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sabato 21 maggio 2016 | pagina 99 we ARTI | 33 se a raccontare le opere sono i loro abitanti LUCIA TOZZI n «I gatti sono maestri in ciò che Ivan Illich chiamava “l’arte di abitare”: i gatti si situano, sono capaci di prendere posizione, sanno sem- pre come e dove mettersi, si godono la vita in- staurando una intensa relazione corporea con i luoghi e con gli aspetti ambientali, climatici, termici, visivi, materici, dimensionali che li costituiscono. Con il loro comportamento e i loro corpi rispondono ogni minuto alle do- mande alle quali anche gli architetti dovrebbe- ro rispondere: dove mettersi, come disporsi?». In uno dei saggi del suo nuovissimo libro Per un’architettura terrestre (Lettera Ventidue, pp. 96, euro 12) Giacomo Borella spiega con grande chiarezza perché tutti noi, e in special modo gli architetti, capiremmo molto meglio le potenzialità di uno spazio se passassimo più tempo a osservare come i gatti si muovono al suo interno. I gatti sono irriducibili all’inge- gneria sociale, e indifferenti ai canoni dell’eco- nomia dello spazio come ai problemi di com- posizione. Non è un caso che i film cult di Ila Bêka e Lo- uise Lemoine, che hanno rivoluzionato il modo di guardare all’architettura costruita, siano spesso attraversati da gatti. Per la verità, anche da molte altre bestie: nel recente Infinite Hap- piness, il film sulla 8-House progettata da Bjarke Ingels a Ørestad, un quartiere di Cope- nhagen ancora confinante con il nulla, appaio- no anche cani, mucche, pecore, uccellini, che a vario titolo intrattengono una relazione spa- ziale con il grande complesso di residenze di lusso – o quasi. E poi una serie di comparse ap- partenenti al genere umano, ma altrettanto esotiche in un racconto di architettura: il posti- no, delle bambine travestite per Halloween, un cieco, un ex-poliziotto infartuato, un serbo tra- piantato, un inventore, un’insegnante di yoga, un maestro d’asilo, un musicista, un monoci- clista, una manager dall’aria mite sempre in viaggio. Abitanti. Persone che vivono nell’edi- ficio e lo modificano con la propria presenza. Che lo attraversano. Ad aprile il MoMA ha acquisito l’intero cor- pus dei film Living Architecture, realizzati dal- la coppia italo-francese, che nel frattempo stanno girando nelle sale cinematografiche ca- nadesi, nei festival e nelle istituzioni legati al design e architettura di mezzo mondo. A Ro- ma, dopo una visione all’Istituto francese, è in programma la proiezione di Barbicania alla British School at Rome mercoledì 8 giugno alle 18, alla presenza degli autori. Una diffusione incredibile se si pensa che i documentari di Bêka e Lemoine sono progetti esclusivamente autoprodotti o coprodotti, con grande economia di mezzi e quasi sempre escludendo gli architetti, con i loro sponsor, dall’ideazione e creazione del film. Attualmen- te, raccontano, stanno preparando un film sul punto più caotico e infernale di Roma, Piazza Venezia, e uno a Città del Messico. Architettura | Da Place de la République al Guggenheim di Bilbao, i film di Ila Bêka e Louise Lemoine hanno rivoluzionato il modo di leggere gli spazi. E ora il MoMA ha acquisito tutta la produzione u segue alle pagine 34-35 La locandina di Gehry’s Vertigo, uno dei film prodotti dai bekapartners, 2013 ILA BÊKA E LOUISE LEMOINE

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sabato 21 maggio 2016 | pagina 99we ARTI | 33

se a raccontare le operesono i loro abitanti

LUCIA TOZZI

n «I gatti sono maestri in ciò che Ivan Illichchiamava “l’arte di abitare”: i gatti si situano,sono capaci di prendere posizione, sanno sem-pre come e dove mettersi, si godono la vita in-staurando una intensa relazione corporea coni luoghi e con gli aspetti ambientali, climatici,termici, visivi, materici, dimensionali che licostituiscono. Con il loro comportamento e iloro corpi rispondono ogni minuto alle do-mande alle quali anche gli architetti dovrebbe-ro rispondere: dove mettersi, come disporsi?».In uno dei saggi del suo nuovissimo libro Perun’architettura terrestre (Lettera Ventidue,pp. 96, euro 12) Giacomo Borella spiega con

grande chiarezza perché tutti noi, e in specialmodo gli architetti, capiremmo molto megliole potenzialità di uno spazio se passassimo piùtempo a osservare come i gatti si muovono alsuo interno. I gatti sono irriducibili all’i n g e-gneria sociale, e indifferenti ai canoni dell’e c o-nomia dello spazio come ai problemi di com-posizione.

Non è un caso che i film cult di Ila Bêka e Lo-uise Lemoine, che hanno rivoluzionato il mododi guardare all’architettura costruita, sianospesso attraversati da gatti. Per la verità, ancheda molte altre bestie: nel recente Infinite Hap-piness, il film sulla 8-House progettata daBjarke Ingels a Ørestad, un quartiere di Cope-nhagen ancora confinante con il nulla, appaio-no anche cani, mucche, pecore, uccellini, che a

vario titolo intrattengono una relazione spa-ziale con il grande complesso di residenze dilusso – o quasi. E poi una serie di comparse ap-partenenti al genere umano, ma altrettantoesotiche in un racconto di architettura: il posti-no, delle bambine travestite per Halloween, uncieco, un ex-poliziotto infartuato, un serbo tra-piantato, un inventore, un’insegnante di yoga,un maestro d’asilo, un musicista, un monoci-clista, una manager dall’aria mite sempre inviaggio. Abitanti. Persone che vivono nell’edi-ficio e lo modificano con la propria presenza.Che lo attraversano.

Ad aprile il MoMA ha acquisito l’intero cor-pus dei film Living Architecture, realizzati dal-la coppia italo-francese, che nel frattempostanno girando nelle sale cinematografiche ca-

nadesi, nei festival e nelle istituzioni legati aldesign e architettura di mezzo mondo. A Ro-ma, dopo una visione all’Istituto francese, è inprogramma la proiezione di Barbicania allaBritish School at Rome mercoledì 8 giugno alle18, alla presenza degli autori.

Una diffusione incredibile se si pensa che idocumentari di Bêka e Lemoine sono progettiesclusivamente autoprodotti o coprodotti, congrande economia di mezzi e quasi sempreescludendo gli architetti, con i loro sponsor,dall’ideazione e creazione del film. Attualmen-te, raccontano, stanno preparando un film sulpunto più caotico e infernale di Roma, PiazzaVenezia, e uno a Città del Messico.

Architettura | Da Place de la République al Guggenheim di Bilbao,

i film di Ila Bêka e Louise Lemoine hanno rivoluzionato il modo

di leggere gli spazi. E ora il MoMA ha acquisito tutta la produzione

u segue alle pagine 34-35

La locandina di Gehry’s Vertigo, uno dei film prodotti dai bekapartners, 2013 ILA BÊKA E LOUISE LEMOINE

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n E così spiegano la loro impostazione: «Cipiace la scala gigante, procediamo dal picco-lo al grande. L’atmosfera di un luogo enor-me viene raccontata per frammenti, attra-verso la selezione di casi diversissimi ma chealla fine hanno qualcosa in comune. Quandoti trovi davanti a questi luoghi di transito ob-bligato non parli della piazza, ma del legamegenerato da questo passaggio. Per esempio,sul fiume di Bordeaux le persone hanno vitemolto differenti, vanno al fiume per ragionidiverse, ma riconoscono la tranquillità, lapiacevolezza del posto. Intervistandole al difuori di quel luogo non avrebbero più nientein comune».

L’idea di uno sguardo del tutto inattesosugli spazi fa del resto parte del loro lavorofin dall’inizio: «Quando ci siamo conosciuti,abbiamo pensato di creare qualcosa che

mancava completamente nel mondo dell’a r-chitettura, un racconto che facesse conver-gere tanti punti di vista soggettivi, che faces-se prevalere la percezione sull’oggetto, cheincludesse la possibilità dell’ironia».

E in effetti Infinite Happiness, B a r b i c a-nia, 25bis, o Xmas Meier sono collage, sin-fonie di sguardi e micronarrazioni che mon-tate insieme fanno capire non tanto com’èfatto l’edificio, come è stato concepito, maquali possibilità genera, quali tipologie di vi-ta offre, o nega, e quali invece nascono o ven-gono sviluppate in modo indipendente dal-l’idea originaria, o addirittura in aperta con-trapposizione ad essa.

«Serviva una nuova forma di ricerca, oltrela news dell’ultimo edificio con due foto.Serviva un nuovo tipo di racconto, con i tem-pi dell’inchiesta, dell’osservazione di comel’architettura sia vissuta. Ci piaceva anchel’idea di tornare all’interno di quelle archi-tetture che non sono più al centro dell’a t-tenzione mediatica, di cui non si parla più.La comunicazione architettonica è forte-mente vincolata al momento della news,che coincide con la fine del cantiere, o al li-mite con lo sviluppo del cantiere: tuttoquello che viene dopo l’inaugurazione èpresto dimenticato, i riflettori si spengono.L’architettura abitata sparisce, viene can-

cellata. Il paradosso è che il vero scopo delprogetto, quello di offrire una certa qualitàdi vita in un dato spazio, viene annullato daquesta modalità di comunicazione che trat-ta l’architettura da un punto di vista pura-mente estetico, come se fosse moda o arte.Ma l’architettura non è un vestito, ha unrapporto molto profondo con le persone».

Naturalmente il discorso in sé non ènuovo: da un classico come Jane Jacobs alKoolhaas di Post-Occupancy, dagli scrittie le pratiche di Giancarlo De Carlo a un la-

voro come quello sul Corviale degli Stal-ker, dalla moda dei reportage architetto-nici stilati da scrittori a un film come S a-cro Gra di Rosi, non si può dire che nessu-no l’abbia mai esplorato, sia pure con in-tenzioni ed esiti diversissimi. Il problemaè che non ha mai sfondato la soglia dellamarginalità, non ha mai perso l’aria diutopia, non è mai diventato scuola.

Nel mondo accademico si è forse passatidall’eccesso di teoria all’overdose di comuni-cazione, ma una lettura viva dell’a r c h i t e t t u-

PUNTI DI VISTAQui sopra, Guadalupe Acedo,governante della casa progettatada Rem Koolhaas a Bordeaux.Nella pagina a fianco, un addettoalla manutenzione. Per ibekapartners entrambi sonosoggetti privilegiati che vedonocase e palazzi non solo comeprogetti architettonici, ma anchecome luoghi della quotidianità

La domestica Guadalupe fa da guidaa una villa privata vicino a Bordeaux.Ma nonostante la sua passione, moltivi hanno visto una critica feroceal progettista Rem Koolhaas

GALLERIAl l

B O R D E AUX

Koolhaas Houselife (2008)Il primo film prodotto insieme da Ila Bêka e Louise Lemoi-ne, girato nella Maison à Bordeaux costruita da Rem Koo-lhaas nel 1998. La potenza iconica di Guadalupe, la dome-stica, che circondata da aspirapolvere, ramazze e detersiviascende lentamente verso il piano alto della villa sollevatada una piattaforma meccanica è valsa agli autori la chiama-ta alla Biennale di Venezia del 2008 e un successo planeta-rio. Finestra dopo finestra, Guadalupe illustra la comples-sa manutenzione di un’architettura sacra, umanizzandola.

B I L B AO

Gehry’s Vertigo (2013)Il Guggenheim di Bilbao ha cambiato la storia della mu-seologia, dell’architettura e anche dell’urbanistica, hatrasformato a torto o a ragione l’immaginario comune di-ventando il miraggio della rinascita postindustriale, del-la riconversione urbana. E in questo film le gallerie d’artenon compaiono neanche per sbaglio, oscurate dal lavorofrenetico delle squadre di pulitori che si avvicendano neicorridoi e sui tetti. Pare che Gehry sia inorridito nel vede-re le scarpe degli operatori posare sul titanio.

SA R D EG N A

La Maddalena (2014)Chi non si ricorda il colpo di scena di Berlusconi, quandospostò il G8 dalla Maddalena a L’Aquila, insieme a Ber-tolaso? Si è trattato sicuramente di uno dei più grandi fal-limenti della storia dell’architettura italiana: con gli edi-fici praticamente finiti e abbandonati al vento e agli ele-menti, senza un futuro. Per la prima volta in un film be-kapartners l’architetto (Stefano Boeri) racconta in primapersona, accompagnando lo sguardo dello spettatore trale rovine

ROMA

Xmas Meier (2013)La chiesa del Giubileo nel quartiere romano di TorTre Teste doveva essere così bianca che Italcementiinventò addirittura una formula speciale per RichardMeier, il bianco eterno che si ripuliva da solo. Per gi-rare il loro documentario, Beka e Lemoine sono anda-ti nella stagione natalizia a interrogare gli abitantidella zona sulla chiesa e sui cambiamenti e sul prete:molto diversi, e non propriamente allineati, i com-menti.

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ILA BÊKA E LOUISE LEMOINE

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ra non ha mai realmente preso piede, né tan-tomeno ha potuto trasformare le praticheprogettuali, il modo di pensare al progetto.E anche se comincia a diffondersi e a esserericonosciuta l’idea della progettazione par-tecipata, spesso questa incorre nello stessomadornale errore di quella tradizionale: unavolta operata la mediazione, una volta rea-lizzato l’edificio o lo spazio, nessuno ne se-gue più l’evoluzione, e la relazione tra gliabitanti e il contenitore torna a essere un fe-nomeno di scarso o nessun rilievo.

«Abbiamo avuto moltissime critiche dalmondo accademico, soprattutto in Francia.Siamo passati dall’America per tornare inEuropa: dalla Graduate School of Design diHarvard, dal CCA di Montreal, dallo Store-front di New York. Ma qui in certi ambientile nostre indagini sono ancora tabù, consi-derate triviali, quasi blasfeme, perché mo-strano anche i limiti, i difetti dell’a r c h i t e t t u-ra. O, peggio, la pulizia, i sistemi di manu-tenzione».

Il primo film che i Bêka Partners hannogirato insieme nel 2007-8, Koolhaas House-life, descriveva il funzionamento di una casaprivata vicina a Bordeaux, un gioiellino ditre piani, seguendo le attività quotidiane e iracconti della domestica Guadalupe, ormaiicona assoluta dell’architettura, e di un altropaio di addetti alla manutenzione del giar-dino. Nonostante l’evidenza di un amore ap-passionato per quella casa da parte di Gua-dalupe, molti l’hanno letto come una criticaferoce a Rem Koolhaas e al suo progetto,perché si vedono le infiltrazioni di umidità ole disfunzioni, gli errori. Hanno scambiatoun elogio della cura per un’aggressione.

L’enorme successo di quel film ha comun-que consentito a Louise e Ila di ampliare eapprofondire il modello, mettendo in pro-duzione un film sul Guggenheim di Bilbaointeramente fondato sull’avvicendamentodelle squadre di pulizia addette ai vari setto-ri del museo di Gehry, compresi quelli checon le imbragature da alpinisti si occupava-no del prezioso involucro esterno in titanio.

E poi, allargando il campo, sono passati a

edifici residenziali di grandi dimensioni, co-me il Barbican di Londra, uno dei più amatiesempi di brutalismo al mondo, o l’8 Housedi Copenhagen, vere e proprie città nelle cit-tà. Oppure a spazi pubblici dalla forte iden-tità, come Place de la République a Parigi oun lungo tratto di fiume vicino Bordeaux,per cercare di cogliere i condizionamentiprofondi che i luoghi producono su chi liabita o li utilizza.

Uno dei grandi riferimenti culturali di Lo-uise Lemoine è la ricerca condotta negli anni

Settanta da Philippe Boudon sulla CitéFrugès progettata da Le Corbusier a Pes-sac, alla periferia di Bordeaux (1926): unostudio sociologico sulle profonde trasfor-mazioni impresse nei decenni dagli abitan-ti a un’architettura che non appartenevaloro culturalmente, che nonostante l’a l t i s-sima qualità aveva fallito il suo scopo. Lacosa interessante è che in quel caso, comeanche nel caso del londinese Barbican, iprocessi di vernacolarizzazione, di mani-polazione dell’architettura sono stati bloc-

cati da un interesse sempre più forte daparte degli architetti e dai cultori del vin-tage, che in molti casi hanno ripristinatofilologicamente, fino all’ultimo dettaglio,lo stato originario dei luoghi.

Ma per capire a fondo il fenomeno Bê-ka-Lemoine non basta studiare il ritmo ele immagini dei loro film, non è sufficientestabilire ascendenze e discendenze, biso-gna tenere conto del loro percorso di auto-nomia radicale e di controllo assoluto sul

processo produttivo non soltanto dei film,ma anche dei sette libri che hanno scritto edella loro distribuzione.

«Il paradosso è che se avessimo un distri-butore venderemmo meno di quanto ven-diamo da soli, perché la sua logica, oltre atrattenere il 70 % dei ricavi, è di accantonareil libro se non fa numeri grandissimi. Inveceseguirlo in tutte le fasi ci consente di vende-re molto. Il primo libro, uscito nel 2008, an-cora oggi viene ordinato. Ha una vita moltosuperiore alla vita media di un libro. Ven-diamo anche con Amazon, ma soprattuttodal nostro sito, con una convenzione paypal:per mesi ci alzavamo la mattina e facevamo ipacchi per due ore. Ora lo fa qualcun altro».

Anche se è improbabile che questi bellis-simi film abbiano il potere di influire sullacultura della progettazione, forse la loro cir-colazione potrebbe produrre una crepa si-gnificativa nel continuum retorico che af-fligge il mondo dell’architettura. Sarebbe unrisultato enorme.

LUCIA TOZZI

Oltre ai documentari, la coppiaitalo-francese ha anche scrittoe pubblicato sette libri, seguendola stessa logica di autonomia radicalee di controllo assoluto sul prodotto

l l

CO P E N H AG E N

The Infinite Happiness (2015)L’indagine sul celeberrimo edificio a 8 realizzato nel2010 da Bjarke Ingels nei sobborghi della capitale da-nese è particolarmente densa di personaggi incredibi-li: si va dall’ex-poliziotto che riprende i turisti invasoricon la webcam, a quello che alleva con amore muccheda mangiare il giorno dopo. E ancora, secondo il mo-dello di Beka e Lemoine, gatti, bambini invasati, mo-tociclisti, uomini-pizza perduti nei meandri infiniti,scienziati pazzi.

il mondo, negli occhi di chi guarda

n Tra i recenti strumenti impiegati dalmarketing c’è il cosiddetto eye tracking,ovvero un sofisticato sistema di traccia-tura dei movimenti oculari da cui emer-ge in quali punti lo sguardo si ferma, suquali torna, su quali insiste di più quan-do guardiamo le immagini.

Il mercato però – con le sue esigenzenoiosamente predittive – cerca in questitest soprattutto gli elementi costanti, cioèquello che funziona in modo identico intuttigli esseriumani. Ilmarketing è forseuna delle ultime branchein cui c’è ancorachi crede che l’uomo sia o debba essereuna cosa e una soltanto. Eppure questistudi erano nati con altri intendimenti.

Le prime ricerche sul movimento ocu-lare degnedi nota furono condottenel se-condo dopoguerra dal russo Alfred Yar-bus – studioso russo oggi pressoché sco-nosciuto fuori degli ambiti psicologici, –

che usò lenti a contatto riflettenti (e paredolorosissime) che permettevano di regi-strare lo spostamento degli occhi lascian-do una traccia su una superficie sensibile.Perfarequesto mostravaaglispettatorideidipinti e chiedeva: qualisono le condizionimateriali della famiglia? Che età hanno iprotagonisti? Cosa stava facendo la fami-glia prima dell’arrivo delpersonaggiosulladestra? Dimostrò così che i percorsi esplo-rativi cambiano a seconda della cultura

dell’osservatore ea seconda delcompito ri-chiesto. Venne fuori che si guarda la scenain modo diverso a seconda dell’età, dellecompetenze, della cultura, della classe so-ciale e anche dello stato emotivo. E quindi adispetto di quello che vorrebbe il marke-ting non guardiamo tutti allo stesso modo.

È nel punto di vista la nostra qualitàpiù umana. Una consapevolezza da nonscordare mai, anche quando si disegna lapubblicità di uno shampoo.

RICCARDO FALCINELLI

LO N D RA

Barbicania (2014)La passione per il brutalismo è esplosa a un certo pun-to e non ci ha lasciato più. Dopo essere stato a lungoattaccato “brutalmente”, il Barbican, il complesso re-sidenziale progettato negli anni Ottanta da Chamber-lin, Powell e Bon, è stato preso d’assalto da architetti eartisti innamorati (di lui) e fieramente intenzionati aripristinare la disposizione, gli arredi, le finiture ori-ginali. E nei sotterranei esiste perfino uno spaccio cheglieli procura

PA R I G I

24 heures sur place (2014)Place de la République è ormai da decenni un croceviapazzesco, una infrastruttura di passaggio dove si in-crociano i flussi di tutto il nordest parigino. Il docu-mentario è un carotaggio spaziotemporale, sono ven-tiquattr’ore passate a intercettare questi flussi per ca-pire cosa unisce le persone che l’attraversano, in checosa consiste l’identità di un luogo così simbolico, pri-ma del delirio dello scorso autunno e della N u i t D e-bout.

MILANO

Spiriti (2015)Questo corto rappresenta l’unico lavoro interamente sucommissione di bekapartners, perché la Fondazione Pra-da non co-produce. Il titolo allude alla distilleria che hapreceduto la sede della Fondazione, con il museo e il bardi Wes Anderson. I protagonisti sono gli operai mentrecompletano le ultime fasi della costruzione, ma quelloche l’obiettivo tenta di cogliere sono le atmosfere intan-gibili proprie di questo stato di transizione, prima cheevaporino.

ILA BÊKA E LOUISE LEMOINE