Semiotica e Pubblicità 1

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Paolo Peverini Paolo Peverini [email protected] Semiotica e pubblicità Semiotica e pubblicità Prima parte Prima parte

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Slide per il corso di Paolo Peverini "Semiotica della Pubblicità" del corso ANICEC - Animatori della Cultura e della Comunicazione. Vieni a trovarci su www.anicec.it - www.facebook.com/anicec2013 - @anicec2013!

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Semiotica e pubblicità

La semiotica analizza la pubblicità come un ambito discorsivo composto da forme testuali diverse per linguaggio, per genere e per formato

La pubblicità può utilizzare un linguaggio radiofonico, televisivo, cinematografico

La pubblicità può essere commerciale, sociale, istituzionale, realizzata a fini politici, come supporto a una campagna elettorale

Il formato può variare: una serie di convenzioni regola le dimensioni di un annuncio su una rivista, la durata di uno spot, l’ampiezza di una pubblicità all’interno di un cartellone stradale

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Nei primi studi semiologici sulla pubblicità domina l’idea che

essa sia una pratica della comunicazione caratterizzata da uno

scopo dichiaratamente persuasivo

Roland Barthes nel 1964 si concentra sull’analisi dell’immagine

pubblicitaria partendo dalla teoria linguistica di Saussure e

tentando di utilizzare alcuni concetti chiave come segno, codice,

denotazione e connotazione per scomporre e indagare il

funzionamento della reclame.

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Per mettere alla prova il metodo di analisi semiologico Barthes si misura con la pubblicità della pasta Panzani, dando vita a un celebre studio che diventerà in seguito un classico della letteratura sul linguaggio pubblicitario

Barthes in particolare mira a verificare se dietro la componente visiva sia presente una struttura di segni o se al contrario l’immagine sfugga inevitabilmente a un’articolazione semiotica.

La scelta di analizzare l’immagine pubblicitaria è giustificata dal fatto che “in pubblicità il significato dell’immagine è sicuramente intenzionale: sono certi attributi del prodotto che formano a priori i significati del messaggio pubblicitario e bisogna trasmetterli il più chiaramente possibile” (Barthes 1964a, trad. it. p. 23)

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Il primo passaggio consiste nel descrivere l’immagine, le sue figure

Barthes sottolinea che entra in gioco qui un primo messaggio di natura linguistica (etichette dei prodotti e didascalia nel margine basso dell’immagine) che si fonda sul codice della lingua francese accompagnato da un secondo significato innescato dal naming della marca Panzani che attiva la connotazione di italianità.

Il verbale svolge una funzione essenziale di ‘ancoraggio’ della polisemia che caratterizza il visivo

Concentrandosi solo sull’immagine Barthes mette in evidenza che la scena suggerisce il rientro dopo la spesa al mercato in cui viene dichiaratamente rappresentata sia la fragranza dei prodotto che la destinazione domestica

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Emerge quindi un’articolazione del messaggio

Un primo segno “borsa della spesa” in cui il significante è la fotografia della borsa e il significato il concetto di borsa

Questo primo segno diviene il significante di una connotazione che esprime il significato di cucina casalinga

Un secondo segno composto dal pomodoro, dal peperone e dal tricolore che innesca il significato connotativo di italianità a partire dall’attivazione di alcuni stereotipi radicati nell’immaginario dei francesi

Nella pubblicità emergono inoltre altri segni che si fondano su codici di natura estetica e che possono essere riconosciuti da uno spettatore competente. È il caso della disposizione dei prodotti che evoca il motivo visivo della natura morta.

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L’immagine presenta dunque una struttura articolata in un messaggio letterale, denotativo e in uno simbolico o connotativo fortemente imbricati

Il messaggio di primo livello, quello denotativo, assicura l’identificazione del livello visivo ma svolge anche una funzione strategica per il discorso pubblicitario: rendere ‘innocente’, ‘naturale’ l’artificio del segno connotativo

In questo modo l’efficacia del segno connotativo è tanto maggiore quanto più esso sembra retrocedere di fronte all’evidenza del livello denotativo delle immagini: una ‘semplice’ fotografia che rappresenta dei prodotti alimentari consente l’ingresso dello stereotipo dell’italianità nel discorso promozionale.

L’immagine pubblicitaria rivela all’analisi semiologica la presenza di una vera e propria retorica

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Nel 1968 nel saggio La struttura assente Umberto Eco analizza il funzionamento della retorica visiva in pubblicità nel quadro più esteso dei valori ideologici che permeano una società

Eco, a partire dall’analisi di alcuni testi esemplari, si chiede se la pubblicità sia in grado di contribuire effettivamente all’accrescimento nutritivo delle ideologie o al contrario si limiti a riprodurre soluzioni fortemente codificate rivelando una natura ‘consolatoria’

Eco afferma che i codici al lavoro nei testi pubblicitari agiscono su un doppio registro: verbale e visivo. La retorica del linguaggio verbale e quella del linguaggio visivo si intersecano dando vita ad alcuni incroci. Non sempre il verbale consente di ancorare la lettura delle immagini, in alcuni casi accade il contrario

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Nell’immagine della pubblicità Camay analizzata da Eco, un uomo e una donna osservano dei quadri in uno spazio che grazie al catalogo possiamo identificare con Sotheby’s.

Il luogo e le caratteristiche visive dei personaggi attivano una serie di connotazioni relative al fascino, alla classe, all’agiatezza, al buon gusto

L’uomo guarda la donna con sicurezza, è certo della sua cultura perché guarda i quadri senza l’aiuto del catalogo

La donna è consapevole dello sguardo dell’uomo, cerca di guardare celando il suo interesse

pay off: “Quel fascino Camay che fa girar la testa”

headline: “Anche chi riesce a conquistare un tesoro d’arte può essere conquistato dal fascino Camay”.

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Nel body copy che magnifica le caratteristiche della saponetta Camay utilizzando espressioni come “prezioso”, “seducente”, “Irresistibile”, “girar la testa” vengono evocate delle caratteristiche del tutto divergenti rispetto alle suggestioni del visual. Le connotazioni colte del linguaggio visivo sono state impoverite

Linguaggio visivo e verbale si rivolgono dunque a due modelli di spettatore molto diversi.

Emerge “una curiosa contraddizione nell’emittente, che per la parte visiva si è ispirato a modelli pubblicitari più sofisticati, mentre per la parte verbale si è fidato di sistemi di persuasione già sperimentati per via radiofonica o in annunci meno impegnativi dal punto di vista grafico (1968, p. 176)

Nella pubblicità l’esigenza di utilizzare ciò che è assimilato dalla collettività si traduce in uno stile comunicativo che ripropone incessantemente soluzioni espressive fortemente codificate, semplicemente consolatorie