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L'Angelo Mediatore tra Dio e l'uomo in Giobbe cap. 33 by

Fr. Alviero Niccacci Ofm Greccio 1 Luglio 2017

22 Si è avvicinata infatti alla fossa la sua anima / e la sua vita ai distruttori,23se ci sarà su di lui un Angelo, / un Mediatore solo tra mille,per annunciare all’uomo la rettitudine di Lui (di Dio)24– egli (l’Angelo) infatti ha avuto pietà di lui (dell’uomo) e ha detto (a Dio):“Redimilo dallo scendere nella fossa, / ho trovato il riscatto” –,25allora è diventata florida di giovinezza la sua carne, / egli ritornerà ai giorni della sua fanciullezza.26Se (un Angelo) intercederà presso il Signore ed Egli gli è stato propizio,/ gli ha mostrato il suo volto con esultanza / e ha ridonato al mortale la sua giustizia27– allora egli canterà davanti agli uomini – infatti ha detto:“Ho peccato e la rettitudine ho distorto, / ma (Dio) non mi ha reso il contraccambio.28Ha liberato la mia anima dal passare nella fossa / e la mia vita la luce godrà”.29Ecco tutto questo farà Dio / due, tre volte con il mortale,30per far tornare la sua anima dalla fossa, / perché sia illuminato con la luce della vita (33,22-30).



Il libro di Giobbe ha una parte iniziale su Giobbe provato da Dio (1,1-2,13), segue il lamento di Giobbe (c. 3), poi una serie di dialoghi con tre amici che vanno a consolarlo ma si comportano male contro di lui, lo accusano del male che Dio gli ha mandato e Giobbe risponde a ciascuno tre volte (cc. 4-28), poi lancia una dichiarazione di innocenza e una sfida a Dio (cc. 29-31).



A questo punto avviene un cambiamento inimmaginabile: interviene un giovane mai nominato prima, di nome Elihu – che va incontro a Giobbe demoralizzato: fa una introduzione, dice che in silenzio ha ascoltato il lamento di Giobbe e i discorsi dei tre amici contro di lui (c. 32), pronuncia tre discorsi (cc. 33-35 + 36-37), poi interviene il Signore stesso che fa due discorsi rivolti a Giobbe (cc. 38-39 + 40,6-41,26) e Giobbe risponde ad ogni discorso brevemente e alla fine si prostra davanti a Dio riconoscendolo come suo Creatore e Signore (40,3-5 + 42,1-6) e per questo Giobbe viene completamente, anzi doppiamente restaurato (42,7-17).



Nel suo primo discorso (c. 33) Elihu delinea, mediante la figura di un uomo prostrato da Dio, la condizione della creatura nelle mani del Creatore. È da notare che Elihu parla di “uomo” in generale – con i termini ’iš o ’ādām – e non dice che l’uomo sia peccatore. Dice però espressamente che lo scopo dell’intervento divino è correttivo:15Nel sogno, (nella) visione notturna, quando cadrà il torpore sugli uomini, nelle sonnolenze sul giaciglio, 16allora (Dio) aprirà l’orecchio degli uominie sulla loro correzione metterà il sigillo, 17per allontanare l’essere umano (dal suo) operato (cattivo) e l’orgoglio al mortale svelare, 18per trattenere la sua anima dalla fossa e la sua vita dal passare via per la spada (33,15-18).



Come si legge in questi versetti, Dio comunica con gli uomini attraverso i sogni, con questo mezzo Egli interviene nel loro mondo interiore e vi esercita il suo influsso: i sogni diventano così un segno della dipendenza dell’uomo da Dio. Il testo delinea la situazione disperata dell’uomo, che passa dal terrore notturno, all’inappetenza e fino alla malattia mortale. E questo non significa una punizione di Dio sull’uomo fragile, ma una correzione che Dio Creatore invia alla sua creatura per salvarlo dal male, dall’orgoglio di voler essere lui Dio, cosa che lo porterebbe alla fossa della morte eterna.



La situazione però viene rovesciata grazie all’intervento di un Mediatore celeste, un Angelo che si interpone tra Dio e l’uomo, spiega all’uomo la rettitudine di Dio e a Dio chiede la liberazione dell’uomo. Dice Elihu dell’uomo percosso da Dio:

22 Si è avvicinata infatti alla fossa la sua anima / e la sua vita ai distruttori,23se ci sarà su di lui un Angelo, / un Mediatore solo tra mille,per annunciare all’uomo la rettitudine di Lui (di Dio)24– egli (l’Angelo) infatti ha avuto pietà di lui (dell’uomo) e ha detto (a Dio):“Redimilo dallo scendere nella fossa, / ho trovato il riscatto” –,25allora è diventata florida di giovinezza la sua carne, / egli ritornerà ai giorni della sua fanciullezza.26Se (un Angelo) intercederà presso il Signore ed Egli gli è stato propizio,/ gli ha mostrato il suo volto con esultanza / e ha ridonato al mortale la sua giustizia27– allora egli canterà davanti agli uomini – infatti ha detto:“Ho peccato e la rettitudine ho distorto, / ma (Dio) non mi ha reso il contraccambio.28Ha liberato la mia anima dal passare nella fossa / e la mia vita la luce godrà”.29Ecco tutto questo farà Dio / due, tre volte con il mortale,30per far tornare la sua anima dalla fossa, / perché sia illuminato con la luce della vita (33,22-30).



L’Angelo riceve dunque il compito di spiegare all’uomo la “rettitudine” di Dio (v. 23): Dio è “retto” nel senso che ha stabilito un “ordine” mirabile nella creazione (cf. Sal 33,3-4) e lo mantiene attraverso il suo governo sugli uomini, salvando i giusti e punendo i malvagi (Sal 92,13-16); è fedele al suo patto (Sal 111,7-9) e insegna ai peccatori la via da seguire (Sal 25,8).

La “rettitudine” divina equivale dunque alla fedeltà nel mantenere l’ordine cosmico e il patto di alleanza.



L’angelo così spiega al sofferente che Dio è “retto” anche quando lo castiga, cioè che non rompe l’“ordine” da lui stesso creato, poiché mette alla prova l’uomo solo per correggerlo.



“Redimilo… ho trovato il riscatto!” (v. 24), chiede a Dio l’Angelo intercessore, ma il testo non dice che l’uomo si sia convertito. L’uomoè del tutto passivo, muto; parla solo dopo la guarigione (vv. 27-28). Ecco il carattere straordinario di questo passo: è un puro annuncio di grazia. Per intercessione di un Angelo, che può essere un’ispirazione o anche una persona buona incontrata nella vita, l’uomo riceve la guarigione (v. 25) prima ancora che si converta; dopo la guarigione egli comprende il senso di quello che gli è successo, riconosce la grazia ricevuta e diventa capace di proclamare pubblicamente la grazia ricevuta: “Ho peccato… ma (Dio) non mi ha reso il contraccambio” (v. 27), anzi “ha liberato la mia anima dal passare nella fossa (della morte)” (v. 28).



È importante notare che l’Angelo si china sull’uomo per spiegargli l’azione divina su di lui e poi, senza attendere la sua risposta, si rivolge a Dio. Effettivamente l’uomo è passivo, muto durante tutto il processo, ed è necessario un Mediatore proprio perché l’uomo da sé è totalmente inconsapevole di ciò che gli accade. Qui si rivela il carattere del tutto particolare del nostro brano: non ha nulla a che vedere con le dispute acrimoniose dei cosiddetti tre “amici” di Giobbe che vogliono difendere Dio ad ogni costo ma è un puro annuncio di grazia; la redenzione dalla morte fisica non è conseguenza della conversione ma la produce; e per intervento dell’Angelo mediatore celeste Dio restaura l’uomo fisicamente e lo riabilita a confessare pubblicamente il beneficio ricevuto.



In Elihu c’è un «vino che squarcia gli otri nuovi. <<Parlerò e mi sfogherò, aprirò le labbra e risponderò» (Gb 32,19-20)



È stato proprio il giovane Elihu che ha iniziato a “convertire” Giobbe, ad avviare la sua maturazione nella fede per l’intermediario dell’Angelo celeste, a distoglierlo dalla concentrazione su se stesso per il problema della retribuzione e a indirizzarlo verso la contemplazione del creato. Egli ha anche mostrato che la storia personale e il creato sono ambedue opere dell’unico Dio e l’uomo è chiamato a “cantare” in pubblico, a beneficio di tutti, le meraviglie che Dio opera nella vita personale. Questo non è un voler mostrarsi, farsi belli di fronte agli altri; al contrario, è riconoscere personalmente e far conoscere agli altri la bontà del Signore nonostante le proprie povertà.



Proprio questa lode pubblica,espressione eminente di conversione e di ringraziamento nel libro dei Salmi (cf. Sal 49,8; 78,38; 79,9), sembra essere il “riscatto” trovato dall’Angelo Mediatore.Si delinea così il magnifico cammino di Giobbe: dall’incontro personale con Dio nei cc. 40-42 Giobbe riceve ciò che né la dottrina tradizionale degli amici né la sana teologia di Elihu erano capaci di dargli.Non impara nulla di nuovo, ma ritrova la preghiera e la lode che aveva perduto nel corso delle dispute a causa dell’amarezza crescente della polemica con i tre amici, e alla fine riesce a convivere con la sofferenza propria e altrui.



Certo, ci viene raccontato che egli alla fine viene completamente, anzi doppiamente riabilitato. Ma possiamo dire che questo non ha più, come prima, un’importanza decisiva per lui. Egli è divenuto oramai uno che teme Dio senza guardare alla ricompensa (1,9). Nella contemplazione della sapienza e potenza del Creatore ha imparato a considerare le vicende della vita, il mondo e tutte le cose nel disegno di Dio e quindi ad accettarle come segno e messaggio che attende di essere decifrato e che invita alla lode. Giobbe proclama a Dio:5Con audizione di orecchio ti avevo udito / ma ora il mio occhio ti ha visto! 6Perciò mi umilierò e mi pentirò / su polvere e cenere (42,5-6).



Grazie per l’attenzione!

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