Seneca (Conte)

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    IDialogi e la saggezza stoica

    Ben poche, fra le opere senecane rimasteci, sono databili consicurezza o buona approssimazione (sicch difficile cercar diseguire un eventuale sviluppo del suo pensiero, o collegarlo allevicende biografiche). Fra queste dovrebbe essere la Consolatioad Marciam,scritta sotto il principato di Caligola (forse attornoal 40), e indirizzata alla figlia dello storico Cremuzio Cordo perconsolarla, appunto, della perdita di un figlio. Il genere dellaconsolazione, gi coltivato nella tradizione filosofica greca, sicostituisce attorno a un repertorio ditemi morali (la fugacit deltempo, la precariet della vita, la morte come destino ineluttabiledelluomo, ecc.) attorno ai quali ruoter gran parte dellariflessione filosofica di Seneca: ad esso egli torna a farriferimento anche nelle altre due consolationes pervenuteci.Tutte e due sono degli anni dellesilio: quella Ad Helviam

    matrem (forse del 42) cerca di tranquillizzare la madre sullacondizione del figlio esule, esaltando gli aspetti positividellisolamento e dellotium contemplativo; laltra (43?), rivolta

    Ad Polybium,un potente liberto di Claudio, per consolarlo dellaperdita di un fratello, si rivela in realt come un tentativo diadulare indirettamente limperatore per ottenere il ritorno aRoma (ed lopera che pi costata a Seneca laccusa diopportunismo).

    Le singole opere dei Dialogi costituiscono trattazioni

    autonome di aspetti o problemi particolari delletica stoica, ilquadro generale in cui lintera produzione filosofica senecana si

    iscrive (uno stoicismo, comunque, che ha stemperato lanticorigore dottrinale, sulle orme della cosiddetta scuola di mezzo,e non conosce chiusure dogmatiche). I tre libri del De ira, adesempio, scritti in parte prima dellesilio, ma pubblicati dopo lamorte di Caligola, sono una sorta di fenomenologia delle

    passioni umane: ne analizzano i meccanismi di origine e i modiper inibirle e dominarle (allira in particolare dedicato il IIIlibro). Lopera dedicata al fratello Novato, al quale Senecadedicher qualche anno dopo (quando Novato si chiamerGallione, dal nome del padre adottivo, il retore Giunio Gallione)anche il De vita beata (forse del 58), che affronta il problema

    della felicit e del ruolo che nel perseguimento di essa possonosvolgere gli agi e le ricchezze. In realt, dietro il problemagenerale, Seneca sembra voler fronteggiare le accuse, chesappiamo gli venivano mosse (Tacito, Annales XIII 42), diincoerenza fra i principi professati e la concreta condotta di vitache lo aveva portato, grazie alla posizione di potere occupata acorte, ad accumulare un patrimonio sterminato (anche mediantela pratica dellusura). Posto che lessenza della felicit nellavirt, non nella ricchezza e nei piaceri (la polemica rivoltasoprattutto allepicureismo, o almeno alle sue versioni deteriori),Seneca legittima tuttavia luso della ricchezza se questa si

    rivela funzionale alla ricerca della virt. Saggezza e ricchezzanon sono necessariamente antitetiche (nemo sapientiam

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    paupertate damnavit, nessuno ha condannato la saggezza allapovert, 23); Seneca resta generalmente estraneo al fascinodel modello cinico, avvertito come pericolosamente asociale:chi aspira alla sapientia (che resta un ideale mal pienamenteconseguibile) dovr saper sopportare gli agi e il benessere chele circostanze della vita gli hanno procurato, senza lasciarseneinvischiare (secondo il principio, cio, che limportante non non possedere ricchezze, ma non farsi possedere da esse).

    Il superiore distacco del saggio dalle contingenze terrene anche il tema unificante della trilogia dedicata allamicoSereno, che abbandona le sue convinzioni epicuree peraccostarsi alletica stoica: Deconstantia sapientis, De otio, Detranquillitate animi.

    Il primo dei tre dialoghi (pubblicato dopo il 41) esaltaappunto limperturbabilit del saggio stoico, forte della suainteriore fermezza, di fronte alle ingiurie e alle avversit.

    Il De tranquillitate animi (lunico parzialmente in formadialogica) affronta un problema fondamentale nella riflessionefilosofica senecana, la partecipazione del saggio alla vita

    politica. Seneca cerca una mediazione fra i due estremidellotium contemplativo e dellimpegno proprio del civisromano, suggerendo un comportamento flessibile, rapportatoalle condizioni politiche: lobiettivo da conseguire, sottraendosisia al tedio di una vita solitaria sia agli obblighi della tumultuosavita cittadina, sempre quello della serenit di unanima capacedi giovare agli altri, se non con limpegno pubblico, almeno conlesempio e la parola. Se la tensione fra impegno e rinuncia qui

    ancora irrisolta (e anche per ci si tende a collocare il dialogopoco prima del 62), la scelta di una vita appartata invece chiaranelDe otio: una scelta forzata, resa necessaria da una situazione

    politica compromessa tanto gravemente da non lasciare alsaggio, impossibilitato a giovare agli altri, alternativa diversa dalrifugio nella solitudine contemplativa, di cui si esaltano i pregi(lopera si colloca forse nel 62, ai tempi del ritiro dalla vita

    politica).Pi indietro, forse agli anni tra il 49 e il 52, sembra risalire il

    De brevitate vitae (dedicato a Paolino, prefetto dellannona,forse parente della seconda moglie di Seneca), che tratta il

    problema del tempo; della sua fugacit e dellapparente brevitdi una vita che tale ci sembra perch non ne sappiamo afferrarelessenza, ma la disperdiamo in tante occupazioni futili senzaaverne piena consapevolezza.

    Agli ultimi anni dovrebbe invece appartenere quello che aprela raccolta dei dialoghi, cio il De providentia (dedicato alLucilio delle Epistulae): affronta il problema dellacontraddizione fra il progetto provvidenziale che secondo ladottrina stoica presiede alle vicende umane (in polemica con latesi epicurea dellindifferenza divina) e la sconcertanteconstatazione di una sorte che sembra spesso premiare i malvagi

    e punire gli onesti. La risposta di Seneca che le avversit checolpiscono chi non le merita non contraddicono tale disegno

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    provvidenziale, ma attestano la volont divina di mettere allaprova i buoni ed esercitarne la virt: il sapiens stoico realizza lasua natura razionale nel riconoscere il posto che nellordinecosmico governato dal Logos a lui assegnato, enelladeguarvisi compiutamente.

    Filosofia e potere

    Dedicati a Lucilio, e successivi al ritiro dalla vita pubblica,sono anche i Naturalium quaestionum libri VII, lunica operasenecana di carattere scientifico rimastaci. Vi sono trattati ifenomeni atmosferici e celesti, dai temporali ai terremoti allecomete: il frutto di un vasto lavoro di compilazione, durato

    probabilmente lunghi anni, da svariate fonti soprattutto stoiche(come Posidonio), e sembra costituire il supporto fisicoallimpianto filosofico senecano, ma in realt non c

    integrazione n organicit fra indagine e ricerca morale.Pi o meno allo stesso periodo ( terminata nel 64, comeattesta lo stesso Seneca in Epistulae ad Lucilium 81,3) risaleunaltra opera filosofica tramandata autonomamente daiDialogi,cio i sette libri De beneficiis, dedicati allamico EbuzioLiberale. Vi si tratta appunto della natura e delle varie modalitdegli atti di beneficenza, del legame che istituiscono fra

    benefattore e beneficato, dei doveri di gratitudine che li regolanoe delle conseguenze morali che colpiscono gli ingrati (si sospettauna velata allusione al comportamento di Nerone nei suoiconfronti). Lopera, che analizza il beneficio soprattutto come

    elemento coesivo dei rapporti interni allorganismo sociale,sembra trasferire sul piano della morale individuale il progetto diuna societ equilibrata e concorde che Seneca aveva fondatosullutopia di una monarchia illuminata. Lappello, rivoltosoprattutto alle classi privilegiate, ai doveri della filantropia edella liberalit, nellintento di instaurare rapporti sociali piumani e cordiali, si configura perci come la propostaalternativa (con una sorta di prospettiva rovesciata, ma conidentica impostazione paternalistica) al fallimento di quel

    progetto.Lopera in cui Seneca aveva esposto pi compiutamente la

    sua concezione del potere il De clementia, opportunamentededicato al giovane imperatore Nerone (negli anni 55-56)cometraccia di un ideale programma politico ispirato a equit emoderazione. Seneca non mette in discussione la legittimitcostituzionale del principato, n le forme apertamentemonarchiche che esso ha ormai assunto: il potere unico era il piconforme alla concezione stoica di un ordine cosmico governatodal logos,dalla ragione universale, il pi idoneo a rappresentarelideale di un universo cosmopolita, a fungere da vincolo esimbolo unificante dei tanti popoli che formano lImpero; senzaconsiderare, infine, che si era ormai imposto nei fatti, e non

    sembrava realistico confidare in quel miraggio di unarestaurazione della libertas repubblicana che animava i circoli

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    stoicheggianti dellopposizione aristocratica. Il problema,piuttosto, quello di avere un buon sovrano: e in un regime dipotere assoluto, privo di forme di controllo esterno, lunico frenosul sovrano sar la sua stessa coscienza, che lo dovr tratteneredal governare in modo tirannico. La clemenza (che non siidentifica con la misericordia o la generosit gratuita, maesprime un generale atteggiamento di filantropica benevolenza) la virt che dovr informare i suoi rapporti coi sudditi: conessa, e non incutendo timore, egli potr ottenere da loroconsenso e dedizione, che sono la pi sicura garanzia di stabilitdi uno stato.

    E evidente, in questa concezione di un principato illuminatoe paternalistico, che affida alla coscienza del sovrano, al suo

    perfezionamento morale, la possibilit di instaurare un buongoverno, limportanza che acquista leducazione del princeps e

    pi in generale la funzione della filosofia come garante e

    ispiratrice della direzione politica dello stato. In questa generosaillusione, che sembrava rinnovare lantico progetto platonico delgoverno dei filosofi, e che determin in maniera drammaticaanche le sue vicende biografiche, Seneca impegn a lungo le

    proprie energie: mosso sempre dallimpulso ai doveri della vitasociale, e ugualmente lontano dalle posizioni estreme di unintransigente rifiuto alla collaborazione col princeps come diuna servile acquiescenza al suo dispotismo, egli coltiva unambizioso progetto di equilibrata e armoniosa distribuzione del

    potere tra un sovrano moderato e un senato salvaguardato neisuoi diritti di libert e dignit aristocratica. Allinterno di quel

    progetto, come accennato, alla filosofia spetta un ruoloassolutamente preminente, quello di promuovere la formazionemorale del sovrano e delllite politica, ma la rapidadegenerazione del governo neroniano, dopo la parentesi delquinquennio felice, mette a nudo i limiti di quel disegno,vanificandolo, e la filosofia senecana deve ridefinire i suoicompiti, allentando i legami con la civitas e accentuando

    progressivamente limpegno ad agire sulle coscienze dei singoli:privato di un suo ruolo politico, il saggio stoico si pone alservizio dellumanit.

    La pratica quotidiana della filosofia: leEpistole a Lucilio

    Se vero infatti che non si possono distinguere tropponettamente, nella elaborazione filosofica di Seneca, i duemomenti dellimpegno civile e dellotium meditativo(laspirazione ad assolvere, nelle forme mediate concesse dallasituazione, una funzione sociale resta forte anche nelle operetarde), tuttavia innegabile che nella produzione successiva alsuo ritiro dalla scena politica egli si muove soprattuttonellorizzonte della coscienza individuale. Lopera principaledella sua produzione tarda, e la pi celebre in assoluto, sono le

    Epistulae ad Lucilium, una raccolta di lettere di maggiore ominore estensione (fino alle dimensioni di un trattato) e di vario

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    argomento indirizzate appunto allamico Lucilio (personaggio diorigini modeste, un po pi giovane di Seneca e provenientedalla Campania, assurto al rango equestre e a varie cariche

    politico-amministrative, di buona cultura, poeta e scrittore eglistesso). Se si tratti di un epistolario reale o fittizio questione dicui si continua tuttora a discutere: non ci sono difficoltinsormontabili per credere alla realt di uno scambio epistolare(varie lettere richiamano quelle di Lucilio in risposta), ipotesi

    peraltro non inconciliabile con la possibilit che altre lettere,specie quelle pi ampie e sistematiche, non siano stateeffettivamente inviate e siano state invece inserite nella raccoltaal momento della pubblicazione. Lopera, come si detto, ci giunta incompleta, e si pu datare a partire dal periodo deldisimpegno politico (62-inizio 63); costituisce in ogni caso ununicum nel panorama letterario e filosofico antico.

    Lo spunto a comporre lettere di carattere filosofico indirizzate

    ad amici sar venuto probabilmente a Seneca da Platone esoprattutto da Epicuro; come che sia, egli mostra pienaconsapevolezza, non priva di orgoglio, di introdurre nella culturaletteraria latina un genere nuovo, che egli tiene polemicamente adistinguere dalla comune pratica epistolare, anche quella ditradizione pi illustre, rappresentata da Cicerone. Il modello cuiegli intende uniformarsi appunto Epicuro, colui che nellelettere agli amici ha saputo perfettamente realizzare quelrapporto di formazione e di educazione spirituale che Senecaistituisce con Lucilio. Le sue lettere vogliono essere unostrumento di crescita morale, un diario delle conquiste dello

    spirito nel lungo itinerario verso la sapientia. Riprendendo untopos molto comune nellepistolografia antica, Seneca insiste sulfatto che lo scambio epistolare per mette di istituire uncolloquium con lamico, di creare con lui un intimita quotidianache, fornendo direttamente un esempio di vita, sul piano

    pedagogico si rivela pi efficace dellinsegnamento dottrinale.Pi degli altri generi di letteratura filosofica, la lettera, vicinaalla realt della vita vissuta (da cui riprende svariati elementi,servendosene come spunto per considerazioni di caratteremorale), si presta perfettamente alla pratica quotidiana dellafilosofia: proponendo ogni volta un nuovo tema, semplice e di

    apprendimento immediato, alla meditazione dellamicodiscepolo (sul modello delle scuole di filosofia), essa neaccompagna e ne scandisce le tappe, conquista dopo conquista,verso il perfezionamento interiore (allo stesso intento obbedisceluso di concludere ogni lettera, nei primi tre libri, con una

    sententia, un aforisma che offre un frammento di saggezza sucui meditare). Rifacendosi a uno schema di procedimento in usonella scuola di Epicuro (che graduava i vari momenti delcammino verso la sapientia), Seneca utilizza lepistola comestrumento ideale soprattutto per la prima fase della direzionespirituale, fondata sullacquisizione di alcuni principi basilari,

    cui far seguito, con laccrescimento delle capacit analitiche deldiscente e larricchimento del suo patrimonio dottrinale, il

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    ricorso a strumenti di conoscenza pi impegnativi e complessi: ela conferma di questo progressivo adeguarsi della formaletteraria ai diversi momenti del processo di formazione fornitadalla tendenza delle singole lettere, man mano che lepistolario

    procede, ad assimilarsi al trattato filosofico. Non menoimportante dellaspetto teorico (pi volte anzi Seneca polemizzacontro le eccessive sottigliezze logiche dei filosofi, specialmentestoici) infatti nella lettera quello parenetico: essa tende nonsolo e non tanto a dimostrare una verit quanto ad esortare, adinvitare al bene.

    Oltre per a essere funzionale a una fase specifica delprocesso di direzione spirituale, il genere epistolare si rivelaanche appropriato ad accogliere un tipo di filosofia, come quellasenecana, priva di sistematicit e incline piuttosto alla trattazionedi aspetti parziali o singoli temi etici. Gli argomenti delle lettere,suggeriti per lo pi dallesperienza quotidiana, sono svariati, ma

    vengono generalmente ricondotti alle tematiche della tradizionediatribica (nella variet e nelloccasionalit, nonchnellaggancio fra vita vissuta e riflessione morale, sono evidentile affinit con la satira, soprattutto oraziana): vertono sullenorme cui il saggio informa la sua vita, sulla sua indipendenza eautosufficienza, sulla sua indifferenza alle seduzioni mondane esul suo disprezzo per le opinioni correnti. Col tono pacato,cordiale, di chi non si atteggia a maestro severo ma ricerca eglistesso la via verso la saggezza, una meta mai pienamenteraggiungibile, Seneca propone lideale di una vita indirizzata alraccoglimento e alla meditazione, al perfezionamento interiore

    mediante unattenta riflessione sulle debolezze e i vizi propri ealtrui. La considerazione della condizione umana cheaccomuna tutti i viventi lo porta ad esprimere una condanna

    del trattamento comunemente riservato agli schiavi, conaccenti di intensa piet che hanno fatto pensare al sentimentodella carit cristiana: in realt letica senecana resta

    profondamente aristocratica, e il sapiens stoico che esprime lasua simpatia per gli schiavi maltrattati manifesta apertamenteanche il suo irrevocabile disprezzo per le masse popolariabbrutite dagli spettacoli del circo.

    Il distacco dai mondo e dalle passioni che lo agitano si

    accentua, nelle Epistole,parallelamente al fascino della vitaappartata e allassurgere dellotium a valore supremo: un otiumche non inerzia ma alacre ricerca del bene, nella convinzioneche le conquiste dello spirito possano giovare non solo agliamici impegnati nella ricerca dellasapientia,ma anche agli altri,e che le Epistole possano esercitare il loro benefico influssosulla posterit. La conquista della libert interiore (resasinecessaria la rinuncia alle rivendicazioni sul terreno politico) lestremo obiettivo che il saggio stoico si pone, a cui siaccompagna la meditazione quotidiana della morte, alla qualeegli sa guardare con mente serena come al simbolo della propria

    indipendenza dal mondo.

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    Lo stile drammatico

    Se fine precipuo della filosofia giovare al perfezionamentointeriore, il filosofo dovr badare alle res, non alle parolericercate ed elaborate: non delectent verba nostra sed prosint(Epistulae ad Lucllium 75,5): queste si giustificheranno solo se -

    proprio in virt della loro efficacia espressiva, in forma adesempio di sententiae o citazioni poetiche - assolveranno a unafunzione psicagogica, se contribuiranno cio a fissare nellamemoria e nellanimo un precetto o una norma morale. In realt,a fronte di un programma di stile inlaboratus et facilis(Epistulae ad Lucillum 75,1), la prosa filosofica senecana diventata quasi lemblema di uno stile elaborato, teso ecomplesso, caratterizzato dalla ricerca delleffetto edellespressione concisamente epigrammatica. Seneca rifiuta lacompatta architettura classica e del periodo ciceroniano, che

    nella sua disposizione ipotattica organizzava anche la gerarchialogica interna, e d vita a uno stile eminentemente paratattico,che anche nellintento di riprodurre ilsermo, la lingua parlatafrantuma limpianto del pensiero in un susseguirsi di frasiaguzze e sentenziose, il cui collegamento affidato soprattuttoallantitesi e alla ripetizione (producendo quellimpressione disabbia senza calce che gli rinfacciava il malevolo Caligola).Questa prosa antitetica allarmonioso periodare ciceroniano e(come avvertiva preoccupato Quintiliano) rivoluzionaria sul

    piano del gusto (e destinata a esercitare grande influsso sullaprosa darte europea), affonda le sue radici nella retorica asiana -

    che nelle scuole di declamazione, a Seneca ben familiari,celebrava i suoi trionfi - e nella predicazione dei filosofi cinici: ilsuo tipico procedere mediante un ricercato gioco di parallelismi,opposizioni, ripetizioni, in un succedersi serrato di frasettenervose e staccate (1e minutissimae sententiae deplorate daQuintiliano), con una sorta di tecnica puntillistica, produceleffetto di sfaccettare unidea secondo tutte le angolazioni

    possibili, fornendone una formulazione sempre pi pregnante econcisa, fino a cristallizzarla nellespressione epigrammatica. Diquesto stile aguzzo e penetrante (che nella sua continua tensionenon sa evitare una certa teatralit) Seneca si serve come di una

    sonda per esplorare i segreti dellanimo umano e lecontraddizioni che lo lacerano, ma anche per parlare al cuoredegli uomini ed esortare al bene: uno stile intimamente antiteticoe conflittuale (drammatico, secondo unefficace definizione),che alterna i toni sommessi della meditazione interiore e quellivibranti della predicazione: uno stile che rifletteemblematicamente le spinte che animano la filosofia senecana,tesa fra la ricerca della libert dellio e la liberazionedellumanit.

    Le tragedie

    Un posto importante nella produzione letteraria di Seneca 7

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    occupato dalle tragedie: sono nove quelle ritenute generalmenteautentiche (qualche dubbio sussiste solo per 1HerculesOetaeus), tutte di soggetto mitologico greco. Molto poco,comunque, ci che sappiamo su di esse, sulle circostanze dellaloro eventuale rappresentazione o sulla data di composizione,sulla quale non possibile avanzare illazioni nemmeno in base acriteri stilistici o, tanto meno, a presunti riferimenti ad eventicontemporanei; sicch, nellimpossibilit di delinearne unacronologia attendibile, le si elenca nellordine in cui le trasmettela tradizione pi autorevole.

    LHercules furens, costruita sul modello dellEracleeuripideo, tratta il tema della follia di Ercole, che, provocata daGiunone, induce leroe a uccidere moglie e figli: una voltarinsavito, e determinato a suicidarsi, egli si lascia distogliere dalsuo proposito e si reca infine ad Atene a purificarsi. Le Troades,risultanti dalla contaminazione dei soggetti di due drammi

    euripidei, le Troiane e lEcuba, rappresentano la sorte delledonne troiane prigioniere e impotenti di fronte al sacrificio diPolissena, figlia di Priamo, e del piccolo Astianatte, figlio diEttore e Andromaca. Sulle Fenicie di Euripide e sullEdipo aColono sofocleo sono improntate lePhoenissae,lunica tragediasenecana incompleta, che ruota attorno al tragico destino diEdipo e allodio che divide i suoi figli Etocle e Polinice.

    Naturalmente ancora a Euripide (ma forse anche a unomonima,e fortunata, tragedia perduta di Ovidio) si rif la Medea,la cupavicenda della principessa della Colchide abbandonata daGisone e perci assassina, per vendetta, dei figli avuti da lui.

    Anche la Phaedra presuppone il celebre modello euripideo(lIppolito superstite ma anche quello, anteriore, perduto),nonch, probabilmente, una tragedia perduta di Sofocle e laquarta delle Heroides ovidiane: tratta dellincestuoso amore diFedra per il figliastro Ippolito e del drammatico destino che siabbatte sul giovane, restio alle seduzioni della matrigna, la qualesi vendica denunciandolo al marito Tseo, padre di Ippolito, e

    provocandone la morte. LEdipo re sofocleo alla basedellOedipus, che narra il notissimo mito tebano di Edipoinconsapevole uccisore del padre Laio e quindi sposo dellamadre Giocasta: alla scoperta della tremenda verit egli reagisce

    accecandosi. Allomonimo dramma di Eschilo si ispira, assailiberamente, lAgamemnon, che rappresenta lassassinio del re,al ritorno da Troia, per mano della moglie Clitennestra edellamante Egisto. Il Thyestes rappresenta invece il cupo mitodei Pelpidi (gi trattato in opere perdute di Sofocle e Euripide,nonch del teatro latino arcaico e pi recente, per esempionellomonima tragedia di Vario, amico di Orazio e Virgilio):animato da odio mortale per il fratello Tieste, che gli ha sedottola sposa, treo si vendica con un finto banchetto diriconciliazione in cui imbandisce al fratello ignaro le carni deifigli. NellHercules Oetaeus (cio sullEta, il monte su cui si

    svolge levento culminante del dramma delleroe), modellatosulle Trachinie di Sofocle, trattato il mito della gelosia di

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    Deianira, che per riconquistare lamore di Ercole innamoratosidi Iole, gli invia una tunica intrisa del sangue del centauro

    Nesso, creduto un filtro damore e in realt dotato di poteremortale: tra dolori atroci Ercole si fa innalzare un rogo e vi sigetta per darsi la morte, cui far seguito la sua assunzione fra glidei.

    Quelle di Seneca sono le sole tragedie latine a noi pervenutein forma non frammentaria. Oltre che per questa ragione, che nefa una testimonianza preziosa di un intero genere letterario, sonoimportanti anche come documento della ripresa del teatro latinotragico, dopo i tentativi poco fortunati che la politica culturaleaugustea fece per promuovere una rinascita dellattivit teatrale( in questo progetto che si inserisce, con altre, la produzione delThyestes di Vario, nel 29 a.C., in cui la polemica antitirannicaconnessa al soggetto aveva forse come bersaglio Antonio). In etgiulio-claudia e nella prima et flavia llite intellettuale

    senatoria (prima che il forte rinnovamento sociale operatonellordine senatorio dai Flavi ne modificasse anchelatteggiamento politico) sembra in effetti ricorrere al teatrotragico (tragedie avrebbero composto, con altri, anche Persio eLucano) come alla forma letteraria pi idonea ad esprimere la

    propria opposizione al regime (nella tragedia latina, che riprendeed esalta un aspetto gi fondamentale in quella greca classica,era sempre stata forte lispirazione repubblicana e lesecrazionedella tirannide).

    I tragediografi di et giulio-claudia e flaviana di cui abbiamonotizie sono tutti personaggi di rilievo nella vita pubblica

    romana. Sappiamo dagliAnnales di Tacito che, sotto limpero diTiberio, Mamerco Scauro, celebre anche come oratore, fucostretto a uccidersi perch in una sua tragedia, lAtreus,eranostate ravvisate allusioni allimperatore. Al tempo di Claudioebbe fama Pomponio Secondo, il quale rivest anche la carica diconsole: di lui scriver una biografia lamico Plinio il Vecchio.Pomponio Secondo, oltre a tragedie di argomento greco,compose anche una praetexta intitolata Aeneas. Si pu infinericordare, nellet di Vespasiano, Curiazio Materno, che fuanche oratore e che figura come interlocutore nel Dialogus deoratoribus di Tacito. Delle sue tragedie conosciamo vari titoli,

    fra cui quelli di duepraetextae,il Cato e ilDomitius.La scarsit di notizie esterne sulle tragedie senecane non ci

    permette, per, di sapere nulla di certo sulle modalit della lororappresentazione. Ci che sappiamo, anzi, sulla destinazionedella letteratura tragica in et gi anteriore a Seneca - e cio chesi continuava s a rappresentare normalmente in scena letragedie, ma che ci si poteva anche limitare a leggerle nelle saledi recitazione - ha indotto gli studiosi a credere (anche sulla basedi certe loro peculiarit stilistiche) che quelle di Seneca fosserotragedie destinate soprattutto alla lettura, il che poteva nonescludere talora, o per talune di esse, la rappresentazione

    scenica. Questa opinione tuttora, a ragione, prevalente, anchese non tutti gli argomenti a sostegno di questa tesi sono

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    ugualmente probanti: ad esempio la macchinosit, o la trucespettacolarit, di alcune scene, che certo erano incompatibili coicanoni di rappresentazione del teatro greco classico,sembrerebbero presupporre, piuttosto che smentire, unarappresentazione scenica, laddove una semplice lettura avrebbelimitato, se non annullato, gli effetti ricercati dal testodrammatico.

    Le varie vicende tragiche si configurano come conflitti diforze contrastanti (soprattutto allinterno dellanimo umano),come opposizione fra mens bona efuror,fra ragione e passione:la ripresa di temi e motivi rilevanti delle opere filosofiche (comead esempio, nella vicenda di Ercole, il tema delluomo forte chesupera le prove della vita per assurgere alla superiore libert)rende evidente una consonanza di fondo fra i due settori della

    produzione senecana, e ha alimentato la convinzione che ilteatro senecano non sia che unillustrazione, sotto forma di

    exempla forniti dal mito, della dottrina stoica. Lanalogia pernon va troppo accentuata, sia perch resta forte, nelle tragedie, lamatrice specificamente letteraria (che poteva gi offrire, comenel caso di Euripide, il modello pi utilizzato, rappresentazioni

    paradigmatiche di conflitti interni alla psiche umana), sia perch,nelluniverso tragico, il logos, il principio razionale cui ladottrina stoica affida il governo del mondo, si rivela incapace difrenare le passioni e arginare il dilagare del male. Alle diversevicende tragiche fa infatti da sfondo una realt dai toni cupi eatroci, e su questo scenario di orrori si scatena la lotta delle forzemaligne: lotta che non investe solo la psiche umana (che viene

    scandagliata fin nei suoi angoli pi segreti, spesso attraversolunghi ed elaborati monologhi) ma il mondo intero (concepito,stoicamente, come unit fisica e morale), conferendo al conflittofra bene e male una dimensione cosmica e una portatauniversale. Un rilievo particolare, fra le forme in cui piespressamente si manifesta questo emergere del male nelmondo, ha la figura del tiranno sanguinario e bramoso di potere,chiuso alla moderazione e alla clemenza, tormentato dalla paurae dallangoscia, che d luogo a frequenti spunti di dibattito eticosu un tema, appunto quello del potere, che come abbiamo vistooccupa un posto centrale nella riflessione (nonch nella

    biografia) senecana.Di quasi tutte le tragedie senecane, come abbiamo detto,

    possediamo i corrispettivi modelli greci, nei confronti dei qualipossiamo quindi valutare latteggiamento che egli tiene.Atteggiamento che, rispetto a quello tenuto dal tragici latiniarcaici, denota da un lato maggiore autonomia (dopo la grandestagione augustea la letteratura latina non si limita pi atradurre, ma si misura alla pari con quella greca, in liberaemulazione), e al tempo stesso per presuppone un rapportocontinuo col modello, sul quale Seneca opera interventi dicontaminazione, di ristrutturazione, di razionalizzazione

    nellimpianto drammatico. Anche se diretto, il rapporto con glioriginali greci mediato comunque dal filtro del gusto e della

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    tradizione latina. Il linguaggio poetico delle tragedie ha la suabase costitutiva nella poesia augustea (molto cospicua e

    pervasiva la presenza di Ovidio), dalla quale Seneca mutua

    anche le raffinate forme metriche, come i metri lirici orazianiusati negli intermezzi corali (nonch il particolare tipo disenario, gi adottato dal teatro tragico augusteo e vicino

    piuttosto, nel suo schema rigido, al trimetro giambico greco eoraziano che non al pi libero senario del teatro arcaico latino).Le tracce della tragedia latina arcaica si avvertono

    soprattutto nel gusto del pathos esasperato, nella tendenza alcumulo espressivo (realizzato per nei modi dello stile augusteo)e alla frase sentenziosa, isolata in netto rilievo: ma la ricercadellesententiae,si sa, alimentata soprattutto dal gusto retoricodel tempo. La stessa tendenza si manifesta anche nellaframmentazione dei dialoghi in serrate corresponsioni stichiche(un verso per ogni personaggio), in una costante ricerca della

    brevitas asiana. Da sempre infatti sul teatro di Seneca grava ilmarchio della retorica asiana, percepibile nella continuatensione, nellenfasi declamatoria, nello sfoggio di greveerudizione (ad esempio nei cataloghi geografici o mitologici), inquelle tinte fosche e macabre che hanno propiziato la fortunamoderna di Seneca tragico. Spesso lesasperazione dellatensione drammatica ottenuta mediante lintroduzione dilunghe digressioni (ekphraseis), esorbitanti rispetto allaconsuetudine epica e soprattutto tragica, che alterano i tempidello sviluppo scenico inserendosi cos nella tendenza, propriadel teatro senecano, a isolare singole scene come quadri

    autonomi, estraniati dal contesto della dinamica teatrale (il checontribuisce a far pensare che questi pezzi di bravuradovessero esser letti nelle sale di recitazione). Uno stile,insomma, che coi suoi tratti pi peculiari si inquadraagevolmente nel gusto letterario contemporaneo, di cuicostituisce un documento tra i pi rappresentativi.

    Oltre alle nove tragedie esaminate, il ramo secondario dellatradizione ne trasmette unaltra intitolata Octavia: vi sirappresenta la sorte di Ottavia, la prima moglie di Nerone da luiripudiata, una volta innamorato di Poppea, e fatta uccidere. Sitratta cio di una tragedia di argomento romano, una praetexta

    (lunica rimastaci), ma la sua autenticit oggi generalmentenegata. Le ragioni principali contro lautenticit, al di l del fortesospetto ingenerato dal fatto che lo stesso Seneca vi comparecome personaggio del dramma, sono nella descrizione di unavvenimento come la morte di Nerone (del 68, successiva ciodi tre anni a quella di Seneca), preannunciata dallombra diAgrippina, condotta in maniera troppo corrispondente alla realtstorica per non far sospettare che la profezia sia stata scritta exeventu,da qualcuno che aveva cio conoscenza esatta di come lecose si erano svolte; e nel fatto che lautore, che mostra grandefamiliarit con lintera produzione di Seneca, sembra trasferire

    nella tragedia brani versificati tratti dalle sue opere filosofiche.LOctavia quindi, che sul piano stilistico mostra affinit notevoli

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    con le tragedie autentiche, andr collocata in un ambiente vicinoa Seneca, e in anni non troppo posteriori alla sua morte (si pensaal decennio 7-8 d.C.).

    LApokolokyntosis

    Unopera davvero singolare, nel panorama della vastaproduzione senecana, il Ludus de morte Claudii (come lodefiniscono due dei manoscritti principali che lo trasmettono) o

    Divi Claudii apotheosis per saturam (secondo la definizione, amo di glossa, del terzo); ma il titolo sotto cui lopera picomunemente nota quello, greco, di Apokolokyntosis, che cifornisce lo storico Dione Cassio (LX 35). Questa parolaimplicherebbe un riferimento a kolokynta, cio la zucca, forsecome emblema di stupidit, e secondo Dione si tratterebbe diuna parodia della divinizzazione di Claudio decretata dal senato

    alla sua morte. Il fatto che nel testo senecano non ci sia accennoa una zucca, e che lapoteosi di fatto non abbia luogo, ha fattosorgere dubbi sullidentificazione dellopera menzionata daDione con il Ludus,dubbi che oggi giustamente sono quasi deltutto dissolti: il curioso termine andr inteso non cometrasformazione in zucca, ma piuttosto come deificazione diuna zucca, di uno zuccone, con riferimento alla fama non

    proprio lusinghiera di cui Claudio godeva. Molti dubbi eperplessit sono stati suscitati dal fatto che, a quanto sappiamoda Tacito (Annales XIII 3), lo stesso Seneca aveva scritto lalaudatio funebris dellimperatore morto (pronunciata da

    Nerone), ed parso a molti insostenibile un cos radicalecontrasto di comportamento. La difficolt ad ammettere che,subito dopo gli elogi ufficiali, Seneca potesse dare sarcasticosfogo al risentimento contro limperatore che lo avevacondannato allesilio ha anche indotto diversi studiosi a

    posticipare, a torto, la data di composizione (attorno al 60) di unpamphlet che si giustificava solo se reso pubblico (magari informa anonima) sullonda di un evento, come la divinizzazionedi Claudio, che dietro il fragile velo dellufficialit avevasuscitato le ironie degli stessi ambienti di corte e dellopinione

    pubblica (la composizione dellopera va quindi collocata nello

    stesso 54).Il componimento narra la morte di Claudio e la sua ascesa

    allOlimpo nella vana pretesa di essere assunto fra gli dei, i qualiIo condannano invece a discendere, come tutti i mortali, agliinferi, dove egli finisce schiavo del nipote Caligola e da ultimoviene assegnato al liberto Menandro: una condanna dicontrappasso per chi aveva fama di esser vissuto in mano deisuoi potenti liberti. Allo scherno per limperatore defuntoSeneca contrappone, allinizio dellopera, parole di elogio per ilsuo successore, preconizzando nel nuovo principato unet displendore e di rinnovamento.

    Lopera rientra nel genere della satira menippea (cos dettada Menippo di Gdara, liniziatore di questa forma letteraria -

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    cfr. p. 173 seg. - al quale sembrano rimandare, come comunemodello diretto, certe analogie del libello senecano con alcunidialoghi di Luciano), e alterna perci prosa e versi di vario tipo,in un singolare impasto linguistico e stilistico che accosta i toni

    piani delle parti prosastiche a quelli spesso parodicamentesolenni delle parti metriche, con sapide coloriture colloquiali e

    beffarde incursioni nel lessico volgare. Uno stile che rivela qua el assonanze con la prosa filosofica senecana, e arricchiscelimmagine della sua inventiva e versatilit di artista.

    Gli epigrammi

    Sotto il nome di Seneca vanno anche alcune decine diepigrammi in distici elegiaci tramandati in un codice del IXsecolo: sono anonimi, ma siccome tre di essi, in un altro codice,sono attribuiti a Seneca, pure per gli altri stata proposta

    lattribuzione a lui, anche se la paternit senecana in molti casidifficilmente sostenibile. Il livello generalmente decoroso manon particolarmente brillante; alcuni di essi accennanoallesperienza dellesilio del filosofo in Corsica.

    La fortuna

    La fortuna di Seneca, dallantichit allet moderna, imponente. Dopo la reazione al suo immediato successo,alimentata da Quintiliano e dal movimento arcaizzante, nellatarda antichit guadagn presso i Cristiani ( del IV secolo il

    falso carteggio con S. Paolo) quel prestigio altissimo che durper tutto il Medioevo e oltre, fino a influire profondamente sullacultura gesuitica, ma anche su quella protestante.

    Pi tarda (soprattutto dal XIV secolo in poi) la fortuna delletragedie, che dopo aver agito come modello del teatro tragicorinascimentale italiano influenzarono profondamente, con il loro

    barocco truce e tenebroso, il teatro elisabettiano, soprattuttoShakespeare. Ma la loro azione fu rilevante anche sul teatroclassico francese (Corneille, Racine, poi Voltaire) e su quelloromantico tedesco; in Italia soprattutto Alfieri, nella sua violenta

    polemica antitirannica, ne mutu la vibrante tensione.

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