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Selvicoltura nelle foreste di protezione Esperienze e indirizzi gestionali in Piemonte e Valle d’Aosta Integrazioni e approfondimenti dei testi. Nuovi casi di studio

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Selvicoltura nelle foreste di protezione

Esperienze e indirizzi gestionali in Piemonte e Valle d’Aosta

Integrazioni e approfondimenti dei testi. Nuovi casi di studio

Integrazioni al manuale“Selvicoltura nelle foreste dei protezione”

l termine dell’esperienza condotta con il progetto Interreg III a “Gestion durable des forets de montagne à fonction de protection”, la Regione Piemonte ha finanziato l’analisi di alcuni nuovi casi di studio. Per la loro individuazione ci si è concentrati sulle tipologie forestali meno indagate nel corso del progetto, in particolare latifoglie e rimboschimenti.

Complessivamente sono stati individuati 5 nuovi casi e sono state redatte 7 nuove schede di valutazione della stabilità del popolamento.I nuovi casi di studio esaminati hanno dato origine ad alcune riflessioni e proposte di integrazione del testo del manuale “Selvicoltura nelle foreste di protezione”, redatto al termine del progetto “Gestion durable des forets de montagne à fonction de protection”.Vengono quindi presentati gli approfondimenti al testo del manuale con indicazione del capitolo di riferimento (essenzialmente il sesto) e del caso di studio che ha portato alle nuove riflessioni; seguono le schede dei nuovi casi di studio. Di seguito, con il termine “Manuale” si intende sempre il testo “Selvicoltura nelle foreste di protezione. Esperienze e indirizzi gestionali in Piemonte e Valle d’Aosta”.

HANNO COLLABORATO ALL’ANALISI DEI CASI DI STUDIO E ALLA REDAZIONE DEI TESTI Roberta Berretti, Fabio Meloni, Renzo Motta – Dipartimento Agro.Selvi.Ter. (Università degli Studi di Torino) casi di studio di Chialamberto e Macugnaga Lucia Caffo, Alberto Dotta – Consorzio Forestale Alta Valle Susa (Oulx – Torino) caso di studio di Pragelato Alessandro Canavesio, Paolo Camerano, Pier Giorgio Terzuolo – Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente S.p.a. (Torino) casi di studio di Valdieri e Groscavallo COORDINAMENTO EDITORIALE Franca De Ferrari – Settore Politiche Forestali (Regione Piemonte) Silvia Bruschini – Compagnia delle Foreste

IMPAGINAZIONE Maria Cristina Viara – Compagnia delle ForesteFOTOGRAFIE Fotografie degli Autori

EDITORE Compagnia delle Foreste S.r.l. via P. Aretino, 8 - 52100 Arezzo Tel. 0575.370846 – www.compagniadelleforeste.it

Riferimenti: paragrafo 6.1.1 - Caduta massi (diametro minimo degli alberi efficace per contribuire ad arrestare i massi); paragrafo 6.3 - Categorie forestali ed esigenze di stabilità selvicolturale (schede relative alle macrocategorie Fagge-te, Querceti e Castagneti, secondariamente Abetine, Pec-cete e Lariceti dell’orizzonte montano); Caso di studio di Groscavallo (TO).

A complemento di quanto definito nel Manuale, occorre va-lutare il ruolo protettivo esercitato dalle ceppaie con pollo-

ni di piccole dimensioni, ovvero con diametro inferiore alla soglia di 12,5 cm (definita utile in soggetti isolati per fermare i massi di minori dimensioni) qualora questi siano numerosi e presenti diffusamente, anche per gruppi.Le ceppaie possono essere costituite da specie alto-arbustive o da specie che comunque non raggiungono ordinariamente dimensioni elevate (sopra la soglia minima efficace), ovvero da giovani polloni di specie arboree ceduate. In prevalenza si tratta di nocciolo, assai diffuso come specie d’accompagnamento nel piano montano in quasi tutte le categorie forestali, che sponta-neamente assume il portamento a ceppaia con numerosi polloni ravvicinati di età e diametri diversi (aspetto di ceduo a sterzo na-turale). Talora possono diventare significative anche le presenze di altre specie quali maggiociondolo (Faggete degradate), sorbi e ontani.

Selvicoltura nelle foreste di protezione (integrazione)

Il ruolo delle ceppaie di arbusti o delle specie con polloni di piccole dimensioni nella protezione diretta da piccoli massi (detriti).

I polloni di piccole dimensioni (spesso di diametro inferio-re a 8 cm) svolgono un efficace ruolo di protezione esclu-sivamente nei confronti di massi piccoli o molto piccoli (dimensioni inferiori a 20 cm di diametro, classificabili come detri-ti), che spesso costituiscono un fenomeno di caduta costante su versanti più o meno ripidi con suoli superficiali. La loro presenza talora può rappresentare un segnale di allarme nei confronti di movimenti di distacco più importanti quali lave torrentizie e sci-volamenti superficiali. La funzione protettiva svolta dalle ceppaie è determinata sia dal numero dei polloni sia dalle loro dimensioni che, ove numero-si e ravvicinati, operano assieme: ciò che conta è il contributo complessivo della ceppaia, che può essere assimilata ad un uni-co individuo di diametro efficace. La funzione di protezione è particolarmente rilevante nel caso in cui nel soprassuolo arboreo siano carenti soggetti di maggiori dimensioni e/o la distribuzione delle piante sia disomogenea o lacunosa.Tenuto conto che per massi con diametro inferiore a 40 cm il diametro minimo efficace è compreso fra 12,5 e 20 cm, in base ai materiali rinvenuti depositati a monte (e quindi efficacemente contrastati) di ceppaie di nocciolo, è plausibile asserire che la protezione efficace è esercitata anche da gruppi di alberi con diametro inferiore 12,5 cm, purché numerosi (almeno 4 polloni) e con interdistanza non superiore al doppio del loro diametro.In prima approssimazione una ceppaia di nocciolo con almeno 4 polloni vitali di diametro medio 6 cm può corrispondere a un soggetto singolo con diametro superiore ai 12,5 cm; almeno 10 polloni possono corrispondere a 2 soggetti di dia-metro minimo efficace. Inoltre le ceppaie più ampie, con polloni piccoli distribuiti su una larghezza superiore ai 60 cm, possono contribuire ad arrestare massi fino a 40 cm.Pertanto nella valutazione del parametro “numero di piante/ha” per la definizione delle esigenze di stabilità in caso di caduta di de-triti, occorre conteggiare anche le ceppaie con soli polloni di pic-cole dimensioni purché vitali, secondo il rapporto sopra indicato.

Resistenza all’urto La capacità di ostacolare la caduta di massi dipende anche dalle caratteristiche tecnologiche del materiale colpito; in questo caso dalle caratteristiche dalle fibre legnose, che sono diverse da spe-cie a specie.L’urto è una sollecitazione dinamica; è definita resilienza la resi-stenza ad urto trasversale. I fattori che influenzano la resistenza all’urto sono:

inclinazione della fibratura: la resilienza si riduce all’au-mentare dell’angolo delle fibre rispetto all’asse verticale;densità: all’aumentare della densità del legno aumenta la resilienza dello stesso;

Ceppaie di nocciolo con numerosi polloni, in grado di garantire l’adeguata copertura del suolo e limitare le cadute di massi di piccole dimensioni

caratteristiche degli anelli e difetti: l’ampiezza degli anelli si riflette sulla densità del legno. I nodi e le fessu-razioni causano un forte decremento della resistenza ad urto dinamico. L’esame della zona di rottura per urto è indicativo della resistenza e delle condizioni del legno poi-ché legni all’alta resilienza presentano lunghe scheggiatu-re notevolmente deformate.

La tabella che segue riporta i diversi livelli di resistenza per le specie più diffuse nelle foreste piemontesi (da GIORDANO, 1976).

Specie Resistenza all’urto

Larix decidua discreta

Abies alba modesta

Picea abies modesta

Pinus cembra, P. sylvestris modesta

Pinus montana, P. uncinata bassa

Specie Resistenza all’urto

Robinia pseudoacacia molto elevata

Sorbus aucuparia elevata

Quercus petraea, Q. pubescens, Q. robur media-elevata

Fagus sylvatica media-elevata

Fraxinus excelsior, F. ornus notevole

Laburnum anagyroides notevole

Acer campestre, A. pseudoplatanus media

Betulla pendula media

Carpinus betulus media

Ostrya carpinifolia media

Castanea sativa bassa-media

Alnus incana bassa-media

Alnus glutinosa bassa

Populus alba, P. nigra, P. tremula bassa

Salix ssp. bassa

Tilia ssp. bassa

Conifere

Latifoglie

La problematica del ribaltamento delle ceppaie

Riferimento:Caso di studio di Chialamberto (TO)

Nel territorio alpino ed appenninico l’abbandono della gestione del ceduo di specie non stabili su terreni acclivi presenta una nuova problematica gestionale legata al fenomeno del ribalta-mento delle ceppaie. I popolamenti antropogeni per strut-tura e composizione (soprattutto Castagneti, Robinieti, talora Ostrieti e Querceti) abbandonati da 40 o più anni presentano spesso strutture molto dense ed uniformi, con un piano delle chiome continuo e compatto. I polloni, non più sottoposti a ta-glio, accrescono le loro dimensioni senza che a questo si accom-pagni un adeguato sviluppo dell’apparato radicale; quest’ultimo infatti presenta difficoltà nell’ulteriore sviluppo sia per l’elevata densità delle ceppaie sia per la riduzione di vitalità alla quale è sottoposto con il passare degli anni. Il progressivo squilibrio tra apparato epigeo e radicale indu-ce nella ceppaia una condizione di instabilità tale da favorirne il ri-baltamento al suolo. Questa instabilità endogena può essere essa stessa la causa del ribaltamento o la condizione che predispone al fenomeno la ceppaia quando questa è sottoposta all’azione di agenti esterni quali, ad esempio, il vento, in particolare con terreno saturo d’acqua o la neve. Le aperture create dai primi ri-baltamenti nel piano delle chiome e quindi la presenza di discon-tinuità possono indurre un fenomeno di crollo concatenato tra ceppaie vicine, oltre che di immediato travolgimento. Questo può accadere per vari motivi quali l’improvvisa mancanza di sostegno reciproco tra le chiome, o perché le ceppaie sul margine dell’aper-tura tendono a sfruttare il nuovo spazio accrescendo le chiome in modo sempre più asimmetrico. A questo si unisce la maggior esposizione all’azione del vento. La mancanza di appoggio reci-proco tra le chiome tende, nei terreni molto acclivi, a generare una successione di crolli che da valle si espande verso monte. Non sono ad oggi disponibili dati relativi alla correlazione esisten-te tra dimensione della ceppaie (inteso come numero di polloni e loro dimensioni) e fattori stazionali quali pendenza, topografia e tipo di suolo. Alcuni lavori di ricerca evidenziano però come il fenomeno del ribaltamento tenda ad aumentare, come atteso, con la pendenza del versante ma anche in funzione della to-pografia locale (PIVIDORI et al., 2008). Uno studio condotto in Svizzera (VOGT et al., 2006) evidenzia come a parità di suolo e pendenza la presenza di impluvi, defi-niti sia sul profilo verticale del pendio sia su quello orizzontale, e l’incremento in altezza creino le condizioni favorevoli al ribal-tamento delle ceppaie. Negli impluvi la maggior ricchezza in acqua e nutrienti favorisce lo sviluppo dei polloni sia in diame-

Ribaltamento di più ceppaie in seguito ad innesco di un crollo sequenziale

tro che in altezza, con una maggior tendenza all’inclinazione dei fusti ed all’asimmetria di chioma. Il suolo svolge un ruolo importante nel definire i valori limite dei diversi parametri oltre i quali la probabilità di ribaltamento diviene elevata sia in termini di litotipo che di profondità. Secondo alcuni autori il peso della pianta diviene irrilevante nel fenomeno di ribaltamento per suoli con profondità superiori a 150 cm mentre diviene par-ticolarmente influente nei suoli superficiali, profondi meno di 60 cm (HAMMOND et al., 1992). Studi condotti in Liguria (GIANNETTI et al., 2006) evidenziano come la stabilità dei castagneti cedui sia particolarmente critica su terreni con pendenza compresa tra 35 e 70% su substarti dominati da:

rocce eruttive compatte, ofioliti e rocce metamorfiche flysch arenaceo-marnosi ed arenarieargilloscisti e flysch argillosi

In alcune condizioni la dinamica instaurata dall’abbandono dei cedui alla libera evoluzione può quindi portare i popolamenti verso una condizione di forte instabilità meccanica. Da un punto di vista ecologico il crollo delle ceppaie con un disegno spaziale a mosaico può rappresentare un’opportunità per l’insedia-mento e lo sviluppo della rinnovazione di specie diverse dalla dominante (castagno). La capacità di reazione del popola-mento a questa opportunità è fortemente influenzata dalla ferti-lità stazionale (VOGT et al., 2006).Nell’analizzare la stabilità dei popolamenti di cedui abbandonati, siano essi di castagno o altre specie, è necessario quindi valutare con attenzione caso per caso il rischio di ribaltamento, sia nella situazione attuale sia le possibili variazioni con l’invecchia-mento dei polloni. Se sussistono le condizioni favorevoli al ribal-tamento delle ceppaie è necessario porre particolare attenzione alle situazioni più instabili come le zone di impluvio, quelle con

fenomeni di dissesto già in corso e le zone dove l’apertura del piano delle chiome possa dare origine crolli sequenziali. Il taglio dell’intera ceppaia può consentire un alleggerimento di que-sta ed un suo ringiovanimento anche radicale; tuttavia esso deve essere limitato in termini di superficie, per non dare origine ad aperture sfavorevoli al ruolo protettivo svolto ed abbinandolo al diradamento delle ceppaie più stabili. Per contro, il taglio a raso di singole ceppaie in popolamenti con alberi molto alti può non consentire una sufficiente illuminazione dei ricacci di polloni, che intristiscono (CONEDERA et al., 2009).

CONEDERA M., FONTI P., NICOLOSO A., MELONI F., PIVIDORI M.

(2009) Ribaltamento delle ceppaie di castagno.

Individuazione delle zone a rischio e proposte

selvicolturali Sherwood - Foreste ed Alberi Oggi, n° 154.

GIANNETTI F., TERZUOLO P.G., CAMERANO P., CANAVESIO A., (2006)

Analisi della funzionalità protettiva dei boschi in

relazione ai tipi forestali della Liguria. Relazione

finale Robiwood Project, Interreg IIIC.

GIORDANO G., (1976) Tecnologia del legno, vol. 3

Le prove e i legnami di più frequente impiego.

UTET, Torino.

HAMMOND C., HALL D., MILLER S., SWETIK P. (1992) Level I

stability analysis (LISA) documentation for version

2.0. USDA Intermountain Research Station, GTR, 285.

PIVIDORI M., MELONI F., NICOLOSO A., POZZI E., ARIENTI E.,

CONEDERA M. (2008) Ribaltamento delle ceppaie di

castagno. Due casi di studio in cedui invecchiati

Sherwood - Foreste ed Alberi Oggi, n°149.

VOGT J., FONTI P., CONEDERA M., SCHRODER B., 2006

Temporal and spatial dynamic of stool uprooting in

abandoned chestnut coppice forests. Forest Ecology

and Management 235 (2006) 88–95

Bibliografia

Riferimento:paragrafo 6.3 - Categorie forestali ed esigenze di stabilità selvicolturale Modifiche ed integrazioni di pag. 114 e seguentiCaso di studio di Pragelto (TO)

Circa i lariceti dei piani montano e subalpino, stabili o a lenta evoluzione, è necessario precisare che alcuni Lariceti montani (LC20), in particolari condizioni ecologiche e stazionali, possono non manifestare alcuna tendenza evolutiva, data l’assenza di specie differenti all’interno del popolamento e, più in gene-rale, di rinnovazione naturale. Tale situazione è stata riscontrata in valli dal clima continentale (endalpiche), in esposizioni fredde e su suoli mediamente poco fertili. In grassetto le modifiche apportate alle schede di pagina 119 e 120 del Manuale.

La scheda dei “Lariceti del piano montano in evoluzione” non necessita di modifiche essenziali, in quanto, pur non citando il riferimento al paragrafo 6.1 per le lave torrentizie, richiede popo-lamenti pluristratificati anche nelle esigenze minime.

Lariceti dei piani montano e subalpino stabili o a lenta evoluzione

Struttura

N° stratiMV 1 strato 2 strati

L riferimento schede specifiche paragrafo 6.1

Tessituraper piede d’albero e

per gruppi

per piede d’albero e almeno 2 grandi gruppi/ha, grado di

copertura leggero

Aperture riferimento schede specifiche paragrafo 6.1

Lariceti con potenzialità per il pino cembro

Struttura

N° stratiMV 1 strato 2 strati

L riferimento schede specifiche paragrafo 6.1

Tessitura per piede d’alberoper piede d’albero e collettivi, grado di copertura leggero

Aperture riferimento schede specifiche paragrafo 6.1

Lariceti e Cembrete

Il problema dei Lariceti del piano montanoLa determinazione del tipo forestale permette di entrare nelle schede delle categorie forestali e di scegliere la tabella delle “Esigenze di stabilità e indirizzi selvicolturali” di riferimento per il popolamento in esame. Talvolta le caratteristiche della foresta possono non trovare una corrispondenza diretta nella suddivisione in “Tipi con ruolo di protezione”, che raggruppa i differenti tipi forestali in classi correlate al dinamismo evolutivo della foresta. In modo particolare in questi casi è necessario valutare attentamente le potenzialità future della foresta, facendo riferimento alla composizione specifica, alle tendenze evolutive e alla rinnovazione presente e potenziale nel medio e lungo periodo.Tali valutazioni, necessariamente legate all’osservazione dello stato attuale e all’esperienza del selvicoltore, porteranno alla scelta di una determinata classe in funzione della dinamica evidenziata.In modo particolare tipi forestali che presentano una grande diffusione sul territorio possono presentare una discreta variabilità di tendenze evolutive, difficili da considerare e valutare puntualmente in tabelle di sintesi. Un esempio, emerso durante l’utilizzo del Manuale, è quello del Lariceto montano (LC20X), che può appartenere sia alla classe dei “Lariceti dei piano montano e subalpino stabili o a lenta evoluzione” sia ai “Lariceti del piano montano in evoluzione”. Ovvero:

Caduta massi in lariceto

Tipo Piano

dominanteCaratteristiche specie

accompagnatriciCommenti

LC 20X Lariceto monoplano

Poche specie arboree ed arbustive mesofile (quindi LC20), assenza di pascolo (ovvero non può essere LC10 ma è come se lo fosse da un punto di vista strutturale), alcune specie dei Rodoreto-vaccinieti (quindi non LC50 ma poco cambia per quanto concer-ne l’attitudine a contrastare i pericoli naturali).

Da un punto di vista strettamente tipologico il popolamento forestale è da ascrivere a LC20X, ma da un punto di vista della sua risposta alle sollecitazioni dei rischi naturali è da considerarsi come un Lariceto del piano montano o subal-pino a lenta evoluzione (LC10X o LC50X in funzione delle specie erbacee ed arbustive presenti), in quanto prevalgono le caratteristiche derivanti dalla semplificazione strutturale e soprattutto le considerazioni gestionali e selvicolturali ad esso legate. Da parte dell’utilizzatore del testo deve sempre prevalere la valutazione del rapporto esistente tra peri-colo naturale e struttura del popolamento. La definizio-ne oggettiva del tipo forestale può portare a valutazioni non corrette rispetto alle scelte gestionali da attuare in presenza di foreste di protezione. In presenza di popolamenti aventi funzione di protezione diretta con caratteristiche di transi-zione tra i diversi tipi, l’utilizzatore del testo deve valutare soggettivamente l’attribuzione al gruppo più corretto, ovvero quello in grado di descrivere con maggiore precisio-ne l’attitudine a contrastare il pericolo naturale. Ecco perché tali popolamenti sono da considerarsi fra i Lariceti del piano montano o subalpino stabili o a lenta evoluzione.

LC 20X Lariceto monoplano

Presenza di un ricco oriz-zonte di specie arboreo, ar-bustive ed arboree tipiche del piano montano.

Valgono le considerazioni contenute nel Manuale ovvero l’appartenenza al gruppo Lariceti del piano montano in evoluzione.

Cembrete e ruolo del pino cembroTenuto conto della attuale ridotta estensione di popolamenti a dominanza di pino cembro ed ancor più di Cembrete in purezza all’interno dell’arco alpino Piemontese e Valdostano, ma constatata la forte tendenza di questa specie a riconquistare spazi nei Lariceti, in attesa della redazione di specifiche schede di riferimento, occorre tenere conto delle precisazioni che seguono.

a) Pinete di pino cembro in purezza (LC70). In prima approssimazione possono valere le definizioni ed indicazioni gestionali descritte per i boschi misti di larice e pino cembro (LC50), come evidenziato nella scheda per le esigenze

di stabilità dei Lariceti con potenzialità per il Pino cembro. Chiaramente le caratteristiche stazionali ed ecologiche sono differenti, soprattutto nel caso di pinete di pino cembro pascolate e pertanto molto più rade (vedasi alcune porzioni del bosco dell’Alevè in Val Varaita-CN e del Piccolo Bosco di Salbertrand presso l’Alpe Selle-TO). Il pino cembro può, in condizioni favorevoli, tornare a scendere anche a quote piuttosto basse, raggiungendo talora l‘orizzonte montano superiore (fino a 1.400 m s.l.m.). In modo particolare la longevità del pino garantisce buone risposte fisiologiche anche da parte di individui centenari, il cui apparato radicale risulta ancora del tutto efficiente nel garantire la stabilità dell’albero, anche se il portamento è quello tipico di alberi vetusti, talvolta policormici. La persistenza degli aghi del pino in periodo invernale favorisce la stabilizzazione del manto nevoso in foresta, anche con densità di alberi non troppo elevate, fattore che distingue le Cembrete dai popolamenti misti con il larice nei confronti della stabilità al pericolo di valanghe. Le risposte delle Cembrete alla caduta di massi sono paragonabili a quelle del Larici-cembreto, in quanto il parametro di riferimento

fondamentale è il numero di piante ad ettaro e l’ampiezza delle aperture; tuttavia si può supporre una minore resistenza meccanica del legno di pino cembro rispetto al larice. Un buon approccio selvicolturale, non necessariamente legato alla dinamica delle sole foreste di protezione, potrebbe essere l’abbandono del pascolamento in bosco, al fine di favorire, almeno sul lungo periodo, lo sviluppo della rinnovazione naturale del pino cembro. Eventuali interventi selvicolturali dovranno avere come obiettivo il miglioramento delle strutture della cembreta, favorendo la presenza di popolamenti pluriplani per gruppi e collettivi stabili, la cui dimensione e localizzazione andrà valutata dettagliatamente in funzione delle caratteristiche stazionali e delle esigenze di stabilità.

b) Pinete di pino cembro nelle quali rimane presente unacomponente di larice (LC50). Valgono le specifiche contenute nella scheda già a disposizione con le singole valutazioni del caso.

Nei boschi di protezione la presenza e la possibilità di inserimento del pino cembro vanno in generale favorite e valorizzate.

Riferimento Modifiche ed integrazioni di pag. 131 e seguenti

L’uso pratico del Manuale suggerisce l’opportunità di redigere una scheda apposita anche per le Pinete di pino montano eretto (p. uncinato), separata da quella delle Pinete di pino silvestre; al momento è però possibile fare un approfondimento del testo comune per gli “indirizzi selvicolturali”.Qualora, per valutare le scelte gestionali dei popolamenti di pino montano a portamento eretto, si richieda la compilazione della scheda di valutazione, è possibile fare riferimento alle tipologie del pino silvestre a lenta evoluzione. Bisogna però considerare che i condizionamenti stazionali (in particolare edafici) nel caso delle Pinete di pino montano, generalmente pioniero o primario stabile, sono più severi; pertanto le esigenze di rinnovazione difficilmente potranno raggiungere le esigenze ideali. In tali casi è particolarmente utile la compilazione della parte posteriore della scheda (scheda esempio pag. 221), introducendo nelle “Note” le considerazioni effettuate in campo, al fine della valutazione degli interventi non ordinari da porre in atto per garantire la funzione protettiva di boschi altrimenti destinati ad evoluzione controllata o libera, nei quali non sarebbe prevista la gestione attiva se non appunto in casi di necessità per fini di protezione diretta.

Pinete di pino silvestre e di pino montano

Riferimento Modifiche ed integrazioni di pag. 90 del Manuale.

Per quanto concerne i Rimboschimenti si ritengono validi i riferimenti proposti dal Manuale e desunti dai “Tipi Forestali del Piemonte” e “ I Tipi Forestali della Valle d’Aosta”. In modo particolare è necessario valutare di volta in volta le tendenze evolutive in atto al fine di ponderare gli interventi selvicolturali sulla base delle dinamiche naturali delineate, valutando eventualmente la necessità di sostituire, nel lungo periodo, la specie del rimboschimento con altra specie o mescolanza di specie più idonee alla stazione e in grado di rispondere più efficacemente alle esigenze di stabilità.Qualora il rimboschimento con funzione protettiva non sia citato nel Manuale, al fine della scelta delle esigenze di stabilità, si farà riferimento al tipo forestale più affine in relazione alle tendenze evolutive manifestate dal popolamento artificiale, alle specie principali caratterizzanti la vegetazione arbustiva ed erbacea, nonché all’eventuale rinnovazione naturale presente. L’indicazione del tipo forestale del Rimboschimento verrà mantenuta nella compilazione della scheda di valutazione a prescindere dall’età e dallo stadio evolutivo del popolamento in esame, in quanto fornisce importanti elementi di analisi e di lettura delle esigenze di stabilità.

Rimboschimenti

Caso di studio

CHIALAMBERTO

Tipo forestale:castagneto acidofilo a Teucrium scorodonia

Pericolo naturale principale:caduta massi

Collocazione bosco:zona di distacco e transito

Bene protetto:centro abitato

Popolamento forestale:

Area campione Superficie: 5.671 m2

N. piante/ha: 1.144Area basimetrica/ha: 37,3 m2

Inquadramento generale:

Ambito geografico: Valli di LanzoComune: ChialambertoLocalità: ChialambertettoQuote: 900 - 1.100 m s.l.m.Pendenza media: 35°Esposizione prevalente: SudPrecipitazioni medie annue: 1.227 mmTemperatura media annua: 7,6°CMorfologia: versante complesso con salti di rocciaLitotipo: gneiss occhiadini

y = 7,1746Ln(x) - 8,5278R2 = 0,5235

y = 7,4864Ln(x) - 8,3035R2 = 0,7499

castagnorovere

castagno altre latifoglierovere larice

10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75

1,2% larice

5,1% pioppo

6,2% altre latifoglie

Numero Area Basimetrica Volume

n/ha % m2/ha % m3/ha %

piante da seme 342 29,9 11,7 31,3 96,1 30,7

polloni 802 70,1 25,6 68,7 217,2 69,3

totale 1.144 100,0 37,3 100,0 313,3 100,0

necromassa 92 8,0 1,5 4,1 9,4 3,0

Piante da seme Polloni

castagno roverealtre

latifogliecastagno rovere

altre latifoglie

Profondità di chioma (valore medio percentuale) 57 47 49 64 59 58

Rapporto di snellezza (h/d) (valore medio) 65 72 67 56 61 64

Piante con chiome fortemente asimmetriche (%) 38 76 50 58 76 14

Parametri dendrometrici:

Curve ipsometriche Distribuzione diametrica

Composizione specifica (n/ha):

18,8% rovere

68,7% castagno

* percentuale calcolata rispetto al totale delle piante vive

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Descrizione dell’intervento

L’analisi della stabilità del popolamento evidenzia come il

ceduo di castagno presenti caratteristiche di composizione,

densità, struttura e stabilità tali da assicurare il ruolo

protettivo del popolamento nel breve e medio periodo.

Le ceppaie, benché spesso presentino ancora un elevato

numero di polloni, sono caratterizzate da una stabilità

complessiva piuttosto elevata, sia per lo sviluppo della

chioma sia dell’apparato radicale. Nonostante l’elevata

pendenza ed il suolo a tratti molto superficiale, non sono

al momento presenti fenomeni di ribaltamento delle

ceppaie. La rinnovazione è pressoché assente a causa

dell’elevata copertura al suolo ed è rappresentata in

prevalenza da piccoli nuclei di abete rosso e di latifoglie

diverse dal castagno di origine gamica.

L’intervento di martellata ha lo scopo principale di

ringiovanire il popolamento favorendo le giovani piante

da seme affermate, in prevalenza di quercia e faggio, e

liberando alcuni nuclei di rinnovazione di abete rosso

presenti. La stabilità delle ceppaie viene migliorata

eliminando i grossi polloni morti o molto inclinati

presenti con l’obiettivo di prevenire eventuali fenomeni

di ribaltamento. Si è optato invece un taglio totale delle

ceppaie nel caso queste presentassero condizioni di

senescenza complessiva. Il taglio della ceppaia è totale

anche per quelle con caratteristiche di instabilità sulle

porzioni di salti di roccia e suolo superficiale incoerente.

La stabilità delle piante da seme viene favorita liberando

precocemente, con un diradamento, le chiome in modo

da ottenere uno sviluppo simmetrico di queste ed un

adeguata profondità di sul fusto.

Sintesi dell’intervento

Parametri dendrometrici relativi all’intervento

Prima dell’intervento Dopo l’intervento % di prelievo

Numero piante/ha 1.144 1.077 5,9

Area basimetrica (m2) 37,3 35,2 5,5

Volume (m3) 313,3 297,3 5,1

Diametro medio (cm) 20,2 20,0

Altezza media (m) 13,3 13,3

Altezza dominante (m) 18,3 18,2

Nord

pendenza

10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60

Distribuzione diametricapopolamento prima e dopo l’intervento

25

20

15

10

5

0

Distribuzione diametrica piante prelevate

conifere latifoglie piante da prelevare

Prima dell’intervento Dopo l’intervento

Caso di studio

GROSCAVALLO

Tipo forestale:querceto di rovere a Teucrium scorodonia var. con latifoglie miste

Pericolo naturale principale:caduta massi

Collocazione bosco:zona di transito

Bene protetto:centro abitato

La complessità del popolamento forestale presente in questo caso di studio ha indotto ad una sua suddivisione in due sottoparcelle (1 e 2) classificate rispettivamente come “Querceto di rovere a Teucrium scorodonia var. con latifoglie miste” e “Boscaglia montana sottotipo d’invasione”. Dove non diversamente specificato i dati fanno riferimento alla sola subparcella di Querceto di rovere (caratteristiche dendrometriche e interventi selvicolturali).

Popolamento forestale:

(1) di cui 444 ceppaie di arbusti non rilevabili perché di ø < 5 cm(2) di cui 514 ceppaie di arbusti non rilevabili perché di ø < 5 cm(3) di cui 398 ceppaie di arbusti non rilevabili perché di ø < 5 cm

Inquadramento generale:

Ambito geografico: Valli di LanzoComune: Groscavallo (TO)Località: PialpettaQuote: 1.140 - 1.300 m s.l.m.Pendenza media: 30°-35°Esposizione prevalente: SudPrecipitazioni medie annue: 1.227 mmTemperatura media annua: 7,6°CMorfologia: versante complesso con salti di rocciaLitotipo: gneiss occhiadini

Generale Sub parcella 1 Sub parcella 2

Superficie 6.860 m2 2.765 m2 4.095 m2

n° piante/ha 1.094 (1) 1.053 (2) 1.010 (3)

Area basimetrica/ha 21,2 m2 22,6 m2 26,60 m2

4,7% latifoglie mesofile

21,7% latifoglie pioniere

Numero Area Basimetrica Volume

n/ha % m2/ha % m3/ha %

piante da seme 388 72 17,6 78 180,3 84

polloni 151 28 5,0 22 34,1 16

totale 539 100 26,6 100 214,4 100

necromassa 166 31 3,7 20 46,5 22

RovereLatifoglie mesofile

Latifoglie pioniere

Arbusti

Profondità di chioma (valore medio percentuale) 39 36 31 37

Rapporto di snellezza (h/d) (valore medio) 79 61 88 82

Piante con chiome fortemente asimmetriche (%) 32 26 40 52

Parametri dendrometrici:

10 15 20 25 30 35 40 45

y=6,6918*LN(A79)-5,2789R2 = 0,3306

y=7,7991*LN(A79)-8,2609R2 = 0,3665

y=11,405*LN(A79)-17,32R2 = 0,583

roverelatifoglie mesofilelatifoglie pioniere

rovere latifoglie pionierelatifoglie mesofile arbusti

<10 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65

120

100

80

60

40

20

0

Curve ipsometriche Distribuzione diametrica

Composizione specifica (n/ha):

22,3% rovere

51,3% arbusti

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Querceto

Boscaglia

Descrizione dell’interventoL’intervento selvicolturale descritto è limitato alla sola porzione di parcella classificata come Querceto di rovere (sub parcella 1), tipologia forestale di cui il manuale “Selvicoltura nelle foreste di protezione” definisce le caratteristiche di stabilità minime e ideali. Per le Boscaglie non esistono ad oggi esperienze tali da poter definire quali siano i parametri minimi ed ideali tali da consentire a questo tipo forestale di assolvere alla funzione di protezione richiesta.

L’analisi del popolamento ha evidenziato problemi nella composizione, struttura e rinnovazione, rispettivamente per scarsa presenza di specie longeve e meccanicamente efficienti, rinnovazione di specie stabili e per la presenza di aperture di lunghezza oltre la soglia critica. In base a ciò i possibili interventi devono avere come obiettivo generale il miglioramento della composizione e della struttura, creando le condizioni per l’affermazione dei semenzali ed il passaggio ad un popolamento pluristratificato. Gli interventi proposti sono raggruppati in due categorie. La prima riguarda interventi prioritari, da realizzare nei prossimi 10 anni, di diradamento nei nuclei di pioppo tremolo per favorire le giovani perticaie di rovere, al fine di non perdere definitivamente una generazione di quercia, carente in tutte le classi diametriche, anche in relazione al fatto che il pioppo tremolo è instabile ed ha quasi esaurito la sua funzione di specie preparatoria. Operativamente il diradamento potrà essere di tipo massale, eliminando i diretti concorrenti della rovere, asportando indicativamente la metà degli individui in ogni gruppo. La seconda categoria di interventi, complementari, considera la possibilità di realizzare sottoimpianti con faggio al fine di migliorare il ruolo di protezione nei confronti delle valanghe. In contemporanea a tali interventi va previsto anche il diradamento dei polloni di maggior diametro su singole ceppaie di nocciolo per ridurne la copertura ove presente una rinnovazione affermata di latifoglie. In tutti i casi, si consiglia di non asportare il materiale di risulta degli interventi, ma di allestirlo diagonalmente alla massima pendenza in corrispondenza delle aperture o vicino al letto di caduta sia per migliorare il ruolo protettivo per la caduta massi e la reptazione della neve, sia per aumentare le stazioni favorevoli alla rinnovazione. La ramaglia può essere sparsa sulle ceppaie di ontano nero o sui nuclei di rinnovazione per limitare i danni da brucamento. Interventi da evitare sono il taglio di individui adulti di rovere e la ceduazione diffusa del nocciolo, di cui si conferma il ruolo complementare nel contrastare i pericoli naturali, in particolare nell’arrestare massi di piccole dimensioni da parte di ceppaie con polloni anche piccoli ma numerosi.

Sintesi dell’intervento

Parametri dendrometrici relativi all’intervento

Prima dell’intervento Dopo l’intervento % di prelievo

Numero piante/ha 539 509 5,6

Area basimetrica (m2) 22,6 21,1 6,5

Volume (m3) 214,4 202,1 5,7

Diametro medio (cm) 17,7 17,6

Altezza dominante (m) 12,6 12,6

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Distribuzione diametricapopolamento prima e dopo l’intervento

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Distribuzione diametrica piante prelevate

latifoglie piante da prelevare

Prima dell’intervento Dopo l’intervento

Caso di studio

VALDIERI

Tipo forestale:Abetina eutrofica var. con faggio

Pericolo naturale principale:caduta massi

Collocazione bosco:zona di transito

Bene protetto:strada

Popolamento forestale:

Area campione Superficie: 4.890 m2

N. piante/ha: 368Area basimetrica/ha: 39,8 m2

Inquadramento generale:

Ambito geografico: Valle GessoComune: Valdieri (Cuneo)Località: Vallone della Valletta delle TermeQuote: 1.500 - 1.850 m s.l.m.Pendenza media: 35°-38°Esposizione prevalente: OvestPrecipitazioni medie annue: 1.247 mm/annoTemperatura media annua: 5°CMorfologia: versante complesso solcato da impluvie canali di valangaLitotipo: graniti

1% acero di monte

6% abete rosso

2% larice

Numero Area Basimetrica Volume

n/ha % m2/ha % m3/ha %

piante da seme 350 95 38,9 97,7 449,1 98,4

polloni 18 5 0,9 2,3 7,5 1,6

totale 368 100 39,8 100 456,6 100

necromassa 65 17,8 4,8 12,1 38,6 8,5

Abete bianco

Abete rosso

Acero di monte Faggio Larice

Profondità di chioma (valore medio percentuale) 59 59 68 57 46

Rapporto di snellezza (h/d) (valore medio) 74 65 56 70 47

Piante con chiome fortemente asimmetriche (%) 15 8 50 35 75

Parametri dendrometrici:

10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70

y=10,042*LN(A80)-14,187R2 = 0,4746

y=12,354*LN(A80)-20,247R2 = 0,6368

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Descrizione dell’intervento

L’analisi del popolamento ha evidenziato problemi

nella struttura e rinnovazione, per la carenza di piante

d’avvenire nelle fasce diametriche inferiori e per l’evidente

scarsità di microstazioni favorevoli alla rinnovazione,

soprattutto per specie più eliofile come l’abete rosso ed il

larice, che sono rappresentate essenzialmente da grandi

alberi. A tal proposito sono assai scarse le specie arbustive

come sorbo degli uccellatori, idonee a proteggere

i semenzali dal brucamento. A livello compositivo

occorre favorire l’affermazione e la valorizzazione del

ruolo strutturale del faggio, attualmente presente con

prevalenza di individui nel piano dominato. I rari larici

stabili devono essere conservati il più a lungo possibile,

per il ruolo di portaseme in caso di eventi catastrofici che

annullino la copertura. In base a queste considerazioni

i possibili interventi,da realizzare con priorità media,

devono avere come obiettivo generale il miglioramento

della composizione e della struttura, creando le condizioni

per l’affermazione dei semenzali delle diverse specie.

Operativamente sono necessari prelievi a scelta per ridurre

la densità nei gruppi più densi di abete bianco, favorendo i

soggetti dominanti e con chioma profonda ed eliminando

quelli concorrenti lo sviluppo dei singoli individui di

faggio. Per il faggio è prioritario liberare le chiome delle

piante nelle diverse classi diametriche per farle ampliare,

migliorando contestualmente la stabilità complessiva dei

soggetti e favorendone il passaggio nel piano dominante.

Per migliorare gli aspetti relativi alla rinnovazione occorre

posizionare i tronchi di risulta dagli interventi sopraindicati

trasversalmente alla linea di massima pendenza (parte

inferiore della parcella), sia per fermare l’eventuale

rotolamento di massi e l’azione di spinta del manto nevoso,

sia per creare microstazioni favorevoli all’affermazione dei

semenzali. Per tentare di ridurre l’incidenza del brucamento

sull’abete può essere utile spargere la ramaglia attorno ai

gruppi di semenzali.

Sintesi dell’intervento

Parametri dendrometrici relativi all’intervento (su piante vive e morte in piedi)

Prima dell’intervento Dopo l’intervento % di prelievo

Numero piante/ha 368 349 5,5

Area basimetrica (m2) 39,8 38,0 4,5

Volume (m3) 456,6 437,5 4,2

Diametro medio (cm) 31,4 31,5

Altezza dominante (m) 18,6 18,6

Nord

pendenza

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Distribuzione diametricapopolamento prima e dopo l’intervento

Distribuzione diametrica piante prelevate

conifere latifoglie piante da prelevare

Prima dell’intervento Dopo l’intervento

Caso di studio

MACUGNAGA

Tipo forestale:pecceta montana mesalpica var. con larice e latifoglie

Pericolo naturale principale:caduta massi valanghe

Collocazione bosco:zona di transito

Bene protetto:centro abitato

Popolamento forestale:

Area campione Superficie: 5.025 m2

N. piante/ha: 420Area basimetrica/ha: 33,8 m2

Inquadramento generale:

Ambito geografico: Valle AnzascaComune: Macugnaga (Verbanio Cusio Ossola)Località: MacugnagaQuote: 1.400 - 1.450 m s.l.m.Pendenza media: 35°Esposizione prevalente: SudPrecipitazioni medie annue: 1.237 mmTemperatura media annua: 3°CMorfologia: versante accliveLitotipo: gneiss

0,5% maggiociondolo

4,3% faggio

Numero Area Basimetrica Volume

n/ha % m2/ha % m3/ha %

piante da seme 420 100 33,8 100 340,65 100

polloni

totale 420 100 33,8 100 340,65 100

necromassa 4 1 0,13 0,39 0,89 0,26

Abete rosso Larice Faggio

Profondità di chioma (valore medio percentuale) 73 60 73

Rapporto di snellezza (h/d) (valore medio) 63 64 81

Piante con chiome fortemente asimmetriche (%) 15 29 88

Parametri dendrometrici:

10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65

abete rosso

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Curve ipsometriche Distribuzione diametrica

Composizione specifica (n/ha):

22,7% larice

72,5% abete rosso

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Descrizione dell’intervento

Il popolamento analizzato presenta caratteristiche

strutturali di composizione, densità e stabilità tali da

garantire un ruolo protettivo nei confronti della caduta

massi. Solo la struttura verticale, monostratificata,

presenta una eccessiva uniformità per assenza di un

piano intermedio e dominato. La rinnovazione è però

presente in tutti i suoi stadi, da semenzale ad affermata,

nelle microstazioni più favorevoli, laddove la copertura al

suolo delle chiome è ridotta ed il suolo non è coperto da

vegetazione erbacea.

L’intervento di martellata mira principalmente a

favorire i nuclei di rinnovazione di abete bianco, abete

rosso e faggio già presenti e con ottimi accrescimenti

longitudinali. Il prelievo delle piante viene limitato solo

a tali nuclei per non ridurre eccessivamente la densità

del popolamento poiché questa è già prossima ai valori

dettati dalle esigenze minime.

Le piante abbattute sono disposte lungo le curve di livello

all’interno dell’apertura presente, direzionate lungo la

massima pendenza, in modo da ridurre il danneggiamento

dei nuclei di rinnovazione posti alle quote inferiori.

Il movimento dei tronchi a terra può inoltre favorire la

rottura del cotico erboso particolarmente compatto e

continuo nell’area creando condizioni di suolo minerale

favorevole alla germinazione dei semi.

Nel lungo periodo è ipotizzabile un nuovo intervento che

miri ad incrementare ulteriormente la complessità della

struttura verticale, in nuovi settori dell’area, attraverso

l’apertura di buche per favorire l’ingresso di luce al suolo e

la rottura del cotico erboso attraverso l’esbosco.

Sintesi dell’intervento

Parametri dendrometrici relativi all’intervento

Prima dell’intervento Dopo l’intervento % di prelievo

Numero piante/ha 420 404 3,8

Area basimetrica (m2) 33,8 31,8 5,9

Volume (m3) 340,6 320,7 5,9

Diametro medio (cm) 32,2 31,8

Altezza dominante (m) 24,0 24,0

Nord

pendenza

Distribuzione diametricapopolamento prima e dopo l’intervento

Distribuzione diametrica piante prelevate

conifere latifoglie piante da prelevare

Prima dell’intervento Dopo l’intervento

Caso di studio

PRAGELATO

Tipo forestale:Rimboschimento del piano montano var. a larice europeo

Pericolo naturale principale:valanghe

Collocazione bosco:zona di transito

Bene protetto:centro abitato

Popolamento forestale:

Area campione Superficie: 4.937 m2

N. piante/ha: 681Area basimetrica/ha: 40 m2

Inquadramento generale:

Ambito geografico: Valle ChisoneComune: PragelatoLocalità: Soucheres BassesQuote: 1.450 - 1.900 m s.l.m.Pendenza media: 36°(74%)Esposizione prevalente: NordPrecipitazioni medie annue: 894,9 mmTemperatura media annua: 4,4°CMorfologia: basso versante Litotipo: fascia piemontese dei calcescisti e delle rocce verdi con depositi glaciali colluviali

3,6% pino cembro

Numero Area Basimetrica Volume

n/ha % m2/ha % m3/ha %

piante da seme 681 100 40 100 454,4 100

polloni - - - - - -

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Larice Pino cembro

Profondità di chioma (valore medio percentuale) 33 66

Rapporto di snellezza (h/d) (valore medio) 94 65

Piante con chiome fortemente asimmetriche (%) 11 8

Parametri dendrometrici:

Curve ipsometriche Distribuzione diametrica

Composizione specifica (n/ha): 96,4% larice

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4 E Rinnovazione

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Descrizione dell’intervento

L’analisi del popolamento forestale ha evidenziato una

incipiente evoluzione del rimboschimento di larice verso un

popolamento misto con pino cembro, che in Val Chisone

scende a quote relativamente basse. L’ingresso naturale

di una conifera a foglia persistente permette di ipotizzare

sul lungo periodo la transizione dall’attuale struttura

monoplana verso strutture più articolate, pluripiane con

presenza di più fasce di diametro, in grado di garantire una

maggiore stabilità, in modo particolare nei confronti della

stabilizzazione del manto nevoso.

La buona densità del popolamento forestale permette di

ipotizzare un diradamento nel breve periodo finalizzato

ad accelerare le dinamiche naturali sopra descritte,

mediante l’abbattimento di gruppi di larici la cui presenza

compromette lo sviluppo dei nuclei di rinnovazione di pino

cembro presenti sotto copertura, rispettando i margini

interni e le piante scheletro del popolamento forestale.

Sintesi dell’intervento

Parametri dendrometrici relativi all’intervento

Prima dell’intervento Dopo l’intervento % di prelievo

Numero piante/ha 681 563 17,3

Area basimetrica (m2) 40,0 35,4 11,4

Volume (m3) 454,4 396,6 12,7

Diametro medio (cm) 26,3 27,3

Altezza dominante (m) 31,5 31,5

Nord

pendenza

300

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Distribuzione diametricapopolamento prima e dopo l’intervento

60

50

40

30

20

10

0

Distribuzione diametrica piante prelevate

conifere piante da prelevare

Prima dell’intervento Dopo l’intervento

Caso di studio

PRAGELATO testimone 1

Tipo forestale:Larici-cembreto su rodoreto-vaccinieto

Pericolo naturale principale:valanghe

Collocazione bosco:zona di transito

Bene protetto:centro abitato

Popolamento forestale:

Area campione Superficie: 4.900 m2

N. piante/ha: 578Area basimetrica/ha: 35,7 m2

Inquadramento generale:

Ambito geografico: Valle ChisoneComune: PragelatoLocalità: Soucheres BassesQuote: 1.450 - 1.900 m s.l.m.Pendenza media: 36°(74%)Esposizione prevalente: NordPrecipitazioni medie annue: 894,9 mmTemperatura media annua: 4,4°CMorfologia: medio versante Litotipo: fascia piemontese dei calcescisti e delle rocce verdi con depositi glaciali colluviali

23,7% larice

16,6% sorbo degli uccellatori

Numero Area Basimetrica Volume

n/ha % m2/ha % m3/ha %

piante da seme 578 100 33,2 100 300,5 100

polloni - - - - - -

totale 578 100 33,2 100 300,5 100

necromassa 19 3,29 2,5 7,5 18,8 6,3

Larice Pino cembro Sorbo degli uccellatori

Profondità di chioma (valore medio percentuale) 58 60 60

Rapporto di snellezza (h/d) (valore medio) 65 58 82

Piante con chiome fortemente asimmetriche (%) 7 12 47

Parametri dendrometrici:

Curve ipsometriche Distribuzione diametrica

Composizione specifica (n/ha): 59,3% pino cembro

0,4% pino silvestre

Selv

icol

tura

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Descrizione dell’intervento

Il popolamento forestale orami da decenni non è

interessato da interventi selvicolturali e presenta una

rapida dinamica evolutiva naturale verso una composizione

plurispecifica con presenza di tutte le classi diametriche.

In modo particolare sono ben rappresentate le fasi giovanili

del popolamento con frequenti nuclei di rinnovazione di

pino cembro e di larice e le fasi senescenti, caratterizzate

da individui di dimensioni “monumentali” di larice e

cembro.

La presenza di una buona percentuale di pino cembro

garantisce una ottimale copertura invernale, che favorisce

un miglioramento della stabilità del manto nevoso.

Le aperture presenti nel popolamento forestale che

costituiscono potenziali zone di distacco di valanghe in

bosco, sono in fase di chiusura grazie alla presenza del

sorbo, che sul medio periodo viene sostituito dal pino

cembro e dal larice, in formazioni decisamente stabili.

Le condizioni di grande naturalità e la stabilità strutturale

del popolamento forestale non fanno ipotizzare la

necessità di interventi selvicolturali, pertanto il presente

caso di studio può costituire un modello di evoluzione

auspicabile per i lariceti con potenzialità per il pino cembro

del piano subalpino e, localmente, per il piano montano

superiore.

Sintesi dell’intervento

Parametri dendrometrici relativi all’intervento

Prima dell’intervento Dopo l’intervento % di prelievo

Numero piante/ha 578 - -

Area basimetrica (m2) 33,2 - -

Volume (m3) 300,5 - -

Diametro medio (cm) 21,8 - -

Altezza dominante (m) 30,6 - -

Distribuzione diametricapopolamento prima e dopo l’intervento

Caso di studio

PRAGELATO testimone 2

Tipo forestale:Larici-cembreto su rodoreto-vaccinieto

Pericolo naturale principale:valanghe

Collocazione bosco:zona di distacco e transito

Bene protetto:centro abitato

Popolamento forestale:

Area campione Superficie: 5.064,5 m2

N. piante/ha: 351Area basimetrica/ha: 33,1 m2

Inquadramento generale:

Ambito geografico: Valle ChisoneComune: PragelatoLocalità: Soucheres BassesQuote: 1.450 - 1.900 m s.l.m.Pendenza media: 36°(74%)Esposizione prevalente: NordPrecipitazioni medie annue: 894,9 mmTemperatura media annua: 4,4°CMorfologia: medio versante Litotipo: fascia piemontese dei calcescisti e delle rocce verdi con depositi glaciali colluviali

16,3% pino silvestre

15,2% pino cembro

Numero Area Basimetrica Volume

n/ha % m2/ha % m3/ha %

piante da seme 351 100 33,1 100 321,0 100

polloni - - - - - -

totale 351 100 33,1 100 321,0 100

necromassa 14 3,93 0,2 0,7 8 2,5

Larice Pino cembro Pino silvestre

Profondità di chioma (valore medio percentuale) 54 62 67

Rapporto di snellezza (h/d) (valore medio) 56 62 47

Piante con chiome fortemente asimmetriche (%) 12 7 0

Parametri dendrometrici:

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Curve ipsometriche Distribuzione diametrica

Composizione specifica (n/ha): 68,5% larice

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Descrizione dell’intervento

La struttura e la composizione dell’attuale popolamento

forestale sono in parte il risultato della passata gestione

selvicolturale, caratterizzata da prelievi di masse anche

importanti a carico del larice e del pino silvestre mediante

taglio a scelta colturale. La disponibilità di luce al suolo ha

reso possibile l’affermazione della rinnovazione naturale

del pino silvestre e del pino cembro, in funzione delle

caratteristiche stazionali, che attualmente hanno raggiunto

lo stadio evolutivo del novelleto, con forte copertura del

suolo. Lo strato dominante è costituito da larici e pini

silvestri che danno origine ad un popolamento monoplano

con debole differenziazione in classi diametriche e

cronologiche.

La copertura invernale attuale è discreta e per lo più legata

alle fasi giovanili del popolamento, mentre il larice del

piano dominante costituisce lo scheletro del popolamento

forestale, che unitamente alla presenza di legno morto al

suolo crea strutture stabili, in grado di contrastare l’innesco

di scivolamento del manto nevoso.

Dall’analisi del popolamento forestale in relazione alla

funzione protettiva nei confronti del sottostante centro

abitato non è emersa la necessità di un intervento

selvicolturale nel breve e medio periodo, tuttavia la

situazione che si può osservare costituisce un modello

selvicolturale auspicato per larici-cembreti del piano

subalpino e del piano montano superiore nei quali da

destinazione protettiva sia affiancata alla produzione di

assortimenti legnosi di qualità.

Sintesi dell’intervento

Parametri dendrometrici relativi all’intervento

Prima dell’intervento Dopo l’intervento % di prelievo

Numero piante/ha 351 - -

Area basimetrica (m2) 33,1 - -

Volume (m3) 321,0 - -

Diametro medio (cm) 31,5 - -

Altezza dominante (m) 27,7 - -

Distribuzione diametricapopolamento prima e dopo l’intervento

ISBN 10: 88-901223-5-8ISBN 13: 978-88-901223-5-4