Segni dell’uomo NELLE TERRE ALTE d’Aspromonte · Segni dell’uomo NELLE TERRE ALTE...

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Segni dell’uomo NELLE TERRE ALTE d’Aspromonte A cura di Alfonso Picone Chiodo

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Segni dell’uomoNELLE TERRE ALTE

d’AspromonteA cura di Alfonso Picone Chiodo

Cura editoriale: Giuseppe Pontari

Grafica: Carla Carbone

Copyright © 2005 Edimedia edizioni

www.edimedia.net

Edimedia di Concetta Giuffré & C. s.a.s.51012 Pescia PTVia Degli Alberghi 61Tel./fax 0572444987e-mail [email protected]

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ISBN 88-86046-29-4

Finito di stampare nel mese di giugno

Stampa: Rubbettino

Pubblicazione realizzata con il contributo del Ministero dell’Ambiente e della Tuteladel Territorio

Si ringraziano

A.FO.R. (Azienda Foreste Regionali)

Archeoclub d’Italia, sede di Reggio Calabria

Associazione delle Guide Ufficiali del Parco

C.T.A. (Coordinamento Territoriale per l’Ambiente del C.F.S.)

Comune di Bagaladi

Comune di Cittanova

Cooperativa San Leo di Bova

Deputazione per la Storia Patria

Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte

Fondazione Corrado Alvaro

Soprintendenza Archeologica per la Calabria

Università degli Studi Mediterranea di Reggio CalabriaFacoltà di Architettura

Università della Calabria

Le informazioni turistiche contenute nel libro possono essere soggette a variazioni,nessuna indicazione ha valore assoluto. Decliniamo quindi ogni responsabilità pereventuali inconvenienti subiti dal lettore e ringraziamo quanti vorranno segnalarcieventuali variazioni o inesattezze.

PREMESSA 7PRESENTAZIONE 9INTRODUZIONE 11L’eloquenza dei segni 13A piedi nei Parchi Nazionali dell’Appennino calabrese 15Un po’ di storia in Aspromonte 17Aspromonte: l’ambiente 21

Terre alte in Aspromonte1. I ruderi di Pietro Montalto 272. Pietra Salva Delianova 313. Le muraglie antique del monte Fistocchio Scido 354. Croce di Toppa Santa Cristina 395. Palazzo di Zervò Oppido Mamertina 416. La pietra di San Trabus Cittanova 457. Palazzo di Zomaro Cittanova 478. Bragatorta Cittanova 559. Calcara Cittanova 5710. Altanum San Giorgio Morgeto 6311. Torre Carditto San Giorgio Morgeto 6912. Villaggio U.N.R.R.A. Mammola 7713. Chiesa dei SS. Pietro e Paolo Ciminà 7914. Rocche di San Pietro Natile Vecchio 8715. San Giorgio di Pietra Cappa San Luca 9916. Pietra Castello San Luca 10717. Precacore Samo 12118. La grotta di Nino Martino Samo 12919. Gli ovili di monte Perre Samo 13120. Chiesa di S. Maria dell’Alica Palizzi 14121. La ‘nsilicata di Polemo Bova 14722. Sauccio Bagaladi 153

BIBLIOGRAFIA 161Informazioni sui siti 163Il CAI sez. Aspromonte 164Il Parco Nazionale dell’Aspromonte 165

INDICE

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PREMESSA

L’Aspromonte ha fama d’essere inaccessibile, selvaggio e da queste caratteristiche sembra conseguente

discenda una natura primordiale e l’integrità degli ecosistemi naturali. Ciò è vero in parte perché non vi

è luogo di questa montagna dove l’uomo non sia giunto ed abbia lasciato il segno della sua presenza.

Nel nostro camminare lungo i sentieri (ma spesso al di fuori di essi) sono frequenti gli incontri con segni

della presenza dell’uomo e su di loro ci siamo sempre interrogati per capire quale fosse la vita di quanti abi-

tavano l’Aspromonte. Molto ci è stato chiarito dai numerosi studiosi che, ormai da oltre un decennio, ci

affiancano in questa ricerca ma il progetto supportato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del

Territorio ci ha consentito di approfondire tale indagine e, soprattutto, curarne la divulgazione con questo

libro.

I siti individuati, scelti da un lungo elenco, sono stati oggetto di studio e di indagine secondo le seguenti

fasi:

– ricerca bibliografica preliminare;

– acquisizione del corredo cartografico;

– ricerca sul campo;

– documentazione fotografica e grafica dello stato di fatto;

– divulgazione dei risultati presso alcuni istituti scolastici della provincia con organizzazione di visite guidate.

Finalità del progetto sono:

produzione di documentazione di questi “segni”;

tutela di tali risorse;

migliorare la qualità dei servizi culturali per la valorizzazione di tale patrimonio;

promozione della conoscenza e della divulgazione tramite la pubblicazione di prodotti editoriali.

Il progetto ha visto il coinvolgimento di numerosi enti.

Sono inoltre tanti gli studiosi ed esperti locali che, con pazienza, ci hanno aiutato in tale opera. È a tutti

che va il nostro più sentito ringraziamento.

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Ci auguriamo pertanto che tale impegno corale contribuisca alla conoscenza ed alla corretta fruizione di

questi luoghi negletti e dell’intero territorio del Parco. Ma già si vedono segni “moderni” dell’uomo nelle

terre alte dell’Aspromonte che ci fanno ben sperare: guide, cooperative ecoturistiche, rifugi, ecc.

La nostra infatti non è stata un’operazione nostalgica ma un tentativo di conoscere il nostro passato per

dare speranza al futuro.

Alfonso Picone Chiodo

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Una stretta fascia costiera da Reggio Calabria si allunga sul Tirreno e lo Ionio recingendo una delle più

suggestive zone d’Italia: l’Aspromonte, un ventaglio aperto su due mari.

Da un ambiente di tipo mediterraneo si passa in breve tempo sulle pendici del massiccio cristallino che

digrada verso il mare con una serie di imponenti gradinate note come “piani” o “campi”, terrazze naturali

dalle quali è possibile ammirare le fiumare biancheggianti scorrere lungo i pendii della montagna sino a lam-

bire la fascia costiera.

La perfetta convivenza tra ambiente marino e paesaggi montani offre panorami ineguagliabili dai colori

intensi che si alternano, si fondono, sfumano gradatamente dando vita ad una gamma cromatica sorpren-

dente.

Sulle cime di questo massiccio boscoso, coperte da querce, lecci, pini, faggi e abeti, è possibile cogliere ovun-

que notevoli presenze storiche, artistiche e archeologiche, testimonianze della cultura arcaica, classica, greca,

medievale e moderna nonché tracce della civiltà montana che, a causa del progressivo esodo dalle montagne,

rischia di andare completamente perduta.

Siti archeologici, fortificazioni belliche, edifici religiosi, romitori, incisioni su roccia, borghi abbandonati ed

insediamenti pastorali costituiscono un vero e proprio patrimonio naturale e culturale da tutelare e valoriz-

zare.

Rileggere la montagna in termini di ricchezza ambientale e culturale consente di salvaguardare non solo

gli aspetti naturalistici e geografici di questi territori, ma di tenere nella giusta considerazione il rapporto

dialettico tra l’uomo e l’ambiente.

Questa esigenza di un recupero, di una riscoperta delle Terre Alte dell’Aspromonte, attraverso i “segni del-

l’uomo” come criteri guida per un nuovo rapporto uomo-natura, è il messaggio racchiuso in questo pregevo-

le volume curato dalla sezione di Reggio Calabria del Club Alpino Italiano che offre al lettore l’opportunità

di avvicinarsi alle problematiche antropiche delle aree interne, attraverso l’interesse per una valorizzazione

autentica del territorio montano oltre i confini puramente fisici della montagna stessa, rivalutando l’aspet-

PRESENTAZIONE

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to culturale e antropologico, arginando il fenomeno del recente abbandono, per riscoprire, rivivere, far cono-

scere e visitare con una consapevolezza diversa questi bellissimi luoghi.

Dott. Aldo CosentinoDirettore Generale della Direzione per la Protezione della Natura

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio

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INTRODUZIONE

Per iniziativa di Quintino Sella, ben 140 anni or sono venne fondato il Club Alpino Italiano. L’art. 1 dello

Statuto originario recitava che «…il Club ha per iscopo la conoscenza e lo studio delle montagne…»

Nei tanti anni successivi il fine sociale si è ampliato e precisato, si sono aggiunti da una parte la pratica

dell’«…alpinismo, in ogni sua manifestazione…» e dall’altra «…la difesa dell’ambiente naturale…» della

montagna.

Come tutti gli altri Club Alpini Europei, il CAI nasce come Associazione culturale, e tale anima rimane a

renderne nobile l’azione, anche se è più conosciuto il volto dell’organizzazione della frequentazione della

montagna nel tempo libero dei cittadini, con la rete dei rifugi e dei sentieri segnati, delle grandi imprese

sportive e dell’educazione ambientale.

Anche con questo spirito opera il gruppo di studio “TERRE ALTE”, costituitosi nel 1991 all’interno del

Comitato Scientifico Centrale.

È infatti lo stato di “emergenza culturale” in cui si trovano vaste aree della montagna italiana che risulta

particolarmente preoccupante, e di cui il Gruppo coordina a livello nazionale una vasta operazione di censi-

mento, documentazione e catalogazione dei “segni” della presenza umana in quota.

Infatti a causa dell’abbandono o dell’introdursi di nuove attività turistiche o sportive, tali segni si stanno

rapidamente degradando o rischiano di scomparire, comportando la perdita di un patrimonio storico cultu-

rale sulle “terre alte”.

La documentazione di questi “segni” ha compreso inizialmente reperti in pietra scheggiata, incisioni rupe-

stri, cippi confinari, sentieri lastricati o selciati, ricoveri pastorali; in una fase successiva ci si è proposto l’am-

bizioso disegno di una documentazione esaustiva di tutte le forme dei segni della presenza storica dell’uo-

mo nel territorio. Dove è in corso (Bergamasca, Liguria, monte Linas (CA), provincia di Rieti e, più recente-

mente, in Aspromonte), ci si è resi conto che è molto impegnativa e richiede la mobilitazione di conoscen-

ze e competenze specialistiche a tutto campo, di collaborazioni istituzionali, di congrue disponibilità finan-

ziarie.

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È quanto si sta facendo in Aspromonte dove la sezione del CAI di Reggio Calabria, grazie ad un contribu-

to del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, ha condotto una ricerca che ha visto il coinvolgi-

mento di diversi ed importanti soggetti istituzionali.

La pregevole pubblicazione che presentiamo da conto di una parte della ricerca che, siamo certi, produrrà

altri frutti.

Prof. Oscar CasanovaCommissione Protezione Montagna UIAA

(Unione Internazionale Associazione Alpine)Ricercatore del gruppo “Terre Alte”

del Comitato Scientifico Centrale del Club Alpino Italiano

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La conoscenza delle montagne realizzata attraverso una loro consapevole frequentazione è stata la sfida

che il Club alpino italiano ha lanciato fin dalla sua nascita, quando l’Italia si stava faticosamente forman-

do e le diverse regioni storiche e geografiche incominciavano a ripensarsi all’interno di un disegno unitario.

Il carattere nazionale del Sodalizio ha significato dai suoi esordi una chiara volontà etica e sociale partita da

una Torino subalpina sempre più proiettata fuori dai propri confini regionali. “Testimonial” d’eccezione è

stato proprio il calabrese Giovanni Barracco che Quintino Sella ed i suoi amici piemontesi hanno voluto

intenzionalmente coinvolgere nel concepimento del Sodalizio avvenuto in punta al Monviso il 12 Agosto del

1863.

Alpi ed Appennini hanno incominciato così a rappresentare il terreno di elezione di una pratica della mon-

tagna finalizzata anzitutto all’esplorazione del territorio. Un territorio da far conoscere soprattutto ai giova-

ni per rafforzare in loro un sentimento di appartenenza da condividere sia sul piano materiale che su quello

simbolico.

Le prime scelte operative di quasi tutte le Succursali del Sodalizio (le attuali Sezioni) hanno, infatti, riguar-

dato lo studio degli aspetti naturalistici e storico-culturali delle rispettive aree geografiche nella convinzio-

ne che i territori montani, anche i più modesti per altitudine e notorietà, dovessero avere pieno diritto di cit-

tadinanza nelle attività di istituto del Sodalizio. Proprio questo appello alla montagna minore e meno cono-

sciuta rappresenta un richiamo forte alle origini di cui oggi abbiamo sempre più bisogno per conferire nuovo

senso al nostro essere Soci.

Le tendenze della società attuale, proiettate sempre più verso la cultura della performance atletica e spor-

tiva, rischiano di “colonizzare” e stravolgere anche le motivazioni più autentiche del nostro “andar-per-

monti”, di far prevalere scopi e finalità che non ci appartengono in nome dei “fuochi fatui” delle mode.

Ma se la modernizzazione degli approcci alla montagna attraverso nuove tecniche non ci deve lasciare

indifferenti, decisivo deve però essere il monito a perseguire gli scopi e le finalità conoscitive ed esplorative

di cui questa vostra lodevole iniziativa di ricognizione culturale delle “terre alte” di Calabria rappresenta un

L’eloquenza dei segni

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esempio virtuoso. Il Club alpino italiano, soprattutto nei territori più periferici della Penisola, è chiamato a

testimoniare a favore di quell’opera di ri-territorializzazione e di ri-alfabetizzazione sempre più minacciate

dall’omologazione livellatrice dei “non-luoghi”. Tutte le montagne sono infatti importanti giacimenti cultu-

rali di presenze umane che, in epoche diverse, hanno lasciato segni solo apparentemente muti quanto estre-

mamente eloquenti per chi sa de-codificarli e leggerli con passione ed entusiasmo.

L’invito che rivolgo a tutti gli amici impegnati in queste attività di ricerca è di contribuire, attraverso la

conoscenza e lo studio del territorio, a demolire lo stereotipo della montagna come “luogo marginale” (per

fatalismo o per definizione geografica) e far emergere, invece, l’idea forte che la marginalità è, soprattutto,

figlia dell’emarginazione la quale – in ultima analisi – rappresenta una costruzione ed una scelta culturale di

natura etico-politica.

Prof. Annibale SalsaPresidente Generale

del Club alpino italiano

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Il Club alpino italiano Regione Calabria ha realizzato un progetto per la valorizzazione e la tutela del terri-

torio dei Parchi nazionali della Calabria nell’ambito dell’accordo quadro triennale 2003/2005 sottoscritto

tra il Club alpino italiano e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. Il progetto, denominato

“A piedi nei Parchi Nazionali dell’Appennino calabrese”, coinvolge le sezioni calabresi di Catanzaro,

Castrovillari, Cosenza e Reggio Calabria.

Le azioni prevedono l’informatizzazione del catasto dei sentieri mediante G.I.S., la gestione di sentieri, la

realizzazione di interventi strutturali presso rifugli, mirati anche a contenere i consumi energetici, la valoriz-

zazione dei segni dell’uomo sulle terre alte e la tutela dell’ambiente montano.

La sezione Aspromonte di Reggio Calabria ha ben saputo realizzare a livello locale il progetto riguardante

la presenza umana in quota che il Club alpino italiano sta conducendo a livello nazionale.

Questo pregevole testo, grazie all’attività di studio e di indagine condotta in collaborazione con Enti qua-

lificati e prestigiosi, evidenzia che l’ambiente del Parco Nazionale dell’Aspromonte ospita, oltre a un patri-

monio di eccezionale interesse naturalistico, anche importanti testimonianze della presenza umana nelle

terre alte.

La pubblicazione di questo volume è una ulteriore prova che viene ad arricchire la fruttuosa collaborazio-

ne tra il Club alpino italiano e il Parco Nazionale dell’Aspromonte.

Si ringrazia l’Osservatorio Tecnico per l’Ambiente del Club alpino italiano, nella persona del dott. Alberto

Ghedina, e la sezione Aspromonte, nella persona del suo incontenibile presidente dott. Alfonso Picone

Chiodo, per la particolare attenzione che hanno rivolto per il successo di questo progetto.

Auguro che questa iniziativa faccia riflettere molti lettori e sia di esempio per iniziative di più grande por-

tata.

Prof. Antonino FalcomatàPresidente del Club Alpino italiano Regione Calabria

A piedi nei Parchi Nazionali dell’Appennino calabrese

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Gli antichi non distinguevano l'Aspromonte dalle Serre o dalla Sila: la parte montuosa del Bruzio era tutta

detta Sila, termine che propriamente significa materia prima, bosco. Infatti per secoli e secoli i monti

dell'attuale Calabria furono rinomati preminentemente per due prodotti boschivi: il legname e la pece, che

si ricavava dalla resina dei pini. La pece, che trovava un impiego speciale nel calafataggio delle navi, fu usata

assai dai Greci, che ne seppero anche ricavare un micidiale prodotto di guerra detto pece greca, efficace

come materiale incendiario. Il legname serviva sia per le navi sia per le diverse opere di ingegneria, e spe-

cialmente per questo secondo motivo i Romani, quando si impadronirono della terra bruzia, iniziarono un'o-

pera di disboscamento senza scrupoli ecologici. Nonostante ciò, tutti i monti dell'attuale Calabria, e quindi

anche il massiccio oggi denominato Aspromonte, erano maestosamente ricchi di manto boschivo e lo rima-

sero fino a tutto il medioevo, così che molti corsi d'acqua, oggi ridotti a pittoresche e terribili fiumare, erano

fiumi navigabili.

Gli studi sulla Calabria antichissima ci attestano che fin dalle età più remote le alture della attuale Calabria

furono luoghi molto frequentati. Le culture dell'età protostorica vi collocarono di preferenza i centri residen-

ziali e le vie di comunicazione, che permettevano un collegamento celere fra le varie località della nostra

terra, fossero esse site nel versante ionico o nel versante tirrenico.

A monte e a valle dei centri abitati, la pastorizia e l'agricoltura sfruttavano, secondo le stagioni e le esigen-

ze operative, sia le coltivazioni ed i pascoli vallivi sia quelli di altura. Chi dice oggi che i nostri paesini mon-

tani ebbero origine per la fuga dai pericoli delle scorribande marittime, operate soprattutto dai Saraceni, non

prende in considerazione né il fatto che l'età in cui si formarono molti abitati di altura fu precedente agli

assalti dei Saraceni, né la forte componente tradizionale del ritorno alle scelte abitative già memorizzate da

millenni, quando venne meno il particolare richiamo del mare, di cui era portatrice la cultura dell'antica

Grecia, e crebbe la moda dell'attività campestre, specialmente durante l'età tardo antica.

Per gli antichi coloni greci che, venendo dal mare, si stanziarono nella nostra terra, la montagna, e quindi

anche il nostro Aspromonte, oltre ad offrire materiale ligneo e pece, rappresentava due realtà assai diverse:

Un po' di storia in Aspromonte

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una, molto attraente, di vasta area commerciale, l'altra di pericolo. Perchè gli indigeni che abitavano le altu-

re avevano tanta esperienza da apprezzare e ricercare i prodotti delle officine greche, abbastanza ricchezza

per acquistarli, soprattutto con il baratto di materie prime o di prodotti agropastorali, e notevole organizza-

zione bellica per tenere a bada o rintuzzare le velleità espansionistiche dei Greci. Fin da quella età, dunque,

la nostra montagna significò, come oggi, per gli abitanti della costa, offerta di prodotti del suolo genuini e

pericolo di reazioni assai ostili alla provocazione di gente che si riteneva più civile. Ma anche per i Greci la

nostra montagna divenne presto una via, non appena essi si accorsero che i collegamenti fra i principali cen-

tri della costa ionica e le loro subcolonie della costa tirrenica erano più facili e rapidi mediante l'attraversa-

mento concomitante di due diverticoli della via di quota. I Romani, poi, ne fecero l'asse portante delle comu-

nicazioni stradali. Essi fecero passare in quota la via Popilia e consolidarono sullo spartiacque dell'attuale

Aspromonte l'arteria di accesso alle fortificazioni che vi avevano impiantato; questo assetto si confermò

soprattutto durante l'età tardo antica, le cui scelte logistiche e strategiche rilanciarono l'abitudine delle fre-

quentazioni abitative d'altura.

Per molti millenni, dunque, la nostra montagna fu attraversata da gente che camminava: per abitarvi, per

procurarsi i mezzi di sussistenza, per recarsi da una parte all'altra, per cercare moglie, per vendere, compra-

re, darsi botte, pregare. Essa fu una solitudine costellata di agglomerati abitativi e brulicante di viandanti e

pellegrini.

Ma l'Aspromonte continuava a non chiamarsi Aspromonte. Secondo alcuni questo termine è bizantino ed

è formato dalla combinazione di un aggettivo greco medievale, aspro, che significa bianco e un sostantivo

latino, mons cioè monte. Come il Monte Bianco, dunque. Ma l'ipotesi non convince. Ormai quasi tutti gli

studiosi sono del parere che il termine Aspromonte sia di origine francese, introdotto in Calabria con l'av-

vento dei Normanni. In realtà, nei documenti bizantini pervenutici non compare mai qualche parola che si

assomigli al toponimo della nostra montagna. In età normanna, invece, essa è detta Aspermont, come tanti

luoghi montani di Francia.

Ma se la civiltà bizantina (che, distendendosi in Calabria per oltre sei secoli, ha modellato più di ogni altra

l'identità culturale dei calabresi) non diede il nome all'Aspromonte, ne avvalorò l'importanza ed i ruoli nella

vita della gente. L'aspetto più significativo della nostra montagna in quella età fu il suo supporto per la vita

religiosa. Le testimonianze dirette e soprattutto indirette ci parlano di molti contemplatori cristiani solitari,

allocati negli anfratti dei monti, nel fitto dei boschi, in capanne e in caverne, sia naturali che appositamen-

te scavate. A questa folla, silenziosa e invisibile, di eremiti senza volto e senza organizzazione, che riteniamo

abbiano frequentato l'Aspromonte fra il VI e l'VIII secolo, succedettero schiere di monaci più regolari. Verso

il IX secolo, infatti, la Calabria fu attraversata, cominciando dalle zone meridionali, cioè, appunto,

dall'Aspromonte, da monaci, asceti greci, in buona parte fuggiti dalla Sicilia, che era stata nel frattempo

occupata dagli Arabi. L'Aspromonte divenne una santa montagna, paragonata spesso alla tebaide d'Egitto:

S. Elia Speleota, reggino, S. Arsenio, che soggiornò a lungo e morì a Armo, S. Elia il Nuovo di Enna, il suo

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discepolo Daniele, S. Nicodemo di Mammola, S. Filarete di Seminara, S. Leo di Africo che faceva il boscaio-

lo, e tanti altri asceti meno noti, seguendo le orme del più antico S. Fantino di Taureana, vissero nelle grot-

te, in casette rustiche, presso chiesette costruite alla meno peggio, vicino ai boschi e ai laghetti, salmodian-

do, digiunando, sempre schivi della folla perchè desiderosi di solitudine e insieme sempre circondati dalla

gente, che riceveva conforto spirituale, consigli di vita, sovente miracoli, segno e frutto di amore. Allora esse-

re calabrese significava essere uomo pio, esperto di vita ascetica. La montagna, prediletta dai contemplati-

vi, accentuò il carattere sacro; la fatica del camminare intensificò il significato del pellegrinaggio, alla ricer-

ca della fonte di vita.

Si ingrossarono e si cinsero di mura, in quel tempo, gli antichi abitati di altura; la toponomastica aspro-

montana si arricchì di molti nomi di santi. I documenti ci parlano anche di un'accentuazione di percorsi di

alta quota; le vite dei santi testimoniano frequenti e facilissimi collegamenti fra tutte le località

dell'Aspromonte, impensabili ai giorni nostri. Gli stessi documenti testimoniano una riqualificazione agrico-

la dei territori con coltivazioni miste, frequenti frutteti, notevoli vigneti. In modo particolare, dall'età bizan-

tina ebbe inizio e incremento l'industria serica, che fu la principale fonte di proventi fino al terremoto del

1783. Allora, fra un abitante della costa ed uno di qualunque luogo aspromontano, non c'era differenza di

mentalità, nè di abitudini, nè di conoscenze o di ricchezza: dappertutto c'era lo stesso grado, assai elevato,

di civiltà. La dignità dei gesti e delle costumanze tradizionali del mondo contadino e pastorale d'Aspromonte

deriva da quella civiltà; si pensi agli atteggiamenti devozionali, alla sobrietà degli ornamenti celebrata da

Alvaro, allo stesso mantello delle donne, così simile a quello delle Madonne bizantine, al riserbo nella mani-

festazione dei sentimenti, alla sopportazione delle fatiche, all'ospitalità, alla saporita frugalità dei cibi. Tutte

queste costumanze sono come un'umile, avvincente epopea di Bisanzio, cancellata dall'ignoranza di tanti

intellettuali di oggi e destinata alla scomparsa prima ancora di essere stata rivisitata appieno e studiata.

I Normanni celebrarono la montagna nella Chanson d'Aspromont, cui fece eco tardiva il Cantare

d'Aspromonte di Andrea da Barberino; così l'Aspromonte si ammantò di leggende, con le lotte dei paladini

di Carlo Magno contro i Saraceni e si arricchì degli apporti della cultura francese, che si aggiunse a quella

bizantina. È ancora oggi stupefacente sentire l'eco di culture così diverse e così intense, nei frammenti che

oggi l'Aspromonte riesce a darci della sua storia. Il viaggio di questa storia si fa avvincente anche solo con

le parole, sulla scorta dei vocabolari del Rohlfs. Si pensi, ad esempio, allo zappino (latino sapinus, abete), allo

sparto (voce greca, che significa ginestra), al ciavréddu (che significa capretto, dall'antico francese chavreil), alla

mingioia (dal francese mont joy, la nicchia dei santi), al muccaturi (dal catalano mocador, fazzoletto), al musulupu

(dall'arabo masluk, cacio fresco).

Nell'agricoltura, l'età normanna apportò un leggero allentamento perchè le colture furono meno varie, con

un notevole incremento dell'olivo. Poi, con un ulteriore deprezzamento dei terreni, venne il tempo degli alle-

vamenti intensivi: tra il XIII e il XV secolo assistiamo alla formazione di grosse mandrie di ovini, suini, meno

spesso bovini. Accanto all'olivo e al gelso, le pendici dell'Aspromonte accrebbero forse allora le già ricche

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distese di querce da ghianda. Inoltre, dalla più remota antichità fino al secolo XVI e oltre, parecchi luoghi

d'Aspromonte ospitarono un allevamento pregiato, quello dei cavalli, richiesti specialmente per le attività

militari.

In età moderna, la montagna in parte si rinchiuse. L'Aspromonte non fu più considerato un luogo di civile

modernità come tutti gli altri, ma entroterra, ambiente delle classi subalterne immaginate come gente incol-

ta e rozza dai benestanti della costa, sempre più ignoranti della loro cultura. Per i signori della società bene

esso fu il luogo del diporto, soprattutto della caccia. Ma per tutti, continuava ad essere la via più facile di

collegamento. L'arcivescovo di Reggio, ad esempio, mons. Annibale D'Afflitto, verso la fine del secolo XVI,

da Bagaladi si trasferì a S. Agata sopra Reggio con una cavalcata di poche ore.

L'Aspromonte allora accoglieva sbandati, masnadieri, fuggitivi politici. Ma continuava anche ad essere fre-

quentato da contemplativi e asceti, percorso da pellegrini devoti, contadini, pastori e mercanti. I boschi, dal

XVI secolo in poi, cominciarono a perdere un poco della loro immensa estensione, ma ancora nell'800 atti-

ravano gli amanti della natura, come Edward Lear, che attraversò la montagna a piedi, per descriverli e dise-

gnarli. I fiumi navigabili divennero a poco a poco torrenti, con le conseguenti alternanze di siccità e alluvio-

ni. A lungo vi rimasero gli zinnapotami (lontre); poi, scomparsi questi animali, restarono le trote. Ma qualcu-

no afferma che essi siano ritornati a vivere in luoghi quasi inaccessibili.

Il tardo ottocento diffuse il ricordo dell'Aspromonte per due diverse epopee: quella di Garibaldi, che anco-

ra, risalendo da Melito, via Bagaladi, ai Piani di S. Eufemia, mostrava di apprezzare le antiche vie militari di

altura; e quella, più fosca e inquieta, di Giuseppe Musolino. Oggi questa terra, resa incolta dal trasferimen-

to a valle degli abitati, rovinata per il disfacimento geologico, spelacchiata per il disboscamento selvaggio,

violentata dalle innumerevoli, spesso inutili e sempre sconnesse strade che la solcano, diffamata dai seque-

stratori, ha tuttavia ancora la forza di apparire in vaste zone maestosa, commovente, avvincente. Se le gio-

vani generazioni saranno meno ingiuste di quelle oggi anziane, nei confronti dell'Aspromonte, la montagna

potrà rivivere e forse ancora ritornare a raccontare la sua affascinante storia.

Prof. Domenico MinutoDeputazione di Storia Patria della Calabria

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Circondato dal mare da tre parti l’Aspromonte, con rilievi che arrivano a sfiorare i 2.000 m, è una penisola

nella penisola. Lo Ionio ad oriente, il Tirreno ad occidente e lo Stretto di Messina che lo separa dalla Sicilia.

Vi sono perciò ambienti tipicamente montani ma a brevissima distanza dal mare, per un'estensione di

3.200 Kmq.

Geologicamente l'Aspromonte fa parte del massiccio calabro-peloritano ed è uno dei territori più antichi

della penisola. Nelle parti più elevate prevalgono le rocce silicee, gneiss e scisti mentre in basso la struttu-

ra geologica si complica con la sovrapposizione di rocce sedimentarie come marne, arenarie, conglomerati

e sabbie. Il loro alternarsi disordinatamente è testimonianza di un passato geologico molto travagliato. Esso,

infatti, iniziò a formarsi quando gran parte dell'Italia, comprese le Alpi, era coperta dal mare. La sua struttu-

ra è quindi atipica rispetto a quella delle formazioni vicine ma molto simile a quella di alcune zone delle Alpi

e di parte della Corsica e della Sardegna. Così, forse, la somiglianza con le Alpi potrebbe indurre a vedere

nell'Aspromonte una sorta di riproduzione delle vette e dei crinali alpini. Invece, niente di tutto ciò. La mor-

fologia della montagna reggina è, infatti, addolcita da altipiani e da vasti gradini che si succedono via via

verso il basso, formando ampie distese pianeggianti sulla costa del monte come degli immensi balconi che

si affacciano sul mare. Viste dal largo, queste terrazze offrono un netto profilo orizzontale pressoché regola-

re e rappresentano un fenomeno quasi unico nei paesaggi montani.

L'impalcatura orografica dell'Aspromonte, la cui forma può richiamare alla mente quella di un cono, è inol-

tre fortemente incisa dalle fiumare, corsi d'acqua a regime torrentizio e senza sorgente, che data la brevità

del loro percorso e l'accentuata pendenza hanno una notevole capacità di erosione. La parte più prossima

alla foce è un’ampia distesa di sabbia, ciottoli e ghiaia calcinata dal sole mentre più a monte la furia delle

acque invernali, costrette a scorrere in gole anguste, ha creato profondi valloni, veri e propri canyons.

Sembrerebbe quindi una montagna ostile all’uomo ma colture agrarie quali l’olivo risalgono dalla Piana di

Gioia Tauro fino oltre gli 800 m di altitudine e gli altipiani (ad oltre 1.000 m s.l.m.) sono intensivamente col-

tivati a patate, cereali e vari tipi di ortaggi.

Aspromonte: l’ambiente

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Dal punto di vista climatico in Aspromonte si riscontrano accentuate differenze non solo tra le aree inter-

ne e le aree costiere (il litorale tra Capo d'Armi e Capo Spartivento è una delle aree più aride d'Italia), ma

anche tra il versante ionico ed il versante tirrenico dato che le precipitazioni cadono soprattutto sulla parte

occidentale del massiccio. La vegetazione ne è fortemente influenzata e si presenta sotto le forme più dis-

parate.

Colpisce il verde scuro dei boschi, nel versante settentrionale, che si sbiadisce nel giallo della fittissima

macchia e delle gole, man mano che ci si avvicina ai versanti meridionale e orientale. Umide faggete e sola-

ri pinete lo ammantano nelle quote più elevate mentre le fioriture policrome della macchia mediterranea ne

rivestono le pendici.

In particolare si nota un'asimmetria di distribuzione nei due versanti che a partire dal tirrenico a quello

ionico consente di incontrare boschi di roverella intorno ai 700 m, castagni sino ai 1.000 m, poi boschi misti

d’ontano, acero ed altre essenze fino ai 1.200 m. Da qui hanno inizio le formazioni di pino laricio e di faggio,

alle quali seguono, a quote ancora più elevate, la consociazione faggio e abete bianco. Sul versante jonico,

alle faggete delle zone più alte seguono, discendendo intorno ai 1.400 m, i boschi misti di latifoglie e, sui

900 metri, i boschi di farnetto. Specie molto appariscente è la ginestra dei carbonai che colonizza rapidamen-

te le radure lasciate libere dal bosco illuminando di giallo la primavera.

La fauna, nonostante la forte pressione venatoria esercitata prima dell’istituzione del Parco, offre specie

interessanti. Si segnala la presenza del lupo, sino a qualche anno fa scomparso, e del gatto selvatico. È dif-

fuso lo scoiattolo in una forma meridionale caratterizzata da grandi dimensioni, colorazione nerastra e mac-

chie bianche sul petto. Tra i rapaci sono presenti il gufo reale, lo sparviero, la poiana, il gheppio. Nei luoghi

più impervi sopravvivono alcuni esemplari di coturnice e nei torrenti montani più integri, solitamente sotto

le cascate, nidifica il merlo acquaiolo. L’aquila del Bonelli è il più raro dei rapaci, con poche coppie rifugia-

te nei recessi più impervi. Una piccola rarità è il driomio, un minuscolo roditore simile al quercino presente

in Aspromonte e nel Trentino con una forma endemica scoperta solo recentemente.

Il Parco è facilmente raggiungibile da Reggio Calabria, da Bagnara, da Bovalino e da altri centri sulla costa

ed ha in Gambarie d'Aspromonte (1.300 m s.l.m.) l'insediamento più elevato con buoni alberghi che ne fanno

una delle basi di partenza per escursioni nel massiccio.

Ma l'Aspromonte non è solo natura: anche l'uomo ha conferito a questo massiccio particolari attrattive.

Pittoreschi ed antichi paesi aggrappati a costoni rocciosi in bilico su profondi valloni: Staiti e Palizzi dall'im-

pianto urbanistico caratteristico per i numerosi vicoli; Africo Vecchio, Casalnuovo, Precacore, Amendolea

ormai abbandonati ma suggestivi; Delianuova, Oppido, S. Giorgio Morgeto sul versante settentrionale con-

servano centri storici con palazzi, chiese e castelli ben custoditi.

L'artigianato è ancora vivo in numerose forme: la tessitura, in particolare di ginestra, si ritrova nell'area

ionica con motivi ornamentali che si richiamano alla tradizione bizantina; la lavorazione del legno è legata

alla realizzazione degli strumenti d'uso pastorale (collari, stampi per formaggi, cucchiai, ecc.) o agricolo e

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particolarmente rinomata è la radica d'erica con la quale si fabbricano pipe ricercate anche dagli inglesi, noti

estimatori; la realizzazione di strumenti musicali quali tamburelli e zampogne testimonia la vitalità della

musica popolare ed infine la ceramica che ha i suoi centri di produzione più importanti a Gerace e Seminara.

Un'ampia e ben organizzata raccolta si può ammirare al Museo Etnografico di Palmi. Sulla parte nord-occi-

dentale interessante la visita al Mausoleo di Garibaldi che ricorda il fratricida scontro fra garibaldini e ber-

saglieri.

La religiosità popolare ha trovato nell'Aspromonte la sede ideale della propria spiritualità con numerosi

santuari e monasteri mete di partecipati pellegrinaggi. Polsi è certamente il più frequentato con decine di

migliaia di pellegrini che giungono anche dalla Sicilia ad onorare la Madonna della Montagna e poi lanciar-

si in sfrenate tarantelle e pranzi pantagruelici a base di carne di capra. Insomma: un paradiso verde al cen-

tro del Mediterraneo.

Dott. Alfonso Picone ChiodoPresidente CAI sezione Aspromonte

Terre alte d’Aspromonte

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I RUDERI DI PIETRO

radura. Sulla vetta vi accoglie la statuadel Redentore ed una rosa dei venti viindicherà le località che osserverete.Ampio panorama sullo Ionio e sulTirreno. SentieriVi transita il Sentiero Italia (segnaviabianco-rosso) che proviene daGambarie e prosegue per Polsi e SanLuca. Vi termina il percorso Samo –Montalto (segnavia bianco-rosso).

Collocazione

Coordinate

Quota

Località Montalto Comune di Samo

Carte I.G.M. scala 1:25.000 F° 602 I GambarieLong. 580641 lat. 4223985

1.950 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoA Montalto si può giungere da diversipunti della costa, sia ionica chetirrenica: dall'A3 all'altezza diBagnara, dalla S.S. 106 da Melito o daReggio Calabria. Le indicazioni daseguire sono quelle per Gambarie,sede del Parco Nazionaledell'Aspromonte. Da quì, seguendo percirca 15 Km una stradina asfaltata, siraggiunge la base del Montalto dovedovete lasciare l'auto.Percorso a piedi: difficoltà TIl percorso più diretto alla cima diMontalto è una ripida scalinata, ingran parte diruta. Consigliamo inveceun sentiero, delimitato da unastaccionata in legno e contraddistintoda segnale bianco-rosso, che sale piùdolcemente in circa 20 minuti. Pertrovare i resti della dimora dell’eremitaPietro bisogna guardare a destra nonappena termina la staccionata, quasiin cima, ma prima di entrare nella

Pellegrini a Polsi con un frate cercatore(1945)

Montalto

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AMBIENTE CIRCOSTANTE

Montalto, in quanto verticedell’Aspromonte, costituisce metaprivilegiata di ogni escursionista chevoglia conoscere questo massiccio.Anche se non raggiunge i 2.000 metri(1.955,92 m per la precisione) la suaposizione, al centro del Mediterraneo,offre un panorama grandioso:l'estrema punta della Calabria e laSicilia che si toccano quasi fosserouna stessa terra, l’Etna che sbuca dauna coltre di nuvole con la sua molespesso imbiancata di neve e con unpennacchio di fumo, lo Ionio e ilTirreno con le isole Eolie. Interessanteil cambiamento di portamento deifaggi intorno alla vetta che a causa delvento e della neve crescono prostrati econtorti assumendo forme strane. Incima vi è una rosa dei venti eretta delG.E.A. nell'estate del 1994 ed unmonumento al Redentore. L'idea diporre una statua sul Montalto risale al1899. Fervevano infatti i preparativiper l'Anno Santo e tra le varieiniziative si pensò di salutare il XXsecolo erigendo venti monumenti alRedentore su altrettante cime italiane.Il Comitato deputato all'individuazionedei siti prescelse anche l'Aspromontee così il 23 settembre 1901 (occorseroben due anni per la raccolta dellasomma necessaria) il cardinalePortanova, insieme ai vescovi dellaCalabria, celebrò la Santa Messa allapresenza di oltre duemila fedeli.

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ATTUALE CONDIZIONE DEL SITO

Dell’originario impianto planimetrico èleggibile l’ipotetica forma pressocchètrapezioidale. Attualmente siconservano gli angoli interni delmanufatto e gli stipiti di accesso allostesso (con apertura di 70 cm circa),orientato a ovest. Della strutturamuraria a secco, delle ipotetiche paretiin elevato, dello spessore di circa 70cm, restano elementi lapidei di media-piccola dimensione. Il vano delromitorio misura circa 6 mq.

ANTICO UTILIZZO

La presenza a così alta quota di unacostruzione, seppur minima,difficilmente si può spiegare connecessità legate all’utilizzo del bosco odi controllo del territorio. Il luogo ècosì esposto ai venti ed innevato perdiversi mesi all’anno che forse soloesigenze di espiazione e diraccoglimento possono farloconsiderare abitabile. Magari incontrapposizione alle forze malignedalla Maga Sibilla che la tradizionevuole nascosta in una grotta traMontalto e il Santuario di Polsi. Cipiace pertanto supporre che talerudere sia il riparo di un eremita.

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ORIGINI, FONTI, STORIA DEL SITO

La presenza di eremiti in Aspromonteè ampiamente attestata (vedi ilcapitolo sull’asceterio delle rocce diSan Pietro). L’unica fonte però chedescrive la presenza di un romito aMontalto (anche se sui generis) èFrancesco De Cristo nel 1932 ed è alui che lasciamo la parola perraccontarci dell’incontro con l’eremitaPietro.“Mi trovavo ancora aggrappato alRedentore, e di lassù delibavo lameravigliosa vista che spazia su tuttala Calabria, sui mari che la circondanoe sulla Sicilia, quando comparve,sbucato non so da dove, credo dallaterra, Pietro Stilo, l’eremita delMontalto. Ogni tanto, facendosolecchia, fissava me, il gagliardetto, imiei compagni e allargava le bracciaurlando e facendo gesti di minaccia.Ci raggiunse in quattro salti, aprì labocca, e giù un carico di contumelie.Io guardai quell’omiciattolo nero esparuto, coperto da un vecchio luridoloden dal quale spuntavano un paio dicalzoni spalmati di sego e duebarcacce di scarpe, portante a tracollaun curioso ombrello ravvolto in cenci,ombrello che non lasciò mai, quasifosse la sua ancora di salvezza, ecapii che la fama che gode Pietro intutta la Provincia è ben meritata. El’omiciattolo garriva come un’ocaspennata viva – Scostumati, chi vi ha dato ilpermesso di profanare il pio sacroluogo? Togliete quello straccio dibandiera!Ma non ebbe finite queste parole chemio fratello lo prese dalla gola e glifece capire in buon italiano che labandiera non è uno straccio e checonoscevamo lui Pietro Stilo in vita emiracoli come un eremita sui generis equindi era inutile che con noi avesse a

fare lo zelante difensore del pio sacroluogo. Capì l’antifona e si calmò etolse dal loden un bossolo e fece ilgiro per l’obolo. Gli demmo qualchelira e al tintinno del nichel divenne piùgarbato e loquace come unalavandaia.– Non vi dovete dispiacere delle parole– interoquì l’ottimo eremita – perchétutti i ragazzi che passano vedono labandiera e vengono qua e fannoscostumatezze!– Quali ragazzi? Dove sono quassù iragazzi? Ci pigli in giro?– Dico se ne venissero!– Se ne venissero’’– Dovete sapere che qui celebrò lamessa il Cardinale, ed è pio sacroluogo, ed io ho una “carta” delPrefetto con la quale sono nominatopadrone di Montalto!– Questa è grossa, Pietro! – eridevamo come matti.E ci accingemmo a montar la tendadietro il recinto del monumento, adoriente, al riparo dal vento del tirreno.Se non che, nuova lotta con Pietrol’Eremita il quale pretendeva che nontoccassimo le pietre; gridava perchémassaro Peppe aveva acceso la pipa;voleva che stessimo a capo scopertoproprio sul Montalto con quel po’ divento freddo; tirava sassi al poveroMenelic il quale si era sdraiato vicinoal cancelletto. Come Dio volle la tendafu armata, in ciò aiutati anche daPietro Stilo che, finita la bisognas’inginocchiò sopra un mucchio discheggie, e tolto il rosario cominciò lesue orazioni. Debbo confessare chelassù, contro il sole occiduo di fronteal Redentore, in quella posa, Pietropareva più buono di quel che non sia;ed era in magnifico atteggiamento: percui in un baleno armai il treppiedi, etrac! L’otturatore della Volgtlanderscattò, mentre l’eremita volgeva i suoiocchietti irrequieti e sospettosi in giro,

prestando avido orecchio alle nostreparole, e recitando il rosario proforma.E qui è necessario dir qualche parolasu Pietro Stilo, perché non vogliampassar per… insomma per aver presoin giro un eremita il quale poi non èche un eremito furbacchione. Pagaticari peccatucci e peccatacci digioventù, Stilo, da Canolo, sua patria,si rifugiò sul Montalto e nella bellastagione dal suo covo scende allestrade e chiede l’obolo. Nell’inverno,cacciato dalle nevi e dai geli, vamendicando per i paesi dellaprovincia.Mangiò e bevve con noi, e ci aiutò acercar l’acqua. Quando partimmo glilasciammo una mezza bottiglia di olioed altri soldi. Allora volle che cifossimo essi in ginocchio e declamòuna lunghissima predica irta di frasiperegrine, e ci impartì la Benedizione.Ci lasciò con rimpianto e di lassùsalutava mentre scomparivamonell’intrico dei cespugli tormentati”.1

AUTORI

Redazione testi: dott. Alfonso PiconeChiodo

Rilievi: Studio Riproarc di arch. cons.Claudia Cutrupi

Foto: C. Cutrupi, A. Picone

1 F. DE CRISTO, Op. cit.

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PIETRA SALVACollocazione

Coordinate

Quota

Comune di Delianova

Carte I.G.M. scala 1:25.000F° 589 II Oppido M.Long. 579719 lat. 4229290

1.291 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoDa Delianuova salire in montagna aiPiani di Carmelia. Giunti allachiesetta ed alla fontana deviare adestra. La strada è in pessimecondizioni quindi consigliamo dipercorrerla a piedi.Percorso a piedi: difficoltà TLa stradina sterrata s’inoltra trarigogliosi boschi ed attraversanumerosi ruscelli. Appena 2 km dipiacevole passeggiata e incontrate,in una pineta, gli enormi massi diPietra Salva.

SentieriA Carmelia s’incrociano il Sentierodel Brigante ed il Bova–Delianuova.

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AMBIENTE CIRCOSTANTE

Pietra Salva è uno dei sei altipiani cheabbelliscono il nostro Aspromonte. Èoccupato in gran parte da un pineta,un tempo bellissima, oggi in granparte minacciata dalla processionaria.Vago ornamento di Pietra Salva è uningente macigno che s’innalza sullimite orientale dell’altipiano. Altrimacigni di minore mole si trovano nelcircondario, creando un ambienteparticolarmente interessante.

Tratto da: D. MINUTO, Escursione inAspromonte e Ferruzzano, «Calabriasconosciuta», Anno XXIV luglio –settembre 2001, p. 55.

II 3 novembre, per invito del prof. To-nino Perna, Presidente del Parcod'Aspromonte e con la sua guida, hovisitato Pietra Salva. Miaccompagnava il dott. Alfonso Picone.Questa località è una pietra, chespicca nell'ambiente boscoso in cui sitrova per la sua mole massiccia che si

erge come un cono irregolare e per ilcontrasto fra la sua roccia grigia, ilterreno scuro e il verde dei faggi edelle conifere. È una contrada vicinaai Piani di Carmelia, a sud diDelianuova, presso una cima chesupera la quota di 1.300 metri sulmare e renderebbe visibile dallaroccia un ampio tratto di territorio anord, cioè verso la Piana di GioiaTauro, se non fosse piena di alberi. Ilsuo perimetro irregolare alla base puòmisurare una ventina di metri e la sua

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altezza è di circa 5, 6 metri. Su unsuo fianco, nei pressi di un solconaturale di dilavamento, sono statiincisi dei rozzi gradini, per facilitarel'ascesa dell'uomo. La roccia reca,dunque, i segni di un manufatto eall'altezza di circa quattro metri,presenta due anfratti naturali, chepermetterebbero un piccolo epiuttosto disagevole rifugioprovvisorio. Mi pare di potereaffermare con una certa sicurezza chenon si tratti della dimora di un ascetacristiano. Per il resto, posso esprimeresolo ipotesi. Potrebbe essere unsemplice ricovero per pastori oboscaioli, ma salire sopra la roccialungo quei gradini mi sembra checomporti troppa fatica per due piccolianfratti da utilizzare in episodi di vitaquotidiana. Resterebbe allora l'ipotesiche si tratti di un segno, e dunquequalcosa di sacro per una religioneprecristiana sensibile al fascino dellerocce isolate, oppure di un posto divedetta, possibile soltanto se in uncerto tempo, forse della preistoria, lasua visibilità non sia stata impeditadalla vegetazione.

SCOPERTE

Nell’estate del 1925 il dott. FrancescoLeuzzi, illustre professore deliesedell’Università di Napoli, rinvenneun’ascia dell’epoca chelliana. Èun’ascia di pietra verde serpentinaaspromontese, scoperta in unacavernicola nei pressi di Pietra Salva,nell’interstizio tra il terreno e la roccia.La zona intorno, a quel tempo, eracoltivata a grano, e la grotta faceva dariparo ai contadini che lavoravano nelcircondario e che avevano, senzaaverne colpa, fatto scempio di quantoavevano trovato ritenendolo privo diimportanza.

Ascia chelliana trovata nella cavernuola di Pietra Salva

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Solo la rivista Albori nel ’25 pubblicadel rinvenimento dell’ascia e nel ’27della “cavernicola paleolica diPietrasalva” con il ritrovamento dialtre due asce chelliane.Il rinvenimento all’epoca suscitò uncerto rumore nell’ambiente scientifico. IlProfessore anticipò delle considerazionisull’aspetto geologico del territorio, chein Italia vennero viste con una certailarità ma che suscitarono la curiositàdei ricercatori francesi dell’IstitutoPaleontologico di Parigi, che due annipiù tardi confermarono le ipotesi delnostro luminare giungendo alle stesseconclusioni.

LEGGENDE

I nonni hanno raccontato a quellidella mia generazione, quandoeravamo bambini, di una leggendariguardante la rocca di Petrusalvu.Un tesoro è nascosto all’interno diquesta grande pietra, per riuscire adimpossessarsene il fortunato devegirarci intorno tre volte senza fermarsie senza prendere mai respiro. Aquesto punto il grande megalite siaprirà e darà il suo dono all’eroe.

AUTORI

Redazione testi: prof. Domenico Minuto,dott. Carla Carbone

Foto: A. Picone

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LE MURAGLIE ANTIQUE DEL MONTE FISTOCCHIOAltre denominazioni

Collocazione

Coordinate

Quota

Fistorchio, Pristachì, Sturchio, Pistarchio

Comune di Scido

Carte I.G.M scala 1:25.000 F° 589 II Oppido M.Long. 583729 lat. 4228291

1.568 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoBisogna raggiungere Scido, sulversante tirrenico dell’Aspromonte, eimboccare la strada che, in circa 7 km,sale in montagna ai Piani di Iunco.Giunti ad un bivio deviare a destra epoco dopo a sinistra. Una stradinariprende a salire ed in un paio di km sicongiunge con un’altra strada. Sietegiunti a Portella Mastrangelo dovelasciare l’auto.Percorso a piedi: difficoltà TMonte Fistocchio è facilmenteraggiungibile in meno di mezz’oraseguendo le ampie aperture tra iboschi che conducono alla vetta.SentieriA Carmelia s’incrociano il Sentiero delBrigante ed il Bova–Delianuova.

LEGENDA:

1 Monte Fistocchio

2 Resti della fortificazione

3 Percorso in pendio

Versanteionicod’Aspromonte

Versantetirrenicod’Aspromonte

1.204Monumento aGaribaldi

1.204MonteFistocchio

823Pietra cappaSantuario

di Polsi

Ex sanatorio

1.310Gambarie

302Platì

3

2

••

1

450Scido

583Delianova

513Santa Cristina

1.955Montalto

870Pietra di Febo

Piani diCarmelia

Mar Ionio

Mare Tirreno

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Tratto da: D. MINUTO, CalabriaSconosciuta, n. 99, luglio/settembre2001, p. 55.

Assieme ai soci CAI Alfonso Picone eAntonio Barca, con un mezzo dell’EnteParco messoci gentilmente adisposizione dal presidente prof.Tonino Perna ho potuto visitare ilmonte Fistocchio, la cui cima tocca laquota di metri 1.567 sul mare. Datempo avevo il desiderio di compierequesta esplorazione perché in undocumento di cinquecento anni fa siparla dell’esistenza di ruderi: esce allaserra dello Sturchio donde sono certemuraglie antiche, et detta serrasimiliter sagliendo esce et va alla pietradella spatacomena idest pietra tagliatade spata (Pompeo Basso, Apprezzo del15 marzo 1586, in Archivio di Stato diReggio Calabria, Capitoli, grazie,privilegi, apprezzi: copia Blasco, cart.11, n. 96). Sulla cima e lungo la costaoccidentale di questa bella montagnaoccupate da una vasta raduraabbiamo rinvenuto molti blocchi diroccia tagliati in forme varie eirregolari, in prevalenza allungate e didimensioni notevoli (ad es., cm 30x20circa), sparsi alla rinfusa. Non c’eratraccia né di cotti né di malta.Abbiamo notato che molti di questi

massi disegnano come una coronaattorno ad un terreno alquantopianeggiante sulla cima (come uncerchio irregolare di circa 30 metri didiametro): un altro gruppo di massi sinota presso un altro pianoro piùpiccolo ad ovest, dove c’è il segnogeodetico. Altri massi si trovano fra idue pianori, come se costeggiasserouna stradella ed altri ancora mostranodi essere caduti lungo il ripido pendiodella costa occidentale. Dalla cima delmonte si gode una veduta assai nitidasui due versanti, fra cui si distinguonole caratteristiche rocce di PietraCastello e Pietra Cappa a sud est e gliabitati di Delianuova e Scido a nordovest. Si scorgono nettamente anche lealte cime dell’Aspromonte, conMontalto a sud ovest e Pietra Tagliataad ovest. La presenza dei massiconferma l’esistenza, un tempo, di unabitato, ma l’odierno disfacimento deiruderi non permette se non illazionisulla tipologia di questo insediamento.Esso doveva avere la maggioreconcentrazione nei due pianori, perdisperdersi poi gradatamente aimargini di qualche via. La suaposizione panoramica, e perciòdispersiva, escluderebbe l’ipotesi di uninsediamento religioso cristiano (iquali, peraltro, se di tradizionebizantina, non sono collocati in cimaalle montagne, ma sui fianchi).L’altitudine, con le conseguenticondizioni meteorologiche, rendeimprobabile anche l’ipotesi di uninsediamento civile. È, dunque, piùverosimile che si trattasse di unapostazione militare, un luogo divedetta assai privilegiato, a guardiadella via che collegava Pietra Castellocon Santa Cristina, per indicare duecastelli assai antichi sui due versanti. Eche tale insediamento sia notevolmenteantico e affermato dalla testimonianzadi Pompeo Basso.

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TRADIZIONI

Corrado Alvaro scrive di un conventoche sorgeva sul monte Pistarchìo (Polsi,1912). Francescantonio Leuzzi eSalvatore Gemelli riferiscono di unagrangia abitata dai monaci dal 1°maggio sino al giorno dei morti. Essadipendeva dal monastero di S. Marinasito nei pressi di Paracorio, anticocasale di Delianuova. Il terremoto del1783 distrusse il monastero e causòl'abbandono della relativa grangia. (F.Leuzzi, Ediz. Barbaro, 2003; S. GEMELLI,Storia, tradizioni e leggende a Polsid’Aspromonte, Gangemi Ed., 1992).

Monte Fistocchio: resti della fortificazione

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AUTORI

Redazione testi: prof. Domenico Minuto,Deputazione di Storia Patria dellaCalabria

Rilievi: prof. arch. GiovanniBrandolino, Università Mediterraneadegli Studi di Reggio Calabria, Facoltàdi Architettura

Foto: V. Galluccio, A. Picone

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CROCE DI TOPPACollocazione

Coordinate

Quota

Località ToppaComune di Santa Cristina

Carte I.G.M scala 1:25.000F° 589 II Oppido M.Long. 584569 lat. 4229359

1.230 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoLa strada più diretta per salire a Zervòè quella di S. Cristina d'Aspromonte.Superato l'ex Sanatorio (ora ComunitàIncontro) continuare a sinistra perl'ampia strada che conduce aCarmelia. Percorsi 3 km porreattenzione dove la strada curva versosinistra e nel muraglione dicontenimento a sinistra noterete alcunigradini che consentono di salire sulterrapieno dove si trova la croce. SentieriVi transita il Sentiero del Brigante cheda Gambarie conduce alla Limina.

ORIGINI, STORIA E FONTI

“S. Toppa sacrificatosi per ilprossimo”. È questa la sintetica scrittaincisa nel marmo posto sotto la Crocedi Toppa. La croce, restaurata qualcheanno fa, è conosciuta da almeno unsecolo, come attestano il brano chestralciamo dall'epico pellegrinaggio diDe Cristo e le carte dell'IGMI dei primidel 1900. Nessuna notizia, tuttavia,siamo riusciti a reperire su questo

sventurato sacerdote, monaco,pellegrino o cos'altro. La tradizioneinfatti narra di un pellegrino diretto (odi ritorno) alla Madonna dellaMontagna di Polsi che, sorpreso dauna bufera, fu trovato morto in quelluogo. Il verificarsi di tali tragiciepisodi in una montagna comel'Aspromonte, con altitudini nonelevate, non deve sorprendere. È diappena un decennio fa un episodioanalogo accaduto ad un pastore neipressi di Pietra Cappa, sul versanteorientale del massiccio, a meno di1.000 m di quota.Inoltre il luogo è spesso usato per ilcarico del legname in occasione diutilizzo del bosco. Nel passato, pertrascinare la legna, si usava una slittagrossolana che, guarda caso, sichiama toppa.Comunque sia i pellegrini che, ancoraoggi, si recano a piedi a Polsi etransitano da Croce di Toppa usanolasciare un pezzo di legno checonsenta all'anima dello sfortunato diriscaldarsi, tant'è che vi è sempre unacatasta continuamente rinnovata.Ma lasciamo ora la parola a Francesco

De Cristo che ci racconta del suoincontro con la Croce di Toppa.“Battiamo la via di Polsi per la qualeogni anno in maggio e settembretransitano torme di pellegrini chevengono dai paesi lontani e traversanole valli, i boschi, le montagne perandar là, nella gola profonda eselvaggia dove sorge il misticosantuario di Maria della Montagna,spinta dalla fede, dalla rozza ingenuafede che li sorregge nell'asprocammino, nelle sofferenze della strada.Ed ecco un segno tangibile delleprimitive credenze di gente nostra; illegno propiziatore da portare in certitratti della via: ad un certo punto dellastrada ci forniamo anche noi di unpezzo di legno che porteremo pertutto un dolce pendio, sino alla Crocedi Toppa, ampia radura in mezzo allaselva, dove si accumula della legnaportata per devozione dai pellegrini.Più grave è il peso che urge allacoscienza, più grande e pesante è illegno che si porta al mucchio: etroviamo tutta una graduazione dirami. Dal tronco (chissà chepeccatacci!) al fuscello, portato forse

Fedeli in pellegrinaggio a Polsi

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AUTORI

Redazione testi: dott. Alfonso PiconeChiodo

Foto: A. Picone

da una bimba il cui puro cuore ancoranon è turbato dall'ansia del peccato diEva che ferve nelle vene muliebri, ed icui occhioni limpidi riflettono lamaestà smeraldina della selva e lagioia di vivere. Sovrasta al mucchiouna gran croce che sembrapromettere, nella sua muta eloquenza,misericordia e perdono.Spiotta, portò su alla catasta unalunga pertica che non finiva più,simbolo certamente della sua

peccaminosa ansia di tendere all'alto,verso le cime della gloria e dell'amore.Io e Don Pignataro ci contentammo didue rami qualsiasi e il geologo, allenostre insistenze, si armò di unrametto secco contorto e leggerissimo.Che tolse dal natio tronco con un grancolpo di mazza.”

(Tratto da F. DE CRISTO, Vagabondaggisull'Aspromonte, Guido Mauro Ed.,1932).

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PALAZZO DI ZERVÒCollocazione

Coordinate

Quota

Località PalazzoComune di Oppido Mamertina

Carte I.G.M. scala 1:25.000F° 590 III PlatìLong. 587455 lat. 4233985

1.040 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoDa Oppido seguire le indicazioni perZervò (Comunità Incontro). Superato ilcentro abitato, al bivio per SantaCristina-Piminoro, imboccare asinistra (Piminoro); state cosìpercorrendo la Strada Provinciale 112.Proseguite verso monte fino araggiungere Piano Rocchellicontraddistinto dal Cristo di Zervò. Albivio proseguire sulla destra e dopo 3Km, poco prima di una grandecostruzione (rudere) posta sulla destra(Vaccarizzo), si apre, sempre a destra,una ampia pista sterrata. Lasciarel’auto.Percorso a piedi: difficoltà TIniziate a percorrere la sterrata (intutto appena 2 km) e dopo circa centometri raggiungerete un primo bivio.Andate a destra e proseguite sulla

pista principale che prima costeggia ilpiano di Zillastro e dopo attraversa unfitto rimboschimento di pini. La pistatermina esattamente alle mura diPalazzo di Zervò.SentieriNei pressi della fortificazione transitail Sentiero Italia (che qui utilizza untratto del Sentiero del Brigante).

Piminoro e Oppido Mamertina

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DESCRIZIONE DEL SITO

La scoperta effettuata dallaSoprintendenza ai Beni Archeologicidella Calabria nella seconda metàdegli anni ’90, nella localitàaspromontana di Palazzo (1.040 ms.l.m), è di particolare interesse per laconoscenza delle dinamicheinsediative di un territorio interno,frequentato fin dall’età classica e dove,in età ellenistica, si stabilirono gruppidi popolazioni italiche,specificatamente brettie.Territorialmente e politicamente lazona di Palazzo va ricordato che,come tutta l’area a sud del fiumePetrace – antico Métauros – ricadevafin dall’età coloniale, nell’areacontrollata dalla colonia calcidese diRhegion, fondata alla fine dell’VIII sec.a.C.Dal punto di vista geomorfologico, ilsito di Palazzo è identificabile con unterrazzo, ubicato nel punto dicollegamento tra due percorsi didorsale che permettono di raggiungerei Piani aspromontani di Zivernà sia dalmoderno centro di Oppido Mamertinache da Oppido Vecchia e Mella, sederispettivamente dell’abitato medievaledi S.Agata (anno 1.044) e di quelloitalico di II-I sec. a.C. Ugualmentestrategica la zona anche per ilcollegamento con il versante ionicodella regione, controllato dal centrocoloniale di Locri.

Le campagne di scavo avviate, hannomesso in luce una struttura fortificata,a pianta quadrangolare, 30X30 m.,con un unico ingresso non carrabile asud, protetto da due contrafforti (2.5m circa di larghezza), riconducibile adambito culturale brettio. Fu realizzataalla fine del IV sec. a.C. e rimase inuso nel corso del III sec. a.C.; lascoperta di frammenti ceramici a

vernice nera di VI sec. a.C. nellacolmata di terra utilizzata dai suoicostruttori per realizzare le fondazioni,attestano la frequentazione dell’areaanche in età arcaico-classica.Una frequentazione occasionale delsito anche per epoche successive al IIIsec. a.C. è documentato dalrinvenimento di materiali ceramiciframmentarii tardoantichi e medievali.La tecnica costruttiva utilizzata,impiegava per l’alto zoccolo – adoppia cortina, con emplectoncentrale – grossi blocchi appenasbozzati, inzeppati laddovenecessario, con pietre più piccole,disponibili sul posto. Caratteristici, icontrafforti quadrangolari edaggettanti, posizionati lungo tutto ilperimetro. Per l’elevato, non piùconservatosi, alto in origine almeno 3o 4 m, è ipotizzabile l’uso di unatecnica mista di legname e pisè, concamminamento e probabili piccoletorri in corrispondenza degli avancorpidell’ingresso, dei rinforzi angolari e diquelli mediani delle mura; la coperturapotrebbe essere stata realizzata inlegno, data anche l’assenza di crolli ditegole di copertura. L’interno èsuddiviso in più ambienti dispostiattorno ad un’area centrale. Deidiversi ambienti messi in luce, inalcuni sono stati rinvenuti anche deifocolari; il piano pavimentale erarealizzato in terra sabbiosa mista aghiaia o in lastroni di pietra, come nelcaso del cortile centrale, di formarettangolare. La fortezza realizzatacon molta probabilità, per il controllodel territorio, fu abitata forse, solostagionalmente, e da un ristrettonumero di persone.I materiali rinvenuti in occasione delleindagini condotte dallaSoprintendenza archeologica dellaCalabria, sono in prevalenza,vasellame acromo da fuoco,

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contenitori utilizzati per il trasportodell’acqua, anfore vinarie ed elementidi macine in pietra lavica. Materiali dicui sarà esposta una campionaturasignificativa nel museo di OppidoMamertina e del TerritorioAspromontano in corso di allestimentoa cura della Soprintendenza presso ilocali di Palazzo Grillo.

BIBLIOGRAFIA

R. AGOSTINO, Archeologia ad OppidoMamertina: immagini,ipotesi, Gioia Tauro1999.

OPPIDO MAMERTINA, Ricerchearcheologiche nel territorio e in contradaMella, a cura di L. COSTAMAGNA, P.VISONÀ, Roma 1999.

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AUTORI

Redazione testi: dott. Rossella Agostino,Soprintendenza Archeologica dellaCalabria

Foto: C. Cutrupi, V. Galluccio, A.Picone

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LA PIETRA DI SAN TRABUSCollocazione

Coordinate

Quota

Località Piano S. TrabusComune di Cittanova

Carte I.G.M. scala 1:25.000F° 590 IV TaurianovaLong. 595354 lat. 4242197

900 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoBisogna raggiungere e superarel’abitato di Cittanova, percorrendo laS.S. 111 Cittanova-Locri.Seguire le indicazioni per Zomaro eraggiungere il villaggio. Percorrere lastrada centrale del villaggio stesso elasciare l’auto alla fine dell’asfalto.Percorso a piedi: difficoltà TSeguire una sterrata che attraversa unprimo grande pianoro, proseguire per500 m e superare un meravigliosobosco di faggi, dove, alla fine si apre lagrande pianura di San Trabus.All’ingresso del pianoro, girare adestra e dopo 200 m a sinistra.Seguire sempre la pista fino alla finedella stessa. Prendere infine il sentieroche scende verso il costone e dopocirca 50 m troverete la croce incisa suun lastrone di pietra postoorizzontalmente e dalle dimensioni dim 3x1.5.SentieriNumerosi, forse troppi, i percorsi in talearea. Alcuni salgono da Cittanova alloZomaro. Da tale villaggio inoltretransita il Sentiero Italia (che utilizza untratto del Sentiero del Brigante) ed ilCammino dell’Alleanza.

AMBIENTE CIRCOSTANTE

Il pianoro dove è posta la pietra èdetto Piano di San Trabus. Questa ècollocata al margine occidentale ditale pianoro, dove la montagnadegrada ripidamente nei valloni checonfluiscono al torrente Serra. Citroviamo quindi in una zona ditransizione tra la faggeta e la leccetacon sottobosco di pungitopo ed erica.La pietra si trova a lato di uno deisentieri che collegava Cittanova allamontagna.

STORIA, ORIGINI, FONTI

La pietra di Santa Trabus, secondol’opportuna interpretazione del prof.Domenico Raso, deriva il suo nomedal greco trapeza, cioè “tavola”.Questa pietra, che i nostri antenatidella preistoria avranno con ogniprobabilità venerato, è davvero unatavola di roccia ed il suo nome greco èpertinente. Ma perché è rimasta laparola greca e non il nome che

avranno dato a questo oggetto i suoiadoratori? Forse perché alla culturagreca, specialmente nella sua vestebizantina, noi dobbiamo la formazionedella nostra identità più profonda, checi portiamo dentro il cuore e che ciinvita a vedere le cose ancora conquegli occhi, a chiamarle con queinomi. Poi, credo verso il XVII secolo,sarà stato attribuito alla parola“trabus”, ormai incomprensibile, ilcarattere di santità, con l’incisione diuna caratteristica croce latina dallalunga asta1.

1 Domenico Minuto, 8/03/2004, considerazioni dopo un sopralluogo.

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AUTORI

Redazione testi: dott. Alfonso PiconeChiodo

Rilievi: Studio Rproarc di ClaudiaCutrupi

Foto: C. Cutrupi, A. Picone

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PALAZZO DI ZOMAROAltre denominazioni

Collocazione

Coordinate

Quota

Fortificazione Palazzo

Località Zomaro Comune di Cittanova

Carte I.G.M. scala 1:25.000 F° 590 IV TaurianovaLong. 597888 lat. 4241519

898 m s. l. m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoPercorrere la S.S. 111, superarel'abitato di Cittanova seguendo leindicazioni per Zomaro. Dopo 9 Km siraggiunge un quadrivio. Imboccare adestra il lungo rettilineo. Alla fine dellostesso in piena curva, imboccare adestra la sterrata (che costeggial'ultimo campo sperimentale). Lasciarel'auto.Percorso a piedi: difficoltà T.Percorrere la sterrata per 150 m circa.Girare a sinistra e dopo 50 m a destrasi accede al pianoro sovrastante lemura di Palazzo. Seguire per 50 m lamulattiera che scende nella faggeta esi ferma proprio alle mura di Palazzoposte su di un rilievo inciso a destraed a sinistra da due impluvi.

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SentieriA ridosso delle mura transita ilCammino dell'Alleanza.

fortificazione, immersa in unalussureggiante e suggestiva faggeta.Il sottobosco è caratterizzato dallapresenza di pungitopo, agrifoglio,funghi, ciclamini.Ad est ed ovest della parete delcrinale scorrono due torrenti che sicongiungono, verso nord,convogliando nel vallone “Lostretto”.

AMBIENTE CIRCOSTANTE

In direzione Nord rispetto alla localitàBragatorto, a circa 5 Km di distanza, sierge il pianoro di Contrada Palazzo,fino a pochi anni addietro denominato“Pantano Palazzo”, per la presenza diacquitrini diffusi. Sulla punta estrema di un crinalepianeggiante, è localizzata una

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Palazzo di Zomaro: pianta

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Prospetto principale

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Palazzo Zomaro: presunta cisterna

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Palazzo Zomaro: sezione trasversale

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AUTORI

Redazione testi: dott. Carla Carbone

Rilievi: arch. Antonella Ruggeri, arch. Eliana Gitto

Supporto tecnico per lo studio strumentale: ing. Fortunato Mandanici, geom. GiuseppeMannino

Foto: V. Galluccio, E. Gitto, A. Picone, A. Ruggeri

ATTUALE CONDIZIONE DEL SITO

Della costruzione, in condizione dirudere, rimane ben poco.Sul terreno in pendenza è chiaramentericonoscibile un tratto di muroposizionato all'inizio del pendio edorientato a nord, nel senso dellalunghezza. Il muro, realizzato con pietrameirregolare a secco, è caratterizzato dauna lunghezza di circa 27 m e da unospessore di 0,70 m.Si articola in altezza con unadimensione minima di 75 cm che neipunti più alti raggiunge circa 2,4 m.Lungo la parete est del muro lapresenza di alcuni fori lascianoipotizzare che siano stati necessariper il posizionamento di impalcature

realizzate in fase di costruzione.Nella parte finale del muro, versonord, è presente un tratto di muro,perpendicolare all'asse principale,orientato verso est, della lunghezza dicirca 2,6 m. Ad una distanza di circa1,5 m e ad una quota inferiore, èindividuabile una sorta di cisterna,realizzata con pietrame irregolare asecco, con una dimensione in altezzadi circa 1,20 m per una larghezzamassima alla base di 5,5 m circa. A ovest dello stesso muro, nella zonapianeggiante del crinale, corrono più omeno parallelamente, ad una distanzacompresa tra 5 e 7 m circa, sparseporzioni di mura, le cui tracce sonoparzialmente visibili, coperte da foltavegetazione ed alterate dalla presenzadelle robuste e fitte radicidell'alberatura circostante. Opportuni saggi ed un'attentaindagine potrebbero fornire adeguatedelucidazioni circa l'estensione,l'articolazione la funzione del sito.

NOTIZIE STORICHE ED ANTICO UTILIZZO

La posizione strategica dellacostruzione ne fa ipotizzare unafunzione militare. Poggiata all'estremità del crinale indirezione nord, dominava l'interapiana di Gioia Tauro, quando lavegetazione doveva essere bassa e lavisuale ampia. La localizzazione e le condizioniterritoriali passate fanno pensare aduna funzione di controllo su tutto ilterritorio sottostante.Si può determinare una datazione dietà tardo-antica o alto-medievale (trail V e VIII secolo) dalla strutturamuraria e in particolare dallaposizione delle pietre secondo latecnica a “filare spezzato”1.

1 D. MINUTO, G. OLIVA, S.M. VENOSO, Appunti per un elenco cronologico di murature tardo antichein Calabria, in Chiesa e Società nel Mezzogiorno. Studi in onore di Maria Mariotti, Ed. Rubbettino,Soveria Mannelli 1998, pp. 1213-1218.

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BRAGATORTAAltre denominazioni

Collocazione

Coordinate

Quota

Bracatorta

Località Bregatorto Comune di Antonimina

Carte I.G.M. scala 1:25.000 F° 590 IV TaurianovaLong. 598676 lat. 4240152

923 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoSuperato Cittanova e percorrendo laSS. 111 Cittanova-Locri dopo 9 Km siraggiunge un quadrivio. Imboccare ilrettilineo a destra con indicazioneZomaro. Dopo 1,5 Km circa sullasinistra si apre una ampia pistasterrata. Lasciare l'auto.Percorso a piedi: difficoltà TProseguire a piedi sempre sulla pistaprincipale. Percorsi circa 2 Km tra ifaggi e dopo aver superatol'acquedotto di Gerace, poco prima diuscire dal bosco e sulla destra, aridosso della pista sterrata, troverete iresti di Bracatorta.

SentieriNumerosi, forse troppi, i percorsi intale area. Alcuni salgono da Cittanovaallo Zomaro. Da tale villaggio inoltretransita il Sentiero Italia (che utilizzaun tratto del Sentiero del Brigante) edil Cammino dell'Alleanza.

AMBIENTE CIRCOSTANTE

Terreno leggermente scosceso convegetazione a faggeta e nel sottoboscopresenza di felce acquilina e rovi.

AUTORI

Redazione testi: dott. Carla Carbone

Foto: V. Galluccio, A. Picone

ATTUALI CONDIZIONI DEL SITO

Costruzione in condizione di rudere estato di abbandono. Oggi rimangonodue muri disposti in posizioneparallela tra loro e ortogonale rispettoalla pista che li costeggia. Il muro piùgrande presenta una lunghezza di 5 me 10 ed una altezza che va da 98 cm a1,90 circa, la larghezza alla base è di112 cm e in alto si restringe fino a 53cm. Alla base dove il muro raggiungela maggiore dimensione è compostoda pietrame irregolarmente spezzato elisciato in faccia di media-piccoladimensione, nella parte più alta dove ilmuro si restringe, probabilmente didatazione successiva, notiamo lapresenza di mattoni assemblati conmalta (?). Nel pendio, al di là dellapista, a circa 30 m di distanza si rilevauna parte di muro crollato. Èprobabile che il crollo sia statocausato proprio dalla creazione dellapista.Notiamo la presenza di cassapondaiaa poca distanza dalla base.

NOTIZIE STORICHE ED ANTICO UTILIZZO

Non abbiamo notizie circa la suacostruzione, per cui la datazione cosìcome la destinazione d’uso risultanoincerte.La struttura muraria ci porta ad unadatazione alta fra i secc. VI-VIII.

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CALCARAAltre denominazioni

Collocazione

Coordinate

Quota

Pozzo fusorio

Località Zomaro Comune di Cittanova

Carte I.G.M. scala 1:25.000 F° 590 IV TaurianovaLong. 598885 lat. 4242699

800 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoGiunti al quadrivio per Canolo GeraceZomaro sito sulla S.S. 111 proseguireper Zomaro per circa 500 m sino aduna radura sulla destra della stradaindividuabile per alcune giostrine.Lasciare l'auto.Percorso a piedi: difficoltà TL'intero tragitto è meno di 500 m, mabisogna porre attenzione ai bivi. Adestra della radura seguire una pistafino ad un bivio dove proseguire asinistra. Poco avanti, guardando sullasinistra, si noterà un grande faggio.Alla base dell'albero troverete lacalcara.

SentieriProprio nei pressi della calcaratransita il Cammino dell'Alleanza.

AMBIENTE CIRCOSTANTE

Terreno quasi pianeggiante convegetazione arborea composta da pini,faggi, ceduo di castagno, sottobosco diginestra, biancospino, felce, rovi, ericae notevole presenza di edera.

Sentiero che conduce al sito

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Calcara: pianta e sezioni

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ATTUALE CONDIZIONE DEL SITO

La calcara, oggi, si presenta come unafossa di forma irregolarmente circolare,con diametro compreso tra circa 2,60m in direzione est-ovest e 2,30 circa indirezione nord-sud, ed una profonditàmassima, misurabile alle pareti, di 175cm circa e minima di 60 cm.In origine, il pozzo, doveva raggiungeresicuramente una profondità maggioredi circa 1 m; è probabile che, neltempo, si sia depositato terriccio sulfondo.Le pareti della calcara sono rivestite dapietrame irregolare a secco, di media-piccola dimensione. Il colore, tendenteal rosso, tra una pietra e l'altra èdovuto al calore prodotto dalla calcarain funzione. Nella parete est della calcara, lato cheha subito il maggiore crollo, è visibileun foro triangolare ottenuto dalposizionamento delle pietre, con unadimensione alla base di circa 80 cmper un'altezza di circa 40 cm. Il foroserviva come presa d'aria per ilfunzionamento della calcara.Un grosso faggio avvolto d'edera sitrova sul lato sud-est del perimetro.A circa 5 m di distanza, a nord dellacalcara, è localizzato, sotto un dosso,una galleria ipogea che arriva sino allaparete del pozzo. Essa si presentacome una piccola grotta con pareti diarenaria, con un'apertura di 120 cm dialtezza e 70 cm circa di larghezza. Alsuo interno, dopo circa 1,5 m, ilcunicolo si allarga fino a raggiungequasi 2 m di larghezza per un'altezzadi 190 cm. Tenendo conto che lagalleria ha subito un crollo sul latodestro, il percorso, avvicinandosi allacalcara, si restringe e si abbassa; inquesta parte finale è rilevabile unadimensione di 80 cm di altezza per unalunghezza di 70 cm, dove si notano lepietre della parete esterna del forno.GalleriaIngresso della galleria

Calcara lato sudCalcara lato est

Foro di areazione della calcara Particolare della parete di rivestimento

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Calcara e galleria: sezione longitudinale

Calcara e galleria: pianta

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AUTORI

Redazione testi: dott. Carla Carbone

Rilievi: arch. Antonella Ruggeri, arch.Eliana Gitto

Foto: V. Galluccio, E. Gitto, A. Picone,A. Ruggeri

NOTIZIE STORICHE ED ANTICO UTILIZZO

È plausibile l'ipotesi che non ci siaconnessione tra il cunicolo e lacalcara. La galleria probabilmentevenne costruita in un secondo tempocome rifugio sicuro ma facilmentelocalizzabile, quando il forno non erapiù in uso. È difficile anche stabilireuna datazione della costruzione dellacalcara. La produzione della calce èattestata a partire da 5.000 anni fa.Nel territorio dello Zomaro non sonoriscontrabili notizie sulla presenza dicave per l’estrazione di materialecalcareo. Pertanto la presenza di unacalcara in questo territorio, implical'ipotesi del trasporto della rocciaestratta.Frantumata e cotta nel forno dicalcinazione, a temperatura di almeno800 gradi, la pietra calcarea sitrasformava in calce viva. Nella fossa,rivestita di pietre, e con coperturamobile di travi lignee, veniva posto ilcombustibile e la pietra calcarea. Lacottura andava avanti per settimane,e, una volta terminata, il pozzo venivasvuotato dalla calce. Il prodotto cosìottenuto veniva bagnato, riscaldato,sgretolato, e polverizzato dando luogoalla calce usata in edilizia perpreparare malte, miscelata con acquae sabbia, e in agricoltura comecorrettivo delle caratteristiche deiterreni.

Esempio di costruzione di una calcara con copertura in travi lignee

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ALTANUMCollocazione

Coordinate

Quota

Località Sant’EusebioComune di San Giorgio Morgeto

Carte I.G.M. scala 1:25.000F° 590 IV TaurianovaLong. 596366 lat. 4247419

800 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoDa San Giorgio Morgeto salire verso lamontagna, dopo 7 km, al bivioprendere a destra e, dopo circa 1 km,ancora a destra. La stradina, in circa 4km, attraversa una splendidasughereta e termina alle case di S.Eusebio. Ampio panorama sulla Pianadi Gioia TauroPercorso a piedi: difficoltà TSeguendo la pista sterrata siincontrano i ruderi di Altanum.Sentieri Vi giunge un percorso (segnaviabianco-rosso) che sale da Cittanova.

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DESCRIZIONE DEL SITO

Il Piano di Casignano o di Casciano,sito nella località indicata incartografia come S. Eusebio, è posto acirca due chilometri di distanza, indirezione sud-est, da S. GiorgioMorgeto (RC).

L’area, nel 1921, era stata oggetto diuna ricognizione preliminare e di duesaggi archeologici, condotti da DeCristo su incarico di P. Orsi.

Gli scavi, condotti prevalentementenell’area occidentale, la piùpianeggiante, permisero di portare allaluce i resti di due grandi cisternerettangolari funzionali allaconservazione di grosse scorte diacqua. Oltre ad abbondante materialeceramico di diversa tipologia e fattura,tra i quali un “pezzo di vaso di cretabianca, con linee trasversali di colorerosso”, che potrebbe interpretarsicome un frammento di ceramica abande rosse, si rinvennero elementi inferro e due monete in bronzo proto-bizantine (VI-VII sec. circa). Un’altramoneta in bronzo (IX-X sec.) vennerinvenuta successivamente in manieradel tutto occasionale.“Relazione sugli scavi archeologici del Piano di Casciano o di Casignano (Altanum?), fatti

per incarico del comm. dott. Paolo Orsi… nell’ottobre 1921”.

Localizzazione delle cisterne e dellacosiddetta chiesa di S. Eusebio (daVincenzo De Cristo - 1921).

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Già alla fine del Settecento l’abitato,identificato con l’antica Altanum, eraconsiderato dagli eruditi metaescursionistica di un certo interesse:“Avremmo desiderato di esplorare levecchie reliquie del distrutto Altano.Dal generoso Principe di Ardore,Signore di Polistena, e marchese di S.Giorgio, D. Giovanni di Milano, sierano già prese tutte le misure pertenerci graziosa compagnia in taleesplorazione; ma, temendo noi dimancare al nostro principale istituto,dovemmo rinunziare a così buondesiderio, e avviarci ove ci chiamava ilproprio dovere”.Il pianoro, posto a 700 metri s.l.m, èdelimitato da un circuito murario che,sviluppandosi da est verso ovestseguendo la naturale pendenza delterreno, assume una forma poligonale.Nel rilievo eseguito da De Cristo, lacinta fortificata, il cui sviluppo è pari atre chilometri circa, risultacaratterizzata dalla presenza di duetorri, l’una a pianta circolare, detta‘Bombardiera’, ubicata nell’angolo NO,l’altra semicircolare posta nell’angoloSE.

Il muro, costruito con grossi blocchi dipietra locale cementata con malta esenza la presenza di laterizi e letti diposa, è spesso m. 1-1,20.L’estesa cinta muraria venneprobabilmente edificata, così cometestimoniano numerose altri recinticoevi, a protezione di un insediamentobizantino sorto in un punto ritenutostrategico nel controllo dell’importantevia di attraversamento che, dallo Jonioal Tirreno, metteva in collegamento laLocride ed il kastron di Gerace con laValle delle Saline (l’attuale piana diGioia Tauro).Il perimetro della fortificazione, allostato attuale di difficile lettura per lapresenza di una folta vegetazione, Planimetria della fortificazione (da Vincenzo De Cristo, 1921).

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risulta rimarcato da tracce più o menocoerenti di crollo; ben pochi sonoinvece i tratti di muro che siconservano in alzato. Non è stataindividuata la torre SE, indicata da DeCristo, anche se l’uso del tratteggionel rilievo potrebbe indicare che sitratta di una ricostruzione fatta sullabase di qualche struttura superstite. Siconserva invece, sostanzialmenteintegro, il tratto di muro di cinta conandamento curvilineo e concavitàesterna, posto ad est della“Bombardiera”. Si può ipotizzare che il maggiornumero di interventi costruttivi siastato concentrato sul lato orientale delrecinto fortificato che, seguendol’orografia del sito, proprio su questoversante risultava più esposto agliattacchi nemici. Sul lato occidentale, ilterreno, che presenta una pendenzapiù ripida, doveva garantire unamaggiore sicurezza; l’angolo SO delcircuito, a causa dell’orografiaaccidentata, infatti, è stato interessatoda una frana che era stata giàindividuata da De Cristo.Nuove indagini archeologiche sonostate svolte nel 2002 e 2003.Si sono svolte operazioni di scavo siaall’interno che all’esterno della‘Bombardiera’, di cui si conserva, conun alzato di circa 7 metri, soltanto lametà sud-orientale; il dislivello delterreno, che immediatamente ad ovestdella torre scende ripidamente diquota, ha causato lo scivolamentoverso valle dei grandi blocchi dimuratura, già precedentementecrollati. La torre, il cui diametrodovrebbe essere di circa 10 metri,costituisce il raccordo tra l’estremitànord del lato occidentale e l’estremitàovest del lato settentrionale; essendoposta completamente al di fuori dellacinta muraria, il collegamento conl’area interna avveniva attraverso un

ambiente a pianta quadrangolare concopertura a volta che si conservaparzialmente. La presenza di canaletterivestite in malta, che si sviluppanoparallelamente e trasversalmenteall’interno delle strutture murarie,lascerebbe supporre che alla basedella torre fosse ubicata una cisterna.La rimozione di parte del crollopresente all’interno della metà sud-orientale della struttura, costituito dablocchi lapidei irregolari, numerosescorie di ferro e frammenti ceramicitardo medievali acromi e con tracce diinvetriatura, ha reso maggiormentevisibili i paramenti murari interni. Sullato orientale sono presenti forirettangolari per l’incasso di travi,interposti ad aperture circolari,interpretabili come bocche da fuoco;quest’ultimi elementi tipologici, adifferenza dei fori rettangolari, nonsono in fase con il paramento murarioe, pertanto, potrebbero riferirsi ad unintervento edilizio successivo, volto alrafforzamento della struttura, che siera reso necessario con l’evoluzionedell’arte militare.La tecnica costruttiva, riscontrata sualcune unità murarie pertinenti alla

cinta difensiva e sui paramenti internied esterni della torre, risultacaratterizzata dall’impiego di blocchilapidei di dimensioni e formaestremamente variabile, disposti inmodo irregolare e legati da un tipo dimalta piuttosto resistente.Un maggior numero di indicazionisull’edificazione del circuito murario sisono avute con le indagini che hannointeressato, lungo il lato esterno, iltratto del muro di cinta ubicatoimmediatamente ad est della‘Bombardiera’. La presenza diparticolarità costruttive, di differentitessiture murarie e di leganti di naturadisomogenea, è indicativa dellediverse fasi edilizie della cintadifensiva.L’unità muraria, ubicata all’estremitàorientale del settore indagato, visibileper una lunghezza pari a 2,50 mcirca, risulta caratterizzatadall’impiego di malta friabile edall’alternanza di filari di blocchi dipietra e di corsi con tegoleframmentarie. All’estremitàoccidentale di questo tratto di cintamuraria, laddove il muro sembrerebbecurvarsi verso l’interno del circuito, si

Pianta delle strutture murarie poste ad est della Bombardiera.

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appoggia un diverso muro, adandamento rettilineo e conorientamento EO. Lungo il latointerno, privo del paramento, èvisibile, per breve tratto, un piano dicalpestio costituito da terra battuta,grumi di malta e ciottoli di fiume, checontinua in direzione sud oltre il limitedell’area di scavo. A questo muro siaddossa quasi perpendicolarmente, a1,70 m ad est della torre, una strutturamuraria ad andamento rettilineo conorientamento NS.

Le diverse tecniche costruttive,consentono di individuare almeno duefasi edilizie. Ad un primo intervento sipossono ricondurre le strutturecaratterizzate dall’impiego di laterizi eda una tessitura più regolare; ad unsecondo momento devono inveceriferirsi i lavori di edificazionedell’unità muraria, che prosegue indirezione ovest, priva di regolaritànella disposizione dei blocchi.L’edificazione della torre circolaresulla base della tessitura muraria e delmateriale costruttivo impiegatopotrebbe ascriversi a questa secondafase. All’interno dell’area fortificata non sisono rinvenute altre strutture adeccezione di alcuni cumuli costituitida pietre e laterizi frammentari,ubicati nella parte più alta delpianoro, dei quali De Cristo potéannotare la disposizione ad intervalliregolari di 5 e 10 m, oggi non piùverificabile a causa della fittavegetazione. In assenza di ulterioriindagini che chiariscano la natura diqueste concentrazioni, si può solorilevare come la composizione stessadei cumuli sia indicativa dellapresenza di abbondante materiale dacostruzione nel sito. Allo stato attuale delle nostreconoscenze, il circuito murario

presenta tutte le caratteristiche di unrecinto difensivo posto a presidio diuna delle vie trasversali della regioneche, sin dall’età antica, assicuravano icollegamenti tra la costa tirrenica equella ionica. La tradizionestoriografica, nel collocare sul piano diCasciano l’antica città di Altanum,sottolinea l’importanza di questovalico in epoca greca; Altanum,rientrando nei domini locresi, avrebbeassicurato alla colonia greca ilcontrollo del territorio interno e, diconseguenza, il collegamento con lesue fondazioni tirreniche.

Il materiale datante rinvenuto e latipologia della cinta muraria lascianopensare, come già indicato, ad unapostazione militare dei Bizantini checertamente non sottovalutaronol’importanza strategica del sito, dalquale si domina gran parte della pianadi Gioia Tauro e un lungo tratto dellitorale. La rilevanza militare del centrorimase inalterata sotto le dominazionisuccessive; i Normanni, infatti, allaconquista capillare del territorio,preferirono l’occupazione di puntinevralgici ed il controllo degli assi

viari lungo i quali potesseroagevolmente spostarsi per raggiungereogni “sacca di resistenza”; gliinterventi costruttivi più tardipossono, infine, ricondursi al tempodegli scontri tra Angioini e Aragonesiche per lunghi anni si contesero ildomino della regione.Di una più tarda frequentazionerimane testimonianza nella sei-settecentesca chiesa di S. Eusebio,forse di più antica origine ed oraadibita a porcile, in alcune case, ed inpiccoli ricoveri ancora oggi utilizzatida pastori e contadini.

Ceramiche medievali (secc. XI-XII)provenienti dai Piani di Casignano.

AUTORI

Redazione testi: dott. Francesco A.Cuteri, dott. Maria Teresa Iannelli -Soprintendenza Archeologica dellaCalabria, dott. Barbara Rotundo

Foto: F. Cuteri, A. Picone

BIBLIOGRAFIA

F.A. CUTERI, M.T. IANNELLI, B. ROTUNDO, Da Kellerana a Borrello. Percorsi einsediamenti a nord delle Saline tra X e XII secolo, in Atti del XIII Incontro di StudiBizantini, Reggio Calabria 2004, c.s.

D. GANGEMI, Monografia di San Giorgio Morgeto, ovvero, cenni storici,archeologici,etnografici, Reggio Calabria 1886, rist. anast., Reggio Calabria 2003.

G.P. GIVIGLIANO, I percorsi della conquista, in F.A. CUTERI (a cura di), I Normanni infinibus Calabriae, Soveria Mannelli 2003, pp. 23-34.

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D. VALENSISE, Dell’origine e vicende di S. Giorgio Morgeto, Reggio Emilia 1882, rist.anast., Reggio Calabria 2003.

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TORRE CARDITTOAltre denominazioni

Collocazione

Coordinate

Quota

Torre Cardeto, Torre Cardito

Comune di Mammola

Carte I.G.M. scala 1:25.000 F° 590 IV Taurianova F° 590 I Gioiosa I.Long. 601656 lat. 4249236

800 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoDalla strada di grande comunicazioneRosarno-Gioiosa uscire allo svincolodella Limina. Salire al Piano allaLimina ed al quadrivio seguire leindicazioni per San Giorgio Morgeto.Dopo circa 1 km s'incontra un biviodove deviare a sinistra. Non appena lastrada lascia il piano iniziano alcunitornanti: posteggiare l'auto dovenoterete uno spiazzo sulla sinistra,sotto una scarpata sabbiosa,delimitato da una staccionata.Percorso a piedi: difficoltà EIndividuate i segnali bianco-rosso:indicano un sentiero che aggira esupera la scarpata. Traversato un

piccolo pianoro si sale nuovamente egiunti al secondo pianoro lasciare isegnali e spostarsi sulla destra. Albordo della scarpata troverete i restidella torre.SentieriVi transita il Sentiero Italia (che quisegue il Sentiero del Brigante) che daGambarie conduce alla Limina.Alla Limina giunge (o inizia) il Sentierodei Greci che collega al Santuario diSan Nicodemo ed al paese diMammola.

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AMBIENTE CIRCOSTANTE

La torre sovrasta dall'alto il fiumeTorbido, garantendo al visitatoreeccezionali viste panoramiche e, inpassato, un monitoraggio continuo deitransiti.II boschetto che oggi Ia circonda ècostituito da lecci, faggi ed eriche,mentre il sottobosco assumeparticolare bellezza per la presenza diviolette, pungitopo e felci cherivestono gran parte dell'altipiano.

ATTUALE CONDIZIONE DEL SITO

Della torre oggi rimane solo la base,tanto che il punto più alto rispetto allalinea di terra interna risulta essere1,70 m circa. Il diametro esternomisura circa 5,00 m mentre quellointerno 3,40 m circa. La maggior partedella superficie è ricoperta da muschioed essenze erbacee (caratteristica èuna pianta rampicante che ne ricopreuna parte delIa parete interna) ecircondata da felci. I muri in pietrairregolare, dello spessore di 80 cm, sullato nord, sono quasi completamentenascoste dal terreno, lasciando peròintravedere la loro chiara formacircolare. Salendo di quota la torreassume una forma conica e lospessore delle mura arriva a 60 cm.Sono riscontrabili, inoltre, dei foripresumibilmente necessari per ilposizionamento di impalcaturerealizzate in fase di costruzione.

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Torre Carditto: pianta

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Prospettolato sud

Prospettolato ovest

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Sezionelato sud

Sezionelato ovest

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Diametro interno: 3,40 m

Diametro esterno: 5,00 m

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AUTORI

Redazione testi: dott. Carla Carbone

Rilievi: disegni di Salvatore Spatari e Giuseppe Zumbo elaborati nell’ambito delcorso di “Rilievo dell’Architettura I”, condotto dal prof. R. G. Brandolino presso laFacoltà di Architettura dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

Foto: A. Picone

NOTIZIE STORICHE ED ANTICO UTILIZZO

Torre Carditto è un manufatto confunzione militare. Si trova nel comunedi Mammola a circa 800 m s.l.m.. Lazona è oggi comunemente chiamata “aturri", proprio per la presenza diquesta struttura di cui oggi restasolamente la base.Ma la questione che riguarda il nomedel sito risulta essere molto confusa,visto che ogni organo competentetende ad individuarlo in manieradiversa: per gli abitanti del postodiviene "Torre Cardito" per l'IGM"Torre Carditto" e per la ComunitàMontana della Limina "TorreCardeto”. Nei pressi, inoltre, vi sono itoponimi Monte della Torre e FossoCarditto.L'intera zona, dal punto di vistastorico, suscita notevole interesse. Glialtipiani della Limina infatti sono statida tempo oggetto di scavi archeologiciche hanno riportato alla luce armi dipietra, urne funerarie e i resti di una

chiesa paleocristiana, nello stesso sitoin cui si trova oggi il santuario di S.Nicodemo.Il monte Limina costituisce una sortadi limite tra lo Ionio e il Tirreno. Lapresenza di un antico sentiero greco,che gli storici ritengono fosse la viaprincipale di collegamento tra Lokroi eMedma, ne dimostra l'importanza.Lungo il fiume Torbido, che si originasui monti della Limina, e che sfociapoi nel mar Ionio nei pressi di GioiosaMarina, vi sono altre due torri risalential 1.500, e precisamente TorreCavalIaro (a pianta circolare e situataa pochissimi metri dal mare), e TorreGalea (a pianta quadrata e collocata acirca 7 km dalla costa) che servivanocome punti di avvistamento per ilcontrollo di eventuali arrivi dal mare dinavi turche.Altro elemento interessante è lapresenza, lungo la strada provinciale285 che da Cinquefrondi sale allaLimina, a circa 10 Km da essa, deltoponimo Torre Alba.

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VILLAGGIO U.N.R.R.A.Collocazione

Coordinate

Quota

Comune di Mammola

Carte I.G.M. scala 1:25.000 F° 590 I Gioiosa I.Long. 603784 lat. 4250542

818 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoDalla strada di grande comunicazioneRosarno-Gioiosa uscire allo svincolodella Limina. Salire al Piano dellaLimina ed al quadrivio andare asinistra. Subito dopo, sulla destra,s'incontra il villaggio.SentieriVi transita il Sentiero Italia (che quisegue il Sentiero del Brigante) che daGambarie conduce alla Limina eprosegue verso le Serre.

AMBIENTE CIRCOSTANTE

Recenti rimboschimenti hannocancellato la vegetazione originaria.

ORIGINI, FONTI, STORIA

Il nome di questo piccolo villaggio ciaveva sempre incuriosito manemmeno la gente del posto nericordava il significato. Ci hanno dettotuttavia che le case che compongono ilvillaggio furono originariamentecostruite per assegnarle ai contadini

rimasti senza abitazioni a causadell'alluvione che nel 1951 colpìduramente l'Aspromonte. Gliassegnatari però le rifiutarono perchélontani dai loro poderi. Subirono neltempo un graduale abbandono econseguente degrado. Alcuneabitazioni furono occupateabusivamente divenendo seconde caseper le vacanze. Attualmente gran partedel villaggio risulta essere posto sottosequestro dalle autorità giudiziarie. Il15 agosto di ogni anno la chiesettarichiama numerosi fedeli che vifesteggiano la Madonna dell'Assunta.L'acronimo UNRRA ci riporta ancorapiù indietro nel tempo. Era l'UnitedNations Relief and RehabilitationAdministration (Amministrazione delleNazioni Unite per l'Assistenza e laRicostruzione), un organismo chenasce il 9 novembre 1943, due anniprima della creazione dell'ONU.Istituito per portare aiuto ai paesi cheuscivano dalla guerra, su iniziativadegli USA con l'aiuto di UnioneSovietica, Gran Bretagna, Cina el’adesione di 44 nazioni. Il programmaera l'assistenza immediata, mediante la

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AUTORI

Redazione testi: dott. Alfonso PiconeChiodo

Foto: A. Picone

fornitura di cibo, carburante, vestiario,medicine e protezione. Doveva ancheaiutare la ripresa economica eindustriale, creare alloggi (come quelliin Aspromonte) e favorire il rimpatriodi rifugiati e profughi. In Europacominciò ad operare nel 1944, nonappena iniziò lo sforzo di liberazionedei paesi balcanici e mediterranei. Trail 1944 e il 1946 vennero impiegate25.000 persone e spesi 4,5 miliardi didollari soprattutto in Albania, Grecia,Italia, Polonia e Cina.

Ben presto la struttura si rivelòinadeguata e nella prima AssembleaGenerale dell'ONU si decise loscioglimento dell’organismo cheavvenne nel 1947.

FONTI

G. WOODBRIDGE, UNRRA: The History ofthe United Nations Relief andRehabilitation Administration, 3 voll.,Columbia University Press, New York,1950.

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CHIESA DEI SANTI PIETRO E PAOLOCollocazione

Coordinate

Quota

Monte Tre Pizzi Comune di Ciminà

Carte I.G.M. scala 1:25.000 F° 590 III PlatìLong. 600574 lat. 4235026

710 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoDalla S.S. 106, nei pressi di ArdoreMarina, si devia per Ciminà dove sigiunge dopo circa 15 km. Ci si porta amonte del centro abitato seguendo leindicazioni a sinistra per Zomaro eMoleti. Seguendo per circa 2 km laripida stradina si giunge ad unospiazzo sulla destra con un tabellonedove lasciare l'auto.Percorso a piedi: difficoltà EIl percorso che aggira monte Pettondoe conduce a monte Tre Pizzi segue unsentiero segnato bianco-rosso conlievi saliscendi tra eriche, corbezzoli elecci. Giunge, in circa 1 ora, alpanoramico pianoro di monte Tre Pizzi

offeso da una ringhiera che correlungo il bordo del precipizio. L'anticachiesetta è addossata alla pareterocciosa che si affaccia verso est.SentieriDallo spiazzo dove avete lasciatol'auto tornando indietro di circa 3 kms'incontra un altro tabellone (loc.Fasola). Un sentiero, mal segnato,conduce alle cascate Caccamelle, salea monte Antoninello e termina alvillaggio Moleti.

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AMBIENTE CIRCOSTANTE

Una vallata dai morbidi rilievi sidispiega tra i paesi di Ciminà e diPlatì, nel versante orientaledell'Aspromonte. Il rosso della sullafiorita e il giallo del grano rendonodolce ed inconsueto questo territorio.Il paesaggio bucolico è però interrottobruscamente dai ripidi costoni rocciosiche s'innalzano quasi verticalmentedai 300 m della pianura sino ai 1.000degli altipiani sommitali. MontePinticudi, monte Colacjuri, monte TrePizzi, monte Jacono, montePetrotondo, Aria del Vento, Rocchedegli Smaleditti, Rocce dell'Agoniacostituiscono una imponente edinaspettata muraglia. Già i toponimiincutono timore ma, districandosi trasentieri appena accennati e giunti allasommità di questi monti, si puògodere un panorama unico. A nord estl'amba di Gerace, le rupi di Canolo edi primi monti delle Serre; a sud ovestMontalto e la dorsale appenninica chesi dispiega verso settentrione, lavallata delle grandi pietre doveemergono Pietra Cappa, Pietra Lunga ePietra Castello e le bianche ferite dellafrana del lago Costantino e della franadi Fassari; di fronte un ampio trattodella costa ionica. L'ambiente dove èincastonata la chiesetta dei SS. Pietroe Paolo è un pianoro roccioso dovevegetano radi lecci ed eriche sferzatidal vento. Il sentiero che conduce allameta è semplice ed ombreggiato dauna galleria arborea formata in parteda corbezzoli che offrono, in autunno,i loro colorati frutti che quandocadono a terra creano un tappetogiallo-rosso.

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Pianta a quota 1,50 m

Pianta a quota 3 m

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DESCRIZIONE DEL SITO

Dai ruderi tutt'oggi visibili la chiesaera a navata unica con formapressoché rettangolare, a cuiaddossato si legge ancora un altroambiente che era adibito a romitorio,4,45 x 4,10 circa, che vienemenzionato da A. Oppedisano, dimoradi un eremita, rientrante di 25 cmrispetto all'edificio principale orientatoad ovest.La chiesa aveva due ingressi. Uno adest, quello principale di circa 130 cm,e l'altro ad ovest.All'interno della navata si vede beneuna nicchia di forma quadrangolare,140 cm x 130 rientrante di 20 cm, conun elemento che potrebbe considerarsidecorativo per la bellezza, ma chetracce di intonaco tra i crolli fannoaffermare con una certa sicurezza chesi tratta di elemento strutturale.L'ingresso rivolto a sud è sormontatoda una piatta a banda realizzata conmateriale lapideo, anch'esso aventefunzione strutturale; sulla parete sonoleggibili quattro monofore constrombatura verso l'interno (in altreparole dall'esterno verso l'interno siallargano). Nell'ingresso è ben visibileun foro funzionale al portone.Negli angoli si evidenziano circa 7 cmdi risega di fondazione.Il materiale usato è pietrame conalternanza di laterizi.Le buche pontaie sono anch'esse benvisibili alla distanza regolare di 1,50cm.Una parete della Chiesa, precisamentequella di nord-ovest, sfruttal'andamento e la presenza dellaroccia, sulla quale è ben evidente,scavata, una canalina che dirotterebbel'acqua piovana su un lato dell'edificiodi culto. Veniva forse raccolta? La proposta di ricostruzione dellachiesa è alquanto verosimile poiché

sul lato nord, nella facciata principaleaddossata alla roccia, è ancorapresente traccia di falda di tetto, ecomunque per la stessa sua posizionedoveva essere necessariamente a faldaunica.Al mensionamento delle monofore hacontribuito la fortunosa presenza diun architrave di una delle monoforeancora reggente: si tratta di una pietraunica su una delle monofore.La Chiesa misura 8,30 m x 6 mall'esterno, con uno spessore murariodi 70 cm.È presente anche un setto murario di80 cm con funzioni divisorie, ovverosfruttante lo spazio tra la parete dellachiesa e la roccia (con qualefunzione?).

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Prospetto: parete esterna lato sud

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Prospetto: parete interna lato nord

In alto: parete absidale

In basso: particolari della nicchia d’altare

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AUTORI

Redazione testi: dott. Rosalba Tripodo

Rilievi e rielaborazione grafica: StudioRiproarc di arch. cons. ClaudiaCutrupi

Foto: C. Cutrupi, V. Galluccio, A.Picone

ORIGINI, FONTI, STORIA DEL SITO

Lungo il crinale dei Tre Pizzi sono benvisibili i ruderi della Chiesa dei SantiPietro e Paolo che si attesta esserestata fondata per volere dell'arcipreteAntonio Parrelli. Il vescovo Rossi, il 17marzo 1751, intervenne alla posa dellaprima pietra, e il 4 ottobre 1753 lostesso la benedisse celebrandovianche la prima S. Messa.Le sue origini tuttavia sarebbero benpiù antiche: i Tre Pizzi sarebberoinfatti un monte più volte nominato indocumenti medievali riguardantichiese e beni religiosi, con i toponimi“Grande Pietra”, “Tre pietre ugualialberate”, “Pietra alberata”. S'ipotizzache in età medievale esistesse unachiesa o monastero di San Pietropresso i Tre Pizzi, nel cui territorio, oaddirittura nel cui sito, sia statafondata in seguito la Chiesa dei SS.Pietro e Paolo del XVII: il doppio titoloinduce il prof. Minuto a supporre cheesso fosse proprio dell'impiantoreligioso precedente, e che quindifosse pertinente la notizia delmonastero dei SS. Pietro e Paolo delsec. XII, anche in considerazione delfatto che Gennaro Pelle annotò che “aipiedi della roccia Tre Pizzi si scorgonoancora i ruderi di un convento dieremiti, che sembra sia stato eretto nelsec. XII. Presso il convento, nel secoloscorso, aveva luogo una tradizionalefesta in onore di San Pietro…”.

BIBLIOGRAFIA

D. MINUTO, Catalogo dei Monasteri e dei luoghi di culto tra Reggio e Locri, Ed. DiStoria e Letteratura, Roma 1977.

Ipotesi ricostruttiva

ROCCHE DI SAN PIETROCollocazione

Coordinate

Quota

Località Rocche di S. PietroComune di Careri

Carte I.G.M. scala 1:25.000F° 603 IV San LucaLong. 591171 lat. 4226856

578 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoSeguire la S.S. 106 sino al bivio con laS.S. 112 dir. per Platì. Percorrerla per 11km fino a Natile Nuovo e subito dopoa sinistra una stradina scende versouna fiumara e poi risale a Natile incirca 2 km. Attraversare gli stretti vicolidel paese imboccando una pista incemento e terra battuta che in 2 kmsale ai pianori. Ad un ovile sullasinistra si deve lasciare l’auto. Le roccesono a breve distanza.Percorso a piedi: difficoltà EIl sentiero che conduce alle rocce èben visibile e segnato. La scalata allaroccia che ospita l’asceterio è facilitatada un corrimano in legno e gradiniscavati nella parete. L’intervento è statorealizzato dall’AssociazioneEscursionistica “Gente in Aspromonte”.SentieriDa Natile Vecchio ha inizio il Camminodell’Alleanza (segnavia bianco-rosso)che raggiunge lo spartiacque tra Ionioe Tirreno, lo segue verso nord etermina a Cittanova. Questi luoghi, d’altronde, si trovanopresso la via carovaniera ipotizzata daDomenico Zangari, tra Pietra Castello,Pietra Cappa e la fiumara Careri.

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delle Rocche dì S. Pietro è scavata informa di caverna a due pianiintercomunicanti e con molte aperture;accanto a questa sono state praticate(si distinguono i segni del piccone)altre grotte minori.

1 a) Grotta principale. Piano inferiore.È il vano più ampio, di formairregolarmente circolare (diametri: m.5,58 tra est ed ovest, m 3,72 tra norde sud), di altezza massima di m 1,86,con due aperture, la principale ad est(m 1,86 di altezza e di larghezzamassime), la minore a nord (m 1,70 dialtezza e m 0,93 di larghezzamassime); comunica con il vanosuperiore attraverso due fori, uno dicm 15 di diametro, l'altro con diametridi cm 31 tra nord e sud e cm 15 tra ested ovest.

1 b) Grotta principale. Piano superiore.Vi si accede dall'esterno, con ingressoa sud (altezza dell'ingresso, m 1,40,larghezza m 1,30). È un vano diviso indue parti da un dislivello di circa 62cm, che separa la parte a nord, piùpiccola e più elevata, da quella a sud,più ampia. La parte a nord misura m2,17 nella linea est-ovest e m 1 circa,nella linea nord-sud; ha un'apertura diforma irregolarmente circolare condiametro m 0,62 esposta a nord oveste parecchie incavature o buchi nellepareti, sia in corrispondenza del foroesterno, sia in corrispondenza delgradino che separa la nicchia minoreda quella maggiore; quasi al centro diquesta parte sono praticati nel suolo idue fori che comunicano con lacaverna del piano inferiore; nel suoloè anche scavata una fossarettangolare, disposta presso il gradinodi separazione delle due parti eparallela a quella della seconda parte,ma più piccola.La seconda parte, a sud, misura m

2,17 nella linea est-ovest e m 1,86nella linea nord-sud; nel suolo, quasiparallela al gradino, è praticata unafossa rettangolare di circa m 0,50 diprofondità, m 1,86 di lunghezza (lineaest-ovest) e m 0,62 di larghezza (lineanord-sud); sopra l'estremità occi-dentale del lato lungo settentrionaledella fossa sporge un da-do di roccia,in forme definite, anche se nonsquadrate, come un piccolo altare osedile (misure approssimative: m 0,40di altezza e di larghezza – da nord asud – e m 0,60 di lunghezza, da est adovest); nella parete orientale di questaparte è praticata un'aperturairregolarmente oblunga, sopral'ingresso della parete inferiore, di m2,48 di altezza e m 0,93 di larghezzamassima.

2) Grotta a nord di quella principale. Èscavata su una parete di roccia, informa di mezza calotta sferica(diametro m 2,01) e con un ingressonotevolmente regolare (m 1,60 dialtezza e m 0,93 di larghezza),praticato a circa m 0,40 dal suolo echiuso nella parte superiore con lineacurva. Un pò più verso ovest, nellastessa parete, è praticata un'altranicchietta molto più piccola, in cui siraccoglie acqua piovana.

3) Grotta ad ovest di quella principale.Nella estremità occidentale della roccadove è praticata la grotta principalec'è una piattaforma di circa tre m dilunghezza (linea est-ovest) e due dilarghezza, che può far pensare ad unagrotta di cui poi sia crollata la volta…

Tratto da: Prof. D. MINUTO, Catalogodei monasteri e luoghi di culto tra RC eLocri, 1977, pp.371-374.

VISITA

L’8 giugno 1969 ho visitato le Rocchedi S. Pietro assieme al Sig. SebastianoGiampaolo, a suo figlio Antonello, diSan Luca, e ad alcuni alunni del LiceoClassico “T. Campanella” di ReggioCalabria. Una seconda volta hovisitato le Rocche di S.Pietro e unapiccola pianura ad oriente di queste,dove dicesi sorgesse il monastero diAfrundu, il 24 luglio 1970, assieme alsig. Filippo Condemi di Gallicianò.Le Rocche di S. Pietro sono una roccaa forma di largo cono che fronteggiaPietra Cappa, la quale è postasull'altro versante (quello destro) deltorrente Ménica, ed è più alta. La cima

Nella pagina a fianco: inquadramentoterritoriale stralcio planimetrico scala 1:5000

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Il piccolo altipiano dove i pastori e icontadini dicono che sorgesse il“convento di Afrundu” è posto ai piedidelle Rocche di San Pietro, tra queste eNatile Vecchio (Natile Vecchio: l3°35'57" j 38"11'20" Foglio Piatì 255IV SO 33SWC 92/2/27/5; quota 328:designazione della chiesa attualmentefunzionante). Oggi non si vede altroche un piccolo ulivo, piuttostogiovane, un pò inclinato verso est,sopra un mucchio di sassi cheformano una irregolare armacera(muretto a secco di sostegno delterreno). Tuttavia parecchi abitanti diNatile Vecchio ricordano l'edificio inpiedi e sostengono che tutto il piccoloaltipiano apparteneva al convento,dove dicono che fosse la statua ligneadi San Pietro che ora è custodita nellachiesa funzionante di Natile Vecchio.Il sig. Luigi Pipicella di Natile mi hadetto di ricordare grandi "finestrate"esposte ad oriente e mi ha indicato unluogo accanto all'ulivo, dove c'era ilcimitero del convento e che perciò è

chiamato “Santo”. Egli mi ha dettopure che un suo zio ha portato lastatua di S. Pietro da Afrundu nellachiesa di Natile dove ora è conservata.In vari luoghi attorno alla pianura diAfrundu sgorgano sorgenti. Mi è statodetto che nella campagna verso est,tra Natile e Bovalino Marina, c'è unalocalità chiamata Santu Petru senzaresti di antichi impianti. Ho visitato la chiesa attualmente infunzione di Natìle Vecchio ed ho vistola statua lignea di San Pietro, chiusain una bacheca che non si è potutaaprire. Il santo regge con gesto decisonella destra protesa le chiavi e nellasinistra un libro ornato con unagrande croce greca (con le liste ugualie rastremate al centro). I colori sonomolto vivaci, frutto di un recentevigoroso restauro; pare che se ne mi-nacci un altro ancor più radicale, daparte di emigrati d'America. Sulla basec'è scritto: “Scolpita il 29 giugno 1400(o 1409?). Restaurata a curadell'arciprete Jetto. Agosto 194...”(l'ultima cifra della prima e dellaseconda data erano nascoste dal girodella base). A Natile Vecchio,all'ingresso sud del paese c'è unachiesetta semidiruta che, secondol'Oppedisano fu fondata verso il 1531dal principe dì Cariati, fu lesionata dalterremoto del 1783, restaurata verso il1830 e ancor più gravemente lesionatadal terremoto del 1908…

…A Natile Vecchio le Rocche di SanPietro sono indicate come “la chiesadi S. Pietro”, mentre per Afrunduparlano di convento. Esse vengonoanche chiamate “la mingiòia” termineche indica nel dialetto locale la nicchianella quale vengono riposti i simulacridei santi. I pastori che abbiamoincontrato nei pressi delle Rocche diSan Pietro dicono che nella grotta piùpiccola fino a non molto tempo fa“c’erano i Santi”; si dice pure che lafossa nella grotta principale superiorefosse usata da briganti come madiaper il pane. Pietra Cappa, che siscorge dalle Rocche dì San Pietro, ne èdistante meno di un'ora di cammino,e, a quanto dicono i pastori, nondisagevole; essi da Pietra Cappa inun'ora raggiungono Natile Vecchio,passando vicino alle Rocche di SanPietro e ad Afrundu; noi da NatileVecchio alle Rocche di San Pietroabbiamo impiegato tre quarti d'ora dicammino, piuttosto facile, a parte unascalatella finale.

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Viste assonometriche del modello

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OSSERVAZIONI

…Ritengo che le grotte delle Rocche diSan Pietro siano state adibiteanticamente come asceterio di eremitidi rito greco: la denominazione dichiesa e il vago ricordo di simulacri disanti, il termine mingiòia (comeabbiamo visto, è lo stesso termine chedesigna la contrada della chiesa diSan Leo presso Africo Vecchio: ilmonastero di San Leo, Visita eOsservazioni), oltre al titolo delPrincipe degli Apostoli, parlanochiaramente di un impianto religioso.Il termine Àfrundu "Acrantos”, ilricordo di "Basiliani" (Notizie e Pareri,nota 1), la croce greca impressa sullibro tenuto da san Pietro, ne indicanoil rito. Pertanto le due fosserettangolari del piano superiore dellagrotta principale possono considerarsicome giacigli degli eremiti (dell'ascetae del suo discepolo).Credo che l'asceterio delle Rocche diSan Pietro sia stata l'origine delmonastero di Àfrundu…

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AUTORI

Redazione testi: prof. Domenico Minuto

Rilievi e restituzione grafica computerizzata: Università Mediterranea degli Studi diReggio Calabria, Facoltà di Architettura, prof. arch. Gaetano Ginex, arch. StefaniaRaschi, arch. Gabriella Falcomatà, arch. Domenico Tosto

Il modello tridimensionale digitale è stato elaborato dall’arch. Domenico Tosto

Foto: G. Ginex, A. Picone

Tratto da prof. D. Minuto, ‘‘OOppeerraa,Bollettino della Badia Greca diGrottaferrata n.s. LIII, 1999, p. 358.

Gli embrici e la scelta della dimora ingrotta, che ritengo una pratica diffusain Calabria specialmente fra i secc. VIIe IX, mi fanno credere che l’asceteriosia stato frequentato in età moltoremota, presumibilmente verso il VII ol’VIII secolo.

Tratto da: Prof. D. Minuto, L’avveniredi Calabria, 30 ottobre 2004.

Ora per arrivarci hanno messo lescalette e il passamano in legno. Utili,perché prima bisognava arrampicarsi,con il facile rischio di precipitare. Main questo modo, l’asceterio delleRocche di San Pietro sotto PietraCappa è divenuto una meta per turisti,anche se eletti, amanti della natura ediscreti di numero. Per secoli era statoun luogo di assoluta intimità...

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SAN GIORGIO DI PIETRA CAPPACollocazione

Coordinate

Quota

Comune di San Luca

Carte I.G.M. scala 1:25.000F° 603 IV San LucaLong. 589990 lat. 4226314

730 m s. l. m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoDalla S.S. 106, presso Bovalino,deviare per San Luca (11 km). Superareil paese imboccando la strada per lamontagna che passa dal cimitero.Seguirla per circa 8 km e poi lasciarlaper una strada in terra battuta sulladestra. Si scende, per circa 2 km, sinoall'abbeveratoio in località Fontanelle eguadato il torrente si sale pergiungere, dopo meno di un km, alcasello forestale di San Giorgio diPietra Cappa. La chiesetta è poco sottoil casello.SentieriDal casello transita il Sentiero Italia(segnavia bianco-rosso) che versovalle conduce a San Luca, passandopresso Pietra Lunga e Pietra Castello.Verso monte, invece, supera monteScorda e monte Misafumera e giunge aZervò. Aggira Pietra Cappa anche ilCammino dell’Alleanza.

TERRITORIO CIRCOSTANTE

È opportuno per meglio comprenderequesto sito conoscere i dintorni el’importanza del “distretto” di PietraCappa.A 3 Km in linea d’aria a sud di PietraCappa si trova Pietra Castello – a 900m di altitudine – domina l’alto corsodel Buonamico, un tempo navigabile. Ilcastello è chiaramente bizantino,posto in zona d’alta quota, permettevail controllo sia della marina che dellamontagna e che il prof. Minutoidentifica con la Torre d’Aspromonte,che la Chanson d’Aspremont del XIIsecolo fa teatro di aspre battaglie tra iPaladini di Carlo Magno e i Saraceni. A un’ora di marcia dalla chiesa di SanGiorgio, su uno dei colli alle faldedell’altipiano di Pietra Cappa, c’èl’asceterio delle rocche di San Pietro –una grotta a due piani a forma diteschio – e, ai piedi di questo colle, ilmonastero di Afrundu (oggi

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completamente scomparso, lo ricordaun albero di ulivo e i pastori anziani).La fiumara di Careri, qui vicina,portava accanto a sé un’antica stradaromana che saliva allo spartiacque.Ad 1 Km in linea d’aria a sud est diPietra Cappa – a quota 600 circa – viè la località Cicerati, è fama che quisorgesse un’antica cittadina, i cuiabitanti si recavano nella chiesetta diSan Giorgio per le funsioni religiose.Tutto il territorio godeva di un’intensavitalità nell’altomedioevo eprobabilmente anche in età piùantiche, in età romana e forse in etàgreca.

DESCRIZIONE DEL SITO

A 730 m di quota, orientata versoPietra Cappa e non lontana da essa,vicino al casello della forestale,troviamo i ruderi, sempre piùevanescenti della chiesetta di SanGiorgio. La sua pianta quadrangolare misuracirca 39 piedi bizantini (9,20 x 9,20 m,quindi un po’ più grande di San Pietrod’Otranto che misura circa 8 m, dellaCattolica di Stilo e di San Marco diRossano di circa 7 m, ma più piccoladegli Ottimati di Reggio Calabria di 12m circa), tranne il lato orientale,appunto, in direzione Pietra Cappa,che sporgeva verso l’esterno con 3piccole absidi di diseguale regolaritàgeometrica. La più grande, quellamediana, di circa 3 m di diametro,guardava a 60° e conteneva l’altare; lelaterali, più piccole di 1,90 m,dovevano avere il diaconicòn a 65° e laprothesis a 70°. A differenza delle altre chiesebizantine di uguale tipologia, lachiesetta di San Giorgio presenta 3ingressi: quello principale sulla pareteoccidentale di fronte alle absidi equindi in asse con l’abside maggiore ei due ingressi laterali più piccoli,orientati rispettivamente a nord e asud, posti non al centro ma presso gliangoli con la parete ovest. Così che ilVenditti ha potuto ipotizzare lapresenza di un nartece, come negliOttimati. Inoltre gli studi di GennaroPesce, condotti nel 1936, ci informanoche per accedere all’interno bisognavascendere 3 gradini dall’ingressooccidentale, 2 da quello settentrionale,e tutto l’edificio poggiava su di unapiattaforma appositamente costruitaper ospitare la chiesa. Terrazza con 40m di lato, alta sul piano di campagnacircostante 1,50 m dai lati sud ed est,dove il piano della radura scende in

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declivio. I muri del quadrilatero, comepure quelli della fronte delterrazzamento, sono costituiti dapietre di arenaria grigia locale, unitecon malta.L’interno era quindi diviso in 3 navateda 4 colonne monolitiche alte 4,15 m,due di granito e due di breccia. Lequattro colonne poste al centro,formavano un quadrato su cuicertamente saranno stati poggiati gliarchi i quali, nelle chiese di questaforma, costituivano al centro il telaioche sorregge una cupola e inoltredividevano tutto l’ambiente in novesettori, disegnando una “croceinscritta” (a croce inscritta sono anchele chiese bizantine di Stilo, Reggio eRossano). La massima altezza dell’edificio dalpavimento alla sommità della cupolamolto probabilmente dovevaraggiungere all’incirca i 30 piedi.Sicuramente la copertura eracostituita da una cupola centrale(come a Pietro d’Otranto e anch’essacon 3 absidi diseguali), ma è ancheprobabile che avesse altre 4 cupolepiù piccole ai quattro lati, edassumesse all’esterno l’aspetto moltoprossimo a quello della Cattolica diStilo, il monumento più noto dellabizantinità calabrese. Questa ipotesipotrebbe essere confermata dallapresenza di molti frammenti dicolonnine di marmo bianco, trovatisul luogo che fanno pensare a diversebifore, finestrelle a doppio arco, chehanno il sostegno centrale di unacolonnina e, - tenuto conto chequeste finestrelle adornano le cupole– si potrebbe pensare che San Giorgioavesse più di una cupola.La struttura muraria non è regolare:presenta grosse pietre, fino a 30 cm, econci (pietre squadrate) intervallate dastrisce di mattoni. Riportiamo unadescrizione attenta da parte del prof.

Minuto, esperto bizantinista e studiosodei paramenti murari:“…Sono soprattutto mattoni ed embrici, equesti sia di tipo romano e tardo antico,sia di tipo greco. Sono alternati alle selci,che sovente sono sostituite da conci,specie negli allineamenti più bassi ed inalcune sezioni della muratura. Gliallineamenti dei cotti, che sono, come hodetto, frammenti di embrici o di mattoni,alcuni sesquipedali, non sono semprecontinui e leggibili; tuttavia tutti i ricorsisono disposti con evidente curadell’orizzontalità. I conci sono di formasia cubica che parallelepipeda, e questi

non sempre sono poggiati sul pianomaggiore, ma in verticale. In tal modo sicreano scompensi nell’orizzontalià,chiaramente ricercati, per quella formache nello studio a più voci…, ho propostodi chiamare “a filare spezzato, attestata inapparecchiature murarie calabresi disecolo VI-VII e talvolta anchesuccessive…”

Quando, nel 1936, Gennaro Pescestudiò i ruderi della chiesetta, questierano molto più appariscenti, alloraresisteva parte del pavimentopolicromo in marmo lavorato a

Pianta

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mosaico con tessere di formequadrate, triangolari, romboidali(simile a quello degli Ottimati, maforse più bello), gli intarsi sialternavano in modo da formare unasuccessione di croci intervallate dasvecchiature lapidee di pregevolefattura e di probabile provenienzaromana. Infatti il tipo di materiale“nobile” utilizzato in una chiesettacosì lontana e sperduta, fa propendereper l’ipotesi che il tempietto fossestato costruito con materiale di risulta,ricavato da qualche tempio pagano eda una committenza di rango per unafrequentazione notevole. Il Pesce fecesmontare il pavimento affinchépotesse essere ricostruito nel Museo diReggio Calabria, cosa che però nonavvenne, ne è facile sapere dove sianoora questi pezzi.

Dopo il primo ed ultimo scavo del1935, si è dovuto attenderel’intervento della Legambiente di RCnel 1993 con la squadra dei giovanivolontari internazionali dello SCI, perun’azione di pulitura del sito

completamente ricoperto da rovi eselci, e sotto la consulenza del dott.Claudio Sabbione, Funzionario dellaSoprintendenza Archeologica, furonoraccolte molte cassette di cocci edanche fu riconosciuta nei pressi dellachiesa una tomba di età romana.

Dei manufatti impiegati nellacostruzione della chiesa di San Giorgioa San Luca, alcuni sono segnalati inaltri siti. Una colonna delle maggiori,ad esempio, si trova ora a Polsi,mentre una delle colonnine dellebifore, è stata reimpiegata in unastruttura religiosa di Natile Vecchio.

Giorno 5 agosto del 2004 chi scrive,insieme ad Alfonso Picone, al dott.Cuteri e ad altri architetti ci siamorecati presso il sito, dove in quei giorniera stato condotto un eccellente lavorodi ripulitura da parte degli operaidell’Afor del casello forestale di SanLuca diretti dal dott. Infantino(manutenzione che si spera vengamantenuta nel tempo, così come pergli altri siti), trascorrendo una bella

giornata in loro compagnia circondatidai castagni millenari. Uno di essi,enorme, ombreggia ancora il vastospiazzo antistante il casello. Oggi, il terrazzamento è recintato perimpedire che l’ingresso degli animalidegradi ulteriormente i ruderi ormaievanescenti: quello che rimane sonodue colonne spezzate, rotolateall’interno della chiesetta ormai senzacopertura e porzioni di muri conspessore di circa 95 cm di cui quelliorientati a nord e a sud raggiungonole maggiori altezze (massimo 3 m) espuntoni ancora visibili sul lato estche presuppongono le tre absidi.

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Schema di cinque chiese a pianta centrale comparate in scala

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ORIGINI, STORIA DEL SITO

Dagli ultimi studi condotti sulla nostrachiesetta ci si è orientati ad attribuireuna datazione attorno al VIII secolo,una datazione più alta rispettoall’ipotesi del X secolo proposta nel’36 da Gennaro Pesce.Indispensabili sono stati i contributidati dal prof. Domenico Minuto. Il suostudio sui paramenti murari incollaborazione con l’architetto Venosoha permesso di ipotizzare il VII-VIIIsecolo come età di appartenenza.

È naturale chiedersi come mai unachiesetta così elaborata sia sorta inuna zona così boscosa e solitaria. L’edificio è collegato con le memoriepervenuteci di un monastero grecoindicato come San Giorgio. Nel 1197c’era una comunità di asceti il cuicategumeno (l’abate) commissionò lacopia di un evangelario all’ieromonaco(monaco sacerdote) Atanasio. Dopo ladistruzione della Cittadina di PietraCappa, che avvenne ad opera delleorde arabe nella primavera del 952, lapopolazione si disperse e, dalladiaspora nacquero vari piccoli villaggi.Per questo nei documenti a noipervenuti si parla di san Giorgio diBovalino e non di Pietra Cappa, edinoltre in età normanna inizia ildeclino di Pietra Cappa. Qui i nostri asceti greci praticavanol’isichia, cioè il raccoglimento nellapreghiera e nel silenzio, e l’ambienteera certo adatto allo scopo; sidedicavano al lavoro manuale,soprattutto nella trascrizione di testisacri e nell’attività agricola. Ma già alla fine del XII secolo era unavviato monastero. Un documento del1240, riportato dal Minuto dà unadescrizione dell’azienda agricola delmonastero, che denota unasituazione economica considerevole e

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se San Giorgio fu concepita all’iniziocome chiesa monastica, nel periododi maggiore floridezza si saràtrasformato in un monasterosuburbano oppure in un luogo diculto grandemente venerato enotevolmente solenne (confermadataci dalle sontuose decorazioni delpavimento), come è ora Polsi; noncerto di un cenobio per asceti deditialla preghiera nella solitudine deimonti e alla completa povertà.D'altronde le altre tre chiese a croceinscritta si trovano in ambienticittadini e furono molto frequentate:Stilo, Rossano, Reggio.Era, quindi, molto affollato questoluogo che oggi sembra suggestivo perla sua remota solitudine. Ma già nel 1457 il monastero dovevaessere ormai deserto, probabilmentegià soppresso e accorpato, comedipendenza, all’abbazia del Santuariodi Polsi. Conferma dataci anche dallaPlatea di Polsi nel XVI secolo.

E inoltre interessante riportare alcuneinformazioni circa la vita degli asceticalabresi.Particolare era la vita monastica che siconduceva in queste zone. I monacivivevano da eremiti, specialmente tra isecoli VII e IX, nell’assoluto silenzio enella completa solitudine e povertàscegliendo le grotte come dimora (gliasceteri di Pietra Castello, di PietraCappa, ecc.) o praticavano il cenobio,la vita di comunità. A volte i nostriasceti praticavano la forma mista, etale forma si chiamava lavra o laura,esistevano gruppi di celle eremitiche,quasi sempre grotte, servite da unacappella comune detta “cattolica”.

LEGGENDE

Dopo il 1935 l’abbandono ha fattodimenticare la chiesa di San Giorgio etra il disinteresse delle autoritàsoltanto il mito popolare di sanGiorgio si alimentava, producendoconseguenze disastrose. Comequando, tra gli anni ’60 e ’70, unintraprendente e troppo radicalericercatore abusivo impiegò una ruspaabbattendo i muri dell’abside centraleper scavare sotto il sito alla ricerca diun improbabile cavallo d’oro di sanGiorgio.

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AUTORI

Redazione testi: dott. Carla Carbone

Rilievi: arch. Sebastiano Maria Venoso

Foto: C. Cutrupi, A. Picone

BIBLIOGRAFIA

D. MINUTO, ‘Opera. Pietra Cappa altomedievale, Bollettino della badia greca diGrottaferrata, n.s. LIII, 1999, pp. 349-367.

D. MINUTO, L’avvenire di Calabria. Arte e storia, 18 gennaio 1997.

F. NUCERA, La valle del buonamico, Quaderni della Fondazione Corrado Alvaro, p.17.

M. CARLINO, Calabria, A. XXII, n.s. n. 107, agosto 1994, pp. 68-76.

D. MINUTO, S.M. VENOSO, Indagini per una classificazione cronologica dei paramentimurari calabresi in età medievale, Atti dell’VIII Congresso storico calabrese, SoveriaMannelli 1993, pp. 183-226.

D. MINUTO, S.M. VENOSO, Storia della Calabria medievale. Cultura arti tecniche.L’architettura religiosa in età bizantina, Gangemi editore, Roma 1999.

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PIETRA CASTELLOAltre denominazioni

Collocazione

Coordinate

Quota

Castello delle Tortore, Castello, di Potamia,Torre D’Aspromonte

Comune di San Luca

Carte I.G.M. scala 1:25.000 F° 603 IVSan Luca Long. 590000 lat. 4223794

889-943 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Di tutti i siti indagati questo è quelloche presenta maggiori probleminell'accedervi per la difficoltà diorientamento ed i diversi tratti esposti.Consigliamo quindi di farsiaccompagnare da guide qualificate.

TERRITORIO ED AMBIENTE CIRCOSTANTE

Pietra Castello sorge su unapiattaforma di conglomerati edarenarie che interessa una grandearea alle spalle dell'abitato di SanLuca. Tutta la zona, conosciuta ormaicome la Valle delle Grandi Pietre, siestende a partire da rocca di Saracinò,incombente sull'abitato,comprendendo l'altipiano di Palazzo,le alture di Pietre di Febo, il massicciodi Pietra Castello, la valle diButtiglierìo, la collina di Carlo, PietraLunga, Pietra Stranghiò, il Vallone di

Salìce, Pietra Cappa, le Rocche di SanPietro, i piani di Livodaci e Cicerati, ilcanyon di Cabelle, la rocca di SantoJerasimo e Calarìa.Su questo tavoliere disomogeneo peraltimetria, tagliato da frequenti esuggestivi valloni e da profondicanyon, si elevano, evidentementemodellate nei millenni dagli eventinaturali, delle eminenze rocciose diparticolare bellezza ed effettopanoramico. Le più note sono: Pietredi Febo (m 870); Pietra Lunga (m 874);Pietra Stranghiò (m 798); Pietra Cappa(m 819) e Pietra Castello (m 943).Chi arriva per la prima volta ai piedi diquest'ultimo maestoso massiccio, hala sensazione di trovarsi in un luogodi favola, per il particolare effettoscenico che si trova davanti. Pareimpossibile che degli uomini abbianopensato di costruire su quell'altura, inmezzo a quelle forre solitarie e a

quella intricata boscaglia, una fortezzamilitare.Al termine della faticosa ascesa perraggiungere l'interno dellafortificazione, molti interrogativi sispiegano con la constatazione dellaimprendibilità della rocca, con lafacilità del controllo totale delterritorio circostante e con lastraordinaria bellezza del paesaggio. Ilcono di pietra che sovrasta i ruderi delcastello, alto una quarantina di metri,è formato da conglomerati benamalgamati con clasti sferoidali digranitoidi di varie dimensioni, alcunicon diametro superiore ad un metro.Affacciandosi verso nord-ovest,appena ai piedi della rocca, c'èl'impressionante vallone di Buttiglierìocon i suoi declivi a perpendicolo, lesue forre profonde rigate da piccolecascate e i suoi orridi dove siarrischiano solo le capre. Più in

I dirupati costoni di Pietra Castello

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LEGENDA: C - terza cortina muraria F - edificio orientale

A - prima cortina muraria, accesso D - chiesa G - edificio settentrionale

B - seconda cortina muraria E - cisterna H - resti di muratura nella grotta

Pietra Castello: planimetria

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lontananza verso nord spuntanodall'intrico delle foreste di querce, elcie corbezzoli, le sagome delle altrepietre monumentali : Pietra Lunga,Pietra Stranghiò e Pietra Cappa e piùin lontananza il verde cupo delleforeste di monte Scorda, monteMisafumera e monte Ciarasara.Girando lo sguardo più ad ovest,l'attenzione dell'osservatore è attrattadalla catena più internadell'Aspromonte: Monte Fistocchio,

Vocali, Cannavi e più in alto Montalto,qualche volta velato di nubi, e l'altocorso del Buonamico che inizia il suocammino nei pressi del Santuario diPolsi ai piedi della valle della Sibilla.Girando intorno al masso conicocentrale e guardando verso sud c'è illago degli oleandri e le due grandiferite nella montagna: la frana diCostantino e quella di Fassari; sotto, iruderi di Potamia, più in lontananza ilBuonamico con il suo letto

spropositato e le ultime propaggini,verso sud est, dell'Appenninocalabrese ai due lati del torrenteButramo. Portandosi poi sullafenditura naturale del masso, cheforma una terrazza naturale, evolgendo lo sguardo verso est, siscorge un vasto panorama sulla costadei Gelsomini da Capo Bruzzano finoa Roccella. Veramente un punto diosservazione straordinario, forseunico.

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DESCRIZIONE DEL SITO

Le condizioni attuali del sito sononaturalmente estremamente precarie.In pratica il manufatto, che sorgevaintorno alla rocca naturale, deveessere stato abbandonato già nelMedio Evo, giacché su di esso nonsono rimaste altro che leggende efavole e, finora, nessunatestimonianza storica.Già all'inizio dell'ascesa, che si trova anotevole distanza, sono visibili, masolo a chi conosce bene il posto,vestigia di una cortina muraria e segnidi un probabile primo ingresso; piùavanti affiorano altri mozziconi distrutture edili che bisognerebbestudiare per capirne la consistenza el'eventuale funzione, poi si arriva aipiedi del masso e si procede attraversoun percorso scavato nella roccia aridosso della grande pietra. Siraggiunge quindi un primo muro dicinta molto spesso, 1 metro (I primacortina muraria), ma ormai cadente epoi, dopo pochi metri un secondomuro (II cortina muraria), dove siindovinano i segni di quelli che furonogli appoggi di un ponte levatoio; infineun terzo muro (III cortina muraria) sucui si appoggia la parte absidaleorientata di una minuscola chiesa

bizantina, costruita con trame murariediverse: sono presenti infatti concisquadrati e a forma di cubo e diparallelepipedo ben lavorati e digrande dimensioni e selci nonsquadrate di varia grandezza assiemea cotti e mattoni di diverso spessore.La chiesetta è il primo manufatto ches'incontra entrando nel castello;attiguo alla chiesa un vano ipogeo,sgretolato in parte dalle radici di elciche si insinuano nei muri, ma ancoraintatto in altre parti; la volta del vanoè a forma di botte e i muri sonorivestiti con un intonaco fine ecompatto: si indovina che potrebbeessere stata una cisterna per laraccolta e la conservazione dell'acquapiovana.Girando sulla fenditura naturale, sinotano resti di muri attaccati allaroccia e vestigia di un parapetto sullato nord. A nord-ovest e ad ovest, peruna lunghezza di una cinquantina dimetri, si notano i ruderi di altrefabbriche, costruite con la stessatecnica di muratura alto medievale.Questo più o meno ciò che affiora eche è visibile tra le rovine, le frane e lafitta vegetazione. Certamente unacampagna di scavi potrebbe darerisposte scientifiche che oggi èimpossibile ipotizzare, anche se

alcune fortunate scoperte, come ilrinvenimento di monete (follis diBisanzio) del IX, X e XI secolo 1

confermerebbero le ipotesi piùaccreditate che vogliono PietraCastello fortificazione bizantina. Tuttala zona, conosciuta come La Valledelle Grandi Pietre, è composta da unecosistema ancora miracolosamenteintatto, affatto antropizzato. Lapresenza dell'uomo è limitata quasiesclusivamente alla sorveglianza delbestiame, che qui vive allo statobrado, da sempre. Nessuna altraattività economica sarebbe possibileper la conformazione rocciosa dellazona e l'assenza di campi arabili. Solonelle brevi pianure di Cicerati eLivodaci e nella parte pianeggiante diCalarìa, di San Jerasimo eparzialmente di Palazzi sarebbepraticabile l'agricoltura. Un tempoqueste località erano il granaio di SanLuca, oggi, o sono totalmente incolte oin esse si coltivano solo la vite el'ulivo. Per il resto il territorio ècoperto da bellissimi boschi di elci, daerica arborea, da corbezzolo e dallediverse varietà di quercia. Il castagnoè quasi esclusivamente presente nellazona di San Giorgio, dove ancora sipuò ammirare qualche esemplaremulti centenario di questa essenza,

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Sezione longitudinale

LEGENDA:

A - seconda cortina muraria

B - chiesa: sezione absidale

C - chiesa: prospetto pareteinterna sud-est

D - Muraglione: prolungamentodella seconda cortina muraria

E - cisterna

Particolare del muraglione Grotta scavata nella roccia probabilmentedestinata alla funzione di rifugio

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Chiesa: prospetto sud

Chiesa: particolare dello stipite (visto dall’alto) e del relativo angolo nord-est della parete orientale

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Chiesa: prospetto est

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Seconda cortina muraria: parete

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portata dai monaci bizantini delmonastero omonimo all'inizio delsecondo millennio, e in cui negli ultimidecenni sono stati introdotte nuovepiantagioni. La fauna del comprensorio ha subito,come nelle altre zone dell'Aspromonte,un feroce depauperamento, dovuto amolteplici cause, tutte legate allamodernizzazione dell'economia,all'imprevidenza delle autorità eall'incoscienza di alcuni frequentatorie fruitori del territorio. Erano presenti

il lupo, la volpe, il cinghiale, lamartora, la faina, il tasso, il driomio, ilghiro, lo scoiattolo, la donnola. Nelcampo dei volatili c'erano quasi tutti irappresentanti delle varie famiglie deirapaci diurni e notturni, dall'aquila delBonelli, ai piccoli e grossi falchi, algufo reale; le pernici, le coturnici,beccacce e moltissime altre varietà diuccelli.Oggi solo alcuni di questi animalipopolano il territorio, sebbene daqualche anno si stia osservando un

lento, ma continuo ritorno nella zonadi rappresentanze di animali cheerano quasi totalmente scomparsi,fatto dovuto certamente al divieto dicaccia introdotto dall'Ente Parcodell'Aspromonte.

In primo piano: brano murario settentrionale della chiesa. In secondo piano: veduta della seconda cortina muraria di accesso allafortezza

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ORIGINI, FONTI, STORIA DEL SITO

Non esistono, o almeno non mi sononoti, documenti o fonti storiche cheattestino le origini della fortezzaaspromontana. Di fatto essa è un casosingolare e forse unico di munizionemilitare costruita nel cuore più remotodi una impervia montagna.Si deve allo studioso di storia altomedievale e bizantina prof. DomenicoMinuto se conosciamo riferimenti oqualche menzione del sito (con diversadenominazione) in documenti antichi,a volte in maniera indiretta. Minuto riporta, nel citato studio suiLuoghi di Culto tra Reggio e Locri,quanto Giuseppe Minasi, in Lo Speleota– Napoli 1893 –, opina circa ilCastello delle Tortore, menzionato nelbios del santo reggino, ritenendolosenza dubbio quello di Potamia,spingendosi persino a una descrizionedettagliata, come se l'autoreottocentesco avesse visitatodirettamente il luogo « ...un castellonel territorio di San Luca sul versantedel Jonio nella Calabria meridionale.Veggonsi anch'oggi corrosi dal tempo i

merli, le feritoie e i ruderi di questoedifizio immenso per mole. Nella suaparte inferiore si osserva ancoral'antica scala, la cisterna e parecchiegrotte, le quali servono talvolta diricovero ai pastori 2».La descrizione più antica del luogo,però, è forse quella riferita a StefanoPiteri, rettore settecentesco delSantuario di Polsi che, in un suomanoscritto, composto nel primotrentennio del XVIII secolo, ritrovatoda Vincenzo De Cristo nel 1911, eriportato dal Gemelli così dice del sito«...Sorge sopra Potamia un altissimopromontorio, tutto circondato da rupie da profondissime valli, sul qualeduecento anni prima della venuta diRuggero, nello 884, fu eretto uncastello di natura inespugnabile, perritiro delle genti nelle invasioni deiSaraceni... nel recinto delle mura vierano bellissime piazze, molti edifici ecisterne... Il castello nell'interno delmedesimo sasso ha più camere dipietra solidissima che ancora sivedono... 3».A parte la scarsa attendibilità delladata di fondazione del Castello, citata

senza riferire la fonte, si direbbe cheanche il Piteri abbia visitato il sito,trovandolo in condizioni assai menoprecarie di oggi. Siamo all'inizio del1700 e terremoti devastanti comequelli del 1783 e del 1908 dovevanoancora venire.Domenico Zangari, parlando diPotamia così dice del suo castello«Potamia veniva protetta dai montiche degradano dagli Appennini e daun inespugnabile castello che, qualeocchio di falco, ne perlustrava i puntipiù importanti e le vie carovaniere diPietra Lunga e Pietra Cappa4».)Si può concludere, allineandosiall'ipotesi proposta dal prof. Minuto,magistralmente argomentata nellostudio “Pietra Cappa e dintorni“ lettanel gennaio 1999 a San Luca nelconvegno Monaci e Monasteri greci nelterritorio di San Luca e dintorni, che lafortezza sia stata costruita nel VII oVIII secolo dagli occupatori bizantini,sovrapponendola ad un'opera difortificazione preesistente,probabilmente costruita dapopolazioni italiche in epocaellenistica.

La cengia di Pietra Castello

Cisterna: spaccato assonometrico

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MITI E LEGGENDE

Un sito così solitario, austero emisterioso non poteva non suscitareleggende, miti e favole. E molte sonostate, nel passato, ormai cadutinell'oblìo. Pietra Castello eraconsiderato un tempo, luogofrequentato da folletti capricciosi ebirichini, da fantasmi del passato eanche luogo di riunione di streghe. Male leggende che sono giunte fino a noisono quelle che riferiscono di soprusie violenze compiuti da ignobili signoriai danni di indifese fanciulle delpopolo. C'è pertanto l'arcinotaleggenda della Bella Atì, quelladell'assedio degli sgherri del Papa allaricerca di nemici della Santa Sede, c'èquella del conte Ruggero che,accompagnato dal monaco Floriocerca nel castello la nipote Rosalia,fuggita da Palermo per sfuggire almatrimonio e così conservare i gigliverginali, riportata dal già citato Piteri,altrettanto improbabile quanto

inesatta nei nomi e nelle date. E quellaraccontata da Domenico Giampaolo,medico di San Luca che qui mi piaceriportare perché poco nota e perl'intensa partecipazione del narratoree il suo linguaggio erudito, zeppo diaggettivi e quasi gotico, come gotica èla rappresentazione « ... Il lievestormire delle foglie sembra il passomisterioso di qualcheduno ches'avvicini, e comunica brividi. Vaghiprofili si disegnano nell'oscurità, e inmezzo a quelle ombre fosche l'occhioallucinato stranamente vede delinearsiuna bianca veste verginale, slanciata eflessuosa che sorge da una tomba,mentre una testa nascosta dalunghissime chiome scomposte chescendono fluttuanti fino al suolo, sidisegna meglio. Due mani stecchiteallontanano lentamente il volume dicapelli che nascondono il volto, edapparisce una faccia pallidissima, diuna vaporosa bellezza, i cui occhisembrano di poco a poco svegliarsi daun sonno lunghissimo, e fissarvi con

una espressione indefinibile, sinistra etragica, mentre la bianca tunica,aprentesi d'improvviso, vi mostra ilseno esuberante, su cui rosseggia unalunga striscia di sangue che stillalentamente fino al suolo.Vi sentireste tentati, vincendo lostupore, d'interrogare quella stranavergine, bella di una eterea bellezza,ma la vostra voce non otterrebberisposta alcuna...nessuna umanafavella potrebbe rendervi il sensoprofondo della sublime tragediacompiutasi, più di trecento anni fa, lì,in quel luogo, dove un'animanobilissima, una candida vergine,rapita all'affetto dei suoi caridall'amore prepotente del signore diquel forte antico, si trapassava il senocon un coltello, anziché cedereall'amplesso tirannico. E quella pallidaombra ogni notte, a quell'ora, suolemostrare quivi il suo dolente aspetto,sorgendo dall'avello, che fra quellemura medesime ergevale l'innamoratoe pentito suo tiranno, tardoammiratore di inaudita virtù. Ed ella sidilegua, mentre gemiti lugubri erepressi le tengono dietro, come dipersona che la seguisse, di un altrofantasma che implorasse un perdonochiesto da secoli e non mai concesso.... In questo cupo luogo è entrata,sotto mille forme, la tragedia umana evi spirano ancora il terrore e lapietà 5».

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AUTORI

Redazione testi: Fortunato Nucera -Fondazione “Corrado Alvaro”

Rilievi e rielaborazione grafica: StudioRiproarc di cons. arch. ClaudiaCutrupi

Foto: C. Cutrupi, A. Picone

RIFERIMENTI LETTERARI

Corrado Alvaro, che moltoprobabilmente non visitò mai PietraCastello, fa un solo accennodescrittivo «si vedeva da lontano ilmare balenante nell'ombra serale... edavanti al mare una montagna chepareva un dito teso... 6»

Edward Lear non nominadirettamente Pietra Castello, ma dàuna descrizione illuminante delmassiccio visto da lontano, da par suo«Mentre proseguivamo salendo iltorrente, le rocce apparivano semprepiù vicine, fin sopra l'alta rupe dellagola, le torreggianti formedell'Aspromonte sembrano chiuderefuori il cielo... Il senso di mistero e disolitudine di quelle scene, la profondasolitudine di queste montagne, sonotali che né la penna né la matitapossono descrivere 7».

Domenico Giampaolo Nel librettocitato cosi descrive il Castello «Più inalto, come un antico feroce meditantele vicende di delitti passati, ergesilugubre l'antico castello feudale chedomina le misere rovine della cittadinascomparsa (Potamia).

1 D. MINUTO, Catalogo dei monasteri e dei luoghi di culto tra Reggio e Locri, Edizioni diStoria e Letteratura, Roma 1977.2 D. MINUTO, op. cit.3 S. GEMELLI, Storia tradizioni leggende a Polsi d’Aspromonte, Ed. Parallelo 38, ReggioC. 1974.4 D. ZANGARI, Appunti di Corografia Calabra (San Luca), Editrice Ardenza, Napoli1939.5 D. GIAMPAOLO, Un viaggio sl Santuario di Polsi in Aspromonte, 1911.6 C. ALVARO, Gente in Aspromonte, cap. I, Treves, Milano 1931.7 E. LEAR, Diario di un viaggio a piedi. Calabria 1847, Ed. Parallelo 38, Reggio C. 1976.8 D. GIAMPAOLO, op. cit.9 D. MINUTO, op. cit.

La massa conica, enorme e selvaggia,mostra da lontano macchie nere chedestano l'impressione di immani occhidi Argo... A chi volesse arrivare fin là,quella amplissima, nera, profondaapertura farebbe l'impressione di unaporta lugubre che conducesse inqualche inferno 8».

Domenico Minuto dà una descrizioneasciutta ed efficace «È un'altura conun amplissimo panorama su tutta lacosta sottostante, con tracce ancora difortificazioni medievali, grotte ecunicoli 9».

Grotta e muraglione della seconda cortinamuraria

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PRECACOREAltre denominazioni

Collocazione

Coordinate

Quota

Crepacore, Pelicore, Percore,Petracore

Comune di Samo

Carte I.G.M. scala 1:25.000F° 603 III BiancoLong. 592202 lat. 4114366

302 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoDalla S.S. 106 si dipartono ledeviazioni per Samo. Chi viene da sudsuperato Africo Nuovo e poi il pontesulla fiumara La Verde incontrerà asinistra la diramazione per Samo. Perchi proviene da nord è all'altezza diBianco che troverà le indicazioni perSamo dove si giungerà dopo circa 12km di strada. Entrati nel paese lasciarel'auto in piazza Municipio e chiederedi Precacore.Percorso a piedi: difficoltà TDopo una breve ma ripida discesa unponte di recente costruzione consentedi superare il torrente Santa Caterina,affluente della fiumara La Verde. A

sinistra si nota l'antico ponte in pietra.Dopo un altro breve tratto di strada interra battuta un'edicola indica l'iniziodella Via Crucis che sale a Precacore.Alla fontana della Rocca, sulla sinistra,un sentiero acciottolato lascia lastradina seguendo quindi le stazionidella Via Crucis. Sotto incombentipareti di conglomerato ci si affacciasul vallone di S. Caterina e su Samogiungendo quindi ai primi ruderi diPrecacore.SentieriDa Samo ha inizio un sentiero(segnavia bianco-rosso) che conducea Montalto, cima più elevatadell'Aspromonte.

La chiesa di San Sebastiano svetta suPrecacore

Il sentiero per Precacore

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Tratto per intero da: Vito TETI, Ilsenso dei luoghi Paesi abbandonatidella Calabria, Donzelli editore, Roma2004, pp. 179-180, 188-192. Pergentile concessione dell'autore.

Il nuovo abitato di Samo e gli antichiruderi di Precacore sono contigui. Siosservano come per controllarsi, pernon separarsi. Dall'abitato di Samo iruderi di Precacore appaiono comeuna sorta di rimorso, di mementomori, come il luogo di fondazione edella memoria. Dalla collina con i

ruderi le case di Samo appaiono unasorta di continuità della vita. Un colpod'occhio, ma anche l'obiettivo delfotografo, li abbraccia tutti e due, e neviene un senso di spaesamento e dipace, la percezione di osservare unluogo in cui il passato continua avivere con il presente.L'antica Samo sarebbe stata fondatadagli Joni di Samo per fuggire a Dario,presso Capo Zefirio. Poi viene spostataverso l'interno nella pianura dellafiumara La Verde. Non mancano,neanche in questo caso, i riferimenti

ad Erodoto e a Polibio. L'arretramentoverso l'interno continua all'epoca delleinvasioni saracene. Rasa al suolo allafine del X secolo, i superstiti sidirigono all'interno verso il montedove nasce Palecastro, l'anticocastello. Precacore sorge nello stessoperiodo come casale di Palecastro equindi come centro fondato,probabilmente, dagli abitanti di Samo.Nel 1349 Samo e Precacore sonocolpiti da un forte terremoto. Moltepersone si trasferiscono nel luogochiamato “giardino di Campolico”,

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oggi Sant’Agata, da dove poi alcuniabitanti si spostano e formano ilnucleo di Caraffa. Il terremoto del1536 sconvolge tutto il territorio. Restaintatto solo il borgo di Precacore, chenon verrà abbandonato né a seguitodel terremoto del 1638 né di quellopiù catastrofico del 1783. Il piccolocentro aveva 79 fuochi del 1552, 50nel 1595, 21 nel 1669. Alla fine delSettecento contava 471 abitanti, 416nel 1815, 436 nel 1825, 447 nel 1861,753 nel 1901. Precacore vieneabbandonato dopo la distruzioneprovocata del terremoto del 1908. Inseguito a questa catastrofe nasce ilnuovo abitato che prende l'anticonome di Samo. Precacore scomparecome paese e anche come nome. Dal1924 al 1946 con il nome di Samo diCalabria vengono unificati i comuni diSamo, S. Agata e Caraffa.

Successivamente i comuni aggregatiriacquistano la loro autonomia eanche la precedente denominazione.

Precacore, Crepacore, Pelicore,Percore, Petracore. Gli anagrammidell'antico borgo, quasi una sorta digioioso scioglilingua, sembranoun'invenzione dei suoi abitanti pernascondere ed occultare il paese airipetuti terremoti. Resta il fatto cheanche in questo caso il nome delpaese è legato a una disgrazia o a unacatastrofe che lo distrugge piuttostoche a un evento o a un eroe che lofonda. La distruzione sembraprecedere la fondazione. La fine vienequasi prima della nascita. Altre fontiprivilegiano la dizione di Pelicore ePercore, che deriverebbe da perìkore,vicino al paese o alla città. GabrieleBarrio segnala che nel territorio diBulsano o Brettiano, regione fertile,dove si catturano piccoli uccelli enascono i tartufi, c'è il villaggio diMota e più in là il castello diCrepacorio (Crepacori, annotaTommaso Aceti, o Precacori nelladiocesi di Gerace), “in luogo alto, conmiele rinomato; dista dal marecinquemila passi; forse una volta fudetto Samo; infatti in questi luoghi iSamii fondarono la città di Samo”

Inquadramento generale del sito di Precacore

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1

2

3

Chiesa diSan Giovanni Battista

Chiesa diSan Sebastiano

Palazzobaronale

(Barrio 1737, p. 351). Nella zonaorientale dell'Aspromonte, nel distrettoche va dal monte Pittaro e dal fiumeLa Verde a Gerace,vi ha de' piccioli luoghi, de' quali èpiaciuto agli scrittori della storiaCalabra di far parola con moltapompa. In un luoghetto, che si è daessi chiamato Crepacore, e poi indipassò ad appellarsi Precacori, hannocreduto di rinvenire Samo, e inconseguenza l'hanno innalzatoall'onore di essere stata la Patria diPittagora. A dir vero gli uomini, chenascono per onorare l'umanità,possono venire alla luce in ogni dove;ma non è questo il primo esempiodell'impetuoso desio, con cui cotestistorici han cercato di rappresentare laCalabria, come la culla o l'albergo dimolti illustri soggetti, e come la stabilesede di tutte le più speciose bellezzedella natura (Sarconi 1987, p. 446).

Nell'Istoria del Tremuoto a cura delSarconi si legge di Crepacore,“paesetto” situato su uno di “què

dirupevoli gioghi” nei quali si divide esi distende il monte Zefirio. E infattiFu fama che l'erta rupe, la quale gliserviva di base, si fosse lacerata conuna fenditura circolare, e che dalleaperte fauci di tale lacerazione uscitofosse un nero, e denso fumo. Diquesto si creda ciò che si vuole;quello, ch'è innegabile, si è che iltemuto e decantato vulcano, di cui giàprometteasi imminente la comparsa, el'eruzione, si è finora atteso in vanonon solo da coloro, che prestaronofede a tali fumose osservazioni, maanche di quei, che si risero dellaprecipitanza di somiglianti giudizi(ibidem, p. 448).Precacore, Crepacore, Pelicore,Percore, Petracore. Man mano che ipassi delle persone sulla stradadiventano più forti e più frequentil'antico paese sembra riprendere vita.Voci, canti, preghiere, richiami diuomini e donne che si recano a piedi,alcuni scalzi, da Samo al vecchioabitato sembrano il sottofondo di unanenia che, opportunamente recitata,

richiama in vita, come nelle storie dimagia, il paese che è scomparso. E c'èqualcosa di magico e di struggente, diemotivo e di avvincente, in questagioiosa e affannosa scalata dellacollina sulla cui cima si elevano,ancora imponenti, camuffati nelpaesaggio, le rovine di Precacore.L'appuntamento il 28 agosto di ognianno, vigilia della festa estiva di SanGiovanni Battista, è atteso dagliabitanti di Samo-Crepacore con unafrenesia e un'ansia insolita. Nelritorno tra i ruderi sembrano scorgereuna ragione profonda della loroesistenza individuale e collettiva. Moltipartono dalla chiesa del paese, dove ècustodita l'antica statua del Santo,dalla piazza addobbata con il palco ele luminarie; si muovono in gruppi diventi o dieci persone, gruppi che siformano, si sciolgono e siricostituiscono lungo il tragitto e poitra i ruderi dove viene celebrata lamessa. Tanti escono dalle case, daibar e muovono come seguendo unrichiamo segreto. La banda, formatada giovanissimi suonatori, procede inordine sparso. Ogni suonatore ha inmano il suo strumento che portareligiosamente lungo una salita dove èfacile precipitare o scivolare nel vuotodi un burrone, di una vallata, di unfiume, peraltro in uno dei paesaggi piùbelli di questa parte di CalabriaIl culto di San Giovanni Battista aPrecacore, come in altre località dellaregione, ha origini molto antiche (conogni probabilità istituito dai monacibasiliani) e accompagna, se nonprecede, la nascita del paese. Nel XVIsecolo nella chiesa del paese esisteval'altare di San Giovanni. Una campanadedicata al Santo porta la data del1625. A Vallefonda c'è ancora unmuro della chiesa dove era custoditala statua del Santo che, secondoalcuni, risalirebbe al XII secolo. La

Particolare inquadramento generale del sito e piante degli edifici più significativi

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chiesa fu danneggiata, nel corso deisecoli, dai terremoti e da altrecalamità naturali e definitivamentedistrutta dal terremoto del 1783. Lastatua del Santo fu trasportata nellachiesa del paese, dove rimase fino al1911, data dell'abbandono definitivo.Il pellegrinaggio nell'antico paese, tra iruderi e le rovine degli antichi luoghisacri, è un'istituzione relativamenterecente. C'è un anno d'inizio, il 1964.E c'è un protagonista di quest'inizio:Giovanbattista Bonfà, nato a Samo,

ma residente da molti anni a Bologna,ma con Samo nel cuore. Bonfà,tornato come tutti gli anni con i suoifamiliari, mi racconta la storia. Lo fa inmaniera lenta ed orgogliosa, propria dichi ha avviato una nuova tradizionequasi per volontà divina. Lo fa in unperfetto italiano, con garbo antico, conun accento lievemente bolognese, cheperò tradisce subito la sua originecalabrese. Un'antica legenda, unadelle tante, vuole che una notte ignotiladri rubassero dalla chiesa del paese

la statua del Santo protettore, magiunti nel punto dove ora sorge illuogo di culto e dove oggi ci troviamoa parlare, la statua divenne talmentepesante che dovettero abbandonarla.l'indomani alcuni abitanti che sirecavano al lavoro dei campi,percorrendo gli angusti viottoli,scorsero la statua del Santo. Parroco efedeli pensarono subito al miracolo,uno dei tanti che aveva salvato nelcorso dei secoli la statua in occasionedi calamità di vario genere. Da queltempo, nel luogo in cui vennerinvenuta la statua, si venera SanGiovanni col titolo di San GiovanniBattista della Rocca. Nella piccolagrotta scavata nella roccia vennedipinta un'effigie del Santo. Sul latosinistro un'antica fontana della Rocca.

Chiesa di San Giovanni Battista: prospetto principale

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Rocce, pietre, acque, Santi, culti,secondo motivi ricorrenti e cheportano indietro, lontano, lontano.L'immagine fu deturpata, a colpi dipietra, da “ignoti malfattori” negli annicinquanta. Quando GiovanbattistaBonfà ricevette una grazia dal Santo dicui porta il nome, nel 1963, decised'ingrandire per voto l'antica grotta e,al posto dell'affresco deturpato, fecedeporre una statuetta del Santo alta60 cm, che portava la pecorella alpiede e non sul braccio, come nellatradizione iconografica. Molti cittadini,tra cui il sindaco dell'epoca, PasqualeTalia, parteciparono alle spese deilavori eseguiti nel 1964. In questoanno, il 28 agosto, vigilia della festadel nuovo paese, venne organizzato ilprimo pellegrinaggio alla grotta, dovefu celebrata la messa da due padrifrancescani provenienti da Bovalino.Negli anni la partecipazione dei fedeliè aumentata. I pellegrini, gli abitanti diSamo, gli emigrati che tornano

sostano, durante la salita, davanti aipannelli della Via Crucis, pregano,commentano, si riposano. Fuori dallagrotta numerose persone assistono epartecipano alla messa. Ma il veroofficiante del rito è GiovanbattistaBonfà, emigrato, graziato, costruttoredi identità. Tutta la collina diventa unasorta di anfiteatro, i sentieri sono dellelinee di sosta e di osservazione. Imusicanti suonano disposti tra iruderi, su pianori di terra. La genteguarda dall'alto, si rivolge in direzionedel nuovo abitato. Altri si aggirano trai ruderi, visitano le rovine delleantiche chiese, guardano affreschi cheaffiorano da tempi remoti. Viste dalontano le persone tra i sentieri sulfianco della collina sembrano formicheche corrono verso i loro formicai persistemare quanto sono riuscite aracimolare, a raccogliere con fatica.Gli abitanti di Samo portano i lororicordi, le memorie dei padri in mezzoalle reliquie del tempo. Portano, conpazienza, previdenti, accorti a nonperdersi nel nuovo luogo, il peso e ilpiacere della loro identità.Una leggenda narra di una nave chetrasportava, probabilmente all'iniziodel XVII secolo, un carico di campane,quando viene sorpresa da unaviolenta tempesta in mezzo al mare. Ilcomandante della nave, terrorizzatocome tutti i suoi uomini, invoca SanGiovani Battista, promettendo, qualora

l'equipaggio si fosse salvato, di faredono alla sua chiesa delle più bellecampane presenti sulla nave. Latempesta finisce miracolosamente e ilcapitano vuole esaudire il suo voto.Non conoscendo il posto dove venivavenerato il Santo, fa legare le campanea un paio di buoi, e con lorol'equipaggio comincia il cammino.Quando l'insolita comitiva giunge neipressi della Chiesa di San GiovanniBattista, che a quel tempo sorgeva aVallefonda, i buoi si fermano e insegno di devozione s'inginocchiano. Ilcapitano allora offre le campane eringrazia il Santo per lo scampatopericolo (Bruzzaniti 1995, pp. 53-55).Il motivo dei quadri, delle statue, dellecampane che arriva miracolosamentedal mare, quello dei buoi (o di altrianimali) che si inginocchiano davantialla divinità sono ricorrenti in Calabriae nella zona di Samo. I luoghi sacrierano scelti dalla Madonna o daiSanti: agli uomini e agli animalispettava scoprirli e riscoprirli. Maqueste storie miracolose dirinvenimenti raccontano anche viaggi,spostamenti, mobilità in una Calabriaa torto considerata isolata.Prima, dopo, durante la messa, lepersone sostano e si aggirano tra iruderi. Le pietre sono state accostate esistemate in maniera che non cadano.Interi muri indicano ancora unacomplessa struttura di case, che

Palazzo baronale: da sinistra prospetto laterale, sezione longitudinale, sezione trasversale e, in basso, prospetto principale

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Chiesa di San Sebastiano: sezione con le tre nicchie

Chiesa di San Sebastiano: prospetto principale

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AUTORI

Redazione testi: prof. Vito Teti -Università della Calabria

Rilievi: geom. Roberto Laganà

Foto: A. Picone, G. Pontari

anziani, che invece si muovono congrande sicurezza. La funzionereligiosa è già finita, il prete e ledonne che cantavano e pregavanostanno tornando verso Samo, dove inserata si terrà lo spettacolo di un notocantante. Domani si svolgerà laprocessione del Santo nelle vie delnuovo abitato. Davanti alla grottacontinua a sostare, in compagnia difiglie e nipoti, Giovanbattista Bonfà.Riceve, come un moderno, laicopatriarca, i saluti della gente. Vienericonosciuto e ringraziato comel'ideatore e l'inventore di questo ritod'identità, che collega al passato.S'intrattiene amabilmente con noi e ciinvita a scendere insieme. Il caldotorrido e umido, l'afa appiccicaticciache ci hanno accompagnato,facendoci sudare e faticare non poco,lasciano il posto a una frescura di serad'estate. Il sole è dietro le colline,verso le cime dell'Aspromonte. La lucedel crepuscolo dà un tono ancora piùincantato a quei luoghi, a quel fiume,a quelle grotte. Bonfà scendelentamente, chiaramente soddisfatto,ci indica i pannelli della Via Crucis edella vita di San Giovanni. Alterna lesue spiegazioni con notizie sulla suavita e sulla famiglia. Il cieloimprovvisamente si fa buio. Cisediamo e ci godiamo la pioggia.Qualcuno dice che se continuerà apiovere la festa verrà rovinata, FabioConcato non canterà, i forestieri nonsaliranno e i soldi saranno statibuttati. Cessa improvvisamente dipiovere. La gente si precipita nellemacchine da sotto i balconi dove siera riparata. Arriva un profumo dipiante e di terra come capita dopouna pioggia subito prosciugata dallacalura che resta nell'aria. Andiamo acasa della famiglia Giampà. C'è unagrande animazione. Chi riesce ariportare la vita tra le rovine ha di che

dovevano essere appiccicate l'unaall'altra. Giovani, studiosi del luogo,organizzatori della festa ciaccompagnano per mostrarci i segnidi un passato con una storia religiosama anche architettonica e artisticacertamente ricca e aperta. Ancoraintegri sono i muri perimetrali diquella che è stata individuata come laChiesa di San Sebastiano. La Chiesa diSan Giovanni è in pessime condizionie conserva tracce di un affresco dellaMadonna Nera. Sui muri della chiesacrescono piante selvatiche. Dall'alto siscorge Samo nuova, il letto dellafiumara La Verde. Mi dicono che siaancora popolata dalle narade. (vedisito Polemo).La mattina di Pasqua, anche aPrecacore, si svolgeva il ritodell'affruntata. Secondo quantoriferiscono gli anziani e quantoattesta Bruzzaniti (1995, p. 49), ledonne stavano tutte raccolte da unaparte e guardavano, con grandeapprensione, i viaggi che la statua diSan Giovanni faceva per darel'annuncio dell'avvenuta Resurrezionealla Madonna. I portantinicamminavano e correvano in quellestrade ripide e tortuose facendo beneattenzione a che la statua del Battistanon si piegasse o non cadesse. In talcaso la comunità avrebbe conosciutoterribili disgrazie e calamità. Le donnepreoccupate esclamavano con timore:“Focu meu. Focu meu, cadi SanGiovanni” quasi a sostenere la riuscitadel rito.Quell'esclamazione mi giunge dalpassato nelle orecchie e nella testa.Scendendo dai viottoli che dall'altodella collina dei ruderi portano allaGrotta, e poi più giù, in prossimità delletto del fiume, si è colti da un sensodi vertigine. Ho come l'impressioneche qualcuno possa cadere e guardocon apprensione i bambini e gli

sentirsi soddisfatto. Su una grandetavola, che sta per essereapparecchiata, sono sistematipasticcini e bevande per noi. Declinol'invito a cena. Mi aspettano degliamici in marina, dico. Chiamate ancheloro, mi dice la figlia che vive aBologna e torna ogni anno per lafesta. Il padre ha voglia di parlare, nonvuole lasciarmi. Mi consegna le fotodelle feste, mi fa vedere cartelle in cuicustodisce memorie della suainiziativa. Mi aspetta a Bologna, dice,se capito. Ci salutiamo e ci baciamocome se ci fossimo conosciuti dasempre.

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LA GROTTA DI NINO MARTINOCollocazione

Coordinate

Quota

Località Piani di LitriComune di Samo

Carte I.G.M. scala 1:25.000F° 603 III BiancoLong. 589489 lat. 4217104

948 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoDa Reggio Calabria seguire la S.S. 106per circa 35 km e subito dopo AfricoNuovo e il ponte sulla fiumara LaVerde si incontra a sinistra ladeviazione per Samo dove si giungedopo altri tre bivi (il primo a destra egli altri a sinistra) e 12 km di strada. Adestra della piazza principale seguirela strada che sale verso monte Iofri edopo circa 6 km siete a Portellad'Orgaro. Proseguire a sinistra econtinuare per altri 3 kmraggiungendo l'area pic-nic Runci dovepotete lasciare l'auto.

Percorso a piedi: difficoltà TSeguire la carreggiabile che si staccadalla strada principale poco avanti adestra. Si prosegue nel bosco di leccioe farnia per appena mezzora sino aquando il panorama si apre. Sietegiunti alla meta: un grazioso pianoroaffacciato sulla costa in mezzo alquale si eleva imponente la grotta diNino Martino.SentieriNei pressi dell’ area pic-nic Runcipassa il sentiero (segnavia bianco-rosso) che da Samo conduce aMontalto.

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AUTORI

Redazione testi: dott. Filomena Tosi

Foto: V. Galluccio, A. Picone

DESCRIZIONE DEL SITO E LEGGENDA

In realtà non si tratta di una cavernasinsu strictu, bensì di un agglomeratolitico composto da pietre di diversegrandezze formanti delle cavità più omeno spaziose, in quella maggiore,all’interno coperte dai licheni, sonovisibili alcune lettere incise sullaroccia, forse risalenti al XVIII sec. 1

Il sito si è formato in epoca pliocenica,circa 4 milioni di anni fa, ed ècomposto da calcareniti giallastre adelevata permeabilità.Il toponimo, come molti altri siticalabresi, ricorda il leggendariobrigante Nino Martino. In agro samiosi narra che il malfattore dopo averascoltato in una chiesa una predicaparticolarmente convincente decidessedi abbandonare il crimine e che i suoicompagni di scorribande, preoccupatidi essere denunciati, lo uccisero e nenascosero il corpo sotto un cumulo disassi in montagna. La madre di NinoMartino però riuscì a scoprire il corpodel figlio e, nottetempo, recuperatolo,

lo pose sotto una botte ed ogni tantoandava a guardarselo. Un giorno però non le fu possibilerimuovere la botte perché era divenutaincredibilmente pesante, praticata unafessura la madre del brigante siaccorse che ne fuoriusciva vino:accanto al cuore di Nino Martino si erasviluppata una vite da cui scaturivaottimo vino e così fu per sempre2.

1 La suggestiva ipotesi della presenza di un tempio italiota sito presso le grotte di NinoMartino che sarebbe attestato da alcune immagini visibili sulle pareti rocciose interne, nonè ancora supportato da idonea documentazione bibliografica ed archeologica2 La leggenda del brigante Nino Martino si può leggere alle pp. 258-260 del volume Il ParcoNazionale d’Aspromonte.Guida Naturalistica ed escursionistica, (op. cit. in Bibliografia).

BIBLIOGRAFIA

F. BEVILACQUA, A. PICONE CHIODO, Il Parco Nazionale d’Aspromonte. Guida naturalisticaed escursionistica, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 1999.

E. BRUZZANITI, Samo dalla città di Pitagora all’antica Precacore, Iiriti editore, ReggioCalabria 1991.

Carta Geologica d’Italia su base topografica dell’IGM. Foglio 254 III sud estCASMED 1968.

Enciclopedia dei Comuni della Calabria, guida storico-turistica, voll. 1-2 a cura diDonatella GUIDO, cons. storico Massimiliano Cozzetto; s. l. ed. Il Quotidiano dellaCalabria, 2002.

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GLI OVILI DI MONTE PERRECollocazione

Coordinate

Quota

Tra Monte Perre e Puntone Galera

Carte I.G.M. scala 1:25.000 F° 602 I GambarieLong. 586726 lat. 4218437

1.200-1.437 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoDa Reggio Calabria seguire la S.S. 106per circa 35 km e subito dopo AfricoNuovo e poi il ponte sulla fiumara LaVerde si incontra a sinistra ladeviazione per Samo dove si giungedopo altri tre bivi (il primo a destra egli altri a sinistra) e 12 km di strada. Adestra della piazza principale seguirela strada, in parte asfaltata, che saleverso monte Iofri. Raggiunto il piccoloaltopiano di Portella d'Orgaro piegarea sinistra. Superato un caselloforestale s'incontra, sulla sinistra, unagrande croce e poco dopo terminal'asfalto. Lasciare l'auto. Percorso a piedi: difficoltà TSiete sul crinale che delimita lafiumara Butramo dalla fiumaraAposcipo, vallate tra le più selvaggedel massiccio. L'escursione impegneràper circa un'ora ma vale la penadedicarvi più tempo.

SentieriSiete sul sentiero (segnavia bianco-rosso) che da Samo conduce aMontalto, cima più elevatadell'Aspromonte.

Natile: copertura di stazzo in legno, terrae letame

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DESCRIZIONE DEL SITO

Lungo il sentiero che conduce daMonte Perre a Croce di Dio sia lodato,nel territorio del comune di Samo, siincontrano delle interessantitestimonianze di tipiche costruzionirealizzate da pastori in Aspromonte. Si tratta di una serie di agglomerati dicostruzioni di cui rimangono in piedialcuni muri per un altezza di non piùdi un metro; partendo da Monte Perre,il primo degli agglomerati in questioneè costituito da un paio di costruzioni.Gli elementi più interessanti sono due:una zona che probabilmente eradestinata al ricovero per animaliparzialmente recintata che sfrutta unaformazione naturale di rocce ed ècompletata da piccoli muri di pietre efilo spinato (ciò, insieme ad altrisegni, fa supporre una utilizzazionerelativamente recente) ed a pochimetri una costruzione circolare fattadi pietre del diametro di circa tre metriaddossata ad un albero. In un angolodel primo locale si nota anche unpiccolo piano rialzato chepresumibilmente costituiva una sortadi giaciglio.Tutto il piccolo pianoro dove sorgonoqueste opere è caratterizzato dallapresenza di grossi monoliti (utilizzatiquanto più è possibile come paretidelle costruzioni) e di numerosi alberi;una simile localizzazione è legatamolto probabilmente alla protezionedalle intemperie e forse anche allapossibilità di controllo del territoriocircostante (le costruzioni sonopraticamente invisibili da lontano,quasi mimetizzate, ed allo stessotempo offrono la possibilità di vederele vallate sottostanti). Continuando il percorso verso Crocedi Dio sia lodato, dopo qualchecentinaio di metri, si possono vederenumerose altre costruzioni opera di

pastori; a differenza delle precedentiqueste ultime sono situate su unterreno un po' più scosceso e sono innumero di gran lunga superiore. I duesiti hanno tuttavia tratti in comune:anche qui si sfrutta la presenza dimonoliti presenti sul luogo checostituiscono lo scheletro di questoinsieme di costruzioni la cui strutturaè integrata poi da pietre che formanodei piccoli muri a secco. È probabileche le costruzioni fossero completateda tetti e da ulteriori muri in materialevario, come rami o felci; tuttavia di ciònon possiamo avere certezza visto cheanche in questo sito non sono rimastialtro che i muri per un altezza al piùdi un metro.La pianta delle costruzioni è varia:alcune sfruttano ampiamente lapresenza di grandi rocce e, perl'estensione, la forma irregolare e lapresenza di filo spinato, fannopensare che la loro destinazione fossequella di stazzi dove venivanocondotte le pecore e le capre perpassare la notte (peraltro va segnalatala presenza, in una zona di MontePerre vicina a quella di questi siti, dimoderni ovili che potrebberoconfermare l'utilizzo di alcuni luoghidi questa montagna come luogo diricovero per le greggi).Altri manufatti a pochi metri da questiprobabili stazzi hanno invece formerettangolari o semicircolari e sonocostituiti prevalentemente da pietre emuri a secco. Il complesso di muri,rocce e stazzi si estende su unasuperficie abbastanza ampia(superiore ai cento metri quadrati). Ladensità di alberi in questo sito èminore rispetto a quella del sitoprecedente.

Quale fosse la destinazione d'uso diquesto secondo tipo di costruzioninon è un dato facilmente decifrabile;per similitudine rispetto alladescrizione di alcune forme diinsediamento che fa Luigi Lacquanitiin un saggio sui Piani d'Aspromonte 1,si potrebbe ipotizzare che si trattisostanzialmente di piccole abitazionitemporanee utilizzate dai pastori nelperiodo della tarda primavera-estatequando gli animali venivano condottiai pascoli montani per rimanerviqualche mese.I vari elementi inducono a pensare chequeste strutture abbiano costituito,fino a quando sono state utilizzate,una sorta di via di mezzo tra isemplici “pagghiari” e le cosiddette“casedde”: rispetto ai “pagghiari”

1 L. LACQUANITI, Note Antropogeografiche sui Piani d'Aspromonte, in Rivista Geografica Italiana,1948.

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caratterizzati da una struttura moltoelementare, dimensioni piuttostoridotte legate alla funzione di ricoveroe/o deposito, i resti che si possonoammirare a Monte Perre hanno unamaggiore estensione e varietà diforme. Ciò li fa assomigliare appuntoalle “casedde”, una forma abitativapiù stabile situata vicino ai ricoveriper gli animali e centrale rispetto aiterritori dove si svolge l'attività delpastore. Tuttavia il grado diaccentramento delle costruzioni che sitrovano a Monte Perre è decisamenteminore di quello che le “casedde”raggiungono in alcune zonedell'Aspromonte.Da queste premesse si possono trarrealcune conclusioni: la prima attieneuna caratteristica della pastoriziaaspromontana che mi sembra vieneconfermata dalle ipotesi fatte sullanatura dei siti di Monte Perre: i pastoridi questa zona svolgono (e hannosvolto) generalmente la loro attività inmodo relativamente più stanziale secomparati ad altre società ago-pastorali. Lo spostamento delle greggi(e di conseguenza quello dellepersone) avviene lungo l'asse valle-monte, la cosiddetta transumanzaverticale, e non, come spesso accadealtrove, tra territori diversi e distantifra loro molti chilometri (la cosiddettatransumanza orizzontale). Anche lecostruzioni che caratterizzano i duetipi di transumanza risultanochiaramente diverse, essendo quellelegate alla transumanza verticale piùstabili e legate con un rapporto piùsaldo al territorio in cui sonocostruite.La seconda conclusione riguardainvece il rapporto tra gli uomini e lamontagna: il ritrovamento ditestimonianze della presenza umanastabile ci suggerisce l'ideadell'Aspromonte come una montagna

2 F.A. ANGARANO, Vita tradizionale dei contadini e pastori calabresi, Olschki, Firenze 1973.3 C. ALVARO, Gente in Aspromonte, Garzanti, Milano 1996.

vissuta e caratterizzata da un rapportodenso con gli uomini in nettacontrapposizione all'immaginario,spesso tramandato, di luogoinaccessibile, oscuro ed estraneorispetto alla comunità.

I PASTORI D’ASPROMONTE

Ma chi sono oggi i pastorid'Aspromonte?Prima di conoscere i pastori reali,avevo provato ad immaginarli e, comeforse molti, sono caduto nei più banalistereotipi, prefigurandomi uominiarmati di lunghi bastoni, seguiti dalproprio fedele cane, solitari e sdegnosicome li descrive Angarano2 oppurevestiti con strani abiti ed umili etestardi come l'Argirò nato dallapenna di Corrado Alvaro3.Nella realtà questo tipo di pastore, chedefinirei “tradizionale”, non esiste

quasi più. Invece dei lunghi bastoni hovisto qualche colorato (e forse piùutile) ombrello, l'abbigliamento non èdiverso da quello di un qualsiasicampagnolo e lo sguardo fiero,talvolta, ho dovuto cercarlo dietro ilparabrezza di una automobile o lavisiera di un casco: anche questi sonoi mezzi di lavoro dei pastori di oggi.Non voglio sostenere che i pastoritradizionali siano scomparsi del tutto,ma il loro numero è davvero esiguo esi tratta per lo più di persone anzianespesso molto diffidenti e chiuse o diimmigrati extracomunitari. Forse ladifficoltà che deriva dal cogliereappieno le dimensioni di questofenomeno attraverso una indaginequalitativa può avermi indotto asottovalutarne l'importanza, cosa checercherò comunque di evitareutilizzando tutte le fonti disponibili.E comunque è un fatto, solo per fareun esempio, che la transumanza

verticale (il movimento delle greggi daipascoli invernali delle zone più a vallea quelli estivi sulle colline e sullemontagne), tipica espressione dellapastorizia della Calabria, ancheaspromontana 4 sia oggi solo unricordo lontano.La crisi del pastore “tradizionale” nonsignifica però crisi della pastoriziatout-court; emerge lo schizzo di unaltro tipo di pastore, che per comoditàd'ora in poi definirò pastore “pecora eulivo 5”, dove pecora ed ulivorappresentano la combinazione fraagricoltura part-time e una particolareforma di pastorizia, oggi prevalente.Questa è caratterizzata generalmenteda una marcata stanzialità e da greggidi dimensione piuttosto modesta(raramente oltre i 100 capi dibestiame); inoltre, di solito, l'attività èsvolta in maniera autonoma (il pastoreè proprietario degli animali e, seppurnon sempre, anche dei pascoli oalmeno di una parte di essi), è gestitaquasi esclusivamente in ambitofamiliare e rappresenta solo una fra levarie attività svolte dai pastori.Laddove le caratteristiche dellapastorizia legata al pastore“tradizionale” erano ben diverse:grandi greggi (migliaia di animali) eallevamenti transumanti allo statobrado, forza-lavoro bracciantile epiena integrazione nell'economialatifondistica.In questo sistema, diffuso fra i grandi

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proprietari di tutta la Calabria, ildatore di lavoro era tenuto a fornire glianimali e il pascolo nonché tuttoquanto era necessario per laproduzione (ricovero per i pastori,attrezzi per la lavorazione del latte, lalegna per il riscaldamento e, talvolta,persino i vestiti). Per esempio, perquanto riguarda la zona del versanteionico dell'Aspromonte, il contrattotipico prevedeva che il proprietariocedesse il terreno per il pascolo e perla coltivazione del grano e fornisse idue terzi del bestiame che dovevacomporre il gregge; i pastoriaggiungevano il restante terzo,ciascuno secondo le proprie capacità. Una prima considerazione che si puòdedurre da quanto finora detto è lostretto legame esistente fra pastorizia“tradizionale” ed economialatifondistica basato sull'integrazionefra colture cerealicole e foraggiere efra le enormi greggi di migliaia di capie la vasta schiera di braccianti senzaterra. Viceversa la pastorizia che hodefinito “pecora e ulivo” affonda lesue radici nella piccola proprietàcontadina e nell'identità impresa-famiglia che, se da un latocostituiscono un limite, dall'altro nehanno fatto la fortuna. I due gruppi che ho sommariamentedescritto hanno chiaramente unafunzione idealtipica; la realtà èsicuramente più complessa e variegata

come avremo modo di vedere piùavanti.Uno degli aspetti più interessanti delladifferenza fra i tipi di pastore ècostituito dal modo in cui essi sonopercepiti e rappresentati dalle comunitàin cui vivono: nei canti popolari e nelfolklore il pastore “tradizionale” e lasua famiglia sono oggetto di scherno edi diffusa disistima:Lu pecuraru chi dd'u munti vena,/ Mancuallu lettu se sapia corcari,/ Quandu vidijulu spruvieru,/ Disse: lu pagliaru ccu 'naporta!/ Quandu misi lu capu alli cuscini,/Dissi ch'è lu zainu ccu lu pani;/ Quandumisi li carne alli linzola,/ Credia ch'erapella ccu la lana;/ Quandu toccau 'eminna d'a mogliera,/ Credia mùngeripecura allu varu 6.

4 M. ROSSI-DORIA, La Calabria agricola e il suo avvenire, nella rivista Il Ponte, n.9-10, 1950ristampata da Editoriale Bios, Cosenza 1994, pp.1176-1178.5 La terminologia del binomio è ripresa da CATELLI, MONTANI, SAVELLI (a cura di), Le societàmediterranee, Franco Angeli editore, Milano 1988. L'accoppiamento dei termini è mio.6 Canto popolare riportato da F. FAETA, I razziatori morti, in F. CASTELLI, P. GRIMALDI (a cura di),Maschera e corpi, Meltemi, Roma 1997, p. 107. La traduzione è: “Il pecoraio che viene dalmonte/ neanche in un letto si sapeva coricare/ quando vide la cortina del letto divisa in dueparti/ disse: il pagliaio con una porta!/ Quando mise il capo sui cuscini/ disse che era lozaino con i pani/ quando mise il corpo tra le lenzuola/ credette fosse pelle con la lana/quando toccò i seni della moglie/ credette di mungere le pecore allo stazzo.”

Ciminà: monte Pinticudi, ovile con tettoiad’erica

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Mi è capitato personalmente diassistere all'uso del termine pastore insenso quasi dispregiativo estigmatizzante. Inoltre il mondo del pastore“tradizionale” è visto anche comel'ambito della magia e del mistero, cuidà adito la vita raminga del pastorevissuta spesso in luoghi lontani esconosciuti 7, e come quel misto dibassezza psicologica e morale e diselvaggia animalità che è benrappresentato dal rito orgiastico della“farchinoria” 8. La sregolatezza e la stravaganza,l'estraneità alle leggi e alla vita difamiglia o di paese sono lerappresentazioni tipiche del pastore“tradizionale”. All'opposto la societàcontadina della Calabria si è basata,fra le altre cose, su un lavoro didomesticazione dello spazio naturale:“lo spazio, intrinsecamente rischioso,può divenire umano nella misura incui diviene contadino” 9. La terracoltivata, le strade, il borgo, lafamiglia, la casa: questo è il regno delcontadino e nel nostro specifico delpastore “pecora e ulivo”. Da quanto detto mi sembra chiaro chenon esiste nessun tipo di legameevolutivo tra le due tipologie di pastoriche ho abbozzato, come invecepotrebbe apparire da una analisistatica della situazione: essi nonderivano l'uno dall'altro, non sono ilprocesso di una evoluzione da unmodello più tradizionale ad uno piùmoderno. Piuttosto i due tipi sono dalunghissimo tempo coesistiti e laprevalenza di uno rispetto all'altro èlegata all'andamento del sistemasocio-economico in cui ciascuno diessi si inquadra.

Negli ultimi decenni la pastoriziadell'Aspromonte (tanto quella deipastori “tradizionali” quanto quella

dei pastori “pecora e ulivo”) ha subitouna graduale e continua involuzione;la razionalizzazione sempre più spintadella società rurale ha avuto un effettodevastante ed ha lacerato il tessutosociale su cui si fondavano i paesi deicontadini e dei pastori.Lo spopolamento delle campagne, lamodernizzazione e lo shock culturaledovuto all'impatto con l'economia dimercato hanno prodotto gravi dannitanto sul piano socio-economico (lecondizioni materiali di vita sonoindubbiamente migliorate ma con unosviluppo per niente armonico) quantosu quello culturale, con l'evoluzione diuna particolarissima forma di culturaagro-pastorale.È molto difficile stabilire con esattezzala dimensione quantitativa del calodella pastorizia in Aspromonte ancheper il fatto che le poche statisticheufficiali esistenti (la più affidabile è ilcensimento generale dell'agricoltura)non colgono appieno il fenomenonella sua totalità; tutte le forme dimicroallevamento, che sonoestremamente diffuse soprattutto inalcuni paesi dell'Aspromonte (a Platì eCanolo solo per fare qualcheesempio), spesso non sono compresenelle statistiche ed a questo bisognaaggiungere che è abbastanza diffusa,per una sorta di reticenza, l'usanza dinon dichiarare gli animali possedutianche quando si tratta di greggi di unacerta rilevanza.

La condizione effettiva della pastoriziapuò essere colta, a mio avviso, meglioattraverso l'analisi qualitativa, più chequantitativa, dei soggetti e dei modi diproduzione.Bisogna innanzitutto considerare chequando ci riferiamo ai pastori cheabbiamo definito “pecora e ulivo”l'unità di analisi non è l'individuo mala famiglia: l'organizzazione dellaproduzione economica e i rapportifamiliari costituiscono una totalitàindistinta, la famiglia è allo stessotempo centro di produzione e centrodi consumo.Tradizionalmente il capo-famiglia èallo stesso tempo a capo dell'impresaed è sia il detentore dell'autorità e delcontrollo sui membri della famiglia siail detentore del potere decisionalenell'impresa viste le sue competenze

7 M. MINICUCI, Il pastore e il meraviglioso, in N. Provenzano (a cura di), Per il decennale dellabiblioteca di Soriano Calabro, Jason, Soriano 1991, pp. 107-123.8 Si tratta di un rito, descritto da G. DE GIACOMO in La farchinoria. Eros e magia in Calabria, dalui stesso osservato nei pressi del monte Cocuzzo. La veridicità pare che sia dubbia (per lecritiche vedi D. SCAFOGLIO, Norma e trasgressione nella letteratura popolare, Gangemi, Roma-Reggio Calabria 1984, pp. 20-22) ma quello che qui interessa non è stabilire la realtà delfatto ma il modo in cui i pastori sono rappresentati.9 F. FAETA, I razziatori morti, p. 115.

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professionali. All'interno della famigliai ruoli sono strutturati in modo benpreciso: le donne sono sempre escluseda qualsiasi compito attinente la curadel bestiame (eventuale vigilanzadurante il pascolo, mungitura,assistenza sanitaria) mentrefrequentemente si occupano dellalavorazione dei prodotti (i formaggi, lericotte, la lana). Di recente alcunesono diventate titolari dell'azienda difamiglia ma ciò è solamente unaformalità legata ad agevolazioni incampo fiscale mentre sul pianosostanziale la distribuzione del poterenon è cambiata di molto (e quando ècambiata ciò è avvenuto per altrifattori).Ci sono due fatti da notare: il primo èche la distinzione di ruoli èdeterminata puramente da regolesocio-culturali che sono peraltrolimitative solo per le donne. Infatti tuttii lavori che sono svolti dagli uominipotrebbero essere, tecnicamente, svoltidalle donne, che in effetti li svolgonoin casi di necessità, ma che in tempinormali devono essere assolutamenteevitati. Lo stesso non vale per gliuomini, che oltre ad occuparsi deglianimali si impegnano non di radoanche in attività svolte dalle donne (faeccezione la lavorazione della lanache era sempre e solo svolta dalledonne).

Il secondo fatto è che questadivisione sessista del lavoro valeall'interno della stessa famiglia soloper quanto riguarda la pastorizia:mentre i lavori agricoli, anche i piùduri, sono condivisi quelli legati allavoro di pastore sono rigidamenteseparati. Il mestiere è tramandato di padre infiglio e tutti i pastori fanno parte difamiglie che si dedicano da diversegenerazioni alla pastorizia. I ragazziiniziano l'attività di pastore moltopresto, quando sono ancora in etàscolare, attraverso un lungoapprendistato, per esempio dando unamano, quando è possibile, per portaregli animali al pascolo (ma hoincontrato anche ragazzi di 14-15anni che già avevano un loro piccologregge). Un ruolo privilegiato èrivestito spesso dal primogenito che èil collaboratore diretto del padre dalquale acquisisce tutte le informazioninecessarie e la cui ascesa èsanzionata attraverso precisi rituali.Nel caso del pastore-contadinodell'Aspromonte si può dire conAlvaro che la sua forza “è nellastruttura familiare. La famiglia è lasua spinta vitale, il campo del suogenio, il suo dramma e la sua poesia.I figli rappresentano un continuo attodi fede nella vita, una promessa euna speranza, una forza che devecorreggere il destino individuale […]senza il peso del gruppo famigliare alui pare inutile combattere. Se rimanesolo e libero di sé porterà il suoindividualismo […] allemanifestazioni più sfrenate. Egli habisogno naturalmente del freno dellafamiglia: questo è il solo mezzoattraverso cui egli si potrà fissare

nella società. […] È escluso ognisenso edonistico” 10.La fortissima normatività, con il suorigido schema di funzioni, doveri erestrizioni autoritarie checaratterizzano la famiglia patriarcale,non è tuttavia gratuitamenterepressiva bensì è funzionale allanatura multidimensionale dellafamiglia stessa cioè alla sua capacitàdi soddisfare i bisogni primari e allostesso tempo di integrare i fattorieconomici e quelli non economici 11.Da questa rigida struttura familiare edalla fusione al suo interno degliaspetti economici e non economiciscaturiscono due importantissimeconseguenze: la prima è il rapporto diinterdipendenza che si crea fradimensione della famiglia epotenzialità produttive dell'attivitàeconomica legata alla pastorizia. Laseconda è invece un elementoculturale vale a dire la difficoltà deipastori a guardare con favorequalsiasi forma di conduzionesvincolata dall'ambito familiare oviceversa una vita familiare slegatadall'ambito aziendale.Un'ulteriore effetto dell'identificazionefra impresa e famiglia è la variabilitàdell'ampiezza aziendale nel corso delciclo naturale di vita della famiglia:con la formazione di una nuovafamiglia dopo il matrimonio nasce unanuova impresa che si espandeparallelamente alla crescita dellafamiglia, raggiunge il culmine quandoi figli raggiungono l'età lavorativa ecomincia a declinare man mano che ifigli si sposano. In questo modo ladinamica del rapporto fra ciclo di vitadella famiglia e volume dell'attivitàeconomica dei pastori costituisce il

10 C. ALVARO, Itinerario italiano, Milano 1941, pp.3 50-356.11 P. ARLACCHI, Mafia contadini e latifondo, p. 38.

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motore della mobilità sociale deipastori sia in senso ascendente che insenso discendente.Non bisogna tuttavia pensare che ladimensione della famiglia determinimeccanicamente la dimensione delgregge né si può ignorare il fatto checomunque esistono influenzeesercitate da forze esogene rispettoalla famiglia.Definiti i soggetti, dobbiamo ancoraanalizzare il modo in cui essi operano:il sistema di produzione più diffuso frai pastori in Aspromonte è quello chegli studiosi definiscono semi-estensivo: (ma non senza significativeeccezioni, che analizzeremo). Glianimali, bovini e ovo-caprini, sonoallevati allo stato semi-brado e inalcuni, rari, casi allo statocompletamente brado.In pratica, nella maggior parte deicasi, i capi di bestiame sono condottila mattina al pascolo in terrenirecintati di estensione proporzionalealla mandria e poi riportati in unluogo di ricovero la sera, prima deltramonto. Se il gregge è molto piccolo (meno di20 unità) ed è composto di piccoliruminanti è frequente che il pascolosia costituito da un piccolo terreno diproprietà in cui il pastore cerca diconciliare l'attività di agricoltore conquella di contadino, non è raro il casodi piccole greggi che pascolano sottogli uliveti. Il luogo di ricovero di questianimali si trova su questo stessoappezzamento di terra che spesso èadiacente all'abitazione del pastore.Questo sistema implica la necessità inalcuni periodi di fare a meno delpascolo (per esempio durante laraccolta delle olive) e di ricorrere amangimi, prodotti spesso dallo stessopastore.Quando il gregge è più grande ilpastore destina invece una parte dei

suoi terreni solamente per il pascolo equando, come nella quasi totalità deicasi, non dispone di una quantità diterreno sufficiente a garantire ilpascolo del suo gregge prende deipascoli in affitto che si aggiungonoalla sua proprietà, non di rado giàspezzettata in piccoli appezzamenti. Ipascoli presi in affitto, soprattutto senon sono terreni molto grandi, sonopagati con una parte dei prodotti delgregge (formaggi, latte o carne)mentre il pagamento in moneta èancora poco diffuso così come l'uso dicontratti scritti.La dislocazione dei pascoli variadurante le stagioni, i pastori cercano diutilizzare i pascoli più a valle durantel'inverno mentre d'estate si sfruttanodi più quelli in altura. Anche perqueste greggi di dimensioni maggioril'alimentazione diversa dal pascolo haun ruolo estremamente marginale(essenzialmente di integrazione alpascolo e di sostituzione perbrevissimi periodi quando non èproprio possibile pascolare).Il pastore comunque pur sfruttandoquesta molteplicità di pascoli ha la

sua base sempre nell'appezzamento disua proprietà dove il gregge ha unricovero e che si trova ancora nelleadiacenze dell'abitazione del pastore.Il risultato è che in questi casil'attività della pastorizia è slegata daqualsiasi rapporto fisso con un precisoappezzamento di terra fuorché illuogo di ricovero dove gli animali sonoricondotti ogni sera. Questo è l'unicoelemento costante e stabilenell'attività del pastore e comeabbiamo visto, quasi sempre, si trattauna stalla o un ricovero situato neipressi della stessa dimora del pastore“pecora e ulivo”. La stessa dislocazione delle case deipastori è significativa: non esistonopastori che risiedono dovel'insediamento è sparso per i campi, alcontrario tutti abitano in grossi borghi:ciò è funzionale alla necessità di avereun punto di riferimento centralerispetto alla pluralità di appezzamentisparsi per le campagne che il greggedeve raggiungere di volta in volta.All'interno di questi stessi borghi, poi,viste anche le necessità igienico-sanitarie, i pastori sono comunque

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costretti a vivere ai margini (nellaperiferia, se così si può dire12.Alla già menzionata identità frafamiglia e impresa si aggiunge quindiun ulteriore termine che è la casa:mentre la mancanza di un legame fissocon un determinato territorio ha dasempre caratterizzato le societàpastorali, il pastore “pecora e ulivo” hasviluppato un legame molto stretto conil territorio adattandosi, però, al fattoche l'unico territorio che potesse dirsiveramente suo si riduceva alla suacasa e all'orticello che la circonda.La marcata stanzialità di questipastori è un elemento tutt'altro chesecondario ed ha conseguenzerilevanti che differenzianoenormemente i pastori “pecora eulivo” da altre comunità pastoralimediterranee. Il pastore tradizionale, acausa delle esigenzedell'organizzazione dellatransumanza, è costretto ad una vitaquasi da nomade ed il suo grupposociale di riferimento per moltesettimane è solo l'insieme dei pastoricon cui lavora; così le forme disolidarietà che si sviluppano fra ipastori tradizionali sono strettamentelegate alla dimensione professionale13.Fra i pastori che oggi sono in attivitàin Aspromonte le forme di assistenzalegate strettamente all'attività dipastore pur sopravvivendo14 hanno unruolo marginale rispetto ai fenomenidi reciprocità prevalenti che si basanoinvece sulla parentela e sul vicinatomentre addirittura qualsiasi modello dicooperazione formale è decisamentedisprezzata.Quello che emerge nettamente,qualunque sia la specifica forma diallevamento è la assolutapredominanza del pascolo. Tutti ipastori con cui ho parlato sostengonoche il pascolo è molto meno costosodell'alimentazione nella stalla; ciò è

dovuto anche al fatto che lacontrazione del volume dellapastorizia ha diminuito notevolmentela concorrenza per i pascoli. Un ruoloimportantissimo al riguardo ècostituito dalle concessioni comunalidi pascolo che ancora persistono inalcuni paesi dell'Aspromonte e chesono di grandissimo aiuto per ipastori 15. L'utilità del pascolo è invecedecisamente ridotta per i bovini dacarne che sono alimentati nella stallae vanno al pascolo molto piùsporadicamente.Se il sistema di allevamento semi-estensivo è sicuramente quello piùdiffuso esistono comunque altre formedi allevamento tra le quali vamenzionata una particolare variantelocale, ibrida fra l'allevamento brado el'economia di rapina, che èrappresentata dal fenomeno delle“vacche sacre”. In realtà si tratta dicapi di bestiame (a dispetto del nomenon solo bovini ma anche ovo-caprini)di proprietà di alcuni pastori chevivono appunto liberamente allo statobrado nelle zone montagnose o nellecampagne abbandonate.Viste le dimensioni più piccole che

raggiungono in seguitoall'alimentazione completamenteautonoma e vista la difficoltà diutilizzarne il latte, questi animalisvolgono essenzialmente la funzionedi riproduttori a costo zero perl'allevatore che vende poi gli agnelli e ivitelli (anche se questo è quanto di piùlontano possa esistere dai principi diuna zootecnia razionale). In qualchecaso l'esistenza di questi animali è poisfruttata dai pastori anche perpercepire i premi della UE attraversola loro registrazione e il loro controlloperiodico.Questo fenomeno ha conseguenzemolto pesanti visto che queste formedi pascolo incontrollato sonoestremamente dannose sia per i boschi

12 Nel paese di Canolo Nuovo, dove il microallevamento è particolarmente diffuso, ilproblema della vicinanza dei ricoveri per gli animali al centro abitato, è stato affrontato inmaniera originale destinando una zona del paese ai ricoveri per il bestiame e separandoladalla parte abitata.13 Per esempio, in alcune comunità di pastori in Sardegna esistono delle forme diassociazionismo informale per la gestione di terre comuni riservate al pascolo o per laassistenza ai pastori che dopo aver abbandonato l'attività per qualche disgrazia la voglionoriprendere (vedi SVIMEZ, Aspetti sociali e culturali dello sviluppo economico della Sardegna, Roma1960. 14 Esistono usanze quali quella di unire greggi piccole per sfruttare, per quanto possibile, unasorta di economia di scala oppure quella di scambiarsi capi di bestiame che è dettatasoprattutto da esigenze produttive ma non è scevra da elementi puramente ludici. 15 Il fenomeno dell'espropriazione, più o meno latente, del demanio pubblico non si èfermato fino ai nostri giorni: a Platì, secondo quanto riferito da un abitante del paese, daldopoguerra ad oggi tutti i demani comunali sono stati sottratti da parte di “malandrini”. Fratutti i comuni che ho avuto modo di visitare in Aspromonte, gli unici comuni ancora capacidi gestire i demani comunali sono Canolo e Samo.

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AUTORI

Redazione testi: dott. Marco Santagati

Foto: A. Picone

(dove i piccoli ruminanti, se noncontrollati, possono compiere dei verie propri disastri) sia per gliappezzamenti di terreno di proprietàprivata dove gli animali sconfinanofacilmente (nonostante le assicurazionidei pastori che gli animali sono“istruiti”), non a caso nelle zone doveè presente il fenomeno ci sono fortitensioni degli agricoltori.I pastori con cui ho parlato quando siriferivano ai luoghi oggetto di questopascolo di rapina parlavano sempre odi terreni abbandonati dai proprietari(perché definitivamente emigrati eperciò ormai ritenuti esterni rispettoalla comunità) o, molto piùfrequentemente, alla “montagna”;questo termine, si badi, nonrappresenta una indicazionepuramente geografica ma inglobaanche un elemento culturale di alteritàrispetto alla percezione che di essahanno i pastori-contadini. Ciò è legatoai processi storici che abbiamo visto: ipastori-contadini hanno assistito alprocesso di continua appropriazione-espropriazione della montagna e dellasua distruzione da parte dei grandiproprietari terrieri, processi dai qualisono rimasti sempre esclusi, o megliopartecipi solo degli inconvenienti(perdita di un patrimonio collettivo,dissesto idrogeologico). Nel momentostorico in cui cessa di essere utilizzatacome elemento complementaredell'economia latifondistica, la“montagna” per i pastori è ormaidiventata elemento estraneo (non lo èsempre stato, come potrebbe sembrarea primo acchito) e quindi oggettopassibile di reciprocità negativa. Ilfatto più drammatico è che nelcomplesso gioco di persistenze ecambiamenti di ciò che fa parte dellacomunità o meno ne ha fatto le spesel'equilibrio fra sistemi di produzione eambiente naturale.

Palmi: gregge urbanoPlatì: Rocche degli smaliditti

Melìa di Scilla

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CHIESA DI SANTA MARIA DELL’ALICACollocazione

Coordinate

Quota

Comune di Palizzi

Carte I.G.M. scala 1:25.000F° 616 IV Capo SpartiventoLong. 588995 lat. 4206316

682 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoL’accesso più diretto a Pietrapennata,piccola frazione di Palizzi, avviene daSpròpoli, nei pressi di CapoSpartivento, lungo la S.S. 106. Inappena 6 km si giunge alla chiesa delCarmine dove ci si collega alla stradatra Palizzi e Pietrapennata. Svoltandoa destra, dopo 5 km giungerete adestinazione. Tuttavia, per chi non loconoscesse, suggeriamo di passare daPalizzi per visitare questo benconservato borgo.Percorso a piedi: difficoltà ERaggiunto il cimitero di Pietrapennatasi lasciano le auto nel parcheggioantistante l’ingresso e s’imbocca apiedi la pista sterrata in discesa, a

tratti completamente invasa da roviche impediscono non poco ilcammino. Dopo circa 15 minuti lapista diviene un sentiero ma la chiesaè già visibile ed ormai vicina.SentieriUn tratto, non ben individuabile, disentiero collega ad una pista sterratache sale a monte Cerasia, eccezionalepunto panoramico.Il paese di Pietrapennata fu noto perl’industria casalinga delle tovaglie dilino e ginestra, e i dintorni hannoesercitato il loro fascino sull’ingleseLear, sul lettone Brenson e sull’italianoCosomati che li hanno scelti comesoggetti dei loro disegni.

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AMBIENTE CIRCOSTANTE

Dai massi rocciosi di Punta Gallo,sopra le alture di Pietrapennata,attraverso il lecceto della Forestòla siscende alla vallata di Alìca, doveancora si ergono i resti suggestivi diciò che un tempo fu una chiesa, forseun monastero, in un ambiente apertoma silenzioso, soave e severo altempo stesso come richiede un luogoatto al raccoglimento.Sebbene attualmente ciò che rimane diquesto antico luogo di culto ricada nelcomune di Palizzi, da documentirelativi alla visita pastorale dimonsignor Marcantonio Contestabiledel 19 aprile 1670 risulta che talechiesa fosse collegata a Staiti.Posto al centro di una conca, presentaallo spettatore, in primo piano, i muridella sacrestia, il campanile, e la parterivolta a valle; a digradare , una seriedi quattro terrazzamenti con i murettia secco ancora ben mantenuti.

monastero di San Ippolito, trasformatoal culto dopo la vittoria di Lepanto, edi cui S. Maria dell’Alica risultava giàgrancia di San Ippolito di Palizzi.

DESCRIZIONE DEL SITO

Dopo un attento intervento di puliziadell’AFOR, le rovine si sono svelate intutto il loro fascino, rivelando parti distrutture murarie che a una primavisita era risultato impossibile persinoindividuare perché coperte dai rovi.Sembrerebbe che la parte più antica(secc. XII-XIII) sia la sezione SEdell’arco ora attaccato al campanile.Lo spessore di questo brano murario ècm 65; a cm 89 dal suo spigoloesterno a est si può notare unaleggera rientranza, forse il segnodell’apertura d’ingresso al campanile.Di periodo successivo pare essere ilmuro settentrionale della chiesa di m12,78, che, leggermente più spesso

ORIGINI DEL SITO

Circa il titolo di questo affascinanteluogo di ritiro si intrecciano diverseinterpretazioni: secondo le notiziefornite dal sito ufficiale del Comune diPalizzi il nome Alica derivaprobabilmente dalla contradaomonima e per l’esistenza nella zonadi un tempio dedicato ad Apollo Licio,che i Basiliani trasformarono inAbazia intitolandola a Santa Mariache fu detta di A-Lica. Una diversa interpretazione attribuiscel’origine del titolo nel nome di luogo,ricavato, forse, dal fitonimo grecanicoalìci, ossia spelta (meglio noto comefarro), laddove altri ritengonopossibile che il titolo sia stato coniatoappositamente (come altri titoli diluoghi di culto dedicati alla Madonnaed accompagnati da un nome dipianta), o per ricordare magari, comesuggerisce il prof. F. Mosino, lacelebrazione della vittoria pressoLepanto della Lega contro i Turchi nel1571, da cui poi la celebrazione dellafesta allora, come oggi, l’8 maggio,così come l’arcipretura di Staiti èintitolata alla Vittoria. L’anno 1571potrebbe perciò essere, se non l’annodella fondazione certa, almeno dellasua intitolazione, senza per questopregiudicare l’ipotesi, del prof.Domenico Minuto, che la chiesadell’Alica possa essere stato lo stesso

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Planimetria

LEGENDA:

A - chiesa

B - abside

C - campanile

D - setti murari (porticato)

E - frammenti di arco

F - sacrestia

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degli altri, 90 cm circa, è visibilmenteobliquo verso l’esterno, come lo è unmuro di sostegno, ed ha la facciataesterna quasi completamente copertadi terra, fino a 50 cm circa dalla lineadi gronda; la sua lunghezza, misurataall’interno della chiesa, è di m 12,85.Su questa parete si legge ancoratraccia di un arco: forse un abside poichiusa, poiché dal crollo si intravedeuna rientranza riempita da pietre . Sul lato orientato ad ovest si erge ilmuro di facciata in cui si intravedeancora un elemento decorativo,probabilmente, di forma circolare conghiera in mattoni. All’interno inveceuna trave in legno dispostaleggermente obliqua rispetto al pianoorizzontale è forse il segno di unaantica apertura di ingresso; In un momento successivo fuaddossato al muro meridionale uncampanile avente i lati di m 1,85,all’esterno, e m 1,13 all’interno ed

uno zoccolo esterno alto cm 20 esporgente cm 17. Esso chiuse quasicompletamente l’ingresso meridionalee rimase staccato dall’interno dellachiesa, avendo un’apertura a nord-est,tale che, per accede al campanile,bisognava uscire dalla chiesa perun’apertura, successivamentepraticata, nel muro orientale dellachiesa. Il campanile, poi, ebbe a suavolta l’ingresso ostruito dallacostruzione di un ambiente esternoalla chiesa, verso nord-est, forse lasacrestia di cui parla il Contestabilenel 1670 come opera da completarsi.La cuspide è di forma ottagonale con6 aperture di forma ovale. Incorrispondenza degli angoli eranoposizionati 4 pennacchi di cui nerimangono uno integro e la base di unsecondo. Le aperture sui lati delcampanile sono rifinite con elementilaterizi così come le colonnine degliangoli ancora integre. Nell’insieme il

Interno del campanile

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campanile risulta essere stato moltocurato nei particolari e aggraziatonello slancio verso la punta. Ancoraben conservata la decorazione dellacimasa sotto la cuspide, ornata da ungiro di mattonelle in maiolica condisegni a scacchiera bianchi e blu. Lamuratura addossata alla parete delcampanile, dove precedentemente erastato praticato il suo piccolo ingresso,reca ancora visibile, al suo interno, uncondotto leggermente obliquo , forseper il passaggio delle corde delcampanile. Questa nuova costruzione

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AUTORI

Redazione testi: dott. Rosalba Tripodo

Rilievi e rielaborazione grafica: StudioRiproarc di cons. arch. ClaudiaCutrupi

Foto: C. Cutrupi, A. Picone, G. Pontari

BIBLIOGRAFIA

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è ruotata rispetto alla chiesa, con uningresso gradonato, con i muri spessi,alla base, cm 60 e rastremantisi fino acm 50.A m 8,78 dal muro meridionale dellachiesa, ed a una quota inferiore dicirca 150 cm, vi sono cinque settimurari, profondi m 1,24 e larghimediamente m 1,30 circa, disposti adintervalli irregolari; alcuni di essi sononettamente staccati dalla parete difondo intonacata come i setti stessi.Tra il campanile e i setti murari sinoterà un “moncone” di muro: ebbenesi tratta di crollo cantonale delcampanile che è rimasto integro econficcato nel terreno!A m 5,20 dai setti, verso est, vi è unaltro brano di muro, lungo m 5,20,spesso cm 90, con uno zoccolo di cm20 alla base della sua faccia orientale,con uno sguincio di cm 20 nellasezione a nord e posizionato a m 2,80dalla costruzione esterna della chiesa(sacrestia). Il muro ha nel lato internotracce di ceramica invetriata di coloreverde usata come inzeppatura.Si vuole ricordare che nell’anticaAbbazia, fino al 1887, vi era unastatua molto pregiata di finissimomarmo bianco, raffigurante laMadonna con bambino a mezzobusto, attribuita ad Antonello Gagini,perciò anteriore al 1536, anno dellasua morte. La nicchia in pietra tufaceacon alcuni rilievi, ov’è collocata lastatua e la decorazione di questa,costituita da due colonne in pietra, sisostiene provengano dall’anticaChiesa dell’Alica Tutt’oggi, in paese, si ha memoria deimonaci, soprattutto della loroorganizzazione autosufficiente. Ilcasolare che si incontra in direzionenord rispetto al sentiero CAI è indicatocome caseificio, e la rocca a nod-ovestrispetto alla facciata della chiesa èricordata come u furnu di monaci.

Ricostruzione ipotetica

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LA ’NSILICATA DI POLEMOCollocazione

Coordinate

Quota

Località Polemo Comune di Roghudi

Carte I.G.M. scala 1:25.000F° 602 II San LorenzoLong. 581061 lat. 4206498

840 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoDa Bova Marina una recente stradaconduce velocemente in meno di 10km a Bova. Giunti al paese nonentrare nel centro ma proseguire versola montagna superando il campo dicalcio; poco più di un km e si nota asinistra una stradina asfaltata chescende verso delle case. Lasciarel'auto. È qui che inizia la ’nsilicata,cioè il selciato. Percorso a piediI segnali bianco-rosso conduconodietro una delle prime case a destra. Èqui che ha inizio la mulattiera che daBova (la Chora = la capitale)conduceva a Roghudi, probabilmenteuno dei più antichi collegamenti tra idue centri. Metteva in comunicazioneuna serie di casolari ormaiabbandonati o trasformati in ovili postisui crinali dei valloni che confluiscononella fiumara Amendolea.SentieriBova è collegata a Delianuova da unsentiero (segnavia bianco-rosso) chevalica l’Aspromonte.

Bova

La fiumara Amendolea e il paese di Roghudi

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DESCRIZIONE DEL SITO

a cura di Andrea Provenzano

È la fiumara Amendolea, la piùimponente dell'intero Aspromonte, ilmotivo ricorrente di questo sentiero.La si domina dapprima dall'alto conampi panorami che giungono sino almare e all'Etna per poi avvicinarsisempre più come risucchiati ed attrattiinevitabilmente. Nell'ultimo tratto delpercorso infatti ci si ritrova minuscolie sperduti nell'immenso alveo delcorso d'acqua con le ripidi pareti dellavalle che incombono. Si può quindicomprendere quanto questa sinuosavia d'acqua, pietre e sabbia potesseintimorire i grecanici che eranocostretta a percorrerla ma nelcontempo come fosse fonte di vita pergli innumerevoli giardini che irrigava.

Il sito indagato è l’inizio del sentieroche collegava Bova a Roghudi. Inlocalità Polemo, infatti, è ancora benvisibile un breve tratto di selciato. Lecase che si trovano lungo il percorsoerano tutte abitate fino a non moltianni fa da gente che oggi si è spostataa Bova. Fino alla fine degli anni ’60del secolo scorso il sentiero erapercorso tre volte la settimana dalpostino di Bova (ancora vivo edarzillo) che si recava a Roghudi perportare la posta. Dai suoi raccontiemerge che molti degli abitanti,soprattutto gli anziani della vallata eanche molti di Roghudi, parlavanoesclusivamente il grecanico,rendendogli difficile la comunicazione.Tutt’oggi il sentiero è percorsodall’unico abitante della vallata e diRoghudi, il signor Antonino Trapani

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(detto lu stiratu) di circa 65 anni, che,con la sorella, vive vicino al vecchiocentro ormai abbandonato. Il signorTrapani si reca a Bova per fare laspesa, portare le olive al frantoio,andare in farmacia e alla posta,accompagnato da un paziente asino eda un cane. Passando vicino casa suasi ha l’impressione che il tempo si siafermato a tanti anni fa: un focolare edil minimo per difendersi dai rigidiinverni, un orto, un piccolo gregge dicapre e mucche, senza energiaelettrica e telefono.

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In alto: Platì - In basso: Antonimina In alto: Sfalassà - In basso: Antonimina In alto: Platì - In basso: Favazzina-Tagli

Reggio Calabria: S. Anna di Ortì Reggio Calabria: Eremo Botte Ferruzzano

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LA VIABILITÀ IN ASPROMONTE

a cura di Alfonso Picone

Tra i segni della frequentazionedell’Aspromonte da parte dell’uomo visono le strade, i sentieri, le vie,insomma tutto ciò che gli haconsentito di percorrere questoterritorio. Ma per quanto riguarda laviabilità antica lo studio è difficile inquanto rari sono i rinvenimentiarcheologici di tratti di strade edincerta è la loro datazione. Tuttavial’intento di dedicare una parte dellanostra piccola indagine a tale temaderiva dai numerosi brandelli di vie,selciate e non, che abbiamo incontratolungo il nostro camminare in questamontagna. La capillarità di talesistema viario conferma ancora unavolta come l’Aspromonte, e lamontagna in genere, non fosse unostacolo nelle comunicazioni tra legenti. Anzi, per un popolo come quellocalabrese, che ha vissuto sempre condifficoltà il rapporto con il mare, lamontagna ha rappresentato luogo ditransito privilegiato e fonte di risorse.La viabilità nella montagna reggina sicomponeva di due elementi principali.Le vie istmiche (esistenti già in etàprotostorica) che collegavano i dueversanti dell’Aspromonte utilizzando lefiumare (d’estate) o i percorsi dicrinale. Questi valicano la dorsalegrazie a passi come quello di Cancelo,del Mercante e piani come quelli dellaLimina, di Zillastro. Lungo la dorsaleappenninica, poi, la natura stessaoffre un percorso in gran partepianeggiante ed a quote di radosuperiori ai 1.000 m che attraversatutto l’Aspromonte allungandosi, lungol’asse SO-NE, dai piani di Zervò sino aquelli della Limina: è la cosiddetta ViaGrande, toponimo ancora riportatosulle vecchie tavolette dell’I.G.M.I due elementi (vie istmiche e dorsale

appenninica) costituivano quindi unsistema a spina di pesce checonsentiva di percorrere agevolmentel’Aspromonte. L’efficienza di taleviabilità è attestata da numerosetestimonianze. Gli abitanti di unpaesino della vallata dell’Amendolearicordano ancora che Maru Gnoccufaceva Grécia (località montana sopraGallicianò) – Reggio e ritorno in ungiorno. Agli inizi del secolo scorso, ilviaggiatore inglese Norman Douglas,impiegò una giornata per recarsi daDelianova a Bova.Negli ultimi decenni, tuttavia, le areeinterne dell’Aspromonte hanno vistouna notevole diminuzione demografica.Gran parte della popolazione si èspostata sulla costa ed i sistemi viaricollegano ora quasi esclusivamente lamarina con i pochi centri interni e nonpiù questi tra di loro.Le vie interne sono state quindiabbandonate e l’incuria masoprattutto l’ignoranza stacancellando questo patrimonio.Molte le abbiamo segnalate alleautorità ed agli studiosi ed alcunesono state oggetto di indagini. Tuttavianel breve volgere di un decennio moltesono scomparse. È per tale motivo chene presentiamo una breve rassegna, dicerto parziale rispetto all’esistente.

STORIE E LEGGENDE

a cura di Mimmo Cuppari

E tutt’ora viva la leggenda che lungo ilsentiero e precisamente dove questosi biforca per scendere nella localitàFoculiu, le Narade (Nereidi) la mattinapresto, prima del sorgere del sole,aspettavano le donne di Bova che sirecavano a fare il bucato nel gretodella fiumara Amendolea perpercorrere un tratto di sentieroinsieme e fare qualche dispetto.

Samo: monte Perre

San Luca

AUTORI

Redazione testi: D. Cuppari, A.Provenzano, A. Picone

Rilievi e rielaborazione grafica: StudioRiproarc di cons. arch. ClaudiaCutrupi

Foto: C. Cutrupi, A. Picone

Si racconta che una volta all’imbrunireuna signora chiamò la vicina ad altavoce e si accordò con quella perandare insieme la mattina dopo a fareil bucato nella fiumara Amendolea. La Nnarata aveva seguito laconversazione tra le due comari eperciò la mattina dopo, quando eraancora buio, si presenta davanti lacasa della comare, la chiama espacciandosi per l’altra comare lechiede se è pronta per andare a fare ilbucato. Quella, meravigliata,domanda:– Comu mai cummari venistivu kusìprestu?E la Nnarata risponde:– Non ndavjva kkiù sonnu e poi cusì nondi pigghja lu suli pe strata.La comare un po’ timorosa si prepara,esce e s’incamminano, lei avanti e laNnarata dietro.Vedendo che l'altra è silenziosa, il chenon era nelle sue abitudini, siinsospettisce e la fa passare davanti.A questo punto si accorge che lacomare, pur avendo la veste lunga,mentre cammina fa scintille con ipiedi sul selciato. (Le Narade eranodegli esseri che pur avendo sembianzefemminili, al posto dei piedi avevanogli zoccoli e non sopportavano la luce

solare). La donna capisce, perciò, chequella comare che la precede è unaNnarata e inventandosi la scusa diaver dimenticato di prendere con sé ilsapone, dice alla falsa comare:– Mi son dimenticata di prendere ilsapone; mi aspettate qua e miguardate la truscia fintanto che ritornoa prenderlo?(Truscja: lenzuolo o altro telo conannodati insieme i quattro angoli aforma di fagotto contenente all’internoun qualcosa. In questo caso i pannisporchi.)– E la Nnarata:– Va bene, vi aspetto ma non viddjmuratj (non impiegate moltotempo).La donna torna a casa e tuttaimpaurita si chiude dentro in attesache faccia giorno.

BIBLIOGRAFIA

G.P. GIVIGLIANO, Assi e direttrici protostoriche in Calabria, «Klearchos», 1977, pp. 51-104.

G.P. GIVIGLIANO, Percorsi e strade, Storia della Calabria Antica, Gangemi Ed., ReggioC.-Roma 1994.

G.P. GIVIGLIANO, Ricognizione di topologia storica fra Reggio e Leucopétra in Calabriabizantina, Rubbettino Ed., Soveria Mannelli 1991.

Intanto la Nnarata aspetta, e aspettache ti aspetta, il tempo passa ed iniziaa fare giorno. È a questo punto che laNnarata, che non sopporta la luce delsole, capisce che la donna l’haingannata, ed infuriata si avventa sullatruscia strappando e disperdendotutt’intorno i panni. Mentre i primiraggi del sole cominciano araggiungere la terra, la Nnaratascompare insieme alle tenebre.La donna ancora rinchiusa in casaviene raggiunta questa volta dalla veracomare con la quale avevanol’appuntamento. La donna raccontaalla comare i fatti ed ormai, con il solealto, decidono di andare a prendere latruscia, ma arrivati in loco trovanotutti i panni ormai inutilizzabili.Storia realmente accaduta o leggenda?Nessuno può dircelo.

L’antico acciotolato di accesso al paeseabbandonato di Africo vecchio

L’intervento distruttivo delle ruspe nel2001

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SAUCCIOAltre denominazioni

Collocazione

Coordinate

Quota

Saguccio

Località Sauccio Comune di Bagaladi

Carte I.G.M. scala 1:25.000F° 602 II San LorenzoLong. 573171 lat. 4214126

1.054 m s.l.m.

COME ARRIVARE

Avvicinamento in autoSauccio si trova circa 15 km a montedi Bagaladi, seguendo la S.S. 183. Adun quadrivio con un piccoloagglomerato di case ed un bar lasciarela statale e prendere a destra. Unastradina in piano entra in una fittapineta ma poi scende aprendosi sullavallata della fiumara Melito egiungendo, dopo 2 km, a Sauccio. Visi può giungere anche da Gambarielungo la S.S. 183 o da Reggio Calabriaseguendo la ripida ma panoramicastrada che da Gallina sale a MonteSan Demetrio ed ai Piani di Lopa. Percorso a piedi: difficoltà T

SentieriChi volesse camminare, dopo la visitadi Sauccio, può seguire la strada, chediviene sterrata, e che in 2 km porta algreto della fiumara di Melito.Risalendo, di poco, il corso d'acqua, siraggiungono i resti del mulino.Tornando alla pista e seguendolasull'altro versante della valle siraggiunge monte Peripoli.

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TERRITORIO CIRCOSTANTE

Il centro abitato è posizionato a metàcosta di un versante del torrenteTuccio, in posizione soleggiata, aimargini di un piccolo pianoro, checostituisce la zona coltivata delterritorio. Il villaggio è immerso nelverde dei boschi soprastanti e dellamacchia mediterranea tipica deiversanti aspromontani. La vegetazionearborea è costituita da castagno (moltidei quali secolari), pino calabro darimboschimento e, in presenzanotevole, arbusti di ginestra. Lafiumara sottostante, il cui letto è moltostretto, è ricchissima d’acqua chescende a valle superando salti naturalicon magnifiche cascate. Lavegetazione qui è costituitaprevalentemente da ontano nero.Molte sono le sorgenti d’acquaall’interno dell’abitato e lungo lastrada che porta al torrente.

Bagaladi

Sauccio

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ATTUALI CONDIZIONI DEL SITO

Allo stato attuale il centro è quasicompletamente disabitato, anche seancora poche persone coltivano iterreni di loro proprietà e, quindi,hanno fatto manutenzioni ordinarienelle case, dove a volte soggiornanoper più giorni la settimana.L'economia agricola e quasi del tuttoscomparsa e le coltivazioni servonosoltanto per il sostentamentofamiliare.

Prospetto frontaleProspetto laterale

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ORIGINI, FONTI, STORIA DEL SITO

La storia di Sauccio è relativamenterecente, infatti, fino alla finedell'Ottocento non vi erano residentinella frazione e i terreni, di proprietàdi famiglie residenti a Cardeto,venivano coltivati dagli stessi chefacevano la spola tra Cardeto eSauccio. Le uniche costruzioni presentisul territorio erano costituite dapagliai tronco conici con la basecircolare di pietra posta a secco ecopertura di frascheimpermeabilizzata con foglie e fango,che servivano da riparo temporaneo.Agli inizi del Novecento, i figli deivecchi proprietari iniziano a sposarsi ea stabilirsi definitivamente a Saucciocreando il primo nucleo della comunitàsaucciota. I primi fanno parte dellafamiglia Megale, che oltre a essereagricoltori, fondano una delle primeattività manifatturiere nella zona.Infatti, nella località ora detta Mulino,impiantano l'attività della battenderia,antico sistema per l'infeltrimento deitessuti di lana, e iniziano a sfruttarel'energia idraulica prodotta con leacque del vicino torrente.Con tale attività, unica nella zona, siproduceva un particolare tipo ditessuto di lana infeltrita, chiamatoorbace, tessuto reso impermeabile daquesto procedimento e adatto aconfezionare i mantelli e i calzoni deipastori. Essendo mosso dalla forzadell'acqua, il battinderi velocizzava ilprocesso di infeltrimento e tutti icontadini e pastori della zona,conferivano qui i tessuti prodottiartigianalmente nelle proprie dimoreper l'infeltrimento, operazione che inaltre zone come la Bovesia, venivasvolta all'interno delle abitazioni aforza di braccia e gambe.Il funzionamento ininterrotto delbattinderi necessitava di molto

Teleferica

Planimetria

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combustibile per alimentare l'enormecaldaia e questo ha prodotto il velocedisboscamento dei due versanti deltorrente.Intanto, altre famiglie si eranostanziate sul territorio, diventandoagricoltori-pastori, e si continuò acostruire case in muratura, dapprimanella località chiamata Maro Nino, unpo’ più a valle della località Mulino epoi a Sauccio, creando quello che oggiè il centro abitato.Con l'aumento della popolazione,aumentano in maniera proporzionale iterreni coltivati. Inizia l'attività diterrazzamento dei versanti e ilconvogliamento delle acque sorgiveper l'irrigazione. Vengono stabiliti usidei suoli e delle acque che tuttorapermangono e ha inizio così losviluppo della comunità.Con l'inizio della guerra el'imposizione della tassa sul macinato,l'antico battinderi viene convertito inmulino e inizia la macinatura deicereali. Intanto si sviluppano attivitàartigianali collaterali, tra cui la piùimportante è la costruzione delleciaramelle, antichi strumenti musicali,che ha raggiunto il massimo sviluppocon Antonino Megale.Intanto la comunità saucciota siafferma sempre più sul territorio,stringendo legami con i paesicircostanti in cui si approviggiona deibeni di prima necessità che nonriusciva a produrre attraverso ilsistema del baratto di prodotti agricolie della pastorizia.Oltre che intrattenere rapporticommerciali con le comunitàcircostanti, i sauccioti hanno strettocon queste solidi legami culturali,manifestatisi in veri e proprigemellaggi, che prevedevano loscambio di visite in particolari periodidell'anno, soprattutto a Carnevale.Il fatto che gli abitanti fossero

proprietari dei terreni che coltivavano,li poneva in un gradino superiorerispetto agli abitanti del territoriocircostante, per lo più coloni di grandiproprietari terrieri, il cui miseroguadagno spesso non bastava asostenere la famiglia.Quindi la comunità, non solo si èsviluppata in maniera veloce, ma haanche scelto le linee di sviluppo,senza imposizioni o costrizioniesterne.Questo tipo di economia, basato sullaquasi totale autosufficienza, ha rettofintanto che il sistema del baratto nonè stato definitivamente sostituito dagliscambi monetari.Il bisogno di denaro ha provocato leprime migrazioni intorno agli anni '60,che da allora non si sono maiarrestate fino a provocare il totalespopolamento del sito che è avvenutonel 2000.

La saitta del mulino

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La storia di Sauccio rappresenta,pertanto, la storia di una comunitàche nell'arco di un secolo nasce, sisviluppa e muore.La velocità con cui la frazione nacqueed il numero di abitanti che haraggiunto (fino a 120 circa), facevapresumere una costante crescitaeconomica, ma così non è stato.Infatti, l’economia basatasull'autosufficienza, all'inizio resse.Man mano che la comunità cresceva ei figli si sposavano, i terreni venivanodivisi in parti uguali tra i figli, ma ilcriterio guida era sempre quellodell'autosufficienza, così unproprietario che aveva ad esempiocinque figli e cinque appezzamenti diterreno di cui uno era irriguo, un'altroseminativo, ecc. dava a ciascuno deifigli la quinta parte di ogniappezzamento, in maniera tale daassicurare la sussistenza della nuovafamiglia. Questo sistema di divisionedei beni ha portato a una estremaparcellizzazione del territorio, ancora

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AUTORI

Redazione testi: arch. GiuseppeBattaglia

Rilievi: geom. Roberto Laganà

Foto: A. Picone

sufficiente per l'economia del baratto,ma non sostenibile con la nuovaeconomia basata sugli scambimonetari.Negli anni Cinquanta del secoloscorso, tutti i proprietari dei terreniche erano venuti in possesso deglistessi attraverso semplici accordiverbali, si riuniscono alla presenza diun notaio e legalizzano con un atto didivisione la proprietà dei beni.Tuttavia questo atto non è statoseguito da un frazionamento dellaproprietà che risultava ancoraindivisa, proprio per l'elevataparcellizzazione delle particelle.Dagli anni Sessanta in poi siassistette al declino della comunità,in quanto i figli man mano checrescevano emigravano all'esterno in

cerca di lavoro come operai, e lamancanza di braccia da impiegarenell'agricoltura e nella pastorizia haportato all'abbandono della maggiorparte delle terre coltivate. Gli ultiminuclei familiari, per lo più costituitida persone anziane si sono trasferitinei centri vicini, in particolareBagaladi, Melito e Gallina,abbandonando definitivamenteSauccio.Le case, per mancanza dimanutenzione stanno oramaicrollando, e i terreni coltivati sonosempre più ridotti. Sono oramai pochipensionati che nei fine settimanaritornano a Sauccio e coltivano perhobby un pezzettino di terra, isuperstiti di quella che è stata unacomunità fiera e orgogliosa.

161

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163

All’indagine sui segni dell’uomo nelle terre alte in Aspromonte abbiamo ritenuto importante, come già fatto

in altre ricerche condotte dal CAI, accompagnare gli strumenti conoscitivi per una loro fruizione.

La descrizione degli itinerari e l’indicazione delle coordinate geografiche consente di accedervi abbastanza

agevolmente. È bene ricordare comunque che si tratta di camminate che si svolgono in montagna ed in un’a-

rea protetta dove è necessario avere attrezzatura ed abbigliamento idoneo, ma soprattutto prudenza e rispet-

to per l’ambiente.

Infine per chi vuol trascorrere qualche giorno di vacanza nel Parco indichiamo alcune strutture ricettive e rife-

rimenti telefonici per le principali aree riguardanti i siti.

• Saguccio: Porta del Parco “Frantoio Jacopino” (Bagaladi), Giuseppe Battaglia cell. 339 1021274.

• Villaggio UNRRA, Torre Carditto, Altanum: Rifugio Montano “Valle Spana” (Mammola) tel. 0964 414598

cell. 339 7888079.

• Siti nei pressi di Zomaro (Cittanova): Ostello Zomaro, Gaetano Caminiti tel. 0966 625006.

• Pietra Salvo, monte Fistocchio: Rifugio “Il Biancospino” loc. Carmelia (Delianuova), Antonio Barca

(guida del Parco) tel. 0966 963154 - cell. 333 3685838.

• Siti nei pressi di Zervò (S. Cristina): Comunità Incontro (presso ex-sanatorio) 0966 870297.

• Montalto (Gambarie): Consorzio Turistico tel. 0965 744002, Assotur tel. 0965 743061.

• Alica, Polemo: coop. San Leo (Bova), Andrea Laurenzano (guida del Parco) tel. 0965 762165

cell. 347 3046799.

• Monte Tre Pizzi: azienda agrituristica ‘A Sena-Runcatini (Ciminà) tel. 0964 334839.

• Siti tra Samo e San Luca: Consorzio del Turismo Verde EOS tel. 0964 22526.

INFORMAZIONI SUI SITI

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Il Club Alpino Italiano nasce sul Monviso nel 1863, dall'idea di Quintino Sella, scienziato e statista, che volleriunire gli alpinisti italiani in un club. Ma gli anni non ci pesano perché sono serviti a costituire il nostro ric-chissimo bagaglio d'esperienza. Un patrimonio fatto di puro volontariato. Oggi il CAI conta quasi 800 trasezioni e sottosezioni presenti in tutte le regioni d’Italia con oltre 300.000 soci. Realizza iniziative in molticampi con attenzione agli aspetti tecnici, naturalistici e culturali delle montagne. Alcuni praticano l’arram-picata, i più preferiscono l’escursionismo, ma tutti con il comune intento di entrare a contatto con la natu-ra, apprezzandone gli aspetti più significativi. Per far parte del CAI non sono quindi necessarie doti partico-lari ma spirito di gruppo, voglia di camminare e un pizzico di sana curiosità.

La Sezione AspromonteFondata nel 1932 a Reggio Calabria, la Sezione Aspromonte gode oggi di ottima salute e vanta un alto nume-ro di giovani tra i propri iscritti. Possiede una struttura a Gambarie (1310 m s.l.m.). Ogni anno organizza circa30 escursioni con la partecipazione di oltre mille tra soci e simpatizzanti. Anche l’impegno culturale e forma-tivo è intenso con cicli di conferenze su temi vicini alla civiltà montana ed orientati alla conoscenza del ter-ritorio. L’attività principale è l’escursionismo, favorito da una montagna come l’Aspromonte che consente iti-nerari in ogni stagione. Ma anche l’Etna, il Pollino, la Sila e le Isole Eolie per i fine settimana, e poi le Alpi,per trekking di più giorni. E dovunque tanti amici che ci guidano sulle loro montagne. Ma il CAI non è soloescursionismo: i soci possono praticare lo sci, la speleologia, l'arrampicata, la mountain bike, il torrentismoe tante altre attività. I motivi per camminare insieme sono davvero tanti !

CLUB ALPINO ITALIANO Sezione Aspromontewww.caireggio.it - [email protected] sociale: via S. Francesco da Paola, 106apertura: giovedì ore 21 (eccetto i mesi estivi)recapito postale: c. p. 60 - 89127 REGGIO CALABRIAtel. fax e segreteria: 0965 898295

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40.000 ettari di rigogliosa superficie boschiva ed una grande e rara varietà di specie animali e vegetali (l’a-quila del Bonelli e la gigantesca felce tropicale Woodwardia radicans, tanto per citarne alcune) costituisco-no il patrimonio naturalistico del Parco Nazionale dell’Aspromonte.Non solo i monumenti naturali (pietre, fiumare e cascate) ed i boschi ma anche le numerose testimonianzestoriche, artistiche e culturali caratterizzano questo estremo lembo della penisola italiana, che si estende per76.178 ettari ed abbraccia 37 Comuni della Provincia di Reggio Calabria: Africo, Antonimina, Bagaladi, Bova,Bruzzano Zeffirio, Canolo, Cardeto, Careri, Ciminà, Cinquefrondi, Cittanova, Condofuri, Cosoleto,Delianuova, Gerace, Mammola, Molochio, Oppido Mamertina, Palizzi, Platì, Reggio Calabria, Roccaforte delGreco, Roghudi, Samo, San Giorgio Morgeto, San Lorenzo, San Luca, San Roberto, Santa Cristinad'Aspromonte, Sant'Agata del Bianco, Sant'Eufemia d'Aspromonte, Santo Stefano in Aspromonte, Scido,Scilla, Sinopoli, Staiti, Varapodio.L’ istituzione del Parco Nazionale dell’Aspromonte - prevista da una legge del 1989 con la quale si intende-va creare una grande area protetta autonoma dal Parco Nazionale della Calabria (istituito nel 1968) e forma-lizzata dalla Legge Quadro sulle aree protette (n. 394 del 1991) – si realizzò concretamente nel 1994 quando,con D.P.R. datato 14 gennaio, fu istituito l’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte.L’Ente è quindi responsabile della salvaguardia di un patrimonio ambientale che è straordinario sotto l’a-spetto biologico, naturalistico e scientifico, nonché della sua valorizzazione attraverso azioni di educazionee di promozione culturale nei confronti della collettività affinché il rispetto e la difesa della natura diventi-no elemento costante della vita di tutti. L’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte è inoltre attivamente impe-gnato sul terreno della promozione di uno sviluppo locale sostenibile, in grado di assicurare alle popolazio-ni locali condizioni di vita basate su forme d’economia moderne ma rispettose delle tradizioni più sane egenuine.

Ente Parco Nazionale dell’AspromonteVia Aurora – 89050 GAMBARIE di Santo Stefano in Aspromonte RCTel 0965 743060 fax 0965 743026www.parcoaspromonte.it - [email protected]

1) Per le tue escursioni in montagna,scegli itinerari in funzione delle tuecapacità fisiche e tecniche,documentandoti adeguatamente sullazona da visitare. Se cammini in gruppoprevedi tempi di percorrenza in relazioneagli escursionisti più lenti.

SEI REGOLE PER L’ESCURSIONISTA

3) Di preferenza non intraprendere dasolo una escursione in montagna e, inogni caso, lascia detto a qualcunol’itinerario che prevedi di percorrere,riavvisando al tuo ritorno.

4) Informati sulle previsionimeteorologiche e osserva constantementelo sviluppo del tempo.

5) Nel dubbio torna indietro. A volte èmeglio rinunciare che arrischiarel’insidia del maltempo o voler superaredifficoltà di grado superiore alle proprieforze, capacità, attrezzature.

6) Riporta a valle i tuoi rifiuti. Rispettala flora e la fauna. Evita di uscire dalsentiero e di fare scorciatoie. Rispetta letradizioni locali ricordandoti che seiospite delle genti di montagna.

2) Provvedi ad un abbigliamento edequipaggiamento consono all’impegno ealla lunghezza dell’escursione e portanello zaino l’occorrente per eventualisituazioni di emergenza, assieme ad unaminima dotazione di pronto soccorso.

LA CARTOGRAFIA

I SENTIERI

TELEFONI UTILI

Parco Nazionale dell’Aspromonte0965 743060

Corpo Forestale dello Stato 0965 591800

Guide Ufficiali del Parco 348 3368079

Club Alpino Italiano sezione Aspromonte0965 898295

Soccorso Alpino 368 7402003

A.P.T. 0965 21171

Chi volesse approfondire la conoscenza del ter-

ritorio può consultare le pubblicazioni indicate

in bibliografia e dotarsi della cartografia detta-

gliata dei sentieri:

– Carte dell’I.G.M.I. scala 1:25.000, indicate

nella descrizione dei siti;

– Carta Escursionistica della Calabria – Aspromonte

scala 1:50.000;

– Atlante del T.C.I. scala 1:200.000, per le strade

di accesso alle aree dei siti.

La difficoltà degli itinerari è sintetizzata dallelettere:

T = Turistico (facile);

E = Escursionistico (media difficoltà);

EE = Escursionisti Esperti (difficile).

INFORMAZIONI UTILI

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