La visibilità mediatica dei gruppi di interesse in Italia ... · La visibilità mediatica dei...
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XXVI Convegno SISP – Società Italiana di Scienza Politica
Università Roma Tre – Facoltà di Scienze Politiche
Dipartimento di Studi Internazionali e Dipartimento di Istituzioni pubbliche, Economia e Società
13-15 settembre 2012
Sezione: DEMOCRAZIE E DEMOCRATIZZAZIONI
Section Chairs: Marco Almagisti e Giovanni Carbone
Panel: Gli interessi nelle democrazie contemporanee
Panel Chairs: Liborio Mattina e Renata Lizzi
La visibilità mediatica dei gruppi di interesse in Italia nel periodo 1992-2011:
ipotesi di partenza e analisi dei dati
di Renata Lizzi e Andrea Pritoni
1. Introduzione
Dopo un lungo lasso di tempo in cui lo studio dei gruppi di interesse, tanto nella letteratura
internazionale quanto in quella italiana, è rimasto in secondo piano rispetto ad altri e più frequentati
ambiti di ricerca, negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studiosi che hanno ripreso a confrontarsi
con questo affascinante oggetto d’indagine. In aggiunta ai diversi contributi che hanno
(ri)cominciato ad apparire sulle più importanti riviste scientifiche, ne sono dimostrazione i recenti
numeri monografici di ‘West European Politics’ (n. 6/2008), della ‘Rivista Italiana di Politiche
Pubbliche’ (n. 2/2011) e di ‘Party Politics’ (n. 1/2012), nonché la creazione di una rivista
interamente dedicata a tale branca della disciplina (‘Interest Groups & Advocacy’)1.
Questo rinnovato interesse per i gruppi ha però riguardato alcuni temi molto più di altri: nel
dettaglio, si sono moltiplicati gli studi sul lobbying, sia in relazione alle sue modalità (Binderkrantz
1 Le ragioni di tale dinamica sono sia teoriche, e cioè legate ad una a lungo persistente confusione concettuale (Beyers
et al. 2008), sia metodologiche, e quindi connesse alla differenziazione tra studi europei e studi statunitensi (Mahoney e Baumgartner 2008), sia empiriche, e dunque facenti riferimento alla penuria di data-set internazionali sui gruppi di interesse (Berkhout e Lowery 2008).
2
2005; McQuide 2010; Klüver 2012; Binderkrantz e Krøier 2012) che ai suoi risultati (Mahoney
2007; Baumgartner et al. 2009); si è indagato numero e tipo di issues sulle quali i gruppi di interesse
tendono ad attivarsi (Halpin e Binderkrantz 2011); si è riscoperto il complesso rapporto che lega
gruppi di interesse e partiti politici, sia per quanto concerne il sistema partitico europeo (Rasmussen
2012), sia i contesti partitici nazionali (Allern e Bale 2012); infine, sono diversi gli studiosi che
hanno riaperto l’annosa «questione dell’influenza» dei gruppi di interesse, ipotizzando la possibilità
di darne misurazione oggettiva (Potters e Sloof 1996; Dür 2008). Sono ancora relativamente pochi
gli autori che invece si sono soffermati sulla visibilità mediatica dei gruppi2; ciò è piuttosto
sorprendente, se è vero che il rapporto tra media e gruppi è molto stretto (Binderkrantz 2005; Thrall
2006; Binderkrantz e Christiansen 2011).
Vi sono diverse ragioni per le quali tale rapporto andrebbe meglio studiato: in primo luogo, è
difficile negare come il processo politico si sia sempre più mediatizzato negli ultimi decenni. Oggi
più che mai, l’agenda di policy è fortemente condizionata dall’agenda mediatica e l’attore che si
dimostra in grado di imporre un tema all’attenzione dei decision makers ha anche maggiori chances
di incidere fortemente sui provvedimenti normativi che quel tema regoleranno3 (Jones e
Baumgartner 2005). Si tratta però di un processo che si dipana anche in direzione contraria: il
gruppo d’interesse che è in grado di avere ampia visibilità mediatica dispone di una risorsa preziosa
sia per rafforzare la membership, sia per esercitare influenza nel processo decisionale (Binderkrantz
2005; 2012).
Una seconda motivazione per la quale è molto interessante studiare la visibilità mediatica dei
gruppi di interesse attiene al fatto che, così facendo, abbiamo un indicatore preciso circa le
questioni sui quali i gruppi si attivano e abbastanza preciso della fase del processo di policy nella
quale ciò avviene. È vero che molta dell’attività di lobbying viene condotta ‘dietro le quinte’, ma è
altrettanto vero che tale attività, per così dire, nascosta, è più facile che si accompagni, invece che
sostituirsi, a quella più visibile. Diviene allora altrettanto plausibile ipotizzare una contemporaneità
di perseguimento di differenti strategie, piuttosto che una loro attivazione sequenziale.
Inoltre, è attraverso la comunicazione a mezzo stampa che i gruppi d’interesse possono
informare o mobilitare: è dalla stampa e dai siti web che possiamo studiare come i gruppi ‘frame
and package their policy interests’ (DeGregorio 2009, 464).
2 Sul punto, ricordo soprattutto: Andsager (2000); Thrall (2006).3 Questo perché il problema che fronteggia qualunque governante è quello della sovra-informazione e della relativa
impossibilità di dedicare attenzione a tutte le possibili issues sul tappeto: soltanto le issues che avranno la forza di imporsi all’attenzione generale verranno prese in considerazione dai decision makers, mentre per tutti gli altri temi sarà difficile trovare un qualche spazio nella sempre affollata agenda di policy (Austen-Smith 1993; Bouwen 2009; Lohmann 1993).
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In quarto luogo, è importante analizzare la relazione tra gruppi di interesse italiani e media
perché ciò non è mai stato fatto in precedenza. L’intento, dunque, è sia esplorativo che comparato:
poiché questa è la prima ricerca sul tema che sia mai stata prodotta in Italia, laddove studi di questo
tipo sono già stati condotti in altri paesi (Binderkrantz e Christiansen 2011; Binderkrantz 2012;
Bernhagen e Trani 2012), diviene oltremodo interessante osservare eventuali analogie e/o differenze
con quanto riscontrato in contesti economici e politico-istituzionali differenti dal nostro.
Infine, ma non meno importante, vi è una ricaduta analitico-descrittiva di questa ricerca: essa
permette di procedere – in modo per ora grossolano4 - a verificare la consistenza numerica dei
gruppi d’interesse rilevanti in Italia negli ultimi 20 anni; ci consente di creare delle categorie che
facilitino l’analisi e la comparazione con studi ed esperienze di altri paesi, nei quali queste
conoscenze sono invece da tempo disponibili; e l’arco temporale considerato permette di cogliere
regolarità di presenza e di attivazione.
Alla luce di quanto sopra, gli obiettivi di questo lavoro sono diversi: il primo è quello di
quantificare la presenza di ciascun gruppo su base annua ed analizzarne l’andamento nel tempo; ciò
ci permetterà di evidenziare la presenza di (eventuali) dinamiche sottostanti tale andamento, e
proporne alcune plausibili interpretazioni. Il secondo obiettivo è invece quello di verificare se vi
siano interessi organizzati nuovi (non economici, né sindacali) che si vanno affiancando a quelli più
tradizionali occupando lo spazio sui media. I quesiti di ricerca cui cominceremo a dare risposta sono
dunque i seguenti: quali gruppi d’interesse settoriali tendono a mantenere/perdere spazio sui media?
Si tratta delle categorie dei gruppi economici e sezionali, in linea con quanto evidenziato da ricerche
svolte in altri paesi? La distinzione analitica in categorie di gruppi d’interesse ci dovrebbe
consentire di rispondere a tali quesiti in modo molto preciso. E ancora: i gruppi d’interesse italiani
definibili come ‘insiders’ godono ancora oggi di un accesso privilegiato alla stampa? Gli ‘outsider
groups’ hanno comunque una copertura mediatica? Se sì, solo sporadicamente o in modo
continuativo?
Poiché, però, il sistema mediatico nazionale è piuttosto frammentato e «partigiano» (Hallin e
Mancini 2004), non ha senso trattarlo come un blocco unico: diviene quindi interessante osservare
se diverse testate offrono differente visibilità a distinti gruppi di interesse. La ricerca che
conduciamo si applica agli archivi storici di quattro quotidiani tra loro abbastanza eterogenei
(Corriere della Sera, la Repubblica, il Sole 24 Ore, Italia Oggi), e non stupirebbe affatto riscontrare
dinamiche discordanti a seconda del quotidiano preso in esame.
Tutto ciò premesso, il lavoro procederà come segue: nel paragrafo 2 presenteremo una
sintetica rassegna della più importante letteratura che, negli ultimi venti anni, ha caratterizzato lo
4 Nel senso che va sottoposto a verifiche e controlli successivi tramite metodiche di ricerca che guardino a epifenomeni differenti da quello mediatico.
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studio dei gruppi di interesse; il paragrafo 3 avrà il compito di esplicitare alcune ipotesi preliminari,
operativizzate nel paragrafo 4 e sottoposte a test empirico nel paragrafo 5; nel paragrafo 6, infine,
cercheremo di tirare le fila dell’intero lavoro, proponendo alcune possibili direzioni di ricerca
futura.
2. La letteratura sui gruppi di interesse degli ultimi vent’anni: un’era nuova dopo Baumgartner e Jones (1993)
La pubblicazione del volume di Baumgartner e Jones del 19935 rappresenta un punto di non ritorno
nello studio dei gruppi di interesse: essi sono analizzati entro il contesto in cui si attivano e operano,
sono messi in relazione a natura degli interessi, istituzioni in movimento, questioni di policy;
stabilità e cambiamento si alternano nel tempo; interessi forti e sezionali prevalgono nei periodi in
cui godono di un clima di idee e istituzioni favorevoli (o non avverse) (Smith 2010, 464); altri tipi
di interessi emergono e si affermano invece come esito di trasformazioni e differenziazioni sociali,
di evoluzioni demografiche (si pensi a pensionati e immigrati), ma anche degli assetti istituzionali e
di governance (basti pensare alle associazioni di poteri locali o di società di servizio pubblico),
come portatori di nuovi valori e idee, di visioni di policy alternative (ambientalisti, consumatori,
ecc.). L’ampliarsi dello spettro dei gruppi attivi va di pari passo con un policy-making frammentato,
complesso e settorializzato, con decisori politici e burocratici quotidianamente impegnati a trattare
questioni diverse (per salienza politica, per generalità/specificità del tema). Da parte dei policy
makers la conoscenza delle numerose questioni è limitata, e la domanda di informazioni specifiche
aumenta; i gruppi d’interesse sono gli specialisti che dispongono – spesso meglio di chiunque altro
– di conoscenze esperte e settoriali (Kluwer 2012, 491).Dal volume di Baumgartner e Jones in poi,
analisi e indagini empiriche sui gruppi d’interesse non hanno più potuto ignorare tutto ciò,
impostando quindi lo studio dei gruppi in relazione: alle fasi del processo di policy; ai canali di
accesso; alle diverse questioni di policy sul tappeto.
La recente rassegna di Hojnacki et al. (2012) dà ragione dell’evoluzione di questa letteratura e
ne mette in evidenza alcuni aspetti significativi: dagli anni ’90, gli studiosi dei gruppi d’interesse
mostrano maggiore consapevolezza teorica, evitando però grandi modelli e optando per teorie di
medio raggio (Lowery e Gray 2010); le ricerche sono di portata più ampia rispetto al singolo studio
di caso, tendendo ad essere sempre più comparate; soprattutto – avendo superato il dilemma
olsoniano incentrato sulle logiche dell’azione collettiva – si focalizzano sullo studio dei gruppi in
relazione alle varie dimensioni del policy-making. Ciò significa che le recenti ricerche guardano
anche alle caratteristiche organizzative e alla modalità di attivazione dei gruppi, ma lo fanno in
5 «Agendas and instability in American Politics», Chicago, University of Chicago Press.
5
relazione al coinvolgimento nelle diverse fasi del processo, all’influenza sulle politiche, alla
combinazione di strategie di lobbying e di mobilitazione - anche mediatica - finalizzata ad ottenere
esiti favorevoli.
Dal punto di vista metodologico, prevale quindi la comparazione e il confronto fra un n
significativo di casi, proprio perché solo in questo modo si tengono sotto controllo le variabili di
contesto e si isolano meglio quelle che determinano il ruolo, le strategie, l’influenza effettiva dei
gruppi in certi momenti e settori di policy6. Dal punto di vista dei contenuti, l’attenzione si focalizza
su networking, strategie e tattiche, disponibilità di risorse, in base agli obiettivi perseguiti e al tipo
di attori con cui i gruppi interagiscono (Binderkrantz 2005).
Faremo riferimento più diretto a una parte di questa recente letteratura, quella che riflette su
natura e consistenza dei gruppi d’interesse vecchi e nuovi, sul loro status, sulle strategie utilizzate e
in particolare su quelle mediatiche. Gli autori principali sono Page (1999), Binderkrantz (2005,
2011, 2012a e 2012b), Mattina (2010), Grant (2010), Schlozman (2010), Wonka, Baumgartner,
Mahoney e Berkhout (2010). L’obiettivo comune è cogliere e confrontare tendenze di cambiamento
del sistema dei gruppi d’interesse, nel medio periodo e in diversi sistemi politico-istituzionali.
Come scrive Schlozman: «nel tempo si nota una considerevole fluidità e un significativo
turnover nella comunità degli interessi organizzati…» (2010, 449). Gruppi molto attivi in certi anni
scompaiono dalla scena politica in quelli successivi: non che si tratti di scomparse definitive e della
creazione di gruppi del tutto nuovi, ma, più semplicemente, di curve di attivismo e mobilitazione in
funzione di contesti favorevoli o di questioni particolarmente importanti7. A rilevare dinamiche di
differenziazione/specializzazione dei gruppi d’interesse, della loro natura e degli obiettivi perseguiti
sono anche studiosi come Binderkrantz 2012; Berkhout e Lowery 2008; Wonka et al. 2010. Le
indagini empiriche ne sottopongono a verifica la rilevanza nel tempo, in riferimento a specifiche
questioni e/o a determinate fasi del processo di policy, ipotizzando che lo spettro degli interessi
coinvolti nel policy-making sia oggi più ampio rispetto al passato e che i gruppi d’interesse – in un
ambiente ora più competitivo – scelgano di volta in volta strategie di attivazione, di mobilitazione e
di lobbying adeguate al contesto, all’obiettivo.
Da questi studi abbiamo ricavato uno schema di analisi, basato su alcune dimensioni
significative, utile per lo studio dei gruppi d’interesse italiani; le dimensioni sono:
6 Si veda, a tal proposito: Gray e Lowery (2010, 488): nel loro studio sui gruppi d’interesse nei 50 stati USA, tali
autori scrivono che il maggior vantaggio di large-n studies è la necessaria attenzione ai fattori di contesto che in small-n studies sono invece ovviamente costanti. Nelle loro parole: «Understanding such contextual forces compel us to turn to develop hypotheses that account for variations across cases.»
7 Scholzman ha come referente empirico il caso americano, sul quale sono disponibili abbondanti banche dati, costruite su fonti dirette e indirette, continuamente aggiornate. L’autore sottolinea: «The story is one of remarkable continuity in the kind of interest that are represented»; e richiamando l’immagine di Schattschneider, Scholzman conclude che seppure il coro degli interessi organizzati sia notevolmente più ampio e numeroso che in passato, in ogni caso il tono e le voci più alte sono quelle di sempre (2010, 449).
6
i) la natura dei gruppi, vecchi e nuovi, ordinabili entro un numero limitato di categorie
adeguate a specificarne alcune caratteristiche di base;
ii) lo status dei gruppi d’interesse, con riferimento alla nota distinzione di Wyn Grant fra
‘insider e outsider groups’;
iii) le strategie dei gruppi d’interesse – dirette o indirette, spesso un mix di entrambe –
focalizzando l’attenzione sull’utilizzo dei media e della stampa in particolare8.
2.1. Quali e quante categorie per i gruppi di interesse, in relazione a che cosa: natura, scopi,
organizzazione?
Piuttosto che impegnarsi in definizioni assolute dei vari tipi di gruppi, la strada oggi più battuta, e
utile a fini comparati, è quella di differenziare l’oggetto e inserirlo in ‘reasonable categories’
(Binderkrantz 2011, 120). In quanto tali, esse supportano non solo la «conta» e la descrizione dei
gruppi, ma consentono di procedere in analisi correlate alle modalità di azione e alle strategie
privilegiate.
Se, in termini estremamente generali, tutti i gruppi d’interesse operano per ottenere un esito
favorevole in termini di policy, alcuni lo fanno per i propri associati, altri per la singola azienda o
per le aziende del comparto o del settore, altri ancora per la comunità locale, o per la collettività nel
suo insieme. I gruppi possono poi essere formati da membership di vario tipo (individui, aziende
private o pubbliche, istituzioni governative…; possono anche essere privi di membership). Nella
maggioranza dei casi i gruppi perseguono benefici economici (trasferimenti o esenzioni per la
categoria, regole che tutelino le professioni, ecc.), ma in diversi casi essi si organizzano e
mobilitano per cause civili o religiose o contro qualcosa che mette a rischio sicurezza, salute o altro.
Le categorie che troviamo in letteratura servono a distinguere i tipi di gruppi in relazione alla
natura degli interessi rappresentati e agli scopi perseguiti. Le macro-categorie più note sono quelle
di Schattschneider (1960), Salisbury (1975) e Berry (1977), i quali distinguono fra special interest
groups (sezionali, economici), e public interest groups (diffusi), gruppi d’interesse identitari o
ideali (promozionali/per una causa). Tali categorie sono poi state recentemente riprese da Mattina
(2010), Schlozman (2010), Binderkrantz (2011): muovendo da quelle macro-distinzioni, questi
colleghi hanno proposto alcune significative modifiche e specificazioni utili nella ricerca empirica,
8 Ribadiamo ancora che questo punto di partenza e questa fonte è la strada obbligata per il caso italiano quando si
intenda andare oltre il singolo gruppo o lo specifico settore di policy, mancando ogni banca dati, ogni registro ufficiale (e ufficioso) dei gruppi d’interesse attivi, consultati, sentiti, riconosciuti. Nemmeno sui siti di organismi come il CNEL – che a quello, sostanzialmente, dovrebbero servire – è disponibile un elenco di organizzazioni d’interessere riconosciute e accreditate quali membri del Comitato nazionale.
7
tenuto conto anche della numerosità dei gruppi oggi attivi. Seguendo lo schema più semplice di
Mattina (2010, 15-16), vediamo infatti che: fra i gruppi economici e sezionali rientrano non solo le
imprese, singole e associate, ma anche i gruppi organizzati su base occupazionale (con la novità che
oggi vi sono i lavoratori e i sindacati dei lavoratori pubblici e privati, le professioni come
commercialisti o consulenti, gli insegnanti, i civil servants, i ferrovieri, ecc.). Fra i gruppi
istituzionali rientrano enti locali, chiesa, università9. La categoria dei gruppi per una causa o
promozionali sembra quella più ampia, perché a sua volta si divide in gruppi d’interesse pubblico
(ambientalisti, consumatori), gruppi identitari (etnici, per la parità di genere e anziani) e gruppi
localistici o Nimby (contro i grandi impianti).
In uno studio sul caso americano, sovrabbondante di fonti e dati, Schlozman (2010, 432-440)
muove invece da un elenco di tredici (13) settori tematici dai quali si ramifica il ‘pressure system’
federale, derivandone 6 macro-categorie10 di organizzazioni d’interesse; per ciascuna di esse, infine,
procede ad un’ulteriore scomposizione, arrivando ad individuare novantotto (98) tipi, utili a cogliere
le diversità e la moltitudine di gruppi che, pur con peso e modalità varie, si attivano e si confrontano
per ottenere qualche risultato in termini di policy. Nel dettaglio, Schlozman parte dalla distinzione
fondamentale di Schattschneider fra gruppi più forti portatori di interessi economici sezionali e
gruppi che promuovono interessi diffusi o danno voce a categorie svantaggiate; lo schema
classificatorio elaborato distingue quindi fra gruppi che cercano vantaggi per pochi e gruppi che si
attivano a beneficio di molti: fra i primi vi sono quelli che perseguono vantaggi economici e non
economici, cioè identitari, religiosi etnici e di genere; fra i secondi vi sono quelli che operano per la
tutela dell’ambiente, per una maggior sicurezza pubblica, per la trasparenza negli affari pubblici,
per i poveri e altro ancora. Fra le associazioni dei lavoratori vi sono i sindacati che operano su base
associativa, ma anche associazioni di professionisti (psicologi, architetti, ingegneri).
Un’attenzione analitica così dettagliata si spiega alla luce del fatto che «le organizzazioni
d’interesse sono parte essenziale del processo attraverso il quale i policy makers, nei sistemi
democratici odierni, apprendono le preferenze e i bisogni di cittadini, che altrimenti una serie di
barriere alla partecipazione politica escluderebbero dall’essere rappresentati» (Schlozman 2010,
426). Ciò non significa – l’autore mette giustamente in guardia – che tutti i gruppi abbiano accesso
e voce nelle sedi che contano, né che tante recenti organizzazioni abbiano scalfito il ruolo e
9 Ma anche, secondo Mattina (2010), organizzazioni di agricoltori, operatori finanziari e commerciali.10 Tali sei macro-categorie sono quelle che seguono: economic organizations (comprensive di associazioni
imprenditoriali, imprese, banche, assicurazioni, finanza; ma anche di università, ospedali, case di cura ecc. singole o associate; anche gli agricoltori rientrano in tale categoria); - labor unions e altre associazioni su base occupazionale-rofessionale (sindacati dei lavoratori, professioni, ecc.); - identity groups (religiosi, femministi, etnici, anziani); - public interest groups (ambientalisti, consumatori, per i diritti civili, riformisti, conservatori); - state and local government(municipalità, contee, authorities); - other organizations (governi starnieri, corporations, ecc.).
8
l’influenza predominante dei gruppi economici: questi rimangono ancora i più numerosi e i più
presenti nelle sedi che contano; anche se è evidente che altri tipi di organizzazioni (non associative,
non economiche, in particolare quelle delle istituzioni locali) sono andate acquisendo spazio e
rilievo.
Dal canto suo, Binderkrantz (2010, 120) parla di ‘reasonable categories’, che in numero
limitato sono adeguate a cogliere gli aspetti distintivi dei vari grupp: a) labour unions; b) business
groups (categorie tradizionali, più toccate dalla minore inclusione dei gruppi d’interesse nel
processo decisionale); c) groups of insititutions and authorities (più recenti e legati ai servizi
pubblici forniti dalle public utilities11); d) other sectional groups; e) public interest groups. Più che
soffermarsi sulle distinzioni interne ad esse, tali categorie sono utilizzate da Binderkrantz per
studiare i gruppi d’interesse guardando alla loro rilevanza relativa sulla scena politica, alla loro
visibilità mediatica, indicatori questi a loro volta di status privilegiato, di risorse e capacità.
Insomma, contare e categorizzare è utile di per sé, ma serve soprattutto a verificare se lo spettro
degli interessi è mutato negli ultimi decenni, se gli interessi forti sono sempre e comunque quelli
economici, se le organizzazioni d’interesse di tipo economico e finanziario sono state affiancate o in
parte sostituite da quelle non economiche.
Le categorie elaborate da Schlozman, Mattina e Binderkantz sono state riprese da diversi altri
studiosi; ciò favorisce indubbiamente cumulabilità e comparazione in questo campo di studio; ed
anche la letteratura sui gruppi d’interesse nel contesto dell’UE ha utilizzato – con qualche
adattamento – quelle stesse categorie, specificando la consistenza di gruppi d’interesse economico-
commerciali, la forte presenza di gruppi d’interesse pubblico, tuttavia sottolineando al contempo
l’assenza di gruppi identitari (Wonka et al. 2010; Kluwer 2012). A conferma di quanto insegnato da
Baumgartner e Jones.
2.2. La distinzione fra insider e outsider interest groups : superata e riproposta
Anche la distinzione, nota e spesso abusata, fra insider e outsider interest groups (Grant 2000) in
relazione allo status dei gruppi stessi, seppure soggetta a critiche e revisioni12, continua a mantenere
il suo valore analitico e a trovare riscontro empirico. L’elemento di differenziazione è il tipo di
relazione con i pubblici poteri: gli insiders godono di accessi privilegiati, scambiano informazioni
con gli attori pubblici (governi o commissioni parlamentari), e cooperano all’implementazione delle
politiche a loro destinate; essi vengono inclusi nel processo decisionale in cambio di informazioni,
affidabilità, disponibilità a negoziare esiti sub-ottimali. Al contrario, gli outsiders – per
11 Musei, teatri, case di cura, Università.12 Critiche soprattutto rivolte alla confusione fra status e strategie.
9
impossibilità, ma spesso per scelta – non sono coinvolti in tali relazioni di scambio: può trattarsi di
sostenitori di una causa pubblica che fanno appello all’opinione pubblica, gruppi di oppositori, di
riformatori che mirano a cambiamenti dei paradigmi di policy vigenti (Grant 2000, 19). I primi
risultano più influenti e non usano strategie di mobilitazione o protesta, mentre i secondi possono
avere qualche successo in situazioni favorevoli, su temi di elevata salienza, grazie al supporto di
istituzioni pubbliche o alla mobilitazione di tanti cittadini; a tal fine utilizzano strategie di
informazione e protesta anche eclatanti.
La recente letteratura giudica semplicistica e oggi fuorviante questa distinzione: lo status dei
gruppi tende infatti a mutare, in particolare per alcuni ‘gruppi soglia’ come i sindacati dei lavoratori
(sviluppano sistematici contatti con i governi, pur non rinunciando a tattiche da outsiders), oppure
per gruppi che godono dello status di insiders in alcune questioni ma diventano outsiders in
relazione ad altri problemi. Sono i lavori di Maloney et al. (1994), di Page (1999) e infine di
Binderkrantz (2005) che fanno chiarezza analitica e rendono più sofisticata la distinzione,
rendendola più corrispondente ad una realtà fluttuante e popolata da tanti gruppi diversi che hanno a
disposizione risorse e perseguono finalità differenti.
Infatti il macro-insieme degli insiders viene diviso in ‘core’, ‘specialist’ e ‘peripheral’
groups’ a seconda di quale sia lo status loro assegnato dagli attori pubblici. E’ improbabile che a
partecipare effettivamente ad ogni decisione siano tutti i gruppi che fanno parte della mailing list
dei diversi ministeri del governo in carica (Maloney et al. 1994, 27)13. Tuttavia, Page sottolinea
come le evidenze empiriche di diverse ricerche non confermino un accesso privilegiato per pochi: i
dipartimenti ministeriali oggi avviano consultazioni su una molteplicità di questioni, tanto ampie da
sentire una vasta platea di gruppi, quanto ristrette da coinvolgerne a malapena un paio; buona parte
dei gruppi di interesse ritiene comunque di avere un qualche successo nell’influenzare la decisione
finale (ibidem)14.
Del resto, anche se lo stesso Grant riconosce che oggi quella tipologia ha «superato la sua data
di scadenza» (2010, 6), nondimeno essa rimane utile per catturare quelle relazioni quotidiane e
routinarie fra il fronte maggioritario degli insiders e lo Stato, ovvero fra gli stakeholders e i
burocrati di medio livello, più direttamente coinvolti nelle consultazioni. Le osservazioni sul campo
rivelano infatti che «…consultation can be a two way process» all’interno del quale possono mutare
13 Lo stesso concetto viene espresso da Page (1999, 212); nelle sue parole: «Consultation must therefore be an
exercise in courtesy for most, whereas true involvement or negotiation is reserved for the few.»14 Nell’indagine empirica di Page – utilmente applicabile anche in altri casi e paesi, perché foriera di comparazioni –
tre sono le caratteristiche misurate per identificare gli insiders: i) la frequenza dei contatti con i funzionari ministeriali, ii) l’ampiezza (quasi tutte/poche) delle questioni su cui il gruppo viene consultato, iii) la considerazione effettiva in cui le obiezioni dl gruppo vengono tenute in considerazione, con adeguati aggiustamenti di proposte e decisioni in corso. (1999, 207-208).
10
i punti di vista sia dei decision makers sia degli stakeholders (Grant 2010, 8). Maggiore attenzione
viene riservata ovviamente a quegli insider groups che hanno maggior peso politico in quanto più
visibili e in grado di attrarre l’attenzione dei media (ibidem). Rimane dunque oggetto di indagine
empirica verificare per i gruppi attivi e rilevanti il loro grado di «insidership» e – trattandosi non di
una costante, ma appunto di un dato variabile – l’analisi dovrà combinare status, strategie e
differenti issues settoriali entro partizioni temporali adeguate al fine di coglierne eventuali
variazioni.
2.3. Strategie dirette e indirette, tattiche e strumenti. L’importanza crescente dei media.
Come per la dimensione precedente, anche la distinzione fra strategie dirette (contatti, scambi,
attività di lobbying nei confronti degli attori pubblici) e indirette (informazione, protesta,
mobilitazione verso un pubblico più vasto della propria membership) cui i gruppi d’interesse fanno
preferibilmente ricorso non può essere vista come dicotomica. Binderkrantz evidenzia in diversi
suoi articoli che l’analisi delle differenti strategie è rivelatrice di una serie di caratteristiche circa il
ruolo, le risorse, la potenziale capacità di influenza. In una tavola sinottica piuttosto semplice, ma
completa, l’autrice (2005, 696) propone di distinguere in quattro categorie e 16 tipi di attività le
strategie dirette e indirette di influenza. Le prime vedono i gruppi sviluppare contatti diretti,
consultazioni e scambi con burocrati (administrative strategy) e con politici, parlamentari o partiti,
(parliamentary strategy); con le seconde i gruppi cercano di influenzare gli esiti di policy,
ricorrendo alle campagne informative e di stampa, all’esposizione mediatica (media strategy),
oppure alla informazione e mobilitazione dei cittadini, dei propri membri, a forme di protesta,
scioperi (mobilization strategy).
Se è vero che le strategie dirette sono analizzate da tempo (Binderkrantz e Kroyer 2012), più
recente è invece l’attenzione sulle strategie indirette e, in particolare, sul ricorso ai media15. Lungi
dall’essere un’arma dei «deboli», questa opzione strategica è ampiamente utilizzata dai gruppi
d’interesse forti e influenti, nonostante essi già dispongano di un buon accesso al decision-making
(Binderkrantz 2005 e 2012; Beyers 2004; Eising, 2007; Kriesi et al. 2007)16. Sul punto occorre
precisare: non si tratta solo di mediatizzazione della politica, ma soprattutto della ricerca di
visibilità da parte di gruppi che intendono esercitare influenza sulle diverse questioni dell’agenda
15 I gruppi di interesse possono tentare di ricorrere ai media per una pluralità di ragioni; tra le più importanti,
segnaliamo: informare, convincere, mobilitare, rivolgendosi oltre che alla propria membership anche ad aderenti potenziali alla causa, o a potenziali futuri oppositori, nell’ottica di legittimare posizioni sostenute anche nelle sedi decisionali (ma forse impopolari ai più).
16 È, questa, un’opinione condivisa anche da Thrall (2006, 408): «The same groups that dominate the inside game of politics can thus be expected to be predominant in the media arena».
11
politica, nonché dell’attenzione che diversi ma rilevanti gruppi d’interesse ricevono da parte dei
media che trattano le questioni del giorno .
In altri termini, indagare sulla presenza mediatica dei gruppi d’interesse può dare un’idea
abbastanza precisa della rilevanza che essi hanno e della considerazione in cui essi sono tenuti dai
mezzi d’informazione, oltre che delle questioni su cui più sistematicamente si attivano.
3. Alcune ipotesi derivate dalla letteratura, utili anche per l’Italia
Anche se in questo paper ci si vuole muovere con un obiettivo prevalentemente descrittivo – quello
di iniziare a contare ed etichettare i gruppi d’interesse italiani attivi in questi due decenni – la
letteratura ha fornito alcuni spunti, sia per costruire il disegno della ricerca, sia per avanzare alcune
ipotesi che, ovviamente, richiederanno ulteriori verifiche. Le ipotesi che poi specificheremo per il
nostro studio di caso – quello italiano – e data l’assenza di studi comparati che lo considerino e di
indagini recenti che lo riguardino – terranno conto di alcuni studi relativi al passato17, di una
consistente base di studi di policy dedicati a diversi settori, nei quali i gruppi d’interesse sono
analizzati insieme ad altri attori, nonché di lavori dedicati alla tradizione concertativa in alcuni
cruciali ambiti (lavoro, previdenza). Prendendo spunto dallo studio di altre esperienze europee e
cercando di confrontare quanto emerge dalle indagini sul caso italiano, le ipotesi generali che si è
ritenuto di delineare riguardano:
H1) l’ampliarsi del numero e dello spettro dei gruppi d’interesse attivi;
H2) il declino relativo (sostituzione o affiancamento) delle organizzazioni d’interesse
tradizionali (sindacati e associazioni di imprese) da parte di gruppi d’interesse pubblico o
istituzionali (autorità locali, università, sanità);
H3) la scomparsa di modalità neo-corporative del policy-making (verificatasi in paesi europei
a forte tradizione), a favore di un policy-making pluralistico, all’interno del quale numerosi gruppi e
interessi competono per esercitare influenza18.
Un contesto maggiormente competitivo e la presenza di diversi punti di accesso, da un lato,
un policy-making settoriale e complesso (coordinato orizzontalmente e decentrato verticalmente)
dall’altro, rendono plausibile/probabile il coinvolgimento di un numero sempre più significativo di
17 I riferimenti obbligati sono agli studi noti ma non recenti di Morlino, di Morisi, Mattina, Lanzalaco, La Palombara,
e pochi altri.18 Aumento e differenziazione dei gruppi d’interesse – siano essi sezionali, diffusi, professionali, pubblici, identitari
o di altra natura – è tendenza che emerge in tutti gli studi recenti, mentre il relativo declino di gruppi tradizionalmente dominanti è dinamica evidenziata in particolare nei lavori di Binderkrantz, Christiansen, Oberg e altri, riferiti alle democrazie del Nord Europa – Norvegia, Danimarca, Svezia – dove «Highly institutionalized corporatist policy making privileges have been replaced by a more pluralist policy making pattern in which interest groups compete for influence.» (Oberg et al. 2011).
12
gruppi d’interesse di vario tipo19, e comportano anche che i gruppi si attrezzino e facciano ricorso a
tattiche e strategie composite e differenti. In particolare quella di ottenere spazio e visibilità
mediatica sembra una fra le più importanti.
Relativamente alla prima e alla seconda ipotesi, l’evidenza empirica in tutti gli studi citati
conferma l’ampliarsi nel tempo del numero di gruppi attivi. Le categorie proposte in letteratura
evidenziano la presenza, in tutti i casi indagati, di organizzazioni di tipo nuovo (identitarie, governi
locali, Nimby), le quali sembrano affiancarsi a quelle tradizionali piuttosto che togliere loro spazio.
Inoltre, le analisi diacroniche circa la continuità o il relativo declino di alcuni gruppi tradizionali,
mostrano tendenze sensibilmente diverse da caso a caso; ciò significa – richiamando ancora una
volta Baumgartner e Jones – che il destino dei gruppi è comunque legato al contesto e alle
dinamiche formali e informali del policy-making entro le quali essi operano.
La terza ipotesi richiede – oltre all’analisi dei gruppi d’interesse e al loro coinvolgimento – la
considerazione di una serie di altri fattori riguardanti l’assetto politico-istituzionale, le dinamiche
consolidate nel policy-making, la presenza di sedi e organismi per la formulazione delle politiche
all’interno dei quali i maggiori interessi organizzati sono inclusi, l’emergere di nuovi luoghi e
modalità di fare le politiche. Questo tipo di ricerche è stato svolto in alcuni pochi casi: dinamiche
neo-corporative incentrate attorno allo scambio tra governo e parti sociali lascerebbero spazio a
dinamiche pluraliste in cui un numero maggiore di gruppi esercita un’azione di lobbying non solo
sul governo, ma anche sul parlamento; i fora di consultazione diventano numerosi e ciascuno
coinvolge un set di gruppi più attivi su tematiche specifiche, appunto quelle del forum di
riferimento20 (Thesen e Christiansen 2011; Pedersen et al. 2010; Oberg et al. 2010). Molteplici
punti di accesso, varietà di issues trattate (di rilievo generale, ma anche specifiche e tecniche),
numerosità degli attori coinvolti, sono fattori che comportano per i gruppi d’interesse il ricorso a
strategie composite e l’adattamento ai casi specifici. Ciò richiede anche la disponibilità di risorse
consistenti (non solo di rappresentanza, o di mobilitazione, ma anche relative ad expertise e
informazione).
Nell’economia di questo paper, solamente le prime due ipotesi possono essere riprese e in
parte sottoposte a verifica; volendo concentrare l’indagine empirica sulla visibilità/esposizione
mediatica dei gruppi d’interesse italiani negli ultimi 20 anni dobbiamo inoltre adattare quelle ipotesi
al nostro disegno di ricerca. In tal senso:
19 Ovviamente ciò non significa che non continuino ad esserci gruppi dallo status privilegiato, gruppi in grado di
esercitare maggiore e continuativa influenza.20 Va qui evitato l’errore di confondere l’evidenza di un policy-making maggiormente pluralista (tanti accessi, tante
richieste, interazioni in tante sedi e livelli) con i suoi esiti.
13
H1a) l’attività diretta a guadagnare spazio e visibilità sui media diventa strategia preminente
per tutti i gruppi d’interesse, così come l’attenzione dei media si amplia fino a considerare e dare
notizia di gruppi d’interesse nuovi, siano essi insider o outsider groups. Ciò comporta che nella
nostra indagine sulla stampa italiana dovremmo trovare una continuativa attenzione per un numero
elevato di gruppi;
H2a) poiché non tutti sono uguali dal punto di vista dello status, delle risorse, e della capacità
potenziale di esercitare influenza, della specializzazione su alcune più rilevanti questioni, ne deriva
che alcuni gruppi d’interesse sono in grado di mantenere una posizione privilegiata anche sulla
stampa; ci aspettiamo quindi di trovare differenze sensibili nella visibilità dei gruppi d’interesse
italiani, differenze che dovrebbero accentuarsi nelle diverse testate di quotidiani (specie fra quelli
che tradizionalmente dedicano una maggiore attenzione ai gruppi e ai temi economici, rispetto alle
testate che invece sono più attente ai lavoratori, ai cittadini, e alle tematiche ambientaliste, del
lavoro, sociali, educative);
H3) il contesto in cui operano i gruppi d’interesse italiani, dal punto di vista delle dinamiche
politico-istituzionali e del policy-making, pur se presenta diversi elementi di cambiamento (poco
oltre richiamati, si rimanda a pag. 15) non manca di continuità e strenue difese dello status quo; in
questo senso, l’ipotesi della persistenza di Beyers (2004) dovrebbe rivelarsi particolarmente
riferibile ai gruppi d’interesse italiani che in passato hanno goduto di uno status privilegiato da
insiders (gruppi economici, sindacati, grandi aziende); mentre i gruppi d’interesse di tipo nuovo
(istituzionali, d’interesse pubblico) sono presenti, si attivano (specie sulle tematiche di nicchia che li
riguardano) e riescono ad ottenere visibilità mediatica, ma in misura molto limitata rispetto ai primi.
4. Il disegno della ricerca e l’operativizzazione delle variabili
Prima di entrare nel dettaglio del processo di operativizzazione col quale definire le variabili della
successiva analisi empirica, è necessario richiamare il disegno di ricerca che ha guidato l’indagine e,
di conseguenza: elencare i media sui quali abbiamo rilevato i dati; delimitare l’ambito spazio-
temporale della ricerca; individuare i gruppi di interesse che sono entrati nel nostro data-set.
Innanzitutto, il medium prescelto è la carta stampata. Questo perché, innanzitutto, ci interessa
confrontare i risultati italiani con quelli recentemente evidenziati da Binderkrantz e Christiansen
(2011) circa il caso danese21; seguire la stessa strategia darà alla nostra ricerca un respiro anche
comparato. In secondo luogo, gli archivi dei maggiori quotidiani nazionali sono facilmente
accessibili e forniscono una fonte attendibile per la ricerca in oggetto. Detto questo, la scelta delle
21 Tali autori hanno rilevato l’esposizione mediatica dei gruppi di interesse su due importanti quotidiani nazionali.
14
quattro testate nazionali - Corriere della Sera, la Repubblica, il Sole 24 Ore, Italia Oggi - è stata
compiuta sulla base di tre criteri: il primo di questi afferisce al pluralismo delle posizioni
rappresentate. A tal proposito, abbiamo infatti optato per due quotidiani relativamente schierati, uno
a favore degli interessi economici e della grande impresa (il Sole 24 Ore), l’altro a favore delle
organizzazioni sindacali e, più in generale, dei gruppi di interesse pubblico (la Repubblica), e due
quotidiani relativamente imparziali (Corriere della Sera e Italia Oggi), nell’ottica di testare l’ipotesi
che preconizza una qualche forma di correlazione tra l’orientamento politico del quotidiano e la
maggiore o minore visibilità mediatica, sullo stesso, di alcuni gruppi piuttosto che altri. Il secondo
criterio, invece, ha a che fare con l’autorevolezza della testata, mentre il terzo concerne
l’attendibilità e completezza del suo archivio stampa22.
Per quanto concerne l’ambito spazio-temporale della ricerca, il periodo da noi analizzato va
dal 1992 al 2011 compresi. La scelta di tale periodo è facilmente giustificabile. Non vi è dubbio
alcuno che gli ultimi venti anni di storia repubblicana siano stati assai densi di cambiamenti e
trasformazioni: la riforma del sistema elettorale, sia nazionale (Bartolini e D’Alimonte 1995) che
provinciale e regionale (Fusaro 2000), la destrutturazione e successiva ristrutturazione del sistema
partitico nazionale (Pappalardo 2001), il nuovo rapporto tra governo e parlamento (Barbieri e
Verzichelli 2003) e il processo di (relativo) decentramento che ha interessato la forma di Stato
repubblicana (Ventura 2008), sono tutti elementi che hanno portato diversi autori ad ipotizzare una
forte cesura tra l’assetto della Prima Repubblica e quello caratterizzante la cosiddetta Seconda
Repubblica23. In questo senso, diviene oltremodo interessante domandarsi se a tali e tante novità
politico-istituzionali sia corrisposta o meno una qualche trasformazione anche per quel che riguarda
il sistema dei gruppi di interesse italiani e se essa sia visibile nella loro esposizione sui media.
A proposito, infine, dell’identità dei gruppi di interesse analizzati, la loro individuazione
deriva (soprattutto, ma non esclusivamente) da un lavoro di «mappatura» degli stessi che stiamo
portando avanti, insieme a colleghi del Dipartimento di Scienza Politica dell’Università di Bologna,
all’interno di un Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale iniziato nel 2011. Mancando un
censimento ufficiale dei gruppi di interesse italiani, la strategia di ricerca ad ampio raggio sui media
è quasi una strada obbligata. Sulla base delle indicazioni desumibili dal suddetto lavoro di
mappatura, i gruppi che sono entrati nella nostra analisi statistica sono trentuno (31), suddivisi in
22 È solo dalla combinazione di questi tre criteri, ad esempio, che abbiamo deciso di includere «Italia Oggi» ed
escludere, invece, «la Stampa» di Torino: sarebbe infatti difficile sostenere come quest’ultimo non sia uno dei quotidiani più rilevanti e autorevoli del panorama nazionale, ma l’incompletezza del suo archivio storico ci ha reso impossibile inserirlo tra le testate analizzate.
23 Anche se, probabilmente, i termini suddetti hanno connotazione più giornalistica che scientifica, ed il periodo post-1994 andrebbe più precisamente identificato quale «transizione» tra un assetto precedente ad uno ancora in divenire (Bull e Pasquino 2007).
15
nove (9) categorie: interessi economici24; sindacati25; associazioni di consumatori26; agricoltura27;
gruppi istituzionali28; sanità29; ambientalisti30; grandi imprese31; educazione (scuola e università)32.
La nostra proposta – come si vede – contempla un numero più ampio di categorie rispetto a quelle
incontrate in letteratura, ma essa ci pare funzionale al caso italiano in quanto distingue fra gruppi
economici (isolando quelli sindacali, quelli agricoli, e le grandi imprese, dato il rilievo che queste
hanno tradizionalmente), fra gruppi d’interesse pubblico (ambientalisti e consumatori, che in Italia
hanno più recente origine), fra gruppi istituzionali (distinguendo fra autorità locali e scuola-
università, dato il diverso peso di questi gruppi, decisamente trasversale l’uno, molto più settoriale
l’altro).
È del tutto evidente come tale popolazione non possa essere considerata ancora esaustiva
dell’intero universo dei gruppi di interesse italiani; riteniamo però che essa sia sufficientemente
rappresentativa di quelli che sono i gruppi rilevanti nei settori di policy verso i quali
sistematicamente si concentra l’azione di governo e l’attenzione dell’opinione pubblica33.
Fissato in termini generali il disegno della ricerca, è ora il momento di entrare nel dettaglio
dell’operativizzazione delle variabili che utilizzeremo. Per quanto concerne le variabili
indipendenti, esse necessariamente richiamano le ipotesi teoriche esplicitate nel paragrafo
precedente: la prima si sostanzia nella distinzione tra gruppi insiders e outsiders. È, questa, una
variabile indipendente in quanto dovrebbe influenzare il variare sia della visibilità che della
rilevanza mediatica, sotto l’ipotesi che gli insiders abbiano un accesso ai media relativamente più
frequente degli outsiders (cfr. par. 3), e che la stampa tenda a dare maggiore spazio ai gruppi
insiders (ricavando da essi informazioni più precise e complete sui processi di policy). Ma può
anche essere considerata come variabile dipendente, se si ipotizza invece che il variare della
differenza di «mediaticità» tra insiders ed outsiders possa dipendere dal tipo di quotidiano preso in
esame. Sul punto, tuttavia, occorre specificare, in quanto sembrerebbe contraddittorio sostenere,
come abbiamo fatto in precedenza sulla scorta della più importante letteratura internazionale (cfr.
par. 2), che la distinzione tra insiders ed outsiders non sia assoluta e immodificabile, ma piuttosto
24 Nel dettaglio: Abi, Ania, Confapi, Confartigianato, Confcommercio, Confindustria.25 Nel dettaglio: Cgil, Cisl, Uil, Ugl.26 Nel dettaglio: Adiconsum, Adusbef, Codacons, Federconsumatori.27 Nel dettaglio: Cia, Coldiretti, Confagricoltura.28 Nel dettaglio: Anci, Anm, Upi.29 Nel dettaglio: Farmindustria, Federfarma.30 Nel dettaglio: Legambiente, Wwf.31 Nel dettaglio: Fiat, Enel, Eni.32 Nel dettaglio: Cgil Scuola, Cisl Scuola, Gilda, Crui.33 Essendo fortemente persuasi che, nello studio dei gruppi di interesse, le caratteristiche contestuali proprie di ogni
ambito produttivo siano assai rilevanti (Lizzi 2011), il criterio principale (anche se non esclusivo) della categorizzazione qui proposta non poteva che avere a che fare con distinzioni di policy. Economia, lavoro, credito e finanza, sanità/salute, ambiente, agricoltura, scuola e università, decentramento e federalismo, giustizia sono i temi e le issues da 20 anni continuativamente in agenda, politica e mediatica.
16
dipenda dalla issue ‘at stake’, e poi differenziare empiricamente tra i primi e i secondi in maniera
dicotomica. Ebbene, i gruppi qui considerati quali insiders sono soltanto quelli che Maloney e
colleghi (1994) hanno definito di tipo ‘core’ (quelli, cioè, che dispongono di così tante risorse da
poter godere di un accesso privilegiato quasi a prescindere dal tema trattato), laddove gli outsiders
sono tutti gli altri gruppi. Abbiamo optato per tale semplificazione in quanto, a questo stadio della
nostra ricerca, non aveva molto senso differenziare sulla base delle issues, dato che esse non
entrano che tangenzialmente nell’analisi che svolgiamo. Alla luce di tutto ciò e degli studi
disponibili sul caso italiano, abbiamo quindi deciso di considerare insider groups quelli economici,
i sindacati, i gruppi istituzionali e le grandi imprese, mentre abbiamo etichettato – non senza discreti
dubbi34 - come outsiders le associazioni di consumatori, di ambientalisti, i gruppi d’interesse legati
a scuola e università, agricoltura e sanità.
Richiamando la possibile influenza esercitata dal tipo di quotidiano sul quale si sono rilevati i
dati, la seconda variabile indipendente che entra nella nostra analisi statistica, è di tipo categoriale e
consiste nella distinzione tra articoli pubblicati sul Corriere della Sera, su Il Sole 24 Ore, su la
Repubblica e su Italia Oggi, sulla base dell’ipotesi che differenti testate si interessino diversamente
delle distinte categorie in cui abbiamo suddiviso i nostri gruppi di interesse.
Altre variabili indipendenti, infine, riguardano l’inserimento, nell’agenda politica del governo,
di una issue la cui particolare rilevanza ha costretto i gruppi ad essa connessi ad attivarsi in maniera
e misura particolari (ad esempio, la questione dell’articolo 18 negli anni 2002-2003-2004, o il
contrasto tra maggioranza di centrodestra e magistratura circa il cosiddetto «lodo Alfano» nel
2008)35.
Le variabili dipendenti, invece, sono due, entrambe di tipo cardinale: la prima, definita
semplicemente «visibilità mediatica», fa riferimento al numero di volte che, all’interno di ogni anno
solare, il gruppo in oggetto viene citato nel testo di tutti gli articoli pubblicati su tutti i quotidiani
presi in considerazione. Per depurare i dati dalla distorsione derivante dal fatto che, nel corso degli
ultimi vent’anni, il formato dei suddetti quotidiani ha assunto dimensioni variabili, abbiamo
standardizzato ogni valore di ciascun quotidiano rispetto all’anno di riferimento, trasformando così i
numeri riscontrati, da assoluti in percentuali. Il passo successivo è quindi stato quello di operare, per
ogni anno tra il 1992 ed il 2011, la media dei valori percentuali caratterizzanti i quattro quotidiani di
riferimento. Senza tale accorgimento, l’analisi diacronica dei dati avrebbe avuto poco senso, in
quanto si sarebbe riscontrato un andamento crescente nel tempo per tutte le categorie di gruppi
prese in esame.
34 I dubbi riguardano lo status di outsiders sia dei gruppi agricoli, notoriamente e stabilmente inclusi nel policy
making, sia di quelli che rappresentano gli interessi nella sanità. 35 Anche tali due variabili, come è facilmente comprensibile, assumono forma dicotomica.
17
La seconda l’abbiamo invece chiamata «rilevanza mediatica pubblica»: come per la
precedente, anche in questo caso si tratta, molto semplicemente, di redigere un elenco diacronico in
cui ogni categoria (e ogni gruppo al proprio interno) si vede riconosciuto un determinato valore
numerico per ogni anno preso in considerazione; tuttavia, in questo caso l’individuazione di quegli
stessi valori numerici è differente da un punto di vista qualitativo, sia per quanto riguarda la banca
dati dalla quale sono stati estratti, sia per ciò che concerne il criterio col quale individuare gli
articoli di riferimento. Più nel dettaglio, se la visibilità mediatica si ottiene dalla sommatoria di tutti
gli articoli, pubblicati nelle quattro testate di riferimento, nel cui testo è contenuto il nome del
gruppo in analisi, la rilevanza mediatica pubblica dipende invece dalla sommatoria di tutti gli
articoli (pubblicati in quei medesimi quotidiani) che sono entrati nella rassegna stampa giornaliera
della Camera dei Deputati, nel cui titolo è contenuto il nome del gruppo36.
In altri termini, aggiungiamo due diverse «barriere all’entrata» all’esposizione mediatica dei
nostri gruppi: in primo luogo, l’articolo pubblicato deve essere considerato sufficientemente
rilevante per entrare nella rassegna stampa cui accedono, ogni giorno, i deputati italiani; in secondo
luogo, il gruppo di interesse deve essere l’indiscusso protagonista di quell’articolo, tanto da venir
menzionato direttamente nel titolo dello stesso. La ratio che sta dietro la differenziazione tra tali
due variabili è presto esplicitata: il nostro obiettivo è infatti quello di avere due misure,
concettualmente simili ma non perfettamente sovrapponibili, di quanto e come i differenti gruppi di
interesse hanno accesso ai media. La prima ci dà infatti una misura di quanto i giornali si occupano
delle organizzazioni che qui analizziamo; la seconda, invece, ci dice anche se il gruppo ha una
visibilità di rilievo per i decisori politici, per di più da una posizione di forte visibilità (ovvero, già
nel titolo dell’articolo selezionato).
5. Analisi statistica ed evidenze empiriche
Nel paragrafo 3 abbiamo avanzato alcune ipotesi dalla più importante letteratura su gruppi di
interesse e media, al fine di testarle dal punto di vista empirico. Soggiacenti a tali ipotesi, tuttavia,
stavano soprattutto alcuni interrogativi: quali categorie di gruppi hanno prevalente accesso ai
media? È possibile riscontrare dinamiche di continuità o di mutamento nell’esposizione mediatica
delle distinte categorie di gruppi? Vi è una chiara distinzione tra insider e outsider interest groups?
E infine: esistono differenze apprezzabili tra quotidiano e quotidiano?
36 Un’ulteriore differenza tra le due variabili dipendenti attiene al periodo temporale: la visibilità mediatica viene
analizzata tra il 1992 e il 2011, laddove la rilevanza mediatica pubblica copre il solo intervallo 1998-2011. Questo perché l’archivio storico della Camera dei Deputati non va più indietro del 1998.
18
Per rispondere ai primi due quesiti testé proposti, si veda sia la figura n. 1, la quale fa
riferimento alla variabile precedentemente identificata come «visibilità mediatica», sia la figura n.
2, che invece presenta l’andamento di ciò che abbiamo in precedenza definito «rilevanza mediatica
pubblica»:
Figura 1 Visibilità mediatica dei gruppi di interesse italiani (1992-2011)
Visibilità mediatica dei gruppi di interesse italiani (1992-2011)
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
55
60
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Anno
Per
cen
tual
e m
edia
su
i 4 q
uo
tidia
ni
Interessi economici
Sindacati
Grandi Imprese
Gruppi Istituzionali
Consumatori
Agricoltura
Sanità
Ambientalisti
Istruzione
19
Figura 2 Rilevanza mediatica pubblica dei gruppi di interesse italiani (1998-2011)
Appeal mediatico dei gruppi di interesse italiani (1998-2011)
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
55
60
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
Anno
Per
cen
tual
e ri
spet
to a
ll'an
no
di r
iferi
men
to
Interessi economici
Sindacati
Grandi Imprese
Gruppi Istituzionali
Consumatori
Agricoltura
Sanità
Ambientalisti
Istruzione
L’osservazione delle figure sopra riportate ci aiuta a mettere un po’ di ordine: in primo luogo,
vi è una fortissima differenza di mediaticità tra interessi economici, sindacati e grandi imprese, da
un lato, e tutte le altre categorie da noi individuate, dall’altro. I primi hanno infatti un accesso ai
media molto più agevole e continuativo che non i secondi. Tale evidenza empirica sembra
contraddire l’ipotesi che nuovi gruppi di interesse avessero conquistato, col passare del tempo e il
mutare del cosiddetto ‘pressure system’ (da maggiormente neo-corporativo a leggermente più
pluralistico), spazio crescente sui media.
Sul punto, un’ulteriore conferma può essere trovata attraverso una regressione lineare, i cui
risultati vengono evidenziati nelle sottostanti tabelle n. 1 (variabile dipendente: visibilità mediatica)
e n. 2 (variabile dipendente: rilevanza mediatica pubbica):
20
Tabella 1 Incidenza del tipo di gruppo sulla visibilità mediatica dei gruppi di interesse italiani: regressione lineare
Coefficientsa
Unstandardized Coefficients
Standardized
Coefficients
Model
B Std. Error Beta t Sig.
(Constant) 20,651 49,150 ,420 ,674
Tempo 6,872E-7 ,025 ,000 ,000 1,000
Sindacati 11,352 ,595 ,270 19,066 ,000***
Grandi imprese 11,371 ,595 ,270 19,097 ,000***
Gruppi istituzionali -15,893 ,595 -,378 -26,693 ,000***
Consumatori -18,419 ,595 -,438 -30,935 ,000***
Agricoltura -18,144 ,595 -,432 -30,473 ,000***
Sanità -20,032 ,595 -,477 -33,644 ,000***
Ambientalisti -17,115 ,595 -,407 -28,745 ,000***
1
Istruzione -18,988 ,595 -,452 -31,890 ,000***
a. Variabile dipendente: Visibilità mediatica dei gruppi di interesse italiani (1992-2011)
b. Categoria ‘benchmark’: Interessi economici
c. N = 900
d. R-quadro corretto = ,900
e. * = p<0,1
f. ** = p<0,05
g. *** = p<0,01
Tabella 2 Incidenza del tipo di gruppo sulla rilevanza mediatica pubblica dei gruppi di interesse italiani: regressione
lineare
Coefficientsa
Unstandardized Coefficients
Standardized
Coefficients
Model
B Std. Error Beta t Sig.
(Constant) 20,563 220,666 ,093 ,926
Tempo -,001 ,110 ,000 -,005 ,996
Sindacati 11,678 1,883 ,227 6,203 ,000***
Grandi imprese 24,222 1,883 ,471 12,866 ,000***
Gruppi istituzionali -16,197 1,883 -,315 -8,603 ,000***
Consumatori -19,009 1,883 -,369 -10,097 ,000***
1
Agricoltura -18,801 1,883 -,365 -9,986 ,000***
21
Sanità -19,036 1,883 -,370 -10,111 ,000***
Ambientalisti -18,435 1,883 -,358 -9,792 ,000***
Istruzione -19,177 1,883 -,373 -10,186 ,000***
a. Variabile dipendente: Rilevanza mediatica pubblica dei gruppi di interesse italiani (1998-2011)
b. Categoria ‘benchmark’: Interessi economici
c. N = 125
d. R-quadro corretto = ,913
e. * = p<0,1
f. ** = p<0,05
g. *** = p<0,01
Una volta dimostrato come il tipo di gruppo influenzi in misura estremamente rilevante il
grado di esposizione mediatica dei propri componenti (R² corretto pari a 0.900 nel caso della
visibilità, e addirittura pari a 0.913 nel caso della rilevanza), il secondo interrogativo sollevato in
apertura di sezione concerneva le opposte ipotesi della continuità e del mutamento nel corso del
periodo in esame. Sul punto, riceve un forte sostegno empirico l’ipotesi della continuità: pur con
oscillazioni anche abbastanza vistose (più per quanto riguarda la rilevanza mediatica pubblica che
non la visibilità mediatica), le tre categorie a maggiore esposizione mediatica (interessi economici,
sindacati, grandi imprese) sono sempre le stesse durante tutto l’arco di tempo considerato, mai
concretamente avvicinate da alcuna altra categoria di gruppi.
Il terzo quesito atteneva invece alla distinzione, da un punto di vista teorico troppo
semplicistica e forzata, ma empiricamente giustificabile a questo stadio della nostra ricerca, tra
insider e outsider interest groups. A tal proposito, si vedano dunque la figura n. 3 (visibilità
mediatica) e la figura n. 4 (rilevanza mediatica pubblica):
22
Figura 3 Visibilità mediatica dei gruppi di interesse italiani (1992-2011): distinzione tra insider e outsider interest
groups
Insiders-Outsiders (1992-2011)
70%
75%
80%
85%
90%
95%
100%
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Anno
Per
cent
uale
OUTSIDERS
INSIDERS
Figura 4 Rilevanza mediatica pubblica dei gruppi di interesse italiani (1998-2011): distinzione tra insider e outsider
interest groups
Insiders-Ousiders (1998-2011)
70%
75%
80%
85%
90%
95%
100%
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
Anno
Per
cen
tua
le
OUTSIDERS
INSIDERS
23
Ebbene, tra le opposte ipotesi, entrambe note in letteratura, del maggiore ricorso ad una
strategia mediatica da parte dei gruppi insider o dei gruppi outsider, le figure sovrastanti sembrano
dare un chiarissimo sostegno empirico a quella che vuole le organizzazioni con le maggiori risorse
più presenti sui media. Per quel che riguarda la visibilità mediatica, infatti, i gruppi individuati quali
insiders oscillano tra un minimo dell’85.92% (2005) ed un massimo del 94.09% delle notizie
pubblicate dai quattro quotidiani presi in analisi, in quell’anno. Tale sproporzione incrementa
grandemente, fino ad interessare una banda di oscillazione che va dal 94.21% del 1998 al 99.07%
del 2002, per ciò che concerne la rilevanza mediatica pubblica. In altri termini, la stampa si occupa
quasi esclusivamente dei gruppi storicamente più rilevanti (interessi economici, sindacati, grandi
imprese, gruppi istituzionali); al contrario, i cosiddetti ‘gruppi nuovi’ devono accontentarsi di
giocare un ruolo del tutto residuale.
Proprio sulla distinzione insiders-outsiders, tuttavia, è possibile riscontrare differenze
abbastanza marcate tra le testate giornalistiche che qui prendiamo in considerazione. Coerentemente
con quanto ci saremmo aspettati, i due quotidiani più nettamente schierati, l’uno (la Repubblica)
maggiormente a favore degli interessi cosiddetti nuovi, l’altro (il Sole 24 Ore) più apertamente
allineato sulle posizioni dei grandi potentati economici, mostrano dinamiche piuttosto differenziate.
A tal proposito, si vedano infatti la figura n. 5 e la figura n. 6:
Figura 5 Visibilità mediatica dei gruppi di interessi italiani (1992-2011): distinzione tra insider e outsider interest
groups su ‘la Repubblica’
Repubblica: Insiders-Outsiders (1992-2011)
70%
75%
80%
85%
90%
95%
100%
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Anno
Per
cent
uale
OUTSIDERS
INSIDERS
24
Figura 6 Visibilità mediatica dei gruppi di interessi italiani (1992-2011): distinzione tra insider e outsider interest
groups su ‘il Sole 24 Ore’
Sole: Insiders-Outsiders (1992-2011)
70%
75%
80%
85%
90%
95%
100%
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Anno
Per
cent
uale
OUTSIDERS
INSIDERS
Le differenze evidenziate dall’osservazione delle due figure sovrastanti appaiono nette ed
incontrovertibili: su ‘la Repubblica’, i gruppi di tipo outsider ricevono una copertura mediatica che
va da un minimo del 5.77% (1992) ad un massimo del 18.16% (2001), e a partire dal 2000 non
scendono mai sotto il 13%; su ‘il Sole 24 Ore’, al contrario, tale esposizione mediatica è molto più
bassa, oscillando da un minimo pari al 2.71% (1992) ad un massimo pari al 5.54% (2010).
Per rendere ancora più apprezzabile l’incidenza che, sulla quantità di citazioni, ha il tipo di
quotidiano sul quale esse vengono rilevate, nonché per rispondere all’ultimo degli interrogativi
sollevati all’inizio di questa sezione, si può osservare la tabella n. 3, la quale evidenzia la visibilità
media di ogni categoria di gruppo qui proposta, per ogni testata giornalistica da noi presa in esame:
Tabella 3 Visibilità media (1992-2011) dei gruppi di interesse italiani: distinzione sulla base delle fonti
Corriere della Sera Italia Oggi la Repubblica Il Sole 24 Ore Camera DeputatiInteressi economici 16,44 24,57 14,66 24,29 19,69
Sindacati 37,14 30,92 41,11 23,35 29,37
Consumatori 3,15 2,7 3,21 1,32 0,31
Agricoltura 2,31 4,44 1,99 1,96 0,52Gruppi istituzionali 2,2 3,51 3,95 3,18 3,01
25
Sanità 0,5 0,47 0,49 0,59 0,24
Ambiente 5,84 3,74 6,79 0,97 0,97
Grandi imprese 30,26 27,27 25,58 43,96 45,71
Educazione 2,16 2,38 2,22 0,38 0,18
TOT 100 100 100 100 100
Dall’osservazione della tabella n. 3, alcune considerazioni sorgono immediate: prima di tutto,
a prescindere dalla fonte, le tre categorie maggiormente presenti sui media sono sempre le stesse:
interessi economici, sindacati, grandi imprese. Tuttavia, l’ordine di importanza tra queste non è lo
stesso per ogni testata giornalistica, anzi: se, da un lato, sia Italia Oggi, sia il Corriere della Sera, sia
la Repubblica (in misura crescente), si interessano soprattutto di sindacati, quindi di grandi imprese
e poi di interessi economici, lo stesso non vale né per il Sole 24 Ore né per la rassegna stampa della
Camera dei Deputati. In questi due ultimi casi, infatti, sono le grandi imprese a fare la parte del
leone, seguite, per quanto concerne il quotidiano della Confindustria, dagli interessi economici e
quindi dai sindacati, e per ciò che riguarda la rassegna stampa di Montecitorio, prima dai sindacati e
poi dagli interessi economici.
Secondariamente, appare interessante soffermarsi sulle differenze che intercorrono tra i due
quotidiani maggiormente schierati: in primo luogo, se su ‘la Repubblica’ i sindacati sopravanzano
le grandi imprese di più di 15 punti percentuali, su ‘il Sole 24 Ore’ tale differenza si ribalta a favore
delle grandi imprese, che sopravanzano i sindacati di oltre 20 punti percentuali. In secondo luogo, la
sproporzione tra le due testate giornalistiche è molto evidente anche per quel che riguarda i
consumatori (3.21% su Repubblica, 1.32% sul Sole), gli ambientalisti (6.79% su Repubblica, 0.97%
sul Sole) e i gruppi legati alla scuola e all’università (2.22% su Repubblica, 0.38% sul Sole): ciò
conferma una maggiore attenzione, da parte del primo quotidiano, nei confronti dei gruppi non
economici e d’interesse pubblico.
In conclusione di questa sezione, vogliamo poi testare (anche se in via puramente preliminare)
un’ultima ipotesi teorica, relativa all’incidenza di una issue particolarmente rilevante
sull’esposizione mediatica di cui godono i gruppi di interesse a questa connessi. Nel dettaglio, ci
aspettiamo infatti che la discussione sulla riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori abbia
avuto un impatto positivo sul numero di citazioni riguardanti gli interessi economici e i sindacati
confederali negli anni 2002-2003-2004, e che l’approvazione del lodo Alfano abbia avuto il
medesimo impatto positivo sul numero di citazioni riguardanti i gruppi istituzionali (al cui interno
annoveriamo l’Associazione Nazionale Magistrati) nel 2008. Per confermare (o smentire) tale
ipotesi, si faccia riferimento alla tabella n. 4 circa la visibilità mediatica, e alla tabella n. 5 circa la
rilevanza mediatica pubblica:
26
Tabella 4 Incidenza di una issue specifica sulla visibilità mediatica di alcuni gruppi di interesse: regressione lineare
Coefficientsa
Unstandardized Coefficients
Standardized
Coefficients
Model B Std. Error Beta t Sig.
(Constant) 48,995 153,844 ,318 ,750
Tempo -,019 ,077 -,008 -,249 ,803
1
Issue su visibilità 8,822 2,006 ,146 4,397 ,000***
a. Variabile dipendente: Visibilità mediatica dei gruppi di interesse italiani (1992-2011)
b. N = 900
c. R-quadro corretto = ,019
d. * = p<0,10
e. ** = p<0,05
f. *** = p<0,01
Tabella 5 Incidenza di una issue specifica sulla rilevanza mediatica pubblica di alcuni gruppi di interesse: regressione
lineare
Coefficientsa
Unstandardized Coefficients
Standardized
Coefficients
Model
B Std. Error Beta t Sig.
(Constant) -107,008 715,532 -,150 ,881
Tempo ,059 ,357 ,015 ,164 ,870
1
Issue su rilevanza 12,104 5,901 ,182 2,051 ,042**
a. Variabile dipendente: Appeal mediatico dei gruppi di interesse italiani (1998-2011)
b. N = 125
c. R-quadro corretto = ,017
d. * = p<0,10
e. ** = p<0,05
f. *** = p<0,01
Sia la tabella n. 4 (la cui variabile dipendente è la visibilità mediatica), sia la tabella n. 5 (la
cui variabile dipendente è la rilevanza mediatica pubblica) sembrano confermare anche la nostra
27
ultima ipotesi: l’entrata di una particolare issue nell’agenda politica del governo produce un
incremento nell’esposizione mediatica goduta dai gruppi di interesse a tale issue connessa. Come
era nelle attese, in entrambi i casi il coefficiente beta è infatti positivo, e significativamente diverso
da zero (p = 0.000 nel caso della visibilità mediatica / p = 0.042 nel caso della rilevanza mediatica
pubblica).
6. Riflessioni finali e indirizzi di ricerca futura
Come la letteratura internazionale e diversi studi empirici evidenziano, i media rappresentano un
oggetto di indagine prezioso per l’analisi dei gruppi d’interesse, oltre che dei fenomeni politici in
generale. In primo luogo, la nostra ricerca conferma che anche in Italia sono numerosi i gruppi
d’interesse che ottengono spazio e attenzione sulla stampa nazionale, quasi quotidianamente in
alcuni casi, con minore frequenza ma sempre con continuità in altri. Ciò significa che anche nel
nostro paese i gruppi d’interesse attivi sistematicamente sono ben più numerosi dei soliti noti (le
parti sociali della concertazione, gli interessi forti che si oppongono alle riforme) e che le istanze di
cui si fanno promotori sono di varia natura, non solo economica. La ricerca qui presentata – che
pure riguarda una parte considerevole di gruppi, ma non ancora la totalità dei gruppi d’interesse
italiani – distingue fra nove categorie d’interessi ed evidenzia come non solo i gruppi economici e i
sindacati, ma anche organizzazioni di altra e diversa natura siano attive nell’arco temporale
considerato e in grado di mantenere una visibilità mediatica su diverse testate nazionali.
Un’ulteriore evidenza emersa dall’indagine sui quotidiani più diffusi a livello nazionale
riguarda il differente spazio occupato dai diversi gruppi e la distinta attenzione che le varie testate
accordano a gruppi economici, istituzionali, d’interesse pubblico, a organizzazione legate al mondo
della scuola e dell’università. Anche all’interno di quelli economici, vi sono poi gruppi
tradizionalmente rilevanti che hanno una visibilità più altalenante (i sindacati, ma non le grandi
imprese) o gruppi economici storicamente importanti che – dato il peso relativo del settore di policy
(agricoltura) – hanno visibilità molto limitata rispetto ad altri. Vi sono poi categorie di interessi
diffusi e istituzionali, legati a scuola e università che – diversamente da altri paesi – rimangono
marginali dal punto di vista della visibilità mediatica, sintomo sia di scarse risorse sia di debole
attenzione dei media per ambiti di policy come ambiente, educazione e tutela dei consumatori (ma
su questo altre ricerche andranno svolte).
La seconda riflessione da fare è che la strategia mediatica e il ricorso all’informazione per
mezzo della stampa è utilizzata da tutti i gruppi d’interesse, a conferma che pure con diversità di
risorse e capacità, di relazioni privilegiate, la visibilità mediatica è importante per tutti i gruppi
d’interesse; non solo per ‘esserci’ e contare, ma anche per informare, comunicare posizioni e
28
condizionare idee e convinzioni di altri attori, dei propri membri, dell’opinione pubblica in generale
circa tematiche e problemi di policy all’ordine del giorno. Anche in Italia, quindi, lungi dall’essere
‘uno strumento dei gruppi deboli’, la presenza sui media è strategia diffusamente utilizzata da tutti i
gruppi d’interesse. Non solo, ma le differenze di status, di risorse e di networking si riverberano con
grandi differenze sulla visibilità mediatica media dei gruppi d’interesse: come si vede dai dati e
dalle tabelle, i gruppi di testa distanziano di gran lunga gli altri, con continuità nel tempo e – con
qualche differenza – sulle quattro diverse testate.
Infine - anche per il caso italiano - la distinzione fra insider e outsider interest groups non
sembra perdere il suo appeal; come abbiamo già detto, oggi ben pochi sembrano gli outsiders puri,
mentre i ‘core insiders’ continuano ad essere i gruppi economici sezionali dotati di grandi risorse e
capaci di strategie differenziate. Ciò confermerebbe la celebre citazione di Schattschneider (1960,
34-35) – ripresa da molti contemporanei (Binderkrantz, Schlozman e altri ancora) – «The flaw in the
pluralist heaven is that the heavenly chorus sings with a strong upper-class accent37»).
Alla luce di tutto ciò, il compito del ricercatore è non dare per scontato che i gruppi più
influenti siano quelli più visibili sulla stampa, o che lo status di insider e di outsider sia una costante
nel tempo, quanto piuttosto una posizione che si guadagna sul campo e relativamente alle specifiche
issues. Ne consegue che le direzioni di ricerca futura, continuando a seguire un’impostazione
comparata e a utilizzare i media come oggetto d’indagine sui gruppi d’interesse, dovranno
sostanziarsi nell’analisi dell’esposizione mediatica dei diversi gruppi in relazione innanzitutto alle
diverse questioni di policy e ai grandi temi dell’agenda politica: un’analisi approfondita dei testi
degli articoli giornalistici può consentire di differenziare e standardizzare la visibilità mediatica di
ciascun gruppo su diverse questioni; si potrà quindi verificare se anche in Italia vi è una sorta di
divisione del lavoro fra i gruppi che tendono a concentrarsi su determinate questioni settoriali o sub-
settoriali.
Altri approfondimenti, invece, dovranno analizzare e mettere in relazione la visibilità
mediatica con le caratteristiche organizzative dei diversi gruppi e con la disponibilità di risorse –
finanziarie, di membership, ma soprattutto di personale e di strutture dedicate alle staretgie
comunicative e informative – così da verificare quanto conti lo status acquisito (da insider), quanto
le risorse e le capacità nel conquistare l’attenzione mediatica.
Infine, come si è già qui provato a fare in conclusione della parte empirica, vi sono grandi
questioni di policy che nell’arco dei 20 anni considerati hanno ricevuto grande attenzione sulla
stampa e sui media, ma che mobilitano differentemente i gruppi d’interesse; analizzare quali sono i
37 Su questa stessa linea si collocano recenti riflessioni riguardanti il tipo di accesso di cui godono certi gruppi, lo
status che ad essi viene attribuito dai pubblici poteri, le risorse e le strategie attivate dalle diverse categorie di gruppi, nonché la connotazione del sistema (pressure system) entro il quale essi operano (Christiansen et al. 2010).
29
gruppi d’interesse più attivi su tali questioni e quali sono le posizioni/reazioni di questi gruppi
consentirebbe di avere un’idea abbastanza precisa della diversità di vedute, così da ricostruire il
processo decisionale tenendo conto delle parti e della posta in gioco.
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