Seneca La saggezza dell’uomo e l’orrore del mondo · 2018-04-13 · e l’orrore del mondo. ......

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Collana di autori e testi latini Exemplaria Giulia Colomba Sannia S190 ® Seneca La saggezza dell’uomo e l’orrore del mondo

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Collana di autori e testi latini

Exemplaria

Giulia Colomba Sannia S190

®

Seneca

La saggezza dell’uomoe l’orrore del mondo

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Collana di autori e testi latini

Exemplaria

Giulia Colomba Sannia

®

Seneca

La saggezza dell’uomoe l’orrore del mondo

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A Renato,che conoscela saggezza

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Prima edizione: febbraio 2006S190ISBN 88-244-7985-5

Ristampe8 7 6 5 4 3 2 1 2006 2007 2008 2009

Questo volume è stato stampato pressoArti Grafiche Italo CerniaVia Capri, n. 67 - Casoria (NA)

Coordinamento redazionale: Grazia Sammartino

Grafica e copertina:

Impaginazione: Grafica Elettronica

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PremessaIn un bell’articolo del 1983, intitolato Il Latino che serve, attualissimo nella disarmante sinceritàcon cui è scritto, lo scrittore Luigi Compagnone affermava: «Io ho amato e amo il Latino…Seho amato e amo il Latino non è per merito mio. Il merito è della fortuna che come primoinsegnante di materie letterarie mi dette un professore che si chiamava Raffaele Martini… Lasua lezione era un colloquio vivo, un modo chiaro e aperto di farci capire il Latino che pernoi non fu mai una lingua morta. Perché lui sapeva rendere vivo tutto il vivo che è nel Latino.E nessuno non può non amare le cose vive che recarono luce alla sua adolescenza […]. Inuna società in cui le parole di maggior consumo sono immediatezza, praticità, concretezza,utilitarismo, la caratteristica del Latino è costituita dal “non servire” a nessunissima applica-zione immediata, pratica, concreta, utilitaria… [Il Latino] fa intravedere che al di là dellenozioni utili c’è il mondo delle idee e delle immagini. Fa intuire che al di là della tecnicae della scienza applicata, c’è la sapienza che conta molto di più perché insegna l’armonia delvivere e del morire. È una disciplina dell’intelligenza, che direttamente non serve a nulla, maaiuta a capire tutte le cose che servono e a dominarle e a non lasciarsi mai asservire ad esse[…]. La disgrazia più inqualificabile [per gli studenti] è essere stati inclusi negli studi classicisenza averne tratto nessun vantaggio intellettuale, la vera disgrazia è aver fatto gli studiclassici ritenendoli e mal sopportandoli come il più grave dei pesi… [perché] al tempo dellascuola tutto si è odiato, […] tutto è stato condanna e sbadiglio».Come dare, dunque, ai ragazzi un Latino che serve ed evitare che il suo studio sia noiae peso, un esercizio poco proficuo, un bagaglio di conoscenze sterili, di cui liberarsi presto,non appena si lascia la scuola, se non addirittura, subito dopo la valutazione?C’è una sola via che conduce all’amore per il Latino e quella via è costituita dalla letturadei testi in lingua originale, ma di quei testi che nei secoli hanno resistito alla selezionee in tutte le epoche sono apparsi imprescindibili. Non possiamo illuderci che la biografiadi un autore, un contesto storico, una pagina critica, un frammento di Nevio, un brano diAmmiano Marcellino possano avere lo stesso valore e la stessa funzione di una pagina diLucrezio o di Tacito, di Catullo o di Cicerone. Quella sapienza che insegna l’armonia delvivere e del morire, la quale costituisce il portato più alto della cultura classica, passad’obbligo attraverso la lettura di testi di altissima qualità. È la lingua latina, con laperfezione geometrica della sua struttura, con l’armonia delle sue assonanze, con laraffinatezza dei suoi accorgimenti retorici, a comunicare emozione e rigore logico, sensodel bello e razionalità, accendendo l’interesse dell’adolescente posto di fronte ai grandiinterrogativi della vita.Aver studiato il Latino, significherà, perciò, per i ragazzi, non tanto aver imparato labiografia di Cicerone o di Plauto o di Ovidio, o il contesto storico in cui essi hanno vissuto,ma aver meditato sulle loro parole. In tutte le epoche le loro opere sono state lette e rilette,

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6 Premessa

ricercate dagli umanisti in tutte le biblioteche d’Europa, riportate all’esatta lectio filologica,preservate dall’oblio dai monaci medioevali perché ricopiate con amore.Ci sono saperi che soltanto la scuola può dare, chiavi di lettura che solo da adolescentisi ricevono e che, una volta perduti o ignorati, non si recupereranno mai più. Uno studente,che non abbia letto nella lingua originale Virgilio o Lucrezio o Agostino o Tacito (comese non avrà letto Dante, Boccaccio e Ariosto), che non abbia acquisito sensibilità di lettoreattraverso la consuetudine con le analisi testuali, mai più potrà provare il brivido diemozione che la parola poetica comunica. Forse nel tempo, se e quando un’arricchitasensibilità adulta gli farà avvertire il bisogno di tornare al passato, ricercherà in traduzioneitaliana qualche autore particolarmente amato, come Seneca o Catullo. Ma, perché simanifesti questo desiderio, la scuola dovrà aver trasmesso almeno il senso dello studio dellatino, focalizzando l’attenzione su quello che è grande ed essenziale, evitando di fardisperdere energie ed interesse sull’inutile.Ci piace citare, a sostegno di quanto si è detto, le parole di Nuccio Ordine.Nel Convegno tenutosi a Roma dal 17 al 19 marzo 2005 sul tema «Il liceo per l’Europa dellaconoscenza», promosso da EWHUM (European Humanism in the World), Nuccio Ordine hausato parole che confermano, senza saperlo, quanto andiamo sostenendo da anni sulladidattica del Latino e che sentiamo il dovere di riportare per la profondità e la chiarezza delpensiero espresso:«Conoscere significa “imparare con il cuore”. E ha ragione Steiner a ricordarci che […]presuppone un coinvolgimento molto forte della nostra interiorità. In assenza del testo,nessuna pagina critica potrà suscitarci quell’emozione necessaria che solo può scaturiredall’incontro diretto con l’opera. […]. Nel Rinascimento (i professori) si chiamavano “lettori”,[…] perché il loro compito era soprattutto quello di leggere e spiegare i classici. […] Chiricorderà a professori e studenti che la conoscenza va perseguita di per sé, in maniera gratuitae indipendentemente da illusori profitti? Che qualsiasi atto cognitivo presuppone uno sforzoe proprio questo sforzo che compiamo è il prezzo da pagare per il diritto alla parola? Chesenza i classici sarà difficile rispondere ai grandi interrogativi che danno senso alla vitaumana? […]. Non è improbabile che le stesse biblioteche – quei grandi “granai pubblici”, comericordava l’Adriano della Yourcenar, in grado di “ammassare riserve contro un inverno dellospirito che da molti indizi mio malgrado vedo venire”, – finiranno a poco a poco, pertrasformarsi in polverosi musei. E lungo questa strada in discesa, chi sarà più in grado diaccogliere l’invito di Rilke a “sentire le cose cantare, nella speranza di non farle diventarerigide e mute”? “Io temo tanto la parola degli uomini./Dicono sempre tutto così chiaro:/ questosi chiama cane e quello casa,/ e qui è l’inizio e là è la fine/ […] Vorrei ammonirli: statelontani./ A me piace sentire le cose cantare./Voi le toccate: diventano rigide e mute./ Voi miuccidete le cose”».

Sulla base di questi presupposti teorici nasce l’antologia latina in fascicoli della collanaExemplaria che comprende autori e temi di tutta la letteratura latina. Ogni singolo volumecostituisce l’ossatura della storia letteraria e al tempo stesso una sorta di passaggio obbligatodella cultura, perché tutta la letteratura posteriore e tutta la cultura occidentale hanno avutocome fermo punto di riferimento questi autori. Ed essi sono diventati exemplaria appunto(da cui il titolo della collana), perché modelli da accettare o rifiutare, ma comunque coni quali necessariamente confrontarsi per capire il presente.La scelta dei testi è stata guidata, quindi, dall’esigenza di focalizzare l’attenzione deglistudenti sia sulla personalità dell’autore, sulla sua poetica, sul genere letterario privilegiato

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7Premessa

e sia, soprattutto, dal desiderio di suscitare l’amore per una lettura che aiuti a capire sestessi e la vita.È importante capire bene la struttura dei volumetti per poterla utilizzare al meglio. Ogniautore è introdotto dal paragrafo Perché leggerlo?, che consiste nella spiegazione, insintesi, delle qualità per le quali quell’autore è diventato famoso e merita lo studio.La vita e il contenuto delle opere hanno, poi, un piccolo spazio in quanto sono solofunzionali alla migliore ricezione dei testi. Non manca un paragrafo sul genere di appar-tenenza o sul tema topico relativo.Ogni singolo brano quindi è introdotto da una presentazione più o meno breve, perfornire immediatamente agli studenti le informazioni sul contenuto, seguito dalle note altesto, che propongono sempre la traduzione e commenti di carattere morfosintattico,mitologico e storico-culturale, e dall’analisi testuale che permette di cogliere il messaggiopoetico dell’autore, attraverso le strutture formali, stilistiche e letterarie, sia in rapporto aigeneri che alle connessioni intertestuali e intersegniche.A conclusione di ogni percorso didattico i Laboratori prevedono prove di verifica delleabilità e delle competenze acquisite sul modello della tipologia A (Analisi testuale) dellaprima prova (italiano) all’Esame di Stato, con la scansione consueta del Ministero, incomprensione, analisi, approfondimento. Poiché si tratta di lingua latina, l’analisi si dividein analisi morfosintattica sulle concordanze, sui casi ecc. e analisi semantica, sullo stilee sul linguaggio. L’approfondimento, talvolta, fa riferimento anche alla tipologia B o Ddell’Esame di Stato (saggio breve o trattazione generale). Lo scopo è stato quello di abituaregli studenti a un metodo che sappia distinguere le fasi del lavoro: comprendere, analizzare,sintetizzare, approfondire ecc. Non si è voluto rinunciare a momenti di creatività: si vedanogli esercizi “dare un titolo”, o “creare uno schema”, i confronti “intersegnici” ecc. Questotipo di esercizi nella prassi didattica si è sempre rilevato molto gradito agli studenti eutilissimo a stimolare la loro capacità di osservazione e la loro creatività.

Una coppa circondata da una coroncina di alloro contraddistingue alcuni testi e

prove di verifica di particolare complessità, che possono essere riservati a quegli alunni chemostrano il desiderio di approfondire o ampliare lo studio dell’argomento e voglianoperseguire l’eccellenza.Non mancano le Pagine critiche che offrono le interpretazioni di noti studiosi su aspettie tematiche riguardanti l’autore e la sua opera.I brani antologici sono accompagnati talvolta dai confronti intertestuali e intersegnici e dallarubrica Incontro tra autori in cui si confrontano due autori su differenti versioni di unmito o differenti interpretazioni di un personaggio storico. Personaggi storici, come Cesare,Bruto, Catilina, o mitici, come Orfeo, Medea, Cassandra, tanto per fare solo qualche nomemolto noto, oppure alcuni episodi famosi, ritornano nelle opere di autori diversi ed ogniautore li “legge” differentemente, secondo la sua sensibilità e il suo intento poetico. Il titolodella rubrica richiama una terminologia che si dice ucronica, da oúk + krónos («senzatempo»), cioè come se essi potessero, per assurdo, incontrarsi al di là delle loro epochestoriche e del contesto in cui vissero, per esprimere ciascuno di loro, nell’opera letteraria,il proprio pensiero sullo stesso tema.Chiude ogni singolo fascicolo il Vocabolario dei termini tecnici.

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IndicePremessa p. 5

Introduzione » 12

Il pensiero filosofico1. Perché leggerlo? » 142. Il genere letterario di appartenenza: il testo filosofico » 153. La vita » 16

T1 De brevitate vitae I, 1-4: La vita non è breve » 18Incontro tra autori: Orazio e Seneca: La fugacità del tempo (Ode I, 9; Ode I, 11) » 21Pagine critiche: Il tempo e la saggezza (A. Traina) » 26

Il tempo: un tema topico (a cura dell’autrice) » 27T2 Epistula ad Lucilium 41, 1-8: Il divino è in noi » 28Incontro tra autori: Dante, Borges e Seneca: L’incontro con Dio (Paradiso 33; Aleph) » 33T3 Epistula ad Lucilium 47, 1-5, 10-11: Gli schiavi sono uomini » 40C1 Confronto intertestuale tra Epistula ad Lucilium 47 e Satyricon, 71, 1-3, di

Petronio: Gli schiavi » 44C2 Confronto intertestuale tra Epistula ad Lucilium 51 e testimonianze letterarie

su Baia: Un luogo corrotto » 46Pagine critiche: Baia (A. Maiuri) » 50T4 Epistula ad Lucilium 59, 14-18: Solo il saggio è felice » 52Incontro tra autori: Lucrezio e Seneca: La felicità (De rerum natura II, 1-61) » 54C3 Confronto intertestuale tra Epistula ad Lucilium 59 e Zibaldone, 165-166,

di Giacomo Leopardi: Che cosa rende felici » 58T5 Epistula ad Lucilium 95, 51-53: La fratellanza » 59T6 De vita beata XVI, 1-3: La felicità » 62Incontro tra autori: Bufalino e Seneca: La felicità (Argo il cieco) » 65Pagine critiche: La felicità (a cura dell’autrice) » 66

Laboratorio » 68Prova di verifica 1 - Confronto intertestuale: La fratellanza in Seneca e in Giacomo Leopardi » 68Prova di verifica 2 - Epistula ad Lucilium I, 7, 1-3 » 69Prova di verifica 3 - Epistula ad Lucilium XLIX, 2-5 » 70Prova di verifica 4 - Epistula ad Lucilium XIV, 95, 47-49 » 72Prova di verifica 5 - Naturales questiones VI, 32, 9-10 » 73Prova di verifica 6 - Confronto intertestuale: Scienza e superstizione in Seneca e in Bayle » 74

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Prova di verifica 7 - Confronto intersegnico tra: Opere ed erma di Seneca e scultura di

Augusto p. 76Prova di verifica 8 - Confronto intertestuale: Opere di Seneca e Costantino Kavafis

“Un vecchio” » 78

Il teatro tragico1. Perché leggerlo? » 802. Il genere letterario di appartenenza: la tragedia » 80T1 Medea V, sc. 2ª e 3ª, 893-1027: L’infanticidio » 82Incontro tra autori: Christa Wolf e Seneca: L’infanticidio di Medea (Medea, Stimmen) » 87T2 Thyestes V, sc. 3ª, 976-1009: Il banchetto » 91Pagine critiche: Il perfetto equilibrio tra i due protagonisti del Tieste (A. La Penna) » 95

La tendenza all’eccesso del teatro senecano (E. Paratore) » 96Un giudizio positivo sul teatro senecano (V. Faggi) » 98

Laboratorio » 100Prova di verifica 1 - Confronto intertestuale: Tieste in Seneca e in Ludovico Dolce » 100Prova di verifica 2 - Phaedra, 592-612, 634-71 » 102

Metrica » 108

Vocabolario dei termini tecnici » 112

Legenda:

T = testo con analisiC = confronto intertestuale o intersegnico

= testi o verifiche di particolare complessità per l’eccellenza

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Seneca:• Il pensiero filosofico

•Il teatro tragico

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12 La saggezza dell’uomo, l ’orrore del mondo

La saggezza dell’uomo,l’orrore del mondoIntroduzione

Ma come è possibile – a volte ci si chiede, sgomenti – che nel mondo ci sia tanto orrore?Come è possibile conciliare la grandezza dello spirito umano che sa creare e dominare ilmondo, che sa tendere al divino, che sa nutrire pensieri saggi e nobili, che sa amare esoffrire, sognare e gioire, con l’abiezione repellente che si annida nella mente dell’uomoe genera mostruosità quotidiane?Se lo deve essere chiesto forse anche Seneca. Non sono soltanto le sue opere a dircelocon chiarezza. È il suo ritratto conservato al Museo Nazionale di Napoli, qui proposto nellogo, che sembra racchiudere questo interrogativo, attraverso l’angoscia degli occhi perdutinel vuoto, la bocca serrata nel silenzio. Una domanda senza risposta. Il saggio stoico,l’affascinante maestro di filosofia, l’ultimo grande scrittore di humanitas, che ha credutonella natura “divina” dell’uomo, deve, poi, avere avvertito il brivido della consapevolezza,quando ha capito che un’anima grande non basta a salvarsi e non basta a salvare gli altrimentre resta fisso il tormento di assistere al male che dilaga quotidiano. Sempre, duemilaanni fa, come oggi. Dice Georges Bataille, nel famoso saggio La letteratura e il male: «IlMale che si esprime [nella letteratura] ha per noi […] valore sovrano. Tuttavia questaconcezione non esige un’assenza di morale: essa esige piuttosto una “ipermorale”. Questaipermorale attraversa le opere di Seneca. Quanto più intorno a sé giganteggia il demoniaco,tanto più dentro di sé si deve nutrire il divino».Non ci sono, quindi, vie di mezzo, per Seneca: o ci si eleva verso l’ideale severo dellostoicismo e si impara a vivere e morire, o ci si degrada nella depravazione miserabile.Questa creatura, sublime e miserabile insieme, che è l’uomo, che può scegliere, libero esovrano di se stesso, come dirà mille e quattrocento anni dopo Pico della Mirandola, diessere angelo o demone, abita tutte le pagine di Seneca.Noi leggiamo le sue opere filosofiche e restiamo incantati di fronte alle sue paroleilluminate: vi troviamo messaggi di serenità, di equilibrio, di pace. È il trionfo della ragione.Poi leggiamo le sue tragedie e ci sentiamo inorridire di fronte alla crudeltà che si asserpanell’animo nei personaggi e si traduce in gesti, che – bisogna purtroppo ammetterlo – ogginon ci sembrano né assurdi, né irreali, perché vi ci siamo assuefatti, abituati dalla cronacaquotidiana a rivederli e risentirli ripetuti ancora, ancora, senza spiegazione. Ed è il trionfodell’irrazionale mostruoso.Troviamo, dunque, da un lato, il sapiente dall’intensa spiritualità che ci insegna a vivere,che ci aiuta a non sprecare il tempo, ci invita ad arricchire l’anima di sentimenti elevati,ad affinare la nostra sensibilità, per renderla sempre più profonda, a correggere i vizi, atendere instancabilmente verso il bene, credendo nella natura fondamentalmente buonadell’uomo. Ci dice parole di conforto e di speranza, di pace e di amore, nobilissime parolelaiche, quasi precristiane.

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13La saggezza dell’uomo, l ’orrore del mondo

• Introduzione

Poi, dall’altro lato, nelle sue tragedie, troviamo anche, – passi l’ossimoro, – «un’umanitàdisumana» che si perde nella vertigine del male, che si fa trascinare verso azioni mostruose,quasi sempre dirette verso i più deboli, entra nella spirale della perversione che nonconosce limiti. Dalle opere filosofiche alle tragedie, il passaggio assume un significatoemblematico: è la disperante consapevolezza che, talvolta, non ci sono argini che freninoil male, non soccorrono né sapienza, né cultura, né intelligenza, per evitare di perdersi.Così, sono i grandi personaggi della tragedia greca che diventano icone del male, spintiall’estremo da un’infelicità che non conosce altro desiderio se non quello che nascedall’ossessione di ricambiare, in forma morbosamente esasperata, il male ricevuto. Si diceche ogni scrittore scriva una sola opera, anche quando la sua produzione letteraria ècospicua, per intendere che sempre unico è il suo messaggio anche nella varietà degliargomento o dello stile. Per Seneca, invece, sembra quasi di assistere allo sdoppiamentodell’autore tra opere filosofiche e teatro.Eppure, se ci riflettiamo a fondo, le due produzioni si saldano perfettamente. Se, infatti,Medea, Fedra, Tieste, Atreo, Edipo, ci mostrano che la saggezza del singolo si perde nelloscenario degli orrori, noi, proprio di fronte alle loro azioni, riusciamo, comunque, a conser-vare nel cuore la grandezza del messaggio filosofico delle Lettere a Lucilio e degli altri suoitrattati. Ci sembra allora di poter ricordare sempre non le parole di odio dei personaggitragici, ma le parole del saggio che ci dice: «non sprecare la vita, la vita è lunga per chi sausarla bene, l’amore dà significato al vivere, fermati, riposa, medita, non correre, nonaffrettarti ingiustificatamente, sappi scendere nel fondo del tuo cuore e di quello di chi ti stavicino». L’individuo, per Seneca, può e deve coltivare sempre la sua dignità, rispondendodelle sue azioni non alla società, ma alla sua coscienza. Bisognerà aspettare il cristianesimoper poter saldare il destino di salvezza del singolo con quello dell’umanità tutta.

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14 La saggezza dell’uomo, l ’orrore del mondo

La saggezza dell’uomo, l’orrore del mondo

Il pensiero filosofico1. Perché leggerlo?

Seneca era così affascinante, – narra Svetonio (53) –, da provocare la rabbia e l’invidia di Caligola.Oggi, noi ritroviamo quel fascino straordinario nelle sue opere. Si dice, infatti, che Seneca hainventato «la scrittura dell’interiorità». È per questo motivo che la sua vastissima produzioneletteraria, specie quella filosofica, di stampo stoico (Epistulae ad Lucilium, De brevitate vitae, Devita beata, De ira ecc.), si presenta al lettore moderno ricca di grande suggestione. Egli si ponel’obiettivo di insegnare a vivere in modo sapiente e nobile: scava, allora, nell’animo umano, nestudia il mistero, si chiede le ragioni dei comportamenti, le radici delle scelte, l’origine del diffusomale di vivere e dell’imperdonabile spreco del tempo. Il lettore si ritrova sempre in quello cheSeneca scrive: scopre, guidato da lui, le pieghe più segrete della coscienza, i suoi lati più oscuri,la vergogna delle proprie miserie, gli errori di una condotta non governata dalla sapientia. Masente anche, nella parola illuminata del filosofo, la fiducia nella possibilità, data ad ogni indivi-duo, di elevarsi dalle meschinità e di correggere i propri vizi, per potersi protendere verso queldestino di perfezione a cui sa di essere chiamato. E non importa se i critici hanno rimarcato lacontraddizione tra il modo di vivere dello scrittore, non sempre così nobile, e la nobiltà assolutadel suo messaggio.La profondità morale dell’indagine psicologica, che emerge dalle sue opere, è tale che fu addi-rittura ipotizzato un suo contatto, attraverso S. Paolo, con il cristianesimo, la religione cheinsegnerà a guardare nelle coscienze. Ma Seneca, nella intensa spiritualità delle sue parole, restacomunque uno spirito laico, che crede nella grandezza del singolo e nella sua capacità di salvarsi,come uomo, da solo, senza l’aiuto di nessun dio. Non a caso egli crede nell’otium, nella quietameditazione filosofica, come strumento di perfezione interiore. Anche Seneca, come Cicerone,perciò, insegna a vivere e, direbbe lui, soprattutto insegna a morire: tota vita discitur mori, «pertutta la vita si impara a morire», come egli stesso dimostrò quando gli fu imposto da Nerone ilsuicidio.Saper vivere e saper morire significa, pertanto, accettare il proprio destino e conservare appieno lapropria dignità. Un pensiero il suo, quindi, legato all’humanitas ciceroniana, ma ancora più inten-samente elevato, perché, accanto alla dignità dell’individuo, egli pone come valore supremo lafilantropia, un amore universale che – traguardo incredibile per quei tempi – arriva ad estendersiperfino agli schiavi: Servi sunt, immo homines. Basterebbe la complessità delle sue riflessioni a faredi lui un grande scrittore, ma è il suo stile che lo rende così particolare: è uno stile nuovo, comenuovo è il suo pensiero, con un andamento mutevole che mescola concinnitas e variatio, prolissitàe formule epigrafiche, ritmo pausato e velocitas, dando alla pagina un’inconfondibile connotazionedrammatica.

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15La saggezza dell’uomo, l ’orrore del mondo

• Il pensiero filosofico

2. Il genere letterario di appartenenza: il testo filosofico

I testi filosofici latini più interessanti sono quelli di Seneca, di Cicerone e di Quintiliano.

Seneca nelle opere filosofiche non adopera più il dialogo, perché si rivolge direttamente al suodestinatario (Lucilio, Paolino ecc.) il quale, in realtà, rappresenta il lettore ideale, cioè ogni uomo,che egli vuole trascinare, commuovere, coinvolgere, grazie alla passione delle argomentazioni. Èevidente, perciò, la profonda diversità da Cicerone: la filosofia senecana non propone un pacatoragionamento, chiede solo l’ascolto. È la forza della verità che deve travolgere la coscienza; occorreflectere, movere, non più delectare, per docere.Lo stile riflette, in modo vistoso, questa disposizione ideologica e così, ad un procedimento sintatticoampio e sinuoso, subentra, improvviso, spezzando il ritmo del discorso, la sententia, la frasebrevissima, secca come un’epigrafe, balenante come un’illuminazione improvvisa. La paratassi el’asindeto rafforzano questo effetto desultorio dello stile: i connettivi soliti (enim, igitur, et) vengonoeliminati e sostituiti da nessi anaforici (servi sunt, immo homines, immo contubernales ecc.). È comese il linguaggio subisse una sorta di climax per accumulazioni ed aggiunte progressive, finché nongiunge alla forza e all’evidenza della frase conclusiva, che diventa una sorta di aprosdóketon(battuta finale). È chiaro che tutti gli strumenti della retorica, dalla concinnitas alla variatio, dallefigure retoriche alla modulazione fonico-tonale, contribuiscono a creare la particolarità di quellostile affascinante e fratto (abruptum) che Quintiliano (Institutio oratoria II, 7, 10) tanto criticava:rerum pondera minutissimis sententiis…fregisset (aveva spezzato la serietà degli argomenti inbrevissime sentenze).Alcuni critici hanno rilevato come proprio questo stile teso, nervoso, inquieto, rifletta perfettamentel’irrazionalità e le passioni che assalgono ogni uomo, facendogli combattere una dolorosa e tragicalotta interiore. L’uso del lessico, in particolare, così mutevole nell’oscillazione tra l’antico e ilquotidiano, diventa molto significativo per far cogliere questa lacerazione interiore: da un lato, noteespressioni del parlato sono disseminate ampiamente nel testo (per esempio: ita dico, non est quod,quid dicam?), come se quel che si dice fosse diretto all’uomo semplice, dall’altro lato la paronomasia(il gioco di parole), la metafora ardita, la litote, il lessico pregnante e così via, indicano il riflesso diun pensiero alto e nobile, quale quello stoico, non accessibile a tutti. Ognuno, dunque, sembrateoricamente dire il lessico, è chiamato alla grandezza del messaggio, ma, in pratica, l’uomo singolo,nella sua realtà, si rivela debole a perseguirlo.Seneca, così, come scrive Alfonso Traina1, crea il «linguaggio dell’interiorità» attraverso due meta-fore: l’interiorità come possesso e l’interiorità come rifugio.

Cicerone si dedica alle opere filosofiche durante il suo forzato distacco dalla politica, perché cerca,come egli stesso dichiara, nella filosofia quella saggezza, quella «medicina per l’anima», che leamarezze e i dolori di quel periodo gli richiedono. Non gli interessa, perciò, la speculazione filosoficain sé, ma la sua funzione pragmatica di sostegno al vivere quotidiano. È fondamentalmente laconcezione dell’humanitas del Circolo degli Scipioni che Cicerone fa sua e arricchisce di straordi-naria efficacia, ampliandone la portata fino a farla conciliare con l’impegno per lo Stato. La strutturadei testi, pertanto, seguendo la forma dialogica di tipo platonico-aristotelico, in alcune opereprevede il contrasto tra il personaggio principale, che espone la tesi dell’autore, e altri personaggiche esprimono tesi contrarie; in altre, come nelle Tusculanae, il dialogo è limitato a due personaggi:

1 TRAINA A., Lo stile drammatico di Seneca, Patron, Bologna, 1987.

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16 La saggezza dell’uomo, l ’orrore del mondo

• Il pensiero filosofico

l’Auditor, che apprende, ponendo solo poche obiezioni o domande; il Magister, che educa, spiega,illustra la tesi.Lo stile, come egli spiega nel Brutus (322), è ben diverso da quello dell’oratoria, dal momento chelo scopo è solo docere e delectare («insegnare e divertire»), non probare («convincere»). La lingua deifilosofi, dice, neque nervos neque aculeos oratorios ac forenses habet («non ha né la tensione néla forza pungente dell’oratoria») poiché l’intento è quello di «placare gli animi», sedare animos, «noneccitarli», non incitare. Perciò mollis est oratio philosophorum et umbratilis…nihil iratum habet, nihilinvidum, nihil atrox, nihil miserabile, nihil astutum…sermo potius quam oratio dicitur («lo stile deifilosofi è dolce e pacato…non ha nulla di violento, nulla di aggressivo, nulla di terribile, nulla dipatetico, nulla di allusivo, … si può definire colloquio piuttosto che discorso»).Nonostante queste dichiarazioni, il livello stilistico dei testi ciceroniani è molto alto. Il lessico siallarga a comprendere grecismi e neologismi del campo filosofico, come già aveva fatto Lucrezio,ma la vera novità consiste, soprattutto, nell’estensione di significato attribuibile al lessema consue-to: le forme visum-videri, ad esempio, sostituiscono al comune significato di «vedere» quello di«percezione» e «percepire», pensiero, cioè, che nasce dalla «cosa vista».La sintassi, quando è in un contesto esplicativo, per dare chiarezza, è semplice, ricca di coordinate;quando, invece, c’è l’esordio (momento solenne) o qualche digressione topica (ad esempio l’elogiodella filosofia in Tusculanae V, 2, 5), si distende in ampie volute, con prevalenza dell’ipotassi.Così pure, quando deve sostenere una tesi filosofica o confutare quella altrui, Cicerone usa per laprobatio e la refutatio le stesse tecniche argomentative delle orazioni.

Nell’Institutio oratoria Quintiliano si propone di dare precetti pedagogici avendo come modelloideale di oratore il vir bonus dicendi peritus, come diceva Catone, e come modello di stile la scritturaciceroniana. Ma questa venerazione per il grande maestro, nonostante le sue intenzioni, non sitraduce in uno stile identico a quello di Cicerone.La perfetta struttura geometrica creata dalla concinnitas classica spesso si spezza, per dar luogo apiccole coordinate, all’ellissi del verbo, al periodo breve ad effetto, alla costruzione ad sensum, tuttielementi stilistici questi che ricordano lo stile senecano da lui, invece, criticato. L’uso di accorgimentiretorici, come le antitesi e le anafore, gli omoteleuti e i poliptoti, dimostrano una grande cura perla forma, la quale, tuttavia, non diventa artificiosa, pedante, vuota, perché è sempre sorretta da unconvinto e appassionato intento educativo. Egli è, e resta, un maestro che crede nella forza dellasua missione sui giovani e nella possibilità di insegnare loro nel modo migliore. Di qui, perciò, anchel’estrema semplicità e chiarezza delle sue argomentazioni, sorrette dalla sua esperienza e dalla suaserietà di educatore.

3. La vitaComplessa e articolata la vita di Seneca di cuiTacito ci dà notizie molto precise e dettagliate.Lucio Anneo Seneca, figlio di Seneca il retore,nacque il 4 a.C. a Cordoba, in Spagna, e sirecò a Roma per compiere gli studi. Qui co-nobbe le teorie filosofiche della setta dei Sesti,dalle quali apprese uno stile di vita ascetico,l’isolamento dalla vita politica, le pratiche

vegetariane. Già di salute cagionevole, si in-debolì a tal punto che dovette andarsene inEgitto a curarsi.Tornato a Roma negli ultimi anni del governodi Tiberio, si dedicò alla carriera forense, di-venendo così brillante e famoso da suscitarel’invidia di Caligola che non lo mandò a mortesolo perché convinto che la salute cagionevole

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gli avrebbe riservato pochi anni ancora divita.Quando salì al trono Claudio, nel 41, Seneca,fu relegato in Corsica, forse per l’ostilità diMessalina, con l’accusa di adulterio con lasorella di Caligola. Rimase in esilio otto annisoffrendo aspramente il contrasto tra la vitabrillante della capitale e la solitudine selvag-gia in cui si ritrovava. Si dedicò allora allafilosofia stoica che gli insegnava come sop-portare le ferite del destino con la fermezzad’animo e come la forza e la serenità interiorenon dovessero dipendere dal mondo esterno.Tuttavia egli non seppe resistere alla tentazio-ne di umiliarsi pur di ottenere il ritorno aRoma e scrisse la Consolatio ad Polybium incui le adulazioni a Polibio il potente liberto diClaudio e all’imperatore dimostrano, come diceConcetto Marchesi, che «quell’uomo di mon-do, ammirato e invidiato fu preso da cupadisperazione. Là egli solo era lo spettatoreconsapevole della propria rovina […]: e l’ani-ma umana può perdere le sue armi quandonon sia vigilata da occhi mortali» (Storia dellaletteratura latina, vol II, Principato, Messina,1958).Nel 48 Messalina fu uccisa e, l’anno dopo, laseconda moglie di Claudio Agrippina, sorelladi Giulia Livilla, richiamò Seneca a Roma,conferendogli anche il titolo di pretore, comenarra Tacito, sia per affidargli l’educazione delfiglio Claudio Nerone, l’erede al trono, sia peraccattivarsi il pubblico che aveva sempre con-siderato il filosofo l’uomo più affascinante ecolto di Roma. Seneca educò Nerone assecon-dandone le tendenze artistiche e l’indole liberaed eccentrica, nella convinzione che, quandoil giovane discepolo fosse salito al trono, sisarebbe fatto guidare per realizzare il governo“illuminato” e saggio che i filosofi, come Pla-tone prima di lui, credevano possibile.Nel 54 alla morte di Claudio, Nerone avevaappena 17 anni. Seneca e Burro si occuparonoinsieme di guidare il giovanissimo imperatore:Seneca, per quanto riguardava il modello digoverno saggio e clemente simile a quello delprincipato Augusteo, e il prefetto del pretorio

Burro, per quanto riguardava la milizia e icostumi. In realtà il principato si andava tra-sformando in una monarchia assoluta paterna-listica di tipo ellenistico, nella quale la filan-tropia e la clemenza erano soltanto strumentipropagandistici per il consenso popolare. EraSeneca in questo periodo a indirizzare la po-litica imperiale e aveva la responsabilità effet-tiva, se non nominale, del governo. Il trattatoDe clementia esprime la sua visione filosoficadel potere, che conciliava autorità e libertà,«clemente, ma forte», in accordo tra governatie governante.A poco a poco, però, Seneca si accorse cheNerone, insofferente di controllo e avido dipotere, gli sfuggiva di mano: l’imperatore feceavvelenare il fratellastro Britannico e ordinò ilmatricidio senza che né Seneca né Burro po-tessero impedirglielo. Nel 62, alla morte diBurro, forse avvelenato, divenne prefetto delpretorio il crudele Tigellino e Seneca decise diritirarsi dal governo. Aveva sperimentato ilfallimento del suo progetto di monarchia illu-minata e la condotta amorale e stravagante diNerone lo indusse a tornare agli studi filoso-fici che lo avevano affascinato da giovane.Nel 65 fu scoperta la congiura dei Pisoni con-tro Nerone: Seneca non ne aveva fatto parteattiva, ma certamente ne era al corrente eaddirittura si diceva che, dopo aver uccisoNerone, i congiurati proponessero di nominareo Pisone o lui, il vecchio filosofo, al governo.I congiurati furono tutti obbligati a suicidarsi.Seneca, ricevuto l’ordine, morì con la stessadignità di Socrate, mostrando fino alla fine uncomportamento sereno e forte. Tacito com-menta: «La sua morte fu per il principe unavera gioia». (Annales XV, 60-65)

Le opere

Opere filosofiche, durante l’esilio in Corsica:Consolatio ad Polybium, per la morte del fratel-lo di Polibio e per ottenere il ritorno a Roma.Consolatio ad Marciam, per consolare Marziala figlia del filosofo Cremuzio Cordo, per laperdita di un figlio.

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• Il pensiero filosofico

Consolatio ad Helviam, per consolare la madreElvia del suo esilio.

Opere filosofiche dopo il ritorno a Roma:De ira, sulla necessità di restare sempre im-perturbabili.De vita beata, sulla felicità che viene dallavirtù e non dal benessere.De providentia, sulla prova a cui sono chia-mati i buoni dalla divina provvidenza checonsente il male per sperimentare la forza deimigliori.De constatia sapientis, sulla serenità di cuigode il saggio che non si fa turbare da eventiesterni.De otio, sulla necessità di avere momenti divita contemplativa.De tranquillitate animi (dialogo): sulla neces-sità che la visione del male e dell’immoralitànon turbino la pace dell’animo.De brevitate vitae, sulla nostra incapacità diusare il tempo, in quanto freneticamente oc-cupati, sentiamo la vita breve, mentre è lungase ben spesa.De clementia, sul modo con cui attuare ungoverno giusto.

De beneficiis (7 libri), sulle regole sociali chedovrebbero sottendere al rapporto di dare eavere, senza che vi sia, come avviene spesso,l’ingratitudine.Naturales quaestiones (7 libri), su tutti i feno-meni naturali.Epistulae ad Lucilium (20 libri, 124 lettere),dirette all’amico Lucilio e composte tra il 61 eil 65: sono la completa espressione del suopensiero filosofico.

Opere teatrali:Apokoloky;nthosis (inzuccamento): satira me-nippea (misto di prosa e versi) in cui egli ponein ridicolo l’imperatore Claudio di cui imma-gina il giudizio negli Inferi, dopo la sua espul-sione dall’Olimpo, fino a diventare lo schiavodi un liberto. Il titolo forse significherebbe«deificazione di una zucca vuota».Tra le tragedie vi sono una praetexta di argo-mento romano, Octavia sull’infelice moglie diNerone, di incerta attribuzione e 9 cothurnataedi argomento greco: Hercules Oeteus, Herculesfurens, Phoenissae, Troades, Oedipus, Medea,Phaedra, Agamemnon, Thyestes. Come si vedetrattano i più noti ed inquietanti miti greci.

De brevitate vitae I, 1-4: La vita non è breve

Il De brevitate vitae è tra le più affascinanti operette filosofiche di Seneca, sia per la semplicità e lachiarezza espositiva, sia per l’importanza del tema, la fuga del tempo, che, come dice Alfonso Traina1,percorre come un brivido «tutta la sua produzione e, forse, tutta la letteratura europea».Qui Seneca invita, come sempre (anche nelle Lettere a Lucilio), a saper usare bene il tempo, a nonsprecare la vita, per potersene allontanare un giorno senza rimpianti, “come un convitato sazio”. Lasua tesi è che, tuffandosi freneticamente negli impegni, si dimentica quasi di vivere. Gli occupati sonosempre ansiosi, inquieti, affannati, incapaci di respirare l’«attimo fuggente». A costoro egli contrap-pone gli otiosi, quelli che hanno capito il valore prezioso del tempo e non permettono, perciò, né asé stessi né agli altri, di farne spreco. Sono loro che sanno sentire il ritmo della vita e coglierne lastruggente bellezza.Sul tema del tempo, affermazioni secche e lapidarie percorrono tutta l’opera di Seneca e si fissano nellamemoria con la forza di un aforisma, facendo come da sottofondo alla lettura testuale: Vis scire quamnon diu vivant? Vide quam cupiunt diu vivere (Ep. XI: «Vuoi saper quanto non vivano a lungo? Guardaquanto desiderano vivere a lungo»); omnia tamquam mortales timetis, omnia tamquam immortalesconcupiscitis (Ep. III: «temete tutto come mortali, tutto come immortali desiderate»); tamquam sempervicturi vivitis (Ep. VII: «vivete come se doveste vivere in eterno»); vivere tota vita discendum est…tota vitadiscendum est mori (Ep. VII: «bisogna imparare a vivere in tutta la vita…in tutta la vita bisogna impararea morire»); non ille diu vixit, sed diu fuit (Ep. VIII: «quello non è vissuto a lungo, è stato a lungo»).

T1

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È questo lo «stile drammatico» di Seneca di cui parla Traina a proposito della tensione tra linguadell’interiorità e lingua della «predicazione».

[1] Maior pars mortalium, Pauline, de naturae malignitate conqueritur quod in exiguumaevi gignimur, quod haec tam velociter, tam rapide dati nobis temporis spatia decurrant,adeo ut exceptis admodum paucis, ceteros in ipso vitae apparatu vita destituat. Nechuic publico, ut opinantur, malo turba tantum et imprudens volgus ingemuit; clarorumquoque virorum hic affectus querellas evocavit. [2] Inde illa maximi medicorumexclamatio est: «vitam brevem esse, longam artem»; inde Aristotelis cum rerum naturaexigentis, minime conveniens sapienti viro lis: «aetatis illam animalibus tantum indulsisse,ut quina aut dena saecula educerent, homini in tam multa ac magna genito tantociteriorem terminum stare». [3] Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus.Satis longa vita et in maximarum rerum consummationem large data est, si tota benecollocaretur; sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit, ubi nulli bonae rei inpenditur,ultima demum necessitate cogente, quam ire non intelleximus transisse sentimus. [4] Itaest: non accipimus brevem vitam, sed facimus, nec inopes eius sed prodigi sumus. Sicut

1. Maior pars…evocavit: «La maggiorparte dei mortali, o Paolino, si lamentadella crudeltà della natura poiché siamo[stati] generati per un’esistenza breve,poiché questi spazi di tempo a noi con-cesso tanto velocemente, tanto rapida-mente scorrono che, fatta eccezione dipochi, la vita inganna tutti gli altri pro-prio nel momento della sua pienezza. E aquesto comune male, come credono, nonha rivolto il suo lamento solo la massasprovveduta degli uomini; questo statod’animo ha provocato parole di ramma-rico anche di uomini colti».Mortalium: non hominum per la pre-gnanza tragica del lessema, quindi «uo-mini destinati a morire»; Pauline: è forsePompeo Paolino, prefetto dell’annona dal48 al 55, padre di Paolina, la moglie diSeneca, più giovane di lui di vent’anni;conqueritur: ricorda l’incipit del BellumIugurthinum di Sallustio: Falso queriturde natura sua genus humanum quodimbecilla, atque aevi brevis («a torto silamenta l’umanità poiché debole e ca-duca»); in exiguum: complemento di fine,regge il genitivo partitivo aevi; quod…quod…tam…tam: doppia anafora, questafigura retorica, al posto della congiun-zione, opera quello che il Traina defini-sce «la sostituzione del legame logico collegame ritmico»; rapide: avverbio, darapio (= «trascinare via»), esprime, quin-di, questo strappo violento del tempo,rilevato anche dal verbo de+curro, dettodi acque che precipitano giù; dati: par-ticipio passato concordato con il genitivo

temporis; destituat: al congiuntivo per-ché esprime opinione altrui e significaletteralmente «abbandona»; vitae vita: ilpoliptoto dà forza all’espressione.La modale ut opinantur limita il signifi-cato dell’aggettivo publico: non è veroche è «comune», dice Seneca, sono «loro»a pensare che lo sia; imprudens: da in(«che nega») + prudens (= «che non pre-vede»); ingemuit: regge il dativo huicmalo; affectus: vox media per «statod’animo», qui con connotazione negati-va; evocavit: da ex+voco, «chiamare dalfondo», «far emergere lamenti».2. Inde illa…stare: «Di qui quella notaesclamazione del famoso medico: “La vitaè breve, la scienza è lunga”; di qui anchel’atto di accusa, per nulla consono aduna persona così saggia, di Aristotele chediscuteva sulla natura: “Quella è statagenerosa solo verso gli animali nelladurata della vita, tanto che vivono cin-que o dieci generazioni, all’uomo, invece,destinato a tante e così importanti ope-re, è fissato un limite molto più breve”».Maximi medicorum: è riferito ad Ippo-crate; si noti il chiasmo che contrapponevita e ars:

vitam brevem

longam artemLa massima che segue è una massimaperipatetica. Il soggetto lis, posto in clau-sola, è molto rilevato; exigentis: ègenitivo accordato con Aristotelis, daexigo «ponderare», «discutere»; conve-niens: regge il dativo viro ed è accordato

con lis. Aetatis: partitivo retto da tantum;genito: dativo accordato con homini; intam multa ac magna: complementi difine; citeriorem: comparativo di citra,letteralmente «più in qua»; stare: «starfisso»; quina: numerale distributivo «acinque per volta», come deni, ae, a, cioè«a dieci per volta».3. Non …perdidimus: «Non abbiamo pocotempo, ma molto lo lasciamo perdere».Il perfetto perdidimus indica un’azionecompletata, il suo risultato: di qui ladefinizione di «perfetti risultativi».Satis…sentimus: «La vita è sufficiente-mente lunga e ci è stata data ampia-mente per compiere grandi azioni, sel’usassimo tutta bene; ma quando scorrevia nella dissipazione e nello spreco,quando non è spesa per alcuna operameritevole, e infine, quando la prossimi-tà della morte ci incalza, ci accorgiamoche è passata ormai quella che non ab-biamo capito che passava».Il periodo ipotetico misto vuole sottoline-are il contrasto tra ciò che abbiamo e ciòche facciamo di essa; in consummatio-nem: complemento di scopo. Diffluit: haancora il significato metaforico di «scor-rere» dell’acqua, tratto dal proemio sal-lustiano: vires tempus ingenium deflu-xere; inpenditur: è costruito col dativobonae rei; cogente necessitate: ablativoassoluto; ultima necessitate: è formaeufemistica della morte; quam: sta peream quam.4. Ita est… multum patet: «Così è: nonriceviamo una vita breve, ma la rendia-

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20 La saggezza dell’uomo, l ’orrore del mondo

• Il pensiero filosofico

amplae et regiae opes, ubi ad malum dominum pervenerunt, momento dissipantur, atquamvis modicae, si bono custodi traditae sunt, usu crescunt, ita aetas nostra benedisponenti multum patet.

mo tale, non siamo poveri di essa, mascialacquatori. Come ampie e regali ric-chezze, quando sono giunte nelle manidi un cattivo padrone, in un istante ven-gono dissipate, invece, benché siano li-mitate, se sono state affidate ad un buoncustode, con l’uso crescono, così la no-

stra vita, a chi sa bene usarla, si stendetutta dinanzi a lui».I verbi accipimus e facimus chiudono alcentro vitam brevem per dare maggiorefficacia all’antitesi. Notare la concin-nitas: momento dissipantur…usu cre-scunt, che rileva l’opposizione tra malum

dominum e bono custodi; quamvismodicae: sottintende sint, concessiva;bene disponenti: dativo di vantaggio delparticipio presente del verbo dispono;patet: verbo di grande efficacia, perchésignifica «aprirsi»: è la vita che si «apre»a chi sa accettarla e usarla bene.

testualeT1 De brevitate vitae I, 1-4: La vita non è breve

Analisi

Il testo è costituito da quattro blocchi argomentativi che seguono un rigorosoprocedimento filosofico:

• l’enunciazione del problema: tutti si lamentano della brevità della vita;• gli esempi di due illustri personaggi come Ippocrate e Aristotele che cadono

in questo errore;• l’enunciazione della tesi: la vita non è breve se spesa bene;• l’esemplificazione della tesi con paragone tratto dal mondo reale: la ricchezza

dipende da chi la amministra.

Anche sul piano strutturale, la centralità della tesi è rimarcata dalla perfettaproporzione delle parti, per cui il nodo concettuale, non exiguum temporishabemus sed multum perdidimus, occupa anche la parte centrale del testo cheha andamento curvilineo:

A quest’ordine strutturale corrisponde un’accorta distribuzione delle figure reto-riche, specialmente il chiasmo, che è accompagnato dal ritmo binario dellaconcinnitas:

vitam brevem tam velociter non exiguum temporis habemus↓ ↓ ↓

longam artem tam rapide sed multum……… perdidimus

ire non intelleximus non accipimus↓ quam ↓ brevem vitam

transisse sentimus sed facimus

non inopes ad malum dominum pervenerunt↓ eius sumus ↓

sed prodigi bono custodi traditae sunt

Non exiguum

Maior pars multum patet

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• Il pensiero filosofico

È molto indicativo che il chiasmo, che è figura di contrasto, sia utilizzato per citareil giudizio di Ippocrate, in cui c’è, appunto, l’idea di una contraddizione, mentreil parallelismo esprime il pensiero di Seneca: c’è una perfetta «corrispondenza», nonopposizione, tra la sofferenza umana per la brevità della vita e il suo spreco. Senon la si spreca, infatti, la vita non è breve. Questa perfetta simmetria fa contrasto,invece, con la variatio iniziale: gignimur (indicativo)…decurrant (congiuntivo).Traina parla di «gradazione discendente di certezza», poiché vi si potrebbe coglierela differenza tra la reale brevità (exiguum aevi) dell’esistenza e il soggettivoscorrere del tempo (temporis spatia). Così l’uso del perfetto perdidimus, contrap-posto al presente habemus, serve a rimarcare come Seneca avverta la perditairrecuperabile, definitiva, che è costituita dal trascorrere del tempo. Nella funzionedidascalica del testo, l’uso del lessico, di grande forza semantica, acquista, quindi,un particolare valore. Così l’espressione apparatu vitae indica quella disposizionefiduciosa, ottimista, di chi si illude di prepararsi alla vita a suo piacimento, comee quando voglia, solo perché si trova in un momento di benessere.Anche la cura del verbo indica la sottile distinzione tra il «capire» (intelleximus)che manca all’uomo e il «sentire» (sentimus) a cui facilmente ci si abbandona. Nonbasta, non serve, dice Seneca, avere emozione e rammarico per il fluire deltempo, bisogna, invece, comprendere lucidamente (disponenti bene) che è pro-prio questa relativa brevità della vita a richiedere di saperla spendere bene (si totabene collocaretur). Anche il verbo colloco (cum+loco), come dispono, presupponeuna sorta di ordine mentale pratico con cui rendere satis longa la vita.Questa vita, infine, non è altro che una ricchezza sconosciuta e regale (ilparagone con amplae e regiae opes è chiarificatore), che aspetta solo un padroneaccorto che sappia bene amministrarla. Solo allora, conclude Seneca, essa patet:il verbo, che significa «essere aperto», chiude il capitoletto con straordinariaefficacia. Il lessema, perciò, esprime questo dispiegarsi ad infinite possibilità,questo «aprirsi» della vita di fronte all’uomo saggio che sappia percepirne il valore,grande e assoluto. Non servono molte argomentazioni a chiarire l’evidenzapalmare di questa constatazione: la sintassi costituita da brevi coordinate e dasemplici enunciati indica proprio la lucida semplicità della tesi senecana: siamonoi i padroni del nostro tempo, non certo inopes («poveri»), ma possessoriinconsapevoli di un patrimonio prezioso che andrebbe usato saggiamente.

Incontro tra autori

Orazio e Seneca: La fugacità del tempoIl senso della fugacità del tempo, dell’incertezza del domani, richiama i temi cari ad Orazio.Tra il poeta e Seneca, però, esiste una profonda differenza: Orazio invita a non curarsi delfuturo, a cogliere i piaceri fuggitivi che il presente può offrire, con animo tranquillo, nonturbato da ansietà e da timori; per Seneca, invece, come si è visto, cogliere il presente,vivere protinus, significa non indugiare a rientrare in se stessi, lasciando da parte inutilipensieri, e accettare la vita con piena consapevolezza.

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• Il pensiero filosofico

Ode I, 9

È inverno e fa freddo: Orazio invita a bere un buon vino, godendo del presente, senza fare progettisul futuro. Il modello è il frammento di Alceo che tratta lo stesso argomento.

Metro: strofe alcaica

Vides ut alta stet nive candidumSoracte, nec iam sustineant onus

silvae laborantes, geluqueflumina constiterint acuto.

Dissolve frigus ligna super foco 5large reponens atque benignius

deprome quadrimum Sabina,o Thaliarche, merum diota.

Permitte divis cetera, qui simulstravere ventos aequore fervido 10

deproeliantes, nec cupressinec veteres agitantur orni.

Quid sit futurum cras, fuge quaerere etquem fors dierum cumque dabit lucro

adpone, nec dulces amores 15sperne puer neque tu choreas,

donec virenti canities abestmorosa. Nunc et campus et areae

lenesque sub noctem susurriconposita repetantur hora, 20

nunc et latentis proditor intimogratus puellae risus ab angulo,

pignusque dereptum lacertisaut digito male pertinaci.

Traduzione

Guarda la neve che imbianca tutto/ il Soratte e gli alberi che gemono/ al suo peso, i fiumi rappresi/ nellamorsa del gelo.// 5. Sciogli questo freddo, Taliarco,/ e legna, legna aggiungi al focolare;/ poi senza calcoloversa vino vecchio/ da un’anfora sabina.// Lascia il resto agli dei: quando placano/ 10. sul mare in burrascala furia dei venti,/ non trema piú nemmeno un cipresso,/ un frassino cadente./Smettila di chiederti cosa sarà domani,/ e qualunque giorno la fortuna ti conceda/ 15. segnalo tra gli utili.Se ancora lontana/ è la vecchiaia fastidiosa/ dalla tua verde età, non disprezzare, ragazzo,/ gli amori tenerie le danze. Ora ti chiamano/ l’arena, le piazze e i sussurri lievi/ 20. di un convegno alla sera,// il risosoffocato che ti rivela l’angolo/ segreto dove si nasconde il tuo amore,/ il pegno strappato da un braccio/o da un dito che resiste appena.

(M. Ramous)

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23La saggezza dell’uomo, l ’orrore del mondo

• Il pensiero filosofico

Osserva Francesco Arnaldi1: «È tra le più belle odi del canzoniere: si è detto chequi inverno e neve non sono semplicemente fatti naturali, ma stati d’animo. Iocredo che la bellezza dell’ode sia proprio nella sua olimpica serenità per cui nonc’è che l’acuto (v. 4), il benignius (v. 6), forse il dissolve frigus (v. 5) cheindichino una diretta partecipazione del poeta, come se egli volesse discretamen-te avvertirci che quel che dirà è per Taliarco, re dei conviti, non per sé […]. Tuttoil resto è lontano da lui, spettacolo ormai contemplato più che realtà vissuta».Vediamo, dunque, come quella che Arnaldi definisce «olimpica serenità» si possacogliere nel testo.La struttura, costituita da sei strofe, scandisce il discorso in due momenti checorrispondono a tre strofe ciascuno, tagliate al centro dal verso 13 – quid sitfuturum cras fuge quaerere (che cosa avverrà domani, non chiedertelo) – checondensa il messaggio oraziano, quello che percorre tutte le sue opere: vivi ilpresente, senza affanno per il domani.I due momenti, però, non hanno uno stesso ritmo e una stessa tonalità ed èmolto importante capire il valore di questo mutamento tonale, affidato soprattuttoall’uso della sintassi.La prima parte, infatti, presenta una trama sintattica che coincide con la tramametrica, per cui ognuna delle tre strofe racchiude un intero periodo. È questo unprocedimento letterario che, di solito, corrisponde a una maggiore razionalizzazionedel pensiero: il tono è pacato, il discorso vuole essere chiaro, semplice e diretto.Non a caso l’incipit di ogni strofa anticipa e sigla il suo contenuto:

• Vides: appare l’immagine della natura irrigidita dal gelo invernale;• Dissolve frigus: si raccomanda il calore del fuoco e il buon vino;• Permitte divis: si spiega che sono gli dei a decidere la vita della natura e

dell’uomo.

Il freddo, il bianco Soratte, la fatica dei rami piegati sotto il peso della neve, leacque rapprese dal gelo, creano un effetto visivo molto potente, legato soprattuttoalle allitterazioni dei fonemi dentali /t/ e /d/ che, per così dire, «irrigidiscono» ilsuono e inceppano la lettura, quasi icone del freddo: Vides ut alta stet candidum;Soracte sustineant constiterint.È l’inverno, con l’arida visione della natura che esso porta e con il suo velatomessaggio di morte.Ma a questa visione dell’inverno Orazio contrappone subito dopo il «caloredell’intimità di una casa», con il «foco» e la «diota» i due oggetti, rilevati entrambidalla clausola, il focolare e l’anfora di vino, evidente simbolo di vita, cheriscaldano il corpo e il cuore. Nell’atmosfera protettiva e accogliente dello spaziochiuso, che si oppone fortemente allo spazio aperto della prima strofa, allora èpossibile calare anche la massima epicurea che vede la natura mossa da forzemateriali e sconosciute (divis) che, così come l’agitano in tempeste spaventose(ventos aequore fervido deproeliantes), poi la placano (stravere) in scenari distesie tranquilli.

testuale Orazio: Ode I, 9Analisi

1 Arnaldi F., Orazio. Odi ed Epodi, Principato, Messina, 1967.

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• Il pensiero filosofico

Tutto questo, per Orazio è cetera («le altre cose») che bisogna lasciare (permitte)agli dei, per il semplice fatto che sfugge al dominio razionale dell’uomo, chepoco può contro di esso.Nella seconda parte, invece, la sintassi rompe i confini metrici e si stende inampie volute, che spezzano la strofa e torcono il periodo con complessi costrutti.Lo sguardo di Orazio, ora, non si posa più su un paesaggio o sull’intimità dellacasa; ora egli guarda la vita degli uomini nelle sue attrazioni più emozionanti:l’amore, le danze (amores, choreas), gli appuntamenti segreti nella piazza (campusareae, hora composita), le parole sussurrate (susurri), la notte che inizia (subnoctem) e l’eterno gioco della donna che finge ritrosia, mentre, nascosta (intimoab angulo), ride (risus) per farsi trovare dall’uomo amato e gli cede il pegnod’amore (pignus dereptum…digito male pertinaci).È per un giovane (Taliarco) che egli evoca tutte queste immagini e, quindi, inqualche modo, ci dice che il suo è un ricordo, un po’ distaccato, ma anche unpo’nostalgico di una stagione passata. Forse egli è giunto a quell’età in cui lepassioni si sono lievemente appannate, ma non spente del tutto, per cui è possibilerievocarne il fascino senza farsene travolgere. Ecco che allora, mentre l’eleganza deiversi mostra quella serenità di cui parlano i critici, qualcosa comunque sfugge adessa e un guizzo di inquieta nostalgia passa ancora nelle parole, in quell’anaforadi nunc, che sembra voler fermare l’attimo ora…ora; oppure nell’incastro cheintreccia la risata alla ragazza e al suo angolo nascosto: latentis proditor intimo/gratus puellae risus ab angulo, in cui la metonimia del risus ci fa apparire unacreatura giovane, capace di godere il presente come Orazio voleva.

Ode I, 11

Questa famosissima ode di Orazio più delle altre tocca il tema profondamente sentito dal poeta, delpassare del tempo e della necessità di vivere intensamente.

Metro: asclepiadeo maggiore

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibifinem di dederint, Leuconoe, nec Babyloniostemptaris numeros. Ut melius quidquid erit pati,seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,

quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare 5Tyrrhenum: sapias, vina liques et spatio brevispem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invidaaetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

Traduzione

Non chiedere, o Leucònoe, (è illecito saperlo) qual fine/ abbiano a te e a me assegnato gli dèi, e non scrutare glioroscopi babilonesi./ Quant’è meglio accettare quel che sarà!/ Ti abbia assegnato Giove molti inverni,// 5. oppureultimo quello che ora affatica il mare/ Tirreno contro gli scogli, sii saggia, filtra vini, tronca/ lunghe speranzeper la vita breve. Parliamo, e intanto fugge l’astioso/ tempo. Afferra l’oggi, credi al domani quanto meno puoi.

(L. Canali)