazione dell‟edificio per strati sovrapposti, particolarmente evidente nel plastico presentato al concorso, richiede questa articolazione che in ogni modo non è sufficiente a motivare le differenti disposizioni degli elementi portanti verticali, la cui ragione evidentemente sfugge a ragioni emergenti dai soli elaborati grafici. Le variazioni dell‟ossatura dell‟edificio

fanno rilevare che anche la struttura stessa è flessibile e che il controllo dell‟operazione continua di costruzione è affidata alla griglia virtuale.132 Lo spazio in funzione del tempo

2.02.05

È interessante verificare come l‟impiego di tecniche costruttive industrializzate, sia nella costruzione dell‟Orphanage anche se solo parzialmente, come integralmente per la BFU, abbia portato a soluzioni radicalmente diverse. Abbiamo visto che nell‟Orphanage l‟impiego di elementi prefabbricati per le cupole e gli architravi ha comportato e sostenuto l‟impegno dell‟architetto nella definizione di un organismo edilizio con un elevato grado di precisione e regolarità; al tempo stesso Woods e Prouvé spingono le potenzialità del procedimento di montaggio di componenti prefabbricati a un livello di flessibilità che mette in discussione i „fondamentali‟ della pratica costruttiva. La cupola in calcestruzzo su base quadrata di 3.36 m non può che essere rivolta a una diversa concezione dello spazio rispetto a un dispositivo contenuto in un involucro modificabile con un impalcato definito da tre gradi di modificazione (travi principali, secondarie, soletta). Eppure entrambi gli edifici si pongono sulla stessa direzione di ricerca di una dimensione insediativa intermedia tra edificio e città, si sviluppano tendenzialmente in orizzontale con patii che definiscono un‟accentuata introversione ed entrambi sono evidentemente organizzati sulla base di un principio iterativo133. È evidente che lo spazio che vanno a

132 Il principio progettuale può identificarsi come un “sistema sostenibile” intendendo con il termine sostenibile, al di là degli attributi che vengono assegnati in campo ecologico, quella capacità di mantenere il sistema a un determinato livello di prestazioni al variare delle condizioni all‟intorno. 133 Anche se declinati in modi diversi, in effetti se questo principio è chiaro per l‟Orphanage, mentre nel caso della BFU la flessibilità riduce questa condizione e ciò che controlla il sistema è la griglia e l‟iterazione non di parti ma di singoli elementi della costruzione. Principio iterativo viene inteso come l‟aggregazione di parti in cui prevale l‟associazione dei singoli elementi sull‟organizzazione gerarchica delle componenti. Il termine va riferito all‟interpretazione di Costantino Dardi in Il Gioco sapiente – tendenze della nuova architettura, Marsilio, Padova 1971: “La partenza scabra, senza uno schema figurale a priori, indotta da questo metodo, fa sì che la combinazione degli elementi di base nello spazio possa indifferentemente realizzare l‟autorevole presenza del blocco di Marsiglia o l‟ammiccante silhouette dell‟Habitat di Montreal, la logica sequenza di pieni e di vuoti entro la maglia della Casa dei ragazzi di Aldo van Eyck ad Amsterdam o la gestuale labilità delle piastre nella Free University di Berlino di Candilis Josic e Woods, l‟unità spaziale dei

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definire è diverso, a tal punto che il loro confronto ci può aiutare a comprendere, a sostanziare un‟idea di diversità in architettura. Le reazioni di van Eyck alla visita della BFU sono rimaste famose per la severità dei giudizi134 che esprime, e l‟uomo del futuro a cui Woods si rivolge, nel visitare l‟Orphanage si troverebbe come un archeologo in visita a delle rovine. Certamente incidono differenze-influenze di ordine socio-politico o culturale, ma articolate da una base comune in quanto gli autori oltre a essere coevi vantano una decennale frequentazione, anzi si sono raccolti in un gruppo di lavoro, poiché condividevano la centralità dell‟uomo nella definizione dei processi di trasformazione e la necessità di un approccio dialettico all‟architettura che nascesse dallo scambio delle esperienze progettuali.

A proposito della comparazione, l‟interesse nella ricerca di invarianti

in fenomeni avvenuti in epoche diverse consente a Rowe in La matematica della villa ideale di argomentare rilevanti analogie nella forma; di contro il tentativo di elencare le differenze in fenomeni analoghi ci conduce a motivare i differenti punti di vista in riferimento al modo di interpretare il proprio tempo. Questo rapporto non va valutato in termini meccanici: la procedura sincronica di Rowe ha il merito di isolare la forma nella sua essenza, l‟armonia, e non è ovviamente commutabile al fatto che una visione diacronica debba necessariamente rivelarci il senso del tempo rispetto allo spazio, ma qualcosa del genere accade nel confronto tra l‟Orphanage e la BFU. La „fissazione‟ del tipo insediativo che si riconosce come l‟intermediario tra le due opere costituisce il perno attorno al quale osservare lo svolgersi di due discorsi opposti sull‟interpretazione dell‟uomo nel suo tempo. La radice delle differenze tra la diversa concezione dello spazio, applicata al medesimo tipo, non risiede nell‟organizzazione dello spazio che dovrà essere inteso come l‟effetto, ma nella causa che consiste nella differente valutazione di bisogni e desideri della società del proprio

laboratori Olivetti ad Harrisburg di Louis Kahn o la sequenza seriale del quartiere Halen a Berna di Atelier 5”, pag. 86. 134 I commenti di van Eyck alla visita alla BFU nell‟incontro dell‟aprile 1973 e la lettera di reazione di Woods solleveranno un ampio dibattito all‟interno del team 10 che proseguirà negli incontri di Rotterdam (1974) e Spoleto (1976). Sono documentabili dalla sbobinatura del convegno di Spoleto del 1976 e rivestono interesse per quanto riguarda il rapporto tra progettista e costruttore (Krupp). Fondo De Carlo AP – IUAV, Venezia.

tempo135. L‟impegno maggiore in tutte le occasioni che questi autori si sono trovati ad affrontare è sempre stato rivolto alla riconoscibilità del quadro temporale in cui inserivano le proprie teorie, i progetti e le opere. La successione delle priorità uomo-tempo-spazio sono per van Eyck e Woods parte di un patrimonio di conoscenze condiviso e gli esiti di queste combinazioni si staccano in modo non più riconciliabile quando affrontano la posizione dell‟uomo nel suo tempo.

Profondamente influenzato da una riflessione di matrice ecologica

sui pericoli dello sbilanciamento di ricchezza e critico, rispetto alle sue stesse speranze nel futuro di solo alcuni anni precedenti, Woods, in un saggio scritto nel 1969 accentua l‟incertezza, per marcare la necessità di lasciare uno spazio sempre maggiore all‟attesa. “We can imagine that the purpose of organization is to order the growth and change of our (natural) habitat, so that we can do those things which we wish to do in a way that least commits our successors to doing the same thing in the same way. For nothing is less sure than the durability of our attitudes and of our activities and probably nothing is more certain than the rejection tomorrow of what we consider sure today.”136 Lasciare aperto il futuro al maggior numero di eventualità e incidere in modo reversibile nell‟ambiente è una consapevolezza che va soppesata in ciascun momento, così Woods raccoglieva delle sollecitazioni che erano emergenti in quegli anni come forze inedite e il modo radicale in cui le recepisce è segno oltre che di sensibilità, di intuito e un antidoto contro il cinismo. Certamente si è avverata la sua previsione di rigetto delle opere, almeno le più radicali, realizzate all‟inizio degli anni settanta e l‟avvicendarsi dei linguaggi architettonici fino a dopo il duemila sembra in effetti definire un‟accelerazione nella sovrapposizione degli stili, che prende una velocità rilevante, e così anche il rifiuto di ciò che è appena passato è un meccanismo che probabilmente proprio da quegli anni ha acquisito, per la ridondanza dei messaggi, una cadenza sempre più raccorciata. Comunque ciò che è rilevante nella posizione di Woods non è la fortuna o meno delle previsioni, è il sottrarsi a misurarsi con la durata. L‟architettura non viene vista come la testimonianza verso il passato, come simbolo di ciò che sta trascorrendo. L‟artista così si muoverà con un‟andatura leggera liberato dal

135 Ci si riferisce al quadro interpretativo delle due opere e non in termini assoluti, anzi è proprio la specificità rilevata nella comparazione che può ritenersi una eccezione rispetto agli scenari che si pongono in architettura. 136 Shadrach Woods, Waiting for printout, in “Perspecta”, 12, 1969, pag. 10.

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compito di fissare una memoria collettiva, cancellando le sue tracce all‟archeologo del futuro, semplicemente presente.

Lo sguardo disincantato di chi si rivolge al futuro si inflette negli

interrogativi su un destino che non può o non vuole riconoscere, di contro chi si muove in verticale sull‟asse del tempo, riconoscendo l‟impegno di vedere il proprio presente guardando indietro nel tempo si ritrova, inevitabilmente, al centro, nel fulcro attorno cui gira il mondo. L‟impegno di van Eyck per comprendere le relazioni tra l‟uomo e il suo ambiente lo portò ad affrontare impegnative ricerche etnografiche, oltrepassando confini, per visitare il mondo dei popoli senza scrittura. La disponibilità a sorprendersi, nel raccogliere in luoghi così distanti nel tempo e al tempo stesso presenti gli stessi gesti e le stesse attitudini traslate in bisogni ora ritenuti primari, esprime un azzeramento del progresso così come annulla qualsiasi stimolo antiquario per tornare o meglio restare a confrontarsi con l‟essenza dell‟uomo. “L‟uomo dopo tutto, si è andato adattando fisicamente in questo mondo per migliaia di anni. Il suo genio naturale non è aumentato né diminuito durante quel periodo. È ovvio che l‟intera portata di questa immensa esperienza ambientale non può essere contenuta nel presente finché non condensiamo il passato, cioè l‟intero sforzo umano, dentro di esso. Questo non è un atto di compiacenza storica in un senso limitativo, né si tratta di fare un percorso a ritroso, ma significa soltanto essere consapevoli di ciò che „esiste‟ nel presente – che cosa è passato attraverso di esso: la proiezione del passato nel futuro attraverso presente creato – Anna was, Livia is Plurabelle’s to be.”137

La fiducia ostentata nel progresso e la permanenza dei bisogni

primari dell‟uomo sono due punti di vista contrapposti che si respirano, emanano, dagli edifici che abbiamo innanzi descritto come l‟escursione in due mondi che ruotano in un senso inverso dell‟altro. L‟impulso che imprime un verso anziché l‟altro è attribuito dalla poetica e dall‟intuizione di ciascun architetto. Nessuno dei due edifici si presta a interpretazioni rivolte al passato o al futuro perché sono situazioni pensate e radicate nel presente, anzi esplicitamente rivolte a un quotidiano che si apre su due distinti scenari. Leggere lo spazio in funzione del tempo significa riconoscere l‟architettura come scrittura dell‟uomo. Concepire uno spazio come la risposta proporzionale al tempo che si trascorre nell‟utilizzarlo in

137 Aldo van Eyck, L‟interiorità del tempo, in C. Jencks & G. Baird (a cura di), Il significato in architettura, Edizioni Dedalo, Bari 1992, pag. 205.

guisa di strumento, in cui le distanze che si percorrono sono espresse in termini di „spazio fratto tempo‟. Un‟efficienza misurata dalla velocità richiede una visione continua dello spazio, uno spazio omogeneo e isotropo rigenerabile all‟infinito. Di contro un labirinto dove a ogni passo si deve scegliere la propria sorte, educare i propri sensi a trovare i luoghi propizi e dove il tempo viene governato liberamente dai propri desideri deve necessariamente essere discontinuo. Lo spazio in funzione del tempo non sottende un rapporto lineare, coglibile con la lettura a prima vista, e questi due esempi, a prescindere dalle preferenze fra l‟uno o l‟altro o meglio ancora nessuno, sono apprezzabili per la decisione e coerenza con cui percorrono la loro strada. I principi progettuali di queste due opere sono determinati dalla volontà di dare un ruolo all‟uomo nel suo tempo, a determinarne il destino e demandano allo spazio la realizzazione di questa ambizione. La concezione dello spazio rispetto al tempo dipende da condizionamenti culturali che si esprimono su distanze imponderabili, in intervalli assai più ampi di quelli con cui ci siamo misurati; la tensione verso la densificazione orizzontale che si riconosce in queste esperienze di costruzione è l‟indicatore di un segnale intermittente della necessità della società di ristabilire relazioni di solidarietà tra individuo e collettività. Due esempi hanno guidato nell‟avvertire questa difficoltà: l‟osservazione di Giedion sulla costruzione delle grandi volte presso i romani, come volontà formale e non come conquista tecnica, e l‟analisi di Samonà sulla continuità dei due fronti delle Procuratie del Sansovino a San Marco. È sufficiente accennare a questi due esempi per mettersi in guardia sulla complessità del problema di associare la trasformazione dello spazio fisico all‟interpretazione dello spazio stesso come espressione di modificazioni culturali. Il fatto di aver considerato, come base di partenza per questo lavoro, l‟affinità tipologica, provvede a un‟indispensabile attenuante e a un ridimensionamento di tale aspettativa che viene rappresentata non dall‟opera ma dall‟evoluzione del tipo inteso come intermediario tra piano del contenuto e piano dell‟espressione138. Quindi attenuata nel tempo dalla necessaria sedimentazione e accumulo delle esperienze costruttive. Così l‟avere avvicinato l‟architettura alla scrittura e di conseguenza i due edifici a due testi eliminerà la tentazione di limitare la lettura a un rapporto lineare

138 Questa definizione così come altre locuzioni riferite alla linguistica sono dovute alle lezioni del prof. Pasquale Lovero tenute allo IUAV di Venezia negli anni accademici dal 1997 al 2001.

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tra spazio e tempo, portando questo lavoro al di fuori di ogni pretesa di approdare a una conclusione, ma rinviare alla ricerca della traccia139 tra passato e futuro.

“Un testo è un testo solo se nasconde al primo sguardo, al primo venuto, la legge della sua composizione e la regola del suo gioco. Un testo resta per altro impercettibile. La legge e la regola non si riparano nell‟inacessibilità di un segreto, semplicemente non si affidano mai, al presente, a nulla che si possa con rigore chiamare una percezione. Rischiando sempre e per essenza di perdersi così definitivamente. Chi saprà mai tale sparizione? / La dissimulazione della tessitura in tutti i casi può impiegare secoli a disfare la propria tela. La tela che avvolge la tela. Secoli per disfare la tela. Ricostruendola anche come un organismo. Rigenerando indefinitamente il proprio tessuto dietro la traccia tagliente, la decisione di ogni lettura.”140

139 Il passato che non è mai stato presente. 140 Jacques Derida, La farmacia di Platone, Jaca Book, Milano 1985, pag. 45.

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CONCEZIONE DELLO SPAZIO Notte e Giorno

2.03.01

Una volta riconosciuto che discontinuità e continuità dello spazio possono essere indicati come i modi dell‟espressione progettuale verso l‟interpretazione del proprio tempo e le aspettative che vi si ripongono, si può tornare a visitare questi edifici con un‟accresciuta consapevolezza del loro senso. Così incontriamo uno spazio denso, poroso, definito nei suoi limiti e nelle sue aperture verso l‟esterno, in modo tanto articolato quanto inequivocabile, nell‟utilizzare la luce come strumento per orientarsi a l suo interno. La luce fornisce i criteri oltre che semplicemente per trovare la strada al suo interno, anche per leggere tra luce e ombre il rapporto tra individuale e collettivo, per stimolare o trattenere i comportamenti sociali. La concezione architettonica di uno spazio discontinuo nell‟Orphanage serve a educare all‟uso dello spazio, come tra i suoi molteplici livelli di lettura il commento di E.N. Rogers sull‟Orphanage può suggerire: “a

marvellous blend of discipline and freedom”141. Il disegno della copertura che abbiamo utilizzato nella sua rappresentazione planimetrica come la chiave, dal punto di vista disciplinare, per intendere i principi compositivi si rivela all‟interno, nella sua resa spaziale, un dispositivo che utilizza la luce per dilatare lo spazio. Il chiaroscuro che distingue ciascuna delle cupole piccole segue la cadenza dei passi attribuendo un ritmo allo svolgersi delle attività che trova nelle aree sottese dalle cupole più grandi, il luogo luminoso della rappresentazione e dell‟incontro. Il gioco concavo-convesso, che si riconosce tra dentro e fuori, osservando la copertura dall‟alto con l‟accelerazione impressa dalla ripetizione, e l‟effetto di dilatazione indotto dalla concavità nello spazio interno, sottraggono la copertura dalla prima impressione, limitata a un fatto linguistico142. La

141 Giudizio riportato in AvE The Shape of relativity, op.cit., pag. 352. 142 Le cupole grandi e piccole e la loro influenza nell‟iter progettuale sono ampiamente trattate in AvE the Shape of Relativity, op.cit. Sono la parte che inevitabilmente è sottoposta a commento nelle molte critiche scritte sull‟Orphanage, quasi sempre osservandole da fuori – anche Strauven riportando i commenti di van Eyck – porta a privilegiare questa lettura dall‟esterno come causa della definizione del motivo. Ora se non si dovesse tener conto delle testimonianze, e in tal modo si è agito, si andrà a leggere l‟importanza delle cupole per il loro appartenere alla dimensione dello spazio che svolgono dall‟interno. È poi vero, come al solito con i temi affrontati da van Eyck, che entrambe le facce degli oggetti hanno

gravità della massa sospesa a un‟altezza costante dal suolo e il senso di protezione che trasmette dall‟interno è riflessa nell‟ambiguità tra dentro e fuori, nella percezione psichedelica delle onde in copertura. La relatività nelle condizioni tra dentro e fuori rivela che la copertura è la matrice della costruzione. Partizioni verticali opache, trasparenti e traslucide convogliano, moderano o precludono il diffondersi della luce sottratta dalla copertura tramite un posizionamento e una modulazione delle partizioni che risponde del corso del sole durante il giorno e le stagioni, in cui anche i dettagli come le colonne con cerchi concentrici segnati sulle pavimentazioni in cemento oppure, i dodici fori disposti a corona che segnano le cupole grandi, sono strumenti per misurarne il cammino143. Il cammino in uno spazio-luogo disegnato dal tempo. Se continuiamo a utilizzare la luce come strumento di comprensione della concezione architettonica dello spazio per la BFU la reazione che si ricava è prossima all‟indifferenza. L‟orientamento dei corpi di fabbrica, dovuto in parte a ragioni legate alle preesistenze ma prevalentemente alla direzione delle infrastruttuture che disegnano il territorio è indifferente alle condizioni di illuminamento. Un‟indifferenza rivolta sia all‟influenza delle condizioni climatiche interne, sia all‟effetto della direzione della luce sui volumi edilizi. Le osservazioni di Giedion sul ruolo della luce, rivolta a tutte le epoche, nelle tre concezioni che riconosce si basa su una constatazione: “È la luce che dà la sensazione dello spazio. Lo spazio è annullato dall‟oscurità. Luce e spazio sono inscindibili”144. La flessibilità del sistema della BFU non lascia margini di manovra formale nella definizione dei modi di aggregazione dei pannelli, si limita a identificare i rapporti di illuminazione in riferimento alle attività che si svolgono in corrispondenza di ciascuna area, ma non vi sono riferimenti specifici per l‟orientamento. Anche le precauzioni adottate per contrastare

una loro ragione. L‟interpretazione di questo studio ha privilegiato il senso di lettura da dentro verso fuori come motivo che ha innescato la scelta progettuale. 143 L‟ombra della colonna libera nello spazio a sostegno dell‟angolo del padiglione troverà attorno al cerchio inciso sul suolo un modo di fissare il tempo. Luce e spazio sono inscindibili (Giedion) la luce genera il tempo. 144 Siegfried Giedion, The eternal Present – The beginning of Architecture, Feltrinelli Milano 1969, pag. 511 (prima edizione The trustees of National Gallery of Art, Washington 1964). La proposizione riportata apre il capitolo intitolato Concezione architettonica dello spazio.

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l‟irraggiamento diretto, dapprima con dei frangisole145 e poi con delle tende esterne avvolgibili (color arancione), di cui era prevista l‟installazione su tutti i pannelli. L‟inclinazione delle strade interne di circa 45 gradi rispetto all‟asse nord-sud probabilmente ha favorito questa indifferenza, ma sostanzialmente l‟atteggiamento verso la componente climatica, l‟asse eliotermico, per quanto a Berlino incida in modo rilevante nel comfort ambientale, è ininfluente nella determinazione delle scelte progettuali. Dall‟interno la fitta cadenza dei sostegni verticali dei pannelli e il fatto che le strade interne favoriscono la vista verso l‟esterno prevalentemente di scorcio e quindi con una rilevante presenza dei serramenti, creano la sensazione che la provenienza della luce all‟interno dell‟edificio non risulti indirizzata da una precisa intenzione progettuale a controllarne l‟influenza, ma piuttosto sia lo spazio aperto delle corti che, come volumi sottratti a un solido, sia inteso come l‟inserimento di stanze di luce all‟interno di un tutto-pieno. Van Eyck nei suoi ripetuti elenchi di coppie oppositive da superare e intendere come duo-phenomenon146 include anche il giorno e la notte,

ma la distinzione tra il giorno e la notte non può essere portata verso una sintesi, è un altro modo di intendere il fluire della vita come lo è la metafora del respiro. La proposizione che teneva assieme il mondo dell‟architettura con il mondo delle aspettative dell‟uomo e della sua comunità era fondata su questa domanda-enigma: l‟uomo inspira ed espira, quando anche l‟architettura farà lo stesso? Il giorno e la notte sono il respiro del mondo e la casa dei bambini è plasmata per ricevere questo respiro. La luce, il buio e tutte le zone d‟ombra che nell‟Orphanage si interpongono tra le aree illuminate sono parte di un attenta regia (no luxmeter here147) che rimanda

alla molteplicità di situazioni che simulano lo spazio urbano in un ambiente

145 Nel progetto esecutivo dei pannelli presentato per la gara di appalto nel 1967 erano previsti frangisole realizzati con una mensola in aggetto in corrispondenza dellesole parti vetrate 146 In particolare nella coppia continuo-discontinuo lo spiraglio tramite cui accetta la continuità, in cui ne apprezza la meraviglia è riferito al modo in cui entra nella dimensione dello spazio vissuto dall‟uomo. “I love the idea of spatial continuity, but only in the service of man, not as with mr Breuer and company in the services of architects, Continuity is wonderful if it induces simultaneous awareness of realities in a particular place.” CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit., pag. 32. Per quanto riguarda il giorno e la notte vengono inclusi riferendosi all‟alba e al tramonto come punti di mediazione. 147 Ibidem.

protetto. “If childhood is a journey let us see to it that the child does not travel by night”148. Anche la luce artificiale viene trasformata in un elemento dell‟architettura, nel disegno degli oggetti, come la stilizzazione dei tulipani in lamiera di ferro, che divengono le luci dell‟ingresso e l‟illuminazione dell‟interno dove sono utilizzati apparecchi simili a quelli che si trovano lungo le strade di Amsterdam. L‟illuminazione artificiale della BFU, anch‟essa disegnata per la specifica occasione149, è definita principalmente da due componenti, una plafoniera ad angoli arrotondati in alluminio, sospesa con due steli dal controsoffitto per l‟illuminazione delle aule, mentre negli spazi di distribuzione si è adottato un profilo a U continuo, anch‟esso sospeso dal controsoffitto, contenente una linea continua di neon e disposto sui lati della strada interna. All‟illuminazione artificiale non viene assegnata particolare rilevanza, ma l‟obiettivo è rivolto a mimetizzarla sullo sfondo delle pareti in modo da dissimularne la presenza, così negli spazi di lavoro l‟illuminazione veniva già predisposta all‟interno delle pareti150. L‟illuminazione artificiale d‟altronde, se si associa la latitudine e il cielo grigio dei lunghi inverni berlinesi con la consistente profondità del corpo di fabbrica, diviene un‟esigenza quasi costante durante il periodo di utilizzo dell‟edificio. Si deve tenere conto inoltre che volendo funzionare come un pezzo di città, era esplicita intenzione dei progettisti che gli spazi collettivi fossero fruibili nel corso delle ventiquattro ore. Come i luoghi più densi delle metropoli, la BFU non avrebbe dovuto conoscere differenza tra il giorno e la notte, la comunità di docenti e studenti non doveva necessariamente adeguarsi ai ritmi di vita ordinari e i percorsi interni, per diventare Strasse, non solo di nome ma anche di fatto,

dovevano prestarsi a un uso pubblico e la continuità di accesso durante l‟intero arco del giorno era un requisito determinante, tanto auspicabile quanto improbabile. Ciò che certamente permane nell‟edificio è questa

148 Aldo van Eyck, Lost Identity Grid, 1956, frase riportata sulla tavola n. 4. in Team 10 – in search of a Utopia of the present, op.cit., pag.57. 149 Architect‟s Statement, Completion of the first phase, 1973, in AA.VV. Free University Berlin, Architectural, Exemplary Projects 3, Architectural Association, London 1999, pag. 33. 150 Il dettaglio degli apparecchi di illuminazione conferma i due differenti atteggiamenti, anzi li rende ancora più evidenti: la plafoniera con le medesime caratteristiche cromatiche e di trattamento superficiale delle pareti da una parte e il garofano in lamiera dell‟Orphanage sono in un certo senso due scelte obbligate.

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condizione di artificialità: “Fourier sulle rues-galeries: Cette facilité de communiquer partout àl‟abri des injures de l‟air, d‟aller pendant les frimai au bal, au spetacle en habit léger, en souliers de couleur, sans connaitre ni boue, ni froid, est un charme si nouveau, qu‟il suffirait seul à rendre nos ville set chateaux détestables à quiconque aura passé une journée d‟hiver dans un Phalanstere. [A 4a, 4]”151. Come Walter Benjamin, così anche Woods nel primo capitolo dal titolo What is the problem? apre il libro

conclusivo della sua attività con una descrizione del modello di vita sociale proposto da Charles Fourier. Nel momento storico in cui le masse si muovevano dal controllo delle parrocchie a quello dello stato era forse possibile compiere un sogno rivoluzionario verso un‟armonia sociale che Woods ovviamente nel suo „oggi‟ ritiene inattuale in quei termini, ma che pur sempre cercava di rigenerare interpretando i nuovi contesti. La strada interna

2.03.02 Benjamin nel suo affresco abbozzato delle Gallerie di Parigi illustra,

tramite una molteplicità di punti di vista ritagliati durante una lunga ricerca, la nascita di un fenomeno insediativo, di un nuovo „tipo urbano‟, che era stato in grado di rappresentare un particolare momento dello sviluppo sociale ed economico della metropoli. Le ragioni economiche, anzi commerciali, principalmente per la vendita dei tessuti e l‟intreccio con il riferimento al Bazaar come modello importato, vengono mostrate da

Benjamin. Per quanto possiamo essere (quasi-)152certi che Woods non sia entrato in contatto con Passagen-Werk, ancor di più è rilevante

riconoscere la sintonia nelle posizioni. In quanto a Woods153, vi è una decisa sintonia nella percezione dei fenomeni sociali; ciò che qui interessa è la coincidenza nel trattare della consecutività tra galleria urbana e Falansterio154. In entrambi, anche se con toni assai più espliciti in

151 I “passages” di Parigi, op.cit., pag. 51, Il testo citato da Benjamin è tratto da E. Poisson, Fourier [Anthology] (Paris 1932). 152 Walter Benjamin nel 1972 non godeva dell‟attuale notorietà; la prima edizione in tedesco di Passagen-Werk è del 1972, quindi non si può escludere che Woods possa aver conosciuto il testo di Benjamin. 153 Come professore ad Harvard la posizione di critico marxista sarebbe stata alla fine degli anni sessanta. 154 Le argomentazioni dell‟elemento strutturante i grandi interventi residenziali tramite i percorsi pedonali separati dal traffico così come Woods teorizza nel 1960 possono essere virtualmente considerati il proseguimento di questa considerazione di Benjamin: “Il

Benjamin, la galleria commerciale è il sintomo dei nuovi valori della borghesia e il Falansterio è il farmaco o meglio l‟antidoto155. La relazione tra galleria urbana e Falansterio è messa in evidenza da Benjamin “Fourier ha visto nei passages il canone architettonico del falanstero. La loro

interpretazione in chiave reazionaria da parte di Fourier è significativa: mentre essi servono in origine a scopi commerciali, diventano in luoghi di abitazione. Il falanstero è una città di passages”156, e così Woods impiega il

modello della galleria urbana, dopo aver diluito le attività commerciali, per organizzare il suo piano per il centro di Parigi Bonne-Nouvelle.

La galleria urbana condivide con il tipo insediativo a matrice la

condizione di interposizione tra edificio e città; l‟inserimento di un elemento di paragone come la galleria urbana, consente di affinare l‟ordine dei termini. Si dovrà notare che questa operazione comporta alcune forzature rispetto all‟assetto teorico delineato da van Eyck. La reciprocità nella sua concezione tra casa e città, infatti, risolve, anzi amplifica in un effetto

commercio e il traffico sono le due componenti della strada. All‟interno dei passages, la seconda componente è venuta meno; il loro traffico è rudimentale. Il passage è soltanto strada sensuale del commercio, fatta solo per risvegliare il desiderio. Poiché in questa strada le linfe vitali ristagnano, la merce prolifica ai suoi bordi, intrecciandosi in relazioni fantastiche come un tessuto ulcerato. - Il flaneur sabota il traffico. Egli non è nemmeno acquirente. È merce. [A3a,7]” I „passages‟ di Parigi, op.cit. Nel progetto di Woods si riconosce al dispositivo galleria la capacità di aggregazione; l‟esclusivo uso commerciale viene sostituito dalle attività „ancellari‟, attrezzature collettive, ma anche attività artigianali e commerciali. 155 Il fatto che Passagen-Werk e The Man in the Street siano stati pubblicati quasi contemporaneamente (ed entrambi postumi) rende ancora più notevole la concordanza che inizino allo stesso modo, con un tributo a Charles Fourier e alla sua intuizione E viene da domandarsi se la proiezione nel futuro di una società raccolta in piccoli gruppi e tendenzialmente introversa, che Gutkind pronosticava come la prossima evoluzione sociale, avrebbe potuto trovare dimora nel Falansterio come il luogo di vita comunitaria. 156 I „passages‟ di Parigi, op.cit. – exposé 1935, pag. 7. Nella seconda versione del testo del 1939 “The arcades, which originally were designed to serve commercial ends, become dwelling placet in Fourier. The phalanstery is a city compose of arcades”. Benjamin pur confermando il legame attenua la relazione che l‟architettura e in particolare il medesimo tipo possano prestarsi a esiti così differenti. Il paradosso nel constatare che attorno al medesimo tipo insediativo si coagulino tanto il primo evidente dispositivo commerciale di massa e che modello della città socialista può essere considerato un ulteriore argomento di approfondimento sulla relazione senso e tipo.

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caleidoscopico i rimandi tra l‟uno e l‟altra in un equilibrio dinamico. A sua volta le intenzioni di Woods erano definitivamente rivolte all‟appartenenza degli spazi interni dell‟edificio a una condizione propriamente urbana, un pezzo di città, ma l‟esito è rimasto lontano dalle sue aspettative e qui ci si rivolge inevitabilmente agli esiti. La galleria urbana trasforma ciò che era un edificio, per esempio forando un isolato, in una parte di città, mentre il tipo insediativo a matrice porta all‟interno dell‟edificio la complessità dello spazio urbano. Si riconoscono due diversi sensi, intesi come direzione di coinvolgimento tra edificio e città: la galleria urbana è un pezzo di città che va incontro a un edificio, mentre il tipo a matrice è un edificio che va verso la città. Da questo punto di vista l‟antenato più prossimo dell‟Orphanage e della BFU può essere considerato proprio il Falansterio poiché posto al di fuori della città. Questa distinzione di simulare la città dal di fuori ricercata nel caso dell‟Orphanage e subita nel caso della BFU accomuna questi tre episodi e dissuade dallo spingersi indietro nella storia a ricercare, ora, ulteriori precedenti157.

Negli edifici collettivi la strada interna come spazio di mezzo per

consentire aggregazioni complesse è una marca dei primi progetti di Le Corbusier sovrapposta, in verticale, nell‟Immeubles Villa o disposta in serie orizzontale nella Città Universitaria-Caravanserraglio158; in entrambi questi

157 Si sceglierebbe quindi la strada per villa Adriana a Tivoli anziché i Mercati Traianei. 158 L-C. e P.J., 1925, Città universitaria in Verso una architettura, Longanesi & C., Milano 1966, pagg. 220,221; è interessante leggere la presentazione di Le Corbusier del progetto per la città universitaria con l‟attenzione posta a definire lo stile di vita egualitario degli studenti. “Classificare, tipizzare, determinare la cellula e i suoi elementi. Economia. Efficacia. Architettura? Sempre, quando il problema è chiaro.” Non si è invece riusciti a chiarire con quali motivazioni viene iniziato lo studio su questo progetto, in quanto i tre disegni pubblicati in Verso l‟architettura sono collocati all‟interno della cartella della commessa per il garage Raspail. Dalla successione delle date dei disegni si deduce che il progetto per la città universitaria (1925) sia stato riutilizzato per la costruzione di un tetto abitabile per l‟autorimessa (20 luglio 1926, data riportata su dis. 22328), così lo stesso progetto verrà recuperato in altre occasioni. Una lettura dei disegni, invece, apre la questione se il progetto sia nato dall‟occasione professionale del completamento dell‟autorimessa e quindi sia stato trasformato nella proposta della città universitaria ideale, per quanto la datazione dei disegni escluda questa ipotesi. Eppure lo studio degli elaborati grafici, dalla successione dell‟avanzamento progettuale e la sicurezza con cui Le Corbusier arriva dai primi tentativi (FLC dis 22342-22343), dove è evidente la relazione con l‟autorimessa agli spunti progettuali (FLC dis 22334-22335) fino alla soluzione prossima a

esempi gli spazi di distribuzione sono posti in relazione a una integrazione di carattere collettivo tra le unità residenziali e in particolar modo nell‟Immeubles Villa coinvolge una riorganizzazione dell‟attività domestica159. Le Corbusier conclude il suo trattato sull‟urbanistica del 1925 affermando che: “Non si rivoluziona con le rivoluzioni. Si rivoluziona portando soluzioni”.160 La soluzione che individua per la città universitaria un tappeto edilizio, un tutto pieno, aperto verso il cielo e scavato al suo interno, per raggiungere ciascun alloggio, può essere indicata come la “soluzione rivoluzionaria”. Questa prima ipotesi per la città universitaria non avrà seguito: l‟intervento che proporrà dieci anni dopo per Parigi avrà un indirizzo di carattere „monumentale‟, ritornerà al centro del suo interesse solo quando si troverà nelle condizioni di “costruire senza costruire” e indicherà ai suoi collaboratori di utilizzare il progetto della città universitaria, in particolare la sezione dell‟alloggio, per „imbastire‟ la prima proposta per l‟ospedale di Venezia161. Possiamo riconoscere una costante tipologica anche nelle due scuole d‟arte e architettura di Chandigarh che per le condizioni in cui sono state progettate nell‟ultimo periodo di attività pongono alcune riflessioni sulla prevalenza della dimensione orizzontale, mentre l‟utilizzo degli shed ci riporta ancora alla proposta della città universitaria: “La città universitaria è concepita qui in „shed‟, il sistema di costruzione che permette di estendersi indefinitamente assicurando un‟illuminazione ideale e sopprimendo le masse portanti (costose)”162.

La strada interna come elemento di integrazione più che di

separazione tra attività pubbliche e private diviene negli anni cinquanta e sessanta per Candilis e Woods un‟invariante progettuale connessa con l‟idea dell‟umanizzazione dell‟ambiente. Se consideriamo l‟articolo richiesto a Woods nel 1965 dalla redazione della rivista “Architectural Forum” sul padiglione svizzero di Le Corbusier, troviamo nel suo commento a questo prototipo la rappresentazione per negativo dei nuovi ideali umanistici. Dal padiglione svizzero si riconosce evidentemente la difficoltà nell‟accettare la separazione tra le componenti distributive così come l‟enfatizzazione „monumentale‟ dei volumi. Il discorso di Woods è difficile e il giudizio rivolto

quella pubblicata come città universitaria (FLC dis. 22328) lasciano aperte diverse interpretazioni. 159 Ibidem, pag. 206-209. 160 Il medesimo leit-motiv è presente anche in Verso una architettura. 161 Vedi Bridge of Venice, op.cit., pag.24. 162 Verso una architettura, op.cit., pag. 220.

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in termini critici, “… a failure in its polemic intention”, il suo tentativo consiste nella storicizzazione degli obiettivi di quella particolare fase dell‟attività di Le Corbusier e Jeanneret163 dove regnava l‟enfatizzazione dell‟età della macchina, “now there is no part of celebration in our curtain-walled prisms where the machine is no longer a tool but an infernally strait jacket … There are no typical solutions, only a profound conviction that the problem is always new, constantly changing, and that man, not mystification, is the essential preoccupation of architecture”164. D‟altronde era segnata dagli esordi del gruppo team 10 questa tensione ad allontanare la visione meccanicistica e rivolgersi ai bisogni (e desideri) primari dell‟uomo. La riscoperta della strada come luogo di interrelazione sarà la conquista più duratura e allora non così scontata, come potrebbe apparire oggi. Lo stesso progetto degli Smithson per un edificio multipiano con degli ampi ballatoi che ambivano a divenire “street mesh in the air” così come il più radicale progetto a scala di villaggio (town) Close city

nascono sulla spinta di una riconquista dei luoghi di aggregazione sociale. Cambia radicalmente la sensibilità nel concepire gli spazi di relazione. Si riconosce nel movimento non un fine esclusivo per raggiungere una meta nel più breve tempo possibile, bensì una parte rilevante delle potenzialità di relazione; se ora torniamo alle parole di Buber, sulla necessità dell‟uomo di riconoscersi nel suo ambiente, non nella casa, ma tra le case, scopriamo l‟interesse del confronto tra il volume sospeso da terra del padiglione svizzero vincolato al suolo nel modo più discontinuo possibile e la reazione di Woods e dello stesso ultimo Le Corbusier che riconosce una nuova via o meglio ritorna sul sentiero abbandonato della dimensione orizzontale del costruire. [mat. 2.03.02a]

Il corridoio centrale o il ballatoio negli edifici a sviluppo verticale

nelle proposte di Le Corbusier e anche di Oskar Niemeyer per l‟Hansaviertel può modificare la sua funzione univoca di elemento di

163 Woods ritiene che “Unlike all of the more recent buildings of Le Corbusier, the Swiss Pavillon shows little of his preoccupation with humanism…” (Shadrach Woods, Why revisit „Le Pavillion Suisse‟?, i “Architectural Forum”, giugno, 1965, pag. 59). Nella lettera con cui Le Corbusier accetta l‟incarico per l‟ospedale di Venezia indica che esso è un casa per l‟uomo. Si veda lettera di Le Corbusier indirizzata a Ottolenghi, 11/3/64. in H VEN LC – inventario analitico degli atti nuovo ospedale (a cura di Valeria Farinati), IUAV AP, Venezia, 1999, pag. 50. Nella lettera autografa le sottolineature maiuscole e virgolette suggeriscono di richiamare il documento senza trascriverlo. 164 Why revisit „Le Papillon Suisse‟?, op.cit., pag. 62.

distribuzione per aggregare attività collettive; gli schemi dimostrativi di Bakema165 con le case a torre e interposto un piano, con una campitura a rappresentare il core, esprimevano questa possibilità di ricreare, anche

negli edifici a torre, dei luoghi di relazione. [mat. 2.03.04a] Questo interesse a definire porzioni intermedie delle torri come core esprime

un‟intenzione che all‟inizio degli anni sessanta sembra perdere di incisività al confronto con le potenzialità dei sistemi insediativi a sviluppo orizzontale. La didascalica contrapposizione tra Skyscraper e Groundscraper esposta nelle tavole di concorso per la BFU sposta su un altro versante il problema dei luoghi di relazione, quello della scelta tipologica. Ciò su cui la torre perdeva di interesse come soluzione insediativa, dal punto di vista della sperimentazione ovviamente, era l‟assenza della componente polisemica (combinazione di spazi di distribuzione con aree di soggiorno etc.) che si manifesta nella condizione di aggregazione prevalentemente orizzontale; la strada interna, per quanto sia un argomento progettuale definito, costituisce pur sempre un corollario al principio dell‟organizzazione orizzontale. [mat. 2.01.01m]

Un‟opera che può essere considerata come precorritrice di un modo

analogo di utilizzare il valore polisemico degli spazi di relazione è la Scuola della Federazione dei sindacati (ADGB) a Bernau realizzata sotto la guida di Hannes Meyer nel 1928-30166. Una solida costruzione in mattoni, composta nella parte centrale da cinque volumi, disposti secondo uno sfalsamento sia sul piano verticale che su quello orizzontale per seguire l‟andamento del terreno. [mat. 2.03.02b] Il sistema di distribuzione dei blocchi centrali delle camere da letto, ciascuno alto tre piani, è ottenuto tramite un percorso coperto limitato al solo piano terra, con la funzione di spazio di mediazione tra la zona per il pernottamento e gli spazi collettivi. Lo spazio ricavato tra le riseghe dell‟edificio verso sud e la linea dei serramenti che congiunge le due estremità del percorso verso nord funge da „informale‟ luogo di relazione intermedio tra le principali aree per le attività dell‟istituto. Il percorso è caratterizzato dalle pareti in mattoni verso sud, prevalentemente piene, e presenta il solo accesso al corridoio delle

165 J. Bakema, Samenvalling..., 10-06-1953, Bakema Archive, Nai, Rotterdam; [mat. 2.03.04a] 166 Corrisponde al periodo in cui Meyer copre la carica di direttore del Bauhaus, aprile 1928-agosto 1930; sarebbe necessaria quindi un‟investigazione accurata sulle motivazioni che hanno portato Meyer a separare la costruzione dal sistema distributivo all‟interno di una più amplia ricerca su ciò che avveniva al Bauhaus in quei due anni.

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camere del piano terra e al corpo scala dei due livelli superiori. Le fotografie che illustrano l‟attività di cantiere mettono in evidenza in modo emblematico il ruolo indipendente e „provvisorio‟ del sistema di distribuzione orizzontale, realizzato da una leggera costruzione in ferro e vetro, giustapposta ai corpi di fabbrica che, seguendo con un unico piano inclinato l‟andamento del terreno, conduce da una estremità all‟altra del complesso edilizio. La mediazione che questo dispositivo di distribuzione viene a svolgere va intesa in rapporto al paesaggio, quasi fosse un sentiero coperto, in quanto è evidente l‟attenzione di Meyer a stabilire un dialogo diretto con la natura di cui il percorso è l‟elemento di ibridazione167.

La concettualizzazione della strada è sottoposta a incisive riflessioni progettuali a diverse scale d‟intervento dagli Smithson che rispecchiano la sensibilità di quella generazione verso i luoghi di relazione. Gli Smithson commentano efficacemente la trasposizione della solitudine tra uomo e Dio dalla cella del convento di Ema alla cellula di Marsiglia rivolta verso il sole e uno spazio impersonale. Il problema con cui gli Smithson si misureranno, all‟inizio degli anni cinquanta era definibile a partire da un luogo sicuro, il modello dell‟Unité d‟Habitation, su cui lavoreranno a lungo soprattutto nella ridefinizione delle rues intérieures con il paesaggio umano che lo definisce,

“man scurries along from Victorian lifts down gloomy corridors to the solitary confinement of his private drawer”168. Già nel progetto per Golden

167 Francesco Dal Co pone questo progetto come un ibrido tra le due più importanti opere di Meyer, (Siedlung Toerten a Dessau e concorso per la Peterschule) che sono contemporanee alla scuola per i sindacati. “La relazione che Meyer allega al progetto è una delle più ricche di spunti e osservazioni importanti tra le molte da lui scritte, il che tuttavia non toglie che questo progetto si presenti come una realizzazione ibrida, in cui gioca profondamente l‟indecisione tra i due stremi che fino a ora abbiamo analizzato, quello della Petersschule di Basilea e quello della Siedlung Toerten di Dessau” in Francesco Dal Co, Architettura o rivoluzione, Marsilio Editori, Padova 1969, pagg. 230, 231. Si avanza l‟osservazione che il progetto stesso risponde a un processo di ibridazione tra costruzione e natura, questo senza conoscere il testo della relazione al progetto che potrebbe modificare il punto di vista espresso da uno studio limitato al solo edificio. 168 Alison & Peter Smithson, Ordinariness and Light, Faber and Faber, London 1970.pag. 87. È un testo che pubblica solo nel 1970 e contiene la presentazione del progetto per Golden Lane e soprattutto studi, osservazioni e riferimenti che animavano la scena culturale dell‟inizio degli anni cinquanta. La lettura di questo testo con i lavori del Gamma in Marocco combinati tra loro costituisce ancora un vitale contributo per fondare la convinzione della necessità di un approccio critico alla trasformazione dello spazio fisico. La

Lane del 1952 gli Smithson rielaborano il modello di grandezza conforme di Le Corbusier: partono dall‟idea che la città, in quel caso Londra, possa svilupparsi tramite la sovrapposizioni di strati. Richiamando il principio leonardesco della città su due livelli, si moltiplica questa condizione, così le strade si sovrappongono in verticale: ciò che resta non è tanto l‟evidenza fisica della strada, ma la necessità di riconoscere un luogo di mediazione tra casa e città. “It is the idea of the street not the reality of street that is important – the creation of effective group-space fulfilling the vital function of identification and enclosure, making the socially vital life-of-the-streets possible.”169

Lo sviluppo di percorsi pedonali per la distribuzione agli alloggi con

un carattere marcatamente collettivo deve essere considerato come un‟evoluzione del ballatoio; in particolare vi è un celebre esempio a Rotterdam nel quartiere Spangen, l‟isolato progettato dall‟architetto Michiel Brinkman in cui il ballatoio che generalmente distribuisce ogni singola unità edilizia perimetra tutti i quattro lati interni dell‟intero isolato facendo coincidere l‟isolato con un insieme di edifici tenuti assieme da una strada pedonale in quota. Questa soluzione, ben prima dei progetti degli Smithson, ebbe una considerevole influenza in altri interventi residenziali ed è particolarmente evidente e riuscita la trasposizione di questo elemento distributivo nella versione finale del progetto per Buikslotermeer di Bakema e Stockla. Vi sono comunque due diverse definizioni del grado di soglia tra i percorsi sovrapposti ed esterni di questi complessi residenziali con i percorsi interni delle attrezzature collettive che consideriamo. Se entrambe queste situazioni rappresentano criteri di intermediazione tra le sfere del pubblico e del privato, nel caso degli edifici residenziali l‟obiettivo è unire per dividere, mentre nelle attrezzature collettive è all‟opposto dividere per unire. La strada sopraelevata che serve i 273 alloggi a Spangen ottiene l‟evidente vantaggio di distribuire ciascun alloggio con la porta di accesso su uno spazio pubblico, che ha già definito una precedente separazione rispetto la città; infatti a Spangen gli accessi degli alloggi sono posti all‟interno dell‟isolato. La funzione del percorso dell‟Orphanage “a device with an unquestionable human content – the

critica degli Smithson all‟Unitè che è la base del libro, almeno per la questione residenziale, trova una sorprendente sintonia d‟indirizzo con le opere di Candilis e Woods che oltre a Le Corbusier erano gli architetti che più avevano lavorato e creduto nell‟ Unité. 169 Ibidem, pag. 52.

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internal street”170 così come le tre Strasse della BFU divengono i luoghi preposti allo svolgimento delle attività collettive. Da questo comune punto di partenza – di isolare rispetto all‟esterno per definire un dominio intermedio – si articolano architettonicamente due posizioni disciplinari che porteranno a due modi di intendere questa mediazione in termini inconciliabili.

Questa inconciliabilità porterà a dividere un fenomeno insediativo

nato da un‟aspettativa comune, iniziata con le ricerche sull‟Habitat, e si separerà in due diverse correnti di pensiero che anziché operare in una tensione dialettica tenderà sempre più a manifestarsi in modo esclusivo l‟uno opposto l‟altro. Di fatto con la realizzazione della BFU le vicende propositive si esauriscono e il dibattito disciplinare si sposterà su altri temi. Restano sul campo critiche e discussioni, che si protrarranno fino agli anni ottanta, nella contrapposizioni sui due indirizzi progettuali che il fenomeno insediativo a matrice aveva inaugurato. È possibile ricostruire una parte significativa di queste contrastate posizioni partendo dall‟articolo di Alison Smithson redatto in occasione della presentazione della prima fase della BFU dal titolo How to recognise and read Mat-building171 dove sono riportati i commenti di van Eyck che, al di là della polemica, mettono in luce rilevanti questioni progettuali. “… we tend to like the FU for the very reasons Aldo van Eyck doesn‟t like it to paraphrase badly … the impenetrability of Corten-steel … the carpet that changes its color not the effect of corridor street.”172 Per definire gli ambiti di ciascun dipartimento all‟interno del complesso universitario Woods definisce una diversa colorazione del pavimento (moquette e „gomma a bolli‟) per ciascuna area in modo da facilitare l‟orientamento. Le potenzialità insite nella configurazione degli spazi abdica a favore di una dimensione open-ended

che trova la sua distinzione in ciò che vi è di più inconsistente e usurabile: van Eyck è quindi posto di fronte agli antipodi dei suoi convincimenti. Ironicamente, una situazione analoga van Eyck l‟aveva vissuta a proprie spese durante la scelta dei materiali di rifinitura dell‟Orphanage173, dove era stata proposta come rivestimento per il pavimento tutta la varietà della

170 The Medicine of Reciprocity tentatively illustrated, op.cit. pag. 89 171 Alison Smithson, How to recognize and read Mat-building, in “Architectural Design”, n. 7, 1974. 172 Ibidem. 173 AvE - The shape of Relativity, op.cit. pag. 317, Strauven riporta che il comitato direttivo dell‟istituto aveva deciso di utilizzare un materiale plastico innovativo, il „Mipolam‟.

tavolozza colori per suddividere ciascuna area dell‟Orphanage. Un dettaglio, considerata la vicenda complessiva, contiene tuttavia un indizio rilevante sulla relazione tra senso, forma e materia.

Woods, a cui viene attribuita, per la sua tendenza critica, l‟etichetta

di „anti-architetto‟174 definisce per ciascun problema una soluzione specifica, definita da una precisa gerarchia di valori: il „sistema di orientamento integrato‟ della BFU è definito dai colori, colori primari per le aree di attività, dal viola al verde per le zone di riposo. L‟individuazione delle aree viene attribuita da un codice numerico relativo al „luogo‟ in senso topografico, non alla funzione dell‟ambiente che può mutare, e quadri di orientamento elettronici forniscono l‟itinerario per raggiungere la meta prestabilita. La capacità tecnologica di gestire un sistema informatizzato dell‟intero complesso è rilevante per intendere il proposito di esibire il livello tecnologico dell‟attrezzatura; attualmente non vi è traccia di questo genere di apparecchiature elettroniche (nel corso dei sopralluoghi non sono state riscontrate apparecchiature di segnalazione dei percorsi, l‟installazione era prevista nella relazione finale del progetto, a opera conclusa). Le differenti discipline dei dipartimenti e facoltà indicate nel masterplan del 1967 evidenziano la varietà di attività che si affacciano lungo la strada. Si può immaginare nel succedersi di archeologia, oceanografia, teleologia e paleontologia, scienze della musica e fonetica, teatro e pubblicistica, filosofia, teologia, matematica, storia etc. che l‟insieme di queste attività, rivolte verso la strada interna, riversino su questa segni di un‟appropriazione, di una caratterizzazione fatta di cose e persone. Il modello funzionale che si può immaginare suggerisce un ibrido tra la molteplicità di conoscenze contenute in un museo e l‟efficienza funzionale di uno shopping center. [mat. 2.03.02c]

L‟articolo di Alison Smithson prima menzionato richiede ulteriore attenzione, poiché è un episodio rilevante per il riconoscimento di una tendenza a cui poi „la critica‟ farà riferimento, benché si ritiene che il momento in cui viene pubblicato questo articolo e la Smithson vi attribuisce il nome mat-building, la tendenza insediativa con cui ci stiamo misurando

si può considerare avesse oramai esaurito il suo impulso. Il breve intervento, inoltre, consente una verifica molto utile della selezione dei

174 Van Eyck si riferisce a Woods in questi termini durante il convegno di Spoleto nel1976: “… actually he was in the anti-architect mood…” Archivio Giancarlo De Carlo – Atti/044 (1975-81) pag. 4, IUAV- AP.

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progetti che si è svolta sinora. La Smithson presenta a ritroso i principali episodi architettonici che potevano presagire l‟esito della BFU considerata come il punto di riferimento di “mainstream architecture as it has developed towards the mat-building”175. Una prima questione176, è la trasformazione del termine adottato a Berlino Matriks- e la dizione mat-building coniata

dagli Smithson in occasione del concorso per il progetto urbano di Kuwait-city. Mat-building è una dizione dotata di ironia (e un po‟ pop fuori del contesto di un progetto per un paese arabo), però senza lo spessore semantico177 e i riverberi su più livelli (matematico e „biologico‟) del significato di matrice, termine di riferimento per la discussione al convegno; nell‟uso successivamente è passato il termine mat-building. Quindi il percorso che segue la Smithson, tramite molti dei progetti visti sinora178, trova un equilibrio, ponendo alla fine del percorso due costruzioni che ebbero un‟influenza mitica anche sulla modernità, Katsura il palazzo imperiale di Kyoto e uno dei capolavori di Sinan a Istanbul, la moschea e le attività di assistenza di Sueleymaniye.179

175 How to recognize and read Mat-building, op.cit. Una questione da elencare è l‟assonanza del titolo “How to recognise…” che ritroviamo in un saggio di Deleuze del 1972 “A quoi reconnait-on le structuralisme ?”. 176 Per una definizione degli argomenti e un commento vedi: Max Risselada, The matrix meeting, in Team 10 in search of utopia of the present, op.cit., pag. 182-184. 177 Riguardo al valore semantico di matrix, si deve riconoscere che l‟ambiguità della parola è il suo pregio più evidente: le due punte quella matematica che rispecchiava le relazioni di sistemi complessi e quella „archeologica‟ che era simbolo stesso dell‟origine della città (vedi Joseph Rykwert, L‟idea di città, Adelphi. Milano 2002, pagg. 140-143). 178 La varietà degli esempi selezionati dalla Smithson fa perdere il filo all‟organizzazione, in particolare non si comprende il motivo dell‟inserimento della scuola di Hunstanton e del Doha competition, così come sembra forzato anche se più vicino l‟inserimento del progetto di tesi per la Royal Academy; evidentemente si tratta di un tornare indietro con la memoria che riposiziona le proprie esperienze personali e conduce a rileggere scelte compiute precedentemente con altre motivazioni. Altri due punti di difficoltà sono l‟inserimento dei tre edifici progettati da ATBAT a Carrières centrales, essenziali per comprendere l‟attività di Candilis e Woods ma decisamente organizzati verticalmente e l‟omissione del progetto degli Smithson Close houses che invece promuove la densificazione orizzontale. 179 L‟influenza del palazzo imperiale di Kyoto sul Movimento Moderno va ben oltre le analogie compositive che possiamo riscontrare. Il palazzo poi rappresenta nell‟organizzazione della sezione verticale e dei percorsi in rapporto agli spazi di soggiorno una tale chiarezza di principi organizzativi che potrebbe essere considerato l‟archetipo di entrambi gli edifici trattati. Il riferimento ai capolavori di Sinan è più complesso per quanto

Orientarsi nell‟Orphanage richiede altre attitudini a riconoscere lo

spazio che non la BFU: questo tema avvicina le due realizzazioni nel porsi il problema dell‟orientamento con insistenza, quanto le allontana nelle soluzioni. L‟orientamento all‟interno dell‟edificio sarà occasione anche di un irritato commento di van Eyck durante la visita alla BFU, su cui si innesterà una critica reciproca a distanza, con una breve lettera180 di Woods che metterà a nudo significative differenze nella concezione dello spazio di relazione interno. In particolare l‟enunciazione di Woods “I really feel I must decline/ To clutter the street with overdesign” racconta “the street” intesa come la strada interna e specificamente quella dell‟Orphanage non come un generico aspetto esterno dell‟edificio a cui viene contrapposto riferito alla BFU: “an unroofed space with grass a tree,/ Lightwell? Courtyard?, wait and see!/ The intellectual grid is all in your head./ But people (and pipes) need direct routes, instead/ Of so much indetermine art”181. La gente ha bisogno di strade dirette e non di ingombrare la strada con overdesign; il confronto tra i due edifici è evidente e le diverse concezioni di questo tipo di spazio intermediario sono esplicite così come era esplicito ed

l‟attenzione verso l‟architettura orientale sia evidente in entrambi i progettisti e in particolare in van Eyck le cui cupole per l‟Orphanage sono una testimonianza evidente delle sue ricerche „multilinguistiche‟. 180 La lettera circolata tra i membri del team 10 dal titolo Remember the spring of the old days presentava un breve testo la cui paternità è stata messa in dubbio da van Eyck. Sarà argomento di una discussione all‟incontro di Spoleto nel 1976 dove non si riconosce Woods come autore. Fatto sta che Woods invia ai suoi colleghi (le copie per gli Smithson e De Carlo sono depositate nei rispettivi archivi) il testo è accompagnato da alcuni commenti riferiti all‟Orphanage. 181 Testo tratto da una lettera inviata da Woods ai membri del team 10 successivamente all‟incontro di Berlino a cui non era presente ma di cui aveva ricevuto le registrazioni degli interventi. I commenti di Woods quindi sono una risposta ai commenti di van Eyck alla visita e al convegno tenuto nell‟aprile del 1973 presso il Rostlaube appena terminato. Nella lettera dal titolo Remember the sprig of the old days inviata agli Smithson (i nastri erano stati inviati da Manfred Schiedhelm). Il sotttotitolo poi rimanda a una suggestione, a un riferimento al lavoro di Samuel Beckett che sarà un autore sempre presente nello sfondo dell‟attività di Woods. On listening to CRAP‟S last tape, il sottotitolo è una rilettura sarcastica del titolo dell‟opera di Beckett Krapp‟s last tape. A parte il gioco di parole Krapp‟s last tape, esprime una condizione della modernità che è l‟essenza delle ragioni degli entusiasmi e delle delusioni di Woods.

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evidentemente consolidato nei discorsi riferirsi alla strada interna come un dispositivo acquisito. A bunch of ‘places’

2.03.03

La configurazione degli spazi disposta da van Eyck per l‟Orphanage con la suddivisione delle attività amministrative sui due lati della „piazzetta‟ d‟ingresso incontra il punto di accesso verso il centro dell‟organismo edilizio, anticipando la mediazione esterno-interno tramite il ponte degli alloggi degli assistenti che introduce alla porta d‟ingresso. Questa divaricazione del corpo di fabbrica consente quindi di avere l‟accesso vero e proprio all‟interno dell‟edificio, quando oramai si è giunti in prossimità del baricentro dei percorsi di distribuzione. Dalla corte centrale si accede tramite due ingressi all‟atrio e da qui dipartono in direzione opposta due percorsi a meandri che conducono alle estremità del complesso edilizio, dove sono ubicate le due sale per attività collettive, servendo lungo il percorso i due gruppi di dipartimenti. Abbiamo riassunto la descrizione dello schema organizzativo per mettere in evidenza l‟aspetto della contemporaneità delle dominanti compositive. La composizione è evidentemente fondata su un centro, non centrale, ma centrata; non è simmetrica pero è specchiata, non sull‟asse di simmetria, ma su un‟altra linea che è normale a questo asse. Il percorso interno è continuo e collega due estremità, ma al tempo stesso è „aperto‟, in quanto consente di scegliere la propria direzione, se procedere avanti o indietro senza tornare sui propri passi. Se astraendo dalla figura su cui abbiamo ricavato queste considerazioni ne elencassimo i requisiti potremmo riconoscere gli argomenti progettuali di due diversi modi di comporre. Classico-anti-classico potremmo affermare. Ripetendo ancora il valore dell‟ambiguità ricercato da van Eyck nella sua teoria che apre due vie che non si escludono l‟una con l‟altra, come i due percorsi che si aprono sull‟atrio dell‟Orphanage. E proprio come le due vie che si aprono sull‟atrio ve ne è una più evidente che tramite la reciprocità ci condurrà nella dimensione della semplice accettazione del lavoro dell‟artista, una seconda che si riconosce guardandosi alle spalle e opera sul versante dialettico182.

182 A parte Martin Buber, una figura singolare di pensatore, non si hanno molti riferimenti diretti. Alison Smithson a proposito delle rimostranze di van Eyck per le sue citazioni riportate erroneamente e senza il suo riscontro ricorda dell‟abitudine di van Eyck di riferirsi a Platone e Weber. “… I mean Plato, you know all Weber, all these people, i mean when we first met you, we used to think you quoted too much that we were used to say to you

L‟ordine irrazionale dell‟arte “just ce qu‟il faut de souterrain entre le

vin et la vie”, che van Eyck raccoglie dalle avanguardie, esprime una disponibilità a muoversi tra le epoche e gli ismi che è propria della passione del dilettante183 rivolto a cogliere lo spirito di una nuova inattesa scoperta. Van Eyck, al contrario del dilettante, ha una continuità operativa ostinata nelle sue argomentazioni: la ricerca della risoluzione alle opposizioni grande-piccolo, individuale-collettivo è la cifra della sua poetica, una posizione che non prevede un primato sugli altri pensieri, ma con il difficile compito di tenere sempre un ponte aperto tra loro. “Lo spirito delle opere d‟arte è la loro immanente mediazione. Essa tocca ai loro attimi sensibili e al loro obiettivo configurarsi; ed è mediazione nello stretto significato che ciascuno di questi momenti dell‟opera d‟arte diventa con evidenza il suo proprio altro.”184 Inseguiamo la traccia di Wiesegrund Adorno nel campo dell‟estetica per esplorare questo continuo succedersi di bivi, poiché non si tratta di scegliere la strada ma di tenere gli occhi aperti durante il percorso e di approfittare di alcune divagazioni. “In quanto tensione fra gli elementi dell‟opera d‟arte (…), lo spirito dell‟opera è processo e con ciò è l‟opera d‟arte stessa. Riconoscere ciò significa

„use your own words, never mind all these quotes of famous, by these famous people.” Archivio Giancarlo De Carlo – Atti/044 (1975-81) pag. 6 op.cit. La necessità di salvaguardare l‟ambiguità è una posizione che van Eyck ritiene irrinunciabile (intervento a Royamount); l‟origine di questo convincimento in quell‟occasione non è riferito ad altro se non al suo modo di intendere il progetto d‟architettura. Probabilmente l‟influenza più rilevante avvertibile deriva dal campo delle arti figurative e in particolare dal pensiero di Paul Klee, che aveva un ruolo rilevante nella sua formazione culturale (vedi cap. 2 di Teoria e forma della figurazione, dal titolo Il concetto impensabile senza il suo opposto. La dualità considerata come unità). Robert Venturi abbraccerà la medesima posizione partendo dall‟incrocio tra architettura e letteratura ma questo versante non è esplicito in van Eyck. È rilevante invece l‟influenza di van Eyck su Robert Venturi in particolare sul suo primo lavoro del 1966 Complessità e contraddizioni in architettura. 183 Gli attenti studi sui Dogon compiuti all‟inizio degli anni sessanta, il coinvolgimento di van Eyck in allestimenti realizzati con Constant e con il gruppo Cobra, la consuetudine con Carola Giedion credo siano sufficienti a inquadrare il termine dilettante nella sua accezione positiva legata alla spontaneità dell‟occasione. 184 Theodor W. Adorno, Teoria estetica, Einaudi, Torino 1977, pag. 148.

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impadronirsi di quel processo. Lo spirito delle opere d‟arte non è concetto, ma tramite lo spirito divengono commensurabili al concetto...”185.

Tra le „immagini verbali‟ su cui van Eyck agisce per saldare intenti

ed esiti dello spirito del suo lavoro si riflettono nell‟Orphanage “labirinthian clarity”, “kaleidoscopic of the mind” e in particolare “place and occasion”186. Sono parte significativa dell‟esito delle riflessioni di van Eyck come effetto generato dall‟edificio, acquisiti nel corso del fare e nella verifica alla reazione degli spazi che si trasformano in luoghi in relazione al tempo. Tali considerazioni appartengono, propriamente, alla dimensione della verifica spaziale, corrispondono oltre che alla piena consapevolezza dell‟esito, al continuo lavorio insito nell‟utilizzare le opportunità della prova. La reciprocità187 tra autore e opera, ciò che si dà e ciò che si riceve dal proprio lavoro si può raccogliere in queste locuzioni. Il principio dell‟autonomia del “mondo 3”, il mondo dei prodotti della mente umana, proposta da Karl Popper, ci aiuta a cogliere le due direzioni in cui si muove il flusso dell‟attività speculativa: “…le conseguenze non intenzionali di queste invenzioni … C‟è un‟interazione tra noi e il mondo 3 nella quale è possibile che prendiamo più di quanto diamo. … In un modo simile, Einstein disse una volta. „la mia matita è più intelligente di me‟ … Possiamo dire che usando carta e matita egli si collegava con il terzo mondo della conoscenza oggettiva. Egli rendeva così oggettive le sue idee soggettive. E, dopo che queste idee erano state rese oggettive, egli poteva legarle con altre idee oggettive e raggiungere così conseguenze lontane e non

185 Ibidem, pag. 150; continua “... Mentre dalle configurazioni che si hanno nelle opere d‟arte la critica ricava lo spirito delle opere stesse e confronta i momenti tra loro e con lo spirito che in essi si manifesta, essa passa a cogliere la verità dello spirito al di là della configurazione estetica. Perciò la critica è necessaria alle opere. Nello spirito delle opere essa riconosce il loro carattere di verità oppure ve lo separa. In questo atto soltanto, e non tramite una filosofia dell‟arte che detti all‟arte che cosa per lei debba essere spirito, l‟arte e la filosofia convergono”. Una citazione lunga e conclusiva, che non lascia dietro di sé fraintendimenti, solo l‟oggettiva difficoltà di riallacciare il discorso. 186 Pubblicato la prima volta su “Forum”, n. 3, 1960 pag. 121 e in altre riviste come testo interpretativo nella presentazione dell‟Orphanage. 187 In antropologia il termine „reciprocità‟ ha uno spessore che qui non si affronta poiché come nota Lévi-Strauss sarebbe come affrontare la teoria della gravitazione in astronomia. Ci si limita a segnalare il coinvolgimento in cui, quantomeno van Eyck, era immerso in tali problematiche. Vedi Claude Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano, pag. 183.

intenzionali che superavano di gran lunga il suo punto di partenza”188. Nel caso dell‟Orphanage non è immediato intenderne le conseguenze, sul piano teorico in van Eyck certamente vi è l‟efficace dimostrazione sull‟idea della grande casa e della piccola città, ma non vi sarà modo di riconoscere l‟evoluzione successiva di questo concetto per il grande numero nel superamento della separazione tra architettura e urbanistica. La disciplina configurativa come l‟abbiamo vista svilupparsi, sia nel corso del progetto per Buikslotermeer che nel lavoro dei suoi studenti, non raggiungerà la condizione di equilibrio dinamico dell‟Ophanage. Il rapporto tra l‟intero e il molteplice resterà ancorato a questa esperienza e nei convincimenti teorici, le successive più significative189 opportunità professionali, due chiese e uno spazio espositivo, per le loro caratteristiche organizzative e dimensionali nascono dall‟unità verso il molteplice rispecchiando una gerarchia tra le componenti del progetto, che solo nell‟Orphanage riesce a rimanere in equilibrio tra l‟aperto e il chiuso e si svolge dal molteplice all‟unità.

L‟evidenza con cui van Eyck esporrà le storie dei suoi progetti

successivi tramite dei „quadri„ che raccolgono il processo progettuale propone un racconto architettonico dove la struttura rimane invariata, con un alfabeto di linee e archi e un vocabolario contenuto e controllato, ma che raccoglie termini da più idiomi. Volendo proseguire con l‟analogia del racconto, si può leggere dai quadri una trama costruita, come una sovrapposizione di storie prese dall‟architettura. Si riconosce, in particolare nella formazione di tre progetti, The Wheels of Heaven, la chiesa Pastoor van Ars e il padiglione Sonsbeek190 come alcuni specifici argomenti progettuali, emersi nell‟Orphanage, si vadano a delineare sul versante compositivo [2.03.03a]. Il rapporto tra rettilineo e curvilineo, che nell‟Orphanage era solo accennato dalle cupole e da altri elementi secondari, diviene il tema compositivo dominante. L‟ortogonalità e il rettilineo continuano a condurre la composizione, ma gli elementi circolari prendono un ruolo più definito, si sviluppano quasi autonomamente,

188 Karl Popper, La conoscenza e il problema corpo-mente, Il Mulino, Bologna 1996, pag. 47-48. Il medesimo riferimento a Einstein viene utilizzato in altre due occasioni nel corso delle Kenan Lecture nel 1969. 189 Significative in riferimento al tema che stiamo trattando. 190 The Wheels of Heaven era un concorso a inviti, la chiesa Pastoor van Ars è stata realizzata e il padiglione Sonsbeek previsto per esposizioni temporanee fu demolito e ora ricostruito in via definitiva.

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cercando il proprio ruolo nella costruzione. Se leggiamo i progetti nella loro sequenza temporale, avvertiamo come i quattro cilindri del The Wheels of Heaven191 creino nell‟iter progettuale un dialogo con il recinto rettangolare

che li contiene. Nell‟ultimo „quadro‟, che illustra il progetto oramai vicino alla conclusione, i cilindri ora definiti nel numero di quattro stanno in equilibrio con il diametro posto sul bordo del recinto il quale, nel frattempo, ha acquisito uno spessore che lo libera dalla coincidenza con i centri dei cerchi così divenuti autonomi nel trovare le proprie misure. I due progetti successivi ancora presentano lo stesso tema, ma con una prevalenza del rettilineo sul curvilineo, con una gerarchia definita: nella chiesa de l‟Aia i cilindri si alleano indissolubilmente con la luce, ad Arnhem con il bordo del bosco, artefatti sorti dalle viscere dell‟architettura in dialogo con la natura.

Ciascuno dei tre progetti poi rappresenta una propria storia di cui

qui interessa mettere in evidenza le invarianti. La composizione di cilindri che racchiudono un luogo definito era accennata nell‟Orphanage dalla conformazione assegnata agli elementi naturali: le alberature non definivano filari, ma venivano raccolte in circonferenza, quattro luoghi costruiti dagli alberi disposti lungo la circonferenza. Un cerchio di pioppi ancora esistente anticipa l‟ingresso con al centro una scultura, delle ali in bronzo192, mentre altri tre gruppi di alberi, probabilmente mai piantati, sono disposti sul prato a sud dell‟ingresso a definire aree gioco con vasche di sabbia. In parte suggerita dalla lettura di Mondrian, si avanza una riflessione sull‟escludere ciò che nell‟Orphanage definiva l‟elemento naturale come parte di un rapporto più intenso tra architettura e natura193. Le due chiese e il padiglione sono evidentemente parte di un discorso progettuale consolidato, sono l‟esito di un percorso aperto che risulta con immediatezza dai collage delle ipotesi alternative. Questi „quadri‟ riportano una molteplicità di soluzioni che poi tendono a una soluzione comune. L‟oscillazione tra i primi tentativi e la soluzione architettonica, la distanza tra inizio e fine del processo progettuale è sempre molto ampia ed è proprio la diversità che li rende simili, che accomuna questi tre progetti e mostra i lineamenti del procedimento processuale di van Eyck. La sperimentazione, l‟avanzare per fasi successive, con un procedimento per

191 Una lettura del progetto riferita all‟illustrazione del principio iterativo è svolta da Costantino Dardi (Il gioco sapiente, op.cit., pag. 87-88) 192 Scultura di Carl Visser. 193 Un aspetto rilevante va evidenziato in riferimento anche al fatto che i tre progetti erano collocati in aree con una pregiata e consistente cornice di vegetazione.

prova ed errore194, è presente nell‟Orphanage, ma non è così amplia l‟oscillazione come possiamo riscontrarla nelle esperienze successive. Come per raggiungere la cima di una collina per un percorso a spirale vi sono i lati al sole e i lati all‟ombra, ma l‟obiettivo è raggiungere la cima della collina195. Allo stesso modo l‟ambiguità di van Eyck non esclude il lato all‟ombra nella sperimentazione progettuale, il lavoro è dialettico non nella conformazione volumetrica perché vi sono „cose‟ diverse che si separano e si uniscono. È la materializzazione della traccia del metodo, qualcosa di più duraturo di un‟impalcatura che sostiene provvisoriamente, poiché l‟ambizione più riposta (e in quegli anni, come abbiamo visto affatto condivisa), era di rappresentare un presente continuo che nasce da un processo di selezione, non rivolto alla fissazione delle esigenze del momento e alla contrapposizione naturale-artificiale, ma esito di un dialogo con l‟immaginazione, con i valori permanenti dell‟uomo. Luogo e occasione.

Ciò che suggeriscono i progetti per il Sonsbeek Pavilion e la chiesa

The wheels of heaven è una storia che si rivolge a un mondo fantastico: sembrano assenti le preoccupazioni di ordine sociale, legate ai dibattiti sul „grande numero‟ e il „cliente anonimo‟, che intervenivano sui grandi problemi residenziali. Ora sembra aprirsi un‟altra dimensione d‟impegno nell‟utilizzare gli strumenti dell‟immaginazione, per cercare uno spiraglio, un‟apertura in quello della fantasia196. Il bosco pietrificato che diviene labirinto ad Arnhem e le grandi orecchie a Driebergen sono come personaggi delle fiabe, intrattengono un rapporto sospeso con il contesto. I sei setti del padiglione temporaneo per le sculture sostengono un‟esile copertura traslucida, sono disposti perpendicolari all‟asse del viale d‟accesso. Una serie di quinte che si riconoscono una volta varcata la prima porta, il cui ruolo non è di chiudere – poiché il padiglione, come

194 Il riferimento è allo schema tetradico elaborato da K. Popper su cui si interverrà nel prossimo capitolo relativo ai procedimenti progettuali. 195 Parafrasando una citazione tratta dal diario di John Stuart Mill. 196 Parlare di fantasia apre a molti rischi; qui si è ritenuto possibile un accenno che tuttavia richiede di essere soppesato con l‟attenzione posta a intervenire sul campo più sicuro del rapporto tra fantasia e immaginazione. La porta della fantasia (parafrasando la conclusione di un capitolo di „Del sentire di Mario PerniolaPerniola ) si apre (su un oscuro abisso)… e ci impedisce qualsiasi passo avanti. L‟attenzione sulla fantasia qui non è rivolta sull‟orlo dell‟oscuro abisso‟, ma viene interpretata come la combinazione tra senso e non senso che è ancora un‟esperienza di conoscenza.

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quello progettato da Gerrit Rietveld nel 1955, rimaneva aperto – ma di definire degli ambiti per consentire a ciascuna scultura un proprio sfondo, un proprio ambiente. I setti, che definiscono i due fianchi simili, contengono al loro interno le deformazioni concave e convesse che portano il visitatore a cercare la propria strada, seguendo la presenza delle opere. Gli strumenti che van Eyck utilizza sono quelli propri dell‟architetto, la forma che ne deriva aderisce ai parametri di valutazione di ordine e misura [mat.2.03.03b].

Nella serie di appunti grafici che illustrano il processo progettuale

per il padiglione vi è un punto di stacco, un ripensamento, un ricominciamento del lavoro. Lo schema da cui van Eyck riparte dopo una serie di tentativi è deducibile da una serie di tre schizzi in successione, sullo stesso foglio. Il punto di partenza è definito da uno schema „classico‟, il cerchio inscritto in un rettangolo, suddiviso all‟interno da tre setti posti in direzione longitudinale, di cui quello centrale si appoggia sul diametro della circonferenza. Lo schema successivo vede il setto centrale separarsi in due elementi aprendo il cerchio in due parti che variano sensibilmente il diametro, e la nuova figura che si ricava dalla separazione è un quadrato. La terza fase coincide con la definizione del principio compositivo dell‟ipotesi di progetto, che per quanto abbozzata, pone due separazioni e la trasfigurazione del cerchio di partenza suddiviso ora in tre semicerchi di cui due quasi concentrici. La scomposizione del cerchio all‟interno del rettangolo aureo tramite la sezione di segmenti longitudinali parte dalla geometria e gradualmente si allontana. Già nello schema intermedio la campitura azzurra che occupa il centro del disegno fa intendere lo spazio reagente alle regole della geometria e infine nel terzo disegno due fasce in azzurro definiscono l‟articolazione del rapporto tra dentro e fuori il rettangolo e il modo in cui muoversi attraverso. Un confronto con il disegno precedente mette in luce l‟aspetto del procedimento progettuale che si è indicato „per prova ed errore‟; se si considera la fascia azzurra nella seconda figura, quella inserita nel quadrato, vedremo che è passante e enfatizza la „idea del centro‟. Nel disegno successivo le due fasce azzurre intercettano i semicerchi che deviano la vista e il movimento attraverso un dispositivo echeggiante la predilezione di van Eyck per il tema del labirinto. Il passaggio tra i due semicerchi aperti con il percorso nel mezzo e i tre semicerchi che si inseriscono ad articolare il movimento197 suppone uno

197 In effetti il padiglione è aperto e tutte le fasce sono percorribili, la campitura segnala probabilmente il percorso tenendo conto delle esigenze di ordinamento dell‟esposizione.

scarto repentino nella determinazione delle caratteristiche dell‟artefatto. Ciascuno dei tre passaggi (disegni posti in successione sullo stesso foglio) si fonda sul superamento del precedente ed è suggerito e sostenuto dalla contraddizione del precedente. Questo „meccanismo‟ è evidente in van Eyck e ripetuto con tenacia in ogni occasione. Potremmo tentare di riconoscere il senso dell‟oggetto su cui lavora tramite il confronto con il non-senso dell‟oggetto stesso. “Il non-senso non è affatto l‟assurdo o il contrario del senso, ma ciò che lo fa valere e lo produce circolando nella struttura. Lo strutturalismo non deve nulla a Albert Camus e invece molto a Lewis Carrol.”198

Il procedimento rinvia all‟immediata constatazione dell‟esito grafico,

mostrando solo un lato del problema, quello della considerazione delle regole del gioco all‟interno dell‟architettura. Simbolicamente viene alterato uno schema classico che risultando opposto nella concezione dello spazio, tra prima e dopo, potremmo definire anti-classico. Il foglio con i tre disegni, e la lunga storia in architettura del cilindro inscritto nel rettangolo, formano due serie, in cui riconosciamo lo slittamento tra i termini classico e anti-classico con cui si confronta costantemente la tensione che unisce tra loro le ipotesi nel processo progettuale: è la ricerca di un punto di equilibrio, in cui è ancora riconoscibile un‟idea ma già è rivolta al suo opposto. Questa lettura pone un problema, poiché l‟architettura di cui si parla nasce dall‟architettura stessa, non dallo sguardo distante e obiettivo dell‟analista. Un brano di Deleuze può aiutare a esprimere questo pensiero: “Quando Levi-Strauss riprende lo studio del totemismo, mostra a che punto il fenomeno sia mal compreso finché lo si interpreta in termini d‟immaginazione. Infatti, l‟immaginazione seguendo la sua legge non può che concepire il totemismo come l‟operazione mediante la quale un uomo o un gruppo si identificano con un animale. Ma simbolicamente si tratta di tutt‟altra cosa: non l‟identificazione immaginaria di un termine a un altro, ma l‟omologia strutturale di due serie di termini”199. Ora ciò che si legge dai frammenti di cerchi impigliati tra i setti del padiglione è la condizione necessaria dell‟architetto di interpretare il proprio tempo per costruirne i

198 Gilles Deleuze, Logica del senso‟, op.cit., pag. 69, il brano è riportato anche in Lo strutturalismo, SE, Milano 2004, pag. 22. A proposito di Lewis Carrol il riferimento è un richiamo al suo testo Logica del senso che costituisce un‟importante e impegnativa risorsa per questo lavoro. 199 Lo strutturalismo, op.cit., pag. 39-40.

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simboli e questo suggerisce, compiendo a ritroso il percorso che indica Deleuze200, l‟imprescindibilità dell‟immaginazione201. L’edificio come strumento

2.03.04

“Whether you look out with me from my Outlook Tower in Edinburgh or from the Eiffel Tower in Paris or the old dome of St. Paul‟s in London, the city we scan is set in the matrix of a vastly and minutely complex and hetereogeneous world.” La descrizione della città che apre il secondo discorso da Outlook Tower di Geddes ci descrive l‟esito di qualcosa che

andrà a investigare alle radici della storia e della geografia. L‟uso di questa frase non è per attivarsi sui grandi problemi di Geddes, ma è strumentale per intendere l‟accezione del termine matrix202. Se poi questa descrizione

200 Leggi: Levi-Stauss via Deleuze. 201 Questa considerazione inoltre alimenta il dubbio sul rapporto tra van Eyck e lo strutturalismo a cui la critica ha legato il destino ed è divenuto un indirizzo storico-critico sedimentato in molti saggi e in particolare in due libri, il primo di Arnulf Luechinger “Strukturalismus in Architektur und Staedtebau (Karl Kraemer Verlag, Stuttgart 1981; basato su alcuni saggi del 1979) che affronta la delicata questione nel complesso della produzione architettonica, ma trova le origini di questa tendenza in van Eyck ed Hertzberger, il secondo di Wim J. Van Heuvel, Structuralism in Dutch Architecture, (Uitgeverij 010 Publishers, Rotterdam 1992) evidentemente specifico sulle vicende olandesi. Il dubbio a cui ci si riferiva non è nel riconoscere pertinenza a questi contributi critici. Il dubbio è sul ruolo dell‟immaginazione e la riduzione, soprattutto in van Eyck dello spessore dell‟ambiguità. Ristabilisce in questo senso un equilibrio il saggio di Ignasi de Sola-Morales, Architektur and Existentialism (in Differences, MIT Press, Cambridge Mass. 1997) dove van Eyck viene „arruolato‟ tra gli esistenzialisti. Questa duplicità, dove influisce ovviamente lo scorrere del tempo, circa 20 anni, e del modo di confrontarsi rispetto ai problemi è una delle caratteristiche di van Eyck,, e la ripresa dei temi del funzionalismo più di 30 anni dopo le critiche del 1947 è l‟evidenza di quanto questa attitudine a rimettere in discussione i principi fosse strutturale al suo modo di agire. La ragione comunque più evidente del dubbio non sull‟aderenza di van Eyck al pensiero dello strutturalismo, ma sul primato della sua architettura verso quel pensiero, emerge dal confronto che si svolge in questo lavoro. Utilizzando per esempio i criteri definiti da Deleuze per intendere lo strutturalismo in termini divulgativi, la BFU risponde a quei requisiti in modo incomparabilmente più adeguato che non l‟Orphanage che comunque è considerato dai due autori dei testi sopraccitati l‟edifico-manifesto della tendenza che vanno a illustrare. 202 “Matrix: the cultural, social, or political environment in which something develops”; Oxford Dictionary, op.cit.

di Geddes a sua volta aveva influenzato il gruppo di architetti che si ritrovarono a Berlino nell‟aprile del 1973 a discutere della parte della BFU chiamata Rostlaube, finalmente conclusa, potrebbe definirsi una

„coincidenza cercata‟203. In seguito a quell‟incontro Bakema inviò una lettera di „ripensamenti‟ che si apriva con una definizione “Matriks is the extension of measure-proportion and module”204. La griglia virtuale che sottende il progetto della BFU per Bakema all‟indomani della visita all‟edificio concluso rappresenta quelli che erano gli intenti progettuali: “The F.U. gives me a strong feeling for intercourses and surprise (corners of streets and discovering of rooms without roofs)”205. La combinazione tra il dispositivo costruttivo e gli esiti di articolazione degli spazi ricevono da un osservatore attento che inizialmente, se ricordiamo la polemica con Woods su Web, si era espresso in modo assai critico206, e ora arriva a sostenere il

riconoscimento di un avanzamento nella ricerca di strumenti per la progettazione. Se consideriamo il punto di partenza di Woods, “We consider the university as a tool and as a place”, ritroviamo come la combinazione di luogo e strumento, corrisponde con le reazioni di Bakema, la cui attenzione è rivolta alla matrice come strumento. In Woods vi è un passaggio successivo nell‟intendere l‟esito del progetto come strumento, o meglio intendendo un livello di grado superiore di complessità, in quanto accettando la dimensione tempo all‟interno del procedimento progettuale tra il progetto e l‟edificio si instaura un intermediario, il sistema, che rende il divenire del progetto permanente e l‟edificio in trasformazione continua207.

203 Il paragrafo „Approccio ecologico‟ ha affrontato la rilevanza del contributo di Geddes nell‟avanzamento delle proposte per il X CIAM. 204 Jaap Bakema, “Some afterthoughts – Berlin Team X Matriks meeting - April 1973”, Fondo Giancarlo De Carlo AP IUAV (data 15 maggio 1973) [mat. 2.03.04a]. 205 Ibidem. 206 Può essere utile ricordare che Bakema era membro della giuria del concorso per la BFU, quindi un ripensamento o quanto meno l‟apertura di una linea di fiducia era già evidentemente maturata. [1.04.03, la trama urbana].

207 Pur in condizioni diametrali date dall‟astrattezza di riconoscere il tempo come quarta dimensione, che scompagina la determinazione dei valori nel progetto moderno, si cerca di ricalibrare su questo scenario i rapporti tra architettura e progetto partendo da una considerazione di Francesco Dal Co: “Mentre l‟architettura diviene così costruzione essenzialmente ideologica, il progetto acquista il profilo di una mediazione. Esso ha la funzione di negoziare il destino della disciplina con la sua storicità, di conservare i valori nel tempo delle pratiche, ponendosi rispetto a essi come strumento. … Per il moderno, in conclusione, il progetto viene inteso essenzialmente come strumento; è un agire che non

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Intendere l‟edificio come strumento208 apre verso molte direzioni e

certamente non ha pretese di originalità, anzi è il modo per superare tale complesso (il complesso di originalità) e riallacciare la BFU alle tradizione [sic] delle sfide del Movimento Moderno. In Verso un’architettura Le

Corbusier, spinto dalle nuove potenzialità tecnologiche e organizzative, manifestatesi con la produzione bellica verso una trasformazione di queste energie sul versante dell‟abitazione, inaugura la casa come strumento. La maison Domino è quindi l‟antenato più prossimo della BFU. Se consideriamo lo scheletro in cemento armato, colato in tre giorni e per esempio le aspettative di Le Corbusier per i prossimi sviluppi della tecnologia dei serramenti – “In un giorno prossimo si potranno impiegare finestre ben più perfezionate di quelle di cui si dispone attualmente” – per poi tornare qualche pagina indietro al confronto tra il Partenone e l‟automobile, riconosciamo che la BFU non è un oggetto avulso dall‟architettura ma possiamo trovare le sue radici in questo testo fondativo dell‟architettura moderna [mat. 02.03.04b]. Vi sono anche profonde differenze, in Woods non vi è alcuna intenzione di enfatizzare i prodigi della macchina209 come mette chiaramente in evidenza nel crudo commento alla realizzazione di Le Corbusier a Parigi per il padiglione universitario; inoltre, ed è determinante, la BFU non è solo uno strumento ma è al tempo stesso un luogo e uno strumento. Questa accezione di strumento è quella che l‟architetto assume nel momento in cui si rivolge alla società e riconosce il suo prodotto come dispositivo atto a svolgere un ruolo nella società stessa. Una seconda accezione è lo strumento che l‟architetto adotta per raggiungere il suo scopo: abbiamo visto che il sistema identificato da Woods doveva dare al progetto la possibilità di

dispone di autonoma durata, poiché il permanere è un modo esclusivo di essere dell‟architettura in quanto portatrice di valore” (Abitare nel moderno, Laterza Bari, 1982, pag. 75). Da queste considerazioni il progetto con l‟ulteriore grado di complessità offerta dall‟associazione del tempo tende a dissolversi e Woods per tornare all‟immagine del funambolo spezza il filo e prova un'altra acrobazia. 208 La ricerca limita su questo argomento le sue considerazioni a Le Corbusier in quanto lo si considera l‟orizzonte culturale su cui si muoveva Woods; il tema quindi è necessariamente limitato a una situazione specifica. 209 L‟atteggiamento è ambiguo, tenendo conto delle sofisticate soluzioni per i serramenti della BFU e le reazioni sviluppate nel gruppo di progettazione in cui secondo le osservazioni di Candilis, Woods si faceva sostenitore di soluzioni a elevate prestazioni tecnologiche.

evolvere nel tempo. Si legge chiaramente nella relazione che questa posizione ha evidenti ragioni pratiche, ma vi è un passaggio successivo che deve venir valutato, “the minimum structuring organization”, la volontà di incidere nel modo strettamente necessario sul futuro, o come già aveva affermato di lasciare aperta la porta al futuro. Questo pensiero ha due riflessi: il primo può essere considerato un‟intuizione delle problematiche ecologiche che oggi invadono il dominio dell‟urbanistica e dell‟architettura, il secondo un‟attenzione alla velocità e all‟instabilità che modi di comunicazione di massa avrebbero provocato nell‟accelerare i fenomeni di alterazione del linguaggio architettonico

È emblematico che a questo punto per provare ad avanzare si

tornerà fino a Vitruvio. La strada in questa direzione è segnata da Giulio Carlo Argan nel saggio del 1958 Modulo-misura e modulo-oggetto vede in

Michelangelo l‟artista che “ha ormai fissato il valore assoluto e autonomo di una plastica che non ha giustificazioni naturalistiche e, a rigore neppure spaziali”210. La coincidenza con la piazza del Campidoglio mutilata da Woods è un‟occasione per coinvolgere le riflessioni di Argan che con Progetto e destino è uno degli interlocutori più utili per comprendere il livello in cui si pone la sfida progettuale di Woods e Prouvé. La „simpatia‟ che coinvolge il lavoro di Woods con la lucida analisi del celebre saggio di Argan211 viene proposta all‟attenzione con la consapevolezza di mettere in reazione due sfere culturali non comparabili, in collisione tra loro rispetto al ruolo assegnato alla storia, ma alleate nel riconoscere la condizione di crisi e nel modo di guardare al futuro. Ritornando a Vitruvio: “Perche non puo fabrica alcuna fenza mifura & proportione hauer ragione di componimento, fe prima non hauerà rifpetto, & confideratione, fopra la uera, & certa ragione dei membri dell‟huomo ben proportionato. …”212; si riproduce il brano citato da Argan sul modulo, poiché assieme al passaggio successivo sul modulor ci riporta al centro della nostra questione. Prima di affrontare la connessione di Argan tra commodulatio e modulor si può cogliere già il

210 Giulio Carlo Argan, Modulo-misura e modulo-oggetto, in Progetto e destino, Il Saggiatore, Milano 1965, pag. 109. 211 Anche se la relazione è più evidente con il saggio precedentemente menzionato Modulo-misura e modulo-oggetto, op.cit. 212 I dieci libri dell‟architettura di M. Vitruvio (tradotti e commentati da Daniel Barbaro), Edizioni Librarie Siciliane – Bardi Editore, 1993 (ristampa anastatica dell‟originale edito a Venezia nel 1567), libro terzo cap. 1 Delle compositioni, & compartimenti de i tempy. Et della misura del corpo humano.

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ritorno alla dimensione umana rispetto al super-human che Woods

riconosce nei capolavori di Michelangelo. “L‟invenzione diventa così invenzione di un principio compositivo o combinatorio, di un metodo ideativi e operativo, di un sistema di relazioni. / Il più noto e citato di questi processi è quello tipico dell‟architettura classica descritto da Vitruvio come commodulatio [libro III., cap. 1]: a questo principio è tornata, come è noto, l‟architettura moderna, e proprio nella fase più acuta della trasformazione dei suoi processi in senso industriale. È bene precisare, anzitutto, che il modulo non è una forma-base, ma una virtualità formale; poiché non si dà modulo se non in un processo di commodullatio, il modulo è anzitutto un

principio di progettazione. In questo senso, appunto, è da intendersi il famoso Modulor di Le Corbusier.”213 La tenacia con cui Woods e Prouvé sostengono l‟utilizzo del Modulor è un caso interessante di rapporto tra architettura, tecnica e realtà produttiva, infatti il „compromesso‟ di adottare il modulo costruttivo di coordinamento della struttura e delle finiture interne sul modulo dei 0.60 m214 e le partizioni esterne verticali rispondenti al Modulor rispecchia la distanza tra due mondi che rispondono a leggi che non sono riuscite a trovare un punto di contatto sulle proporzioni dell‟uomo. Da questo punto di vista Le Corbusier è più vicino a Vitruvio che non ai suoi coevi produttori di manufatti edilizi, e il caso del coordinamento tra le due misure nella BFU fa emergere questa contraddizione; è l‟indicatore della difficoltà di tenere assieme un sistema di modulazione basato sulla funzione additiva con uno proporzionale.

La lettura dello stato di fatto della BFU ha portato a rilevare, per esclusione, l‟incisività di un reticolo virtuale che coordina tutti gli elementi della costruzione, senza per questo essere sostenuta in via prioritaria da una delle componenti progettuali. Le osservazioni di Bakema raccolte nell‟incontro di Berlino rendono conto della trasversalità del matriks-thought che viene riconosciuto ora come strumento adottato „inconsapevolmente‟ anche per progetti precedenti come Lijnbaan nel centro di Rotterdam. La didascalicità dell‟uso del reticolo a Berlino porta in superficie un metodo, che se prima consisteva in una pratica di organizzazione, tramite la BFU diviene principio progettuale. La reazione a questa concettualizzazione del reticolo, come dimensione virtuale dell‟organizzazione, oltre a rilevare delle

213 Modulo-misura e modulo-oggetto, op.cit. pag. 108,109. 214 Nella relazione finale di progetto si indica in 0.30 m, la misura della modularità della struttura, anche se di fatto il vincolo operativo era determinato dalla dimensione delle solette in c.a. dei solai.

precedenti procedure, solleva anche alcune critiche. In particolare De Carlo commenta il reticolo come uno schema concettuale astratto e attiva la reazione di Woods che sulla lettera inviata in risposta ai commenti di Berlino, reagisce affermando “the intellectual grid is all in your mind”. Intendere il reticolo come un sostegno virtuale avvicina a considerare il sistema predisposto da Woods nei termini in cui altre discipline coeve indagavano sistemi di trasformazione come sistemi di relazioni. “Individuare la struttura di un dominio significa determinare tutta una virtualità di coesistenza che preesiste agli esseri, agli oggetti e alle opere di questo dominio”; questa definizione, riportata da Deleuze, sui rapporti e gli elementi differenziali che descrivono il funzionamento di una struttura, non ha la pretesa di spiegare il procedimento di Woods per la BFU e l‟influenza dello strutturalismo sul suo lavoro, ma di mettere in evidenza una confluenza di intenti.215

Abbiamo riconosciuto molti significati alla parola „strumento‟, sia nel processo di costruzione, trattando della griglia organizzativa, fino a farlo coincidere con il prodotto stesso, e ciò che tramite esso viene realizzato in quanto diviene lo strumento per l‟utente per compiere la propria attività. Le definizioni sono innumerevoli216 e dipendono essenzialmente dal punto di vista di chi lo applica; il suo ruolo è quello di consentire una trasformazione in cui lo strumento rimane intermediario, come un catalizzatore in una reazione chimica, che partecipa della trasformazione senza alterarsi (almeno nel periodo in cui viene usato). Nel caso dell‟architetto la nozione di strumento appartiene più che al prodotto e al processo di realizzazione dell‟opera alle conoscenze che vengono portate con sé per affrontare il proprio lavoro e qui questo insieme di attrezzature mentali viene riconosciuto con il termine procedimento. Da Vitruvio a Le Corbusier i modi per intendere lo strumento sono imponderabili ora, e in confronto alla sua

215Lo strutturalismo come una superficie riflettente ci rivelerà ciò che cerchiamo

secondo l‟angolo d‟incidenza con cui poniamo lo sguardo sullo specchio. A ogni lieve variazione dell‟incidenza dello sguardo il contesto riflesso modifica la sua dimensione, e può far apparire, la BFU come l‟icona dell‟ambizione dello strutturalismo di riconoscere una propria dimensione di sintesi dei saperi, espressa nell‟integrazione delle discipline raccolte da un unico strumento. 216 E si potrebbe iniziare con la definizione di Vitruvio che pone la comparazione tra macchina e strumento, dove le macchine richiedono per operare molte opere, lavoro, mentre gli strumenti “col prudente toccamento di un‟opera fanno quello che s‟hanno proposto di fare” in I dieci libri dell‟architettura, op.cit. libro X, cap. 1, pag. 444.

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rivale, la macchina, lo strumento riesce a seguire l‟uomo in tutte le sue opere senza divenire un ostacolo alla sua azione.

Riflettere su il senso in cui viene inteso lo strumento in Vitruvio nella

comparazione tra machina e istrumento, è indicativo della prova d‟ingegno,

in quanto la macchina richiede lavoro, gli strumenti invece sanno quello che si propongono di fare. Il linguaggio sembra abbia perduto questa antica differenza tra macchina e strumento217, anzi ne ha rovesciato il significato: dietro lo strumento agisce la mano dell‟uomo e le macchine ora “fanno quello che s‟hanno proposto di fare”. I rovesciamenti di significato delle parole sono spesso importanti casi di studio, poiché rivelano trasformazioni rilevanti. In questo scritto ci si ferma solo su una questione in quanto ancora una volta avvicina Le Corbusier a Vitruvio e lo allontana dal senso comune. Le Corbusier utilizza entrambi i termini intensamente, e la sua casa considerata strumento sin dai primi momenti dell‟esaltazione della meccanica in Verso una architettura diviene macchina per abitare, proiettata nel futuro. Così, in Le Corbusier, la dimensione operativa dello strumento avvolge tutti i prodotti dell‟uomo, la città è strumento e la strada “probabilmente il primo strumento di cui si dotarono gli uomini”218.

L‟edificio come strumento apre a un mondo complesso di

relazioni219 utili per intendere le conseguenze e lo sfondo su cui questa posizione veniva inviluppata nelle considerazioni di Woods, come si modifica il concetto di spazio in riferimento a concepire la casa e la città in guisa di strumento. Poiché questa posizione può essere interpretata in Le Corbusier come la condizione per sostenere la necessità di un punto e a capo, la casa e la città diventano, o forse solo ritornano, al servizio dell‟uomo. Lo strumento garantiva questa condizione di verifica ed eventuale ricominciamento, rivolta secondo la lettura della società svolta da Le Corbusier, verso una nuova efficienza richiesta dall‟avvento della macchina, lo standard, la produzione in serie. Si ipotizza che lo strumento,

217 Il torchio per esempio è una macchina mentre la catapulta è uno strumento; nella versione commentata dal Barbaro sembra che nel XVI sec. questa sia una definizione condivisa. 218 Vedi preambolo. 219 La complessità di questo argomento viene ridotta alla sua semplice evidenza se si riconosce che l‟uomo attua le sue trasformazioni lungo la sua evoluzione non sui propri organi come gli animali ma tramite strumenti esosomatici, attraverso variazioni che sono al di fuori del proprio corpo.

e tra questi pensiamo anche al tipo come strumento, rappresenti la continuità dell‟agire umano e la macchina intesa come processo di industrializzazione sia la potenzialità del progresso, suggerendo allora una riflessione, tra quelli che credono nel valore delle parole, su questa inversione di significato, di slittamento di valore, tra strumento e macchina nel concepire le relazioni tra uomini e cose.

Da queste considerazioni torniamo al punto di partenza, alla

concezione dello spazio, per porre il problema della dimensione verticale e orizzontale riferendosi al lavoro di Le Corbusier e Woods, che subisce in meno di una generazione due interpretazioni opposte. L‟oscillazione tra il villaggio verticale a cui Woods partecipa alla costruzione di Marsiglia nei suoi anni formativi e la dimensione orizzontale, il groundscraper, che

rappresenta il principio insediativo della BFU ci pone di fronte a un problema che richiede di essere misurato nel tempo come espressione di un impulso ideologico. Dal punto di vista della consapevolezza della trasformazione fisica della città si può offrire una possibile chiave di lettura, la più immediata, per comprendere le ragioni di una così evidente variazione di rotta nella concezione dello spazio architettonico, come reazione indotta dalla mobilità nelle città. L‟automobile, che è il segno più evidente di queste variazioni di comportamento, modifica il suo ruolo, che se dalla prima era della meccanizzazione era inteso come rimedio alla nuova dimensione e alla gratificante possibilità di evasione nella natura, conduce alla rapida consapevolezza del pericolo di questo „farmaco‟ che in breve tempo diviene il veleno delle città. [mat. 2.04.03b]

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PROCEDIMENTI PROGETTUALI

Il processo compositivo dell’Orphanage: pensiero obliquo

2.04.01

La documentazione su cui vengono svolte le seguenti considerazioni sulle prime e più significative scelte nel processo progettuale per l‟Orphanage consiste in 14 disegni pubblicati da Francis Strauven220 e in parte esposti alla mostra team 10 tenutasi a Rotterdam nell‟estate 2005. Si tratta esclusivamente di schemi organizzativi planimetrici e piante elaborate da van Eyck da gennaio a maggio 1955. I materiali sono omogenei, realizzati con lo stesso materiale, prevalentemente carta vegetale, matite e pastelli colorati per le campiture. Le ultime quattro serie di disegni sono alla medesima scala (1:500), mentre i primi schizzi (disegni 1, 2, 6) sono prossimi alla scala 1:500 ma probabilmente tracciati senza un preciso riferimento dimensionale. Non si conosce la quantità di elaborati prodotti da van Eyck, ma la selezione di Strauven fa intendere i passaggi principali che hanno condotto alla soluzione architettonica. Il processo è chiaramente leggibile dalle piante che si considerano lo strumento privilegiato per l‟elaborazione progettuale. La selezione dei disegni operata da Strauven per identificare i passaggi principali dell‟elaborazione progettuale è introdotta da due osservazioni rilevanti sull‟approccio metodologico di van Eyck. Strauven anzi basa le sue considerazioni sulla selezione per rispecchiare l‟attitudine di van Eyck a esporre i percorsi che in seguito saranno abbandonati “‟what do you want‟ but also „what you certainly don‟t want‟”221. Le osservazioni metodologiche di Strauven fanno riferimento all‟apertura del processo progettuale come a una paziente pratica dell‟ars combinatoria e alla necessità di esplorare, quasi di esaurire, le possibilità secondo un‟attitudine che appartiene al campo scientifico-sperimentale. Tuttavia dallo studio compiuto sui disegni pubblicati non è coglibile, questa affermazione di Strauven riguardo “The latter, too, must be committed to paper if it is to be consciously rejected”222 in quanto ognuno dei passaggi illustrati nella selezione è strettamente necessario allo sviluppo successivo. Se ci si arma di velina e matita e si ripercorre l‟iter progettuale si può

220 AvE – The shape of relativity, op.cit., pagg. 306-309. 221 AvE - The shape of relativity, op.cit., pag. 306. 222 Ibidem, probabilmente dovuta alla quantità di disegni prodotti.

identificare la consecutività di ciascun passaggio, la combinazione delle singole parti individuate come soluzioni parziali e poi abbandonate qualora intervenga qualche conquista più rilevante, ma che senza quel passaggio intermedio sarebbero rimaste, come dire, sulla punta della matita e non avrebbero fatto avanzare il discorso progettuale. Con l‟operazione di ridisegno è possibile ricostruire i gesti e le procedure di combinazione delle scelte parziali; sovrapponendo, ruotando e specchiando le veline emerge un gioco di alternative alla ricerca di un‟integrazione tra spazio aperto e spazio chiuso che coinvolge la dimensione ludica del fare progettuale. Sempre da una verifica operativa sugli schizzi si è riscontrato che almeno dal disegno 4 le piante sono sovrapponibili a una griglia con il passo di 3.60 m (0.72 cm in scala 1:500), quindi sembra che i disegni siano stati eseguiti seguendo la procedura consolidata di utilizzare una sottostante griglia di riferimento dimensionale223. Lo studio della parte successiva alla definizione dell‟impianto planimetrico non ha che poche scarse risorse documentali che non consentono di proseguire oltre nella ricostruzione del procedimento, che comunque al termine della successione dei 14 disegni risulta chiaramente definito nelle sue parti rispetto all‟edificio realizzato. Dalle ricorrenze nei disegni è evidente un‟organizzazione definita da subito su una griglia quadrata. La rigidità comportata dalle volte prefabbricate avrà poi certamente richiesto una maggiore attenzione e rispetto della modularità che comunque risulta già impostata dall‟inizio o quantomeno dal disegno 3. Oltre alla varietà di ipotesi esplorate, ma tutte necessarie a raggiungere l‟obiettivo, vi sono alcune costanti che identificano la direzione del processo progettuale. Le questioni più radicate nel dibattito disciplinare su cui van Eyck si confrontava in quei mesi con la redazione del „supplemento olandese‟ per il X CIAM sono riassumibili nei titoli The great reality of the doorstep ed The aesthetics of number [1.01.04,05].

Consistono essenzialmente nell‟attenzione di definire e calibrare la gradualità dei passaggi tra pubblico e privato (individuale-collettivo) e nell‟attenzione alla combinazione di elementi molteplici volti a ricostituirsi in un disegno d‟insieme. La costante più evidente negli schemi riguarda la conformazione piramidale della base del complesso edilizio, deducibile

223 Ibidem, pag. 309. Strauven commentando l‟ultimo disegno (disegno 14) riferisce “Only now does it make a regular geometrical impression, but it is not yet modulated within a uniform geometrical grid. At this point the building still has a flat roof except for the eight units, which are each covered by a large pavilion roof”

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dalla „valenza urbana‟ trascelta relativamente l‟ubicazione dell‟edificio. Il sito posto su una delle „porte da terra‟ di Amsterdam viene interpretato con questa forma a cuneo sin dal primo schizzo e la realizzazione marcherà ancor di più questa prima intenzione. La costante organizzativa consiste nella chiara identificazione di una parte logistica (direzione, cucina, lavanderia) e una operativa (gli otto dipartimenti per i giovani ospiti); il rapporto tra area operativa e logistica sarà uno dei temi su cui si riconoscono le più consistenti variazioni, ma la collocazione delle due attività, la logistica a nord in corrispondenza con gli accessi su Ijsbaanpad e l‟operativa affacciata a sud, sarà un‟altra invariante determinante per ridurre le oscillazioni tra le ipotesi. Come già specificato precedentemente [2.02.01] i volumi che van Eyck va a combinare rappresentano sostanzialmente le medesime entità, da ciò si deduce che il programma funzionale, dedotto da van Meurs sulla base del funzionamento del vecchio orfanotrofio, non ha subito variazioni o ripensamenti nel corso dell‟iter progettuale.

L‟esposizione dei quattordici disegni è qui suddivisa in cinque fasi224 che rappresentano le direzioni principali dello svolgimento progettuale: la successione dei numeri in orizzontale e verticale indica un avanzamento di carattere cumulativo, il cambio di direzione mette in evidenza una variazione sostanziale nelle fasi come riassunto nel seguente diagramma da associare alla numerazione degli elaborati grafici riportati nella scheda [mat. 2.04.01a,b]: 1 2 3 6 4 5 7 8 9 10 11 12 13 14 La restituzione del processo progettuale risulta evidente sul piano grafico [mat. 2.04.01a] ed è assai più complessa utilizzando il linguaggio naturale e con la continua sensazione di perdere, tanto la complessità, quanto l‟immediatezza dello sviluppo progettuale (bisognerà quindi consultare contemporaneamente gli elaborati grafici). Per intendere il tipo di lettura

224 Ciascuna fase è distinta dalla successione dei numeri, corrispondenti ai disegni, in righe e colonne, prima fase riga 1-2-3, seconda fase colonna 3-4-5-7, terza fase riga 7-8-9, quarta fase 6-9-10, quinta fase 10-11-12-13-14.

che si vuole proporre è di esempio l‟interpretazione nella quarta fase del disegno 6 che prevede la rotazione del corpo dei servizi. Questa ipotesi assai distante dalla soluzione è fondamentale per avviare la fase quattro (disegni 6, 9, 10) poiché consente di indovinare la giusta relazione tra le quattro unità d‟uso con patio, che altrimenti nell‟ipotesi precedente rimanendo allineate avevano comportato un‟eccessiva rigidità allo schema planimetrico. Nel disegno 6 troviamo lo strumento per scardinare la rigidità e rimettere in gioco il procedimento che si era fermato nel gioco di specchi dei disegni 7 e 8. Questa considerazione mette in discussione quando realmente è intervenuto il disegno 6, se all‟inizio in contrapposizione all‟ipotesi dei disegni 1, 2 e 3 o successivamente al „blocco‟ dei disegni 7 e 8, e non è spinta da „accanimento cronologico‟ ma da un tentativo di rintracciare il passaggio chiave, anche se in se stesso, fuori dalla storia del progetto, non ha senso alcuno. Seguire queste tracce rivela i meccanismi della composizione, nel caso specifico il movimento della rotazione ha consentito che gli ingranaggi si muovessero in cerca della loro posizione, dopodiché le altre parti sono state ri-disposte di conseguenza ritornando all‟ordine ortogonale. La corrispondenza tra il disegno 1 e la realizzazione della scuola elementare a Nagele è assai ravvicinata: di fatto si tratta di una traduzione dei requisiti funzionali indicati da van Meurs nello schema organizzativo della precedente (e prima a scala edilizia) esperienza progettuale di van Eyck. La disposizione delle unità di spazio si presenta su due ali, accostate e sfalsate, in cui ciascuna ala presenta la medesima differenza, ma l‟una è disposta ortogonalmente all‟altra. Ciò rappresenta il medesimo schema di aggregazione adottato a Nagele, e anche l‟organizzazione degli spazi di servizio in corpi sottili e allungati che separano l‟ingresso dalle corti interne ha il medesimo ruolo, varia invece il sistema di accessibilità passante che già nel primo disegno per l‟Orphanage è unico e rivolto a nord costituendo una costante lungo l‟intero iter progettuale. Il secondo schema organizzativo (disegno 2) definisce una prima dislocazione delle attività contemplate dal programma funzionale. Tra questa prima definizione e l‟esito finale vi saranno considerevoli variazioni, ma è possibile già riconoscere alcune opzioni, quale la contrapposizione delle due principali attività collettive, la palestra-teatro e la sala delle feste, poste all‟inizio e alla fine del percorso interno. Il rapporto tra la corte e il percorso deambulatorio che serve le diverse unità diviene il tema progettuale che guida le successive variazioni; il vuoto interno sembra indurre la conformazione dei volumi verso l‟esterno. Le due corti interne del primo

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schema vengono così raccolte in un unico spazio intero e articolato, i padiglioni per gli ospiti vengono separati e giuntati così da definire una prima e sostanziale differenziazione rispetto l‟articolazione delle unità di spazio adottata a Nagele225. Il disegno 3 porta a riconoscere l‟avanzamento di due argomenti progettuali: il più evidente è la definizione della corte aperta per l‟accesso su cui si affacciano le attività logistiche (K=cucina, L= guardaroba) a est e il corpo presumibilmente destinato alla direzione a ovest che viene inserito per incardinare l‟angolo tra la Amstelveensweg e la Ijsbaanpad. Il secondo argomento è riconoscibile dall‟incisività con cui vengono tracciate a matita delle L sui lati dei volumi rivolti verso l‟ingresso. Questo passaggio risulterà determinante nell‟avanzamento progettuale: chiudere, rendere opache le relazioni tra il percorso interno e le unità d‟uso significa riproporre il rapporto casa-strada all‟interno del complesso edilizio. L‟aver rimarcato più volte, quasi inciso nel foglio, i due lati del rettangolo che rappresentano l‟edificio rivolto a nord sulla strada è segno dell‟enfatizzazione di un segno che viene ripetuto nel medesimo verso rivolto al centro della corte ma con minore incisività sulle altre figure che definiscono le unità di spazio interno. Per quanto anche a Nagele vi sia una condizione simile, da considerare quasi obbligata con una distribuzione delle aule lungo un percorso a risega, nel disegno 3 si distingue l‟omologia riferita al binomio casa-città prima nella definizione del segno di chiusura tra strada-edificio e quindi in quello successivo percorso interno - unità d‟uso. Da questa prima serie di tre disegni, un assemblaggio di quadrati disposti a piramide, si riconosce che un‟impostazione per le scelte insediative era stata delineata nei suoi principali lineamenti per consentire di procedere con l‟attivazione delle variazioni compositive. Il disegno 4 ordina i temi sinora emersi con una rappresentazione che da schema organizzativo diviene pianta con la definizione delle partizioni verticali portanti, le colonne e le partizioni vetrate. Il livello di definizione del disegno consente di leggere anche le sistemazioni esterne, con le alberature disposte a macchia nella parte meridionale, una siepe che rimarca i bordi del lotto e il trattamento a prato di due estese aiuole antistanti l‟ingresso a nord. La relazione tra l‟ingresso dalla strada e la corte interna viene

225 A Nagele l‟inserimento nell‟accesso a ciascuna aula di un guardaroba e di un andito di ingresso comportava un forma irregolare dell‟aula stessa con l‟ubicazione della cattedra disassata rispetto l‟asse dell‟aula stessa.

mediata da una prima alberatura compresa nella corte aperta, un atrio passante e infine la corte con un incerto disegno a Z degli spazi aperti interni. Il ruolo della corte interna è evidentemente il problema che separa van Eyck dalla soluzione: le successive elaborazioni a cui la corte verrà sottoposta risentiranno di un „mancato accordo‟ tra la corte e i volumi edilizi. La trasformazione tipologica per l‟affrancamento dal tipo a corte richiederà almeno due ulteriori passaggi di manipolazione dell‟organismo edilizio illustrati nei disegni 6, 10 e 11 dove il lavoro sulla rotazione e le diagonali farà acquisire al volume edilizio una tale porosità per superare la contrapposizione tra lo spazio aperto interno ed esterno. Questa quarta fase documenta il lavoro di „emulsione‟ dello spazio aperto interno con quello esterno. Il primo passo in questa direzione può essere rinvenuto nella definizione dei semi-patii che compaiono nell‟ala orientale del disegno 5. Nello stesso disegno si può riconoscere l‟inserimento nell‟ala occidentale dei collegamenti verticali con il livello superiore della zona notte per i ragazzi e del corpo a ponte sopra l‟ingresso per il personale interno. Come già anticipato il disegno 6 è il più complesso da interpretare e rappresenta una fase tipica dei procedimenti progettuali basati su verifiche parziali per prova ed errore, la fase del ricominciamento. Osservando il disegno 6 che è eseguito con una grafia prossima ai primi due schizzi riconosciamo che le due mosse concatenate della rotazione dei corpi dei servizi ora raggruppati in un corpo compatto a L e l‟apertura della corte si risolvono in un assecondamento della diagonale generata dalla risega dei padiglioni. Se si fa riferimento ad alcuni indizi, come le frecce che compaiono nei disegni precedenti, si trova che tale rotazione deriva dal tentativo di instaurare una relazione più diretta con il ponte, il varco sul bordo della città. Allargando lo sguardo a un contesto più ampio si riconoscono quindi motivi per non limitare la lettura della rotazione come un modo per assecondare la conformazione dei padiglioni, ma si può intendere questo ricominciamento come un tentativo di aprire l‟edificio alla città e l‟apertura della corte aderisce a tale proposito. D‟altronde la pratica di guardare dall‟alto l‟ipotesi di progetto e coinvolgere un più ampio ordine di problemi è uno dei più consolidati atteggiamenti per rigenerare l‟iter progettuale. Il fatto che la rotazione del corpo servizi prenda le mosse da relazioni contestuali a più ampia scala e non dalla disposizione dei padiglioni trova una sua giustificazione nell‟organizzazione stessa dei padiglioni che anzi viene messa in crisi dall‟inserimento della corte aperta rettangolare dove l‟allineamento con la parete vetrata posta tra la corte e la

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strada interna dimostra incertezza negli allineamenti e una perdita di chiarezza rispetto ai disegni 4 e 5. Come già anticipato la posizione cronologica del disegno 6 è rilevante per comprendere il procedimento di van Eyck: certamente le intenzioni potevano essere già presenti anche senza l‟elaborazione grafica, ciò che è evidente leggendo i disegni successivi è che le due ipotesi principali restano entrambe in lavoro, senza escludersi nel corso delle fasi successive, anzi l‟interrelazione tra le due ipotesi porterà alla definizione della soluzione. La compresenza di due ipotesi progettuali in alternativa è evidente nella terza fase (disegni 7-9): la coppia disegni 7 e 8 è conseguente alla serie sviluppata fino al disegno 5 con il corpo dei servizi ritornati paralleli alla strada e a rafforzare tale disposizione va evidenziata in entrambe le ipotesi, alternativamente, una delle due ali disposta perpendicolarmente alla strada, così da costituire il definitivo superamento dell‟organizzazione a spirale226 accennato nelle prime tre ipotesi. I disegni 7 e 8 sono pressoché identici con l‟unica sostanziale differenza che sono specchiati rispetto l‟asse nord-sud. La verifica, che risulta immediata della reazione al contesto di uno schema specchiato, è riferita a una pianta dove erano già definite le destinazioni d‟uso di ciascuna parte. In particolare le unità d‟uso per i più piccoli con il patio e quelle per i ragazzi aperte al piano terra con sovrapposto il volume per la zona notte interagiscono con la strada, creando situazioni assai diverse. L‟allineamento delle quattro unità per i più piccoli consente di ottenere dei patii definiti in modo proprio alle esigenze dei bambini, rispetto alle piccole corti aperte del disegno 5. Il disegno 8 ristabilisce la disposizione delle unità per i più piccoli a est e per i ragazzi a ovest. La corte interna trapezoidale, che deriva dalla combinazione dei volumi, è il più evidente elemento di continuità con l‟ipotesi successiva. Il disegno 9 viene ricavato applicando una rotazione di circa 36 gradi al disegno 8 secondo gli intenti già deducibili dal disegno 6. Se il corpo dei servizi e l‟ala ovest vengono semplicemente ruotati le conseguenze sull‟ala est di contro sono rilevanti. Infatti, viene alterato lo schema lineare dei quattro patii per ricercare un‟articolazione dei volumi che, pur salvaguardando i patii, definisce una disposizione obliqua rispetto alla strada, così come era stata fissata fin dal primo schizzo. La traslazione dei volumi dell‟ala est, „conquistata‟ tramite la rotazione a partire dal disegno 8 e suggerita dall‟inclinata del trapezio rettangolo, porta nell‟ipotesi

226 Nella lettura di Strauven l‟organizzazione a spirale viene considerata con grande attenzione nelle fasi iniziali dello sviluppo progettuale. Ibidem, pagg. 306-309.

successiva disegno 10 alla fissazione dell‟ala est e alla riproposizione nell‟ala ovest del medesimo ritmo dei quattro volumi, fissando i cardini della composizione nell‟articolazione delle due ali. Il disegno 10 è ancora distante dalla soluzione architettonica, ma le parti più complesse della ripetizione delle unità d‟uso, quelle rappresentative delle riflessioni sull‟“estetica del numero”, sono arrivate a una sostanziale definizione. L‟eliminazione del vincolo della corte ha consentito, una volta eliminato, il raggiungimento di una disposizione in equilibrio dinamico. È naturale a questo punto domandarsi quali siano state le motivazioni che hanno condotto all‟eliminazione della corte interna e all‟assorbimento di una quota dello spazio aperto negli interstizi edificati, definiti da volumi edilizi così come dal verde. Nei momenti più delicati del comporre non sempre tutto è sospinto da una stringente consecutività, ciò che emerge dalle ragioni che hanno indotto tale mossa ha una sua evidenza nei riscontri grafici di un gesto strategicamente opportuno, ma con delle conseguenze sul concetto portante della città-casa le cui intenzioni restano incognite e che ristabiliranno a posteriori un contatto tra diversi modi di abitare. Dalla lettura in sequenza degli elaborati grafici si riconosce la tensione verso una “disciplina configurativa” che guida passo per passo l‟avanzamento progettuale. Il passaggio tra i disegni 9 e 10 con l‟innervamento dei percorsi che si snelliscono, si condensano, rende avvertibile questo impulso, questa volontà di forma, in cui si compie un passaggio determinante in bilico tra una tecnica a infill e la definizione

dell‟oggetto in sé227. Il superamento della necessità di un vuoto centrale, attorno cui si svolge l‟attività della comunità, così come tra l‟altro avveniva anche nel vecchio orfanotrofio, sarà quindi risolutivo. Scompare così il fulcro o meglio il polo della spirale attorno a cui inizialmente venivano aggregate le attività. Le ragioni del disegno, da sole, potrebbero, in effetti, bastare a comprendere tale annullamento. La sensazione di trovarsi innanzi a un cuneo molto stretto tra intenti ed esiti richiede di recuperare, comunque, anche l‟argomentazione principale del progetto, il rapporto tra casa e città. La corte come spazio di mediazione semi-pubblico tra il luogo urbano e quello domestico svelava l‟ambiguità da cui van Eyck assumeva lo spirito del progetto. Il contrasto tra casa e città, tra le due dimensioni individuale-collettiva, aveva come punto di partenza la riconoscibilità della differenza, per poi far emergere le potenzialità di interpretare un Habitat e

227 Dalla lettura del procedimento progettuale si riconoscono elementi in sintonia con le posizioni di Rowe and Koetter, Collage.city, op.cit.

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una comunità. Per quanto possa apparire rivolto alla sintesi il presupposto di van Eyck di conciliare casa e città, la sua piena espressione per essere colta non poteva adeguarsi alla corte come luogo tradizionalmente deputato a tale ruolo, ma doveva agire sul contrasto tra casa e strada, seguendo così un‟attitudine propria del Movimento Moderno. “The inbetween realm”, il dominio intermedio, non poteva sovrapporsi a un luogo ordinario che consuetudinamente media tra lo spazio individuale e collettivo, ma l‟ambiguità doveva essere sostenuta dalla giustapposizione delle due sfere. Così anche nelle diverse fasi dell‟iter progettuale, come già si è riportato nel rapporto con la costruzione, riconosciamo quella condizione di avanzamento consequenziale tra teoria e pratica che è l‟aspetto più consistente dell‟atteggiamento progettuale di van Eyck. L‟ostinazione nel tornare sul medesimo tema non è ritornare a un rifugio sicuro ma provare ogni volta a guadagnare qualche metro in profondità, così anche ripetere la frase di Einstein in conversazione con Popper “la mia matita è più intelligente di me” aiuta a introdurre l‟intercalarsi degli effetti del disegno sulla dimensione teorica. L‟ultima serie di disegni (disegni 11-14) rappresenta la messa in equilibrio dell‟organismo, la ricerca di una coerenza tra le parti e l‟insieme, ma le componenti principali del progetto sono state definite nel corso dell‟elaborazione delle piante rappresentate nei precedenti disegni. In effetti, manca ancora un passaggio determinante rinvenibile nel disegno 11 che consiste nella combinazione delle due serie precedenti. La composizione dei padiglioni nel disegno 10 viene integrata con la soluzione del disegno 8 relativa alla disposizione dell‟ala dei servizi parallela alla strada per riproporre la corte aperta a nord prospiciente la strada. Il lavoro progettuale impiegherà ancora almeno due anni prima di approdare alla realizzazione e alcune scelte determinanti sono ancora lontane da venire; il lavoro qui documentato tiene conto esclusivamente delle piante e si capisce che non vi sono rilevanti trasgressioni nell‟uso degli strumenti progettuali, ma l‟affinamento di una tradizione che vede compiere le scelte progettuali sulle piante. Tuttavia già dal disegno 12 è possibile riconoscere che alcune figure assumono una caratterizzazione volumetrica. Si evince chiaramente che i padiglioni dei ragazzi avranno una marcata evidenza così come sono leggibili le volte dei padiglioni dell‟ala est; compare anche „fuori posto‟ un ulteriore elemento con un accento volumetrico, la sala delle feste, che verrà eliminato nell‟ipotesi successiva in relazione alla coerenza dell‟impianto. Il disegno 13 interviene principalmente sull‟organizzazione della fascia dei servizi che

viene ora aggiustata dimostrando incertezza nel definire il rapporto con la strada: tale rapporto resterà ancora aperto nel disegno 14, l‟ultimo a disposizione prima dei disegni che illustrano la realizzazione. Il disegno 14 comunque completa tutte le parti dell‟edificio in modo molto vicino alla realizzazione; in particolare sono compressi i patii dell‟ala est, l‟unico punto evidentemente ancora in lavoro è la palestra-teatro che non trova una adeguata collocazione nell‟orientamento dell‟asse longitudinale perpendicolare alla strada. La soluzione discreta e contenuta con cui van Eyck interpreterà il fronte su Ijsbaanpad, con un lieve slittamento dei fronti edilizi, è coerente con l‟obiettivo proposto da van Meurs di offrire un “atrio gentile” e sarebbe inutile cercare effetti speciali lungo la strada, poiché il dispositivo spaziale è costruito per coinvolgere l‟attenzione come un vortice, o come la figura iniziale della spirale, verso l‟interno.

La sensazione nel percorrere la Ijsbaanpad senza seguire il percorso che porta all‟interno della corte aperta è quella di aver sbagliato strada. Il basso profilo con cui van Eyck definisce il corpo dell‟amministrazione è dovuto a una sua precisa intenzione che troviamo testimoniata nelle interviste condotte da Strauven nel luglio 1981 ad Alison e Peter Smithson. Ritroviamo in questi documenti un severo attacco di Alison Smithson all‟Orphanage e una reazione di van Eyck che aveva inviato la sbobinatura delle interviste a Giancarlo de Carlo con delle note a matita (blu). Riportiamo il passaggio in cui Strauven racconta a Peter Smithson le opinioni di Alison. “FS: What is your opinion about aldo‟s buildings. I just had a discussion with your wife about the orphanage and the mother‟s home. She didn‟t seem to appreciate these building very much. PS: For me the orphanage is consistent, except for the administration block. And that point is like … where the brain stop. There it fails to get on top of the problem, and it falls back onto existing forms. And it‟s probably so that in all his buildings he carries the concept to about 80% and then 20% collapse. I find that a pretty good score”228. La nota di van Eyck per De Carlo riferisce che secondo le sue intenzioni quella parte dell‟edificio dissimulava la presenza del blocco amministrativo. Le due osservazioni sono entrambe pertinenti: la conclusione di Peter Smithson rivolta ai maestri Le Corbusier e Mies van der Rohe e alla loro energia che consentiva di raggiungere ogni parte dell‟edificio coglie effettivamente un

228 Van Eyck invia a De Carlo (16 marzo 1983) la sbobinatura delle interviste di Strauven a Alison e Peter Smithson (28 luglio 1981) su cui interviene con numerose note di commento rivolte a De Carlo. Fondo De Carlo Atti/044 [1975-] AP, IUAV, Venezia.

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reale calo di tensione dell‟Orphanage nel suo complesso che per quanto motivato è riscontrabile anche nell‟iter progettuale.

Lo studio del processo compositivo non è animato dalla ricerca

degli errori, e qui certo non si considera il fronte nord dell‟Orphanage un errore, ma proprio il procedimento progettuale di van Eyck con i suoi continui affinamenti richiede una tensione nel rimettere in gioco tutte le parti che probabilmente è stato realmente indebolito nell‟ultima fase per quanto riguarda la porzione nord-ovest. Lo schema tetradico di Popper229 del metodo di eliminazione per prova ed errore P1>TT>EE>P2 richiama le modalità di questo processo critico; il consolidarsi delle scelte progettuali lungo l‟iter è riflesso nel modo in cui i disegni dall‟uno all‟altro trattenevano ciascuno degli elementi vagliati criticamente dall‟ipotesi successiva. Il problema del fronte nord allora non è altro che la constatazione che il processo progettuale, al di là delle pretese compositive, è destinato a rimanere aperto. Da questo punto di vista la conclusione propria di una costruzione è l‟esito di un processo interrotto. I dieci punti del paradigma di un’equipe per la BFU

2.04.02

L‟abbandono dei limiti dell‟architettura e in particolar modo la rinuncia alle tecniche compositive risulta essere, come abbiamo visto, la conquista più significativa operata da Woods per consentire al “sistema” di affrontare e sostenere le aspettative del futuro. Non sono state riscontrate sulle riviste e nel dibattito disciplinare dell‟inizio degli anni sessanta evidenti reazioni a una simile provocazione. Probabilmente poiché posizioni più radicali e focalizzate sul versante utopico-artistico quali quelle di Yona Friedman o di Constant avevano preparato a simili interventi anche in campo architettonico. I modelli fantastici di Constant e le sue grandi mappature di New Babylon sono un patrimonio comune delle ultime

229 “L‟intero schema indica che partiamo da un problema, pratico o teorico. Tentiamo di risolverlo creando una teoria provvisoria come nostra soluzione provvisoria: questa è la nostra prova. Sottoponiamo poi la nostra teoria al controllo, tentando di falsificarla: questo è il metodo critico di eliminazione degli errori. Il risultato di tutto questo è l‟emergere di un nuovo problema, P2. Il progresso compiuto, o la crescita della nostra conoscenza, può essere normalmente stimato in base alla distanza tra P1 e P2, e sapremo allora se abbiamo fatto qualche progresso. In breve, il nostro schema dice che la conoscenza parte da problemi e si conclude con problemi (se mai si conclude)”, La conoscenza e il problema corpo-mente, op.cit., pag. 22

avanguardie che si misuravano con l‟idea di una nuova società, così come i modelli sospesi di città orizzontali di Yona Friedman realizzati già a partire dalla fine degli anni cinquanta presentano una straordinaria somiglianza con il modello230 realizzato per il concorso della BFU. Per ragioni geografiche e quindi culturali Constant troverà maggior attenzione tra gli architetti olandesi, in particolare van Eyck ma anche Bakema così come Yona Friedmann parteciperà delle vicende parigine; entrambi, per quanto non assimilabili come produzione progettuale, offrono la medesima sponda a un‟interpretazione inclusiva della trasformazione totale dell‟ambiente, valendosi dell‟immaginazione per realizzare un mondo governato dalla volontà artistica. L‟assimilazione della spinta utopica del gruppo Candilis Josic Woods era, come si è già avuto modo di considerare, di ordine pragmatico. Il pragmatismo consiste nella trasformazione delle contaminazioni di altri campi disciplinari in concrete ipotesi di trasformazione dell‟Habitat sulla base delle esigenze che la società manifesta, o meglio le esigenze che vengono dall‟interpretazione delle forze vitali della società. Continuando a riflettere sugli elaborati grafici di concorso della BFU, due immagini emergono quasi contemporaneamente: da un lato il plastico231 riporta evidentemente alle vedute della città araba così come erano state interpretate sin dall‟inizio al congresso di Aix en Provence, al tempo stesso la pianta rimanda allo schema di circuiti integrati di un calcolatore IBM, l‟analogia suggerita da Guido Canella232 accostando la pianta della BFU con l‟ingrandimento di un circuito sperimentale al silicio. Il microcosmo presentato dalle nuove tecnologie esprime l‟oggettività e la sinteticità delle funzioni che possiamo trovare riflesse negli schemi organizzativi della BFU che ne rappresenta la realizzazione in un rapporto di microcosmo-macrocosmo. Passato e futuro divengono due chiavi di interpretazione dell‟integrazione delle attività universitarie in un Habitat collettivo, ma l‟attenzione è rivolta in via esclusiva al futuro, “we strive to impose on the

230 Materiali esposti alla mostra: “Future CityExperiment and Utopia in Architecture 1956-2006”, Barbican Art Gallery, Londra, giugno-settembre 2006 231 Il plastico non compare direttamente nelle quattro tavole ma in più occasioni viene mostrato assieme agli elaborati di concorso e si ritiene ne sia parte integrante. 232 Guido Canella, Dal laboratorio alla composizione, in Teoria della progettazione architettonica, Dedalo, Bari 1968, pag. 95. [mat.

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future the least possible commitment to the past”233; questa posizione espressa in ogni occasione possibile da Woods, in questo caso in apertura della presentazione della BFU, porta a ritenere il procedimento progettuale non più un mezzo, ma il fine dell‟azione di trasformazione. Cosa possiamo consegnare al futuro se non uno strumento che possa venire modificato da istanze tuttora non ancora avvertite? L‟edificio stesso, divenendo uno strumento, trova nel sistema il prodotto del suo operato. Affrontare il procedimento progettuale nel lavoro di Woods non richiede di investigare la distanza tra intenti ed esiti poiché gli stessi intenti restano aperti a esiti che si definiranno nel corso del processo di realizzazione. Il Campidoglio con l‟ala amputata è il simbolo più forte di questa necessità di intervenire con strumenti che superino la composizione statica dei volumi. La provocazione è tanto efficace quanto la soluzione che viene proposta risulta evidente; la didascalicità degli esempi che illustrano le motivazioni del progetto agiscono e convincono per l‟evidenza della dimostrazione. Ciò che risulta assai più complesso è la verifica sulla plausibilità dell‟ipotesi!

Le tavole di concorso illustrano in termini discorsivi queste esigenze, presentando degli schemi che propongono ciascuno un aspetto specifico e in particolare l‟organizzazione funzionale, il sistema dei percorsi, gli spazi aperti, ciascuno di questi schemi viene sovrapposto uno sull‟altro e il risultato delle esigenze, dapprima dissociate, diviene la conformazione generale della pianta. La consecutività, la sintesi progressiva riscontrata nel processo progettuale dell‟Orphanage, è un chiaro fattore di contrasto per giudicare entrambi gli atteggiamenti progettuali. Nella BFU la dissociazione dei singoli problemi e la successiva giustapposizione delle componenti organizzative viene presentata come una meccanica sommatoria di esigenze, all‟interno del lavoro di coordinamento. Tuttavia i problemi sono stati risolti intervenendo principalmente sulla flessibilità strutturale e sulla standardizzazione degli elementi di servizio. Il grado di libertà ottenuto nell‟aggregazione delle componenti, comunque, si è reso così ampio da poter parzialmente svincolarsi dai condizionamenti del coordinamento capillare tra piante e sezioni, in quanto la dimensione orizzontale del manufatto aveva ridotto al minimo le relazioni tra orizzontale e verticale. Questa argomentazione non viene resa esplicita ma costituisce un punto di partenza che fa coincidere

233 Free University Berlin, in “World Architecture 2”, op.cit., pag113.

le problematiche di ordine tecnologico234 con il principio organizzativo a sviluppo orizzontale che costituisce un‟opportunità dei sistemi insediativi a matrice. È invece espresso in modo evidente, e convincente, il ruolo che una disposizione orizzontale dei dipartimenti viene ad avere nelle possibilità di scambio educativo rispetto a una organizzazione verticale e come un sistema a piastra poteva sostenere cambiamenti e trasformazioni.

Gli schemi illustrativi sono l‟estrapolazione da un foglio di appunti

che fissa in modo didascalico in dieci punti le motivazioni del principio progettuale. La comprensione dei criteri che ne derivano è la base stessa del progetto, poiché se il sistema può essere modificato devono esserne evidenti e condivisi i principi organizzativi. Il processo logico che definisce le scelte organizzative deve essere partecipato e condiviso dalla comunità che lo utilizza altrimenti viene meno il presupposto stesso della trasformazione. Vi è comunque una considerevole distanza dalle successive esperienze di „partecipazione‟ innanzitutto perché alla BFU le variazioni non sono mai state attuate in modo significativo; in secondo luogo, poiché si riferiva a una istituzione, l‟università, in cui vi erano delle precise gerarchie decisionali e figure professionali che si dedicavano all‟organizzazione delle attività. Woods, che si riferiva nei suoi testi in modo specifico ad altre discipline di carattere scientifico, conosceva i suoi interlocutori: triangoli, cerchi, quadrati e croci che risultano a loro volta dalle linee e semicerchi che rappresentano ciascun individuo. Le figure che risultano dalla combinazione delle linee sono le discipline che si mescolano e trovano riparo sotto un grande tetto “a groundscraper” come soluzione all‟isolamento dello “skyscraper” dove triangoli quadrati etc. sono suddivisi rigorosamente in gruppo di figure uguali distribuite in ciascun piano chiamato “plan of isolation”. “Esaminando la documentazione della ricerca passata dal punto di vista avvantaggiato della storiografia contemporanea, lo storico della scienza può essere tentato di esclamare che quando mutano i paradigmi, il mondo stesso cambia con essi. Guidati da un nuovo paradigma, gli scienziati adottano nuovi strumenti e guardano in nuove direzioni. Ma il fatto ancora più importante è che, durante le rivoluzioni, gli scienziati vedono cose nuove e diverse anche quando guardano con gli strumenti tradizionali nelle direzioni in cui avevano già guardato prima. È quasi come

234 Non irrilevanti in un edificio che in quegli anni poteva essere considerato ad alte prestazioni ambientali.

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se la comunità degli specialisti fosse stata improvvisamente trasportata su un altro pianeta dove gli oggetti familiari fossero visti sotto una luce differente e venissero accostati a oggetti insoliti. Naturalmente, non succede niente di simile: non si tratta di uno spostamento geografico; al di fuori del laboratorio la vita di ogni giorno continua a scorrere come prima.”235 Questa descrizione di Thomas Kuhn ripresa dal decimo capitolo intitolato Mutamenti della concezione del mondo del suo testo fondativo La struttura delle rivoluzioni scientifiche è un‟allegoria dello spazio mentale

dello scienziato, fornita da un „sismografo delle sollecitazioni culturali‟ all‟inizio degli anni sessanta quale era Kuhn e la sua capacità di cogliere tramite le trasformazioni scientifico-culturali la variazione del modo di vedere le cose. La crisi del paradigma tradizionale e la sostituzione con nuovi paradigmi riconosciuti dalla comunità scientifica potrebbero essere una traccia per descrivere l‟operato di Woods, dove la „composizione‟ viene sostituita da il „sistema‟. Al tempo stesso Woods riferisce le ragioni della crisi della „disciplina normale‟ alla rivoluzione compiuta nel mondo della scienza nell‟intendere la continuità tra spazio e tempo in seguito alla teoria della relatività, quindi al modello per eccellenza del cambio di paradigma.

Si associa la strategia di Kuhn all‟Habitat della BFU, oltre che per la condivisione della condizione di discontinuità che Woods rivendicava all‟architettura e che Kuhn riconosce nella mutazione dei paradigmi, anche per l‟interesse alla descrizione dei luoghi mentali che suggeriscono alcune affinità funzionali e ambientali. Questa sensazione di “essere trasportati in un altro pianeta”236 non è molto distante dall‟effetto di spaesamento che la continuità spaziale nel pieno svolgimento del tipo a matrice può suscitare. Il tentativo di descrivere la situazione all‟uscita del Rostlaube, nello spazio

che avrebbe dovuto rappresentare il cuore della comunità, la sensazione di

235 Thomas S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1978, pag. 139 (prima ed. University of Chicago, Chicago 1962). 236 Questa suggestione di Kuhn „di stare in un altro pianeta‟ ci rinvia a un‟altra questione molto distante dal rigore scientifico, iniziata a intervenire in quegli anni nell‟immaginario collettivo soprattutto in seguito alle fiction di carattere apocalittico che presentavano la necessità dell‟uomo di colonizzare altri mondi; per quanto estranea all‟intenzione di Woods, e invece usata all‟eccesso dagli utopisti degli anni settanta, questa suggestione della necessità di insediarsi con un sistema autosufficiente in un luogo „altro‟ non è estranea al modo in cui oggi vediamo la BFU

una conclusione anticipata contiene al tempo stesso il segnale di persistenza del sistema ambientale inizialmente avvertibile.

I dieci punti per sostenere il sistema insediativo per la BFU

possiedono la didascalicità della dimostrazione di un teorema. Il punto di partenza, una grande freccia, segnala la direzione di movimento del ragionamento e rinvia i principi astratti. Il primo schema illustra il reticolo delle informazioni che si intrecciano tra settori specifici e definiscono “The idea of university: the need for and exchange of general and special information”237; i punti successivi analizzano le esigenze dell‟individuo e del gruppo, altri in parte sono già stati esposti, il sesto punto presentando uno schema a spirale con quattro figure all‟estremità rappresenta la dissociazione contrapposta all‟associazione rappresentata dallo schema planimetrico del reticolo omogeneo dei percorsi della BFU nello schema successivo. Questi due punti, i numeri sei e sette, rappresentano le scelte definite a cui Woods si riferisce per radicare il suo intervento; la presentazione dell‟opzione associativa si conclude nel punto dieci con il telaio dei percorsi popolato da gruppi di cerchi quadrati e croci disposti lungo le Strasse e linee-individui che si spingono verso le parti interne con una distribuzione capillare verso gli spazi individuali .

Tra l‟elenco dei dieci punti e la sintesi operata nelle tavole di

concorso vi è una differenza sostanziale, non tanto nei contenuti quanto nella sintassi, nella relazione tra i disegni che compaiono abbinati in due serie di due coppie. La prima serie comprende le due coppie groundscraper-skyscraper che rappresentano le relazioni verticali combinate con la seconda coppia association-dissociation che indica le

conseguenze in pianta della disposizione delle attività in orizzontale piuttosto che in verticale. La seconda serie è ancora più interconnessa tra le due coppie, ancora la sottrazione dell‟ala del Campidoglio viene confrontata con la sottrazione di una medesima superficie in un sistema continuo dove immediatamente si rileva che nella soluzione le conseguenze non modificano il funzionamento e l‟equilibrio del sistema. Dallo schema delle motivazioni combinato a coppie si riconosce che il punto di partenza è l‟organizzazione orizzontale guidata da una scelta

237 Free University, Berlin, in “World Architecture 2”, op.cit., pagg. 116-117.

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operata riferendosi alla sezione verticale238 che porta le sue più immediate conseguenze nel rifiuto di un‟organizzazione per volumi distinti che viene definita con il termine dissociation. La dissociazione viene individuata con

un breve testo: “The external expression of differences in function and nostalgia for representative form also tend to segregate the university into specialized disciplines only”239. E fornisce il termine di contrasto per esprimere il tentativo di determinare una desiderabile interrelazione tra gruppi e individuo e trova nelle forme rappresentative, leggi l‟architettura, il limite nelle possibilità d‟integrazione. Ecco Woods torna per nostalgia alla forma architettonica, escludendola. Confronto

2.04.03

All‟inizio di questa ricerca, nella selezione dei temi di studio, la possibilità di riconoscere tra l‟atteggiamento progettuale „critico-dialettico‟ di van Eyck e quello „progressista-dogmatico‟ di Woods una consonanza tra le discussioni epistemologiche che coinvolgevano Popper e Kuhn sembrava un‟opportunità proficua di ricerca sul piano metodologico. Il confronto tra due edifici, l‟Orphanage e la BFU, riferito alla serie parallela Popper e Kuhn (e non di certo quello „tra‟ loro) in particolar modo come emerge negli atti del convegno del 1965 “Criticism and Growth of Knowledge”240 rappresentava una possibile risorsa da trasferire all‟analisi dei procedimenti progettuali. La distanza tra i differenti campi disciplinari, le scienze e l‟architettura, consentiva di invadere il campo epistemologico per raccogliere solo gli elementi utili alla differenziazione degli atteggiamenti progettuali, scontando i pericoli più evidenti del dilettantismo, proprio degli interessi extra-disciplinari. Lo sviluppo della ricerca ha poi messo in evidenza come l‟influenza dell‟attività scientifica e in particolar modo le geometrie non-euclidee e la teoria generale della relatività avessero inciso nella percezione del rapporto spazio-tempo sia di van Eyck che in particolar modo di Woods. Questo ulteriore elemento di riduzione del rapporto di somiglianza richiede un‟avvertenza, poiché si crea un livello di difficoltà superiore a quello previsto, in quanto restringe di fatto lo spazio

238 Non ci si deve sorprendere allora se si trova che lo strumento principale dell‟Orphanage è la pianta e che il principio della BFU è sostenuto dalla concezione dell‟organizzazione spaziale scaturito dalla sezione verticale. 239 I Free University, Berlin, in “World Architecture 2”, op.cit., pagg. 116-117. 240 Imre Lakatos e Alan Musgrave (a cura di), Critica e crescita della conoscenza, Feltrinelli Editore, Milano 1984 (atti di una serie di convegni tenuti fino al 1965).

dell‟analogia, così da dover verificare le conseguenze reciprocamente e verificare le posizioni in entrambe le direzioni. Per esempio l‟affinità „rivoluzionaria‟ di Kuhn con quella di Woods e di altri artisti e architetti in quello specifico momento storico potrebbe accentuare le critiche di „relativismo storico‟ emerse nei confronti di Kuhn. Al tempo stesso il relativismo di van Eyck non troverebbe comprensione alcuna nella dottrina di Popper. Questa ulteriore operazione imprevista, di verificare le posizioni rispetto il modo in cui influisce la consapevolezza dell‟avanzamento delle scoperte scientifiche, può essere discussa, e in parte si è già provato, riflettendo attorno all‟idea di progresso e della dimensione spazio-tempo. Le aspettative della ricerca quindi vengono contenute nella sola evidenziazione del rapporto del metodo per prova ed errore riferito al processo compositivo di van Eyck e della natura e necessità delle rivoluzioni riferibili a Woods.

Avendo preso le distanze dalle possibili compromissioni possiamo avanzare l‟analogia riferita a Kuhn via Woods della composizione architettonica paragonata alla „scienza normale‟, che tramite l‟intervento dal mondo scientifico di una diversa percezione del rapporto tra spazio-tempo e sulla base dell‟ordine dei problemi insediativi viene superata da un nuovo paradigma. Questo lo scenario di Woods; la risposta di Popper è pronta nel rifiutare la delimitazione dello scienziato normale che risponde esclusivamente alla soluzione di rompicapo. “Lo scienziato „normale‟, secondo me ha avuto una cattiva istruzione. Io credo, che tutto l‟insegnamento dovrebbe essere esercizio e incoraggiamento al pensiero critico. Lo scienziato „normale‟ come è descritto da Kuhn, è stato male istruito. È stato educato in uno spirito dogmatico: è una vittima dell‟indottrinamento. Ha appreso una tecnica che può essere applicata senza chiedersene il perché.”241 Popper agisce verso Kuhn mettendo in crisi le basi dedotte dalla psicologia e sociologia su cui Kuhn argomenta i comportamenti collettivi delle comunità scientifiche ed esorta a mettere in gioco se stessi e non le regole del gioco. L‟equilibrio tra dogmatismo e critica è per Popper necessario “se ci arrendiamo troppo facilmente alla critica non troveremo mai dove sta il reale potere delle nostre teorie”, il momento della critica in Kuhn si svolge non in modo continuativo ma nell‟occasione, nella durata della crisi tra differenti paradigmi. Nello studio dei procedimenti progettuali in esame questa differente disposizione del

241 Karl Popper, La scienza normale e i suoi pericoli, in Critica e crescita della conoscenza, op.cit., pag. 123.

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momento critico, come operazione continua nello svolgersi della composizione dell‟Orphanage, o propedeutica allo svolgimento progettuale nella BFU si ritiene sia ampliamente emersa.

Il ricorso all‟analogia con questo dibattito epistemologico conteneva

anche l‟inconfessabile desiderio di trovare un indizio per l‟integrazione tra le due posizioni, anche partendo dalla constatazione e dall‟utilità di definire le differenze tra i procedimenti. Per quanto nel mondo dell‟epistemologia le due posizioni emerse nel dibattito Critica e crescita della conoscenza prendano forza dalla loro differenza, nel mondo dell‟architettura avvertiamo un alternarsi di posizioni che si inseguono nel riconoscere l‟opportunità connessa ai sistemi insediativi a sviluppo verticale e orizzontale senza per questo, ora, non più indagare né tantomeno credere di poter dimostrare quale sia la soluzione. L‟analogia tra il procedimento per prova ed errore di Popper e il processo compositivo di van Eyck contrapposta al sistema di Woods inteso come paradigma costituisce una possibile traccia di lavoro. Queste considerazioni possono in primo luogo aiutare a riconoscere che le differenze operative nei procedimenti erano conseguenza o quantomeno sono confrontabili con una specifica posizione in una cornice più ampia. Rivolgersi ai procedimenti progettuali non consiste tanto nel supporre un‟eventuale scelta di campo tra Kuhn o Popper degli autori242, anzi è un modo per allargare tramite omologie strutturali il fare dell‟architettura con altre discipline, per trovare un punto di tangenza. La consapevolezza sulle questioni metodologiche, rispetto ad altre discipline era comunque una questione rilevante e discussa, basti ricordare il saggio di Gropius Esiste una scienza della composizione? e le coeve esperienze sempre a Harvard di Chermayeff che lavorano nella direzione convergente con altre discipline scientifiche. Trattando dei procedimenti si imposta la questione in termini di percorsi paralleli.

Quanto la scelta di campo sulle questioni metodologiche fosse

rilevante viene evidenziato in un saggio di Arthur Glickson che prendendo le distanze dalla enfatizzazione delle possibilità tecnologiche segna una direzione nella ricerca progettuale, rivolta alla creazione di un „nuovo‟ ambiente umano, e vede nell‟Orphanage uno dei primi semi di questa nuova possibilità; egli, sempre riferendosi all‟Orphanage, affronta la rilevanza della questione metodologica: “The trial and error methods

242 Il fatto che il principale lavoro di Kuhn esca nel 1962 può divenire un modo per interpretare comunque tali istanze come emergenze di un dato momento storico.

generally lead to a better environmental configuration than preconceived comprehensive planning”243. Quindi l‟evidente consapevolezza di quanto un metodo specifico incida sul prodotto.

La falsa analogia tra albero e città è intervenuta in modo risolutivo

in van Eyck a sostenere due serie parallele casa-città e albero-foglia e a tenere le due serie separate ci porta a considerare le profonde differenze che intervengono nei due domini disciplinari tra il nostro caso specifico e il dibattito in epistemologia e la necessità di scelta tra teorie contrapposte che costituisce uno dei punti di contatto più evidenti tra Popper e Kuhn. Infatti, in architettura, la coesistenza di teorie contrapposte non preclude l‟avanzamento della conoscenza, ma la stessa contiguità ne costituisce l‟energia vitale. Un esempio evidente si trova se si torna sul libro da cui abbiamo mosso i primi passi di questa ricerca, considerando la proposta della città verde di Le Corbusier, esposta ne I tre insediamenti umani.

Mettere a confronto il disegno di Le Corbusier con il paragone proposto tra il villaggio verticale e le corrispondenti quantità edilizie, disegnate alla medesima scala, di un insediamento riferito al tipo edilizio della casa isolata è parallelo alla dimostrazione che Candilis e Woods elaborano, come dimostrazione del principio insediativo orizzontale con la contrapposizione tra groundscraper e skyscraper. Le due ipotesi che

giungono a dimostrare soluzioni insediative opposte sono evidentemente dovute a diverse esigenze funzionali nel definire il rapporto tra individuale e collettivo: la residenza da una parte e la grande attrezzatura culturale dall‟altra. Ciò che si riconosce costante è il metodo, la contrapposizione dei due tipi insediativi; per quanto possano incidere i requisiti funzionali, esprime un modo di „abitare‟ diametrale, ma entrambi possono coesistere, condizione che non si può avere per una teoria scientif ica all‟interno della medesima equipe e con certezza Le Corbusier, Candilis e Woods costituivano, evidentemente con diversi ruoli, quella che possiamo definire un‟equipe che condivide dei principi e di cui si distingue la loro continuità nel metodo.

Ecco allora l‟utilità di verificare le oscillazioni di metodo negli

interventi qualificati da un medesimo tipo insediativo. Un metodo progettuale con caratteri affini viene riconosciuto nella differente applicazione tra due tipi insediativi diversi, così l‟applicazione sul medesimo tipo consente di individuare con evidenza le differenze nel modo

243 Arthur Glikson, Humanisation du milieu, in “Le carré bleu”, n. 4, 1963.

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di condurre un procedimento progettuale. La combinazione delle due serie poi ci mostra anche come variano gli strumenti dell‟architetto, la pianta e la sezione. Dove l‟Orphanage non lascia alcun dubbio sul piano orizzontale come generatore del progetto, la BFU trova, anche grazie al confronto con l‟Unité, le motivazioni nella sezione verticale per verificare le potenzialità di trasformazione del sistema.