SED8_PELLE DI SETA

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LOUISE ALLEN

Pelle di seta

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Ravished by the Rake

Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2011 Melanie Hilton

Traduzione di Rossana Lanfredi

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Storici Seduction agosto 2012

Questo volume è stato stampato nel luglio 2012

presso la Rotolito Lombarda - Milano

I GRANDI STORICI SEDUCTION ISSN 2240 - 1644

Periodico mensile n. 8 del 22/08/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 556 del 18/11/2011 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Calcutta, India, 7 dicembre 1808 Perdìta si sventolò col ventaglio cercando di convincersi che faceva deliziosamente fresco. Quella, in effetti, era la stagione fresca, così alle otto di sera era caldo solo come in una giornata d'agosto inglese. E, grazie al cielo, non piove-va. Sì, ma quanto tempo si doveva vivere in India per abi-tuarsi a simili temperature? Mentre un rivolo di sudore le scendeva lungo la schiena, ricordò com'era stato da marzo a settembre. Bisognava tuttavia riconoscere anche un aspetto posi-tivo: la calura faceva sentire meravigliosamente liberi e ri-lassati. D'altronde non ci si poteva sentire che rilassati quando ci si liberava di tutti gli indumenti che la decenza permetteva e si indossavano delicate mussoline, lievi bati-sta e fluttuanti sete. Sì, in fondo in Inghilterra le sarebbe mancata quell'indo-lenza sensuale e un po' felina, ora che il suo anno di esilio era finito. E il caldo aveva anche un altro vantaggio, pensò, osservando il gruppo di giovani signore nel salone dei rice-vimenti adiacente alla grande Sala di Marmo del Palazzo del Governo: faceva diventare a chiazze rosse la delicata

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carnagione color pesca delle biondine, mentre a lei, la zin-gara, come la chiamavano malignamente, non faceva il mi-nimo effetto. Non aveva avuto molte difficoltà ad adattarsi: aveva co-minciato ad alzarsi prima dell'alba per poter cavalcare con un po' di fresco, aveva dedicato i lunghi pomeriggi roventi al riposo e le sere a balli e feste. Se non fosse stato per la scia di voci maligne e pettegolezzi che la seguiva ovunque, forse là, in India, avrebbe potuto iniziare una nuova vita. Invece, quell'esperienza aveva solo reso ancora più taglien-te la sua lingua. In ogni caso ormai desiderava tornare in Inghilterra, do-ve avrebbe trovato il verde, la pioggia leggera, la nebbia e un sole più gentile. E poi aveva quasi scontato del tutto la sua condanna; ora poteva tornare a casa e sperare che suo padre l'avesse perdonata, augurandosi anche che la sua ri-comparsa in società non suscitasse altre chiacchiere. E se succede?, si domandò, rientrando nella sala dalla terrazza, con impresso sul volto il solito sorriso spavaldo. Ebbene, se succederà che vadano pure tutti all'inferno, le donne maligne con i loro sussurri, e i libertini che credono che io sia a loro disposizione. I rimpianti erano solo una perdita di tempo. Perdìta scacciò dalla mente quei pensieri e lasciò scorre-re lo sguardo lungo la sala dall'altissimo soffitto e le doppie file di colonne di marmo. La Regina del Bengala sarebbe salpata per l'Inghilterra alla fine della settimana, e quasi tutti i suoi passeggeri era-no là, al ricevimento nel Palazzo del Governo. Oh, avrebbe avuto occasione di conoscerli molto bene nei mesi seguenti.

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C'erano alcuni uomini importanti della Compagnie delle Indie Orientali, addetti al controllo e al commercio del cari-co; un gruppetto di ufficiali dell'esercito; diversi mercanti, alcuni con mogli e figlie; e un certo numero di educati gio-vani, pure loro al soldo della Compagnia, che cominciava-no la lunga scalata alla ricerca di ricchezza e potere. Perdìta sorrise e agitò il ventaglio all'indirizzo di due di loro, i gemelli Chatterton, nella parte opposta della sala: il pigro, affascinante Daniel, e l'impetuoso, intenso Callum... Sua madre non sarebbe stata troppo dispiaciuta se lei fosse tornata a casa fidanzata con Callum, quello libero. Non sa-rebbe stato un matrimonio eccellente, ma dopo tutto i ge-melli erano fratelli minori del Conte di Flamborough. En-trambi erano divertenti, ma nessuno dei due provocava più di un lievissimo fremito al suo cuore. Forse nessuno sareb-be mai riuscito a fare di meglio ora che lei aveva imparato a diffidare di ciò che quel fremito le suggeriva. La timida Averil Heydon le fece un cenno di saluto dal posto in cui si trovava, accanto a un gruppo di chaperon, e lei rispose con un sorriso. Cara Averil, così bene educata, così perfetta... e così graziosa. Come mai Miss Heydon era una delle poche ap-petibili signorine della buona società di Calcutta che lei tol-lerava? Forse perché, a differenza di quelle che vedevano Lady Perdìta Brooke solo come una rivale da umiliare, era un'ereditiera talmente ricca da non abbassarsi a gioire delle sventure altrui. In quel caso, del fatto che la figlia di un conte fosse stata spedita in India in disgrazia. Il sorriso che incurvava le labbra di Perdìta divenne più duro. Potevano provare a umiliarla, certo, ma fino a quel momento nessuna ci era ancora riuscita, forse perché com-

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mettevano l'errore di pensare che a lei importasse avere la loro approvazione o la loro amicizia. Anche Averil sarebbe stata a bordo della Regina del Bengala, e quella era una buona notizia... Tre mesi erano un periodo di tempo molto lungo da passare imprigionati su una nave con lo stesso, piccolo gruppo di persone. All'andata aveva avuto la rabbia – rabbia soprattutto con-tro se stessa – e un baule pieno di libri a confortarla; questa volta, però, aveva intenzione di divertirsi e di godersi fino in fondo l'esperienza del viaggio. «Lady Perdìta!» «Lady Grimshaw?» Perdìta assunse immediatamente un'espressione rispettosa. Anche la vecchia arpia sarebbe stata a bordo della nave e lei ormai aveva imparato a sce-gliere le sue battaglie. «Quello non è certo un colore adatto a una fanciulla non maritata. E un tessuto così sottile, poi...» «È un sari che ho riadattato, Lady Grimshaw. Trovo che i colori pastello e il bianco mi facciano sembrare pallida.» Perdìta sapeva bene quali erano i pochi punti forti del suo aspetto, e come farli risaltare alla perfezione. Il verde scu-ro, per esempio, esaltava il colore dei suoi occhi e i lumi-nosi riflessi dorati dei suoi capelli castani. La delicata seta, poi, fluttuava sulla biancheria di fine batista come se fosse una nuvola. «Umph. E cos'è questa storia che ho sentito di voi che cavalcate all'alba nel Maidan? E al galoppo!» «Fa troppo caldo per galoppare in qualunque altra ora del giorno, milady. E avevo il mio syce con me.» «Uno stalliere non conta nulla, ragazza mia. Vi compor-tate in modo libero. Troppo libero.»

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«Ebbene, galoppare non ha proprio lo scopo di far senti-re liberi?» replicò soavemente Perdìta, e si allontanò, prima che la matrona potesse replicare. Fece cenno a un servitore di portarle un bicchiere di punch, un'altra cosa troppo libera per una giovane donna non maritata. Sorseggiò la bevanda camminando per la stanza e arricciando il naso per l'eccessiva quantità di arac, un liquore del posto, che conteneva, poi però si fermò: un certo movimento nei pressi della soglia segnalava infatti l'arrivo di un nuovo invitato. «Chi è quello?» Averil comparve al suo fianco e indicò la porta. «Santo cielo, che uomo attraente» aggiunse, e co-minciò a sventolarsi con il ventaglio mentre fissava lo sco-nosciuto. Ebbene, attraente lo era di certo. Alto, snello, molto ab-bronzato e con i morbidi capelli neri tagliati corti. Perdìta smise di respirare, poi inspirò tutta l'aria che poté. No, cer-to che no, non poteva essere Alistair... era solo uno scherzo dell'immaginazione. Tuttavia il suo corpo avvertì un'acuta sensazione di pericolo, insieme a una immediata eccitazio-ne. L'uomo entrò zoppicando, ma con un atteggiamento im-paziente, come se quella disabilità lo facesse infuriare e a-vesse dunque deciso di ignorarla. Una volta all'interno, scrutò la sala con lenta sicurezza. Il suo sguardo si soffer-mò su Perdìta, guizzò sul suo volto, poi scese a esaminare la profonda scollatura dell'abito, quindi si spostò su Averil per un'altra, distaccata valutazione. Perdìta pensò che sembrava in tutto e per tutto un pascià che ispezionava gli ultimi arrivi nel suo harem, ma a di-spetto di quell'arroganza, che non le era familiare, lo ri-

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conobbe, ogni parte del suo corpo fremente lo riconobbe. È lui. È Alistair. Dopo otto anni, lottò contro l'impulso di fuggire. «Insopportabile» mormorò Averil, che era arrossita in modo quasi imbarazzante. «Insopportabile senza dubbio, e di certo arrogante» re-plicò Perdìta, senza curarsi di abbassare la voce mentre lui si avvicinava. Attacca, le diceva l'istinto. Colpisci prima di diventare debole e dargli la possibilità di ferirti ancora. «E ovviamente si crede chissà quale eroe, mia cara. Non vedi come zoppica? Sembra uscito da uno di quei romanzi d'av-ventura...» Alistair si fermò e si voltò. Non finse di non aver sentito. «Un'altra giovane che fa marcire il suo cervello con lettera-tura di bassa lega, immagino.» Gli anni non avevano cam-biato il curioso color ambra dei suoi occhi che, da bambina, lei aveva sempre pensato somigliassero a quelli di una ti-gre. I ricordi tornarono alla superficie, alcuni agrodolci, altri solo amari, altri ancora così eccitanti che quasi le diedero le vertigini. Perdìta sentì il mento alzarsi, quasi fosse so-spinto da una volontà propria. Sostenne lo sguardo di Ali-stair con gelido silenzio, ma capì che lui non l'aveva rico-nosciuta. Infatti si girò un poco e s'inchinò ad Averil. «Perdona-temi, se vi ho fatto arrossire. Non capita spesso di vedere una simile bellezza.» Quel movimento espose il lato destro della sua testa. Lungo la guancia, all'altezza dell'orecchio e lungo la ma-scella e sul collo, si allungava il segno di una ferita non an-cora cicatrizzata che scompariva poi nel bianco della cra-

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vatta. Perdìta notò che aveva la mano destra fasciata e che la zoppia non era affatto un'affettazione: Alistair era stato ferito, e piuttosto gravemente. Cancellò l'istinto di toccarlo, di domandargli che cosa gli fosse accaduto, mentre un tempo l'avrebbe fatto senza nessuna inibizione. Al suo fianco, sentì l'amica inspirare bruscamente. «Io non me ne curo, signore.» E con un cenno di freddo conge-do, Averil si allontanò, tornando al gruppo delle chaperon. Quando ebbe raggiunto il suo rifugio, si voltò, e rendendosi conto che Perdìta non l'aveva seguita assunse un'espressio-ne di comica costernazione. Dovrei scusarmi con lui, pensò Perdìta, ma ci ha studiate in modo così spudorato! E mi ha ignorato, esattamente come aveva fatto l'ultima volta. Inoltre, si era rivolto solo ad Averil. Evidentemente lei non era tanto graziosa da me-ritare i suoi complimenti. «La mia amica è tanto gentile quanto bella.» Quella sua dichiarazione ebbe l'effetto di riportare su di lei l'attenzione del giovane, il quale aggrottò la fronte nel sentirla parlare con tanta acida dolcezza. «Lei riesce a perdonare quasi chiunque, anche i libertini più presuntuosi.» Ciò che sem-brava essere diventato lui. E con quelle parole avrebbe dovuto girare sui tacchi, magari con una risatina trillante o una sventolata del ven-taglio, e lasciarlo a importunare qualche altra signora. In-vece le fu difficile muoversi, soprattutto perché staccare gli occhi dai suoi significò posarli sulla bocca. Una bocca che non si incurvò – non si poteva dire che lui stesse sorri-dendo – ma che si abbellì di una sorta di fossetta, in un angolo. Naturalmente, di un simile arrogante esemplare di virili-

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tà non si poteva affermare che avesse qualcosa di così deli-zioso come una fossetta. Però quella bocca sulla sua pelle, sul suo seno... «Vengo giustamente rimproverato» dichiarò Alistair, e c'era qualcosa di provocante nel modo in cui pronunciò quelle parole, qualcosa che suscitò un piccolo brivido in Perdìta, anche se lei non riuscì assolutamente a capire il perché. Poi si rese conto che lui le stava parlando come a una donna, non come alla ragazzina che aveva creduto fos-se quando, in precedenza, l'aveva con tanta crudeltà ignora-ta. Sembrava quasi le stesse suggerendo di rendere il rim-provero più personale. Si disse che era possibile vincere l'imbarazzo con la semplice forza di volontà, soprattutto visto che lei non ave-va capito bene per che cosa stesse arrossendo in quel mo-mento. Alistair non l'aveva riconosciuta, e anche se lo a-vesse fatto non aveva ritenuto importante ciò che era acca-duto fra loro nel passato, glielo aveva detto con grande chiarezza. «Voi non sembrate nemmeno lontanamente pentito, si-gnore» replicò dunque. Nonostante prima o poi lui avrebbe compreso con chi stava parlando, non voleva concedergli alcuna soddisfazione: non desiderava che capisse di essere stato riconosciuto, né che pensasse che la cosa avesse una seppur minima importanza. «Non ho mai detto di esserlo, signora, ma solo di avere capito di essere stato ripreso. Non c'è nessun divertimento nel pentimento – bisognerebbe rinunciare al peccato, altri-menti si sarebbe solo degli ipocriti – e dove sta il piacere in questo?» «Io non so se voi siate ipocrita o no, signore. Di certo nes-

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suno potrebbe accusarvi di comportarvi in modo cortese.» «Siete stata voi la prima a colpire» ribatté lui, preciso ma ingiusto. «Per la qual cosa mi scuso» rispose Perdìta, che non vo-leva comportarsi male come lui. Purtroppo, aveva appena preso quella decisione quando la sua lingua la smentì. «Tuttavia non intendo offrirvi nessuna comprensione. È e-vidente che litigare vi diverte.» Da giovane Alistair era sempre stato impetuoso, spesso arrabbiato, e quell'impeto si trasformava in fuoco quando faceva l'amore. «In effetti sì» replicò, e mosse la mano bendata, sussul-tando impercettibilmente. «Dovreste vedere l'altro conten-dente.» «Non ne ho nessun desiderio. A quanto pare vi siete fatti a pezzi a sciabolate.» «Quasi...» Cogliendo nella sua voce ironica e colta una traccia dell'accento dell'Inghilterra sud occidentale, un'ondata di nostalgia di casa, delle verdi colline, delle fiere scogliere e del mare freddo investì Perdìta, superando persino la sor-presa dell'aver rivisto il giovane. «Avete ancora l'accento del sud ovest nella vostra voce» gli disse senza pensarci. «Sono della Cornovaglia del Nord, vicino al confine con il Devon. E voi?» Alistair non pareva aver trovato strane le sue parole. Anche a lui manca l'Inghilterra, pensò Perdìta, avver-tendo una traccia di nostalgia in quel tono freddo. «Vengo anch'io da quella zona.» E senza pensarci gli tese una ma-no, che lui prese nella sua sinistra, quella non ferita e non

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guantata. Era una mano calda e dura, con i calli da cavalie-re sul palmo, e la punta delle dita indugiò sul polso di Per-dìta, là dove il sangue pulsava all'impazzata. Una volta, tanto tempo prima, lui le aveva tenuto la ma-no nello stesso modo, si erano trovati vicini e lei aveva let-to l'infelicità nei suoi occhi, aveva frainteso, e aveva agito con sventata innocenza. Alistair l'aveva portata in paradiso, poi l'aveva presa in giro per la sua stupidità. Perdìta si rese conto di non poter più continuare quel gioco e correre il rischio che lui, dopo aver scoperto la sua identità, pensasse che dava ancora importanza a ciò che era accaduto fra loro. «La mia famiglia vive a Combe.» «Siete una Brooke? Appartenete alla famiglia del Conte di Wycombe?» Le si fece più vicino, e dato che continuava a stringerle la mano l'attirò a sé per studiarle il volto. È troppo vicino, è troppo virile. Alistair... Oh, Signore, è cresciuto. «Cielo, non sarete la piccola Perdìta Brooke? Ma erava-te tutta spigoli, naso e gambe!» Sogghignò. «Mi ricordo che mettevo le ranocchie nelle tasche dei vostri grembiuli-ni e voi mi seguivate ovunque. Siete molto cambiata dall'ultima volta che vi ho vista. Dovevate avere dodici anni.» Sorrideva, divertito, e d'un tratto parve otto anni più giovane. «Ne avevo sedici» lo corresse con tutta la freddezza che le fu possibile. Tutta spigoli e naso. «Ricordo voi, e le vo-stre ranocchie. Ricordo che eravate un giovanotto impu-dente, ma avevo sedici anni quando partiste.» Avevo sedici anni quando ti baciai con tutta la passione e l'amore che a-vevo nel cuore, e tu mi usasti e mi gettasti via. Ero solo troppo inesperta per te o troppo noiosa?

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Un'ombra attraversò quegli occhi ironici, per un momen-to Alistair aggrottò la fronte, come se stesse inseguendo un ricordo fuggevole. Eppure sembra che non rammenti... o non vuole confes-sare. Ma come potrebbe aver dimenticato? Forse ha avuto così tante donne che si è scordato di un'incapace, sciocca ragazzetta. «Avevate sedici anni? Davvero?» Di nuovo aggrottò la fronte, lo sguardo fisso sul suo volto. «Io non... rammen-to.» Nel suo sguardo, velato da una certa perplessità, si rin-correvano domande, come se un sogno sbiadito dal tempo si fosse riaffacciato ai confini della memoria. «Non v'è ragione per cui dovreste.» Perdìta liberò la ma-no, si piegò appena in un impercettibile inchino e si allon-tanò. Non si ricorda nemmeno! Ha spezzato il mio sciocco cuore di fanciulla e non se lo ricorda. Sono dunque stata così poco importante per lui... Daniel Chatterton la bloccò nel mezzo della sala e Perdì-ta atteggiò subito le labbra a un cortese sorriso. Non sono più ordinaria, si disse, imponendosi di non fuggire. Sono raffinata, elegante e originale, anche. Sì, ecco cosa sono: un'originale. Diversi uomini mi ammirano. E poi mi ha fat-to bene rivedere Alistair, così ora posso sostituire al sogno la realtà. Forse, finalmente, i ricordi di una sconvolgente, meravigliosa ora passata nel suo letto l'avrebbero abbando-nata. «Non ditemi che non idolatrate il nostro avventuriero che ritorna, Lady Perdìta.» A quanto pareva la sua espres-sione non era soave come si era augurata. Perdìta scrollò le spalle e considerò che senza dubbio metà della sala doveva aver udito la conversazione. Già

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s'immaginava le risatine nel pollaio delle signorine. E quando Chatterton le offrì dell'altro punch, rifiutò, accet-tando invece un bicchiere di succo di mango. Era colpa dell'arac, se si sentiva in quel modo? Se non l'avesse bevuto, forse avrebbe visto soltanto un altro uomo, uno come tanti, un tipo che non le avrebbe provocato la minima eccitazione. Mentre si portava il bicchiere alle lab-bra, notò che la sua mano conservava ancora una traccia dell'odore di Alistair: cuoio, muschio e un'altra fragranza che le sfuggiva, ma che sapeva di spezie e doveva essere molto costosa. Lui non aveva mai avuto quel profumo così inebriante. Sì, era cresciuto molto. Anche lei, d'altra parte. «Se vi riferite ad Alistair Lyndon, l'essere insolente che ha appena parlato con me e Miss Heydon, lo conosco da quando era fanciullo. Allora era un tipo sprezzante, e mi sembra che non sia cambiato.» Ecco, ora stava arrossendo di nuovo, e lei non arrossiva mai. «Partì da casa quando a-veva circa vent'anni.» Venti anni e undici mesi, per essere esatti. Per il suo compleanno lei gli aveva comprato un bel pettine da taschi-no in corno, e un astuccio dove riporlo che aveva ricamato con cura. Era tutto ancora nel fondo del suo portagioie, dov'era rimasto anche quando era fuggita con l'uomo di cui credeva di essere innamorata. «È il Visconte Lyndon, erede del Marchese di Iwerne, non è così?» «Sì. Le terre delle nostre famiglie sono confinanti, ma noi non siamo grandi amici.» Proprio per nulla, visto che la mamma era stata abbastanza sconsiderata da far capire con chiarezza che cosa pensava della seconda moglie del mar-chese, di appena cinque anni maggiore di Perdìta.

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Poiché c'era stato qualche contrasto legato a problemi di terre, e non c'erano figlie femmine nella famiglia Iwerne da presentare in società, le due famiglie s'incontravano di rado e non v'erano motivi particolari che spingessero a ricucire lo strappo. «Lyndon se ne andò di casa circa otto anni fa, dopo qual-che divergenza con suo padre» aggiunse in tono indiffe-rente. «Ma non credo che i due fossero mai andati d'accor-do, anche prima di allora. Sapete per quale motivo si trova qui?» Sì, quella sembrava una domanda del tutto naturale. «Si unirà ai passeggeri della Regina del Bengala. Ritorna a casa, ho sentito dire. Pare che suo padre stia male. Per quel che ne sappiamo, Lyndon potrebbe già essere diventa-to marchese.» Chatterton si girò a guardare oltre le sue spalle. «Vi sta fissando.» E Perdìta lo sentiva, come la gazzella sente la tigre ac-quattata nell'ombra. Si sforzò di mantenere la calma. L'a-spettavano tre mesi in un minuscolo alloggio, guancia a guancia con un uomo che, ne era certa, si divertiva ancora con pericolosi scherzetti, e questa volta non sarebbero state rane nelle tasche dei suoi grembiulini. Non aveva idea di come Alistair avrebbe reagito se solo avesse sospettato come lei si sentiva, come si era sentita. «Davvero mi guarda? Che cosa banale.» «Sta guardando anche me» aggiunse il giovane con un sorriso amaro. «E non credo sia perché gli piace il mio pan-ciotto. Sto cominciando a sentirmi pericolosamente di trop-po. La maggior parte degli uomini vi guarderebbe senza farsi notare... ma Lyndon ha l'aria di chi sorveglia una sua proprietà.» «Insolente è davvero la parola adatta a definirlo.» Lui

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non la osservava come se fosse di sua proprietà, era certo, ma poiché si era degnato di dedicarle la sua attenzione ed era stato praticamente ignorato non sarebbe stato soddisfat-to fino a quando lei non l'avesse fissato con occhi da muc-ca, proprio come avrebbero fatto tutte le altre sciocchine presenti. Perdìta si voltò appena, in modo da rivolgere il proprio profilo al visconte, poi fece scorrere un dito lungo il pan-ciotto di Daniel Chatterton. «Forse Lord Lyndon non lo ammira, ma è di certo della seta più fine. E vi sta benissi-mo.» «State per caso civettando con me, Lady Perdìta?» do-mandò il giovane con un sorrisetto. «O state cercando di ir-ritare Lyndon?» «Io?» Sgranò gli occhi. All'improvviso si divertiva. A-veva rivisto Alistair e il mondo non era crollato; forse, do-po tutto, sarebbe sopravvissuta. Decisa ad aggiungere olio alla fiamma, tirò lievemente le pieghe della cravatta di Da-niel, in un gesto di possesso. «Sì, voi! Non v'importa che lui possa sfidarmi a duel-lo?» «Oh, non ne ha motivo. Ditemi di lui, così riuscirò a evi-tarlo meglio. Non lo vedo da anni.» Sorrise e gli si avvici-nò un po' più di quanto consentisse la decenza. «Devo provare anch'io quello sguardo pensieroso. Sem-bra che funzioni con le signore» dichiarò Chatterton, get-tando un'occhiata guardinga per la sala. «Tutto quello che so di lui è che ha viaggiato in Oriente per circa sette anni. È un uomo ricco... si dice che abbia fatto fortuna con il com-mercio delle gemme e che abbia un debole per le piante e-sotiche. Ha collezionisti ovunque, che gli spediscono mer-

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ce da qualche parte in Inghilterra... Pare che il denaro non sia un problema.» «E come è stato ferito?» Perdìta fece scorrere il venta-glio lungo il braccio di Daniel percependo ancora su di sé lo sguardo di Alistair. «In un duello?» «No, nulla di simile. È stata una tigre. Una belva che ter-rorizzava un villaggio. Lyndon la inseguiva in groppa a un elefante e, quando la bestia con un balzo ha trascinato giù il conducente, è saltato a terra e l'ha affrontata con un coltel-lo.» «Che eroe» commentò Perdìta in tono leggero, ma il pensiero di quegli artigli, di quei grandi denti bianchi la fe-ce rabbrividire. Che cosa spingeva un uomo a rischiare una morte tanto orribile? Lei aveva parlato di una sciabola, e in effetti quelle fauci dovevano essere state altrettanto letali. «Che cosa ne è stato del conducente?» «Non ne ho idea. Comunque è un peccato che il bel vol-to di Lyndon sia stato rovinato.» «Rovinato? Cielo, no!» Perdìta si costrinse a ridere e agitò il ventaglio. Il suo volto? Avrebbe potuto essere ucci-so! «Presto guarirà del tutto... e poi non sapete che le cica-trici sono una delle cose che più attrae le signore?» «Lady Perdìta, mi scusate se vi privo di mio fratello?» Era Callum Chatterton, il gemello di Daniel. «Temo di do-vergli parlare di noiosissimi affari.» «Mi sottrae al pericolo prima che venga sfidato a duello» considerò Daniel, facendo roteare gli occhi. «Ma mi farà lavorare davvero, non ne dubito.» «Andate allora, Mr. Chatterton.» Perdìta ridacchiò di fronte alla sua espressione mesta. «Lavorate duro e tenetevi al sicuro.»

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Restò a guardarli per un momento ancora, senza tuttavia vedere la stanza con le colonne di marmo, bensì l'erba ina-ridita dal sole, percorsa da un fremito, mentre la morte a strisce nere e oro la calpestava; e poi l'esplosione di musco-li e di terrore; il conducente che urlava, e l'uomo che aveva rischiato la vita per salvarlo. La sua fantasia di fanciulla, che le aveva fatto paragonare gli occhi di Alistair a quelli di una tigre, non le parve più così poetica. Si voltò, impulsiva come sempre. Doveva scusarsi con lui per le parole che gli aveva rivolto, doveva fare pace. La magia di tanti anni prima e il dolore che l'aveva deva-stata non avevano significato nulla per lui allora e non a-vrebbero dovuto significare nulla per lei in quel momen-to. Alistair Lyndon aveva tormentato i suoi sogni per troppo tempo. Lui però non la stava più fissando, ora era troppo vicino a Mrs. Harrison, ascoltava qualcosa che lei gli stava sus-surrando a un orecchio e aveva lo sguardo fisso sulle grazie generosamente esposte della signora. Dunque l'impetuoso giovane per cui in passato aveva perso la testa ora era un libertino, e le attenzioni che aveva rivolto a lei e ad Averil erano per lui un fatto del tutto abi-tuale. Un libertino coraggioso, ma pur sempre un libertino, che era stato solo incuriosito dal fatto di avere rivisto, dopo tanti anni, la sua insignificante, piccola vicina. Ecco spie-gate le sue occhiate insistenti. In effetti faceva male che non sembrasse ricordare ciò che era accaduto fra loro, ma Perdìta si disse che doveva imparare a controllare il proprio orgoglio ferito, poiché sol-tanto di quello si trattava. E, a quanto pareva, lui ora aveva trovato una signora che si confaceva meglio al suo caratte-

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re. La reputazione di Mrs. Harrison lasciava pensare che sarebbe stata felice di intrattenere un gentiluomo in qua-lunque modo suggerisse il reciproco desiderio. Perdìta posò con una certa energia il bicchiere su un ta-volo, all'improvviso stanca della folla, del rumore, del cal-do e dei fantasmi del passato. Mentre si dirigeva verso la porta, il suo servitore emerse da dietro una delle colonne. «La mia portantina, Ajay» gli ordi-nò, poi rimase a osservarlo mentre correva dalla sua chaperon, Mrs. Smyth-Robinson, per avvertirla della sua partenza. Si sentiva esausta, la testa le doleva e desiderava solo di essere di nuovo nella sua casa, in Inghilterra, e di non do-ver parlare mai più a un uomo, tanto meno ad Alistair Lyndon. Tuttavia riuscì a far cenni di saluto ad amici e co-noscenti, a camminare con quell'elegante, ancheggiante an-datura, studiata per nascondere il fatto che non aveva nes-suna curva voluttuosa da esibire, e a sorridere, tenendo alta la testa. Dopo tutto, aveva il suo orgoglio. Alistair vide l'impertinente dagli occhi verdi lasciare la stanza mentre accettava l'invito di Claudia Hamilton per un ultimo bicchiere prima di andare a dormire, anche se dubi-tava che la signora fosse particolarmente interessata a una buona notte di sonno. Aveva conosciuto suo marito a Guwahati, in occasione dell'acquisto di tessuti di seta, e concordava con l'opinione di Claudia che era un uomo noioso... Era chiaro che lei a-veva bisogno di divertirsi un po'. La prospettiva di un piccolo, reciproco divertimento era interessante, ma lui era fermamente intenzionato a evitare che la cosa si trasformasse in una relazione, sia pure per i

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pochi giorni che ancora mancavano alla partenza. Non gli era mai piaciuto condividere qualcosa con altri, e la signora – a sentire le dicerie – era estremamente generosa nel con-cedere i suoi favori. «Ecco la piccola Brooke» disse Claudia, arricciando un po' il naso mentre seguiva la direzione del suo sguardo. «Tipetto impertinente. Crede che possedere una fortuna e avere un conte come padre possa far dimenticare lo scanda-lo che l'ha coinvolta e il fatto di non essere certo una bel-lezza. Torna in Inghilterra sulla Regina del Bengala. Proba-bilmente i suoi pensano che, qualunque cosa abbia fatto, ormai sia stata dimenticata.» «La sua famiglia abita vicino alla mia» replicò Alistair, ritenendo istintivamente necessario fornire una spiegazione per il suo interesse. «È cresciuta.» Non lo sorprese sapere di uno scandalo, visto che Perdìta sembrava abbastanza o-stinata e cocciuta da fare qualunque cosa. Da ragazzina era stata un temerario, impetuoso e allampanato maschiaccio, che gli stava continuamente alle calcagna e voleva arram-picarsi sugli alberi, pescare e montare i cavalli più ribelli. Ed era sempre stata molto affettuosa con lui. Aggrottò la fronte al vago ricordo di lei che gli circon-dava il collo con le braccia e lo baciava. Era successo il giorno prima che lui facesse i bagagli e si scuotesse dalle scarpe la polvere del castello dei Lyndon. Era sconvolto dal dolore e rabbioso di umiliazione, e probabilmente lei aveva cercato di confortarlo. Forse lui l'aveva trattata in modo brusco, del resto aveva bevuto qua-si tutta una bottiglia di brandy, oltre a molto vino. Purtrop-po i ricordi che aveva di quel giorno erano molto confusi e i sogni che ogni tanto ancora faceva di quella notte erano

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troppo inquietanti perché avesse voglia di affrontarli. Perdìta... No, quei sogni non raccontavano del bacio af-fettuoso di un maschiaccio, ma di un corpo snello e nudo e di una fiera passione. Diavolo, si sentiva ancora in colpa per il fatto che i suoi incubi fradici di alcol avessero potuto creare immagini tanto indecenti di un'innocente fanciulli-na. Gettò ancora un'occhiata verso la porta, ma la seta verde era scomparsa. Perdìta Brooke non era più una bambina, ed era diventata un tipetto pericoloso per qualunque uomo suo padre avesse scelto per lei. «Voi credete che non sia una bellezza?» Era divertente notare il veleno nello sguardo di Claudia. Comunque lui non aveva alcuna intenzione di chiederle dello scandalo. Se i salotti inglesi erano ancora tradizionalisti come ricordava, molto probabilmente doveva trattarsi di qualcosa di terribi-le come un bacio rubato a un uomo su qualche elegante ter-razza, durante un ballo. Roba insignificante. «Non ha curve, è troppo alta, la sua faccia è irregolare, il suo naso è troppo lungo, la carnagione pallida. A parte que-sto... direi che è passabile.» «Un catalogo di disastri, povera ragazza» replicò Ali-stair, tracciando pigramente, con la punta di un dito, piccoli cerchi sul palmo della donna, la quale emise un suono che somigliava alle fusa di una gatta e gli si fece più vicina. Claudia aveva ragione, naturalmente; si potevano dire tutte quelle cose di Lady Perdìta. D'altronde la piccola Brooke era stata insignificante e goffa come un uccellino in un nido. Eppure, per qualche misteriosa alchimia, era riu-scita a superare tutti quei difetti e a diventare una creatura stuzzicante e femminile.

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Lui supponeva che fosse frutto di una squisita educazio-ne, di un'impeccabile padronanza di sé. E di... una lingua da vipera. Sì, sarebbe stato divertente mettere alla prova la propria abilità d'incantatore di serpenti durante il lungo vi-aggio verso casa.

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CARRIE LOFTY

SALISBURGO, 1805 - Prima di sposare un uomo più vecchio di lei, Greta vuole concedersi una notte di passione da serbare nella memoria in futuro. A giudicare dal bacio ardente che si sono scambiati e dall'atmosfera carica di sensualità che ha in-fiammato i loro sensi, Oliver Doerger sembra il candidato i-deale. Lui, però, non ha il coraggio di sedurre una fanciulla innocente e così si impone di porre fine a quell'interludio a-moroso. Ma non toccare più quella pelle di velluto e quelle labbra che sembrano boccioli di rosa si rivela una promessa impossibile da mantenere.

Le tentazioni di Greta

Pelle di seta LOUISE ALLEN

INDIA - INGHILTERRA, 1808 - Dopo aver trascorso un pe-riodo in India, in attesa che le voci sulla sua condotta scanda-losa si placassero, Lady Perdìta Brooke sta per tornare in In-ghilterra. A pochi giorni dall'imbarco incontra Alistair Lyndon, l'uomo che le ha rubato l'innocenza, e scopre che lui viaggerà sulla sua stessa nave e che non rammenta nulla di quella notte di passione. Ciò che la mente ha cancellato, tutta-via, il corpo ricorda bene, perché al primo sguardo la scintilla si riaccende, al primo sfiorarsi della pelle un fuoco si diffonde nelle loro vene, al primo bacio tutto sembra perduto...

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ANNE LETHBRIDGE

INGHILTERRA, 1816-1819 - Dopo un terribile scandalo, Lord Robert Mountford si è ritirato nella tenuta di Wynchwo-od, dove finge di essere il guardiacaccia. Poi incontra per caso Frederica Bracewell, e quella giovane così diversa dalle raffi-nate fanciulle del ton sembra avere su di lui l'effetto di un sor-tilegio. Passano i giorni ma i pensieri erotici continuano a tur-barlo e così, quando si rivedono e lei gli propone di fare da modello per un disegno, mille idee peccaminose gli invadono subito la mente...

L'angelo del peccato

Innocenza perduta LOUISE ALLEN

INGHILTERRA, 1809 - Appena scampata a un naufragio, Averil Heydon si ritrova in una situazione a dir poco com-promettente. Oltre a essere bloccata su un'isola sperduta con un gruppo di uomini, è il loro tenebroso capitano a prendersi personalmente cura di lei. E il bizzarro rapporto fatto di desi-derio e senso del dovere che si instaura tra loro li trascina in una rovente spirale di passione. Ma Averil sa di dover resiste-re alle erotiche sensazioni che Luke le scatena dentro. Anche se accettare una vita senza passione le appare sempre più co-me una condanna insopportabile...

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