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Presentazione delle prediche del Ven. Don Vincenzo Cimatti ai Salesiani del Giappone registrate negli Esercizi Spirituali del luglio 1955 Di Don Cimatti abbiamo gli appunti di 44 mute di Esercizi Spirituali, che si possono leggere su internet nel sito salesiano SDL. Ma degli Esercizi predicati nello studentato salesiano di Chofu nella periferia di Tokyo dal 25 al 29 luglio 1955, possiamo sentire anche la sua viva voce. Furono registrati a sua insaputa da Don Federico Baggio a quei tempi missionario in Giappone. Da pochi anni era in uso il nastro magnetico, e le 3 bobine furono consegnate da lui al sottoscritto nel 2005, dopo 50 anni dalla registrazione. Furono trasportate subito in CD, trascritte e ora sono conservate nel Museo di Don Cimatti a Tokyo. La registrazione si può dire buona e la voce di Don Cimatti è vivace, piena di energia, di calore ed di espressione. Parla in italiano, perchè i partecipanti capivano questa lingua. Purtroppo nelle vicinanze c’era un piccolo campo d’aviazione da cui ogni tanto si alzava qualche velivolo, il cui rumore non si é potuto eliminare completamente. A quei tempi negli Esercizi si tenevano ogni giorno 4 prediche. Quelle del mattino e della sera erano le “Meditazioni”, le altre due, di carattere pratico, si chiamavano “Istruzioni”. Don Cimatti predicò 10 istruzioni sullo spirito salesiano, basandosi sugli scritti di Don Bosco e sulla sua esperienza. Lui lo spirito salesiano non solo lo insegnava, ma lo visse fedelmente per tutta la sua vita. Il Rettor Maggiore Don Renato Ziggiotti, suo antico allievo, lo definì: “Uno dei rappresentanti tipici dello spirito salesiano... Un salesiano perfetto, maestro di nome e di fatto delle virtú fondamentali per la nostra missione educativa.” Questi sono i titoli delle 10 istruzioni: 1 Seguire Don Bosco 2 L’unità di spirito 3 La confessione 4 Il rendiconto 5 Lo spirito missionario 6 L’obbedienza 7 La povertà 8 La castità 9 La preghiera 10 La carità. Personalmente, lascio il giudizio ai lettori e agli uditori, ma avendo io avuto la grazia di vivere con lui per 7 anni, nel fare questo lavoro di trascrizione delle sue parole ho rivissuto tanti bei ricordi e ringraziato il Signore di aver potuto vivere alla scuola di tanto maestro. Sono sicuro che le gusterete anche voi, nella speranza di vederlo presto Beato e poi Santo. Tokyo, 24 maggio 2013 Don Gaetano Compri, salesiano,Vice-postulatore della Causa del Ven. Don Vincenzo Cimatti

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Presentazione delle prediche del Ven. Don Vincenzo Cimatti ai Salesiani del Giappone

registrate negli Esercizi Spirituali del luglio 1955

Di Don Cimatti abbiamo gli appunti di 44 mute di Esercizi Spirituali, che si possono leggere su internet nel sito salesiano SDL. Ma degli Esercizi predicati nello studentato salesiano di Chofu nella periferia di Tokyo dal 25 al 29 luglio 1955, possiamo sentire anche la sua viva voce.

Furono registrati a sua insaputa da Don Federico Baggio a quei tempi missionario in Giappone. Da pochi anni era in uso il nastro magnetico, e le 3 bobine furono consegnate da lui al sottoscritto nel 2005, dopo 50 anni dalla registrazione. Furono trasportate subito in CD, trascritte e ora sono conservate nel Museo di Don Cimatti a Tokyo. La registrazione si può dire buona e la voce di Don Cimatti è vivace, piena di energia, di calore ed di espressione. Parla in italiano, perchè i partecipanti capivano questa lingua. Purtroppo nelle vicinanze c’era un piccolo campo d’aviazione da cui ogni tanto si alzava qualche velivolo, il cui rumore non si é potuto eliminare completamente. A quei tempi negli Esercizi si tenevano ogni giorno 4 prediche. Quelle del mattino e della sera erano le “Meditazioni”, le altre due, di carattere pratico, si chiamavano “Istruzioni”. Don Cimatti predicò 10 istruzioni sullo spirito salesiano, basandosi sugli scritti di Don Bosco e sulla sua esperienza. Lui lo spirito salesiano non solo lo insegnava, ma lo visse fedelmente per tutta la sua vita. Il Rettor Maggiore Don Renato Ziggiotti, suo antico allievo, lo definì: “Uno dei rappresentanti tipici dello spirito salesiano... Un salesiano perfetto, maestro di nome e di fatto delle virtú fondamentali per la nostra missione educativa.” Questi sono i titoli delle 10 istruzioni: 1 Seguire Don Bosco 2 L’unità di spirito 3 La confessione 4 Il rendiconto 5 Lo spirito missionario 6 L’obbedienza 7 La povertà 8 La castità 9 La preghiera 10 La carità.

Personalmente, lascio il giudizio ai lettori e agli uditori, ma avendo io avuto la grazia di vivere con lui per 7 anni, nel fare questo lavoro di trascrizione delle sue parole ho rivissuto tanti bei ricordi e ringraziato il Signore di aver potuto vivere alla scuola di tanto maestro. Sono sicuro che le gusterete anche voi, nella speranza di vederlo presto Beato e poi Santo.

Tokyo, 24 maggio 2013Don Gaetano Compri, salesiano,Vice-postulatore

della Causa del Ven. Don Vincenzo Cimatti

Esercizi Spirituali di Don Cimatti registrati - Tokyo 25~29 luglio 1955

Indice1 Presentazione2 Prima predica - Seguire Don Bosco pag.3 Seconda predica - L’unità di spirito4 Terza predica - La confessione5 Quarta predica - Il rendiconto6 Quinta predica - Lo spirito missionario7 Sesta predica - L’obbedienza8 Settima predica - La povertà9 Ottava predica - La castità10 Nona predica - La preghiera11 Decima predica - La carità

Prima predica – SEGUIRE DON BOSCO25 luglio 1955 mattino

Vi voglio fratelli evitare parole di presentazione, ce l’ha già fatta il nostro bravo ispettore.Il sottoscritto ha aderito volentieri al desiderio del nostro Superiore perché sono sempre

felice quando posso parlare più intimamente ai nostri cari confratelli.Sapete già che cosa vi posso dire; non so altro che ripetervi quanto i nostri vecchi

superiori hanno insegnato a noi. Di quanto essi hanno appreso direttamente, più o meno dal nostro caro Don Bosco. Anzi quest’anno mi sono proposto più che la povera mia parola, cercherò di far sentire la parola del nostro Don Bosco, farcela sentire vicendevolmente, per essere così più persuasi se realmente camminiate nello spirito del nostro caro Don Bosco, nello spirito della nostra cara società.

Nel settembre del 1881 il nostro Don Bosco, come sapete, ha fatto uno dei suoi sogni più importanti ed è scritto tutto di sua mano, che gli svelava l’avvenire grandioso della nostra Congregazione e anche i pericoli che minacciavano di annientarla. Vi ricordate? “Qualis esse debet et qualis esse periclitatur.” E tra le varie massime che sono state annunziate specialmente nella fine del sogno, ci sono queste, che ricordo: “Argumentum praedicationis, mane, meridie et vespere. Quot sunt verba signata, tot sint argumenta praedicationis”.

Vi ricordate, che erano in quei diamanti raffigurate le virtù principali che devono ornare i Salesiani, come all’opposto, quando le cose fossero andate male, quando la Congregazione fosse, direi, sulla strada di dissoluzione, che cosa era scritto, tutti lo ricordiamo: “Indesinenter praedicate opportune et importune. Attendite et intelligite: meditatio mattutina et vespertina sit indesinenter de observantia Constitutionum. Si sic feceritis nunquam vobis deficiet Omnipotentis auxilium et spectaculum facti eritis mundo et angelis".

Ricordatevi perfettamente queste parole che mi pare possiamo dunque riassumere in queste altre tre brevi parole che possono essere il programma di azione nostro di tutta la nostra vita salesiana: PREDICARE, PRATICARE e TRAMANDARE quanto precisamente il nostro Don Bosco ci ha insegnato con gli scritti, con la parola, specialmente con l’esempio.

Ecco il motivo per cui nei nostri Santi Spirituali Esercizi vogliamo avvicinarci sempre più vicino alla mente, al cuore del nostro Don Bosco; sentire la sua viva parola. È questo che mi propongo di fare precisamente in questi Sacri Spirituali Esercizi.

Permettete ancora un piccolo pensiero: perché dobbiamo insistere su questa predicazione nello spirito di Don Bosco, nello spirito della nostra Congregazione. Perché vedete, - qui entriamo nella storia - stamattina ci si parlava anche di quello. Sicuro, fra non molti anni, - non è il caso di fare delle profezie, - ma la nostra Congregazione qui in Giappone sarà in mano ai giapponesi. Necessita quindi che ora noi, che siamo nelle condizioni attuali di far

crescere vicino a noi queste care anime giapponesi salesiane, che crescano realmente secondo lo spirito del nostro fondatore, secondo lo spirito della nostra Società; e abbiamo bisogno quindi di PREDICARE, PREDICARE, PREDICARE quanto ci ha insegnato Don Bosco ma in modo speciale PRATICARE, PRATICARE, PRATICARE; che i nostri confratelli giapponesi vedano in noi veri esempi d’intensa vita salesiana; e quindi TRAMANDARE. Ricordate nella Messa del nostro Don Bosco: “Quello che io vi ho insegnato, quello che avete udito da me, sia tramandato ed eseguito.”

Ecco il motivo dico di cui in questi Santi Spirituali Esercizi mi sono proposto di fare.

Nel primo capitolo generale del 1877, Don Bosco volle che questo primo capitolo fosse celebrato con la massima solennità ed invitò fra gli altri, anche il celebre, allora, Padre Franco della Società di Gesù, in quel tempo uno degli asceti più notati, più quotati affinchè portasse anche il suo contributo a che il Capitolo riuscisse realmente bene. E questo buon Padre fece un discorso che disgraziatamente neppure nei verbali del capitolo fu notato, salvo il titolo. Un discorso su questo tema: “È necessario che adesso all’inizio della vostra Congregazione vi facciate una coscienza Salesiana, una coscienza religiosa”.

Ecco cari confratelli, è appunto anche con questo pensiero, - che fu, direi così, il primo pensiero base di quel primo capitolo generale a cui Don Bosco annetteva la massima importanza essendo il primo; da poco la Congregazione era stata approvata; - quindi dico, anche noi che ci esaminiamo realmente se abbiamo questa coscienza salesiana, se abbiamo questo senso di responsabilità nell’esercizio dei nostri doveri, nell’esercizio dei doveri generali della vita cristiana, della vita nostra salesiana; nei doveri poi particolari che sono affidati ad ognuno di noi; cerchiamo, dico, in questi santi giorni appunto di richiamarci a questo; e allora ho detto nelle mie parole, PREPARAZIONE, dare una scorsa a tutto il nostro Don Bosco, a tutte le sue predicazioni, quelle che ci sono tramandate nei 18-19 volumi scritti nella vita del nostro Don Lemoine, del nostro Don Ceria; anche alle Buonenotti, una scorsa generale.

Ma mi ha colpito di più, per ciò che si riferisce all’argomento che vogliamo trattare, questo fatto: dal 1869 fino al 1874 che fu il periodo direi più travagliato della vita di Don Bosco, - pensate: l’approvazione della Congregazione, l’approvazione della Regola, la comunicazione dei privilegi, la fondazione dell’Istituto delle figlie di Maria Ausiliatrice, i cooperatori salesiani, i figli di Maria, le lotte che ha dovuto subire anche dall’autorità ecclesiastica - è tutto incluso in questo periodo ed è in questo periodo in cui vi sono una decina, una dozzina di circolari scritte realmente dal nostro Don Bosco in cui egli all’inizio appunto della congregazione, sente in certa qual maniera il bisogno di far sentire ai suoi figlioli la sua parola, affinchè non avvenissero equivocazioni intorno allo spirito che deve sorgere, che deve svilupparsi nella nostra società, affichè possa far produrre i suoi frutti.

E allora visto che c’era questa bella manna delle circolari Don Bosco, Don Bosco, dico,

aspetta: perché non possiamo evidentemente anche noi ripassarle; le abbiamo lette una volta o anche più volte, ma il rinfrescarle e sentire realmente la parola viva del nostro padre; il pensare che certamente, spiritualmente, possiamo immaginare che è qui in mezzo di noi e che sarà contento di sentire che le parole che egli disse a quei suoi primi figlioli sono adesso come una eco dolcissima che penetra nelle menti e nelle anime dei suoi figlioli qui in Giappone; penso proprio che sarà contento e nello stesso tempo sarà più che utile per noi. Perché, vedete, le circolari del nostro Don Bosco sono veramente il programma di tutta la nostra vita salesiana.

Siamo al 24 maggio 1867: l’autografo segna questa data. Ma poi alla fine, quando Don Bosco l’ha pubblicata e l’ha resa nota a tutti i suoi figlioli, c’è

la data del 6 giugno 1867, che era la solennità di Pentecoste. 24 maggio! Don Bosco voleva scegliere queste date che richiamano più la Madonna, che

richiamano la nostra Ausiliatrice. Gli Apostoli furono lodati dal Salvatore e venne loro promesso un regno eterno, non

perché abbandonarono il mondo, ma perché abbandonandolo si professavano pronti a seguirlo nelle tribolazioni come avvenne di fatto, consumando la loro vita nelle fatiche, nelle penitenze, nei patimenti, sostenendo per primi il martirio della fede. Non dimentichiamo la festa di oggi, San Giacomo.

Nemmeno con buon fine entra e rimane nella Società chi è persuaso di essere necessario alla Provvidenza. Ognuno se lo imprima bene nella mente e nel cuore, cominciando dal superiore generale fino all’ultimo dei soci: nessuno è necessario nella Società; Dio solo deve essere il capo, il padrone assolutamente necessario. Perciò i membri di essa devono rivolgersi al loro capo, al loro vero padrone, al Rimuneratore, a Dio, e per amore di lui, ognuno deve farsi iscrivere nella società; per amore di lui, lavorare, obbedire, abbandonare quanto si possedeva al mondo, per poter dire in fin di vita al Salvatore che abbiamo scelto per modello: "Ecce nos reliquimus omnia et secuti sumus te. Quid ergo erit nobis".

Mentre noi diciamo che ognuno deve entrare in Società in base del solo desiderio di servire Dio, ma però, con l’intenzione di fare del bene a sè stesso, s’intende fare a sè stesso il vero bene, il bene spirituale ed eterno. Chi vi cerca una vita comoda, una vita agiata non entra con buon fine nella nostra Società; noi mettiamo per base la parola del Salvatore che dice: “ Chi vuole essere mio discepolo vada, venda quanto possiede nel mondo, lo dia ai poveri e mi segua”.

Non dimenticate. Perfezione di amore del cristiano: “Ama il tuo Dio, con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua volontà; e ama il tuo prossimo come te stesso.” Ecco la perfezione di amore cristiana. E Gesù benedetto a noi ha fatto sentire l’altra parola; ci ha dato tre mezzi di cui leggevamo per potere vincere le difficoltà spirituali in cui noi ci troviamo: “Va, vendi ciò che ti ostacola, Abneget!.....”

Abbiamo qui presenti i nostri cari confratelli che alla fine degli esercizi emetteranno i loro voti perpetui. Ieri ci dicevamo precisamente questo: è questo distacco assoluto, specialmente poi da noi stessi, dal nostro io, che richiede da noi il Signore. Ed è questo mistero, non solo di questa perfezione di amore, ma di questa perfezione religiosa, per cui noi ci consacriamo totalmente come diceva il nostro San Francesco di Sales: “Se vedessi nel mio cuore anche solo una piccola fibra che non fosse per questo, la strapperei". 14,08-16,22 (A questo punto la registrazione non è intelligibile. Furono eliminati 2’ 15”)……

Dobbiamo essere disposti a questo; e abbiamo promesso solennemente al Signore che se anche questo avvenisse siamo pronti; non è così?

Entrato un socio con queste buone disposizioni, deve mostrare senza pretese ed accogliere con piacere qualsiasi ufficio gli possa essere affidato: insegnamento, studio, lavoro, predicazioni, confessioni in chiesa, fuori di chiesa, le più basse occupazioni devono assumersi con ilarità e prontezza di animo perché Iddio non guarda la qualità dell’impiego, ma guarda il fine di chi lo copre. Quindi tutti gli uffici sono ugualmente utili perché ugualmente meritori agli occhi di Dio.

Miei cari figlioli, abbiate fiducia nei vostri superiori; essi debbono rendere stretto conto a Dio delle vostre opere; e perciò essi studiano la vostra capacità, le vostre propensioni e ne dispongono in modo compatibile alle vostre forze, ma sempre come loro sentono per la maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime.

Ecco miei buoni confratelli.... prima possiamo dire che ha scritto il nostro Don Bosco ai suoi figlioli, e vediamo che ha messo la base, la base assoluta: “Santificazione dell’anima propria per la maggior Gloria di Dio e in seguito per la salute delle anime.” Primo e secondo articolo delle nostre costituzioni; riflettiamo su questo miei buoni confratelli. E rinnoviamoci in questo spirito di consacrazione totale nostra al Signore.

Il nostro venerato Rettor Maggiore (Don Ziggiotti nel marzo-aprile 1955), nella sua visita che ancora ci richiama tanti bei momenti passati con lui. Riprendo le sue parole, i suoi consigli.

Nella conferenza che tenne ai confratelli aventi una direzione, lasciava questo ricordo; e siccome ognuno di noi nel suo ambito ha le sue responsabilità, di superiorità, mi sembra che possano far bene per tutti: “Per chi ha la responsabilità di direzione ha come primo dovere quello di amministrare bene sè stesso. Dobbiamo fare questo lavorio essenziale su noi stessi. Deve essere secondario e sarà dimenticato? Questo no; Dio non s’inganna. Egli vede l’animo del nostro lavoro; ed è questo che egli vuole. Purtroppo noi attendiamo tanto a fare, a strafare, e forse anche a malfare e trascuriamo la parte più importante, il nostro lavoro personale; insegniamo, predichiamo per gli altri e poi siamo noi che non facciamo quello che diciamo e magari ci lamentiamo che gli altri non ci seguono. La più bella predica è fare noi quello che diciamo, se nò è inutile.”

Collegate questo con le parole che abbiamo sentito dal nostro Don Bosco.E come conclusione, miei cari confratelli, mi sembra che dobbiamo pensare proprio così:

“Santifichiamoci e saremo in grado di santificare gli altri.” E badate, saremo in grado di santificare gli altri in proporzione della nostra santità. Ecco un pensiero che deve starci fisso nella mente e nel cuore; e più che tutto nelle nostre opere.

È qui vedete il vero senso di responsabilità e di convinzione che dobbiamo avere sempre presente a noi stessi; certo, ci siamo fatti Salesiani per assicurare sempre più e meglio la salvezza dell’anima nostra; ma come lavoro salesiano, come lavoro missionario, come lavoro sacerdotale, certo, vogliamo anche lavorare per il bene delle anime che il Signore ci vorrà affidare affinchè tutto cooperi alla sua Gloria.

E allora ecco la piccola domanda; facciamola al nostro San Francesco di Sales e al nostro Don Bosco, riassumendo i pensieri che abbiamo udito questa mattina come commento del Pater noster: “La santità dipende dall’umile e quotidiana osservanza dei doveri del proprio stato, a tempo e luogo e solo per amore del Signore.”

Badate, che nello spirito di San Francesco di Sales, che Don Bosco ha preso tutto, l’osservanza del dovere, dobbiamo avere presente che deve essere un qualche cosa di compiuto, di preciso, non così come un quid di meccanico, un quid di cose che serve per vivere alla giornata. Notate le ultime parole: “Per amore.” È questo che deve santificare tutto il nostro dovere, che deve santificare e farci fare dei meriti, anche quando nell’esecuzione del dovere noi triboliamo. La santità dipende dall’umile e quotidiana osservanza dei doveri del proprio stato, quelli che ci sono affidati , a tempo e luogo e solo per amore del Signore.

Ecco vedete, questo è realmente il piccolo martirio della nostra vita quotidiana; abbracciamolo con gioia. E riflettendo un poco sulla nostra anima, vediamo a che punto siamo della nostra santificazione secondo lo spirito del nostro Don Bosco, secondo quanto desidera e vuole da noi il Signore per godere in questi santi giorni e prendere poi quelle risoluzioni più opportune, affinchè realmente questo scopo della nostra santificazione sia totalmente eseguito.

Ci aiuti Maria Santissima, la nostra buona mamma, ci aiuti anche il nostro Don Bosco a fare sì che il lavorio spirituale che vogliamo fare in questi santi giorni riesca veramente efficace per le anime nostre e allora sarà poi efficace per le anime che sono a noi affidate, e ne verràin conclusione la Gloria del Signore a cui tutti aspiriamo.

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

Seconda predica - UNITA’ DI SPIRITO25 luglio 1955 pomeriggio

"Haec est voluntas Dei sanctificatio vestra." È il Signore che viene in pieno a convalidare quanto ci dicevamo questa mattina. Santifichiamoci e se faremo così, saremo utili strumenti nelle mani del Signore per santificare anche gli altri. Non dimenticatevi miei buoni fratelli, perché è qualche cosa che alle volte può venire nella testa di qualcuno; il pensare cioè che, l’essere noi salesiani, sia una condizione di fatto più che speciale in questo mondo.

Sì, siamo stati scelti dal Signore, appunto in questa nostra cara congregazione. Ma badate, che prima di essere salesiani, siamo cristiani; e badate bene, se analizzate precisamente le nostre sante regole, il nostro Don Bosco ci propone precisamente come santificazione questa: la perfezione della nostra vita cristiana.

Il nostro Don Bosco mette a nostra disposizione dei mezzi che ci facilitano questo nostro obbligo, che ci siamo assunti quando abbiamo ricevuto il Battesimo, quando abbiamo ricevuto la Cresima, quando il Signore è disceso in noi e discende in noi nella Santa Eucarestia: è la perfezione della vita cristiana. Quindi anche, se sentite , diremo così, che i salesiani parlano molto di Don Bosco, noi dobbiamo pensare precisamente a questo: I mezzi e suggerimenti che ci dà il nostro Don Bosco sono precisamente per facilitarci questo che noi abbiamo professato con la nostra scelta: la perfezione della vita cristiana.

In base a tutto l’insegnamento del Signore, e anche della lettura che abbiamo fatto questa mattina della circolare del nostro Don Bosco e in quelle che faremo in seguito, non vediamo altro che citazioni del Vangelo di nostro Signor Gesù Cristo; non dimentichiamolo questo, miei pochi confratelli: "Haec est voluntas Dei" è la volontà del Signore "sanctificatio vestra", coi mezzi, nel luogo, in quel tempo, che il Signore, nella sua Divina volontà ha stabilito. A noi il metterci con sforzo a eseguire questi mezzi che uniti alla Grazia del Signore, - evidentemente senza quella non possiamo fare niente, - riusciremo realmente a santificarci.

Ed ecco il nostro Don Bosco che insiste ancora su un mezzo, uno forse dei più importanti, e che badate, - è un povero mio pensiero, - è alquanto debole tra i salesiani del Giappone, quello che è chiaramente determinato dal nostro Don Bosco nel secondo capitolo delle nostre costituzioni. Quindi cerchiamo nel nostro caro padre che ci invita precisamente a rafforzare in noi questo “spirito di unità.”

Siamo storicamente nel periodo in cui Don Bosco, ha approvato finalmente, dopo tutte le difficoltà che conosciamo, la sua congregazione. E sembra nel leggere le sue parole, di sentire la soddisfazione: che finalmente aveva raggiunto quello che gli era costato tanti anni di lavoro, di sacrifici. “La nostra Congregazione è approvata, - siamo nel 1869 quando avvenne appunto l’approvazione della congregazione, - Noi siamo vincolati gli uni agli altri, io sono legato a voi, voi siete legati a me, e tutti insieme siamo legati a Dio. La Chiesa ha

parlato. Dio ha accettato i nostri servizi, noi siamo tenuti a osservare le nostre promesse. Non siamo più persone private, ma formiamo una società, un corpo visibile; godiamo di privilegi, tutto il mondo ci osserva. E la Chiesa ha diritto all’opera nostra. Bisogna dunque che d’ora innanzi ogni parte del nostro regolamento sia eseguita puntualmente. Noi siamo quelli che dobbiamo fondare questi principii su rette basi, affinché quelli che verranno dopo non abbiano che a seguirci.”

Ricordate proprio il pensiero di stamattina, la posizione cioè in cui ci troviamo noi di fronte ai nostri cari confratelli giapponesi, che fra non molti anni evidentemente saranno alla testa della nostra cara Società qui in Giappone.

Ricordiamoci sempre che noi abbiamo scelto di vivere in società, noi abbiamo scelto di vivere in UNUM. Che cosa vuol dire questo abitare in UNUM? Vuol dire IN UNUM LOCUM, IN UNUM SPIRITUM, IN UNUM AGENDI FINEM.

Dobbiamo prima di tutto, ed è questa la prima condizione di una società religiosa, abitare IN UNUM, sia unità di corpo. “Una congregazione religiosa deve avere come un corpo umano, deve constare come un corpo umano del capo e delle membra, le une subordinate alle altre, tutte poi subordinate al capo.” E così il nostro Don Bosco fa poi tanti casi particolari; accenna anche all’ammiraglio, costituzione del corpo mistico della Chiesa per far capire precisamente questa unità di corpo spirituale.

E continua: “Perché una società come la nostra prosperi, è necessario che sia bene organizzata, ci sia cioè chi comanda e chi obbedisce. Chi faccia una cosa e chi un’altra, secondo le proprie capacità. Nè chi ubbidisce deve invidiare la sorte di chi comanda, nè chi lavora la sorte di chi studia e simili, perché tanto che gli uni che gli altri sono necessari; e ove tutti studiassero e tutti comandassero non vi potrebbe più esistere varietà; supponete che nel corpo vi fosse tutto occhio o tutto orecchio o tutto mani; ecco vi sarebbe ancora un corpo vivente? No, ma un mostro. Quindi nella nostra società vi deve essere chi predica, chi confessa, chi studia, chi insegna, chi provvede ai bisogni materiali, chi ai morali; e ciò posto, si richiede obbedienza al capo che metterà uno ad un ufficio e l’altro ad un altro. E questo è come il perno su cui si regge tutta la nostra società; perché se manca l’obbedienza tutto sarà disordinato; se invece regna l’obbedienza allora si formerà un corpo solo e un’anima sola per amare e servire il Signore.”

Ecco lo scopo. Il servizio divino, la Gloria di Dio, la salute delle anime, e prima, dell’anima nostra; non dimentichiamolo mai. Delle volte, noi con questo frasario Gloria di Dio e salute delle anime, ci mettiamo sì in mezzo a questo lavoro per fare del bene, ecc. ecc., e dimentichiamo noi stessi che è precisamente il punto fondamentale. Santifichiamoci e allora santificheremo anche gli altri. E Don Bosco qui ci svela quei particolari - direi - che sono propri della nostra vita e fa dei casi: “Colui che fa scuola, colui magari che scopa, colui che attende a cose materiali; e il frutto, il frutto, - ecco l’utilità del vivere in comune, - il frutto è sempre uguale per tutti; tanto per uno che esercita un ufficio alto, come per colui

che eserciti il più umile; dopodichè tanto avrà di merito chi predica, colui che confessa, che insegna, che studia, come colui che lavora in cucina, che lava i piatti o che scopa. Nella società, il bene di uno resta diviso fra tutti, come anche il male in un certo qual modo resta male di tutti. Perciò qualunque impiego uno abbia lo adempia. Ciascuno davanti a Dio avrà il merito per l’obbedienza. Si lavora in comune e si dorme in comune; se si fa il bene, si ha i meriti uguali dinnanzi a Dio, se si fa il male tutta la congregazione ne perde.” Sicuro, perché non ci sarà la benedizione di Dio.

Ed ecco in secondo luogo l’unità di spirito, l’unità di obbedienza, di cui parleremo poi nelle istruzioni successive; questo in generale.

“In particolare vi dò due consigli: si guardi bene dal rompere tale unità.” E badate che Don Bosco fa gli esempi della rottura di questa unità di corpo proprio nell’ambiente, - ne parleremo in seguito, - dove il salesiano deve manifestare tutta la sua caratteristica di educatore salesiano: nel cortile, e accenna a crocchi di chierici, crocchi di superiori che invece di attendere ai giovani, parlano fra di loro. E quindi non curano questo loro dovere così importante dell’assistenza. “Vigilanza, giri per la casa. - e conclude - Oh se sapeste il bene che fa il salesiano quando di tanto in tanto fa dei giri per la casa. Si scopre sempre qualche cosa di difettoso. Ed è in questa maniera che si possono anche evitare peccati dei giovani.”

Miei cari confratelli, chi di noi è stato molti anni nelle nostre case, pensi alla sua gioventù e pensi le mancanze che scappando fuori dal cortile, noi forse, mi ci metto in mezzo pure io, abbiamo commesso. E pensa, - Don Bosco insiste su questo concetto - anche questa è rottura di unità di corpo.

Ogni giorno la visita al Santissimo Sacramento: santificando prima noi stessi procureremo di santificare gli altri.

E ha una magnifica circolare che è scritta nel mese di maggio, senza data, ma è certo in questo periodo di tempo dell’approvazione della regola che è intitolata: “Unità di spirito e di amministrazione mediante l’osservanza di ogni articolo delle costituzioni”

Io sono persuaso che voi abbiate tutti ferma volontà di essere perseveranti nella Società e quindi di adoperarvi con tutte le forze a guadagnare le anime a Dio e per prima salvare l’anima propria. Per riuscire in questa grande impresa dobbiamo per base generale usare la massima sollecitudine per mettere in pratica le regole della Società. Perché a nulla gioverebbero le nostre costituzioni se fossero come una lettera morta da lasciarsi nello scrittoio e nulla più. Se vogliamo che la nostra Società vada avanti con la benedizione del Signore è indispensabile che ogni articolo delle costituzioni sia norma nell’operare.

Tuttavia ci sono alcune cose pratiche e assai efficaci per conseguire lo scopo proposto e di questo voglio parlarvi. Fra queste vi noto: l’Unità di Spirito e l’Unità di Amministrazione.

E per Unità di Spirito intendo una deliberazione ferma, costante di volere o non volere quelle cose che il Superiore giudica o no a maggiore Gloria di Dio. Questa deliberazione non

si rallenta mai; comunque gravi siano gli ostacoli che si oppongono al bene spirituale ed eterno secondo la dottrina di San Paolo, "Charitas omnia suffert, omnia sustinet". Questa deliberazione induce il confratello ad essere puntuale nei suoi doveri, non solo per il comando che gli è fatto, ma per la Gloria di Dio che egli intende di promuovere. Da ciò ne deriva la prontezza nel fare all’ora stabilita la meditazione, la preghiera, la visita al Santissimo Sacramento, l’esame di coscienza, la lettura spirituale. È vero che queste cose sono prescritte nelle regole ma se non si procura di eccitarsi ad osservarle per un motivo soprannaturale, le nostre regole cadono in dimenticanza.

“Quello che potentemente contribuisce a conservare l’unità di spirito, è la frequenza ai Santi Sacramenti. I sacerdoti facciano quanto possono per celebrare con regolarità e devotamente la Santa Messa; coloro poi che non sono in tale stato procurino di frequentare la Comunione il più spesso possibile. Ma il punto fondamentale sta nella frequente Confessione.” Ne parleremo in un’altra occasione. Ognuno procuri di osservare quanto prescrivono le regole a questo riguardo. Dell’unità di obbedienza, e l’unità di amministrazione ne parleremo.

Animiamoci dunque tutti, specialmente per due cose: per primo cerchiamo di lavorare molto, di fare molto bene; dicano poi gli altri ciò che vogliono. Credetemi, contentare proprio tutti non si può, non è proprio possibile. Posso dirvi che questo è pur sempre il mio impegno, di non fare discontentare alcuno, ma vi avverto sempre più che accontentare tutti è impossibile. Lavoriamo perciò alacremente, facciamo quello che possiamo e facciamolo tutti. D’altronde, possiamo dire, non preoccupiamoci di quanto altri possono dire di noi. Noi diciamo sempre bene di tutti.

La seconda cosa in cui vorrei che ci impegnassimo tanto, si è di togliere la mormorazione anche fra di noi. Se qualcuno che abbia qualche nota da dire, ma ne parli coi superiori.

Su questo argomento che ci siamo, è vero, detto in tante in tante circostanze negli esercizi e nelle conferenze, in privato e in pubblico, insisto miei cari confratelli perché mi sembra che sia la cosa più semplice e naturale per evitare precisamente questo spirito di mormorazione; io non lo chiamo neppure mormorazione; la mormorazione è un’altra bestiaccia che assolutamente non deve entrare nell’anima di un cristiano, tantomeno nell’anima di un sacerdote. Questo spirito di critica, perché - direi così, - non siamo convinti ancora di questo spirito di unità, di cui ci parla il nostro Don Bosco.

Ah, se poteste tutti quanti fare uno studio concreto, direi così, o di fisiologia umana, oppure, vero, studi sopra le tante specie minerali e vegetali e animali; e studiare col microscopio alla mano, studiare con tutti i reattivi e i reagenti che abbiamo a disposizione, elementi chimici, elettricità, e andate dicendo e studiare minutamente anche solo uno dei più piccoli di questi esseri. Vedete, la perfezione di quei singoli elementi che tutti quanti uniti insieme formano l’unità di questo piccolo essere che io con gli occhi miei non posso vederlo se non armato di fortissime lenti. E ognuno ha il suo scopo, e ognuno ha la sua

parte. E precisamente, come diceva il nostro Don Bosco, come dice San Paolo, come dice Gesù benedetto stesso “ Io sono la vite e voi siete i tralci”. Ma se noi ci lamentassimo perché siamo proprio l’ultimo pollone che è là alla base della vita? ma perché il Signore mi tiene così nascosto? Eppure anche quella piccola parte della vita ha la sua importanza, e se manca non compie la perfezione; e così è di noi, miei cari confratelli.

Siamo riuniti in una comunità; c’è il superiore, ma il superiore faccia da superiore e non vogliamo noi fare la sua parte; facciamo la parte che ci è assegnata e facciamola al meglio che ci sia possibile. Abbiamo qualche cosa da dire, diciamolo con carità. Esponiamo pure il nostro pensiero; ma perché alle volte, miei cari confratelli, siamo in tre o quattro e si comincia a parlare di tizio, caio e sempronio; e magari è distante e si tirano fuori le imperfezioni, le pecche, le ....di questo individuo. Ma mi sembra che sia ragionevole che questo spirito si toglierebbe da noi se ognuno di noi facesse questo proposito: “Ho qualche cosa da dire al mio superiore, ho qualche cosa da dire al mio confratello? ma vado direttamente da lui. Ma senti caro superiore, succede così, così e così. Ma senti caro confratello, così, così così.” Beh, non vi sembra?

E così il direttore in relazione ai suoi confratelli, il prefetto per le sue parti e in relazione ai suoi confratelli, i consiglieri scolastici e i catechisti e i consiglieri professionali, e andiate dicendo, ognuno francamente, poi con delicatezza, con carità, con buona educazione, dicesse precisamente quello che gli sembra opportuno, di fronte al Signore, per il bene, per la Gloria di Dio, per la salute dell’anima sua, per la salute delle anime di cui egli è responsabile davanti al Signore. Ma dica. E allora non vi sembra che sarebbero evitate tutte quante queste cose? A me sembra una cosa così naturale!

E - ripeto,- ecco se poteste voialtri vedere e anche studiare e dire ognuno onestamente la struttura di tutti quanti gli esseri, che tutti tendono a questa unità, e tutti gli studi di modelli non tendono a questa unità? Unità di idee nel campo filosofico, unità di idee scientifiche, l’unità della materia e andate dicendo; tutti si riuniscono insieme per vedere di trovare dei punti per poter andare d’accordo tutti insieme. E noialtri che dovremmo formare una famiglia, noi che dobbiamo esser uniti, noi, ma dobbiamo proprio mangiarci vicendevolmente, e non essere capaci, diremo così, con franchezza, ma ripeto, con buona educazione? Perché alle volte si manifesta al superiore, lo si manifesta al compagno quello che si crede opportuno di non so, proprio in una forma triviale che non si farebbe neppure di fronte ad un uomo qualsiasi di questo mondo. Dov’è la carità?

Tutti possiamo sbagliare, ma si capisce. E allora per evitare precisamente questo, ecco vedete, è Don Bosco che ce lo consiglia. “C’è qualcuno che ha qualche cosa da dire? Ma ne parli con i superiori.” Io direi: ne parli con i superiori responsabili. “Sarà il direttore che avrà la responsabilità di tutto, ma in casa c’è anche il prefetto, in casa c’è il consigliere, c’è il catechista, e andate dicendo; ognuno ha le sue attribuzioni. Anche ognuno di voi altri a casa sua avrà le sue attribuzioni; non siete assistenti? non siete insegnanti? non siete voi

cari coadiutori capi del vostro laboratorio? e non c’è il sacrista, e cose simili?” Ma se abbiamo proprio qualcosa da dire, qualunque cosa voi vogliate: quel sacrista lì non fa niente, di quà e di là, di sù e di giù... Andate a dirglielo! ma attento, accende le candele, fa di quà e di là, mi pare, non vi sembra? Ma mi sembra così e così logico, così ragionevole!

“Ecco allora che ci sarebbe realmente lo comprendete anche voi altri questa unità di cuore, questa unità di mente, questà unità di carità che è più importante. Si cercherà ogni modo di togliere i motivi di malumore, ma nessuno si è mai lamentato di nulla. Specialmente sosteniamoci gli uni agli altri, sempre, sia tra noi che con altri; sia interni che esterni. Questo contribuirà grandemente all’incremento e al bene della congregazione.”

Mi sembra che più chiaro di così, non poteva parlare il nostro Don Bosco. Nel primo capitolo generale del 1877 di cui vi parlavo questa mattina, Don Bosco ha

stabilito lui il programma da seguire e sono 4 punti sostanziali che egli riteneva opportuni per il buon andamento della Società fino dall’inizio.

E in uno di questi punti, e ha scritto in grosso proprio: “Principio fondamentale: La vita comune è il legame che sostiene le istituzioni religiose; le conserva nel fervore, nell’osservanza delle loro regole; senza vita comune tutto va a soqquadro.” Non faccio altre citazioni dei suoi ricordi confidenziali e cose simili; basta questo spirito, questo che abbiamo accennato al riguardo.

Ma voglio concludere con i ricordi che Sua Santità, Pio IX, diede appunto a Don Bosco quando lo congedava rallegrandosi che finalmente aveva ottenuto l’approvazione della sua congregazione. Siamo al primo di marzo del 1869; dice il Papa: “Nello spirito e nell’unione, osservate ed imitate i gesuiti. Essi in primo luogo non manifestano a nessuno ciò che riguarda l’ordinamento e l’andamento interno delle loro case; quindi non danno appiglio alla gente di mettere lingua nei loro affari. Attenti quindi, nessuno conosca ciò che fate nell’interno: chi vada, chi venga, quali ordini diano i superiori, se vi saranno cambiamenti di personale e via discorrendo. Tenete celati tutti i difetti della comunità. Se qualche cosa avvenga che possa in qualche modo macchiare o diminuire il nome e la reputazione della società fate che rimanga sepolta ad ogni estraneo.”

Collegate, con questo principio di corpo, di cui tutti dovremmo investirci per compiere sempre meglio la nostra santificazione. Badate, non pensa tanto al bene che ne viene alla Società, quanto alla nostra santificazione.

Secondo: “In secondo luogo non sentirete mai un padre della Compagnia parlare meno favorevolmente di uno di loro, anzi è sempre con grandi elogi che rispondono a chi entra con loro in discorso di qualsiasi loro confratello. La carità è ingegniosa, nel trovar sempre argomento di lode; allo stesso modo sanno sostenere e far conoscere i pregi di quanti fra di loro si dà alle stampe o comunque si opera a vantaggio della chiesa, dei popoli, delle missioni e della gioventù. Uno per rutti e tutti per uno. Ecco la loro insegna; così voi, difendetevi a vicenda. In ogni circostanza; non si palesino le miserie di un membro della

società per quanti difetti egli abbia. Ogni membro sia disposto a sacrificare sè stesso per salvare il corpo e a vicenda animatevi al bene. Vi sia un solo spirito per raggiungere un unico fine. I molti e i cattivi, imbrogliano. La vostra congregazione fiorirà se si osserveranno le regole; e fino a che non vi entreranno troppi nobili e ricchi, perché con essi incominceranno ad introdursi le agiatezze, le parzialità e quindi la ribassatezza. Procurate sempre di attenervi ai poveri figli del popolo. Non falsate il vostro scopo per niente; finchè vi occuperete della gioventù povera, degli orfanelli, sempre con lo scopo di dare membri al clero, - ricordate il primo capitolo, i vari articoli, - con lo scopo di dare membri al clero, la vostra società andrà avanti bene, altrimenti degenererà.”

Ho voluto raccogliere anche questo pensiero. Si unisce precisamente, sia al momento storico della congregazione nostra, sia all’argomento che abbiamo trattato questa sera. E invito, cari confratelli, ognuno di voi, a rileggere il secondo capitolo delle nostre costituzioni, in cui, fondamentalmente, e in altre forme pratiche che tutti ci conosciamo e con cui pure dobbiamo esaminarci se le osserviamo.

Mi sembra dico, che se, terremo conto anche di questo, che in questa piccola conversazione famigliare ci ha fatto sentire il nostro padre. Ripeto, ne avvantaggerà assai assai l’anima nostra per poter raggiungere la finalità per cui ci siamo fatti salesiani: la santificazione dell’anima nostra.

Miei cari confratelli, certo, tutto questo deve essere poi basato, o meglio, la pietra fondamentale che deve guidarci a questa unità di corpo, nella nostra testa, nei nostri pensieri, nelle nostre parole, nella nostra azione, tutto quanto questo deve animarci e in questi giorni specialmente con un poco di meditazione, che ci faccia pensare se realmente in mezzo di noi esiste questa carità, questa ardente carità verso il Signore. Al cristiano è indicata, dicevamo questa mattina, la perfezione di amore. A noi è indicata, oltre questa, la perfezione religiosa che è, direi, la perfezione più perfezionata, se si può dire così, della vita cristiana.

Amiamoci tutti miei cari confratelli. E specialmente, facciamo questo proposito; stiamo attenti alla nostra maniera di parlare; e ripeto, abbiamo la franchezza, vedete per il bene dell’anima anche del confratello, e per il bene dell’anima anche del superiore perché ne ha bisogno anche lui.

In altre circostanze Don Bosco rassomiglia il superiore, a uno, direi, che deve sostenersi per la responsabilità che ha, a uno già un pò anziano che ha il bastone in mano e a volte dice ci sono i confratelli che danno la spinta al bastone affinchè il superiore cada; e delle volte capita così anche coi nostri confratelli.

Ripeto, abbiamo qualche cosa da dire; ma diciamocelo con carità, in belle maniere. Certamente questo servirà ad unire sempre di più le nostre anime, ripetiamo la solita frase: Per la Gloria di Dio e per la salvezza delle anime nostre e per la salvezza delle anime che il Signore ci affiderà.

Sia lodato Gesù Cristo; sempre sia lodato.

Terza predica - LA CONFESSIONE

26 luglio 1955 mattino

Sia lodato Gesú Cristo。Sempre Sia Lodato.Dopo la bella meditazione di questa mattina che certamente deve avere impressionato

l’anima nostra, rettificato tante e tante idee forse troppo deboli nella nostra testa e nel nostro cuore, mi pare sia naturale che parliamo della santa Confessione.

Don Bosco suggeriva non passasse muta di esercizi spirituali, a qualsiasi genere di persone, anche fossero sacerdoti, senza parlare di questo santo sacramento. Parliamone dunque quest’oggi, miei buoni confratelli, nell’intento di presentare alla povera anima mia e all’anima vostra il sacramento della Confessione qua tale, come strumento indispensabile per ottenere il perdono dalla bontà dei nostri peccati dalla bontà della Misericordia del Signore.

Ma il pensiero di Don Bosco, - non esiste, che io sappia, una circolare speciale diretta ai suoi figlioli su questo argomento, - ma si può dire che fra tutti i suoi discorsi, fra tutti i suoi scritti, - non dimentichiamo i suoi sogni, - vi è un materiale più che immenso per potere riunire il pensiero di Don Bosco a vantaggio dell’anima nostra.

Don Bosco, vedete, così per il sacramento della Confessione, non semplicemente - come dicevamo prima - il sacramento istituito da nostro Signor Gesù Cristo ad hoc per ottenere il perdono dei peccati quando ci siano le condizioni necessarie, ma vuol presentare anche ai suoi figlioli il sacramento della Confessione sotto altri rispetti: mezzo per correggere i difetti, mezzo per conservare la purità, “il punto culminante - sono le sue parole - per ottenere la moralità per noi e per gli altri”; il mezzo per conservare la nostra vocazione; il mezzo per potere tendere alla perfezione, caposaldo di tutta la nostra vita spirituale.

Ed è sotto questo aspetto miei cari confratelli, che vorrei presentare come piccola considerazione alla mia povera anima e alla vostra, questo sacramento della Confessione.

Può essere che qualcuno nel sentire le parole di Don Bosco, che in generale sono sempre rivolte ai giovinetti, pensi: tutto quanto questo serve per i ragazzi! Sì serve per i ragazzi, ma badate, miei cari confratelli, che anche noi siamo ragazzi nella vita spirituale. Non dobbiamo mica pensare di essere colossi, santi. Vogliamo tendere alla perfezione, desideriamo di farci santi, ma non lo siamo ancora. E penso che, quanto sentiremo da Don Bosco farà anche tanto del bene all’anima nostra.

Ma poi questo pensiero mi veniva spontaneo alla mente. Sì, Don Bosco, pensando a quanto ha detto, a quanto ha scritto, a quanto ha sognato in relazione alla Confessione, è sempre in mezzo al mondo dei suoi giovani. Ma ricordo che, nella prima muta di Esercizi a Trofarello, come ricordo all’inizio dei medesimi Esercizi, rivolto a quei primi confratelli diceva: “Quest’oggi nessuno esca da questa muta di Esercizi con degli imbrogli sull’anima.”

Parola ripetuta in altre occasioni; ed era presente un mio carissimo compagno, il caro Don Tozzi. Vari di voi altri lo conoscono, proprio là a Valsalice, e mi diceva il posto preciso dove Don Bosco, rivolto ai confratelli adunati appunto per gli Esercizi Spirituali - lui era ancora giovane, arrivava allora da Faenza - rivolto ai confratelli su quei tre o quattro primi scalini della scala che saliva alla chiesa, rivolto ai confratelli, e già allora la mente ripeteva le medesime parole: “Che nessuno esca da questa muta di Esercizi con degli imbrogli sull’anima.”

Miei cari confratelli, diciamolo anche all’anima nostra questa parola; e ripeto: quanto Don Bosco dice ai giovani, non dimentichiamo che lo dice anche all’anima nostra, che - ripeto,- nella via spirituale è ancora molto ragazza, è ancora molto giovane, molto inesperta; e fa certamente del bene anche per noi, quanto ai suoi giovani dice il nostro Don Bosco.

Vedete, dal 1860 al 65, Don Bosco vede il delinearsi chiaro pel suo modello e sente il bisogno intimo di determinare con precisione l’anima di questa congregazione. E tutti quanti i consigli che egli intendeva dare, erano affinchè questa congregazione avesse realmente lo spirito, l’anima, che egli anche per visioni soprannaturali aveva concretato. E allora si può dire che tutti i suoi consigli, le sue esortazioni, anche le lettere sue private non fanno altro che ripetere i medesimi argomenti, “opportune et importune”, e si può dire, quasi sempre con le stesse parole; e anche se si esaminano i suoi scritti, proprio alla lettera, e fra questi consigli fra questi suggerimenti, c’è certo il pensiero della Confessione, la necessità della Confessione dal punto di vista spirituale, la necessità della Confessione per tutti quei motivi di cui abbiamo parlato in precedenza.

Si vede così la forma più chiara in cui si manifesta il pensiero di Don Bosco in relazione alla Confessione è proprio nelle biografie dei suoi scritti. Voi ricordate. Può essere che le abbiate lette tutte almeno quelle che sono ordinariamente fra mano. Savio Domenico, Besucco, Magone, Colle Luigi, Pietro il fabbro; sono queste cinque biografie che rappresentano precisamente, se voi le considerate anche così sommariamente, proprio i caratteri diversi dei giovani e anche l’ambiente sociale in cui vivevano questi giovani. Lì, Don Bosco, se si analizzano un pò profondamente, non fa altro precisamente che dimostrare come per l’educazione di questi giovani sia stata così utile la Confessione.

Pensate voi, ripeto, alle esortazioni, alle conferenze, tanto ai giovani quanto ai chierici, quei primi chierici che hanno poi fondato, possiamo dire, la nostra congregazione. I capitoli generali, le lettere particolari, i sogni del nostro Don Bosco, in cui, vero, sotto il velo della metafora, dell’ immaginazione, espone appunto i difetti, la necessità della confessione, gli effetti del male che è guaribile semplicemente e solamente con la Santa Confessione. Quante industrie, possiamo ricordare, che Don Bosco usava per avvicinare quante più anime poteva, all’uso frequente e ben fatto della Confessione.

La condizione capitale per Don Bosco affinchè la Confessione dei suoi giovani sia fatta, oltre le condizioni evidentemente che tutti conosciamo dal catechismo, dagli insegnamenti

per i giovani, in particolare per l’efficacia spirituale della Confessione, Don Bosco insiste sulla Confessione frequente ben fatta, settimanale, salvo la necessità, evidentemente. La frequenza intemperante della Confessione, o rappresenta leggerezza o rappresenta un mecanicismo, insomma, non è un qualche cosa di corretto. La intemperanza nella Confessione può anche dare origine agli scrupoli; e Don Bosco si guardava bene di crearne, - anche direi, - con questo mezzo, se si può dire così, nei suoi giovani. Imponeva l’obbedienza, che è l’unica via d’uscita per correggere queste deficienze.

Altro punto capitale: confessore stabile! Ha ammesso pienissima libertà, e evidentemente l’abbiamo sentito e letto tante volte anche nei discorsi, nelle parlate, nelle buonenotti del nostro Don Bosco.

Terzo: nella vita spirituale occorre serietà! Ce lo siamo sentiti richiamare ieri nella bella meditazione.

Con questi punti fondamentali che egli suggeriva ai suoi giovani, per capire Don Bosco, forgiatore, - diremo, - di santità, bisogna pensarlo nel confessionale. E il risultato più bello è il nostro Savio, e lo dice anche Don Bosco: “Savio Domenico è un capolavoro della confessione, che fu il suo sostegno nella pratica della virtù e fu la guida sicura che lo condusse a un termine di vita tanto glorioso.”

Proprio la meditazione di questa mattina fu sul peccato. È il lato debole nostro; anche in relazione alla Confessione, possiamo proprio capirlo, da quello che abbiamo sentito. Qual’è la nostra mentalità, qual’è la nostra coscienza in relazione al peccato?

Sembra che il pensiero di Don Bosco - si desumi da tutti questi elementi di cui vi ho accennato prima, e ci fu anche generalmente richiamato questa mattina, - si possa teologicamente, pedagocicamente, spiritualmente riassumere in questa maniera: il peccato, è perdita della Grazia santificante, è offesa al Signore, è offesa divina.

Miei cari confratelli, nel nostro esame in preparazione alla Confessione, - ci siamo fermati anche solo un momento, - consideriamo Iddio sotto questi punti di vista: - Iddio è il Dio creatore. E tutti comprendiamo la forza di questa parola. - Gesù è il mio Salvatore. E quindi miei buoni confratelli, oggi, facciamo la nostra

preparazione alla confessione ai piedi del Crocifisso. Oh, richiamiamolo, voi giovani specialmente, con un pò di fantasia, con un atto

d’immaginazione, così bello, così ampia, riandiamo in quel momento alla Passione di nostro Signore Gesù Cristo. Proprio per i suoi, non dimentichiamo l’Ultima Cena, che cosa ha fatto Gesù in quell’Ultima Cena? Che cosa ha preceduto, che cosa ha seguito? “Exivit cum illis in Montem Olivarum.” Che cosa è succeduto là? È lì la vera passione di nostro Signore Gesù Cristo. E lì c’eravamo anche noi; noi con le nostre deficenze, noi coi nostri peccati, noi con le nostre incorrispondenze, noi con le nostre negligenze, noi con la nostra ingratitudine, noi con le nostre mostruosità. Ecco lì il peccato! E Gesù “abiit in Calvarium.” Seguiamo Gesù là, sul Calvario, e seguiamo Gesù anche là vicino alla croce; in quella prima confessione del

buon ladro. Nel nostro esame di coscienza, se noi precisamente ci investissimo di questi momenti

della Passione di nostro Signore Gesù Cristo, certamente, nel nostro cuore più profondamente sarebbe sentito che cosa è il massimo male, il peccato. - Lo Spirito Santo, mio santificatore.

Dunque, conclusione. Dice Don Bosco: “Se amiamo Iddio, - e per Don Bosco il prossimo è incluso in quella nota formula che ripetiamo forse un pò troppo meccanicamente: la Gloria di Dio è la salute delle anime, sicuro, - Dunque se amiamo Iddio, - dice Don Bosco - e il nostro prossimo, bisogna che questa offesa di Dio sia tenuta assolutamente lontana.”

Ma poi c’è un’altra considerazione, che ci viene a far constatare, che risulta dalle medesime altre considerazioni che entrano poi più profondamente nel campo educativo spirituale dei giovani.

“Il peccato è anche disgrazia, rovina dell’anima”, non solo offesa di Dio. “Disgrazia - la chiama così, sempre, il nostro Don Bosco, - rovina dell’anima.” L’anima perde la Grazia, è incapace di merito e da ciò, da ciò conseguenze psicologiche, disturbi, disordini nell’anima, disturbi, disordini nella volontà, disturbi, disordine anche nella nostra vita esterna. Ed è così, “Perché, in queste circostanze - dice Don Bosco, - non si può realizzare il nostro programma: allegria, pietà, studio.” Ci sarà della malavoglia, semplicemente, del sornionismo, dell’irrequietudine, dell’indocilità, della disattenzione alle cose dell’anima; insomma la Grazia del Signore non opera dove lavora il diavolo. Ecco, ecco il pensiero del nostro Don Bosco.

E allora, non c’è da meravigliarsi delle insistenze che Don Bosco attribuisce alla vigilanza attiva, il richiamo continuo a che in casa non ci sia il peccato, sia in noi, sia nei nostri giovani, e che il peccato non entri. Anche nel semplice accenno regolamentare al portinaio: “La scelta di un buon portinaio è una cosa importantissima per una casa.” La vigilanza che non entrino persone, non entrino libri, non entrino giornali, non entrino altre cose insomma che possono essere occasioni di peccato.

Eh, vedete, che questa vigilanza attiva, questa presenza attiva poi del salesiano di vigilanza verso le anime, ha precisamente questo scopo; di impedire, nei limiti del possibile, a che il peccato ci sia, a che il peccato entri. È necessario per compiere il nostro programma spirituale, miei cari confratelli, indipendentemente dal programma allegria, pietà e studio, che è pure il nostro programma; noi, vero, dobbiamo tendere alla perfezione ed è così chiaro.

In tante lettere, in tante conferenze del nostro Don Bosco conclude sempre così: “Se voi fate questo miei buoni figliuoli, avrete quella pace, quella serenità, quella tranquillità di anima che è necessaria per potere riuscire a servire realmente il Signore.” Pace, serenità, tranquillità! E allora scrive Don Bosco: “Ma chi non ha pace con Dio non ha pace con sè, non ha pace con gli altri. Rimane angosciato, inquieto, insofferente all’obbedienza, si irrita

per nulla, gli sembra che ogni cosa vada male.” Non è così? Voi che avete più esperienza del sottoscritto, perché avete fatto il tirocinio

anche nelle nostre case. Non abbiamo constatato tante e tante volte questo stato di cose? Non dico che dipenda semplicemente dal peccato o che sempre dipenda da questo; ci possono essere anche altre circostanze; ma il fondamento è qui, miei cari confratelli. Sicuro, se non c’è la pace con Dio, non c’è pace con sè, non c’è pace con gli altri, si rimane angosciati, inquieti, insofferenti, ci si irrita per nulla. Questo è il pensiero di Don Bosco.

E allora, non c’è che un rimedio: Confessione ben fatta; se è necessaria, generale, riparatrice. Confessione frequente, specialmente in caso di cadute; che quando Don Bosco parla di disastri e di cadute, comprendete anche voi altri di che cosa vuol parlare.

Unire a questo la frequente Comunione che è fonte di energie spirituali e morali, perché è allora che Gesù lavora. E sopra questo stato di Grazia vi si innesta la fioritura della Grazia attuale, che accompagna così la linea interiore del pensiero di Don Bosco. Leggete le biografie sue, leggete le conferenze, leggete le lettere. Speriamo di avere presto l’edizione completa che sarà un godimento spirituale, magnifico, per l’anima nostra.

Miei buoni confratelli, quello che Don Bosco suggerisce ai suoi giovani, può essere anche sentito da noi altri e deve essere anche attuato da noi altri. Perché non si riesce ad ottenere dalla Confessione questi frutti? Continua il nostro Don Bosco: “Ciò che manca radicalmente, - notate la parola, - ciò che manca radicalmente in tanti che si confessano, è la stabilità nel proposito. Si confessano, ma sempre le stesse mancanze, le stesse occasioni prossime, le stesse abitudini cattive, gli stessi disturbi in chiesa, discorsi cattivi, scherzi o faccende scandalose, le stesse disobbedienze, mancanza di rispetto agli assistenti, le stesse male abitudini, le stesse trascuranze dei doveri; e così si va avanti per mesi e mesi ed anche per anni ed anni; confessioni che valgono poco o nulla, quindi non recano pace. E se un giovane fosse chiamato in quello stato al tribunale di Dio sarebbe una strage.”

Queste sono dunque confessioni ben fatte? Io vi rispondo con le parole del Vangelo: “Dai frutti si conosce la pianta.” Se le confessioni

non fan frutto c’è molto da temere che se non sono sacrileghe, siano almeno nulle. Ciò indica o che non venne fatto il proposito, o che non si ebbe cura di mantenerlo in pratica; si direbbe qualche volta che si va a confessarsi per cerimonia e che si vuole tentare il Signore.

Bisognerà allora scandagliare il proprio cuore e cercarne la ragione; se vi è mancanza di esame, di dolore, se deliberatamente, per disgrazia, si fosse taciuto un peccato mortale o altro. E fatta quindi una buona confessione, troncare ogni legame che ci possa tenere avvinti al demonio e che ci metta nel pericolo di dannarci eternamente.

Ho detto che per Don Bosco, la Confessione rappresenta il punto culminante per ottenere la moralità. E scrive: “Punto culminante per ottenere la moralità, certo è la frequente Confessione e Comunione, ma proprio ben fatta; col dare grande comodità e col procurare confessori che si intendano di queste cose.”

Si fa molto, ma certo sarà quasi impossibile ottenere tutto; perché fa pietà il vedere lo stato di coscienza in forse nove decimi dei giovani. Nè l’avere ogni comodità li mette a posto; bisogna persuadersi che quando un giovane ha la disgrazia di lasciare imbrogli sulla coscienza, per lo più va avanti anni ed anni e non vi è solennità o muta di esercizi o morte di altri che lo colpisca; è proprio dire, che l’aggiustarsi delle coscienze viene proprio recluso, e che di tanto in tanto forse, quest’ultima situazione straordinaria fa rinsavire.

“Si studino però tutti i modi di dare comodità sempre maggiore, perché vi sarà sempre qualcuno, il quale in grazia di questo, lascerà operare sopra di sè la divina Misericordia e la sola probabilità di un buon successo, merita che ce ne occupiamo molto.”

Ed è certo così. Specialmente noi, che dobbiamo decidere, non dimentichino queste parole del nostro Don Bosco: “Diamo ampia comodità.” Badate che uno dei canoni della pietà di Don Bosco è: Libertà, libertà, non coecizioni; esordiamo, diamo la comodità, facciamo sorgere le occasioni.

Concludo col leggere un pensiero desunto precisamente dalla vita del nostro Savio e direi, se non altro un cenno di quanto il nostro Don Bosco ha sparso poi quà e là nei vari capitoli delle biografie, nei suoi sogni in relazione alla Confessione. Ed è qui che il suo pensiero non va semplicemente ai giovani, ma anche a coloro che hanno i voti religiosi e in genere ai cristiani. Sembra in certa qual maniera che Don Bosco, - pur direi esternamente mettendo tutti quanti i suoi consigli per venire a favorire i giovani, - pensa che il lettore, se sarà adulto, troverà anche la parola per lui; di tanto in tanto si lascia sfuggire: “I medesimi consigli per gli educatori, i medesimi consigli per i cristiani, per la famiglia cristiana”.

Scrive Don Bosco: “È comprovato dall’esperienza, che i più alti sostegni della gioventù sono il sacramento della Confessione e della Comunione. Datemi un giovane che frequenti questi sacramenti; voi lo vedrete crescere nell’età giovanile, giungere alla virile età ed arrivare, se così piace a Dio, fino alla più tarda vecchiaia con una condotta che è l’esempio di tutti quelli che lo conoscono. Questa massima la comprendano di più per praticarla, la comprendano tutti quelli che si occupano dell’educazione dei medesimi, per insinuarla. Accostarsi con frequenza, e tutte le volte che ci accosteremo a questo bagno di salute, non manchiamo di volgere il pensiero alle confessioni passate, per assicurarci che siane state ben fatte, e, se ne scorgiamo il bisogno, rimediamo ai difetti che vi fossero incorsi: difetti di ignoranza, colpe, inefficacia dell’uso del sacramento e andate dicendo.”

Volevo ancora fare un breve pensiero, in relazione, precisamente, ai frutti della Confessione.

Dice Don Bosco: “Tu fai la tua confessione e non c’è altro che quel risultato? Mi pare che lo conosco; ti dirò con le parole del Vangelo: dai frutti si conosce l’albero.”

Ecco miei cari confratelli, quanto ho potuto raccogliere in un pò di meditazione su questo argomento presentato, diremo, col pensiero del nostro caro Don Bosco. Ma mi ha fatto meraviglia, e concludo con questo, questo ultimo pensiero.

Il lavoro spirituale per il bene dell’anima nostra, per Don Bosco è l’uso scrupoloso del tempo: “La diligenza nell’adempimento del dovere, la frequente, sincera, ben fatta Confessione; uso scrupoloso del tempo”, dice il nostro Don Bosco.

Vedete, se non si apprezza il tempo, voi vedrete, e nell’anima vostra e nell’anima dei vostri giovani, nient’altro che questo: assonnamento spirituale, accidia, ozio, peccato. Diligenza nell’adempimento del dovere! Badate che per Don Bosco, è, si può dire, l’ottavo sacramento della vita spirituale. La vita è dovere. E il più delle volte il dovere è esteriore. Veramente sincera, ben fatta, la confessione.

Miei cari confratelli, ringraziamo il Signore che ha messo a nostra disposizione questo bagno salutare, in cui vengono cancellate le nostre colpe, grandi o piccole che siano, e pensiamo precisamente al pensiero di Don Bosco, che per noi la Confessione deve essere anche un elemento settimanale e anche con maggior frequenza in caso di necessità, per potere mantenerci continuamente in quella direzione di attività di perfezione che è il nostro credo.

Non dimentichiamo nella santa confessione la Passione di nostro Signore Gesù. Non dimentichiamo nella nostra confessione la parte che la nostra buona Mamma, Addolorata, ha avuto nella passione di nostro Signore Gesù. Anche questo può servirci a fare sì che, con serietà d’intenti, non dimentichiate il pensiero di Don Bosco: la vita spirituale è un qualche cosa di serio, non è un gioco, non è una leggerezza.

Con questo, certamente, riusciremo a fare sempre bene le nostre confessioni. Noi poi educatori, voi, molti dei quali già insegnate catechismo religioso, i nostri buoni missionari che hanno i loro catecumeni, specialmente ai giovani, agli inizi, insegnate, insegnate, insegnate a fare bene queste confessioni. La confessione iniziata bene, in generale, si può dire che continuerà; ma quando non vi sono idee chiare, quando si incomincia a fare dei pasticci fin dagli inizi, - è doloroso dirlo, - ma dall’esperienza anche di Don Bosco preghiamo il Signore affinchè ci aiuti a servircene sempre bene: per il bene dell’anima nostra, per perfezionarci sempre di più, per unirci a lui più intimamente nella santa carità, fare sempre bene la Santa Confessione.

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

Quarta predica - IL RENDICONTO26 luglio 1955 pomeriggio

La nostra congregazione, per il bene dell’anima nostra, per la nostra perfezione e inoltre per il sempre progresso della nostra pia Società, mette a nostra disposizione, almeno una volta al mese, un’altra sorta di confessione. L’apertura, - come si suol dire, - della nostra coscienza nel rendiconto. Permettete in questa sera che il nostro Don Bosco ci dica il suo pensiero in relazione a questo.

È lodevole questo fatto, - come vi dicevo, - le circolari del nostro caro Don Bosco risalgono, si iniziano al 69, data dell’approvazione della nostra società. E si iniziano con quella prima circolare che abbiamo letto nella nostra prima conversazione, sullo scopo di colui che entra a far parte della nostra congregazione. Seguono su per giù, e siamo nel marzo del 69; un poco più tardi, nella Pentecoste, abbiamo letta la circolare in relazione all’unità di spirito, unità di amministrazione. E nel giorno dell’Assunzione, sente il bisogno di scrivere ancora una circolare che si riferisce precisamente tutta al rendiconto. Penso che nella mente di Don Bosco e mi sembra così chiaro, così ragionevole, il concludere che tutto Don Bosco fa consistere precisamente le basi dello spirito, - diciamo così, - dell’anima della nostra congregazione su questi punti fondamentali. In seguito ne tratterà degli altri ma gli iniziali sono precisamente questi.

E scrive precisamente nel giorno dell’Assunzione: “Figliuoli amatissimi, la Divina Provvidenza dispose che la nostra pia Società fosse dalla Santa Sede definitivamente approvata; e noi mentre nell’umiltà del nostro cuore evidenziamo la bontà del Signore, dobbiamo adoperarci con tutta sollecitudine per corrispondere allo scopo che ci siamo prefissi entrando in congregazione, e mantenere l’esatta osservanza delle regole in tutti quelli che le hanno professate. E tra gli articoli di essi, c’è quello che riguarda le relazioni e la convivenza che devono passare fra superiori ed inferiori.”

Notate queste parole, perché può essere che anche fra i salesiani ci sia un concetto, direi, non troppo chiaro in relazione al rendiconto. Delle volte si pensa che il rendiconto sia semplicemente un resoconto da farsi insieme al superiore, in relazione agli allievi; si parla piuttosto degli altri che di sè stesso. Oppure, sì, cose che sono utili per il buon andamento, però, ma badate che il pensiero di Don Bosco, - lo vedremo ancora più chiaro in seguito - questo deve servire per mantenere le buone relazioni e la confidenza che devono passare tra il superiore e l’inferiore. E dice precisamente la regola: “Ciascuno abbia grande confidenza con il superiore, nè gli nasconda alcun segreto del cuore” Si comprende? L’ambito del rendiconto, tutti lo conosciamo, non è confessione.

“Questo articolo è della massima importanza. E si è osservato che i trattenimenti del superiore coi suoi subalterni tornarono di grande vantaggio; perciochè, in questo modo gli uni possono con tutta libertà esporre i loro bisogni e domandare gli opportuni consigli,

mentre il superiore stesso sarà in grado di conoscere lo stato dei suoi confratelli, provvedere ai loro bisogni e prendere quelle deliberazioni che concorrano a facilitare l’osservanza delle regole e il vantaggio dell’intera società.”

Discussione abbastanza lunga e pensiero abbastanza lungo in cui volle esprimere questo concetto evangelico: “Veh soli! Quia cum ceciderit non habet sublevantem se. Si unus ceciderit ab alio fulcetur”. E cita San Tommaso: “ Iuvatur ab omnibus ut sanctificetur.”

E continua: “Affinchè si possa riportare questo concetto nella nostra società, si è pensato bene di stabilire alcune cose che si possono dire come conseguenze pratiche dell’articolo sopra indicato. Primo: ogni mese saranno tenute due conferenze, di cui una intorno alla lettura e spiegazione semplice della regola della congregazione; l’altra conferenza intorno a materia morale, ma in modo pratico e adatto alle persone a cui si parla.”

Sono le famose due conferenze di cui, - sono 60 anni che mi trovo in congregazione, e mi pare che in tutti gli Esercizi Sprirituali a cui ho assistito, quando specialmente c’erano le sante anime dei nostri superiori, negli anni passati, - il santo Don Rua è andato dicendo, non c’era altro ritornello precisamente che questo delle due conferenze. Segno che, includetele insieme a questi pensieri del nostro Don Bosco e capiremo allora più profondamente il motivo per cui Don Bosco ha stabilito anche queste due conferenze.

“Secondo: Ogni socio, una volta al mese si presenterà al superiore di quella casa a cui appartiene e gli esporrà quanto egli giudicherà vantaggioso al bene dell’anima sua, quanto crederà vantaggioso al bene dell’anima sua, e se ha qualche dubbio intorno all’osservanza delle regole, lo esporrà chiedendo quei consigli che gli sembrano opportuni per suo profitto spirituale e temporale.”

Comprendete le parole del nostro Don Bosco, il pensiero del nostro Don Bosco; e vedrete poi la conclusione.

“Dal canto suo, il direttore, con la dovuta carità, ascolterà a tempo determinato ogni cosa, anzi, procurerà d’interrogare separatamente ciascun socio intorno alla sanità corporale, agli uffici che compie, all’osservanza religiosa, agli studi o al lavoro a cui deve attendere; infine, procurerà di incoraggiarlo, aiutarlo, con l’opera e col consiglio, - attenti - per mettere in uno stato di potere godere la pace del cuore, con la tranquillità di coscienza che deve essere lo scopo principale di tutti quelli che fanno parte della nostra società.”

Prendiamo il rendiconto sotto questo aspetto; e allora vedrete quale forza la congregazione ha dato in mano per potere riuscire precisamente al nostro perfezionamento.

Chiarissimo il pensiero di Don Bosco. E vuol ripeterlo: “Il rendere di sè conto al proprio superiore è pratica generale di tutte le case religiose e se ne trova un gran vantaggio; così io ne spero un gran bene di avvio tra noi, soprattutto per conseguire la tanto necessaria pace del cuore e la tranquillità di coscienza.”

Miei cari confratelli, uniamo i pensieri che abbiamo meditato questa mattina; ripetiamo nella nostra mente e nel nostro cuore i pensieri di Don Bosco in relazione alla confessione;

ricordiamo questi pensieri in relazione al rendiconto, pur - badate - trattandosi anche semplicemente di cose esterne. Noi abbiamo piena libertà; ce lo concede la regola. Ricordate i preliminari della regola e le belle pagine che Don Bosco ha scritto sopra del rendiconto e si è inspirato moltissimo a San Francesco di Sales che ha espresso delle pagine magnifiche in relazione a questo argomento. Sappiamone approfittare.

Animo miei cari figlioli; noi abbiamo una grande impresa fra mano. Molte anime attendono la salvezza da noi e tra queste anime, - ecco vedete il continuo pensiero di Don Bosco, - e tra queste anime, la prima, deve essere la nostra, e poi quella dei nostri soci, - e vedete che allarga il concetto - e quella di qualunque fedele cristiano, a cui accade, ci accade di poter recare qualche vantaggio.

“Dio è con noi, adoperiamoci per corrispondere ai celesti favori che ci ha concessi e che speriamo ci voglia per l’avvenire concedere. La grazia di nostro Signor Gesù Cristo sia sempre con noi e ci conceda lo spirito del fervore e il prezioso dono della perseveranza nella società. Amen. Solenne giorno dell’Assunzione di Maria Santissima, del 1869.” Chiaro, il concetto del nostro Don Bosco.

Ecco vedete, noi dobbiamo tendere alla perfezione; sì, questa tendenza alla perfezione ci viene snodata giornalmente in relazione alle varie occupazioni che noi dobbiamo fare, ma ecco il pensiero predominante del nostro Don Bosco. E vedete che vuol mettere, precisamente anche nella congregazione questo mezzo importantissimo, per cui noi altri, aprendo il nostro cuore, con quella confidenza familiare, con quella confidenza di figlioli verso il padre, possiamo certamente riuscire ad avvantaggiarne per il bene dell’anima nostra. Chiaro, e lo capite, non c’è bisogno di fare tanti discorsi al riguardo, che questa unione di confidenza, questa unione di pensiero, questa cooperazione individuale di ogni socio, per il benessere anche amministrativo, scolastico, scientifico e andate dicendo della congregazione, viene poi, naturalmente a vantaggio anche di tutta la congregazione.

Se amiamo la nostra congregazione, dobbiamo essere soci, direi, co-interessati insieme ai superiori per potere fare sì che tutte le cose vadano bene. Noi saremo una piccola cellula, noi saremo una parte, diremmo, infinitesima in questo corpo della congregazione. Non importa, - l’abbiamo detto, ce l’ha detto chiaro Don Bosco - non è la posizione che conta. È l’esercizio del nostro dovere, sia pure umile, nascosto. In concreto, ma di fronte a Dio, in questo congegno armonioso di anime che si uniscono insieme per la Gloria di Dio e per la salvezza dell’anima loro e degli altri, vedete anche voi altri, che il rendiconto ha la sua parte, e una parte importante.

È difficile, sicuro, è difficile fare bene il rendiconto. Regola 1-2-3 fino al numero 8, è ovvio, questo lo dice “Quello che crede opportuno”, se lo consideriamo, vero, da questo punto di vista.

Ma se lo consideriamo per il profitto spirituale, per la direzione spirituale dell’anima nostra, lo comprendete anche voi altri che ha le sue difficoltà. Difficoltà che si sanno, le

abbiamo provate tutti e le proviamo; così ci si dimentica, non ci si dà importanza, si sente il peso del rendiconto. E come lo sentono i soci lo sente colui che deve ricevere il rendiconto.

Miei cari confratelli le difficoltà sapete da dove derivano? Le difficoltà dipendono prima dal nostro amor proprio. Dice un nostro confratello, molti di voi altri lo conoscono: “Sì, sì! Un pò di umiltà l’abbiamo tutti!” E in quella parola “umiltà” intendeva la ripugnanza assoluta, o meglio la ripugnanza all’assoluta sottomissione. Lo spirito d’indipendenza! E badate che questo - non fatevene meraviglia - lo proverete, che questo spirito di indipendenza vedete, questo spirito di difficoltà di assoluta sottomissione, il dominare perfettamente il nostro amor proprio cresce col crescere degli anni. Proverete quando sarete vecchi, che cosa voglia dire la difficoltà, e la difficolta del rendiconto. Abbiamo alle volte troppa fiducia nelle nostre forze, troppa fiducia nella nostra scienza e andate dicendo. Pensiamo di non aver bisogno di nessuno, più di nessuno che ci regga, che ci diriga, che ci consigli, che ci guidi. Per i bambini! Basta la Confessione! Perché devo andare dal direttore, al giudizio di un altro? Le mie vedute in relazione anche alla dimensione dei miei doveri... I giovani specialmente hanno paura di essere rimproverati, di ricevere le paternali. E alle volte, per molti, credete, per molti il rendiconto non è altro che uno sfogo per poter dire le proprie ragioni che si pensano essere conculcate, che si pensa essere non capite; oppure domandare dei permessi, domandare dei favori. Ah, è così miei cari confratelli.

E quindi per tutte queste ragioni si capisce che il rendiconto è difficile, perché precisamente è difficile. Se noi abbiamo questo senso di convinzione di volere ottenere la santificazione dell’anima nostra, e se comprendo, - come penso che comprendiamo tutti, - che questo della direzione spirituale intesa come ce la presenta Don Bosco, - è un mezzo importantissimo per potere riuscire in questa perfezione che noi abbiamo abbracciato e che per dovere dobbiamo giornalmente continuare, penso, che nonostante tutte le difficoltà possibili, noi dobbiamo cercare di fare meglio che ci sia possibile il rendiconto.

Delle volte senza fare il rendiconto, direi così, oralmente, eh ma fatelo per iscritto. A noi insegnavano, il nostro caro Don Piscetta, i nostri vecchi direttori ci insegnavano così. Beh, c’è tanta difficoltà andare dal direttore e dire: “Senta caro direttore sono venuto per il mio rendiconto; in questo mese mi sembra che non ci sia niente di cambiato dal mese scorso.” No, no, nessuno avrebbe niente da rimostrare, proprio niente. Qualche volta, io ricordo, sono andato dal mio direttore Don Piscetta: “In questo mese niente!” “Bravo caro, continua!” E avanti! È difficile? No, perché delle volte sono tutte fatasticherie, immaginazione, specialmente ai giovani vengono in testa.

Non facciamo le cose difficili; non stiamo lì a strologare. Facciamo con tanta semplicità e naturalezza quello che è il nostro dovere. Si capisce; il rendiconto è basato sulla confidenza; e alle volte questa confidenza non la sentiamo. Sono allora, precisamente che sorgono tante e tante difficoltà, ma miei cari confratelli, siamo religiosi, e non dobbiamo dimenticare che anche questa pratica religiosa può essere considerata, e in tanti casi è proprio così,

come una croce che ci invia il Signore. Abbracciamola, se nò non faremmo mai, neppure un passo nella via della perfezione.

In una conferenza del 1875 Don Bosco dice così: “Il rendiconto è la chiave principale per il buon andamento della casa; generalmente in questi rendiconti i confratelli aprono il proprio cuore, dicono tutto ciò che dà loro pena, e se c’è qualche disordine lo palesano; è poi un mezzo efficacissimo per fare correzioni, se fosse necessario anche severe, senza recare lo sdegno. Sempre in privato. Ciò che poi ritengo come la chiave di ogni ordine e di ogni moralità, il mezzo con cui il direttore può avere in mano la chiave di tutto, si è che si ricevano puntualmente i rendiconti mensili; non si lascino mai, per qualsiasi motivo, e si facciano prontamente con impegno. Ogni direttore si ricordi di domandare sempre questi punti.”

Notateli questi punti e vedrete il pensiero di Don Bosco e dell’azione religiosa. “1.Nel tuo ufficio, trovi qualche cosa che ti sia proprio contrario o ripugnante e che possa

impedire la tua perseveranza nella vocazione?2. A te consta qualche cosa che possa farsi o impedirsi per allontanare l’offesa di Dio, per

togliere qualche disordine e qualche scandalo in casa? - Articolo 8 del rendiconto. -3. Dall’altro rendiconto a questo ti pare di avere fatto un qualche profitto spirituale?”Ma vedete miei cari confratelli, ecco l’essenza del rendiconto: pensare all’anima nostra;

pensare che la nostra santità consiste nell’adempiere i nostri doveri. E noi questi doveri delle volte non li abbiamo eseguiti; è un fatto esterno, non li abbiamo eseguiti; l’assistente, tu assistente non ti sei trovato tempo ed è successo questo disordine, e un disordine non indifferente... e andiamo dicendo. Dovremmo aver paura di dirlo al direttore?

Eh lo sanno tutti quello che è capitato. Se abbiamo un poco di esperienza della vita nelle nostre case. Pensate anche voi altri, alle coseguenze alle volte di mancata assistenza e per un certo periodo di tempo. Chi vi parla, mi pare di averlo accennato, una volta ho trovato tutti i chierici della classe che camminavano sù e giù, giù e sù per i banchi della scuola. Non c’era l’insegnante. Esigenze di allora. Potevano far passeggio di giorno. E questi chierichetti di allora lo potevano fare sui banchi ! Non è un peccato, nè mortale nè veniale, mah insomma! comprendete anche voi altri!

Ma, e in mezzo ai giovani, non succedono altre cose? Eh, ricordo quando era assistente il nostro bravo Don Balzola, chierichetto a Faenza, quando il sottoscritto era ragazzetto... eh, non è arrivato a tempo in laboratorio. Assistenza difficilissima, specialmente in Romagna, con quei caratteri! È entrato 5 minuti dopo, non vedeva altro che mortaretti che volavano a destra e a sinistra; se li tiravano l’un con l’altro, capito.

Per lo più i confratelli parlano e scoprono cose alle quali noi non penseremmo mai e che essi molte volte credono che noi sappiamo già, o che le teniamo in poco conto. In questi rendiconti dunque, ciascuno apra intieramente il suo cuore al superiore; si capisce, si aggiri sulle cose esterne, a meno che il socio ne voglia parlare.

In un biglietto del 1876, piccolo semplice biglietto come questo, registrato in archivio, fra le norme pratiche del buon governo della casa è scritto così, in carattere grosso: “Assolutamente necessario: - sottolineato - Primo: rendiconto mensile. Secondo: ogni settimana leggere una parte delle regole e una parte delle deliberazioni capitolari.”

Ricordiamo certamente tutti, miei buoni confratelli, il famoso sogno del 1876, il sogno in cui si è sentito quella voce spiegativa che diceva: “Il lavoro e la temperanza faranno fiorire la nostra congregazione.” In quel sogno si parla anche di alcuni chiodi che tormentano le congregazioni religiose. I 4 chiodi:

“Quorum deus venter est. Quaerunt quae sua sunt, non quae Iesu Christi. Aspidis lingua eorum. Cubiculum otiositatis.E poi, - dice Don Bosco, - vedevo uno speciale scompartimento su cui c’era scritto: “Latet

anguis in herba”, nell’erba c’è nascosto il serpente. - E commenta: “Vi sono certi individui che stanno nascosti; non parlano, non aprono il loro cuore ai superiori; ruminano sempre in cuore i loro segreti. Sta attento, “Latet anguis in herba”, sono veri flagelli, vera peste delle congregazioni.”

Ma si possono considerare figlioli, queste persone, che vedono il male in casa e non parlano?

Certamente l’ultimo punto del rendiconto, miei cari confratelli, per ciò che si riferisce allo spirito di moralità, al concetto di responsabilità, che non solo per l’anima nostra, ma per le anime che sono a noi affidate, per i nostri prossimi; eh, più prossimi dei nostri confratelli cosa volete pensare?

Delle volte si sa che un povero confratello è lì vacillante per la vocazione; è amico, ha parlato con voi, e voi tenete quello nel vostro cuore e non dite niente al superiore. E così dite, di altre cose che possono capitare in mezzo ai giovani, specialmente in relazione alla moralità. Pensate questo anche in relazione alle letture; si scoprono dei libri, si scoprono dei giornali che bisognerebbe subito buttare al fuoco e vi sono degli allocchi, - chiamiamoli così per non dire altra parola, - che stanno lì poi ad assorbirsi tutto questo veleno, e poi, o dimenticano quel libro che va poi in mano a tanti altri e non parlano. “Latet anguis in herba.” Sono veri flagelli, vera peste della congregazione. Anche se cattivi, se fossero svelati si potrebbero correggere, ma no, stanno nascosti. Noi non ce ne accorgiamo e intanto il male si fa grave, il veleno si moltiplica nel cuore di costoro e quando fossero conosciuti non vi sarebbe più tempo a riparare il danno che già hanno prodotto.

Se procureremo di evitare il vizio della gola, il cercare le agiatezze, le mormorazioni, l’odio, allontanandole da noi a cui e da cui è da aggiungere che ciascuno sia sempre aperto e schietto e confidente coi propri superiori, faremo del bene alle anime nostre e nello stesso tempo potremo anche salvare quelle che la Divina Provvidenza affiderà alle nostre cure.

Ci sarebbe ancora un materiale immenso, - non esagero la parola, - se volessimo ricavare pensieri su questo argomento dal nostro Don Bosco. Mi sembrano punti fondamentali e specialmente, il considerare - come vi ho detto, - il rendiconto come mezzo fortissimo per la nostra Società oltre che tutti gli altri motivi per cui si deve fare bene il rendiconto. Il rendiconto è una potenza di informazioni, il rendiconto è una potenza di attrazione che unisce insieme gli animi.

Miei cari confratelli, ma pensate che il pensiero genuino di Don Bosco in relazione alla nostra congregazione è che questa una famiglia; non solo fra noi salesiani, ma fra noi e i nostri allievi. E quindi questo spirito di famiglia, come potrà esistere se non c’è questa vicendevole confidenza amorosa che deve legare tutti i nostri cuori, tutte le menti, tutte le nostre azioni in unità di spirito, in unità di locale, in unità di azione identica per attuare la Gloria del Signore e la salvezza delle anime?

Concludo, miei cari confratelli, perché è probabile che l’abbiate già sentito, me lo sono proposto anche in questi esercizi, oltre alla parola del nostro Don Bosco, di richiamare quella del nostro caro Rettor Maggiore, e della parlata che ha fatto a quelli - per modo di dire perché ce n’erano tanti, - ad ogni modo ai confratelli, presenti, vero, nell’ultima sua conferenza al Don Boscosha: “Un altro punto importante è il rendiconto. Vedete, lo dico sempre; la direzione della congregazione si basa sul capitolo superiore, sul consiglio ispettoriale, capitolo delle case e il rendiconto. I confratelli bisogna farli parlare. Che non ci sfugga la vita della casa, e per non lasciarcela sfuggire non c’è altro mezzo che il rendiconto. Ricordiamolo bene, l’educazione dei confratelli avviene per mezzo del rendiconto.”

Voi mi direte: “Ma legga questo qui a coloro che devono ricevere il rendiconto.”Dobbiamo sapere anche noi quello che dobbiamo fare, perché il rendiconto non lo fa mica

il direttore; il direttore e l’Ispettore lo farà per i suoi superiori. Va benissimo eh, noi dobbiamo fare il rendiconto vero al nostro superiore.

“Un direttore che fa bene il rendiconto dei confratelli, fa il 90% della direzione della casa. Il rendiconto è fatto perché i confratelli vengano a parlare, a confidarsi, a sfogarsi. Come può un direttore sapere tante cose della casa, se i confratelli non parlano? E non dia loro modo di parlare? Che dicano le loro impressioni, che manifestino quanto trovano di irregolare, di fuori posto, - io aggiungerei, specialmente nella loro anima.- Se c’è qualche cosa che non va, può darsi che l’interessato si guardi bene dal dirlo; ma qualcuno si sarà bene accorto; qualcuno avrà saputo. Parli e manifesti chiaro al direttore. Se vediamo nei confratelli quello che noi non ci saremmo aspettati, non è sorpresa; siamo insieme per aiutarci. Ab altero fulcetur. È naturale che capitino queste cose; a chiunque possono capitare, anche a me che sono Rettore Maggiore, perché siamo uomini e niente di quello che è umano è impossibile. È per questo che abbiamo bisogno di guida. Ricordatevelo bene, uno che non si lascia dirigere, casca. Questo è il primo dovere del direttore; farlo senza

fretta nel tempo più adatto; e io direi, questo è il dovere anche dei singoli soci. Di fare il loro rendiconto senza fretta e nel tempo adatto. Pechè il dovere del rendiconto non è un semplice dovere del direttore; è il dovere di ogni socio. Nella regola c’è che ognuno deve presentarsi. Attenzione ai giovani e ai confratelli isolati; i giovani hanno bisogno di essere amati e di amare, in tirocinio soprattutto. Hanno bisogno di essere amati questi cari confratelli.”

Qui si parla in generale dei chierici; avrei voluto dire, al nostro Rettor Maggiore, parli anche dei nostri giovani coauditori. E sotto un certo rispetto forse più hanno bisogno di direzione questi giovinotti, che i nostri chierici, pur avendone estrema necessità e bisogno anche loro. E quando sono giovanotti non crediate che si accontentino dell’amore della mamma, sentono il bisogno di un altro amore, e se non lo trovano nel superiore o nel direttore lo cercano altrove. È la storia della congregazione. Ed è una statistica che fa pensare. 300 e più perdite in un anno; con una sessantina d’ispettorie risultano in media 6 per ispettoria. E badate bene, si tratta soprattutto di quelli che sono in tirocinio.

Voi mi direte che non furono curati nello studentato o nelle case di formazione. Quando eravamo là, nei bei tempi di Valsalice, sapeste le lettere che arrivavano al povero direttore. Ma cosa fanno nello studentato quelli là, che razza di chierici ?

Ben fatto che qui il Rettor Maggiore dice: “Non dite che non furono curati nello studentato o nelle case di formazione. Furono mandati nelle case pieni di entusiasmo e di buona volontà; e si sono perduti durante il tirocinio. Questo lo so. Alcuni direttori pensano solo a tirar su fabbricati, a sistemare locali. Ma che importa a me di muri se perdete i confratelli che sono la vita delle mura. Quando un chierico si sente soprattutto lasciato solo, non curato, - e pensate agli assistenti, soprattutto agli assistenti generali che son sempre coi giovani, mai con la comunità; - quando un giovane chierico si trova in queste condizioni e si sente non trattato bene, rimproverato, si scoraggia e se ne va. Ricordatevi che la parola dura non si dimentica più.”

E adesso cari chierici, non spaventatevi. “Non pretendete da loro quello che non possono dare. I chierici sono ancora bambini e quindi bisogna saperli comprendere, compatire, aiutare e soprattutto incoraggiarli.” Questo “bambini,” intendetelo, nella vita della perfezione.

Ecco, miei cari confratelli; questi pensieri più o meno coordinati, ma mi sembra che in questi c’è tutto il cuore di Don Bosco, nel dare ai suoi figlioli con la vita religiosa questo mezzo che è così importante per il bene dell’anima, oltre che per tutti gli altri vantaggi. Nonostante le difficoltà, facciamolo bene il rendiconto. Coloro che lo devono ricevere, lo ricevano bene. E direi così: a dimenticanze, a difficoltà, si cerchi di venire incontro con l’invito, in maniera tale che realmente tutti i nostri cari confratelli salesiani possano usufruire di questo gran mezzo che personalmente è importantissimo - ripeto - per il bene dell’anima e, socialmente parlando, è più che indicatissimo e importantissimo per il bene

della nostra congregazione. Confidenza, amiamoci vicendevolmente dell’amore di Gesù Cristo, vivificante la potenza

della nostra buona Madre la Madonna, ci aiuti realmente a compiere anche questo nostro dovere.

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

Quinta predica - LO SPIRITO MISSIONARIO27 luglio 1955 mattino

Sia lodato Gesù Cristo; sempre sia lodato.Abbiamo questa mattina meditato la nostra vocazione missionaria. Anticipo quello che,

avrei desiderato in una nostra conversazione dirvi in relazione a questo argomento, intonato secondo lo spirito del nostro Don Bosco.

Quindi dobbiamo questa mattina dirci qualche cosa in relazione all’apostolato missionario proprio del salesiano secondo lo spirito del nostro Don Bosco, secondo i suggerimenti del nostro Don Bosco.

Certo, l’universatilità dell’opera del nostro Don Bosco, - e tutti conosciamo qual’è lo scopo della nostra società, - lo portava naturalmente anche a pensare alla conversione degli infedeli. Tutti conosciamo la vita di Don Bosco, la vita di Don Bosco ragazzetto, la vita di Don Bosco quando gli si delinea più chiara la sua vocazione sacerdotale, la vita di Don Bosco nel seminario, i dubbi in relazione alla sua vocazione, se fosse piuttosto una vocazione allo stato religioso. Ebbe anche l’idea, lo sappiamo, di andare in missione; fu fermato decisamente dal suo direttore spirituale Don Cafasso. E allora quando se la vede preclusa, cerca di trasfondere precisamente questo suo ardore missionario alla sua congregazione e desidera per gli altri quanto era stato impossibile realizzare a lui.

Ricordatevi il primo sogno missionario 1871-72. All’inizio non l’ha capito bene; va alla ricerca di chi possano essere questi misteriosi selvaggi degli eventi, con quelle forme strane di quel sogno; sono 3 anni di studio che lui fa. Poi nel 1874-75 si apre lo spiraglio: l’invito per l’Argentina. Nella seguente festa di San Francesco di Sales dà l’annuncio solenne e ha voluto che questo annunzio fosse proprio un qualche cosa di speciale per l’Oratorio. Pensiamolo allora, in quei tempi, d’inizio della piccola congregazione nostra. E allora, da quel giorno, si può dire che incomincia anche per la nostra società una nuova storia, la storia delle missioni salesiane. E per la Gloria di Dio, con santo orgoglio, possiamo dire che, pur essendo tra le ultime congregazioni missionarie, pian piano ci siamo elevati. E siamo certo non le ultime.

Il pensiero di Don Bosco in relazione all’apostolato missionario, e per Don Bosco chi è il missionario mi sembra di poterlo riassumere prendendo quà e là elementi dai dati che ci ha lasciato il nostro Don Bosco e anche dalle definizioni che si è soliti dare del missionario.

Mi sembra che si può, nel pensiero di Don Bosco, considerare il missionario come l’uomo di fede, di preghiera, di azione, di sacrificio che si dona nei dettagli della vita quotidiana al Signore per cooperare alla sua Gloria per la salvezza delle anime, non solo delle anime in generale, ma degli infedeli in particolare, e per fare sì che la Chiesa sia, - si suol dire ora la parola “ plantatio”, - piantata là dove il missionario opera. Questo pensiero è chiarissimo in Don Bosco; la parola stessa, plantatio, la usa anzi nelle sue lettere ai missionari.

Alcuni cenni, - non cito le pagine, - sono cose che tutti potete consultare. “Il missionario deve obbedire, soffrire per la Gloria di Dio e darsi massima sollecitudine

per osservare quei voti con cui si è consegnato al Signore. Lavorare unicamente per la gloria divina e per la salvezza delle anime, per il trionfo della religione e della Chiesa cattolica, apostolica, romana.”

E ad un’anima che domanda se può essere missionario, se la sua vocazione è vocazione missionaria, Don Bosco risponde: “Se cerca solamente Gesù e la sua croce, se vuole veramente soffrire con Gesù, vada in missione”.

Per le missioni ci vogliono molte preghiere, molto lavoro e molto tempo. Il tempo è del Signore, il lavoro è del missionario, le preghiere sono di noi tutti. Mi sembra chiarissimo, ripeto, il concetto del nostro Don Bosco di chi egli considera veramente missionario: “fede, preghiera, azione, sacrificio, - ci si diceva questa mattina, - coraggio.” Pensate al coraggio, alla perseveranza, alla fede del nostro Don Bosco nelle istituzioni delle missioni.

Oltre la vocazione missionaria, è chiarissimo nel concetto del nostro Don Bosco che ci siano anche quelle qualità che possono più facilmente vincere quelle difficoltà che abbiamo anche meditato questa mattina nell’opera missionaria: una preparazione fisica, intellettuale, morale che è necessaria per compiere bene il proprio dovere. In precedenza e ora, cari confratelli, specialmente i nostri chierici, teologi, sono qui precisamente per compiere questa preparazione.

Ci si parlava questa mattina dei nemici non solo interni ma esterni della missione. La Santa Chiesa, quando invia il missionario, gli dà delle istruzioni speciali; e proprio nelle prime pagine fa considerare dal missionario, “Bada che i tuoi nemici, specialmente i tuoi nemici interni, sono riassunti brevemente nelle 3 tentazioni che Gesù benedetto ha sofferto là nel deserto. “Hai fame? - Dì a queste pietre che diventino pane! - Non di solo pane vive l’uomo!”

È la prima tentazione. Cioè, delle volte il missionario dimentica lo spirito e si attacca alla carne; certo, si trova in condizione di tentazioni fortissime anche al riguardo; pensate al clima, pensate al nutrimento, pensate al lavoro snervante; sono certo occasioni che facilitano questa tentazione.

La massima tentazione è la presunzione. Si sente puzza di presunzione, di vanagloria. Delle volte ci lasciamo prendere dalla eccessiva esteriorizzazione, ci ubriachiamo dei successi, come ci scoraggiamo delle deficienze che proviamo in noi, dei cattivi risultati e andate dicendo.

Terzo, mancanza di spirito di fede. E allora Don Bosco pensando appunto a queste difficoltà, non solo esteriori ma interne, - e

badate che Don Bosco inizialmente inviava i suoi missionari non in paesi infedeli. In preparazione per entrare in contatto coi selvaggi, con gli indio. Non importa, ma il suo pensiero è chiaro, si deve arrivare là, per mezzo delle scuole, eccetera. Lo sapete, - e allora

Don Bosco vuole circondare l’anima dei suoi figlioli di tutti quanti quei mezzi, metodi, di tutti quei richiami che possono riuscire a vincere appunto queste difficoltà interiori ed esteriori. Ed ecco allora le lettere.

Oh, come si può seguire anche solo per quel poco che abbiamo nelle Memorie Biografiche, come segue i singoli individui e ognuno di noi precisamente, perché questi suoi figlioli, i primi suoi figlioli, avevano con Don Bosco un’apertura d’animo come precisamente il figlio più tenerissimo verso il padre amatissimo, e li segue passo passo. E poi ufficialmente, - lo sappiamo, - è andato anche incontro a loro con quelli che siamo soliti ricordare, “I ricordi di Don Bosco ai missionari.”

11 novembre 1875, Don Bosco quando fa la grandiosa funzione della partenza dei missionari della prima spedizione, finita la funzione, all’abbraccio finale, a ognuno consegnava un foglietto su cui stampati erano precisamente quei ricordi che noi abbiamo anche riprodotto nei nostri regolamenti. E da questi si capisce chiarissimamente quale fosse lo spirito missionario del nostro Don Bosco e quali sono i caratteri essenziali dello spirito salesiano in missione. E permettete che diamo insieme una ripassatina a questi ricordi, corredati da altri ricordi secondari che o per lettera oppure in occasione di altre spedizioni il nostro Don Bosco dava ai missionari.

La base, il primo: “Cercate anime, ma non danari, nè onori, nè dignità”. La base: Qual’è la nostra missione che dicevamo questa mattina. Dobbiamo “Predicare

Gesù; e tutto Gesù; e questo crocifisso.” E’ così per chi vuol salvare le anime. “Cercate anime. - E sottolinea Don Bosco in altri ricordi e in altre lettere - Non con la scienza, ma con la santità, non con le ricchezze, ma con l’esempio e con la pietà faremo del gran bene promuovendo la Gloria di Dio e la salvezza delle anime.” E ha voluto scrivere: “Metti al sicuro prima l’anima tua e poi occupati di salvare l’anima del prossimo. Praebe teipsum exemplum bonorum operum. In omnibus labora. Opus fac evangelistae. Ministerium tuum imple. Et Dominus dabit incrementum evangelizationi tuae.”

Oh, se il missionario facesse davvero il missionario, quanti prodigi di santità splenderebbero da ogni parte. Ma purtroppo molti hanno paura di lavorare e preferiscono le proprie comodità. Ricordate quanto ci dice la Chiesa: “Dì a queste pietre che diventino pane”. Ti sei fatto salesiano per salvare. Cerchiamo anime, miei cari confratelli; e specialmente siamo a noi missionari, i primi missionari per l’anima nostra. E in aiuto dell’anima Don Bosco insiste:

Decimo quarto e decimo quinto, ve lo ricordo, sulle pratiche di pietà. “Non dimenticare mai l’Eercizio di buona morte; ogni mattina raccomanda a Dio le occupazioni della giornata, nominatamente le confessioni, le scuole, i catechismi, le prediche.”

Decimo sesto: “Raccomando costantemente la devozione a Maria Ausiliatrice e a Gesù Sacramentato.” E in altri ricordi: “In qualunque situazione vi troviate ricorrete e raccomandatevi a Maria e state certi che le vostre speranze non saranno mai deluse.”

L’esercizio della buona morte e la frequente Comunione sono la chiave di tutto. Decimo settimo: “Ai giovanetti raccomandate la frequente confessione e comunione ben

fatta.” Vedete la cura di Don Bosco per le anime nostre; vuole che anche perché siamo

missionari, - perché vedete c’è questo pensiero nella testa di molti salesiani missionari... Ovvio che sono missionario; però in missione si può fare tutto quello che si vuole. Si comincia dal punto delle cerimonie, tutte le dispense, tutte le cose... - pensiamo che dobbiamo santificarci. È il ritornello costante che dovremmo precisamente mettere, proprio scolpire profondamente nella nostra testa e nel nostro cuore. Questo è il primo nostro lavoro!

E allora vedete che Don Bosco, ha cura dell’anima nostra e ci suggerisce precisamente quei mezzi che si debbono seguire per fare sì che realmente per noi, in condizioni, sicuro, diverse dalle condizioni ordinarie normali delle nostre case, là dove non c’è, - diremo propriamente parlando, perché anche là è missione - vedete, con quale cura il nostro Don Bosco tiene dietro all’ educazione dell’anima nostra.

Non basta, anche al corpo: Decimo primo: “Abbiate cura della sanità; lavorate, ma solo quanto le proprie forze comportano.” In medio stat virtus. Delle volte si fanno anche in missione degli sforzi inutili, anzi dannosi, dannosi per l’individuo, perché si ammala, e quindi dannosi per gli altri perché il missionario non può più lavorare. Delle volte, si pensa che lo zelo missionario, detto così per il bene, sia di buttarsi, anche nel lavoro vertiginoso, materiale... e anche se prescritto, non prendersi neppure quelle ordinarie cure igieniche di riposo e cose simili, perché si pensa che con quello, naturalmente si rappresenta meglio lo spirito missionario.

Quando è necessario per la salvezza delle anime, ma l’abbiamo anche nelle nostre regole, ma sicuro, “dobbiamo essere capaci a sopportare il freddo, la fame, la sete, il caldo e tutto quanto, fino alla morte, per amore del Signore.” Ma insomma in mezzo sta la virtù. Lo zelo per la salute delle anime non consiste naturalmente nella rovina delle nostra salute. “Abbiate cura della sanità; lavorate, ma solo quanto le proprie forze comportano.” No no! Ma questo sì: “Grande sobrietà nei cibi, nelle bevande, nel riposo.” Questo è igiene; ed è in questa maniera che noi dobbiamo anche curare il nostro corpo. E il medesimo ricordo sarà ripetuto poi nei ricordi, in relazione alla nostra purità. Il salesiano in missione, dice Don Bosco, non deve dimenticare di essere un buon religioso; ed ecco allora, vero, che Don Bosco richiama i punti più essenziali in relazione all’osservanza dei santi voti.

Decimo quarto: “Osservate le vostre regole. Siano la norma del vostro operato, leggetele spesso, ubbiditele sempre.”

Ricordate, il gran sogno sulle missioni di Don Bosco. Ricordate che lo accompagnava Luigi Colle, e gira, si può dire, tutto quanto l’universo, specialmente là, nella zona argentina. Si sente dire, “Col tempo tutto questo avverrà, ma si tenga ferma l’osservanza delle regole e

lo spirito della Società.” Osserviamo le regole con cui ci siamo consacrati al Signore. Povertà, decimo secondo: “Fate che il mondo conosca che siete poveri, negli abiti, nel

vitto, nelle abitazioni e voi sarete ricchi in faccia a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini.”

Castità: undici; “Somma cortesia con tutti ma fuggite le conversazioni e la familiarità con le persone di altro sesso e di sospetta condotta.”

Non dimentichiamo che noi, per necessità di apostolato siamo in relazione con queste congregazioni femminili: salesiani con le Figlie di Maria Ausiliatrice, per il mandato, anche di cui parlò il nostro venerato Rettore Maggiore, e anche con la famiglia del Caritas. Poi avrete occasioni, per necessità, con altre congregazioni religiose. Non dimentichiamo che vi sono leggi della Chiesa al riguardo che dobbiamo osservare, sia in relazione alla maniera di trattare, sia in relazione alle confessioni e cose simili. Come salesiani abbiamo delle regole chiarissime al riguardo. La Magna-carta, diremo così, in relazione a questo argomento, è la famosa lettera che potrete trovare del nostro notissimo compianto Sig. Don Albera, nella collezione delle lettere e circolari di questo nostro venerato superiore; e dobbiamo stare a quello.

Terzo: “Non fate visite, se non per motivi di carità e di necessità.” I nostri missionari, nella pratica della vita, sanno benissimo la necessità di queste visite. Si può dire che, almeno qui, nella zona di Tokyo, se non si fanno queste visite, eh sono quasi sempre visite alle famiglie, visite serali, necessarie a compiere il proprio lavoro. Don Bosco dice: attenti. E non fate queste visite, se non per motivi di apostolato, se non per motivi di carità, di necessità, la necessità dell’apostolato.

“Non accettate, - quarto - non accettate mai inviti di pranzo se non per gravissime ragioni; e in questi casi procurate di essere in due.” Eh, dovete capire anche voi altri, secondo le condizioni dei paesi, eccetera, eccetera.

Nono. “Fuggite l’ozio e le questioni. Grande sobrietà, ripeto, nei cibi, nelle bevande, nel riposo.”

Per l’obbedienza: “Osservanza delle regole e unione col superiore.” Uno dei punti fondamentali poi, su cui insiste Don Bosco, su cui insiste la Chiesa e su cui è

fondato tutto lo spirito missionario, addirittura di tutte le congregazioni religiose, è la carità. Ricordo il nostro santo Don Rinaldi quando ci inviò, la prima volta. Là ci siamo riuniti in nove nella cameretta di Don Bosco. Il Sig. Don Rinaldi celebrò la santa messa e poi fece un discorsetto in cui disse: “Badate, in questo nuovo paese, e badate che l’arma con cui voi potrete vincere le anime, non sono quelle che possiamo pensare noi altri, ma è la carità, la carità, la carità.”

E il nostro Don Bosco, proprio rivolgendo la parola ai missionari, a una delle spedizioni missionarie là nella cappella di Sanpierdarena diceva; “Troverete laggiù caratteri difficili e indisciplinati coi quali dovete usare carità, carità, carità.” E questa carità prima di tutto

dobbiamo adoperarla fra di noi. Decimo terzo: “Fra di voi, amatevi, consigliatevi, correggetevi, ma non portatevi mai nè

invidia nè rancore; anzi il bene di uno sia il bene di tutti; le pene e le sofferenze di uno, siano considerate come pene e sofferenze di tutti. E ciascuno studi di allontanarle o almeno di alleviarle. Poi, ogniuno pensi anche a quello che sa o a quello che fa.”

Ex fructibus cognoscetis eos. Alcuni sono fatti per parlare insieme e non vorrebbero gli altri, che debbono andarsene. Consigliatevi! Ho trovato questo mezzo che facilita: sempre mettere in luce tutto quello vero, che si fa. Facciamo già sempre tante chiacchiere. Venendo alla prova, ciascuno faccia quanto a lui è possibile, senza ostentazione. Ma questa carità dobbiamo anche usarla con gli altri. Non guardare i difetti altrui; ne abbiamo tutti. Ognuno faccia il suo dovere, affinchè non capiti che uno lavora per tre e l’altro per nessuno.

E “Prendete cura, specialmente, - qui lo ricordo, - degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri e guadagnerete le benedizioni di Dio e la benevolenza degli uomini.”

Decimo ottavo. “Nelle relazioni e nelle cose contenziose, prima di giudicare, si ascolti entrambe le parti.”

Noi poi abbiamo bisogno, diceva Don Bosco, di tutto e di tutti. Bisogna che ci facciamo degli amici. Diceva Don Bosco, “Tienti amico il potente affinchè non ti rechi danno, affinchè non ti nuocia.”

E allora vedete che c’è un seguito di articoli nei ricordi che serve appunto per questo. “Rendete ossequio a tutte le autorità, civili, religiose, municipali e governative. Incontrando persona autorevole per strada, datevi premura di salutando ossequiosamente.” È questa una relazione. Delle volte il missionario si isola precisamente dall’ambiente in cui egli deve vivere e pensa di essere un religioso che deve stare chiuso nella sua cella. Ma il missionario deve stringere relazioni con tutte le persone possibili e immaginabili, specialmente con le autorità. È in questa maniera che allora si possono collegare tutte le forze del missionario per potere riuscire a districare questa matassa che alle volte è molto difficile, questo blocco contro cui noi con forza e con coraggio dobbiamo lottare per riuscire a compiere il nostro dovere missionario.

Ottavo: “Fate lo stesso verso le persone ecclesiastiche o aggregate agli istituti religiosi.” In Giappone poi specialmente. Clero indigeno, istituzioni e congregazioni religiose di ogni

genere; ma se non si va d’accordo, non si conclude nulla. Niente da fare. E non avere paura se si stizziscono. E non avere paura. Diremo, ma che cosa ha da dire? Non importa, avanti! Mi apre gli occhi. È dall’unione delle forze che si può riuscire a fare qualche cosa di bene. Non aver timore.

“Amate, - Don Bosco, furbo, - amate, temete, rispettate gli altri ordini religiosi e parlatene sempre bene. È questo il mezzo di farvi stimare da tutti e promuovere il bene della congregazione.”

E Don Bosco insiste poi, - direi come conclusione finale, - in relazione al lavoro del

salesiano: le vocazioni. “Tutte le sollecitudini dei salesiani e delle suore di Maria Ausiliatrice siano rivolte a promuovere le vocazioni ecclesiastiche e religiose.” Nel grande sogno missionario si sente dire questo:

“Per coltivare, - diciotto, - le vocazioni ecclesiastiche insinuate amore alla castità, orrore al vizio contrario, separazione dai discoli, comunione frequente; usate coi giovani: carità, amorevolezza, benevolenza speciale.”

E non dimentichiamo che il nostro venerato Rettore Maggiore, precisamente nella sua visita, diceva parole anche per questo, per questo lavoro missionario, specialmente poi sulle vocazioni.

“Soprattutto voi, dovete fare quest’ambiente adatto per lo sviluppo delle vocazioni. Quanto bene possono fare a questo riguardo le Compagnie. Sì, le Compagnie anche di pagani. Ho visto che in alcune case avete organizzato le Compagnie fra gli allievi pagani. Non importa che non si possa seguire alla lettera il regolamento tradizionale, è lo spirito che conta. Mi si è aperto il cuore, non credevo. L’ho detto all’ispettore e lo ripeto. E ho deciso che ci sia per il prossimo Capitolo Generale la trattazione dell’istruzione religiosa dei pagani, come si può e come si deve fare. Noi ci serviamo delle scuole come campo missionario; è qui che possiamo esplicare il nostro apostolato, più ancora che nelle parrochie. Per l’istruzione religiosa dobbiamo far bene, scegliere gli uomini adatti per insegnare, usare buoni testi; - e qui va un plauso, e lo merita davvero, e un ringraziamente speciale a Don Barbaro che ha ultimato i testi per le scuole superiori. - Non potremo dare a tutti il battesimo; noi facciamo la nostra parte, e il resto lo farà il Signore. Usate come mezzi le filmine; hanno una grande importanza; facilitano di molto l’insegnamento e lo rendono attrattivo. E venga il giorno in cui si possano avere delle filmine che siano adatte precisamente a questo ambiente giapponese. Vedo con piacere che anche su questo punto siete avanti. Ricordatevi che il termine di paragone per il buon andamento di una casa è lo spuntare delle vocazioni religiose e anche per il clero secolare; sicuro, anche per questo dobbiamo lavorare e vedrete come i vescovi ci ringrazieranno.”

Tutti i nostri confratelli, specialmente delle missioni e anche dopo, qui nella zona di Tokyo, di Osaka, eccetera, abbiamo lavorato anche per le vocazioni. E che vada avanti in seminario o in qualsiasi posto, ne sia ringraziato Il Signore.

“Coltivate gli exallievi pagani e non pagani, coltivate i cooperatori.”E finisce il nostro Don Bosco nei suoi ricordi, ricordando lo spirito del lavoro salesiano

missionario. E dice: “Continuare con energia e sacrificio; lo sforzo sia sempre a fare e a costruire scuole e a tirare sù qualche vocazione per lo stato ecclesiastico; qualche suora per le Figlie di Maria Ausiliatrice, ma non si dimentichi che noi andiamo per i fanciulli poveri ed abbandonati. E non badate a fatiche o privazioni, ai disprezzi del mondo; fate quello che potete e Dio farà quello che noi non possiamo. Confidate in ogni cosa, - ripeto quello che abbiamo detto prima - in Gesù Sacramentato e Maria Santissima e vedrete che cosa sono i

miracoli. Ma vi è una cosa sola da raccomandare; che i miei figli confidino costantemente tutti in Maria.”

E conclude il nostro buon padre con quel ricordo che ci sentiamo sempre ripetere in occasione della ripetizione dei nostri santi voti. “Nelle fatiche e nei patimenti non si dimentichi che abbiamo un gran premio, preparato il cielo.”

Mi sembra, dico, che studiando l’ossatura di questi ricordi, annettendo questi pensieri che il nostro Don Bosco in altre occasioni ha detto proprio ai missionari, noi abbiamo tutto il necessario e il sufficiente per poter essere veramente buoni missionari, prima per noi, per le nostre anime, e per tutte le anime, che non son poche, che il Signore ci ha affidato qui, nel nostro caro Giappone. Non dimentichiamolo, è dovere.

Ma, permettete che concluda, insistendo, su quanto nelle meditazioni e nelle nostre povere conversazioni si è insistito, cioè la formazione nostra spirituale, la nostra santificazione. Accogliete questi ricordi. Bisogna, vedete, che noi operiamo da uomini, virilmente, con spontanea e personale energia in questo argomento. Nell’esercizio della virtù, dobbiamo operare da noi, indipendentemente dagli incitamenti dei superiori e anche da certi esterni aiuti, con volontà ferma, decisa, che appare dall’interesse proprio per la salvezza dell’anima nostra, per la nostra formazione spirituale. Ché se non c’è questa, è impossibile la formazione spirituale degli altri, perché non si può dare agli altri quello che non abbiamo noi.

Non dimenticate il nostro proverbio italiano che c’è poi in tutti i paesi. “L’occhio del padrone ingrassa la stalla.” E se noi abbiamo occhio alla nostra anima è naturale che il profitto si fa. Ma badate che bisogna agire con spontanea e personale energia, perché delle volte noi aspettiamo, diremo, la pappa fatta. E agiamo semplicemente perché un superiore ci dice: ma tu fa così, e basta. Il superiore farà il suo dovere, ma siamo noi personalmente che dobbiamo operare indipendentemente da questi incitamenti perché appare l’interesse nostro. E guardate i santi, che cercavano precisamente, tentavano tutti quanti i mezzi possibili e immaginabili ed impiegavano tutte le loro forze. Guardate, amici miei, il nostro Savio Domenico. “Bisogna assolutamente che io mi faccia santo.” Assolutamente! Ragazzo, di tredici quattordici anni!

Dunque, cerchiamo miei buoni confratelli, di amare la nostra perfezione. Siamone santamente ambiziosi, siamone santamente appassionati; - forse una parola un pò più forte - santamente ossessionati. Allora sì che faremo qualche cosa di buono.

Oggi abbiamo riflettuto su questa nostra vocazione missionaria. Ringraziamone il Signore e pensiamo precisamente di prepararci continuamente. La preparazione del missionario, non deve essere semplicemente, per voi, qui, nei pochi anni che state a Chofu. Deve sempre continuarsi con un crescendo, ad meliora, più in alto. È sempre così che noi dobbiamo operare.

Ci illumini miei cari confratelli, in questo lavoro del nostro perfezionamento, in questa

passione del nostro perfezionamento, la nostra buona madre Maria Ausiliatrice, regina degli Apostoli e il nostro Don Bosco che ci ha dato tutti quanti questi mezzi che ci facilitano questa nostra opera missionaria.

Sia lodato Gesù cristo. Sempre sia lodato.

Sesta predica - L’OBBEDIENZA27 luglio 1955 pomeriggio

Vogliamo questa sera di rivederci con il nostro Don Bosco e sentire la sua parola, in relazione a un punto certamente fondamentale per la nostra vita religiosa.

Già ancora prima che il nostro Don Bosco avesse avuto l’approvazione della sua congregazione, si può dire agli inizi delle sue pratiche per potere riuscire all’intento, cercava di far fare un pò di noviziato sui generis a quei giovani che aveva intorno, in cui vedeva che ci poteva essere una buona stoffa per diventare poi suoi buoni aiutanti, i primi salesiani.

Nel 1862, fa con loro un piccolo discorsetto in cui parla precisamente dell’obbedienza, proprio in una di quelle prime sedute capitolari che facevano quei primi, quando dovevano ammettere fra di loro qualcuno dei loro compagni. E in una serata parla appunto dell’obbedienza e dice: “Oboedientia est voluntas prompta se tradendi ad ea quae vertunt ad Dei famulatum.” Questa definizione coincide con quella di devozione. Noi abbiamo bisogno che ciascuno sia disposto a fare grandi sacrifici di volontà; non di sanità, non di macerazioni e penitenze, non di astinenze straordinarie di corpo, di cibo, ma di volontà. Perciò, uno adesso deve essere pronto, ora a salire il pulpito, ora ad andare in cucina, ora a fare scuola ed ora a scopare; ora a fare il catechismo o pregare in chiesa, ed ora assistere nelle ricreazioni, ora a studiare tranquillo nella sua camera, ed ora accompagnare i giovani alla passeggiata; ora a comandare, ed ora ad obbedire. Con tale disposizione di animo operando, avremo la benedizione di Dio perché saremo veri suoi discepoli e servi. Domanda forse il Signore, - diceva Samuele a Saulle - degli olocausti o delle vittime, e non piuttosto che si ubbidisca alla sua voce? Dobbiamo perciò ascoltare e seguire con generosità la voce del superiore che rapresenta Iddio e la voce del dovere. Seguendo questo raggiungeremo il fine della nostra vocazione, ci faremo dei grandi meriti e salveremo le anime nostre e quelle degli altri.”

Ecco come Don Bosco incominciava ad instillare nei suoi primi aiutanti, il concetto di obbedienza. Rimettersi completamente nelle mani del superiore che rappresenta il Signore, che rappresenta la voce del Signore. È, diremo una forma pratica, ed è precisamente quella di cui dobbiamo servirci anche noi. Cercando precisamente di ravvivare la nostra fede; non c’è altro miei buoni confratelli: è fare un forte esercizio di volontà e di giudizio.

Con la grazia del Signore, se faremo in questa maniera, e se capiremo, direi, più che teoricamente, l’eccellenza dell’obbedienza, la necessità, eccetera; se comprenderemo praticamente perché abbiamo bisogno dell’esercizio di questo voto e di perfezionarci nella virtù, abbiamo bisogno, dico, in tutti i momenti della giornata, ad ogni nostra azione, perché precisamente il nostro giudizio, la nostra volontà, la nostra sensibilità, continuamente, se non stiamo in guardia, sono in urto precisamente con la volontà del superiore.

Vi ricordate della circolare di cui abbiamo parlato in cui il nostro Don Bosco parla della unità sia nell’esercizio della moralità, sia nell’esercizio dell’amministrazione. E diceva ancora, che ci doveva essere unità nell’obbedienza e spiega la cosa in quella circolare, in questa maniera.

“In ogni corpo vi deve essere una mente che regga i suoi movimenti. E tanto più attivo e doveroso sarà il corpo, quanto più le membra saranno pronte ad ogni suo cenno. Così nella nostra Società; sarà necessario che qualcuno comandi e che gli altri ubbidiscano. Accadrà talvolta, - eh vedete come alle volte noi giudichiamo velocemente anche i nostri superiori, ed è anche la realtà, non c’è mica da impressionarsi, - accadrà talvolta che chi comanda sia il meno degno; - si può anche aggiungere, sia il meno capace a nostro modo di vedere. - Capiterà anche questo. Si dovrà perciò negargli ubbidienza? No, perché così facendo il corpo resta disorganizzato, e perciò inetto ad ogni operazione. Si abbia sempre presente che il superiore è il rappresentante di Dio e chi ubbidisce a lui, obbedisce a Dio. Che importa che in molte cose sia inferiore a me? Si ha più merito, è più meritoria la mia sottomissione. E d’altra parte si pensi che il comandare è un peso enorme, e quel povero superiore volentieri se ne sgraverebbe, qualora non l’obbligasse a tenerlo il vostro bene medesimo. Per la qual cosa procurate di allegerirglielo col mostrargli pronta obbedienza, soprattutto accettando di buon animo qualunque suo comando e ammonizione, perché egli fa uno sforzo nel comandare, e quando vede che le sue parole vi sdegnano e vi piegano, forse non oserebbe ammonirvi altre volte e allora il male sarebbe vostro e suo.

Se noi considerandoci membri di questo corpo che è la nostra società, ci adatteremo a qualsiasi funzione che ci tocchi di fare; se questo corpo sarà animato dallo spirito di carità e guidato dall’obbedienza, avrà in sè il principio della sua sussistenza e l’energia ad operare grandi cose a Gloria di Dio, al bene del prossimo e alla salute dei soggetti. Non si vuol però intendere che uno sia obbligato ad indossare pesi che non possa portare. Ciascuno, quando non si sentisse di fare quel tale ufficio che gli è stato affidato, ne parli, e gli sarà tolto. Quello solo che si richiede sia che ognuno sia disposto a fare ciò che può quando gli venisse imposto; di modo che, se anche un prete fosse in necessità di lavare i piatti, eh lo faccia.”

Vedete, sono pensieri, che mi sembrano molto semplici, molto ragionevoli. Ma vedete il fondo su cui insiste il nostro caro padre; ci vuole un pò di spirito di fede, che comprendiamo precisamente che l’autorità proviene dal Signore, e che colui che ci comanda e quelli che con lui cooperano al buon andamento della casa e ci guidano, sono rappresentanti del Signore da cui proviene l’autorità.

E in un’altra occasione nel 1876 chiarisce ancora più fortemente la posizione del superiore, perché si possa ottenere realmente questa unità di azione fra tutti i confratelli della casa, fra tutti i confratelli, possiamo dire, dell’ispettoria, fra tutti i membri della congregazione.

“Tra noi il superiore sia tutto. Ciò che avviene per il Rettor Maggiore per tutta la società,

bisogna che avvenga per il direttore in ciascuna casa. Esso deve fare una cosa sola col Rettor Maggiore, e tutti i membri della sua casa devono fare una cosa sola con lui. In lui ancora deve essere come incarnata la regola. Non sia lui che figuri, sarà la regola.

Si procuri inoltre di conservare la dipendenza fra il superiore e l’inferiore e ciò, spontaneamente, non coacte, per forza. I subalterni si impegnino molto a circondare, a aiutare, sostenere, difendere il loro direttore, e stargli fitti attorno; far quasi una cosa sola con lui. Nulla facciano senza dipendere da lui, perché così facendo non dipendono da lui, ma dalla regola. Non voglio dire qui che non si faccia nessuna azione, volta per volta, senza il consenso del direttore; ma intendo che tutti si regolino secondo gli avvisi e le norme che il direttore ha dato. E nelle cose in genere o improvvise da farsi, non si proceda a capriccio ma si abbia sempre lo sguardo rivolto al centro di unità.”

Vedete miei buoni confratelli, ripeto, sì, questo pensiero, perché mi pare che sia così utile, direi così, più capibile sotto questa formula a noi, affinchè realizziamo precisamente questa unità di corpo, questa unità di spirito, senza della quale le forze si disperdono; e ripeto, se nella nostra cara ispettoria, come nelle singole case non si riesce a fare tutto quel bene che si fa, è precisamente da questo. Non siamo uniti in un corpo solo, in una mente sola, in una parola sola, in una azione sola. Vedete che la Gloria di Dio e la salvezza delle anime, non può.

E allora Don Bosco insiste ancora su un altro punto, quello che egli chiama “la disciplina”. È l’osservanza di tutte le regole, tanto delle costituzioni, come delle particolari per i vari uffici che vengono assegnati. È una magnifica circolare del 15 novembre 1873, proprio nell’anno dell’approvazione della Congregazione.

“Voglio parlarvi del fondamento della moralità e dello studio, che è la disciplina fra gli allievi. Voglio esporvi i mezzi che l’esperienza di 45 anni trovò fecondi in risultati buoni. Per disciplina, non intendo la correzione, il castigo, la sferza, cose che non vanno date. Nemmeno l’artificio o la maestria di una cosa qualunque. Ecco, per disciplina intendo un modo di vivere, conforme alle regole e costumanze di un istituto. Inoltre, per ottenere buoni effetti dalla disciplina, prima di tutto conviene che le regole siano tutte, e da tutti osservate. Questa osservanza devesi considerare nei soci della Congregazione e anche negli allievi dalla Divina Provvidenza affidati alle nostre cure. Quindi la disciplina rimarrà senza effetto se non si osservano le regole della società o della congregazione; credete miei cari, da questa osservanza dipende il profitto morale e scientifico degli allievi, oppure la loro rovina.

A questo punto voi vi domanderete: quali sono queste regole pratiche che ci possono giovare all’acquisto di tanto prezioso tesoro. Due cose: una generale e l’altra particolare.

In generale, osservate le regole della congregazione e la disciplina trionferà. In particolare, nessuno ignori le regole proprie del suo ufficio. Le osservino, le facciano

osservare dai dipendenti. Se chi presiede agli altri non è osservante, non può pretendere che i suoi dipendenti facciano quello che egli trascura, altrimenti gli si direbbe: Medice cura

te ipsum.” E continua nella lettera a distinguere precisamente i doveri del direttore, i doveri del

prefetto, i doveri del catechista, dei maestri e degli assistenti. Ecco un consiglio pratico che ci davano sempre i nostri superiori.

Durante gli esercizi spirituali, mentre siamo invitati alla lettura della regola, - pur facendosi anche in pubblico quel poco che si può, - ad ogni modo uno fa la lettura di tutte le regole dei regolamenti, ma in modo speciale in occasione degli esercizi Spirituali, e sarebbe più che lodevole in occasione dell’Esercizio di Buona Morte, ognuno si prenderà il libretto, e l’ispettore ha i suoi doveri, il direttore ha i suoi doveri; vi sono elencati i doveri del prefetto, del catechista, del consigliere e altri lavori e doveri particolari per i maestri d’arte, degli assistenti, eccetera. Ognuno deve prenderele in mano, - questa è la forma più pratica, - e allora in questa forma pratica noi veniamo proprio a vedere se abbiamo osservato i nostri doveri, se li abbiamo compiuti bene; e siamo in grado di valutare precisamente che cosa ci sarebbe da fare. Non è una cosa difficile. Mi sembra una cosa ragionevole.

Le nostre case si possono paragonare a un giardino. Il direttore è il giardiniere, le pianticelle sono gli allievi; tutto il personale sono i coltivatori che dipendono dal padrone, ossia dal direttore che ha la responsabilità delle azioni di tutti. A tutti poi è caldamente raccomandato di comunicare al direttore tutte le cose che possono servire di norma a promuovere il bene e di impedirne le offese del Signore.

Il rendiconto; tutte le volte che abbiamo bisogno. Specialmente coloro che hanno delle responsabilità speciali, bisogna che siano in contatto continuo col direttore. Allora vedrete che le cose possono procedere bene.

La raccomandazione che continuamente fanno i nostri superiori: che funzionino i capitoli delle case, che funzioni il capitolo ispettoriale, che funzioni il capitolo superiore. Che siano eseguite quelle conferenze, che siano eseguite quelle radunanze, o settimanali o mensili che sono prescritte nei nostri regolamenti. Se no... non si ricordano, ...non si può nella casa e intanto rimaniamo privi precisamente di questa unificazione di tutte le forze della casa, di tutte le forze dell’ispettoria per poter riuscire a fare i nostri doveri.

Ma su miei cari confratelli, mettiamoci tutti quanti con grande impegno. Mi sento di poter dire praticamente: se noi osserviamo le nostre regole, - ve lo ricordate là, quel capitoletto dei 5 difetti da evitare, - se ognuno fa la sua parte meglio che sa e può, ed è quindi che vi consiglio nelle difficoltà, nei dubbi, si concordi fraternamente, sia coi suoi confratelli, sia col direttore, certo che le cose non possono non andar bene, se noi eseguiamo benissimo l’obbedienza in questa forma pratica.

Il nostro superiore nella sua visita ha parlato anche dell’obbedienza. “L’ubbidienza ci fa rimirare Dio nei superiori. Assieme all’ubbidienza la familiarità è una

caratteristica salesiana che costa. Questa familiarità però non abbia a guastare l’obbedienza, non abbia a rendere il confratello giudice del suo superiore, quasi fosse un

compagno di classe.” Anche se siete stati compagni, quando uno è superiore bisogna rispettarlo e riverirlo; ma

noi che facciamo?… Ha visto bene, ha toccato bene; e può essere precisamente che in relazione a questo punto il sottoscritto debba dire il suo: Mea maxima culpa! e se ci fosse un superlativo ancora più grande, meglio. Perché forse, è dipeso, direi, da questo povero uomo, forse questa eccessiva familiarità. In questa ispettoria, - ecco quà, e qui vedete il punto debole nostro e bisogna assolutamente che lo correggiamo - in questa ispettoria troppi hanno preteso d’immischiarsi nel governo. Questa è familiarità fuori posto.

Perciò chi non è superiore, deve evitare la critica, deve evitare l’intervento fuori posto nelle attribuzioni del superiore, perché questo guasta l’ubbidienza e la carità. Attenti a quel che vi dico: Chi non ha dirette responsabilità, prima di giudicare ci pensi dieci volte; prima di parlarne con altri e di criticare, ci pensi cento volte. E badate che, - questo è sicuro, - non bisogna che abbiamo timore di fronte al Signore di dire i nostri peccati, che diciamo in segreto quando ci confessiamo; ma diciamo, facciamo pure questo rendiconto. Badate che è uno dei tanti difetti della nostra ispettoria.

Proprio questo pensiero. Ricordo che negli ultimi esercizi, mi sembra - divento vecchio e la memoria... e poi non ho l’abitudine, e del passato non ci penso più. Non venitemi a domandare cose degli avvenimenti passati, badate, e cose simili, non mi ricordo. - Ma ricordo questo, che, mi sembra sia stato l’ultima muta di esercizi che ho predicato ai miei cari confratelli prima di andare in Italia. E so che feci una calorosa raccomandazione ai miei cari confratelli dicendo: “Facciamo tutti insieme questo proposito fermo, di togliere tra di noi in nome della carità, in nome della giustizia, di togliere tra noi questo difetto. Quali siano stati i risultati, non saprei. Quale sia stato l’impegno dei singoli per potere riuscire a questo intento non so. So questo, e lo trovo qui scritto e l’ho udito coi miei orecchi dalle parole del nostro caro Rettore Maggiore.

Ecco miei cari confratelli, vogliamo essere davvero esigenti, ognuno faccia la sua parte. L’ispettore ha le sue responsabiltà come le hanno i superiori maggiori; il direttore di ogni casa ha la sua responsabilità come l’hanno tutti i direttori delle case; ognuno di noi, prefetto, consigliere, e andate dicendo, avete le vostre responsabilità di cui dovete rendere conto al Signore. Abbiamo sentito la bella meditazione del giudizio; ed è questo, vedete, la cosa più terribile per un superiore. Specialmente per un superiore che non solo ha la responsabilità dell’anima sua, ma ha la responsabilità dell’anima di tutti i suoi dipendenti.

E allora, pensiamo alle nostre responsabilità. Cosa dobbiamo andare a immischiarci nelle responsabilità degli altri. Facciamo il nostro dovere. Non trovo altra soluzione, miei cari confratelli per riuscire precisamente a che, la nostra ispettoria venga risanata più fortemente in relazione precisamente a questo punto, non c’è altro che questo. Cerchiamo di vedere e ognuno faccia il proprio proposito, vediamo se l’abbiamo fatto tutti nella meditazione di ieri sera. Vedete, per essere veramente padroni della nostra bocca, della

nostra lingua e del nostro pensiero. E poi miei cari confratelli, mi sembra, che non c’è altra soluzione che questa, che tutti quanti prendiamo il coraggio a due mani, e dovremmo averlo, perché si tratta della Gloria del Signore, si tratta della carità, si tratta del bene delle anime. Questo è il vero bene delle anime; perché cioè, quando noi ci troviamo in conversazione e si cade, perché non ci si pensa, ah non si pensa neppure all’ennesima, - non saprei come dire, - intenzione. Ma non che retta, proprio non ci si pensa, è un’abitudine talmente incarnata che non ci si pensa. Si parla di tutto, di tutti, e specialmente, evidentemente, dei superiori.

Non c’è, ripeto, altro che questa soluzione. Che ognuno abbia il coraggio di dire: ma, piantiamola lì. E se non si pianta lì, ognuno abbia, - direi così, - scuse. Se ha paura, scuse per dire, - si possono trovare delle scuse, - piantiamo la conversazione. E in qualche altra occasione, se ci fossero conversazioni gravi in relazione a questo, in relazione a tizio, caio, sempronio, superiori, inferiori, superiori maggiori, ma si dica: basta! Di fronte a me questi discorsi non si possono, non li voglio sentire. Ed è finito. Bisogna che veniamo a questi punti, se nò, miei cari confratelli, in questo non ci correggeremo; e quindi non accontenteremo il Signore.

Vi ricordate Sant’Agostino, Sant’Agostino là nella sala del Vescovo, viveva insieme ai suoi preti. E aveva tutti gli invitati e c’era scritto là: “Coloro i quali intendono di venire a questa mensa e intendono di sparlare del prossimo, pensino che qui non trovano posto e se ne vadano.”

Perché, dunque, non lo possiamo fare anche noi. Ah, questo miei buoni confratelli, sarebbe proprio un buon proposito. Bisognerebbe certamente pensare essere l’anima individuale ancora più importante. Io questo non so, è affare di ognuno di noi. - Ma penso che per riuscire a questo intento, per me non trovo altra soluzione. Prego il Signore che ci aiuti realmente a comprendere questo e a correggere nel più breve tempo possibile.

“La vostra ispettoria è formata e vitale; potrà vivere e svilupparsi. Ha un bell’avvenire; ringraziamo il Signore. Se sarete santi e se sarete uniti, ben organizzati e alle dipendenze di chi vi deve dirigere, farete dei miracoli. Eppure, vedete, fra di voi altri, ci sono non pochi che sono pessimisti in relazione a questo. Sembra che non si riesca a far niente.”

No, no, no, questo è un cattivo pensiero; perché vedete, il pessimismo ci irrigidisce, non ci fa valere delle forze. È la superbia, diremo così, che diffida della Grazia del Signore. “Omnia possum in eo qui me confortat.” È così che dobbiamo pensare, è così che dobbiamo pensare il bene dell’anima nostra; è così che dobbiamo pensare l’apostolato missionario tra i nostri allievi, tra i nostri cristiani, fra tutto il popolo giapponese. Almeno indirettamente, con la parola, con la stampa, nelle forme insomma che ci sono possibili.”

No, no, non siate pessimisti. Ricordatevi che nell’apostolato noi siamo zero; chi salva è il Signore. E quando vedete il bene che si fa, dovete dire: “A Domino factum est istud.” Noi siamo dei semplici strumenti. Se noi corrispondiamo, Iddio farà dei miracoli. Ma delle

difficoltà, non dobbiamo parlarne troppo; bisogna essere ottimisti. Ma che ci siano delle difficoltà, chi lo nega? Cominciamo a prendere la prima difficoltà, il clima, le usanze, la lingua. Se potessimo dire, il carattere dei popoli e andate dicendo, e tante altre difficoltà che conoscete specialmente voi, che vivete nella vita della missione, nella vita della casa a contatto col personale insegnante giapponese, a contatto con tante e tante persone.

Va bene, noi qui a Chofu dobbiamo insegnare qui, quae, quod, per i chierici e sacerdoti. Non lo so ma bisogna fare anche questo. Ma dico, miei buoni confratelli, se di fronte alle difficoltà, non si riesce di quà e di là... Ma io ricordo nei primi tempi. I missionari, di cui ho già parlato: “Ma perché voi altri salesiani perdete tanto tempo coi ragazzi; non riuscirete a fare niente.” Vedete adesso le nostre scuole; e se non avessimo fatto niente, sicuro, saremmo riusciti precisamente a non fare, come han fatto gli altri. Non voglio criticare, dopo quello che ci siamo detti. Ma i nostri cari confratelli della Cina, per 25 anni non hanno fatto niente, perché? Perché vivevano il sistema missionario delle missioni estere di Parigi. Non una vocazione, niente!

Ecco, miei buoni confratelli; dunque non lasciamoci disanimare. Avanti, facciamo bene il nostro dovere. E specialmente dico, ci sia precisamente questa unione. Ritornerò forse sull’argomento anche nel punto della carità, perché quello è poi il massimo sforzo che noi dobbiamo fare per amare intensamente il Signore, amare noi stessi, perché se non ci vogliamo bene come fratelli, ma come possiamo lavorare insieme. È impossibile. Mangiarsi gli uni con gli altri, con la testa e con le parole; e invece di aiutarci e stenderci generosamente la mano, specialmente vero, quando siamo nelle necessità, ecco che facendo così non si riesce, non si riesce.

Ecco, miei buoni confratelli. Ascoltiamo la parola del nostro Don Bosco: “Il superiore, chiunque sia, è il rappresentante del Signore.”

In altri tempi, facevo, - forse lo ricordate, - l’esempio che a me rappresenta il paragone più facile. Noi abbiamo la necessità dell’acqua. Dove la si prende quest’acqua? Ma ci son tanti punti; ci sono i serbatoi di quà e di là. Andate là nelle alte montagne; vedete come fanno a raccogliere l’acqua, questa brava gente là, dei murà (paesi) spersi nelle conche; un tubo di bamboo, di takè va benissimo, che, avanti piglia il piccolo filetto dell’acqua e lo conduce là, e quest’acqua dopo si raccoglie. Dopo ci sarà un tubo, magari, di terracotta; poi dopo più tardi ci sarà una diga; e di lì partiranno tubi di ferro. Li abbiamo visti là, vero, nelle grandi montagne; e vengono in città, e l’acqua si ammassa, si ammassa, si ammassa e si distribuisce a tutte le case. Tubi di piombo, li volete più ricchi? Ma mettete i tubi d’oro, d’argento. Che cos’è che importa? È il tubo? È l’acqua miei cari confratelli.

Sì, sì; il superiore rappresentatelo come il tubo; alle volte può essere un povero takè (bamboo), un’altra volta può essere un povero coccio di terracotta; sicuro. Perché vedete, perché uno è superiore, non vuol mica dire che sia la quinta essenza della bontà, dell’ingegno, della prudenza. È il rappresentante del Signore. A me l’importante è questo:

udire la voce del Signore, da qualunque parte mi venga. E son sicuro che quando mi viene dal superiore, è la volontà di Dio, ed è questa che io devo fare; è questo che io ho promesso di fare. L’ho promesso con voto; e inoltre - l’ho detto, - voglio spingere la mia obbedienza ancora più in sù. Non essendoci altro materiale, non essendoci atto di volontà, magari nella testa brontolando e gemendo e non si sa perché, dopo aver promesso, faccio, faccio, faccio, e poi quando si tratta all’opera di dovere fare, avanti, avanti, avanti.

Oh, questo non va di quà e di là, e di sù e di giù... Il giudizio è la cosa più difficile. E il Signore mi ha dato questa testa: debbo giudicare. E noi siamo, vedete, in questa alternativa, lo capite anche voi altri. Per dovere debbo giudicare. Debbo giudicare me stesso prima di tutto; debbo giudicare i miei allievi. Avete le vostre adunanze settimanali, le vostre adunanze mensili; in occasione degli esami dovete valutare i vostri allievi. Son giudizi; i giudizi non solo sulle capacità, ma sulla diligenza, sulla condotta, e andate dicendo. Questo è il dovere. Il dovere di ognuno di noi che ha una responsabilità è riferire nel rendiconto precisamente quanto egli compie più o meno esattamente del suo dovere. Non è così miei cari confratelli? E dall’altra parte io non debbo giudicare. Non debbo giudicare quello che non è direttamente sotto la mia responsabilità. Non debbo giudicare il comando del superiore.

Vedete la bontà però della nostra regola, la ragionevolezza della nostra regola. Lo dice chiaro Don Bosco, lo abbiamo letto: “Non ti senti, hai delle difficoltà? Ma esponile.”

Ecco questa familiarità; ecco il vedere nel superiore - ed è per questo che Don Bosco dice precisamente che “L’ obbedienza si rassomiglia alla devozione, alla pietà.” È questo amore filiale, la pietà, - vero, - verso il Signore. E questo amore filiale, noi lo dimostriamo verso il nostro superiore, chiunque esso sia. Ecco miei buoni confratelli, quello che è il giudizio.

Non posso non giudicare, - dico. - Io mi figuro il giudizio come l’occhio, mi figuro il giudizio come il mio orecchio, mi figuro il giudizio come i miei sensi. I miei sensi hanno il loro ufficio: c’è la luce, leggo. Ma quando non voglio vedere, chiudo gli occhi. Ho le orecchie: sento i suoni. Oh, la bellezza dell’armonia, dei suoni! Ma quando non voglio sentirla perché mi disturba, perché può suscitare in me delle passioni, chiudo, gli occhi. Dovremmo chiudere continuamente, quando ci viene l’idea di giudicare, la nostra bocca con un lucchetto che salvasse fortemente questo strumento così grande che ci ha dato il Signore per potere compiere il nostro apostolato di bene. In poche parole, e nello stesso tempo, questo strumento così terrificante quando noi lo adoperiamo nel male.

E così è nel giudizio. Sicuro, non posso non giudicare, perché non posso non vedere. Ma posso chiudere gli occhi. Posso chiudere il giudizio, non è espressione filosofica, ma importa capire il pensiero. Debbo chiudere il giudizio. - No! E si fà, contrariamente al nostro pensiero e non c’è bisogno di duscutere. Se il nostro pensiero è contrario a quello del superiore, si chiude, e così noi si fa il proprio dovere.

È così che bisogna che ci abituiamo miei cari confratelli se vogliamo diventare veramente

obbedienti ed acquistare il merito dell’obbedienza. - Che merito c’è? - Beh, il Signore ci dà, anche ci fà questa carità di darci il merito anche quando non ci costa nessuna fatica. Ma è certo che quando è una rinunzia del nostro io, del nostro modo di pensare, certamente il merito che noi abbiamo nell’obbedienza è infinitamente superiore.

Su dunque, miei cari confratelli! Santa allegria, perché l’allegria per Don Bosco rappresenta la pace, la tranquillità dell’anima, in pace con Dio. Santa allegria in pace coi nostri confratelli. Ma vogliamoci bene veramente come fratelli. Pace coi nostri superiori, che anche loro hanno le loro difficoltà da combattere. Aiutiamoli, - come dice Don Bosco; - stringiamoci intorno ai nostri superiori, - potremo dire così, - una cosa sola con loro. E allora, ma non ce l’ha ripetuto tante volte il nostro Don Bosco, che per noi salesiani la nostra santità consiste nel compiere il nostro lavoro ordinario giornaliero per amore del Signore? È una roba difficile?

Su, su! Ci aiuti Maria Santissima, la Madre dell’umiltà: “Ecce ancilla Domini. Fiat mihi secundum verbum tuum.” E quando noi ci troviamo di fronte all’obbedienza, ci piaccia o non ci piaccia, - e d’altra parte le nostre obbedienze son poi tutte lì scritte nelle regole, che abbiamo già promesso, ve lo dico ancora, - ci piaccia o non ci piaccia, non possiamo far altro che un bel atto di umiltà. E domandiamo al Signore e alla nostra buona Madonna, la forza di eseguire questa obbedienza. “Vir obediens loquetur victoriam.”

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

Settima predica - LA POVERTA’ EVANGELICA28 luglio 1955 mattino

La meditazione di questa mattina ci ha portato alla considerazione di quel distacco che il Signore ha stabilito come pena del peccato. ( Vogliamo in questa mattina considerare anche insieme nella vita paterna del nostro Don Bosco il distacco volontario che per vocazione, quando siamo entrati nella nostra Congregazione abbiamo fatto, abbracciando la povertà evangelica.) Il mezzo per riuscirci: il voto di povertà. La meta da raggiungere: la santa virtù della povertà. L’esempio: Dio, Gesù benedetto.

È un argomento che ci tocca da vicino, anche per questo, perchè, miei cari confratelli, dobbiamo dircelo chiaramente, qui nella nostra ispettoria non siamo ancora perfetti in relazione a questo. Motivi: sarebbe troppo lungo cercarli, scrutarli; ad ogni modo è certo che, nella realtà concreta di fatto, non eseguiamo ancora bene, nè il santo voto, e penso che siamo ancora lontani dalla perfezione della virtù della povertà.

Richiamiamo dunque i pensieri del nostro caro padre, più, ricordiamo le promesse che noi abbiamo fatte quando ci siamo legati al Signore. La lettura, oggi, del capitolo in relazione alla povertà, di quanto scrive il nostro Don Bosco nei preliminari delle regole, quanto è prescritto anche dai nostri regolamenti, possono essere un utile esame.

Liberamente, consapevolmente ci siamo distaccati secondo gli insegnamenti di Gesù benedetto da quanto ci poteva tenere legato alle cose, alle persone di questo mondo. Richiamiamola, e dal momento che abbiamo fatto questa solenne promessa, ripeto, consapevolmente, liberamente, perchè noi dobbiamo cercare di fare in maniera che realmente questa promessa sia mantenuta, il più perfettamente che sia possibile, tanto più che noi per dovere, per obbligo dobbiamo tendere alla perfezione.

Vi ricordate che il nostro caro padre, quando abbiamo letto la circolare sua in relazione all’unità di spirito, dice anche: “Occorre l’unità di amministrazione”, e scrive così: “All’unità di spirito deve andare congiunta l’unità di amministrazione.”

Un religioso si propone di mettere in pratica il detto del Salvatore, vale a dire di rinunziare a quanto egli ha o possa avere nel mondo, per la speranza di una migliore ricompensa in cielo: padre, madre, fratelli, sorelle, case, sostanze di qualunque genere, e tutto offrire al lavoro di Dio. Senonchè avendo egli ancora l’anima unita al corpo, ha tuttora bisogno di mezzi materiali per nutrirsi, coprirsi ed operare; e perciò, mentre egli rinuncia a tutto quanto aveva, cerca di aggregarsi in una società in cui possa provvedere alla necessità della vita, senza punto avere il peso dell’amministrazione temporale. Come dunque egli deve trovarsi in società in quanto alle cose temporali?

Le regole della Società provvedono a tutto. Dunque, praticando le regole, rimane soddisfatto ogni bisogno. Per sè una veste, un tozzo di pane devono bastare a un relegioso; quando occorresse di più ne dia un cenno al superiore e ne sarà provveduto. Non

dimenticate l’articolo delle regole che dice appunto : “Che non ci sia ansietà nè di domandare e di rifiutare, ma qualunque cosa sia necessaria ci si rivolga al superiore che si deve dare massima cura di provvedere.”

Ma qui deve concentrarsi lo sforzo di ciascuno, ecco: l’unità nella povertà, l’unità nell’amministrazione. Chi può procurare un vantaggio alla Società lo faccia, ma non faccia mai centro da sè. Si sforzi di fare sì che vi sia una sola borsa, come deve esserci una sola volontà. Chi cercasse di vendere, di comprare, cambiare o conservare danaro per propria utilità, chi ciò facesse sarebbe come un contadino che mentre i trebbiatori ammucchiano il grano, egli lo disperde e lo getta in mezzo alla sabbia.

A questo riguardo io debbo raccomandare di nemmeno conservar danaro sotto lo specioso pretesto di ricavarne un utile per la Società. Ah, Don Bosco nel problema della amministrazione, nel campo della povertà è veramente rigido, strettissimo. E ricordate che pure avendo al fianco il santo Don Rua, lo rimproverava una volta, “Ma possibile che non possa trovare un prefetto che mi segua nei criteri direttivi, amministrativi della nostra Società!”

La cosa più utile, dunque, debbo raccomandare di nemmeno conservare denaro sotto lo specioso pretesto di ricavarne un utile per la Società. La cosa più utile, - ecco mettiamocela in testa miei cari confratelli, e più che mettercela in testa pratichiamola, - la cosa più utile per la società è l’osservanza delle regole, non il credito; l’osservanza delle regole, sine glossa, sine glossa. Se così facciamo saremo veramente poveri come ci vuole il Signore, non nel senso materiale della parola.

La nostra deve essere una povertà interiore, lo sapete. Noi dobbiamo metterci da questo punto di vista: io son povero, ho fatto le mie promesse, le ho fatte io, non le ha mica fatte il mio compagno, non le ha mica fatte il mio direttore, non le ha mica fatte il superiore maggiore, le ho fatte io; e le ho fatte perchè ho capito e perchè ho voluto che così fosse. La regola è chiara. Ecco la nostra povertà interiore, personale, di cui siamo responsabili di fronte al Signore nel giudizio che noi dovremo ricevere.

Ecco miei buoni confratelli. Vi è questa povertà - diremo, - nella nostra casa, perchè come famiglia, come piccola società, che si allarga poi nella società della nostra ispettoria, evidentemente nella osservanza della regola così com’è, com’è scritta.

Lasciatemi dire una parola perchè incominciamo ad introdurre, diremo così, nella nostra vita religiosa quel concetto che si può introdurre in idee filosofiche, se volete anche teologiche, di aggiornamenti e cose simili. La regola è così. E noi l’abbiamo professata così e se cambiasse, - io penso, - di fronte al Signore e di fronte alla Chiesa, saremo liberi di anche andarcene dalla nostra società; ma noi abbiamo promesso così come è.

Perchè tante interpretazioni? Perchè tanti sotterfugi e cose simili? Questo mi pare che sia il pensiero esatto del nostro caro Don Bosco e così dobbiamo cercare di renderlo pratico nella nostra vita quotidiana. Allora avremo la benedizione del Signore, che non ci lascierà

mancare, - l’abbiamo letto, - nulla di quello che è necessario per la nostra vita. La cosa più utile per la Società è l’osservanza delle regole. Il religioso deve essere preparato ad ogni momento - ecco, vedete la meditazione di questa mattina - il religioso deve essere preparato ad ogni momento a partire dalla sua cella e comparire al suo Creatore senza alcuna cosa che lo affligga nell’abbandonarla, e senza che trovi motivi il giudice di rimproverarlo. Ecco miei buoni confratelli il pensiero chiaro del nostro Don Bosco al riguardo. E ha scritto in un’altra circolare, il 4 giugno del 73 sull’economia: “In tutto, ma non esagerate, facendo tutti quei risparmi che si possono fare.” Tutti quanti i presenti e più i vostri, i nostri superiori, e anche avendo avuto la fortuna di avere tra noi il nostro Rettor Maggiore (Don Ziggiotti), hanno constatato e sanno le necessità in cui si trovano le singole case e in cui si trova la nostra ispettoria. Siamo a zero in ciò che si riferisce ai mezzi. Ecco.

E allora più che in altre considerazioni, ho voluto scegliere precisamente da Don Bosco quanto egli ci dice di pratico, per potere ricostruire pian piano quanto è necessario per l’inserimento delle nostre opere. E Don Bosco non trova altra soluzione, guardate, - sembra - non trova altra soluzione che questa. “Non dagli altri ammenicoli, ma economia, economia.” Perchè se abbiamo spirito di fede, miei cari confratelli, dobbiamo pensare a questo, che se lavoriamo per il Signore, sicuro, il Signore non ci lascia mancare ma neppure la minima cosa: non solo il pane ma anche il companatico. Non lo lascierà mancare, purchè lavoriamo così: “Quaerite primum regnum Dei et iustitiam eius.” La giustizia, la santità. E tutto iI resto viene da sè.

Abbiamo fede miei cari confratelli, e cerchiamo di capire il valore delle nostre promesse e specialmente il valore delle nostre promesse in questo campo. E diremo: è un poco debole, abbiamo tanti altri difetti qui fra di noi fratelli in Giappone; ma questo guardate, che, - ah no,no, - lo spirito di povertà nostra non è basato ancora solidamente. Ma neppure vantate il cemento armato di cui sono fornite le nostre costruzioni in cemento armato. La penso così.

Il 4 giugno dunque del 1873, - scrive così dopo la visita fatta alle case, - scriveva che: “Le costruzioni fatte, - ma sembra proprio che siamo nel nostro caso, - che le costruzioni fatte e l’aumento del costo dei commestibili e delle merci esigeva di pensare seriamente a qualche economia e studiare insieme quelle cose pratiche da cui possiamo ottenere qualche risparmio.”

E dà delle norme per le costruzioni, norme che, leggeremo anche in seguito, che ci furono date anche dal nostro Rettor Maggiore: “Risparmio nei viaggi, negli abiti, nelle biancherie, nei libri, nelle calzature, nelle suppellettili, negli oggetti di uso; fare a tempo le riparazioni opportune, conservazione delle derrate di ogni genere, compere all’ingrosso, intesa fra le case, attenti alla luce, la legna, il carbone.”

Avete in mano, miei cari confratelli, i registri di queste spese in ognuna di queste cose. E quanto si può risparmiare, se c’è realmente questo amore! No all’avarizia, - brutta parola perchè non è parola di fede. - L’avaro non crede al Signore, crede semplicemente ai denari.

E se non avesse senso di fede, non ha la terra fissa sotto i piedi. Lo spirito di povertà deve informare ogni cosa nostra.

E invita Don Bosco a leggere il capitolo sulla povertà. “Con questi ricordi però non intendo introdurre una economia proprio esagerata; ma solo raccomandare risparmi dove si possono fare. È mia intenzione che niente si ometta di quello che può contribuire alla sanità corporale e al mantenimento della moralità fra gli amati figli della Congregazione, quanto fra gli allievi.”

E in una conferenza tira fuori questo pensiero caratteristico. “Poi ho bisogno che ciascuno di voi si metta a fare danaro.” Sapendo che il nostro ispettore dovrebbe dire lo stesso, penso che ogni direttore dovrebbe dire lo stesso a ognuno dei suoi dipendenti. “Bisogna che ciascuno di voi si metta a fare denaro.” Le spese sono grandi.

Come? - dirà qualcuno - Don Bosco ci dice sempre di essere distaccati dalla terrena ricchezza, di non tenere o maneggiare danaro e poi ci esorta a far danaro?

Sì, sì, risponde lui. Noi dobbiamo fare danaro e abbiamo un mezzo efficacissimo. E questo è: di risparmiare tutto ciò che si può, tutto ciò che è oltre il bisogno. Dobbiamo procurare di risparmiare quanto si può nei viaggi, nei vestiti; non è che questi piccoli risparmi bastino per le grandi spese che abbiamo, ma se noi facciamo questo, la Provvidenza ci manda tutto il resto, e possiamo esserne certi qualunque possa essere il bisogno. Del resto non dobbiamo darci pensiero, perchè rettificato il fine, i mezzi ce li manda la Provvidenza.

Mi raccomando tanto, tanto che si abbia cura di non sprecare nulla; di fare economia in tutto. Non dico con questo che si abbia stare mesi e mesi senza mangiare o non abbastanza. No, no. Quello che desidero è che ciascuno mangi quanto si sente e non di più, e che non si guasti nulla. E quel che dico circa i viveri, intendo dirlo di qualsiasi altra cosa.

E perciò io prego tanto, tanto tutti, che si sorvegli nelle case, che non si guasti niente; negli abiti, nulla si sprechi nei viaggi; insomma, che si faccia economia in quanto si può, mi raccomando, chiaro. I nostri miei cari studenti dello studentato possono anche loro, certo, fare economia e non possono dimenticare le tante volte di raccomandazioni specifiche nei singoli casi. E così a ogni altro confratello dobbiamo venire in aiuto alla nostra Congregazione. E qui molto meglio restringiamo: dobbiamo venire in aiuto alla nostra ispettoria, per potere fare sì che, realmente, tutte le opere possano essere sostenute. E vedete che Don Bosco non ci consiglia altro: che osserviamo bene il voto di povertà e miriamo alla perfezione della virtù della povertà.

“Nelle nostre case non abbiamo da occuparci che delle piccole cose. Il resto viene da sè. - è sempre Don Bosco che parla, - La vita ordinaria non è che un tessuto che di cose piccole le quali si tirano dietro tutto il resto. Confidiamo illimitatamente nella Provvidenza, e questa non ci mancò mai. Quando è che ci mancherebbe la Divina Provvidenza? Quando noi ce ne rendissimo indegni, quando si sprecasse il denaro, quando si affievolisse lo spirito di povertà. Qualora ciò fosse, le cose incomincerebbero a procedere male, non seguendo noi

gli obblighi impostici dalla nostra vocazione.” - E continua sul medesimo tono. “Tuttavia mentre ci appoggiamo ciecamente alla

Provvidenza raccomando in ogni modo, negli atti, nelle virtù, nella carta, nei commestibili, negli abiti, non si sprechi un soldo, nè un centesimo, nè un francobollo, nè un foglio di carta. Si procuri da tutti di fare e far fare ai sudditi ogni risparmio conveniente e impedire qualunque guasto del quale si avvedono. Nello stesso tempo si cerchi ogni modo per eccitare la carità degli altri verso di noi. Il Signore dice: “Aiutati che io ti aiuto.” Bisogna che noi facciamo ogni sforzo possibile; non si deve aspettare l’aiuto della Divina Provvidenza stando nei discorsi; essa si muoverà quando avrà visto i nostri sforzi generosi per amore suo.” Ed è sempre il medesimo ritornello.

E giriamo ai nostri doveri, miei cari confratelli. Noi siamo in una società dove il padrone non è il capitalista che alla fine della settimana, o del contenuto dà il salario ai suoi operai. Il nostro padrone è il Signore. Abbiamo sentito nella prima circolare del nostro Don Bosco. “Il vero superiore della Congregazione è Gesù benedetto.” Noi facciamo il nostro dovere in qualsiasi posizione noi ci troviamo; e il Signore - è evidente, - è giusto e ci darà la ricompensa; e ripeto, ci darà la ricompensa, badate bene, in proporzione della fede che noi impegneremo nel compiere il nostro dovere. E allora non solo il pane, anche il companatico, ma sicuro, anche il bicchiere di birra o di vino che tanti desiderano. Ma vedete però, che se in queste cose, che alle volte non sono necessarie, invece che pensare ad obblighi più importanti che noi abbiamo per venire in aiuto alle nostre opere, sperperiamo il danaro in inutili passeggiate, in inutili festini, o diremo, sbevacchiamenti, ah, questo non è povertà, questo non è economia, miei cari confratelli. Siamo religiosi. Quello che è necessario è necessario, ma vedete, voi comprendete benissimo che il necessario deve essere valutato a seconda delle necessità.

E poi conclude il nostro Don Bosco, in quello che noi siamo soliti chiamare, il testamento suo spirituale. Vi ricordate, che nell’angosciosa malattia che ebbe là,a Varazze, pensando di essere vicino alla morte, volle su un quaderno, senza ordine direi cronologico o altro, scrivere quanto egli riteneva opportuno per il bene della Congregazione qualora, il Signore lo chiamasse all’eternità. Ha dato degli ordini ai capitolari, ha dato delle raccomandazioni ai singoli che fanno la carità nella società, ai singoli confratelli, per mettere in ordine anche amministativo tutte le cose della Congregazione e in relazione a questo punto scrive - badate, è, possiamo considerarlo come il testamento, noi siamo soliti chiamarlo testamento paterno – “Amate la povertà se volete conservare il buon stato e le finanze della Congregazione. Procurate che niuno abbia a dire: questa suppellettile non dà segno di povertà; questa mensa, questo abito, questa camera non è da poveri. Chi porge motivi ragionevoli di fare tali discorsi, egli cagiona un disastro alla nostra Congregazione, che deve sempre onorarsi del voto di povertà. Guai a noi se coloro da cui attendiamo la carità potranno dire che teniamo una vita più agiata della loro. Ciò si intende da praticare

rigorosamente quando ci troviamo nello stato normale di sanità. Perciò che è nei casi di malattia, debbono usarsi tutti i riguardi che le nostre regole permettono.” Ecco, direi così, il pensiero del padre nostro in relazione a questo.

Eccolo, lo capite anche voi altri, avrei tante cose da dire. Siamo tutti consci e responsabili di quello che abbiamo promesso al Signore. Siamo tutti consci di quello che non abbiamo mantenuto in relazione precisamente alle nostre promesse col Signore in relazione a questo. E badate, tutto, tutti, missione, centro e Tokyo, tutti, tutti abbiamo delle basi deboli in relazione a questo punto. Bisogna che le fortifichiamo, miei cari confratelli, se vogliamo realmente che le benedizioni del Signore piovano sopra delle nostre case, sopra delle nostre opere, sopra della nostra ispettoria; e più, che realmente noialtri ci santifichiamo anche su questo punto.

E concludo. L’avete letto, l’avrete meditato ma non è male che precisamente in relazione, vero, a questo argomento, sentiamo anche il pensiero del nostro Rettor Maggiore nella sua visita.

( Passiamo al secondo punto, aveva parlato nella conferenza, quello della povertà, dell’uso del danaro. “Su questo punto non vi siete comportati bene. Vedete, sono qui a porgere una mano all’ispettore, all’economo ispettoriale, alle case di formazione. Non c’è problema più importante di questo, dello studentato. - Diciamo pure, casa di formazione che è il nostro. - Per lo studentato occorre buon personale, sostenerlo, e tutti debbono concorrere. L’ispettore prima di tutto deve pensare alle case di formazione; ma se all’ispettore voi non date, le cose non vanno. Ho visto una circolare del vostro ispettore su questo punto. - E l’abbiamo letta tutti quanti. - Non potrete dire che non vi ha parlato. Ve ne ha parlato, e chiaro; ma voi non avete fatto. Vedete, non abbiamo risorse straordinarie, non abbiamo come altri, beni stabili con reddito fisso da cui attingere per il bisogno dell’ispettoria e della Congregazione; perciò ogni casa dia il suo contributo. Sono passate le buone occasioni che avete avuto; ne c’è da fare affidamento per l’avvenire. Lo zucchero, lasciò qua e là uno strascico penoso per noi religiosi. ) Il danaro è uno strumento disgregatore, un pericolo per chi si lascia prendere. Cari miei direttori e confratelli, qui bisogna mettersi un’idea chiara che un contributo per l’ispettoria devono darlo anche i poveri. Non tiratemi in campo tante scuse e pretesti. Bisogna partire da questo punto; bisogna dare. Fatene un dovere di coscienza. Vedete, per tutto quello che c’è stato in passato, bisogna perdonare. Ma, quando si vede il pentimento e il buon proposito. Se no, no! Coraggio dunque, mettevi a posto. In questo consiste la povertà; che sta nell’economizzare per i bisogni dell’ispettoria.”

Richiamate quanto abbiamo letto da Don Bosco. Nel bilancio di ogni casa dev’esserci una percentuale per l’ispettoria, non un tanto fisso uguale per tutti ma in proporzione delle entrate e dell’età. E questa può essere il 10, il 20 o anche il 50% se così lo comportano le possibilità della casa. Mettete un punto fermo su questo punto. Pensate. 40 aspiranti a

Miyazaki. Pare un pò pochino. Siano ben accuditi. Naturalmente tutto questo costa. Non dovete però fare voi i conti delle altre case. Sarà un punto questo che toccheremo poi parlando dell’obbedienza. Non dovete voi fare i conti delle altre case. L’unico che lo può fare è l’ispettore, e l’economia deve essere guidata da uno solo. Ma ecco l’unità d’amministrazione, ecco l’unità di pensiero. Ma se tutti vogliamo comandare, se tutti vogliamo essere testa; e se invece il Signore ci ha messo braccia, gambe...

“Bisogna fare economia nelle case per aiutare l’ispettore. Se tutti vi mettete d’accordo e lasciate che gestisca uno solo avrete ottimi risultati, se no,no! Ma è chiaro, chiaro! (Ho anche intenzione di chiedere l’aiuto di tutte le ispettorie, quindi anche della vostra, per la costruzione del nuovo Ateneo a Roma. Che un’ispettoria abbia il suo ricordo, una camerata, un’aula, eccetera; desidero che ci sia l’obolo della vedova.”

Eh, e quindi domanderà l’elemosina, anche qui; cercheremo anche noi di fare il possibile per dare il nostro contributo.) Il guaio è sempre questo. Che nella testa di tanti: “Ma io non ne ho dei soldi.” Sempre, sempre così. “Ma io non ho niente.” Macchè non hai niente. È tuo dovere. Facciamo quello che possiamo per potere riuscire a fare, e abbi fede nella Provvidenza.

“Riguardo alle costruzioni, - ricordate, - ci sia un piano unico e razionale. Non fare più lo scherzo dei fatti compiuti. Questa è un’infrazione bella e buona della povertà.” Ricordate, che di questo bisogna accusarsi in confessione. E restituire; e sapete che restituire è difficile per noi.

“Se anche sono venute in passato delle mezze approvazioni, ricevute in tanti modi, non voglio che ciò avvenga più. Quel che è fatto è fatto. Basta! D’ora in poi, amici cari, approvazione scritta. E si richieda a tempo debito; non urgentemente, per via aerea, quando già tutto è combinato e stanno per incominciare i lavori. D’ora in poi non va su un mattone se non si fa tutta la trafila regolare: capitolo della casa, consiglio ispettoriale, capitolo superiore.”

È naturale. Ma è una roba vecchia; da quando l’hanno scritta precisamente sopra dei regolamenti, che si deve seguire questa trafila. Le condizioni della guerra, altre cose, va bene, hanno potuto mettere un disordine come quello; ma, mi pare che sia naturale, quello che è necessario mettiamoci in quello, ma insomma. Ma è chiaro.

“Se uno va a cercare il danaro lo fa per l’ispettore.” Se vi mandano in giro in una nazione o in un’altra, poco importa. Per venire in aiuto anche con questo mezzo, se vi mandano ad elemosinare, evidentemente vi mandano a elemosinare per i bisogni della nostra ispettoria.

“La cassa della casa, delle case, è in mano dell’ispettore.” Ma se non è così, ma come si può dire che noi osserviamo le regole. “Non sarà molto, ma tutti insieme si fa qualche cosa. L’ispettore avendo in mano questo

capitale può disporre liberamente per il bene dell’ispettoria. Non tenete nascosto ai superiori quello di cui potete disporre.”

E ce ne sono stati dei casi. Non proprio qui, quà in tutta la Congregazione. Un direttore, quando è morto, gli furono trovati in un baule dei pacchi di biglietti da mille; nessuno si scandalizzi; l’ho già detto anche in altre occasioni, siamo uomini, tutti possiamo mancare. Ma ho il ricordo di un carissimo confratello, morto il quale abbiamo sollevato il materasso per fare pulizia; sotto c’erano dei soldi, biglietti di.... Si può dire, “Chi giudica da un sacco di un letto?” Ma dico. Esternamente parlando, si può dire che questi confratelli, va benissimo, non è il caso di dire che avessero dei permessi, perchè evidentemente il danaro non si custodisce sotto un materasso. Capite anche voialtri i dissesti che ne possono venire anche se sudasse semplicemente. Ad ogni modo… che responsabilità! È una grave infrazione alla regola, ed è anche un grave scandalo perchè tutti presto o tardi lo vengono a sapere, e specialmente qui nella nostra ispettoria. Son cose che sapete tutti quanti.

Cari chierichetti, voi lo sapete, la mia frase è, che non si tira un sospiro a Chofu o in altra casa, vero, di Tokyo, che Miyazaki non lo sappia subito. Non si sa come; sarà una gabbia specialistica che capta gli animi sottili degli uomini.

“Per le costruzioni che in seguito dovrete fare bisogna avere un piano regolatore, bisogna organizzarci. Vi propongo l’esempio delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Dappertutto dove sono passato, in India, in Siria, anche qui in Giappone, ho visto che hanno fatto e fanno delle belle costruzioni. Cose che noi ancora non siamo stati capaci di fare. Mi sono chiesto come fanno e l’ho chiesto a loro. Sapete come fanno? Quando hanno stabilito di fare una costruzione tutta l’ispettoria concorre. Dalla casa madre ricevono quello che occorre a sufficienza; però in seguito devono restituire fino all’ultimo centesimo, quando la casa renderà. Prima cosa che devono pensare è questa; che tutte concorrano con una saggia economia ad estinguere questo debito verso le loro superiore.”

Miei cari confratelli, mi pare che questo, più chiaro di così, vero? Questi i concetti del nostro Don Bosco, sottolineato per quanto avete potuto capire dal nostro Rettor Maggiore in materia.

Così, mi sembra che la conclusione più semplice sia proprio questa, miei cari confratelli. Cerchiamo, primo, di ravvivarci un pò più fortemente nello spirito di fede. Un pò più fortemente nella esecuzione esatta delle nostre regole in relazione alla povertà. Via da noi quelle interpretazioni, - un metro che io non so, mi sbaglierò ma, - il metro teologico adoperiamolo per chi ne ha più bisogno, per le anime che ne han più bisogno. Ma per noi stiamo fissi alla nostra regola. Ah, il nostro Don Piscetta. Ne studiate i precetti anche in questo punto nella sua teologia. Ma aveste veduto che persona strettissima in relazione alla povertà. Noi che lo vedevamo giorno per giorno... Eppure, evidentemente non poteva non dire nella sua teologia quello che era conveniente dire in relazione anche a questa materia. Ma è cosi che dobbiamo essere noi se vogliamo essere santi e santificare, miei cari confratelli.

Una norma semplice permettete, una norma semplice, specialmente per noi che

dobbiamo dare dei permessi. Vedete questa era la norma che dava Don Bosco: “ Non permettere a te stesso quello che tu doverosamente non puoi permettere agli altri”. Eh perchè prima di tutto noi che dobbiamo essere alla testa dobbiamo dare il buon esempio di tutto ; e se concediamo a noi quello che negheremmo agli altri, che è difforme dalla perfezione religiosa per esempio nel campo della povertà, perchè dobbiamo averlo per noi? Ecco miei buoni confratelli.

E concludo. Nel bel sogno dell’avvenire della Congregazione, sul diamante fulgente che risplendeva sul petto di quell’uomo misterioso, - si pensa a San Francesco di Sales, - sul diamante della povertà uscivano questi raggi chiarissimi su cui era scritto: “Ipsorum est regnum coelorum.” Tutti comprendete. “Paupertas non verbis sed corde et opere conficitur.” Non con le parole, ma col cuore e con le azioni si manifesta. “Ipsa coeli ianuam aperiet et introibit.” Il premio è questo: la ricompensa. Diamo a Dio quello che è suo ed egli, regalmente, come solo sa e può far lui, ci ricompenserà in eterno.

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

Ottava predica - LA CASTITA’28 luglio 1955 pomeriggio

Prima di cominciare la nostra conversazione di questa sera permettetemi di dirvi un pensiero che mi è venuto in questi giorni in relazione ai nostri piccoli discorsi.

Delle volte cioè, si fa un poco di casistica in relazione agli argomenti che si trattano. È doloroso constatare che, capita questo fatto, che ho osservato in tanti anni di esperienza di esercizi spirituali. E cioè, quando si fa questa casistica, eh, si pensa, ecco adesso il predicatore vuol proprio parlare di quell’individuo, adesso il predicatore vuol proprio parlare di quella casa, di quell’opera, di quella istituzione.

Miei cari confratelli, proprio questa mattina, siccome, mi veniva anche questo pensiero, dicevo in relazione alla povertà. Badate che, tutti, tutti, nessuno eccettuato, degli attuali viventi nella nostra ispettoria può dirsi che è immune di qualcuno di quei difetti in relazione alla povertà di cui abbiamo parlato questa mattina. Tutti, tutti, cominciando dal sottoscritto che ancora, diremo, prima, quando aveva in mano il potere, eh, si capisce, ha fatto anche lui le sue pecche, ed è anche probabile che tante di queste cose di cui dobbiamo dolerci e di cui ci tastò il polso il nostro venerato Rettor Maggiore e di tante di queste cose posso dire il mea culpa.

Conclusione, miei cari confratelli: ma insomma, siamo uomini. E capiamo ben bene che quanto noi diciamo nei nostri santi spirituali esercizi dobbiamo applicarlo a noi; non andare a vedere se, direi il predicatore, ve lo posso assicurare, ha avuto neppure minimamente l’idea, non saprei come dire, di pensare nel dire quelle parole, di pensare a persone, a istituzioni o cose del genere. No, quando sentiamo qualche cosa, e tutto quello che sentiamo negli esercizi, dobbiamo applicarlo a noi personalmente. Deus iudicat me. E durante i santi spirituali esercizi devo appunto prendere la mia anima e cercare di scrutarla più fortemente che sia possibile per vedere appunto se vi sono stati dei lati deboli,dei lati di imperfezione. Ognuno deve pensare così per sè; non siamo noi che dobbiamo andare a giudicare i superiori, le persone, le opere. Gli esercizi spirituali sono fatti per la disamina della propria anima.

Ecco, miei buoni confratelli, perdonatemi, dico se, ho accennato a questo. Un pensiero che mi è sempre venuto in mente quando ho dovuto parlare ai miei cari confratelli durante gli esercizi spirituali; ed è anche per questo che, per me personalmente, non approvo la casistica in relazione appunto a quello che si dice negli esercizi spirituali, perchè dà tanto pregiudizio... Ma significa questo, che non abbiamo un criterio esatto e perfetto dello scopo per cui si fanno gli esercizi. Che non è di andare a vedere il male negli altri, il male nelle nostre istituzioni; ma di vedere il male nell’anima nostra e cercare di correggerlo. Ed è in questa maniera che lo correggeremo anche nelle nostre istituzioni.

Questa sera, il nostro Don Bosco nel ‘74, - vi ricordate le date, almeno storicamente le cose più importanti, - ho detto che tutto il periodo di attività, direi di formazione per lettera dei salesiani sta in questo periodo storico: sono approvate le regole. E in seguito Don Bosco vede già che certi elementi e certi concetti non erano stati compresi bene, e fino all’84 scrive la lettera forse più importante, - a mio modo di vedere - del nostro Don Bosco, è la cosidetta “lettera sogno di Roma” del 1884, in cui Don Bosco, precisamente, fa il quadro della sua Congregazione che sembra che sia per dissolversi. - Dal lato educativo-pedagogico è certo la lettera più importante a mio modo di vedere del nostro Don Bosco; più ancora del trattatello del sistema suo educativo” Ne parleremo in qualche punto.-

Nel ‘74, quindi vedete che si può dire, appena ottenuta l’approvazione delle regole, sente il bisogno di scrivere una circolare che è fra le più importanti e direi così, la più nutrita, in relazione al modo di promuovere e conservare la moralità fra i giovinetti che la Divina provvidenza ha la bontà di affidarci. Sembrerebbe che la lettera sia scritta per i giovani.

Dice Don Bosco: “Per non trattare questa materia troppo brevemente, - la scrive da Roma, - credo bene dividerla in 2 parti: necessità della moralità tra i soci salesiani; - è qui dove batte sodo il nostro Don Bosco, - mezzi per diffonderla e sostenerla.” E i mezzi per diffonderla e sostenerla li ha inquadrati nei preliminari delle regole nel capitolo in relazione alla castità delle regole stesse.

Si può pertanto stabilire come principio invariabile, che la moralità degli allievi dipende da chi li ammaestra e li assiste e li dirige. Chi non ha, non può dare, dice il proverbio. Un sacco vuoto non può dare frumento, nè un fiasco pieno di feccia non può mettere buon vino. Allora, prima di proporci maestri agli altri, è indispensabile che noi possediamo quello che agli altri vogliamo insegnare. Sono chiare le parole del Divin Maestro “Voi, egli dice, siete la luce del mondo. Questa luce, - ossia il buon esempio, - deve risplendere in faccia a tutti gli uomini affinchè vedendosi tutte le opere vostre buone, siano - in un certo modo - tratti anch’essi a seguirvi e così glorificare il Padre comune che è nei cieli. Se pertanto noi vogliamo promuovere la moralità nei nostri giovani allievi, dobbiamo possederla noi, praticarla noi e farla risplendere nelle nostre opere, nei nostri discorsi, ne mai pretendere dai nostri dipendenti che esercitino un atto di virtù da noi trascurato.

Difatti, come noi potremmo pretendere che gli allievi siano esemplari e religiosi se in noi vedono negligenza nelle cose di chiesa, nella levata, nella meditazione, nell’accostarci alla confessione, alla comunione, nel celebrare la Santa Messa? Come può pretendere ubbidienza quel direttore, quel maestro, quell’assistente, mentre essi per primo con pretesti si esimono dalle loro obbligazioni e per lo più senza permesso escono di casa e si occupano di cose che non hanno alcuna relazione coi propri doveri? Come ottenere dagli altri carità, rispetto, se chi comanda va in furia con tutti, percuote, censura le disposizione dei superiori, critica gli orari e gli stessi trattamenti di tavola e chi ne ha cura? Noi siamo certamente tutti d’accordo nel dire a costui: Medice cura te ipsum.

Non è gran tempo: che un giovinetto rimproverato perchè leggeva un libro cattivo, con tutta semplicità rispose: “Non mi credevo di far male leggendo un libro che più volte vidi leggere dal mio maestro.” - Gli si potrebbe anche rispondere, ma ad ogni modo, prendiamo il fatto.

“Un’altra volta fu chiesto ad un altro perchè avesse scritto una lettera in cui censurava l’andamento della casa. Egli rispose che aveva scritto se non le parole più volte udite dal suo assistente. Proporre ad altri una cosa buona mentre noi facciamo il contrario è come colui che nell’oscurità della notte volesse far lume con una lucerna, oppure volesse trar vino da un vaso vuoto. Anzi parmi che si possa paragonare a chi cercasse di condire gli alimenti con sostanze velenose. Perchè, vedete, non solo non si promuove il buon costume, ma si dà occasione di far male e di dare scandalo. E allora? Noi diventiamo miserabile sale infatuato, sale guasto, che è adatto solo per essere gettato nella spazzatura.

Dove si pubblicano fatti immorali succeduti con rovina dei costumi e scandali orribili, è un male grande, un disastro. Ed io prego il Signore a fare in modo che le nostre case siano tutte chiuse prima che in esse succedano somiglianti disgrazie.”

Noi oggi non possiamo nascondere che viviamo in tempi traditori. Il mondo attuale è come ce lo descrive il Salvatore. “Mundus in maligno positus est totus.” E questo si può dire del mondo attuale; pensiamo pure alle lotte che hanno sofferto nell’ante guerra, nel post guerra tutte le nostre opere; specialmente in Germania sono liquidate. Pensiamo a quello che soffrono attualmente i nostri cari confratelli: Polonia, Ungheria, Slovacchia e andate dicendo. E in tanti punti, proprio su questo. E si cerca dalle autorità specialmente di voler trarre con parole, con fatti i confratelli nell’inganno per poterli accusare anche in minimis, e alle volte ci sono i giovani stessi che accusano i loro educatori, accusano perfino i loro genitori. “Mundus in maligno positus est totus.” Ecco, vuol tutto vedere, tutto giudicare. Oltre poi ai giudizi perversi che fa delle cose di Dio, spesso ingrandisce le cose, spessissimo ne inventa d’altrui. Ma se per sventura riesce ad appoggiare il suo sopra la realtà, che rumore, che strombazzate!

“Tuttavia, se con animo imparziale cerchiamo la ragione di tanti mali, per lo più troviamo che il sale divenne infatuato, che la lucerna fu spenta; cioè, che la cessazione di santità in chi comanda, diede ragione ai disastri avvenuti nei dipendenti. E allora è vero il suo inno alla bella virtù: “O castità, castità. Tu sei una grande virtù. Fino a tanto che tu risplenderai fra noi, vale a dire finchè i figli di San Francesco di Sales ti pregeranno, praticando la ritiratezza, la modestia, la temperanza, e quanto abbiamo con voto promesso a Dio, sempre tra noi avrà posto rigoglioso la moralità, e la santità dei costumi come fiaccola ardente risplenderà in tutte le case che da noi dipendono.”

E come maestro poi spirituale in quell’occasione Don Bosco pensò di fare tre distinte conferenze, o meglio, tre esami pratici in cui siano lette e spiegate le cose da praticarsi e le cose da dirsi in relazione proprio ai tre voti.

“E ognuno stabilisca seriamente di correggere quello che trova difettoso nelle sue parole, nei suoi fatti, nella povertà, castità ed obbedienza. E inoltre si legga e si avvii il capo che tratta delle pratiche di pietà. E poi ginocchioni ai piedi del Crocifisso risolviamo di volere tutto compiere esemplarmente a costo di qualunque sacrificio.”

È così che ordinava Don Bosco ai suoi salesiani nel 1874. Dopo, direi, questa manifestazione in relazione alla virtù, egli la chiamava “castità, purità, bella virtù, la virtù angelica, la virtù di Maria, la virtù fra tutte la più cara al Signore.”

Nell’udienza che Don Bosco nel 1877, alcuni anni dopo ebbe da Pio IX che era già ammalato; Pio IX gli fece ribadire come una grande profezia, come pure più tardi fu fatta dal Santo Padre Leone XIII: “Io vi dico in nome di Dio che se voi risponderete al divino aiuto col vostro buon esempio, se promuoverete lo spirito di pietà; se voi promuoverete lo spirito di moralità e specialmente la castità; se questo spirito rimarrà in voi, voi avrete coadiutori, cooperatori, ministri zelanti, vedrete centuplicarsi le vocazioni religiose sia per voi, per la vostra Congregazione come per gli altri ordini religiosi. Ed anche per le diocesi che non mancheranno dei buoni ministri i quali faranno molto bene. La vostra Congregazione fu istituita affinchè si ebbe che vi è il modo di dare a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare. E vi predico, e questo scrivetelo ai vostri figli, che la vostra Congregazione fiorirà, si dilaterà miracolosamente. Durerà nei secoli venturi e troverà sempre dei coadiutori in fino a tanto che cercherà di promuovere lo spirito di pietà e di religione ma specialmente di moralità e castità.”

“La gloria della nostra Congregazione, - continua poi Don Bosco, - la gloria della nostra Congregazione consiste nella moralità. Sarebbe una sventura si offuscherebbe questa gloria qualora i salesiani decadessero. Il Signore disperderebbe, dissiperebbe la Congregazione se noi venissimo meno alla castità. È questo un balsamo da spargersi presso tutti i popoli, da promuoversi in tutti gli individui; essa è il centro di ogni virtù”.

Certo noi, miei cari confratelli amiamo la nostra Congregazione e ci auguriamo che la predizione del Santo Padre, come si è verificata finora, si venga ancora moltiplicandosi di più, che le parole sono chiare. La condizione è che noi ci manteniamo quale ci vuole il Signore e a seconda delle promesse che noi abbiamo fatto. E anche qui miei cari confratelli, a voi cari sacerdoti, a voi cari chierici, a voi carissimi coadiutori; perchè in generale delle volte si pensa che i nostri cari coadiutori non si trovino nelle condizioni in cui possono trovarsi i sacerdoti nel loro apostolato. Si trovano più di noi. Vogliamo essere sicuri di mantenerci, ripeto, come ci vuole il Signore, come abbiamo promesso alla nostra Congregazione come unica condizione.

E vediamo. Per me a tutte le anime che ho dovuto avvicinare nei tanti anni di Congregazione, non ho altro dato suggerimento che questo: leggiamo quanto ci suggerisce Don Bosco nei preliminari della costituzione in relazione ai mezzi positivi e negativi per conservare la bella virtù. Stiamo fermi, rigidamente fermi alle nostre costituzioni, anche a

quelle che sembrano fatte più indifferenti; in relazione alla levata, in relazione all’andata al riposo, in relazione al silenzio. Sembra che siano cose da niente; eppure, miei cari confratelli, sono precisamente queste piccole cose che eseguite con fede, ed eseguite perchè è nostro dovere, perchè l’abbiamo promesso al Signore, sono quelle, credete, che ci mantengono in questa santa virtù.

Il nostro Don Bosco ha scritto poi ancora nell’84 una lettera a tutte le case in relazione, essa pure, alla moralità. Ma in questo punto caratteristico della lettura dei libri. Includendo insieme, - starei per dire, - il suo pensiero in relazione all’attività che ogni salesiano secondo il primo capitolo delle costituzioni deve avere per la propaganda stampa.

Non la leggo tutta questa lettera, semplicemente accenno. Oggigiorno c’è la smania, - riassumo, - di leggere libri proibiti, di perdere tempo e rovinarsi l’anima con la lettura dei romanzi. Libri che si debbono togliere dalle mani dei nostri giovanetti, e aggiungo, dalle mani dei nostri confratelli. ( E non vi nascondo miei cari confratelli, da quella poca esperienza, pur adesso non essendo nelle condizioni di potere abbracciare proprio la nostra cara ispettoria, badate che anche su questo punto abbiamo bisogno di migliorare. )

E specialmente i direttori nelle case, attenzione a quello che leggono i nostri cari confratelli e specialmente adesso che viene moltiplicandosi il numero dei nostri carissimi confratelli giapponesi; attenti, attenti a quello che leggono. Badate che è una caratteristica del popolo giapponese la lettura. Verifichiamo precisamente questo; direi, un desiderio acutissimo dei giapponesi per la lettura.

E anche qui a Chofu c’è stato bisogno precisamente di avere una grande cura in relazione a questo, specialmente poi per due motivi. Sia perchè i nostri cari chierici debbono pur fare anche i loro studi superiori, sia dico per questa abitudine che hanno i giapponesi. Questo desiderio intenso, direi quasi innato per la lettura. Di qualsiasi genere, non fanno discussione. Non sanno. E la necessità, eh dico, l’altra questione, che, via, non sempre tutti noi altri siamo in grado di valutare che cosa leggono. Perchè noi non possiamo leggere, ringraziando il Signore. Ci sono tanti e tanti nostri cari confratelli che possono possedere bene e sanno realmente. Attenzione miei cari confratelli; non solo letture di libri, tipo libri divertenti, libri che fanno perdere tempo, tipo romanzi; attenti!(: zasshi (riviste), illustrazioni.)

Tutti penso che una piccola esperienza, vero, che abbiamo delle nostre case, penso che tutti sottolineeranno e approveranno queste affermazioni; ma badate che bisogna precisamente aprire l’occhio. Per loro, per noi.

Le prime impressioni che ricevono le menti vergini, per me questo, l’ho detto tante, tante volte. In quello che conosco della letteratura pedagogica straniera, vero, anche di questi momenti, non ho ancora trovato una lettera in relazione alla lettura che possa paragonarsi a questa. Non credete che sia esagerazione. Le prime impressioni che ricevono le menti vergini nei teneri cuori dei giovanetti durano tutto il tempo della loro vita. E i libri oggigiorno

sono una delle fasi principali di questo. La lettura per essi è nuovissima attrattiva, solleticando la loro smaniosa curiosità e da questa dipende moltissime volte la scelta definitiva che fanno del bene o del male.

I nemici delle anime conoscono la potenza di quest’ arma e l’esperienza m’insegna quanto sappiano scelleratamente adoperarla a danno dell’innocenza. Stranezze di titoli, bellezza di carta, nitidezza di caratteri, finezza d’incisioni, modicità di prezzo, popolarità di stile, varietà d’intrecci, fuochi di descrizione e tutto, tutto è adoperato con arte e prudenza diabolica. Quindi tocca a noi opporre, arma ad arma; strappare dalle anime dei nostri giovani il veleno che l’empietà e l’immoralità loro presenta e ai libri cattivi opporre libri buoni. Guai a noi se dormissimo mentre l’uomo nemico veglia continuamente per seminare la zizzania.

E dà poi un elenco di mezzi, penso che li conosciamo, anche regolamentari per le nostre case per ciò che si riferisce a queste cose. Don Bosco insiste a che si elimini i libri non adatti al luogo, all’età, agli studi, alle inclinazioni, alle passioni nascenti, alla vocazione; questi pure si devono eliminare benchè buoni e indifferenti. E quanto ai libri onesti e ameni, oh, se si potessero escludere. Nelle lettura pubblica si è il direttore che regola. Mai romanzi.

Dà un piccolo elenco di libri da leggersi per refettorio. Per le camerate si bandisca assolutamente ogni lettura divagante o amena. Libri che con la loro impressione sull’animo del giovanetto che sta per addormentarsi siano atti a renderlo più buono, più leggero. Ma che forza ha l’argomento sacro e ascetico.

Uniformiamoci anche a questi pensieri del nostro buon padre, miei cari confratelli, sia per noi, sia per i nostri giovani, sia anche nelle ultime parole che ho letto dalla lettera, al dovere nostro d’inculcare precisamente nell’articolo tale del primo capitolo delle nostre costituzioni, la cooperazione di tutti noi. Sarà chi più chi meno, ma fosse anche col consiglio; fosse anche quando si legge qualche cosa, si trova uno linietta, si trova uno stelloncino, si trova qualche cosa che può servire, anche direi, per venire in aiuto a coloro che lavorano per la propaganda stampa. Facciamolo, facciamolo; ecco, un’inezia, non importa. Vedete, mettiamo anche noi il nostro piccolo contributo in questo.

Nel luglio dell’84, precisamente, e sotto l’unzione di queste lettere che aveva scritto in relazione alla moralità, in relazione alle letture, nel luglio del 1884 ha un sogno. Un sogno stranissimo per chi pensa alla mente di Don Bosco. Il sogno di quelle due donzelle che baldamente cantando in un locale amenissimo, cantavano le lodi della castità. E Don Bosco ne parlò a Don Lemoyne lasciandogli la libertà di foggiare poi questo sogno con gli elementi che gli avevo dato; e ne ha fatto un sogno molto lungo che si può leggere, appunto, anche nelle Memorie Biografiche di Don Bosco, ma che Don Bosco non ha controllato.

Ecco una bella cosa per chi ha bisogno di farsi scritturare in relazione a fare prediche o altro; in relazione alla bella virtù può trovare materiale immenso.

Ecco miei buoni confratelli, mi sento che possa essere sufficiente. Il richiamo nostro a

questo importantissimo dovere nostro, a questa importantissima virtù che deve essere il nostro privilegio, la nostra caratteristica. Il mezzo l’abbiamo. Osserviamo bene il voto della castità e uniamoci più intimamente che sia possibile con la devozione alla Madonna e più con la Santa Eucarestia all’anima immacolata di Gesù benedetto.

Permettete ancora brevissimamente un pensiero. Chi studia Don Bosco e questo non tanto direi così forse fra gli studiosi di Don Bosco

extra, ma alle volte si può sentire in mezzo anche a confratelli questo pensiero. Don Bosco in relazione a questa materia è stato troppo unilaterale. Anche leggendo le biografie che ha scritto dei suoi giovani, insiste, insiste troppo; sembra che non ci sia altro.

Eh no, vedete Don Bosco. Primo, pensate all’Oremus di Don Bosco. No, perchè alcuni pensano, Don Bosco ha scritto dei i libri. Ricordate bene, che l’Oremus che ci fa dire la Chiesa, ed ecco così che la Chiesa ha interpretato Don Bosco: ecco , Adolescentium Pater et Magister. L’altro giorno, facevamo la festa di San Ieronimo Emiliani, ottimissimo educatore, Puerorum Pater. Don Bosco: Adolescentium Pater.

Pensate l’età dell’adolescenza. È l’età delle passioni dei giovani, che incominciano precisamente nella formazione del suo essere fisio-psicologico, cominciano a fermentare i giovani. Adolescentium Pater et Magister. E c’è, ci sono di quelli che pensano che Don Bosco abbia pensato semplicemente a questo e che batta sempre solamente su questo punto. Vedete, esaminate anche solo superficialmente il regolamento delle case per i giovani e voi troverete quanto Don Bosco fa, - badate bene, - materia di coscienza e di confessione in tutti quegli articoli. Riassumo le cose più importanti. Don Bosco fa questione di coscienza e materia di confessione: l’osservanza del dovere del regolamento, la mancanza di obbedienza, le mancanze di disciplina, le mancanze di rispetto, l’insincerità, il contegno esterno anche della persona, la carità, l’insubordinazione, la malignità, l’immodestia; un punto su tutti, l’ozio.

Oh, Don Bosco, sì, non ha scritto libri di psicologia o di fisiologia, non ha infarcito I suoi scritti dei nomacci che dobbiamo studiare noi moderni. Ma come conosce l’anima dei giovani e come la conosce profondamente. Penso che non è superbia. Mi sentirei di scrivere un trattato fisio-psicologico che può stare a pari, a petto, salvo i nomi, a qualsiasi trattato fisio-psicologico moderno, desumendo gli elementi semplicemente dal nostro Don Bosco.

Ecco. No, no, Don Bosco conosce i giovani. Non abbiamo paura; e i suggerimenti che egli ci dà precisamente per mettere in guardia l’anima nostra, in questa materia, e lo comprendete anche voi altri; i nostri giovani all’età in cui si trovano nei nostri collegi, specialmente negli studi più elevati, proprio in quell’età in cui appare bruscamente lo stimolo dell’istinto e più fortemente trascurato dalla educazione, dalla grossolanità delle maniere da cui parte decisamente il vizio, e allora Don Bosco, vedete è là, la vigilanza, l’assistenza, il timor di Dio, l’elevazione dell’anima soprannaturalmente. Ecco i mezzi che dobbiamo adoperare per noi prima di tutto, perchè, amici, Don Bosco dobbiamo noi essere

belli prima di tutto e poi per gli altri.Don Bosco è più che al corrente dell’anima del giovane; e badate, è questa una

caratteristica. Leggete pure i trattati di psicologia; in generale quelli precedenti, vero, a Don Bosco sono tutti fatti per la gioventù di medio ceto, e per la gioventù un poco elevata. Don Bosco parla dei nostri operai, parla dei nostri agricoltori; sicuro, ha trasportato il problema della castità in mezzo a questa povera gioventù abbandonata.

Ecco uno dei grandi mezzi di cui si parla pochissimo del nostro Don Bosco.Dunque miei cari confratelli, non dimenticate, non dimentichiamo. Don Bosco ci dice.

“L’ozio e la modestia non possono stare insieme. Temperanza, custodia dei sensi, eliminiamo le letture provocanti, non solo dalle mani dei nostri giovani ma anche da noi. Eliminiamo le figure provocanti dalle nostre case. Per i giovani fugga dai compagni non sani. Sicurezza di vincere con la Madonna, sicurezza di vincere con Gesù benedetto eucaristico, pratica dei sacramenti. Ecco la vita spirituale che dobbiamo condurre noi e nei nostri giovani e ci conserveremo, ripeto per la terza volta, come vuole il Signore, come gli abbiamo promesso coi nostri santi voti.

E concludiamo. Ho sempre concluso con le parole del nostro Rettor Maggiore:“Non spendo parole in proposito sulla castità. Siete in mezzo alla casa. Bisogna che siamo

specchio, bisogna star molto attenti soprattutto qui in Giappone, dove l’altro sesso per la sua gentilezza e per la sua cultura ed educazione ha maggiori attrattive che non in altre missioni.

Voglio farvi una raccomandazione: al ceto femminile, dove ci sono le suore, pensino le suore. E anche con le suore, con le madri dei ragazzi, con tutti comportiamoci bene, con riserva. Nell’Ecclesiastico è detto che “con le donne non si deve avere nessuna familiarità.” arole della sapienza di Dio, “nessuna familiarità!” Lo stesso si affermi coi ragazzi, viviamo al nostro posto; attenti e molto attenti. Non avete ancora l’idea precisa della clausura, tanto in relazione alle suore, tanto in relazione anche a noi. Pian piano bisognerà introdurla.”

Vedete, sono certe cautele che sembrano sciocche; non hanno ragione di essere,ma hanno ragione di essere. Siamo uomini e niente di ciò che è umano è impossibile fra di noi. Mi sembra che non ci sia bisogno di fare altre raccomandazioni ed altri commenti.

Mettiamo l’anima nostra sotto la santa protezione della nostra buona madre la Madonna.Ogni giorno abbiamo la fortuna se lo desideriamo ……….(manca la conclusione.)

Nona predica - LA PREGHIERA29 luglio 1955 mattino

Vorrei intitolare quest’oggi, il giorno della carità, il giorno dell’amore. Abbiamo meditato questa mattina la nostra intima unione con Gesù benedetto nella santa

Eucarestia: ogni volta che lo riceviamo, che lo riceviamo degnamente, possiamo dire, è un attimo la presenza reale di Gesù benedetto nel nostro cuore, che si prosegue poi in tutta la giornata, finché poi non lo cacciamo via da noi con la sua santa Grazia.

E abbiamo un mezzo a disposizione per cui possiamo dire, ogni momento della nostra vita possiamo essere in unione con Gesù benedetto: con la preghiera. Permettete che brevemente, essendoci già stata questa funzione in cui abbiamo pregato e abbiamo pregato per i nostri cari morti, la preghiera della compassione. Quante miserie, vero, a questo mondo. E in questo momento noi abbiamo anche voluto ricordare tante, tante anime che soffrono nel Purgatorio. È un atto di carità, diciamo pure eroico, perché abbiamo applicato, per esse, tutto quello che noi potevamo in uno slancio di carità fraterna.

La preghiera. Raccolgo dal nostro Don Bosco i pensieri più importanti in relazione a questo argomento; d’altra parte, siamo soliti dircelo. Sulla nostra bandiera c’è scritto: lavoro e preghiera. Hanno scelto, direi questo, per la rima. È la nostra unione col Signore ogni momento della giornata. E che si esplica precisamente anche in questa forma, nella preghiera e nel lavoro. ORA ET LABORA.

Chi non prega non può reggersi in piedi; non può stare col Signore. Chi prega poco fa poco e fa poco bene. Chi prega molto, fa, sa. Dobbiamo essere, miei buoni confratelli, salesiani figli di Don Bosco, continuamente uniti al Signore nello spirito di preghiera com’egli ci ha insegnato. No, ho sbagliato, com’egli ci ha insegnato; come ci ha insegnato Gesù benedetto è il comando: Sine intermissione orate; Sine intermissione orate. Petite et accipietis. Ecco vedete la fede nella preghiera, la forza nella preghiera. Comando del Signore, promessa del Signore. Indesinenter orate. Petite et accipietis.

Preghiamo, preghiamo per la salvezza dell’anima nostra. Preghiamo miei cari confratelli per tutto ciò che è giusto. E vedete, praticamente la nostra preghiera, - son tutti pensieri del nostro Don Bosco, - praticamente la nostra preghiera deve solo dirsi così, fare il proprio dovere. Non tralasciare nessuna occasione per fare il bene. Ma tutti l’abbiamo provato e lo proviamo ogni momento della giornata, miei cari fratelli. Se siamo in unione col Signore - e a Dio piacendo, se vogliamo, lo possiamo ricevere sacramentalmente ogni giorno, - siamo sicuri di essere con lui.

E non mi sembra che nei momenti singoli della giornata quando ce n’è di bisogno, il Signore ci suggerisce precisamente quello che noi dobbiamo fare. Le sante cosiddette, le sante inspirazioni, hanno questo scopo. Ma noi delle volte non stiamo attenti. Oppure non abbiamo l’abitudine di pensarci; ecco questa dispersione mentale di cui abbiamo anche

meditato in questi giorni. Il non dare valore realmente agli interessi dell’anima nostra e agli interessi del Signore nella salvezza delle anime che ci sono affidate e la gloria del Padre. Le sante inspirazioni; è unirci così con la preghiera sempre più al Signore.

E nello stato fattivo reale in cui noi ci troviamo, per chi dobbiamo pregare? Ma miei cari, per la salvezza delle anime che sono a noi affidate, anche affinché per esse come per noi ci sia la salvezza dell’anima e tutto ciò che è giusto.

Bisogna che noi che preghiamo per i nostri dipendenti; l’abbiamo provato tutti. Vediamo alle volte che tutti i nostri sforzi che sono diretti verso di un’anima, non approdano. L’anima non sente, l’anima non si muove; ma preghiamo per quest’anima.

Preghiamo per il nostro dovere di essere realmente alla Gloria del Signore e alla salvezza delle anime.

Preghiamo per i nostri superiori; non solo per i superiori della congregazione, ma per tutti i nostri superiori, specialmente, - siamo cristiani - per il Papa, per la Chiesa, per tutti i cristiani, per tutte queste anime a cui il Signore ci ha inviato, affinché sentano la voce del Signore e ottengano la Grazia della conversione.

E poi, secondo le circostanze, anche circostanze esterne, per quelli che pregano per noi, per quelli che pregano con noi, per quelli che si raccomandano alle nostre preghiere, per un sentimento di tenera compassione, dicevo prima, verso tante tante anime che soffrono. Ma pensate, anche solo qui nei dintorni, siamo circondati da ospedali, quante anime che soffrono; e con quale scopo? Pensate a quanti in questo momento sono chiamati dal Signore all’eternità; il punto di morte di tante, di tante anime sparse nel nostro mondo. Ma sicuro. La nostra preghiera, questa preghiera di tenera compassione, di carità, noi dobbiamo elevarla al Signore.

Poi abbiamo le nostre preghiere libere, le nostre preghiere spontanee; ma vedete, cerchiamo sempre di pregare per la Chiesa universale.

Ecco miei buoni confratelli, alcuni pensieri desunti dal nostro Don Bosco, il quale però vedete, nel punto della preghiera, e in quello che siamo soliti dire nel punto delle pratiche nostre di pietà, vedete, ha un concetto molto semplice che si può esprimere in queste parole e sono le sue precise. "In relazione a questa materia, teniamoci alle cose facili, ma si facciano con perseveranza; che non spaventino e neppure stanchino il cristiano, e massime la gioventù". Applicate questo pensiero genuino del nostro Don Bosco alle nostre pratiche di pietà. La regola ci parla chiaro. Forse è uno dei punti più dettagliati della nostra regola, il capitolo delle pratiche di pietà, e lo spirito con cui noi dobbiamo compierlo. E vedete che Don Bosco capisce benissimo che, “Data la nostra posizione, - dice lui, - che abbiamo, e non possiamo fare molte pratiche di pietà, specialmente in comune.”

Ma ci vuole questo spirito di pietà, che investa tutta la nostra giornata; dall’inizio, quando sentiamo la campana o quando ci svegliamo e facciamo il nostro segno di croce, perché siamo buoni cristiani e vogliamo incominciare precisamente la giornata, dice il nostro San

Francesco di Sales, col lanciare l’anima nostra nelle mani di Dio e a lui consacrare i nostri pensieri, le nostre parole e le azioni della giornata, fino alla fine in cui con la Grazia del Signore possiamo riposare. Ma che ci sia precisamente, dice il nostro Don Bosco, nelle nostre pratiche di pietà, non un fardello che pesi. Teniamoci alle cose facili; facciamole però con perseveranza. E queste cose che dobbiamo anche consigliare agli altri, che non spaventino e neppure stanchino il cristiano.

Mi ricordo di quella santa anima di Mons. Wakida, con cui agli inizi abbiamo dovuto stringere intime relazioni, perché ci ha aiutato a venire a confessare i nostri cristiani. Dice: “Voi altri religiosi avete un difetto. Volete caricare i cristiani delle medesime pratiche di pietà oppure di quella insistenza devozionale che va tanto bene per voi.”

Ma, vedete il pensiero di Don Bosco. Che noi nelle nostre relazioni con Dio non abbiamo, direi così, delle pratiche che in una certa qual maniera stanchino, spaventino il cristiano, badate, dice Don Bosco, e specialmente. Dunque, teniamoci alle nostre pratiche di pietà. Facciamo bene quello che sono prescritte; nei limiti del possibile facciamole con la comunità. Non possiamo? Questa non è colpa nostra. Ma che ci sia questo spirito di unione intima precisamente nostra col Signore.

Don Bosco nel ‘76 ha scritto una circolare che è intitolata: “Per conservare lo spirito di pietà”. Non la voglio leggere tutta perché non è necessario. Don Bosco la scrisse quando ebbe compiuto la visita alle case. Nella lettera fa una breve relazione delle case; è contento dello sviluppo che viene a prendere la congregazione, nota la necessità di personale e pensa anche specialmente la necessità di personale nelle missioni. E dice così: “Nel desiderio di venire a cose valevoli a conservare le vocazioni religiose ed efficaci per consevare lo spirito di pietà fra i salesiani e i giovanetti a noi affidati, io vi vo raccomandarvi alcune cose che l’esperienza mi ha fatto ravvisare sulle pratiche di pietà.”

E sapete di che cosa tratta? Non parla niente delle pratiche di pietà. Eppure sono tutti mezzi per conservare lo spirito di pietà. Accenno semplicemente al primo: “Le compagnie: niuno abbia timore di parlarne, di raccomandarle, di favorirle, di esporne lo scopo, le origini e le indulgenze ed altri trattati che da queste si possono conseguire. Io credo che tali associazioni si possono chiamare chiave della pietà, conservatorio della morale, sostegno delle vocazioni ecclesiastiche e religiose.”

E gli altri? Gli altri mezzi sono quelli che Don Bosco ci suggerisce precisamente per conservarci nella virtù della purità; non parla di pratiche di pietà.

Mi sembra che dobbiamo pensare così. Don Bosco rivolgendosi ad ognuno di noi dice: "Figliolo, sta attento, cerca di non alimentare nel tuo cuore tutto quello che potrebbe essere occasione di peccato.” Vedete. Parla di relazioni, amicizie, conversazioni geniali o particolari, sia per iscritto o altro coi giovani o con le persone. Parla della fuga del secolo e delle sue massime. Parla che alla sera dopo le orazioni si vada a dormire. E la puntualità nel recarsi al riposo è collegata con l’esattezza nella levata del mattino, che compare insistente

e intende di inculcare.Credetelo miei cari, l’esperienza ha fatto, fa talmente conoscere che il protrarre l’ora del

riposo al mattino senza necessità, fu sempre trovata cosa assai pericolosa. Al contrario, l’esattezza nella levata, oltre ad essere il principio di una buona giornata, si può eziandio chiamare un esempio permanente per tutti. E raccomanda che si dia la comodità di adempiere e di eseguire le pratiche di pietà anche ai nostri giovani e specialmente, vero, ai nostri cari coauditori, che delle volte potrebbero avere degli ostacoli. Questo, e tutto questo per conservarci nella pietà.

Mi sembra di più che noi dobbiamo dire così. Se noi con studio, con diligenza, compiamo le pratiche di pietà che sono prescritte, facendo quel che possiamo nel tempo, nel luogo, nel modo stabilito eccetera, e cerchiamo di tenere lontano da noi tutte le occasioni prossime o remote del peccato, noi ci conserviamo in unione col Signore. Pietà non significa inginocchiarsi o fare il saluto. La pietà consiste nella nostra unione permamente col Signore nella giornata. È la pietà filiale del figlio che si slancia verso il Padre; dell’anima che si slancia e abbraccia, allarga le braccia come abbiamo meditato questa mattina, per inabissarci nel nostro amore. Ecco, ecco il pensiero di Don Bosco.

Don Bosco, animato dalla gloria, pervaso dalla carità del Signore, e pervaso dalla carità verso le anime, sapete che a un certo momento della sua vita, quando specialmente la congregazione ha incominciato a uscire dall’Oratorio, ha voluto scrivere quelli che siamo soliti chiamare i “Ricordi confidenziali”, - allora erano abbastanza segreti e si potevano dire “confidenziali”; adesso li conoscono tutti, sono stampati - va beh, per potere dirigere i suoi figlioli che pian pianino si allontanavano dall’Oratorio per incominciare ad espandere l’opera di apostolato della congregazione fuori del centro. I Ricordi confidenziali sono del ‘63, la prima, che fu fatta al nostro Santo Don Rua, possiamo dire il primo direttore del primo che si iniziò fuori dell’oratorio.

Nel ‘71, nel ‘72 Don Bosco li rivide, li ricoresse; e allora, vero, per ognuno che ne aveva di bisogno, Don Bosco quando incaricava qualcuno ne faceva fare una copia. Poi più tardi, nel ‘75 fu litografata, nell’86, proprio negli ultimi anni della vita del nostro Don Bosco, Don Bosco li rivide ancora e lì furono litografate e quindi cominciarono a divenire di uso di norma comune.

È così, norme preziosissime. È da queste che possiamo conoscere ancora più genuinamente il pensiero educativo di Don Bosco e se eseguissimo realmente quello, quanto è scritto, saremmo sicuri, evidentemente, di agire secondo il vero pensiero del nostro Don Bosco.

Non voglio trattenervi su tutto. La prima parte di questi ricordi si riferiscono all’individuo a cui sono consacrati, “In relazione a te stesso”, è scritto. Mi piglio la libertà di leggerveli; sono fatti per i direttori, ma mi sembra che siano fatti e che siano così utili a inquadrare, lasciatemi dire così, la giornata del salesiano, sia che sia chierico, sia che sia coadiutore,

oppure che abbia ben più alte responsabilità, che combinano con quelle del direttore a cui sono direttamente indirizzate.

Ricordo che ero ragazzetto ed ho avuto precisamente l’occasione di avvicinarmi in un’occasione triste al mio direttore. Ricordo: "Vieni un pò qui, vieni qui vicino e tirò fuori dal suo cassetto un libricino piccolo, dico io, non capivo niente, veramente, ma erano scritti proprio questi ricordi confidenziali. E mi disse: "Vedi un pò, qui sono parole di Don Bosco, vedi che ha ragione Don Bosco?" Dopo poi in seguito quando il sottoscritto diventa salesiano, le lessi anch’io quelle parole, e capii allora che erano proprio questi ricordi che Don Bosco dava ai suoi figlioli.

Brevemente miei cari confratelli. “Primo, niente ti turbi.” Mi pare che questo non fa male neppure a tutti i confratelli anche che non siano un direttore, cioè noi. Nella spiegazione io vorrei intitolare questa “La giornata del salesiano secondo lo spirito di Don Bosco.” Non ci sono tutti i particolari; non importa. Ci sono dei particolari che si riferiscono ai sacerdoti. Invece di quelli, pensiamo alle nostre pratiche di pietà, non sacerdotali.

“Niente ti turbi.” La calma, la tranquillità, la serenità, la serenità in relazione a noi. Noi abbiamo anche da combattere. Abbiamo ogni giorno anche noi le nostre preoccupazioni spirituali. Preoccupazioni interne. Preoccupazioni esterne nell’adempimento dei nostri doveri, miei cari confratelli. “Niente ti turbi.” E Don Bosco commentava: "Il passato è passato, acqua passata non macina più. Ma perché perdiamo tanto tempo miei cari confratelli e torturiamo l’anima nostra in relazione al passato? Ma cosa possiamo farci? È passato! Acqua passata non macina più. Il ritornare continuamente; ma se il Signore buono e benedetto tornasse ogni momento, vero, potesse venire vicino a noi e ci dicesse: "Bada che il tal anno hai fatto questo; non ti vergogni?” Il passato è passato! Questo vedete è una parte essenziale per la calma spirituale in cui dobbiamo mantenere l’anima nostra.

Il futuro? Ma è nelle mani di Dio! Ma sì, posso morire adesso. Ma cosa vado a strologare il futuro? Anche il passato? Ecco, e allora, “Niente ti turbi.”

E nelle difficoltà? Ecco: “Eleva, il tuo pensiero, l’anima tua, il tuo cuore, la tua mente, anche le tue forze fisiche, elevale al Signore.” Ma ogni giorno la Chiesa ti fa pregare: “O Signore fa che il mio corpo sia sano, fa che l’anima mia sia sana.” Ma raccogliereste altro che uno stile di orazioni, sul messale, in cui la Chiesa fa pregare affinché sia mantenuta la sanità di corpo e di mente del cristiano. Ma è naturale: niente ti turbi. Siamo guidati da lui. Ma se realmente amiamo il Signore, perché non dobbiamo provarci?

Badate che San Ignazio e San Francesco di Sales annuivano ancora a un altro punto: indifferenza nella preghiera. In una certa qual maniera l’indifferenza nella nostra unione col Signore. Non indifferenza in relazione al fine, - che quello è chiaro, non possiamo essere indifferenti: Lui e Lui solo, - ma in relazione ai mezzi. Se abbiam fede nel Signore, ma perché dobbiamo andare a strolgarci in relazione questo e a quello? Uomini di poca fede, ci potrebbe ogni momento della giornata gridare il Signore. “Quaerite primum regnum Dei et

omnia adicientur vobis.” Anche nelle cose materiali. Sicuro! I superiori delle volte, purtroppo, devono loro rompersi la testa per potere riuscire, così, che quello che è necessario ci sia, ma se abbiamo spirito di fede e spirito di preghiera, miei cari confratelli, avremo questa santa indifferenza. Si dice, e lo abbiamo letto in refettorio del nostro Don Bosco, che quante più preoccupazioni aveva, tanto più era lieto e sorridente. Niente ti turbi.

Secondo: “Evita le austerità nel cibo.” Oh, questa è consolante. E dalle austerità nel cibo, attenti miei cari confratelli, “le tue mortificazioni siano nella diligenza ai tuoi doveri e nel sopportare le molestie altrui.”

“In ciascuna notte farai sette ore di riposo. È stabilita un’ora di latitudine in più o in meno, per te e per gli altri, quando interverrà qualche ragionevole causa.” Eh, noi abbiamo anche, altrochè le 8 ore; anche 9... beh, ringraziamo il Signore anche di questo. L’austerità, la penitenza non consiste in questo; facciamo il nostro dovere e sopportiamoci vicendevolmente, offrendo al Signore le croci quotidiane.

Poi, ciò che si riferisce alle pratiche di pietà. Qui si rivolge ai sacerdoti: “Celebra la Santa Messa, recita il Santo Breviario, digne attente ac devote. Ciò sia per te e per i tuoi dipendenti.” Cari sacerdoti, sappiamo i nostri doveri.

E gli altri? Vedrete adesso. “Non mai omettere alla mattina la meditazione, lungo il giorno una visita al Santo Sacramento. Il resto com’è disposto nelle regole.”

Ecco miei buoni confratelli, le nostre pratiche di pietà. Vedete che il contributo precisamente di questa calma serenità, di questa intima nostra unione col Signore che viene, - direi così - esercitandosi continuamente nelle nostre preghiere.

Pensare che ci sono dei salesiani che dicono, pensano che abbiamo troppo poco pratiche di pietà, poca carità. Se le facciamo bene, ma pensate che non abbiamo un’ora, - posso dire, possiamo anche dire - non abbiamo mezz’ora in cui Don Bosco non ci faccia pregare. Se eseguiamo, tutte le volte che noi incominciamo delle azioni, uffici importanti, va benissimo, dobbiamo ben dire l’ACTIONES, dobbiamo ben dire l’ANGELUS e delle volte non lo diciamo. E allora, è naturale; ma vedete che il richiamo è continuo nelle nostre pratiche di pietà.

Quinto: “Studia di farti amare se vuoi farti temere. La carità e la pazienza ti accompagnino costantemente nel comandare, nel correggere e fai in modo che ognuno dei tuoi, dai tuoi fatti, dalle tue parole conosca che tu cerchi il bene delle anime. Tollera qualunque cosa quando trattasi di impedire il peccato e le tue sollecitudini siano dirette al bene spirituale, sanitario, scientifico dei giovanetti dalla Divina Provvidenza a te affidati.” Non è il nostro problema? Non è il nostro dovere di assistenti, non è il nostro dovere di maestri? Non è il nostro dovere se occupiamo una carica nella casa, catechista, consigliere? Fanno bene per tutti. Non dimentichiamolo.

Sesto: “Nelle cose di maggiore importanza fa sempre una breve elevazione di cuore a Dio prima di operare.” Eh, non vedete, questo è il punto. Il nostro Don Bosco esprimeva questo

nella pratica della vita con la veste in generale di un’Ave. L’ha lasciato scritto. La prima Ave Maria che lui ha detto iniziando l’opera sua là con Bartolomeo Garelli nella sacrestia di San Francesco d’Assisi. E tutte le volte, e tutte le volte che un salesiano deve fare qualche cosa d’importante, miei cari, se abbiamo precisamente l’abitudine di dire: adesso devo parlare con questo individuo, adesso devo parlare con questa autorità, ho questo problema che non so proprio come risolvere, su eleviamo il nostro pensiero al Signore. Vedete, che nella giornata, noi per mezzo della preghiera, nell’esecuzione dei nostri stessi lavori, vedete che continuamente preghiamo.

Mi sembra che possa essere questo sufficiente per indicare precisamente il pensiero, lo spirito di Don Bosco in relazione a questo.

E concludo, forse l’avete già sentito leggere il pensiero del nostro venerato Rettor Maggiore:

“Diamo buon esempio nelle pratiche di pietà; farle tutte, farle in comune. Avete le occupazioni del ministero, andate a dire la Messa di quà e di là e non sempre è possibile farle con la comunità. Le regole parlano chiaro. La regola dice così come dobbiamo fare quando non possiamo, quando siamo occupati col ministero e non possiamo fare le pratiche di pietà in comune, dice: “Ma fa meglio le tue azioni; falle con maggiore fervore di affetto”, perché dopo quando torni dal dir la Messa perché hai confessato tutto il tempo, non hai potuto fare con la comunità la meditazione o altre cose, va beh, ma certo hai da far scuola, fai con maggior fervore d’affetto la tua scuola, hai da fare di quà e di là. L’importante è mica quella materialità, l’importante è che tu stia unito al Signore. Che tu dica: caro Signore se tu non mi vieni in aiuto, non concludo niente, tutto qui.

Queste cose devono essere un’eccezione, - è naturale, quando non possiamo, - e la comunità che prega supplisce anche a quello che non può farle insieme, chi non può fare insieme. Ma ripeto, questa non è la via ordinaria. È certo.

La comunità che non può fare insieme le pratiche di pietà, - è una parola forte ma chiara, - non ha diritto di esistere e deve fondersi con altre. È tale l’importanza, vero, delle nostre pratiche di pietà, di questo spirito di preghiera che se non possiamo compierlo è un male; e insomma, siamo fuori di regola. Nelle pratiche di pietà in comune la comunità è al suo posto; tutti davanti a Dio nello stesso piano.

Fare bene l’esercizio della BUONAMORTE, cui Don Bosco annetteva tanta importanza. Farlo senza fretta. Sembra proprio una fatalità, quando si tratta del Signore si è sempre occupati. Farlo senza fretta. Al Signore dare il tempo che gli spetta. È così poco, diamoglielo tutto. ll formulario dell’esame di coscienza si faccia con calma, non in fretta, diviso anche in più volte; non occorre tutto ogni volta e di corsa. E lasciare il tempo di riflettere dopo ogni domanda. Per questo, ha molta importanza anche il lettore. Sia un lettore esperto, non il primo che capita. Sia uno che sappia fare, che legga lento, con garbo.

Così pure il necrologio, la lettura sia chiara e distinta. Piacerebbe a voi che il vostro nome

fosse letto in fretta, biascicato in modo che nessuno o quasi riesca a distinguerlo? A me no, ma desidero che, a suo tempo, il mio nome sia letto chiaro e distinto affinché quelli che ci conoscono preghino per noi.

Vedete, sono le piccole cose che fanno l’insieme. Cerchiamo di farle bene, perché cose straordinarie, penso, avremo poche occasioni di compierne.

Termino miei buoni confratelli. Cerchiamo quest’oggi in cui abbiamo meditato l’unione col Signore di stare anche nelle forme delle varie preghiere che dobbiamo fare negli esercizi nella preghiera individuale e spontanea di stare, piú che sia possibile, in unione col Signore sotto la vigile protezione della nostra madre la Madonna.

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

Decima predica - LA CARITA’29 luglio 1955 pomeriggio

(Dicevamo questa mattina che) potevamo considerare questa giornata, la giornata della carità, sia per la meditazione fatta e poi vorrei concludere queste nostre conversazioni dicendo due parole in relazione a questa che è poi la massima virtù, che “Dio è carità” e i comandamenti della legge di Dio, due: “Ama il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutte le tue forze ed ama il prossimo come te stesso.” E se riuscissimo a far questo, miei cari confratelli, eh, questo basta, sufficit.

E abbiamo adesso letto anche le parole del nostro caro Padre, in quel bel capitoletto che precede le nostre costituzioni. Nell’ambito delle costituzioni non ci sono cose speciali in relazione alla carità, ma voi lo sapete, il capitolo secondo in cui si tratta della vita comune è tutto impregnato di carità. Poi, sappiamo benissimo che l’essenza del nostro sistema educativo è precisamente la carità. E facciamo in modo, miei cari confratelli, che questo benedetto sistema preventivo, non cerchiamo di usarlo semplicemente per gli altri. Incominciamo ad usarlo per noi. Incominciamo ad usare questa santa carità all’anima nostra affinché si prevenga anche da essa il male; affinché nutriamo l’anima nostra di tutti quei mezzi di carità, che mette a disposizione il Signore, che mette a nostra disposizione la regola.

Ho scelto tra gli scritti di Don Bosco due punti che formano l’argomento di questa sera. Non è che ci siano cose specialissime, ad ogni modo, pensando l’occasione in cui furono scritte queste cose, che adesso brevemente leggeremo, mi pare che debbano essere per noi un grande insegnamento e un grande incentivo.

I primi pensieri sono dieci brevissimi pensieri che il nostro Don Bosco scrive, in quella che siamo soliti chiamare, l’abbiamo già accennato, “Lettera Testamento”. In procinto della persuasione che il Signore lo chiamava, espresse, direi, tutti quanti i suoi pensieri che avrebbe voluto dire ad ognuno dei suoi figlioli. In questa lettera, che senza un ordine realmente logico, ma che viene a toccare tutti i punti più interessanti della vita della nostra congregazione, ha voluto precisamente, a nostra istruzione, fissare quei punti necessari per il buon andamento e per raggiungere perfettamente lo scopo della medesima.

Vi è un capitoletto intitolato precisamente: "Ai confratelli dimoranti in una medesima casa". Carità fra di noi, vita comune fra di noi. Abbiamo già sentito la parola del nostro padre. In unum locum, in unum spiritum, in unicum agendi finem. E ha voluto appunto rinchiudere in questi brevi pensieri il suo modo di pensare i confratelli che dimorano in una medesima casa. Sentite.

Primo: “Tutti i confratelli che dimorano in una medesima casa devono formare un cuor solo ed un’anima sola col loro direttore.” Non c’è bisogno di commentare.

Secondo: “Ricordino però bene a memoria che la peste peggiore da fuggirsi è la

mormorazione. Si facciano tutti i sacrifici possibili ma non siano mai tollerate le critiche intorno ai superiori. Non biasimare gli ordini dati in famiglia, nè disapprovare le cose udite nelle prediche, nelle conferenze, o scritte o stampate nei libri di qualche confratello. Ognuno soffra per la maggior gloria di Dio e in penitenza dei suoi peccati. Per il bene dell’anima sua fugga le critiche nelle cose di amministrazione, nel vestito, nel vitto e nell’abitazione. Ricordatevelo figlioli miei che l’unione tra direttore e sudditi e l’accordo tra i chierici forma nelle nostre case un vero paradiso terrestre.” Anche qui non c’è bisogno di spiegazione.

Non dimentichiamo la bella meditazione sul giudizio del sabato: Deus qui iudicat me. Teniamo a freno miei cari confratelli la nostra lingua e più che la lingua, la testa. Fortificazione di volontà. Ripeto il medesimo pensiero. Se troviamo qualche cosa che non è perfetto; - eh, come mai può esserci la perfezione. La perfezione, dice il nostro San Francesco di Sales, la vedremo quando mettiamo il primo piede in Paradiso. - Certo, delle deficienze, in qualsiasi punto noi vogliamo considerarle, noi le avremo sempre.

Ma usiamo questa carità a coloro che sono responsabili in relazione alle varie mansioni, e per cui noi sentiamo il bisogno di dirgli il nostro parere. Delle volte può essere un bene; ma invece di dirlo fra di coloro che non possono assolutamente porre riparo alla questione, ma andiamo direttamente da colui che è responsabile, vero, a dire: c’è questo e questo. E perché invece di fare questo, diciamo: ma perché il tale di quà e di là. Sono cose inconcludenti. Mentre invece se amiamo realmente, identicamente quando si tratta di difetti, - chi è che non ha dei difetti? Ma ne abbiamo tutti. - ma se vogliamo il bene dell’anima di quel nostro confratello, di quel nostro giovane, eccetera, ma perché proprio parlare di questi difetti in una conversazione tra individui che non hanno proprio nessun interesse a sentire quelle cose? Ma non vi sembra logico? miei cari confratelli. Io me lo sono domandato centomila volte; ma dico: ma perché, perché facciamo così e non andiamo alla fonte che potrebbe realmente forse mettere al riparo tutte queste cose?

Così dite degli approvvigionamenti, come dice Don Bosco, e nei vestiti e nell’alimentazione e nelle cose di casa, eccetera; ma se siamo in famiglia, cerchiamo precisamente di aiutarci in questa maniera.

E ripeto, miei cari confratelli. Facciamo questo proposito. Cerchiamo di togliere precisamente dalle nostre case, dalla nostra ispettoria, togliere questa brutta nomea, che non si fa altro che brontolare. E cerchiamo nelle nostre conversazioni, quando si vede che la conversazione scivola in quel campo, ma avanti, oh, abbiamo il coraggio di dire o togliamoci da queste conversazioni o anche quando specialmente si trattasse di denigrazione dell’onore di un confratello abbiamo la forza di dire: "Di fronte a me queste cose non si devono dire". E partiamo. E’ così, non c’è altra forma sapete, ci ho pensato. Mi sembra che non ci sia altra forma. Ed è in questa maniera che noi manifesteremo realmente la carità.

Ricordatevi, è un pensiero che io ho ripetuto tante volte. Permettete che ve lo ripeta

ancora. In mezzo ai nostri giovani, in mezzo ai nostri chierici, in mezzo ai nostri cari confratelli, a volte ci formalizziamo nel campo della perfezione, della santità in cose che non hanno neppure, diremo così, l’odore del peccato veniale. Ci son di quelli che si preoccupano delle distrazioni di pensieri inopportuni, eccetera, eccetera, e poi non si preoccupano dei peccati di lingua, dei peccati di pensiero contro la carità. Questi! Miei buoni confratelli, credetelo, io penso che il Signore ci benedirà a mille doppi se noi ci sforzeremo precisamente, nella pratica, a mantenerci fra noi in quella santa carità fraterna che è voluta da lui, e che sono le offese anche in minimis, sapete, quelle che gli dispiacciono di più, perché Dio è carità.

“Non vi raccomando penitenze e mortificazioni particolari, - abbiamo già sentito, - voi vi farete gran merito e contribuirete alla gloria della congregazione, se saprete sopportare vicendevolmente le pene e i dispiaceri della vita cristiana con rassegnazione. Date buoni consigli tutte le volte che vi si presenta qualche occasione, specialmente quando si tratta di consolare un afflitto o venir in aiuto a superare qualche difficoltà, o fare qualche servizio, sia in tempo che uno goda di salute, oppure quando uno si trova in caso di malattia.”

Oh, questa è carità fiorita; e se ci guardiamo bene, sono fratelli, perché non dobbiamo compiere questo? E abbiamo l’occasione, vedete, tutti i giorni. E pensate questo, che il nostro Don Bosco ce lo suggerisce non mica semplicemente fra di noi salesiani; - ma non è quello che abbiamo letto anche in questi giorni? che egli lo faceva per qualsiasi anima che gli si avvicinasse. Ed è così che noi realmente dimostreremo la vera carità ai nostri allievi, o a quelli con cui siamo in relazione; i nostri buoni missionari in relazione ai loro cristiani, in relazione a quelle persone, insomma.

Dicevamo questa mattina, non perdiamo neppure un’occasione per potere fare un poco di bene, anche se non riuscirà secondo quello che noi... Ma vedete il Signore comincia a benedire l’intenzione, non va mica a guardare il risultato delle nostre cose. È il cuore con cui noi compiamo i nostri doveri. Sa benissimo il Signore che siamo distratti, sa benissimo il Signore che non riusciamo, ma egli desidera vedere questo desiderio ardente di potere fare del bene all’anima in qualsiasi condizione: bene materiale, bene intellettuale, bene morale e andate dicendo.

“Vedendo che nelle cose della casa sia capitata cosa o fatto biasimevole, specialmente per le cose che solo potessero anche solo interpretarsi contro la legge di Dio, se ne dia rispettosamente comunicazione al Superiore. Esso saprà usare la dovuta prudenza a fine di promuovere il bene e impedire il male. E riguardo agli allievi, ognuno si attenga ai regolamenti della casa e alle deliberazioni prese per conservare la disciplina e la moralità fra gli studenti e gli artigiani. Ciascuno poi, - è questo vedete, che rassoda quei concetti che dicevamo prima in relazione a questo spirito critico - ciascuno poi, in luogo di fare osservazioni su quello che fanno gli altri, si adoperi con ogni possibile sollecitudine per adempire gli uffici che furono a lui affidati. Ognuno faccia la sua parte.”

Sotto un certo rispetto, ma pensiamo prima di tutto a noi, perché alle volte volendo disperdersi, - è la difficoltà come dicevo ieri in cui noi ci troviamo, che per ufficio dobbiamo giudicare - ma cerchiamo evidentemente, prima di giudicare noi stessi.

Questi sono i pensieri che il nostro caro padre ha voluto affidare a tutti i suoi figliuoli che convivono nella medesima abitazione.

Una seconda serie di pensieri che si riferiscono più direttamente al suo sistema educativo, al sistema cioè preventivo, lo tolgo dalla famosa lettera che ho già accennato, "Lettera sogno", si suol dire così, scritta da Roma nel 1884, in cui Don Bosco in sogno vede lo stato reale, attuale dell’Oratorio, di ognuno dei giovani, e ha inviato anche i giovani. Nella lettera si è detto che Don Bosco ha veduto tutti quanti quelli che sono fuori di regola, e ne ha veduti di quelli, e ha detto in quell’occasione ai superiori, i tali, i tali, i tali saranno assolutamente messi fuori dall’Oratorio. E allora tutti i giovani andavano a domandare a Don Bosco in che categoria essi si trovano. E si può intitolare e la intitola così il nostro Don Bosco: "Pensieri sulla familiarità, sulle relazioni, diremo così, di cordialità e di confidenza tra i superiori e gli allievi."

Miei cari confratelli, uno dei doveri nostri massimi, oltre i doveri religiosi che abbiamo trattato, vi ricordate in questi giorni, e con buoni esami di coscienza alla scorta delle regole, alla scorta dei regolamenti, alla scorta dei consigli che il Signore ci ha dato, in questi giorni, abbiamo cercato di decifrare meglio per vedere nella realtà concreta le nostre responsabilità. Come abbiamo usufruito della Grazia del Signore che in quest’anno certamente abbondantemente ci ha dato affinché noi potessimo riuscire nel risultato della salvezza dell’anima nostra e della nostra santificazione.

In questi giorni dico che abbiamo fatto questo, non dobbiamo dimenticare quello che è nostro massimo dovere, per quelli specialmente che sono a contatto attualmente nelle case, in qualsiasi condizioni si trovino, siano nelle nostre scuole, nei nostri orfanatrofi e anche nelle missioni, perché la medesima cosa si può dire in relazione ai cristiani, alle anime insomma che il Signore affida a noi. Cioè, in che relazione mi trovo io coi miei giovani; bene, in che relazione mi trovo io con le anime che il Signore ha affidato a me, in qualsiasi posizione al momento attuale, e come le altre affidate.

Badate bene che il problema educativo in genere, e più il problema educativo nel significato del nostro Don Bosco è chiarissimo; è contatto di anime e finchè, miei cari confratelli, la nostra anima non è all’unisono con l’anima del nostro allievo, finchè la nostra anima non è all’unisono con l’anima dei cristiani che noi dobbiamo condurre al Signore, finchè la nostra anima, sempre con la Grazia del Signore, non è all’unisono con l’anima, che incomincia, per la Grazia del Signore, a capire qualche cosa di lui, e noi dobbiamo condurlo a lui, finchè dico non c’è questo contatto d’anime, è impossibile, è impossibile in questo modo. Sarà di casa, parteciperà a tutto quello che noi vogliamo farlo partecipare ma non è educazione, finchè non c’è questa unione.

Non dimenticate quello che ci ha detto Don Bosco in questi santi giorni. La nostra unione intima è lo scopo per cui siamo salesiani; la nostra unione intima di famiglia, la nostra vita comune, la nostra unione intima nella esecuzione delle regole, la nostra unione intimissima nella carità, che nei pensieri, nelle parole, nelle azioni dobbiamo dimostrarci vicendevolmente, non solo per noi ma anche per i nostri allievi.

È importantissima questa lettera. Per me, la ritengo che nel campo educativo e per la spiegazione reale, perché non sappiamo mica granchè della formalità del sistema educativo di Don Bosco. Per la valutazione reale del modo con cui Don Bosco desidera che noi educhiamo i nostri allievi è una lettera della massima importanza.

Don Bosco vede l’oratorio antico, vede l’oratorio presente, vede che le cose non vanno bene; e perché non vanno bene? Adesso c’è noia, spossatezza, musoneria, diffidenza, i giovani non giocano, stanno seduti per le scale, stanno a passeggiare a gruppi, sorrisi nel parlare, occhiate sospettose. E di qui freddezza nell’accostarsi ai santi sacramenti, trascuranza nelle pratiche di pietà, non stanno volentieri all’oratorio, ingratitudine per i benefici, segretumi, mormorazioni, perdita di giovani. Ecco lo stato dell’oratorio nel quale viveva Don Bosco nel 1884. Si capisce no, per i singoli individui. Lo stato generale.

“Mezzo per ravvivare la carità. Non basta che i giovani siano amati, ma che conoscano di essere amati. Che essendo amati in quelle cose che a loro piacciono, come partecipare alle loro inclinazioni, imparino a vedere l’amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco. Quali sono: lo studio, la disciplina, la mortificazione di sè stessi. E queste cose imparino a farle con slancio ed amore.”

Cosa ci vuole? La carità. Cosa ci vuole? L’assistenza. Dove sono i salesiani? “La maggior parte passeggiano fra di loro, parlando, senza badare a che cosa facciano gli

allievi. Altri guardano la ricreazione, non dandosi nessun pensiero dei giovani. Altri sorvegliano così alla lontana senza avvertire chi commette qualche mancanza. Qualcuno poi avverte in modo minaccioso, e ciò raramente; qualche superiore che cerca di intromettersi in qualche gruppo di giovani, ma essi studiosamente cercano di allontanarsi dai maestri e superiori. Molti salesiani non si sentono di fare le fatiche di una volta. Amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai superiori. Ora i superiori sono considerati come nemici, non come superiori, non come padri, fratelli e amici e quindi sono temuti e poco amati.

Alla diffidenza sottentri la confidenza cordiale. Familiarità coi giovani, specialmente in ricreazione. Il maestro, visto solo in cattedra è maestro. Ma se va in ricreazione coi giovani diventa come fratello. E Gesù dev’essere il nostro modello. Questo amore faccia sopportare ai superiori le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovinetti. Si cerchi solo la Gloria di Dio e la salute delle anime.

Che cosa fanno i salesiani, dove sono i salesiani? Stiano attenti; se si lavora per la Gloria di Dio e per la salute delle anime, non si lavorerà per il fine della vanagloria. C’è chi punisce

solamente per vendicare l’amor proprio offeso. C’è chi si ritira dal campo della sorveglianza per gelosia di una temuta preponderanza altrui. C’è chi mormorerà degli altri volendo essere amato e stimato dai giovani esclusi tutti gli altri superiori, guadagnando null’altro che disprezzo e ipocrite moine. Chi si lascia rubare il cuore da una creatura per far la corte a questa e trascurare tutti gli altri giovanetti. Chi per amore dei propri comodi tiene il non cale il dovere strettissimo della sorveglianza. Chi per un vano rispetto umano, si astiene dall’ammonire chi dev’essere ammonito.

Ma perché al sistema di prevenire con la vigilanza ed amorosamente, si va sostituendo poco a poco il sistema meno pesante e più spiccio per chi comanda di bandire leggi, che se si sostengono coi castighi, accendono odi, fruttano dispiaceri, se si trascura di farle osservare fruttano disprezzi per i superiori e sono causa di disordini gravissimi.

Il superiore sia tutto a tutti, pronto ad ascoltare sempre ogni dubbio o lamentanze dei giovani; tutt’occhio per sorvegliare fraternamente la loro condotta, tutto cuore per cercare il bene spirituale e materiale per coloro che la Provvidenza gli ha affidato.

Solo in caso di immoralità i superiori siano inesorabili; meglio correre pericolo di scacciare un innocente che di tenere uno scandaloso. Gli assistenti si facciano un dovere di coscienza di riferire ai superiori quelle cose, le quali conoscono in qualche modo essere offesa di Dio. È mezzo preciso l’osservanza esatta della regola di casa. E poi il piatto migliore in un pranzo è quello della buona cera”

Ecco Don Bosco. E ripete in quella lettera, ai giovani specialmente: “Mettevi in regola.”Abbiamo già letto in altro appunto: “La radice di questo male è che i giovani, per quanto

riguarda le loro pratiche di pietà e specialmente la confessione, non fanno i propositi o non li mantengono.”

Ecco miei buoni confratelli, questo pensiero, mi sembra, a nome del Signore di doverlo dire ad ognuno di noi, miei cari confratelli.

(E dico questo, - qui non ci sono; - badate, che i nostri cari giapponesi confratelli non hanno ancora compreso bene quello che significa l’assistenza.) E bisogna quindi che noi nelle varie condizioni di fatto in cui noi ci troviamo, la insegniamo bene. E che vedano l’esempio nostro.(Nella testa del giapponese, badate, che c’è anche questo concetto e assolutamente bisogna che togliamo, che cioè, il giovane giappponese non ha bisogno di assistenza.) Quindi bisogna, dico che, noi con qualsisi sforzo, e più direi, sicuro con la parola, il direttore, il prefetto, il consigliere scolastico, il catechista, tutti quelli insomma che hanno responsabilità diretta specialmente quando i nostri cari chierici sono nel tirocinio, si insegni praticamente che cosa si deve fare; ma bisogna che essi lo vedano anche dal nostro esempio e pian pianino impareranno veramente bene.

Badate che l’opera di bene che noi possiamo fare, specialmente nei nostri collegi, è nel cortile, è nella ricreazione. Nella scuola abbiamo il gruppo, nella scuola, eccetera, va beh, negli altri locali. Ma a imitazione di Don Bosco, non dimenticate che il nostro lavorio

massimo educativo, il nostro lavorio massimo spirituale, badate, che più che in qualsiasi altro luogo o circostanza, è nel cortile. È il più gran sacrificio del salesiano, l’assistenza; non solo in cortile, evidentemente. È il vero nostro martirio quotidiano; e badate che non c’è nessuna congregazione religiosa, la quale abbia questo concetto di assistenza come l’ abbiamo noi. È il vero nostro martirio quotidiano.

Ci siamo consacrati al Signore, non dimentichiamolo: “Maiorem caritatem nemo habet, ut ponat animam suam quis pro amicis suis.” Sicuro, è il nostro martirio quotidiano; ed è in questa maniera che realmente, vedete, con l’assistenza, ripeto, non solo in cortile, ma con l’assistenza, è precisamente il massimo atto di carità che noi possiamo fare alle anime.

E quello, - ripeto che si dice dei nostri giovani nei collegi, - con tutte le anime; ma pensate anche solo i nostri neofiti. Ma se non sono assistiti, speciamente i nostri neofiti giovani battezzati nei nostri collegi. Ah, miei buoni confratelli, “Maiorem caritatem nemo habet, ut animam suam ponat quis pro amicis suis.” E se facciamo bene l’assistenza, credete miei cari confratelli, certamente noi poniamo l’anima nostra per i nostri amici, per queste anime che il Signore ci ha affidato. E Gesù benedetto non ha fatto così? Non ha posto l’anima sua per ognuna delle nostre? Ecco il nostro modello.

Il nostro venerato Rettor Maggiore disse anche due parole in relazione a questo. "Meglio che possiamo, trattiamoci bene. Dobbiamo amarci e compatirci molto, e se è

avvenuto qualche dissapore fra di noi, dobbiamo metterci d’accordo in giornata". E narrava precisamente un episodio che gli era capitato quando egli era direttore a

Pordenone. Il fondatore di quella casa, massimo benefattore di quella casa, è un certo Don Malesi, già passato all’eternità, che diede tutto il capitale necessario per quella magnifica fondazione. E diceva che, “Questo bravo prete quand’era viceparroco, con il suo parroco già anziano ed egli giovane, evidentemente, di tanto in tanto, - era poi un carattere vivissimo - di tanto in tanto aveva degli urti col suo parroco. E in una giornata, mentre egli era già a riposo, stava per andare a riposo, recitava ancora un poco di breviario in camera verso le 10 di sera, sente battere pian piano alla porta. Va ad aprire e vede il suo vecchio curato che gli dice: " Mio caro Don Malesi, non posso andare a dormire se non facciamo la pace. E quando raccontava questo, quel santo prete, Don Malesi, calde lacrime. Rimpiangeva la sua scorrettezza verso il parroco. "Non posso andare a dormire se non facciamo la pace".

E delle volte, non capita, miei cari confratelli, nelle nostre case, che proprio succedono episodi analoghi? E perché noi dobbiamo andare a dormire senza riconciliarci col nostro fratello. Nelle nostre case si trovano talvolta di quelli che si fanno cattivo viso fra anni ed anni, ed è così, sapete, ed è così. Ricordatevi, la disunione è un tarlo roditore in una casa. Se due confratelli sono in disaccordo devono riconciliarsi, o per dritto o per traverso. E il direttore favorisca questa riconciliazione. Si farà tutto quello che si può, ma la massima parte la devono fare i due contendenti.

Miei cari confratelli, il Signore è carità. E una delle preghiere che noi facciamo ogni giorno

sia appunto questa. Don Bosco nelle preghiere ha messo l’”Ave Maria per la pace in casa.” Cerchiamo realmente di dirla con convinzione, che quando alla sera facciamo il nostro esame di coscienza, quando ci fosse stato qualche urto, quando ci fosse stato anche qualche semplice interruzione di carità, se non altro preghiamo per il nostro confratello. Se non ci sentiamo la forza, diremo, di fare questo atto di carità, nel senso di dire, “Sù, facciamo la pace”, almeno preghiamo, preghiamo per l’anima nostra, preghiamo per l’anima del nostro confratello, preghiamo perché i medesimi problemi non possano sorgere fra noi e le anime che a noi sono affidate.”

Dovrebbero i nostri cari missionari, dirvi tanti, tanti e tanti episodi di questi urti che capitano, che succedono, fra il missionario e il catechista, tra il catechista ed i cristiani, i cristiani contro il missionario, catechista e cristiani contro il missionario!

Carità, carità, carità! E la carità, eh, dev’essere sempre, vedete, condita con sacrificio. È venerdì, siamo soliti ricordare il Sacro Cuore; è venerdì, siamo soliti ricordare la Passione di nostro Signor Gesù Cristo. Ma quale esempio più grande di carità! Direbbe San Paolo: “Sappiamo misurarne la larghezza, la lunghezza, l’altezza, la profondità.”

Ebbene, miei cari confratelli, chiudiamo queste nostre care conversazioni con domandare intensamente al Signore a che la carità regni veramente nelle nostre famiglie, regni in tutta la nostra ispettoria, regni in tutta la nostra congregazione, regni in tutto il mondo.

Miei buoni confratelli, ho finito il mio compito. Non avete ascoltato la parola di questo povero uomo; ho cercato di dirvi la parola di Don

Bosco. I tre quarti di quello che ho detto sono tutte parole scritte da Don Bosco, suoi insegnamenti; cerchiamo di farne tesoro. Vedete che si riassumono poi in poche cose: stiamo fermi e attaccati alla nostra regola; cerchiamo di diffondere nei nostri cuori la carità più ardente.

E Maria Santissima che in tutte le difficoltà, nella fondazione, nel progresso, nello sviluppo della congregazione è sempre stata la nostra maestra, continui ad essere la nostra buona Madre, la nostra buona maestra.

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.