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SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI

(Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003)

Via P. S. Mancini, 2 – 00196 - Roma

TESI DI DIPLOMA

DI

MEDIATORE LINGUISTICO

(Curriculum Interprete e Traduttore)

Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla classe delle

LAUREE UNIVERSITARIE

IN

SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA

GOMORRA

“Il male è la complessità dell’essere umano, la realtà è lo spunto narrativo più

forte, la verità è più sorprendente della finzione”

RELATORI: CORRELATORI:

prof.ssa Adriana Bisirri Prof. Alfredo Rocca

Prof.ssa Luciana Banegas

Prof.ssa Claudia Piemonte

CANDIDATA: Lea Semprini

ANNO ACCADEMICO 2015/2016

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DEDICA

Nello scrivere queste pagine ho provato diverse emozioni. Ho provato euforia,

passione, felicità, ma anche frustrazione, stanchezza, paura. Non è stato un lavoro

facile, ma alla fine penso si concluda tutto con una sola grande emozione:

soddisfazione.

Sono soddisfatta di aver portato a termine questo difficile e bellissimo

percorso; sono soddisfatta di quello che sono riuscita a fare in questi tre anni; sono

soddisfatta delle conoscenze che ho acquisito e che continuerò a custodire e

approfondire. Spesso mi sono sentita demoralizzata, spaesata e sola di fronte ad

alcune difficoltà che questo ambito di studi porta inevitabilmente con se, ma non mi

sono arresa e questo lo devo anche e soprattutto alle persone che mi sono state

accanto sempre e comunque.

Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la grande famiglia che ho alle

spalle; una famiglia grande tanto di numero quanto di cuore. Voglio e devo

ringraziare anche il mio ragazzo che mi ha sopportato durante le mie crisi isteriche

e i mei sconforti, spesso dovuti al fatto che non credo mai fino in fondo in me stessa,

e alla mia migliore amica con cui fin da piccola ho condiviso gioie, stupidaggini,

dolori e con cui ho vissuto anche questa esperienza. Ringrazio tutti loro per avermi

sostenuta, spronata, per aver asciugato tante lacrime e rafforzato tanti sorrisi.

Voglio dirvi che per me siete tutto ed è a voi che dedico tutto.

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INDICE

INTRODUZIONE……………………………………………………………………………………..……5

CAPITOLO I - GOMORRA. UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL LIBRO, IL FILM E LA SERIE ............ 7

1.1 IL LIBRO .................................................................................................................................... 15

1.2 IL FILM ....................................................................................................................................... 25

1.3 LA SERIE .................................................................................................................................... 33

CAPITOLO II - GOMORRA, UN TERREMOTO CULTURALE, SOCIALE E CIVILE ........................ 45

2.1 SAVIANO: GIORNALISTA, AUTORE, PERSONAGGIO ...................................................... 51

2.2 GOMORRA, IL CORAGGIO DELLA DENUNCIA ................................................................. 57

CAPITOLO III - GOMORRA NEL MONDO ............................................................................................ 64

3.1 TRADUZIONE ........................................................................................................................... 71

3.2 IL DIALETTO ............................................................................................................................ 81

CAPITOLO IV - GOMORRA, LA REALTÀ OLTRE LA FINZIONE ..................................................... 87

4.1 LA GUERRA DI SECONDIGLIANO ........................................................................................ 95

4.2 DONNE ..................................................................................................................................... 106

4.3 DON PEPPINO DIANA............................................................................................................ 112

CONCLUSIONE ....................................................................................................................................... 127

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INDEX

CHAPTER I – GOMORRA. A JOURNEY THROUGH THE BOOK, FILM AND SERIES..................131

CHAPTER II - GOMORRAH, A SOCIAL, CULTURAL AND CIVIL UPHEAVAL…........................138

CHAPTER III - GOMORRAH, A WORLDWIDE PHENOMENON……………………………......…145

CHAPTER IV - GOMORRAH, THE REALITY BEYOND THE FICTION………………..…..…...…153

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ÍNDICE

CAPÍTULO I - GOMORRA. UN VIAJE A TRAVÉS DEL LIBRO, LA PELÍCULA Y LA SERIE ..... 163

CAPÍTULO II - GOMORRA, UN TERREMOTO CULTURAL, SOCIAL Y CIVIL............................. 171

CAPÍTULO III - GOMORRA EN EL MUNDO ...................................................................................... 175

CAPÍTULO IV - GOMORRA, LA REALIDAD SUPERA A LA FICCIÓN .......................................... 179

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INTRODUZIONE

Ho passato un intero anno a pensare al tema su cui improntare la mia tesi, avevo

diverse idee, fin troppe, ma nulla mi convinceva fino in fondo e avevo davvero paura

di non riuscire ad uscire da quel limbo di dubbi e perplessità.

Invece un giorno, o meglio una sera, guardando una delle serie che più mi ha

coinvolto e appassionato negli ultimi anni, quasi fosse scattato un interruttore, ho

capito cosa volevo fare. Guardando fisso il televisore ho pensato che era quello ciò

di cui volevo scrivere e ciò di cui volevo parlare; non so esattamente come, ma ne

ero certa. Sto parlando di Gomorra.

Si tratta di una serie unica e coinvolgente che ha trasportato con la mente

moltissimi italiani direttamente nei quartieri di Napoli mostrando un lato non troppo

nascosto del nostro Paese.

Da quel momento ho cominciato a fare attenzione a cose che prima mi

passavano davanti agli occhi inosservate: quanta gente segue Gomorra, quanto

alcune scene e alcune battute siano addirittura entrate nella nostra quotidianità e

quanto tutti fossero così rapiti da quelle immagini e da quelle storie che hanno ben

poco a che fare con la finzione. Un altro aspetto davvero incredibile è come Gomorra

abbia investito con prepotenza ogni mezzo di comunicazione, ogni radio, ogni

giornale, ogni tv, ogni social e ogni dibattito sull’argomento “camorra”.

Basta digitare queste 7 lettere su Google per vedersi spalancato davanti un

mondo intero. Notizie, curiosità, novità, approfondimenti, commenti, analisi, di

tutto. È proprio partendo da questo punto di vista della “trasmedialità” che ha inizio

la mia tesi. Naturalmente questo è stato solo il principio di un lungo viaggio

all’interno dell’intrigato mondo di Gomorra; un viaggio che ha avuto la sua naturale

prosecuzione con la lettura del testo originale.

Quando fu pubblicato “Gomorra, viaggio nell’impero economico e nel sogno

di dominio della camorra” avevo 10 anni. Data l’età sicuramente non l’avrei mai

capito fino in fondo, ma quasi per destino, 10 anni dopo, mi sono ritrovata questo

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libro tra le mani e pagina dopo pagina il mio interesse è cresciuto sempre più così

come sono cresciuti in me sentimenti quali: stupore, fastidio, rabbia, schifo. Mi sono

resa conto di quanto forti fossero quelle parole e quanto grande fosse il loro potere.

Un aspetto assai commentato dalla critica e molto caro a Saviano è proprio il

potere della parola, la sua forza di denuncia e di testimonianza, aspetto su cui ho

incentrato il secondo capitolo della mia tesi, in cui parlo del coraggio di quest’autore

che ha sacrificato la sua libertà riuscendo a mettere in moto un intero Paese.

Una volta finita la lettura di Gomorra già sapevo quale fosse il passo seguente.

Il libro era il principio, la serie era la sua ultima evoluzione ma mi mancava ancora

un passaggio: il film.

Nel 2008 infatti Gomorra diventa un film che riempie le sale, ottenendo un

successo unico, da record, non solo in Italia ma nel mondo. È su questa diffusione e

su questo clamore impressionante che ho impostato il terzo capitolo, in cui parlo

anche delle evidenti problematiche di traduzione e adattamento che un’opera così

culturalmente radicata porta con se. La catena sembrava ormai ricongiunta, non

mancava nessun tassello, o almeno così pensavo.

La verità è che Gomorra è molto più di un libro, un film, una serie. Gomorra è

la realtà. Per questo, nel quarto capitolo, tratto di ciò che più c’è di intrigante e

interessante di Gomorra: scoprire la verità che si cela dietro un’allusione, un

aneddoto, una citazione, un rimando, una finzione e riuscire a strappare via quel

velo, neppure tanto spesso, che copre la realtà.

Questo percorso mi ha portato dunque a concludere la mia tesi con un incipit,

l’incipit da cui tutto è iniziato: la verità.

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“Il male è la complessità dell’essere umano, la realtà è lo spunto narrativo più forte, la verità è più sorprendente della finzione” Stefano Sollima

GOMORRA

GOMORRA

“Il male è la complessità dell’essere umano, la realtà è lo spunto narrativo più

forte, la verità è più sorprendente della finzione” Stefano Sollima

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CAPITOLO I

GOMORRA: UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL LIBRO, IL FILM E LA SERIE

“Il libro è un racconto che parte dalla mia osservazione, dal mio sguardo.

Reportage, inchiesta, romanzo, diario. Nel film abbiamo tolto il mio punto di vista

e fatto parlare le cose della quotidianità criminale. Descrive un clima.

La serie racconta le dinamiche. Si è riusciti ad andare più a fondo.

L’etica è affrontare il male”1

L’Italia è in guerra. Lo è da più di duecento anni. Si tratta di una guerra

sanguinosa, nascosta nei quartieri, nei paesi, nelle città, che ogni anno conta

centinaia e centinaia di vittime. Ma per fare giustizia non puoi fare affidamento sugli

occhi, perché dopo una guerra di camorra non ci sono rovine di palazzi, le uccisioni

sono rapide e improvvise e una volta ripulito il sangue sull’asfalto tutto è di nuovo

1 Roberto Saviano, “Parla Saviano: «Gomorra? È la realtà negata dai politici»”, “Corriere Della Sera”, 24 maggio

2016.

Napoli: la DDA chiede l'ergastolo per il boss Francesco Mazzarella e tre affiliati, 8 aprile 2016.

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calmo, come se fossi stato solo tu a vedere o a subire. Come se chiunque fosse pronto

a dire “non è vero”.

È una guerra vicina a tutti, perché la mafia è il nostro vicino, il datore di lavoro,

il sindaco del nostro paese, il proprietario della nostra casa. La mafia è ovunque.

Eppure ci sembra qualcosa di lontano, lontanissimo, qualcosa che non ci riguarda

direttamente. In questo scenario grigio, dieci anni fa, si è inserita un’opera clamorosa

e inaspettata che ha fatto

parlare di sé, nel bene e nel

male, sotto tanti e diversi punti

di vista, sconvolgendo il

mondo editoriale italiano e non

solo: Gomorra.

Gomorra è un romanzo,

un’inchiesta, un documentario,

un racconto, un’analisi, un

saggio sociologico, un ritratto

dolente di una società malata; ma Gomorra è, soprattutto, la realtà, la dura e spietata

osservazione di quello che, da anni, accade in una vasta area del territorio italiano e

che, prima di Saviano, non suscitava né sgomento né indignazione.

Tutto è iniziato con un atto, quello della parola, che va avanti dal 2006, e che

ha acquistato sempre più forza, plasmandosi nei diversi passaggi di linguaggio, da

libro, a film, a serie. Attraverso questa invasione in diversi campi mediali e più

contesti di fruizione Saviano sembra voler rispondere al “Sistema”2 malavitoso con

un altro sistema, quello artistico, che diramandosi in molteplici direzioni combatte

il silenzio e l'indifferenza.

2 Termine con cui ci si riferisce alle organizzazioni criminali. Roberto Saviano ne parla nel suo libro nel capitolo “Il

Sistema”: «Sistema, un termine qui a tutti noto, ma che altrove resta ancora da decifrare, uno sconosciuto

riferimento per chi non conosce le dinamiche del potere dell’economia criminale. Camorra è una parola inesistente,

da sbirro».

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L’obbiettivo di Saviano è da sempre quello di rendere visibile e decifrare un

fenomeno complesso, quello della camorra, purtroppo radicato nella nostra cultura,

ricordando come questo sia un problema che riguarda tutti molto più da vicino di

quanto si pensi.

Per questo l’autore spesso racconta la realtà attraverso gli occhi e le storie di

persone che con la camorra ci vivono o ci convivono, permettendo così ai destinatari

di riconoscersi in esse e confrontarvisi in quanto membri di una società.

La forza di un best-seller sta proprio nel tessere “una rete di connessione tra i

fatti, le persone e le cose del mondo”3 e nel “ricostruire la porzione di mondo che si

vuole raccontare attraverso una narrazione efficace, ricca e profonda”4, cioè radicata

nell'esperienza quotidiana del lettore ed è proprio questo è quello che è stato in grado

di fare Saviano.

Negli anni, l’autore si è servito di ogni mezzo possibile, passando per il

giornalismo, la letteratura, il teatro, il cinema e, infine, la serialità televisiva e

attraverso questo lungo e continuo processo di re-mediation dei contenuti prelevati

dalla realtà intorno a lui, ha realizzato negli anni una sorta di struttura narrativa a

petali, ognuno dei quali mostra una sfumatura diversa del nucleo tematico centrale

e ne costituisce un possibile punto d'accesso.

Oggigiorno infatti viviamo in un mondo in cui i confini tra i diversi media sono

sempre più labili e in cui i testi possono circolare e trasformarsi liberamente,

accentuando così anche un meccanismo d'interpretazione sempre più attivo e

creativo. Dagli scrittori che appaiono orgogliosi sulla terza pagina dei giornali si è

passati a giornalisti che sempre più spesso si cimentano con la scrittura letteraria.

Roberto Saviano e il suo libro sono un evidente esempio di questa trasmedialità.

Nel 2007 Gomorra raggiunse il teatro, e le platee italiane si riempirono per la

trasposizione teatrale del libro, realizzata da Mario Gelardi e Roberto Saviano stesso.

L’anno successivo, nel 2008, il successo investì presto anche l’omonimo film diretto

3 Concetto di matrice calviniana. 4 Concetto di matrice calviniana.

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da Matteo Garrone. Queste due trasposizioni hanno scelto di seguire strade opposte.

Mentre lo spettacolo teatrale sembra raccontare la genesi di Gomorra mettendo in

primo piano l'esperienza più intima dell'autore e il rapporto personale con i suoi

informatori e amici, il film sceglie un taglio più oggettivo, quasi documentaristico,

in cui il punto di vista è capovolto: Il punto di vista del male.

Il film Gomorra segna un nuovo passo nella storia degli adattamenti dalla

pagina allo schermo, mettendo in scena l’umanità narrata nel libro nelle forme di un

inferno grottesco.

Mentre nel libro lo scrittore sembra ammortizzare l'impatto tra i lettori e la

realtà narrata, una simile funzione protettiva del narratore è destinata inevitabilmente

a scomparire nella trasposizione cinematografica, dove lo spettatore è solo davanti

alle immagini che si susseguono

davanti ai suoi occhi e l'unico scudo

diventa, come vedremo in seguito, la

consapevolezza dello statuto “fittizio”

dell'opera.

Una differenza ovvia è che

mentre il pregio del libro consiste

nell’analisi, quello del film consiste

nella sintesi, questione che si

ripropone ogni qualvolta contenuti

passano dalla pagina alla pellicola.

Gli argomenti suddivisi ed approfonditi uno per uno da Saviano in capitoli sono stati

trasformati da Garrone in un continuum selezionando le tematiche portanti: la guerra

di Secondigliano tra i fedeli del clan Di Lauro e gli scissionisti; il traffico di cocaina;

lo smaltimento illegale di rifiuti tossici; l’impiego nell’alta moda di manodopera

sottopagata, spesso cinese; il ruolo dei gangster movie come modelli di vita.

Saviano ci pare fondamentalmente un autore umanista e progressista che

attraverso Gomorra scandaglia e narra da vicino un ambiente criminale e

Roberto Saviano con Matteo Garrone (ansa)

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patologico per concedergli una qualche possibilità di mutamento, riuscendo a

evocare anche un tenue senso di speranza in un possibile cambiamento. D’altra parte,

Garrone è un regista legato a una tradizione estetica e cinematografica grottesca,

tipica della nostra cultura consumistica, vorace e autodistruttiva. Per questo, pur

lavorando con gli stessi strumenti critici e pur mettendo a fuoco il medesimo “habitat

camorristico”, il regista romano tende a soffocare in una nuvola nera di ferocia ogni

traccia sensibile di speranza che tanto animava il pathos delle pagine del libro.

Nel lungometraggio a niente e nessuno sarà concesso di salvarsi, tutto viene

defigurato e insabbiato nell’orrore e in una generalizzata pulsione di morte. Tutto è

visto attraverso un’ironia asettica che il film impiega frequentemente per

commentare i deliranti sogni di benessere e le contraddizioni culturali e morali che

stanno alla base della vita camorristica e che, viceversa, nell’io narrante dello

scrittore, suscitavano risposte emotive quali: disperazione, risentimento politico-

civile e pietà. Una cosa però resta rigorosamente invariata: «di Gomorra il libro, si

è conservato lo sguardo sui fatti: uno sguardo oggettivo e non giudicante, né

moralistico né mitizzante. Non volevamo raccontare la camorra al mondo, ma il

mondo attraverso la camorra»5.

Saviano, negli anni, è dunque riuscito a combinare creativamente pezzi di

osservazione ed esperienza quotidiana, di attualità e di storia traendone un universo

narrativo coerente. Tale processo combinatorio ha raggiunto il suo massimo grado

nella realizzazione della serie tv. Quest'ultimo passaggio si rivela interessante nella

misura in cui la narrativa televisiva ha subito, negli ultimi vent'anni, una forte

accelerazione qualitativa: al di là del successo commerciale, sia il pubblico che i

critici che gli studiosi del settore hanno ormai riconosciuto il valore artistico di questi

prodotti che, pur condividendo con il cinema il medesimo linguaggio, presentano

strutture narrative e modalità di fruizione più simili a quelle del romanzo.

Inoltre c’è da dire che le serie tv, essendo fruibili privatamente, nello spazio

domestico, a differenza del cinema, consentono la diffusione di massa di opere di

5 Roberto Saviano, “Gomorra: il libro. Cosa c’era prima della serie e del film”, “Fuori corso”, 2 luglio 2015.

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buona qualità. Per Saviano, la serialità televisiva è stata la naturale prosecuzione del

suo progetto narrativo per la caratteristiche della televisione in quanto medium

congeniale al suo obiettivo comunicativo: «Con la fiction posso raccontare i

meccanismi, mettendo dentro tutto ciò che di solito non interessa. Come si organizza

una piazza di spaccio. Come si prepara un’esecuzione. Come si truccano le elezioni

con la scheda ballerina. È la forza delle serie tv. Ti spiegano cose. “House of Cards”

ti fa vedere come la politica nelle democrazie non possa prescindere dal cinismo,

dalla corruzione, dalla manipolazione dei media. “Mr. Robot” ti racconta gli hacker.

Ti fa capire che oggi se hai un volto e un nome potranno infangarti, usare i tuoi difetti

contro di te. Puoi ribellarti solo se sei anonimo e invisibile» 6 . Nel libro ci si

immedesima con

Saviano testimone, il

protagonista che poi è

diventato suo malgrado

il Saviano uomo, con lui

viviamo, assistiamo,

osserviamo tutto del

Sistema; nella serie

questo non accade.

La narrazione in blocchi e la transizione nelle diverse reggenze è una tecnica

narrativa studiata per non creare empatia con nessun personaggio.

A questo proposito è significativa la figura di Ciro Di Marzio7, personaggio in

cui inizialmente sembra possibile ritrovare una qualche positività e per cui lo

spettatore è portato a simpatizzare, ma è solo un trucco.

La situazione cambia radicalmente dal momento in cui la vera natura di Ciro

esce fuori, ovvero quando incastra e cerca di far fuori Danielino8, un ragazzino di

6 Roberto Saviano, “Saviano: "Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 12 maggio 2016. 7 Interpretato da Marco D’Amore. 8 Interpretato da Vincenzo Esposito, 16 anni, arrestato poco dopo la fine delle riprese per una rissa finita a coltellate.

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15 anni, per poi uccidere senza pietà la sua fidanzatina Manu9, arrivando al culmine

della sua follia omicida con l’omicidio a mani nude della sua stessa moglie10. Il

regista, Stefano Sollima, a tal proposito afferma: «Questa scelta era già stata

pensata all’inizio, prima che i giornali ci attaccassero preventivamente con frasi

come “Attenzione a esaltare la bellezza del male”, a me, francamente, veniva da

sorridere perché sapevo quello che avevamo girato e che sarebbe stato trasmesso.

Io pensavo: Non è così. Mettetevi seduti, tranquilli, guardatevi la serie e vedrete

che niente è come avete pensato. La mia ambizione era quella di creare una serie

che avesse un contenuto così forte da non essere più entertainment. Anche

perché Gomorra non è una serie da vedere distrattamente: deve essere digerita

episodio dopo episodio, con i personaggi che non restano statici ma, come nella

vita, si evolvono, crescono, mutano»11.

I diversi protagonisti sono mostrati in tutte le loro contraddizioni e il male è

qualcosa di assolutamente normale, perché così è nella realtà.

Possiamo dunque concludere affermando che la trasposizione cinematografica

e televisiva dell’originale opera letteraria, non ha portato solo a un mero

adattamento, bensì a due creature distinte e autonome, di cui parlerò più

specificatamente di seguito.

9 Interpretata da Densie Perna. “Gomorra”, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 9. Di questo episodio in

particolare ne parlerò più approfonditamente in seguito. 10 “Gomorra”, Sky Atlantic, seconda stagione, episodio 1. 11 Stefano Sollima, “Intervista a Stefano Sollima”, “Nocturno.it”, 26 Agosto 2015.

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IL LIBRO

“Mi si chiede come possano le parole mettere paura alle organizzazioni criminali.

Ma ciò che spaventa non sono le parole: a fare paura sono i lettori”12

Nell’aprile del 2006, attraverso Gomorra, Roberto Saviano racconta la camorra

come nessuno aveva mai fatto prima. Un racconto in prima persona in cui, unendo

il rigore del ricercatore, il coraggio del giornalista e soprattutto l’amore doloroso per

la sua città, l’autore ha svelato una realtà difficile da accettare. L’autore raccontata

direttamente dal luogo degli agguati, dai negozi e dalle fabbriche dei clan, con

testimonianze e confessioni basate su atti processuali e su indagini di polizia.

L’autore ci chiede di seguirlo in un viaggio all’interno del mondo affaristico e

criminale della camorra, attraverso i luoghi dove questa è nata e vive: la Campania,

Napoli, Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa, Casapesenna, Mondragone,

Giugliano.

Questi sono i luoghi dove l'autore è cresciuto e dei quali porta alla luce

un'inedita realtà, caratterizzata da un diffuso senso di sfiducia e diffidenza nei

confronti delle autorità,

dalla mancanza di una

politica atta a risolvere

i gravi problemi del il

Mezzogiorno, da un

forte senso di

insicurezza personale e

di rischio costante,

dalla mancanza di

certezze sul lavoro e

soprattutto dalla carenza di una vera educazione sociale.

12 Roberto Saviano, “Dieci anni di Gomorra”, in “Gomorra”, Milano, Mondadori 2016.

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D’altra parte la stessa realtà ci viene presentata dall’autore attraverso

l’immagine di ville sfarzose e di boss malavitosi creati a copia di quelli di

Hollywood.

A tal proposito, nel capitolo appositamente intitolato “Hollywood”, Saviano

mostra proprio come la produzione cinematografica americana di genere gangster

abbia in parte influenzato il modo di parlare e di atteggiarsi dei camorristi. Da questo

punto di vista il libro è intriso di rimandi e citazioni del genere: «si racconta a Casal

di Principipe che il boss, Francesco Schiavone aveva chiesto al suo architetto di

costruirgli una villa identica a quella del gangster cubano di Miami, Tony Montana,

in “Scarface”. Il film l'aveva visto e rivisto. L'aveva colpito sin nel profondo, al

punto da identificarsi nel personaggio interpretato da Al Pacino» 13 , oppure:

«Guardando la sua tenuta, a tutti doveva venire in mente The Crow di Brandon

Lee».14

Per rendere poi l’idea del modo di pensare e di ragionare dei camorristi,

Saviano si serve di un’ulteriore citazione cinematografica: «il mondo è tuo»15, motto

del boss Tony Montana in Scarface, film che riprende inoltre come titolo il

soprannome del famoso boss Al Capone, detto “scarface” [“sfregiato”] per una

cicatrice che aveva sul volto.

Proprio come Tony Montana, i camorristi pensano che il modo gli appartenga,

convinti di avere piena libertà di manipolare la politica, l'economia e la società in

modo funzionale al loro guadagno e di plasmare la realtà a loro immagine.

Leggendo l’opera di Saviano, si capisce inoltre come per l’autore trattare la

realtà attraverso la narrazione non significa solo “informare” il lettore, bensì

“toccarlo nell’intimo, forzare la sua emotività fino a fargli considerare il fatto narrato

come qualcosa che lo riguarda”16.

13 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Hollywood”, pag. 267. 14 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Hollywood”, pag. 273. 15 “Scarface”, regia di Brian De Palma, USA 1983. 16 R. Palumbo Mosca, “Narrazioni spurie: Letteratura della realtà nell’Italia contemporanea”, The Johns Hopkins

University Press, 2011.

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Congeniale a questo fine è anche lo stile di scrittura scelto, che oscilla tra il

tono didascalico usato per enunciare numeri e dati, a quello a tinte forti tipico del

genere noir, finalizzato a creare un forte impatto emotivo sul lettore.

Quello di Saviano non è solo un romanzo, ma non è

neanche solo un’inchiesta giornalistica; se fosse stato un

semplice romanzo, tutto quello che ci viene presentato non

avrebbe avuto il peso del vero, e se si fosse limitato alla

classica inchiesta giornalistica non avrebbe avuto la fluidità e

il successo che poi ha ottenuto.

Come è noto, molti dei fatti narrati nel libro sono fatti di

cronaca ed è l’autore stesso che puntualmente lo sottolinea tramite

espressioni quali: “secondo la DDA di Napoli”, “come mostra l'ordinanza di

custodia cautelare emessa dal Tribunale di Napoli”, “dalle intercettazioni fatte dai

carabinieri”. Accennare a queste fonti significa costruire rimandi espliciti a universo

extra testuale, presumibilmente noto o comunque potenzialmente verificabile dal

lettore, il quale, dati tali riferimenti, si vede costretto ad accettare il fatto che il testo

non sia funzionale, nonostante operi comunque delle sovrapposizioni tra la realtà

storica e la sua narrativizzazione attraverso artifici romanzeschi.

Un esempio di questo stretto connubio lo ritroviamo nella stesura del capitolo

“La guerra di Secondigliano”, in cui, dal vasto insieme di fatti di cronaca riguardanti

la faida che ha investito le periferie di Napoli tra gli anni Novanta e Duemila,

Saviano ha selezionato sia quelli che ha ritenuto più rilevanti per spiegare le

dinamiche della guerra tra i clan e i loro effetti sul territorio, sia quelli con un forte

appeal narrativo, funzionali a catturare non solo cognitivamente, ma anche

emotivamente il lettore.

Un episodio grottesco e impressionante è quello dei Visitors, riportato

dall’autore nel capitolo “Il Sistema”. Si tratta di eroinomani disperati, attirati da tutta

Italia dai trafficanti dei clan che vogliono provare un nuovo modo di tagliare la

droga, senza rischiare di perdere i clienti. Saviano afferma di essersi ritrovato

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spettatore incosciente di un episodio tale in cui un giovane insieme alla propria

ragazza ha rischiato seriamente la vita dopo un’iniezione di quelle. Il ragazzo sembrò

morto per diversi minuti tanto che quando alla fine si riprese, a seguito di un a dir

poco singolare salvataggio da parte della ragazza17, Saviano lo definisce il “Lazzaro

di Milano”18.

Un discorso diverso va fatto per tutti quegli episodi di cui Saviano non è stato

testimone diretto e per i quali non ci sono fonti giuridiche. In questi casi sembra

avvenire un cambio di situazione narrativa, in cui lo scrittore inizia a comportarsi

come un narratore onnisciente in grado di conoscere a volte anche l'interiorità dei

personaggi senza preoccuparsi di spiegare come.

Anche in questi casi però, la creatività in Gomorra non riguarda l'invenzione

di personaggi e mondi

fantastici, bensì la

costruzione di mondi

possibili: immaginare una

foresta laddove c'è solo un

albero, dar forma a una

possibilità, immaginare

concatenazioni laddove

apparentemente non se ne

vedono, usare la creatività

per indagare la realtà.

Tra gli esempi di

questo tipo ricordiamo, ad esempio, l'incontro tra Mariano, personaggio

d'invenzione o, comunque, non direttamente riconducibile a una persona realmente

esistita, e Michail Kalashnikov, un personaggio che invece è ingabbiato dalle

corrispondenze con il suo referente reale la cui esistenza è dimostrabile e

17 Nel raccontare l’episodio Saviano specifica che il ragazzo sembra essersi ripreso dopo che la giovane fidanzata gli

urinò sul viso. 18 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il Sistema”, pag. 82.

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documentata. In questo episodio Saviano applica la tecnica dell'inserto e usa diversi

espedienti narrativi che creano forti effetti di realtà nonostante la vicenda in sé sia

quasi sicuramente finzionale o, in ogni caso, impossibile da verificare per il lettore.

Il significato veicolato dal racconto però, non viene distorto dalla cornice finzionale

in cui è inserito, anzi ne viene rafforzato: Saviano vuole raccontare come i camorristi

percepiscono le armi e, ricorrendo al personaggio di Mariano, riesce a proiettare il

lettore in un mondo che, se narrato in termini didascalici, gli sarebbe apparso

estraneo e, forse, poco credibile.

L'invenzione del personaggio Mariano da sola sarebbe stata sufficiente a

generare un coinvolgimento emotivo, ma non a rendere credibile il contenuto. A tal

fine Saviano utilizza un espediente narrativo che consiste nell'usare affermazioni che

Kalashnikov ha realmente

pronunciato e che sono state

registrate dai media.

Personalmente penso sia

interessante anche notare come i

personaggi “fittizi” siano anche

gli unici di cui l'autore non riporta

i cognomi, come invece fa per

tutti coloro che hanno un referente

reale ben identificabile.

Una volta selezionati gli

episodi e i fatti da riportare, questi sono stati linearizzati, disposti in successione

temporale e raccontati a partire da un determinato punto di vista, quello dell'autore.

La storia parte dalla guerra di Secondigliano, dall'ascesa del clan Di Lauro al

conflitto interno che ha generato 80 morti in poco più di un mese.

Le tematiche sono: la criminalità, la mafia, il potere e la morte. Una narrazione-

reportage che svela i misteri di un'organizzazione poco conosciuta, creduta sconfitta

Pregiudicato ucciso con colpo

in testa nel napoletano,

l'omertà della famiglia.

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che nel silenzio è diventata potentissima superando Cosa Nostra per numero di

affiliati e giro d'affari.

Saviano ci parla di una terra infetta, quella della Campania, dove finiscono

quasi tutti i rifiuti sfuggiti ai controlli legali, pari ad una massa grande il doppio del

Monte Everest19, di una terra dove i morti di tumore sono cresciuti del 21% rispetto

al resto dell'Italia20. Ci parla di montagne gravide di rifiuti tossici, campagne pregne

di sostanze mortali che individui senza alcuna morale hanno sparso vendendo

fertilizzanti misti a rifiuti tossici.

Il vescovo di Nola definì il sud Italia “la discarica abusiva dell'Italia ricca e

industrializzata” 21 , ritraendo in poche parole una situazione divenuta ormai

insostenibile sia per quella terra che per i cittadini che vi abitano.

Tutto questo non sarebbe certo possibile senza il benestare di funzionari

pubblici compiacenti e delle aziende stesse che, facendo finta o non volendo sapere

dove vadano a finire i propri rifiuti, affidano alla camorra quella che ormai è

diventata merce di un traffico di centinaia di miliardi di euro ogni anno. In una

intercettazione, rivelata durante l’inchiesta “Re mida”, un trafficante afferma: «noi

appena tocchiamo la monnezza la facciamo diventare oro»22.

La lunga battaglia contro la Mafia della spazzatura, 4 febbraio 2014.

19 Ogni anno, secondo una stima di Legambiente, sono quattordici milioni le tonnellate di rifiuti smaltiti

illegalmente. 20 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Terra dei fuochi”, pag. 326. 21 Fernando Zilio e Roberto Tommasi, Mafie e criminalità in Veneto, febbraio 2015. 22 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Terra dei fuochi”, pag. 320.

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Purtroppo non parliamo del passato, è notizia recente lo scandalo riguardo lo

smaltimento delle macerie di Amatrice a seguito del terremoto del 24 Agosto scorso.

Il primo grande appalto del dopo terremoto è andato infatti a una ditta, la Htr

Bonifiche, sotto processo per traffico di rifiuti e truffa. Un'azienda che per almeno

due anni ha affidato le proprie operazioni a un imprenditore sotto inchiesta per

legami con la camorra. Una decisione che ha suscitato scandalo e indignazione e che

riguarda lo spostamento di migliaia e migliaia di tonnellate di detriti da Accumoli,

Amatrice, Arquata e dagli altri comuni devastati dal terremoto che ha provocato

quasi trecento vittime.

Saviano, calandosi completamente nel libro, racconta che lui stesso ha

partecipato allo scarico di merci clandestine presso il porto di Napoli, “il buco nel

mappamondo”23, che ha assistito a molti omicidi e ha investigato in molte questioni

mafiose poiché attirato, ma allo stesso tempo “schifato” di ciò che vedeva accadere

nella sua città: “…chissà a cosa avevo partecipato, senza decisione, senza una vera

scelta… invece ero finite per curiosità a scaricare merce clandestine…”24.

23 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il porto”, pag. 8. 24 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il porto” pag. 19.

Porto di Napoli.

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La camorra, o forse è meglio dire “il Sistema” visto che la parola “camorra è

una parola inesistente, da sbirro 25 ”, che nessuno usa più, è un'organizzazione

affaristica con ramificazioni impressionanti su tutto il pianeta e una zona grigia

sempre più estesa in cui diventa arduo distinguere quanta ricchezza è prodotta

direttamente dal sangue e quanta da semplici operazioni finanziarie.

Il Sistema si delinea nelle forme di una piramide dove al vertice c'è un boss che

decide della sorte di molte persone, addirittura dell'economia, che si relaziona

direttamente solo con pochi fedelissimi al di sotto dei quali si trovano i vari capozona

e infine tutti gli altri sottoposti che vanno a costituire la manodopera del clan. In

Gomorra sono citati numerosi boss mafiosi, sia uomini che donne, di ognuno dei

quali è stato riportato non solo il nome e il cognome ma anche il soprannome che lo

identifica perfino più del nome stesso. “Il soprannome per il boss è come le stimmate

per un santo. La dimostrazione dell’appartenenza al Sistema26.

Questi “contronomi”, possono nascere da un episodio banale, come nel caso di

“Ciruzzo ’o Milionario”27, chiamato così perché durante una partita a poker gli

caddero dalle tasche diverse banconote di grande taglio; oppure possono rimandare

a una passione particolare del boss in questione, come nel caso di “o wrangler”28,

fissato con gli omonimi fuoristrada; o a tratti fisici, come per “a mazza”29, per il suo

corpo lungo e secco, o come per “capabianca”30, per i precoci capelli bianchi; o

possono riguardare particolari capacità come per “o sbirro”31, capace di coinvolgere

poliziotti e carabinieri nelle sue attività; e così mille altri.

Gomorra è ambientato dagli anni ’80 ad oggi, a Napoli e provincia, ma sono

citati anche altri luoghi sia del territorio italiano che di quello estero, fra cui: la

Spagna, la Germania, l’Inghilterra e la Scozia. In particolare il libro inizia parlando

dello sbarco clandestino di abiti e scarpe, il cui materiale, proveniente dalla Cina,

25 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il Sistema”, pag. 44. 26 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il Sistema”, pag. 64. 27 Il boss Paolo Di Lauro. 28 Camorrista, Nicola Luongo. 29 Camorrista, Giovanni Birra. 30 Camorrista, Costantino Iacomino. 31 Camorrista, Carmine Di Girolamo.

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viene lavorato a prezzi bassissimi delle fabbriche in nero di Napoli e provincia.

I vestiti, la droga, la spazzatura, sono i materiali più usati dai clan mafiosi per

guadagnare denaro sporco e lo stesso vale per le armi che vengono vendute ai paesi

in guerra: «...la notte precedente erano arrivati una trentina di kalashnikov dall'est.

Dalla Macedonia. Un viaggio veloce, tranquillo che aveva riempito i garage della

camorra di mitra e fucili a pompa»32.

Per quanto riguarda la droga, questa viene acquistata a prezzi bassissimi e

spacciata in piazze dove la polizia, pur consapevole di ciò che accade, è impotente.

Un tema ricorrente infatti, soprattutto nelle trasposizioni televisive, è proprio la

totale assenza delle autorità, di cui parlerò meglio più avanti.

Le diverse attività illegali sopracitate vengono gestite dai clan mafiosi che si

contendono i vari territori con guerre, faide, uccidendosi fra loro, vendicandosi degli

affronti subiti e trasformando persino i bambini in piccoli spacciatori e addirittura in

killer. Coloro che provano a ribellassi al Sistema, o sono anche solo sospettati di

farlo, vengono eliminati: “...ma i due personaggi sono pieni di timore, non sanno

quanti affiliati sono passati con gli Spagnoli e quanti sono rimasti dalla loro

parte...uccidere tutti. Tutti quanti. Anche col dubbio. Anche se non sai da che parte

stanno, anche se non sai se hanno una parte. Spara! È melma...”33. Si spara sulla

folla, si spara nei negozi. Chiunque può ritrovarsi vittima innocente.

32 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “Kalashnikov”, pag. 176. 33 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “La guerra di Secondigliano”, pag. 91.

Napoli ricorda 106 vittime della criminalità, 1 luglio 2015.

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Durante una guerra di Camorra accade persino che durante una guerra fra clan

i feriti non vengano soccorsi fino a che non si sia assicurato il decesso, poiché anche

gli addetti agli ospedali sono intimoriti da ciò che può accadergli nel caso salvassero

persone che secondo le logiche camorristiche devono morire. Sia i medici che gli

infermieri sanno di dover star fermi di fronte a un ferito e attendere che i killer

tornassero per finire il lavoro: «aspettiamo. Vengono, finiscono il servizio e ce lo

portiamo»34. Questo è quello che il padre di Saviano si sentì dire dai suoi colleghi in

merito a un ragazzino di appena 18 anni, ferito al torace. Sono scene quasi surreali

per molti di noi, quasi incredibili, che ti segnano davvero nel profondo e che non

sembrano appartenere alla realtà.

Gomorra è un romanzo di denuncia di ciò che accade realmente nel nostro

paese, ma è anche un messaggio di speranza da parte di un uomo che crede in un

futuro in cui la parola “camorra” apparterrà solo ai libri e in cui tutti, anche i

campani, abbiano la possibilità di vivere come persone normali, senza essere

soggetto di pregiudizi dovuti a ciò che accade nella loro terra.

Scampia, quartiere di Napoli, “Le Vele”.

34 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Kalashnikov”, pag. 188.

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IL FILM

“È un film che parte da un libro coraggioso, che ha riscritto l’immaginario della

camorra; io ho cercato di dare immagini di quelle che erano già suggestioni

potenti che il libro evocava. Sono entrato dentro i luoghi che Roberto Saviano

aveva raccontato, cercando di raccontarli dall’interno, come lui aveva fatto con il

libro”35

Il film “Gomorra” arrivò nelle sale cinematografiche italiane il 16 Maggio del

2008, prodotto dalla Fandango con la sceneggiatura dello stesso Saviano ma

realizzato attraverso la lente del regista Matteo Garrone. Si tratta di un film crudo,

angosciante, ripreso dal vero e musicato dal suono delle grida e degli spari di

Scampia; prende lo spettatore dalla stomaco alla gola, raccontando una terra

campana che urla più di chi ci cammina sopra. A tal proposito il regista ha operato

una scelta particolare ma efficace; la maggior parte dei protagonisti e dei figuranti

non aveva mai recitato prima.

Questa decisione risponde al desiderio del regista di dipingere il mondo

mafioso in modo realistico, aspro e puro, nel senso che l’inesperienza degli attori,

così come l’uso del dialetto locale a discapito dell’italiano, hanno contribuito a dare

un ritratto verosimile della regione. Garrone ha fatto sì che l’attenzione fosse

interamente spostata sui conflitti, sui paesaggi deserti e sulle relazioni precarie tra i

personaggi invece che sulle competenze dei singoli soggetti come attori. Il vero

protagonista del film è la criminalità in sé. Forse però il regista ha ottenuto fin troppa

realtà dato che, alcuni anni dopo l’uscita del film, diversi articoli apparsi sui giornali

hanno riportato l’arresto e l’incriminazione di otto degli attori che sono passati dal

set alla prigione per la loro complicità con la Camorra.

Dell’infinita mole di fatti, personaggi e storie concentrate nelle 331 pagine del

libro sono state scelte cinque storie, lasciate evolvere dal regista con un rifiuto del

colpo di scena e delle traiettorie tipiche del gangster-movie. I personaggi sembrano

vivere più che altro un film horror: non hanno scampo, vanno incontro al loro

35 Matteo Garrone, “Intervista: Mattero Garrone”, “Cinema del Silenzio”.

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implacabile destino. Lo spettatore resta attaccato alla sedia sin dalla prima

inquadratura, durante lo svolgersi delle vicende, accumulando tensione, con la

consapevolezza della tragedia imminente. Gli assassini non sono belli come in “Kill

Bill”36, sono brutti, grassi, in ciabatte; la vita non vale nulla e la morte puzza.

L’incipit è già di per sé memorabile: Le luci violacee delle lampade abbronzanti

si fanno attrezzi alieni e subito è sangue e morte, inquadrature fisse di cadaveri

freschi. Tutto si consuma sulla base di note neomelodiche sovrastate dalla scritta a

caratteri cubitali dipinti di rosa carico: Gomorra. Forse è questa l’unica concessione

spettacolare di un film che invece rifiuta ogni tipo di scorciatoia incorporando

un’essenzialità che non è obbligatoriamente sinonimo di semplicità.

Una delle principali differenze tra la pellicola e l’omonimo cartaceo è che

Matteo Garrone non ha voluto fare un film di denuncia, non ci sono nomi né cognomi

di camorristi noti o meno, non una lotta buoni contro cattivi a sottolineare dove va

piazzata di preciso la giustizia. In Gomorra le istituzioni nemmeno ci sono;

raramente nel film assistiamo a scontri armati tra le forze dell’ordine e i malavitosi.

Ciò che vuole invece mostrare il regista è con quanta facilità si può restare

36 “Kill Bill”, regia di Quentin Tarantino, USA 2003.

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intrappolati nella rete del Sistema. Magari per motivi economici, sociali, ambientali

o addirittura perché costretti.

Inoltre nel libro Saviano dimostra una maggiore attenzione per il

funzionamento del Sistema, offrendo al lettore numerosi dettagli al riguardo, mentre

Garrone ha voluto fotografare e mostrare come le attività della Camorra si

manifestano nella vita quotidiana. In questo senso, il libro e il film si completano a

vicenda, perché il libro vuole informare, protestare e denunciare laddove il film è

invece un lavoro antropologico di notevole grandezza umana e un’analisi della

criminalità come modo di essere e di vivere.

Garrone ha voluto fare un film dove lo sguardo è incollato al personaggio di

turno, un pedinamento che riesce a non dare scampo. L’immagine si riempie talvolta

di sfondi sfocati: anche la distesa dell’enorme sartoria cinese è oscurata dalla nuca

di Pasquale, dai suoi sguardi spaesati, che lasciano cogliere all’occhio dello

spettatore lo stato d’animo del protagonista. Lo scavo della pellicola non affonda

quindi gli artigli nella malavita, quanto piuttosto nelle persone che ne sono vittime

e carnefici.

Uomini, donne, bambini, sono tutti immersi nell’ingranaggio criminale,

semplici pedine del Sistema che vivono la loro condizione con rassegnata

partecipazione.

Nessuno dei

protagonisti è un uomo

di prim’ordine del

Sistema. I boss quasi non

si vedono e sembrano

una presenza sempre

costante ma del tutto

invisibile.

Uno dei personaggi

principali è Franco, uno stakeholder realmente conosciuto da Saviano, interpretato

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da Toni Servillo. Forse è il più spregevole tra i personaggi principali e sembra

serenamente invischiato in un meccanismo non azionato da lui stesso.

In questa cornice, i richiami al mondo dello spettacolo e dell’alta moda

aumentano il senso di disagio nello spettatore. Gli uomini della camorra vivono nella

prospettiva di omologazione a quei modelli estetici, a quei palcoscenici, ma il sogno

rimane all’interno dell’incubo e nessuno riesce ad uscirne.

In questa pellicola non ci sono estetismi gratuiti: i campi lunghi sono tanto

apprezzabili nella loro mirabile compostezza tanto quanto nascondono una

paesaggistica che mette paura tanto è degradata. Si può notare poi come spesso la

pellicola procede per sottrazione di immagini, con sequenze che tagliano

improvvisamente i momenti che potrebbero affogare in patetismi e facili lacrime: si

veda come viene sbrigato il pur struggente episodio dei due giovani amici, Totò e

Simone, che devono salutarsi perché legati a faide nemiche.

Il film è un racconto di immagini livide, che rendono perfettamente la deriva

morale e la perdita di coscienza civile. È un racconto potente, per la sua capacità di

descrizione e di analisi, senza la pretesa di fornire soluzioni o formule salvifiche.

Non si respira una sola ventata di speranza. Tutto è terribilmente nero, perché siamo

in un altro luogo, all'inferno, che non si trova al centro della terra, ma alla fine

dell’Autostrada del Sole, affianco alla coltivazione delle pesche che mangiamo tutti,

trasformate in bombe da scorie tossiche che seminano tumori con la compiacenza

dei rispettabili industriali del nord.

Nello stesso momento in cui il film è nelle sale, i giornali descrivono quello

che accade per le strade della Campania e tra cinema e vita reale non c’è più alcuna

differenza ma una triste e perfetta sovrapposizione. Si esce dal cinema senza

illusioni, sopraffatti dalla visione di un degrado da cui non si riesce nemmeno ad

immaginare come sia possibile risalire. Garrone non ci mostra i buoni e i cattivi, la

realtà ci scorre davanti nella sua crudeltà come se stessimo guardando un

documentario sui pescecani. Il bene comune non esiste più, l’interesse che vince è

quello economico, a tutti i costi; la salute collettiva è a rischio, l’ambiente è

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degradato, la civiltà è compromessa. L’Italia che scorre sullo schermo è quella

dell’economia che “tira”, che regge il confronto con la concorrenza cinese, quella

che riempie le discariche abusive del sud, che spara al sarto perché insegna i segreti

dell’alta moda ai cinesi.

Personaggio chiave del film, che incarna lo stato sociale della camorra, è quello

di Don Ciro, “il sottomarino”, ovvero colui che si occupa di portare la mensilità alle

famiglie degli affiliati. Da personaggio secondario nel libro, diventa nel film prova

incarnata di quanto scrive Saviano: “Sembrava impossibile avere un momento di

pace, non vivere sempre all’interno di una guerra dove ogni gesto può divenire un

cedimento, dove ogni necessità si trasformava in debolezza, dove tutto devi

conquistarlo strappando la carne all’osso” 37 . Attraverso il suo personaggio, lo

spettatore entra nella quotidianità delle case e dei rioni. Inizialmente sembra riuscire

a restare fuori dalla violenza del mondo in cui scivola, ma i suoi passi finali tra

cadaveri e sangue smentiscono questa parvenza.

Nel film proprio come nel libro ricorre anche il tema del potere del cinema

come maestro di vita. Marco e Ciro per esempio ricalcano Giuseppe e Romeo, due

ragazzi che decisero di esercitare la microcriminalità in proprio, tra Casal di Principe

e San Cipriano d’Aversa. I due giovani riprendevano vesti e atteggiamenti

37 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Terra dei fuochi”, pag 329-330.

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direttamente da personaggi cinematografici come Tony Montana o Donnie Brasco e

sapevano a memoria interi stralci di Pulp Fiction, Taxi Driver e di altri

famosi gangster movie. Garrone riprende questo aspetto mostrando Ciro e Marco

mentre si esercitano a sparare nei resti della villa di Walter Schiavone, copia non a

caso di quella di Scarface, film che Schiavone aveva visto e rivisto, tanto da

identificarsi nel protagonista. Alla fine della scena, uno dei due recita alcune battute

di Tony Montana, sedendosi in una vasca monumentale descritta anche nel libro da

Saviano38. Il film si conclude con la loro morte in un agguato.

Il clan dei Casalesi infatti, dopo ripetuti richiami, li condanna a morte. Questi i

commenti dei killer nel film: “Tanta fatica per due mocciosi!”, “Bisognava farlo”. I

due giovani corpi vengono portati via da una ruspa, verso quella spiaggia su cui

provavano le armi rubate.

Una conclusione che pone l’accento sulla fatalità e sul “ritorno eterno delle

leggi di questa terra”39.

38 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Hollywood”, pag. 270. 39 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Donne”, pag. 170.

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Sempre parlando dei “modelli” cinematografici della mafia non si può non

citare il film che più di tutti ha marchiato l’immaginario: “Il camorrista” 40 di

Giuseppe Tornatore.

Un’altra figura

significativa nel film è

quella di Roberto,

personaggio che allude

all’autore fin nel nome. La

presenza dell’io di

Saviano infatti, costante

nel libro, naturalmente

non poteva essere resa nel

film, perciò la sceneggiatura ha fatto ricorso a Roberto, giovane e brillante

apprendista di Franco, il quale lo coinvolger nell’organizzazione dello smaltimento

illegale di rifiuti tossici. Il ragazzo gli è stato affidato dal padre di lui, preoccupato

dell’inserimento del figlio nel duro mondo che lo circonda. La professione di

stakeholder fu effettivamente proposta anche a Roberto Saviano come ci racconta

lui stesso: “Sei laureato, le competenze ce le hai, perché non ti metti a fare lo

stake?”41.

Il genitore della pellicola ricorda, assai lontanamente, il vero padre di Saviano,

una figura che, nel libro, unisce l’amore paterno al disincanto e la bontà

all’amarezza: «È così che si fa il bene, solo quando puoi fare il male. Se invece sei

un fallito, un buffone, uno che non fa nulla. Allora puoi fare solo il bene, ma quello

è volontariato, uno scarto di bene. Il bene vero è quando scegli di farlo perché puoi

fare il male»42.

Né il padre cartaceo, né quello cinematografico vedranno realizzati i progetti

sul figlio. Nel film, Roberto tace. Ma osserva. La sua risoluzione esce alla luce

40 “Il camorrista”, regia di Giuseppe Tornatore, 1986. 41 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “Terra dei fuochi”, pag. 316. 42 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “Kalashnikov” pag. 187.

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quando Franco gli ordina di gettare le pesche regalategli dalla vicina, perché più

conscio di lei di quanto siano intossicate. Intuendo il disprezzo di Roberto gli fa un

discorsetto realmente udito da Saviano: “Ti fa schifo questo mestiere? Robbe’, ma

lo sai che gli stakeholder hanno fatto andare in Europa questo paese di merda? Lo

sai o no? Ma lo sai quanti operai hanno avuto il culo salvato dal fatto che io non

facevo spendere un cazzo alle loro aziende?” 43 . Roberto però è irremovibile.

L’ultima scena che lo riguarda lo mostra allontanarsi, solo, con le spalle voltate a

Franco e a tutto ciò che rappresenta. Una sorta di allusione forse alla nascita

di Gomorra come atto di ribellione, di diversità.

43 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “Terra dei fuochi”,pag. 320-321.

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LA SERIE

“Nella fiction non c’è il bene, non ci sono vie di fuga per lo spettatore. Ma non c’è

neanche il fascino. I personaggi di Gomorra si sporcano sempre”44

Ispirata in parte all’omonimo libro e costruita sugli eventi della prima faida di

Scampia, la serie tv Gomorra illustra in maniera efficace le dinamiche che si

muovono attorno ad un clan camorristico di Scampia. Per far questo, gli

sceneggiatori si sono serviti della famiglia Savastano, un clan inventato che però, ad

un occhio attento, appare ricalcato ad hoc sulle caratteristiche di quello dei Di

Lauro45.

Mentre seguiamo le vicissitudini di questo clan, dei suoi affiliati e fedelissimi,

e dei suoi rivali e nemici, scopriamo com’è che si muovono e fin dove riescono ad

arrivare i tentacoli di un’organizzazione criminale così potente.

«È rassicurante raccontare un boss come il male assoluto perché la gente

normale possa dire: io non sono così»46, affermano gli sceneggiatori Stefano Bises

e Leonardo Fasoli.

44 Roberto Saviano, “Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 5 maggio 2016. 45 Il clan Di Lauro è un sodalizio camorristico di Napoli, operante nel quartierie di Secondigliano. 46 Stefano Sollima, “Gomorra la serie, con Ciro e Genny il viaggio dello spettatore nell’inferno della camorra”,

“L’Espresso”, 9 maggio 2016.

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In Gomorra, qualsiasi valore, l’amore, l’amicizia, la lealtà, sono destinati a

soccombere di fronte al potere. Non sono mostrati esempi positivi: tutti i ragazzi

cadono nel vortice, persino la giovane in sedia a rotelle che in cerca di lavoro chiede

di essere assunta alla moglie del boss Donna Imma la quale le trova presto un posto

nella lunga catena umana di spaccio.

Chi lo fa per disperazione, chi per vendetta, chi perché non conosce altra realtà,

chi, come Danielino, per desiderio di affermazione sociale. L'unica innocente, Manu,

una ragazza estranea ai fatti, è destinata ad una morte atroce, vittima di un

meccanismo più grande di lei.

Gli sceneggiatori sono partiti sempre dal materiale primario rappresentato dagli

eventi realmente accaduti, riportati da Saviano nel libro, aggiungendone anche altri

più recenti, dato che la serie è nata circa sette anni dopo rispetto al libro, unendo

anche del materiale frutto d'invenzione narrativa.

La trama orizzontale si sviluppa nell'arco di dodici episodi da 50 minuti circa,

all'interno dei quali hanno origine sotto trame più o meno estese. Il tempo scorre in

avanti puntata dopo puntata portando lo spettatore a pensare che la storia abbia una

fine, ma la prima stagione ha in realtà un finale aperto, con un cliffhanger che già

faceva presagire un altro ciclo di episodi. Nonostante ciò, la storia ha una temporalità

chiusa, non infinitamente espandibile, funzionale a raccontare un frammento di quel

mondo senza pretese di contemporaneità con il tempo di vita dello spettatore. Il

mondo rappresentato ha aspetti in comune a quello tipico del genere del gangster e

quello del noir, utilizzando un tono drammatico e, a tratti, melodrammatico. Gli

episodi non hanno una vera e propria trama verticale, ma si concludono quasi sempre

all'apice di un climax narrativo che funge da richiamo per l'episodio successivo.

La linea narrativa principale ha per protagonista il giovane affiliato Ciro Di

Marzio soprannominato “l’Immortale”, il quale tenta una scalata al potere a

discapito del clan Savastano di cui fa parte. Ciro incarna l'archetipo del ribelle, ma

non certo nella sua accezione positiva. La sua evoluzione come personaggio è uno

dei temi principali della storia. Speculare a questa e allo stesso livello di rilevanza,

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si pone la vicenda di Genny Savastano, figlio del boss, che fa la sua apparizione

seduto scompostamente su una sedia davanti alla scrivania del padre, mentre assiste

forzatamente a una riunione di cui non sembra ascoltare una sola parola. Il giovane

Savastano viene presentato come un ragazzino strafottente, con una grande

ammirazione per le imprese di Ciro e un atteggiamento da bullo, unico modo che

conosce per far sentire il peso del suo cognome.

Genny gioca a fare il camorrista, forte di ciò che gli ricorda il padre, cioè che a

lui, prima o poi, il

potere spetterà. La

distanza tra il suo

mondo e quello

degli affiliati, di

coloro che fanno i

criminali per

mestiere e vengono

raggiunti da proiettili veri, è ben rappresentata a livello discorsivo dalla sequenza

della sparatoria nella fabbrica, alla quale attraverso il montaggio alternato, si

affianca la visione di Genny in discoteca che si arrabbia per un dispetto tra coetanei,

alla morte di tre degli uomini del padre, colpiti durante l'agguato47.

Oltre a queste due linee principali, se ne sviluppano altre che interagiscono con

le prime due. Il collante della serie è rappresentato dai personaggi e dalle loro

evoluzioni.

Uno dei primi personaggi ad essere introdotti è Attilio la cui morte nel

primissimo episodio funge da innesco per la linea narrativa principale, portando alla

rottura dell'equilibrio iniziale. Sempre nel primo episodio fa la sua breve apparizione

Salvatore Conte, personaggio che la serie definirà solo più avanti e di cui al momento

si limita a suggerire alcuni tratti, sufficienti affinché lo spettatore possa fare le prime

previsioni interpretative.

47 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 1.

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Conte è il più pacchiano e decadente dei personaggi, sembra modellato

sull'immaginario cinematografico americano dei film di mafia, una scelta

apparentemente in contrasto con lo stile realistico del racconto, ma in linea con le

tendenze imitatorie dei boss descritti da Saviano nel libro. Conte inoltre porta ancora

più in primo piano il tema del Sacro, quasi all’eccesso in realtà, mostrando una

“fede” ossessiva, potremmo dire “malata”, a cui si affida pienamente per il suo

operato criminale e che come si vedrà nella seconda stagione sarà teatro della sua

stessa morte che avrà luogo proprio in una chiesa.

Presto viene presentato poi il personaggio di Don Pietro Savastano, un boss di

vecchia generazione, un uomo potente, la cui iracondia si rivela essere anche la sua

principale debolezza. Savastano, abita con la moglie Donna Imma e il figlio Genny,

in una pomposa villa costruita di fronte alle Vele, dove vivono i suoi affiliati Ciro e

Attilio. L'inquadratura crea un contrasto netto, evidenziando l’opposizione

dominio/non dominio che sarà poi il motore dell'evoluzione di Ciro. A questo punto

è chiaro in che senso quest'ultimo incarni la componente negativa dell'archetipo del

ribelle: egli non vuole abolire questo dualismo asimmetrico, vuole semplicemente

conquistare il suo spazio nell’altro polo, quello di fronte alle Vele, dove si trovano

le ville suntuose.

Le soffiate alla polizia sono il primo passo per intaccare il domino dei

Savastano. Una volta uscito di scena Don Pietro in seguito al suo arresto e durante

l'assenza di Genny, spedito dalla madre in Honduras per concludere un affare di

droga, Ciro si scontra con Donna Imma che, alla guida del clan, non si fida di lui e

gli rende la vita difficile. Prima gli ordina di organizzare una nuova piazza di

spaccio, un lavoro umiliante per un affiliato del suo livello, poi lo spedisce in Spagna

a "fare la pace" con Conte. Tornato da Barcellona dove ha rischiato la vita per un

accordo con l'altro boss, Ciro inizia la sua scalata al potere agendo sottobanco, ma il

ritorno di Genny, completamente trasfigurato dall'esperienza sudamericana,

complica la situazione. Genny è stato ostaggio di spietati narcotrafficanti che lo

hanno torturato psicologicamente costringendolo a uccidere e fare a pezzi un uomo

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innocente; questo lo porta a un profondo cambiamento che, prima ancora di

manifestarsi palesemente nelle decisioni e negli atteggiamenti, è visibile fin dalla

prima inquadratura al suo rientro a casa: non è soltanto più magro, più muscoloso,

non ha soltanto i capelli rasati e un abbigliamento più spartano, ha soprattutto

un'espressione completamente diversa, uno sguardo in cui non c'è più nessuna

traccia del ragazzino viziato dell'inizio.

La visione del nuovo volto di Genny viene anticipata dall'inquadratura dello

sguardo della madre che, spostando gli occhi dal cadavere del cane a cui il figlio ha

appena sparato, alla ferita da morso sul braccio di lui e infine al suo volto, assume

un'espressione di dispiacere, stupore e timore che prepara lo spettatore alla visione

della drastica evoluzione del personaggio di Genny.

Tra Ciro e Genny a questo punto si crea ora una forte rivalità: Ciro vuole

conquistare il suo spazio di potere e Genny vuole affermarsi come degno successore

del padre. Nonostante il cambiamento, però, Genny è ancora giovanissimo e la sua

condotta è in netto contrasto con quella del padre. I vecchi affiliati non la tollerano,

i giovani invece lo seguono fedelissimi.

Questa spaccatura innesca una faida interna e crea una confusione tale da

impedire a Genny di vedere il vero pericolo per i suoi affari: le manovre di Ciro.

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Quest’ultimo fa un passo falso con l'omicidio di Manu, la fidanzata del ragazzino

che Ciro assolda come

killer per uccidere uno dei

bracci destri di Conte e

accendere quindi una

guerra che avrebbe

portato allo sterminio del

clan. Quando Donna

Imma lo mette davanti

alle prove schiaccianti della sua colpevolezza, lui non esita a uccidere lei e la sua

guardaspalle, ignorando che la donna aveva fatto in modo che, in caso di morte,

Genny venisse a conoscenza del suo segreto. Ciro cerca di mettere in salvo la sua

famiglia in una villa fuori Napoli, ma non rinuncia a portare la figlia al saggio di fine

anno del coro della parrocchia. Non è una debolezza, bensì un agguato a Genny: che

riesce perfettamente.

La stagione termina con il corpo di Genny a terra, apparentemente morto, e

l'abbandono di Ciro da parte della moglie che si rende conto di come il marito abbia

usato lei e la figlia come esca.

La seconda stagione sarà dominata dalla rabbia e dalla voglia di vendetta di

Genny e di Don Pietro nei confronti di Ciro Di Marzio.

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Riuscito a scappare durante un trasferimento dal carcere, Don Pietro, è deciso

a riconquistare ciò che sente suo di diritto, il potere. Seguito da pochi fedelissimi

rimastigli accanto, rifugiandosi al sicuro da sguardi indiscreti, inizia il suo piano.

Questa volta però assistiamo al più classico e al tempo stesso peggiore dei

tradimenti, quello di un figlio nei confronti del padre. Seppur condividendo lo stesso

desiderio di vendetta il figlio Genny sentendosi messo da parte e ignorato dal padre

fa una scelta del tutto incomprensibile per i telespettatori ma del tutto in linea con

quelle che sono le sue nuove mire di potere; chiede al padre di poterlo incontrare di

fronte alla tomba della madre, Don Pietro accetta mosso da una ritrovato desiderio

di riavvicinarsi al figlio, ma a quell’appuntamento Genny non si presenterà, Don

Pietro si ritroverà invece faccia a faccia con Ciro, che gli punta contro la pistola e

spara. Era stato proprio Genny, il figlio, a tradirlo e ad armare la mano del suo

uccisore. La peculiarità di questa serie, rispetto al classico genere gangster, sta

proprio nel rappresentare i criminali nella loro vita quotidiana, mettendo in scena un

mondo in cui il crimine non è un elemento in opposizione a qualcos'altro, bensì

normalità.

Nonostante la serie si presenti come un testo di finzione, al suo interno, si

dispongono, come detto, enunciati non fittizi che, sotto la superficie labile della

parabola narrativa, riescono a rappresentare tratti salienti della società

contemporanea e della psiche umana trascinandoti in un abisso dove nessuna

immaginazione è in grado di arrivare.

Se il libro si configura come un resoconto narrativo del reale che vuole

raccontare il male per denunciarlo, la serie vuole inscenare il male per permettere

allo spettatore di comprenderlo e riconoscerlo. I due testi infatti condividono

l'intento pragmatico di scuotere le coscienze, ma lo fanno attraverso due modalità

opposte: il dovere di cronaca da un lato e il piacere dell'intrattenimento dall'altro.

Nella serie, oltre ai personaggi individuali, si possono individuare alcuni gruppi

di personaggi collettivi: gli imprenditori corrotti, gli affiliati, i ragazzini amici di

Genny, i pusher e i vari operai della droga, gli abitanti del quartiere e il sistema dei

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personaggi e delle azioni si delinea in relazione alla posizione di ognuno nei

confronti dei poli della supremazia o della sottomissione, dell'autonomia o della

dipendenza nei confronti del sistema di potere.

La supremazia, intesa in senso lato come dominio economico, sociale e

simbolico, è la soglia di valore rilevante di quel mondo ed è rispetto ad esso che i

personaggi percepiscono ciò che accade loro come positivo o negativo. Il sistema

profondo di significati da cui scaturiscono le trama principale e quelle secondarie,

dunque, non si basa sempre su un opposizione Bene/Male, ciò che cambia è come i

personaggi percepiscono questi due poli e come percepiscono la loro posizione

relativamente ad essi.

Ciro ad esempio passa dal polo della sottomissione a quello dell'autonomia: da

affiliato, incluso nel sistema, diventa ribelle e aspira ad essere egli stesso un boss.

Genny, dal canto suo, passa dalla dipendenza dal padre e dalla madre, alla

supremazia una volta costretto a prendere il suo posto al vertice del clan. Imma,

come ho accennato, pienamente integrata fin da subito nel Sistema dominante, si

muove sempre nella parte alta dello schema, passando da una posizione sottomessa,

ma privilegiata, a una posizione di dominio. Continuando in questo modo, è

possibile descrivere ogni personaggio con le sue evoluzioni partendo dalla struttura

profonda della storia.

Un discorso a parte va fatto invece per la figura di Donna Imma, inizialmente

dipinta come moglie fedele e rispettosa del marito, lontana dagli affari, ma che

invece, nel corso della serie, conquisterà rapidamente un ruolo dominante al vertice

del clan, tanto da reggere da sola un'intera linea narrativa. Il suo personaggio incarna

molte delle caratteristiche delle donne boss descritte da Saviano nel suo libro: donne

complesse, intelligenti e feroci anche più degli uomini. Di questo lato femminile

della camorra ne parlerò meglio in seguito.

In Gomorra, gli sceneggiatori hanno fatto sì che gli spettatori, fin da subito, si

rendessero conto del mondo che la serie andava a rappresentare. La prima puntata di

una serie, come ogni incipit, ha spesso la funzione di indirizzare la lettura dell'opera

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in una certa direzione, non a caso infatti si chiama episodio pilota. Ciò avviene

attraverso una serie di indizi che richiedono allo spettatore di attivare una specifica

cooperazione interpretativa, basata su competenze di genere, di sceneggiatura e

intertestuali.

Nel caso di Gomorra l'apertura con la messa in scena di un regolamento di conti

tra boss rivali fa sì che lo spettatore inquadri subito il testo nella cornice di genere

del gangster movie e sempre nelle prime sequenze dell'episodio viene introdotta una

delle tematiche dominanti: l'opposizione giovane/vecchio. Su questo significato

profondo si sviluppano, come vedremo, le principali linee narrative della serie. Tale

opposizione nel corso del primo episodio è rappresentata più volte a livello di

manifestazione discorsiva: nel confronto iniziale tra Ciro e Attilio che non riesce a

capire come funziona Facebook, che non ama la musica "troppo moderna" del suo

compagno e che è sempre fedelissimo al suo boss, non importa quanto irragionevoli

siano gli ordini impartiti,

al contrario di Ciro che

mostra già i primi segni

di ribellione; Attrito che

si manifesterà anche tra

Don Pietro, il cui stesso

epiteto evoca la

tradizione camorristica

di vecchio stampo, e il

figlio. A sottolineare

questo filo tematico ci sono anche le parole di Don Pietro, solo apparentemente

accidentali, su un nuovo divano acquistato dalla moglie, nel quale, secondo i loro

informatori, la polizia ha messo delle microspie: Don Pietro rimpiange il divano

vecchio perché «quello nuovo non è buono»48.

48 “Gomorra” regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 2.

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Il primo episodio non attiva solo una sceneggiatura di genere, ma innesca una

rete di rimandi alla realtà geografica e socio-culturale in cui la si svolge la storia. Per

far ciò gli sceneggiatori hanno usato vari espedienti: il napoletano come lingua

preponderante per dare una forte connotazione geografica e culturale al racconto; le

inquadrature delle Vele di Scampia, quartiere che i media hanno eletto simbolo del

degrado urbano delle città campane; i "mostri di cemento armato" frutto degli abusi

edilizi compiuti nella periferia di Napoli.

Nei titoli di apertura della serie si legge che la serie deriva da un idea di Roberto

Saviano ed è ispirata al suo romanzo; anche se non si tratta di un adattamento, la

serie intrattiene una relazione esplicita intertestuale e ipertestuale con il libro.

Lo spettatore è portato presto a chiedersi dove siano i buoni, dove sia la polizia

che prima o poi arresterà i cattivi, perché è a questo che ci hanno abituato i gangster

movie in cui i boss, di norma, vengono rappresentati dal loro momento di gloria fino

alla loro cattura o alla loro sconfitta, tra l'altro spesso glorificante. In realtà, il pilot

della serie risponde visivamente anche a questa domanda: dove sono I poliziotti?

Sono “intra 'a televisione” e la televisione sta a casa dei boss, simbolicamente

racchiusa in una pomposa cornice d'oro come un quadro al di fuori del mondo reale.

Il servizio del telegiornale, che si intravede e si sente appena in sottofondo durante

una cena dei Savastano, segnala la posizione che le forze dell'ordine ricoprono in

questa storia che non inscena una battaglia tra il bene e il male, ma solo una lotta

intrinseca al male stesso.

Le forze dell'ordine sono solo un brusio di sottofondo nel mondo della malavita,

tenute in cornice da un sistema che è sempre un passo avanti rispetto ad esse, quel

vantaggio simbolicamente rappresentato dall'informatore che avverte Don Pietro delle

microspie nascoste. Nella scena della cena, però, il rumore indistinto della tv a un certo

punto diventa udibile e l'ultima frase del servizio al telegiornale è comprensibile per lo

spettatore attento: «gli investigatori stanno interrogando i feriti per tentare di

identificare gli assassini, impresa difficile perché sono poche e scarne le testimonianze

al momento, ma c'è una certezza ed è la matrice dell'attentato: il comando entrato in

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azione sapeva chi colpire e, quasi certamente, questo spettacolo di morte è legato alla

guerra di camorra in città per il controllo del business milionario della cocaina»49.

Questo episodio è volto anche a creare un effetto di reale, rafforzato dalla

leggibilità del nome del cronista nel servizio telegiornalistico, Paolo Chiariello, vero

inviato napoletano di Sky Tg24. Anche la strage nel bar, a cui fa riferimento il

servizio, ricorda un episodio realmente avvenuto a Secondigliano nel '92, raccontato

dal boss Maurizio Prestieri in una lunga intervista a Saviano, pubblicata su

Repubblica.

Un elemento interessante, che circonda continuamente i personaggi nella

serie, è il tema del sacro.

Lontana anni luce da una rappresentazione istituzionale o didascalica della

religione e del sacro, Gomorra riesce a creare un sotto testo religioso discreto e

convincente.

I suoi personaggi, immersi nelle Vele50, nelle macchine scure, nelle case

interamente fagocitate da oggetti, sono molto spesso circondati da simboli

religiosi: statue, icone di Padre Pio, della Madonna, di Cristo. Molto spesso

49 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 1. 50 Le vele di Scampia sono palazzi ad uso residenziale costruiti nell'omonimo quartiere di Napoli tra il 1962 e

il 1975. Prendono il nome dalla loro forma triangolare.

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queste immagini sacre appaiono scure, sporche quasi fossero metafora del

degrado di Scampia.

Alla base in realtà non vi è la fede, si tratta più che altro di una semplice

presenza fisica, che rivela un altro aspetto dell’anatomia di pensiero delle

associazioni mafiose: come la Chiesa cattolica è riuscita, nel corso dei secoli, a

far accettare ai fedeli l’idea che la Madonna possa essere sia Vergine che

Madre, così le associazioni mafiose, in particolar modo la Camorra, riescono a

condurre un’esistenza criminale avendo come forza interiore la fede religiosa.

Le icone religiose assistono agli omicidi, ascoltano i discorsi tra i Boss, si

ritrovano al centro della strada mentre i corrieri sfrecciano con gli scooter.

Particolarmente d’effetto è l’ultimo episodio della seconda stagione, in cui il

braccio destro di Don Pietro bacia la croce che porta al collo prima di far fuoco

e uccidere a brucia pelo la figlia di Ciro mentre giocava col game boy

aspettando di arrivare a scuola. Una bambina. Forse in molti penseranno che è

impensabile, che non è possibile che succeda ma purtroppo è molto più reale di

quanto si pensi. Bisogna forse ricordare che negli anni ‘80, Raffaele Cutolo, da

buon uomo d’onore come gli piaceva definirsi, fece sparare in faccia ad una

bambina di pochi anni davanti al padre, il magistrato Lamberti.

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CAPITOLO II

GOMORRA, UN TERREMOTO CULTURALE, SOCIALE E CIVILE

“Con Gomorra non pretendevo tanto di avere successo quanto di cambiare le cose,

svegliare la gente, costringerla a vedere l'orrida realtà neppure tanto nascosta”51

Il valore principale di questo best-seller risiede nell’aver profondamente scosso

il paesaggio culturale e sociale, incidendo su alcuni aspetti della società

contemporanea. Prima della sua pubblicazione l’immagine che l’opinione pubblica

aveva della criminalità napoletana, e della mafia italiana in generale, era abbastanza

unilaterale e semplificata, incentrata quasi unicamente sul lato delle attività criminali

percepibili ogni giorno.

I quotidiani locali e nazionali infatti non hanno mai lesinato articoli su omicidi

o atti di violenza riconducibili alla camorra, ma la rappresentazione di quest’ultima,

veicolata dai giornali, era unicamente incentrata sui delitti e non sul fenomeno

complesso che vi è dietro, ovvero su un’entità feroce incapace di perdonare, che non

teme di versare sangue innocente durante una delle sue numerose lotte.

Napoli, agguato in strada e sventagliata di kalashnikov.

51 Roberto Saviano, “Voglio sposarmi; sarà la mia vittoria e la mia vedetta”, “Corriere della Sera”, 9 giugno 2009.

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«Ormai dalle testate giornalistiche dai testi saggistici, dalle discussioni

politiche, sono scomparse le analisi sui fenomeni criminali organizzati. Tutto si è

pacificato, la criminalità, il grande flagello è divenuta la microcriminalità, il piccolo

spaccio di droga, lo stupro. Insomma l’atomizzazione delle questioni criminali ha

portato ad un’incredibile indifferenza ed ignoranza verso lo studio della struttura

criminale organizzata»52. Inoltre grazie a Saviano finalmente è stato possibile far

passare l’idea che la camorra, così come tutte le organizzazioni mafiose, non è un

problema confinato in una regione.

Nonostante questo

prima del 2006 solo il

22% degli italiani

riteneva la criminalità

organizzata un problema

non solo del Sud, ma

dell'Italia intera e non

aveva un’idea chiara

della storia che sta dietro

un organizzazione del genere.

Con Gomorra tutto è cambiato radicalmente, quelle pagine hanno avuto il

potere di mettere in moto l’Italia e non solo, riuscendo nel suo intento di mostrare

quanto la camorra sia un potere internazionale. Ormai le mafie italiane sono

organizzazioni che non si tengono nei confini italiani: il controllo del territorio, nel

senso militare, avviene nel Sud Italia, l’investimento avviene in tutto il mondo.

Da dieci anni a questa parte siamo stati di colpo sommersi da articoli, libri,

saggi e film che ci parlano della camorra in un modo molto più approfondito e

completo e passo dopo passo Saviano ha trovato il sistema per far appartenere alla

memoria collettiva i dettagli della storia e della filosofia della camorra e le orme

52 Roberto Saviano, “La Parola Camorra Non Esite”, “Nazione Indiana”, 16 settembre 2003.

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della denuncia che ha impresso nelle sue pagine hanno portato a numerose azioni

concrete.

Ora, nel 2016, sentendosi chiedere se ritiene evaporato il senso del suo libro,

l’autore risponde così: «Una università milanese fece uno studio: dopo la

pubblicazione di Gomorra si registrava un aumento del 400 per cento dei libri su

camorra e mafia. Quel libro continua a vivere in mille declinazioni. Credo sia

cambiata anche la percezione della camorra, non più banditi rozzi e violenti, ma

avanguardia dell’economia mondiale, con regole molto simili a quelle del

capitalismo. Evaporato? Forse, in quanto inalato dai lettori e trasformato in

coscienza»53.

Il popolo italiano in una prima fase, è stato l’ascoltante che si lascia impregnare

dalle informazioni fornite, ma progressivamente ha assunto un ruolo attivo nel

dibattito avviato dallo scrittore. Una parte numerosa dei lettori ha quindi

abbandonato la funzione meramente passiva per dimostrare di essere disposti a

combattere per un’Italia libera dal dominio della mafia e per esprimere la loro

solidarietà con lo scrittore che ha avuto il coraggio di utilizzare la forza della parola.

Gomorra, come già accennato, ha cambiato non soltanto l’opinione pubblica

italiana, ma anche quella mondiale. Ormai il pubblico internazionale che ha letto il

libro di Saviano si rende conto di come la Camorra, invece di essere

un’organizzazione locale, sia un fenomeno globale, una rete che ricopre l’intero

mondo: “Spero che queste storie possano arrivare il più lontano possibile così da far

comprendere che una serie, un libro, insomma un’opera d’arte può davvero mutare

il corso delle cose quando innesca empatia”54.

Il successo senza pari e la forza di Gomorra è incontestabilmente dovuto anche

al ruolo dei nuovi media nella diffusione della conoscenza. Il caso “Gomorra” ha

riempito non solo le pagine di quotidiani e periodici, ma anche programmi televisivi

53 Roberto Saviano, “Chi è”, “Corriere della Sera”, 24 maggio 2016 54 Roberto Saviano, “Il kolossal tv varca i confini nazionali”, “La Repubblica.it”, 7 ottobre 2013.

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e radiofonici per poi catalizzare l’attenzione di social media come Facebook e

Twitter.

Proprio grazie ai social network, ad esempio, è nato il progetto “Oltregomorra”,

il portale culturale su e contro la mafia, e tramite questi mezzi viene assicurato il

proseguimento della lotta contro la mafia avviata dall’opera di Saviano. Collaborare

a tali iniziative per Saviano significa continuare a diffondere le proprie opinioni,

nonostante le restrizioni legate alla sua vita sotto scorta. Per capire cosa possa

spingere un giornalista o uno scrittore a narrare, a denunciare, a testimoniare fanno

riflettere le parole di Salman Rushdie55: “È grazie alla narrazione che gli uomini si

rappresentano a se stessi e quindi solo un’umanità libera di raccontarsi come vuole

è un’umanità libera”56.

È sicuramente un modo diverso di narrare l’Italia, che ti costringe a guardare

in faccia il male, a occhi aperti.

Uno sguardo diretto e trasparente che ha però ricevuto critiche da parte del

mondo politico.

Quando uscì la serie il questore di Napoli, Guido Marino, disse di trovarla

offensiva, diseducativa e alcuni sindaci dell’hinterland napoletano si sono persino

rifiutati di dare il permesso per le riprese e l’allora Presidente del Consiglio, Silvio

55 Scrittore anglo-indiano. 56 Salman Rushdie, “Saviano all'Accademia con Rushdie. Diari di una "vita sotto scorta”, “La Repubblica”, 14

dicembre 2008.

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Berlusconi, criticò la capacità del libro di avere dato troppa pubblicità alla mafia

danneggiando l'immagine internazionale dell'Italia. A queste critiche si sono

aggiunte quelle del direttore del TG4 Emilio Fede, il quale ha affermato che Saviano

avrebbe ottenuto una visibilità eccessiva rispetto ai suoi meriti. Saviano risponde

affermando che: «Per noi è un percorso editoriale: da “Gomorra” a “1992”, fino a

“The Young Pope”, è il realismo che rende queste storie rilevanti e questa realtà

accompagna lo spettatore in un viaggio che non lo inganna, non lo consola, in cui

l’unica cosa che non può fare è

girarsi dall’altra parte» 57 . Il

sindaco di Napoli De Magistris

lo accusò di esaltare solo il

brutto e Renzi ribadì che

dell’Italia si deve raccontare il

positivo contro il disfattismo:

“Non lasciamo che il racconto di

questa terra sia solo il set di

Gomorra”58. Saviano risponde a

queste affermazioni con una

domanda: «Se io racconto una cosa che non va, sto facendo male all’Italia o bene?»59

poi afferma: «io volevo capire cosa fossero queste organizzazioni, il loro potere

economico, il loro linguaggio. Per farlo ho pagato un prezzo inaspettato. Chi

racconta il male viene trattato peggio di chi il male lo fa, lo scriveva Leopardi due

secoli fa»60.

Purtroppo le critiche allo scrittore napoletano continuano tutt’oggi più accanite

che mai. Il 5 gennaio 2017 il sindaco di Napoli De Magistris scrive un lungo post61

su Facebook in cui accusa Saviano di fare successo «con gli spari della camorra».

57 Roberto Saviano, “Gomorra la serie, con Ciro e Genny il viaggio dello spettatore nell’inferno della camorra”,

“L’Espresso, 9 maggio 2016 58 Matteo Renzi, “Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 5 maggio 2016. 59 Roberto Saviano, “Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 5 maggio 2016. 60 Roberto Saviano, “Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 5 maggio 2016. 61 Luigi De Magistris, Facebook, 5 gennaio 2017.

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Rivolgendosi direttamente all’autore campano il sindaco continua la sua invettiva

affermando: «più si spara, più cresce la tua impresa» e chiudendo il discorso con due

“consigli” che arrivano come schiaffi aspri e davvero insensati visto che sono rivolti

ad un uomo che è nato e cresciuto in quella città e ha sacrificato la sua libertà per

parlarne. A quest’uomo il sindaco consiglia di informarsi meglio e non giudicare e

criticare una terra che non conosce, concludendo col dirgli: «non avere paura. Abbi

coraggio»62. Saviano non tarda a rispondere: «Napoli 4 gennaio 2017: due sparatorie

in pieno centro e una bambina di 10 anni ferita in un luogo affollatissimo della città.

Ma il sindaco è infastidito dalla realtà, a lui non interessa la realtà, a lui interessa

l'idea, quell'idea falsa di una città in rinascita: problema non sono le vittime innocenti

del fuoco della camorra, problema è che poi Saviano ne parlerà. Il contesto nel quale

nascono e crescono le organizzazioni criminali, fatto di assenza delle regole e

lassismo, da quando lui è sindaco non solo non è mutato, ma ha preso una piega

addirittura più grottesca: ora la camorra in città è minorenne e il disagio si è esteso

alle fasce anagraficamente più deboli. Ma di tutto ciò lui non ama parlare. Pare che

la città sia ridotta al salotto di casa sua, a polvere da nascondere sotto al divano.

Basta pensare alla superficialità (per non dire al fastidio) con cui il sindaco parla di

periferie annegate nel degrado: al sindaco fa schifo Soccavo, fa schifo Pianura, si

vergogna del rione Conocal, se ne frega del rione Traiano. Ma che importa: la realtà

di Napoli sono le strade affollate e non i killer pronti a sparare nel mucchio»63.

Siamo tutti attaccabili e criticabili per qualcosa, ma la domanda che dovrebbe

porsi chiunque prima di giudicare ciò che ha fatto e continua a fare Saviano è: Io

avrei mai sacrificato la mia libertà per dar voce alla verità?

62 Luigi De Magistris, Facebook, 5 gennaio 2017. 63 Roberto Saviano, Facebook, 6 gennaio 2017.

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SAVIANO: GIORNALISTA, AUTORE, PERSONAGGIO

“E´ nato uno scrittore”64

Con queste parole, “è nato uno scrittore”, Corrado Stajano commenta la

pubblicazione di Gomorra, prima opera di un giovane giornalista freelance. Roberto

Saviano ha iniziato la sua carriera giornalistica nel 2002 scrivendo su quotidiani e

riviste come “Pulp”, “Diario”, “Sud”, “Il Manifesto”; ha collaborato poi anche con

l’“Osservatorio sulla Camorra” del “Corriere di Mezzogiorno” e attualmente

collabora con “L’Espresso” e “La Repubblica”. Il giovane autore è molto attivo ed

affermato anche all’estero dove collabora con importanti testate giornalistiche come:

il “Washington Post”, Il “New York Times”, il “Newsweek” e il “Time” negli Stati

Uniti; “El Pais” in Spagna; il “Die Zeit” e il “Der Spiegel” in Germania;

L’“Expressen” in

Svizzera; il “The

Guardian” e il

“Times” in Gran

Bretagna.

Prima di tutto

questo, Saviano

pubblicava spesso

articoli sul blog

collettivo “Nazione

Indiana”65, una parentesi a mio avviso significativa dato che proprio un articolo

comparso su quest'ultimo blog sembra celare quelle che saranno le basi del suo

futuro romanzo. L’intervento, intitolato “La parola camorra non esiste”66, viene

pubblicato da Saviano il 16 settembre 2003 e contiene in se il seme da cui si sviluppa

64 Corrado Staiano, “Camorra e Gomorra”, “L’Unità”, 19 maggio 2006. 65 Si tratta di un blog collettivo e progetto culturale fondato nel marzo 2003 da un gruppo di scrittori, critici e artisti

italiani, con lo scopo di dare voce a testi e idee che non trovano spazio nell'editoria commerciale e nella stampa

d'informazione. 66 Roberto Saviano, “La parola camorra non esiste”, Nazione Indiana, 16 settembre 2003.

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praticamente tutta la prima parte del romanzo, incentrata sul funzionamento del

sistema malavitoso.

In questo pezzo, il giovane giornalista racconta di come la parola “camorra”,

fino ai primi anni

Ottanta, sia stata

utilizzata soltanto dai

magistrati, finché il

boss Raffaele Cutolo

fondò la Nuova

Camorra Organizzata

e attribuì a questo

termine un significato

filosofico, spirituale, quasi religioso.

Camorra, secondo lui era un’etica, una prassi finalizzata ad organizzare i

miseri, i cafoni, che unendo le proprie forze, sottomettendosi e facendo

giuramento di omertà, ai loro capi che chiamava “santisti” ovvero “evangelisti”

seguaci di Cristo-Cutolo, avrebbero raggiunto sicurezza e benessere»67.

Dopo Cutolo, però, il termine è scomparso nuovamente dal gergo dei camorristi

che per far riferimento alla propria organizzazione iniziano a usare semplicemente

la parola “Sistema”.

Le intenzioni del giornalista si fanno ancora più evidenti nello stesso testo

qualche riga più avanti: «nel complesso ginepraio delle logiche camorriste, è

possibile solo congetturare, e la congettura è l’unico elemento che permette di

imbastire ipotesi di senso, piani d’interpretazione che ti svelano con chiarezza i

meccanismi causali d’alcune scelte politiche, d’alcuni investimenti, di determinate

fortune o sfortune economiche. V’è qualcosa di più letterario di ciò? […] La scrittura

forse, dovrà occuparsi con maggiore attenzione di questo infinito e diuturno

67 Roberto Saviano, “La Parola Camorra Non Esiste”, “Nazione Indiana”, 16 settembre 2003.

Foto storica del boss, L’unità.

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fenomeno, solo la narrazione può riaccendere valutazione ed attenzione»68. Già in

queste parole si intuisce come Saviano cominci a intendere la narrazione come un

nuovo percorso per affrontare un problema così complesso come quello criminale;

un pensiero vero tanto quanto contraddittorio: in un’operazione cristallina come la

ricerca del vero s’insinua la letteratura con la sua palese e recondita menzogna.

L'articolo si conclude con un invito a scrivere un romanzo collettivo, fatto di decine

di racconti, che fosse un libro composto di storie incentrate «non sul cancro ma sul

corpo rigoglioso e sano del “sistema-crimine”.

Ipotizzare, inventare, raccontare, narrare, rimettere sotto gli occhi dei lettori la

contemporaneità del fenomeno, la potenza, la forza, la legittimità della cultura

camorristico-mafiosa»69. Parole, queste ultime, in cui non è difficile rintracciare

l'idea embrionale sviluppata più in là nella serie televisiva: raccontare il male per

conoscerlo e

confrontarsi con

esso, senza filtri e

senza via di fughe.

Nei successivi

articoli di Saviano

ritroviamo gran parte

dei temi e dei fatti

riportati in Gomorra,

come ad esempio: la

vicenda di Annalisa

Durante, vittima

innocente di un regolamento di conti; la crescita dei ragazzi in ambienti vicini alla

camorra; la storia di Gelsomina Verde; le infiltrazioni mafiose nelle aziende

multinazionali; il ruolo delle donne nell'organizzazione; infine, persino il brano «Io

68 Roberto Saviano, “La Parola Camorra Non Esiste”, “Nazione Indiana”, 16 settembre 2003. 69 Roberto Saviano, “La Parola Camorra Non Esiste”, “Nazione Indiana”, 16 settembre 2003.

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so», di cui parlerò approfonditamente in seguito, è comparso per la prima volta sulla

rivista “Nuovi Argomenti” nel 2005.

Il romanzo d'esordio di Saviano, quindi, ha le sue radici nella sua attività

giornalistica e sembra quasi tessere insieme, attraverso l'espediente del narratore-

testimone, frammenti di racconto già scritti.

Nel 2009 sarà l’autore stesso a ripercorrere la sua evoluzione personale e

letteraria, raccogliendo i suoi scritti personali realizzati nell'arco di cinque anni, dal

2004 al 2009, nel libro “La bellezza e l’inferno”70. Un libro ispirato proprio dalla

sua prima opera “Gomorra” e dalle esperienze vissute per il suo impegno contro la

mafia: dal ragazzo che muove i primi già maturi passi nell'ambito della letteratura e

della militanza antimafia fino allo scrittore affermato che viene invitato

all'Accademia dei Nobel di Stoccolma.

A livello internazionale Saviano viene dipinto come un novello Caronte, che

fin dalla prima immagine ambientata sul molo Bausan, ci traghetta attraverso il porto

tra “la perduta gente”71 nella “città dolente”72.

70 Roberto Saviano, “La bellezza e l’inferno”, Mondadori 2009. 71 Divina Commedia, Dante Alighieri, Canto III. 72 Divina Commedia, Dante Alighieri, Canto III.

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Purtroppo, l’area lessicale attorno a cui si muovono molti degli articoli che

parlano di quella bellissima città, è proprio quella dell’inferno; “A living Hell” [“Un

inferno vivente”], così

in un articolo sul “The

Guardian” viene

descritto [“ciò che il

crimine organizzato

ha fatto ad uno nei più

bei luoghi al

mondo”]73.

Sul “Times”,

Misha Glenny74, afferma: [“Gomorra è un’utile iniziazione a quel luogo infernale

che Napoli è diventata sotto la tirannide della Camorra”]75; e se per Alexander Stille

Napoli è stata [“Trasformata in una specie di inferno”]76, Paul Cherry non ha invece

dubbi, Napoli è [“un vero e proprio inferno in terra”]77.

Allo stesso modo per John Dickie la camorra ha [Trasformato Napoli ed il suo

hinterland in una città dimenticato da Dio]78. Come definire altrimenti una terra che

[“grazie alla Camorra, ha uno dei più alti tassi di omicidi in Europa, uno dei più alti

tassi di spacciatori di droga per numero di abitanti, livelli di disoccupazione e

dipendenza da cocaina altissimi ed in costante ascesa, ed elevata incidenza di cancro

collegata allo smaltimento di rifiuti tossici”]79 . Saviano [“scorrazza nelle fauci

73 Testo originale: “what organised crime has done to one of the most beautiful places on earth”, “The Guardian”,

12 gennaio 2008. 74 Giornalista e scrittore britannico. 75 Testo originale: “Gomorrah is a useful introduction to the hellhole that Naples has become under the tyranny of

the Camorra”, in “McMafia: Crime Without Frontiers”, M. Glenny, Bodley Head, 2009. 76 Testo originale: “turned into a kind of inferno”, Alexander Stille, “Italy: The Crooks in Control”,

“The New York Review of Books”, 17 aprile 2008. 77 Testo originale: “a veritable Hell-on-Earth”, P. Cherry, The Montreal Gazette, 18 luglio 2008. 78 Testo originale: “turned Naples and its hinterland into a god-forsaken metropolis”, J. Dickie, Gang Rule. 79 Testo originale: “Thanks to the Camorra, has one of the highest murder rates in Europe, one of the world’s highest

ratios of drug dealers to inhabitants, soaring levels of unemployment and cocaine addiction, and elevated cancer rates

linked to toxic waste dumping”, Rachel Donadio, “Underworld”, “Sundey book review”, 25 novembre 2007.

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dell’inferno - per descriverci - gli orrori di una città un tempo bellissima e civile, ora

sotto il controllo di un efferato sistema criminale”]80.

Più ci si addentra in questa storia, in questa realtà, più sembra quasi di assistere

ad una sorta di rivisitazione del III canto dell’Inferno dantesco.

«E ho capito che è questa la mia dannazione, che è questa la posta che credevo

il diavolo non avrebbe mai riscosso. Una dannazione che ti condanna quando la tua

parola arriva lontano, quando diventa un seme»81.

80 Testo originale: “gallops straight into the maw of the inferno per descriverci the horrors of a beautiful, once civil

city, now under the control of a vicious organized crime system”, A. Shugaar, “GoodFellas. A young Italian

laments how Naples has fallen under the sway of brutal monsters”. 81 Roberto Saviano, “Dieci anni di Gomorra”, Gomorra, mondadori 2016.

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GOMORRA, IL CORAGGIO DELLA DENUNCIA

“Comprendere cosa significa l’atroce, non negarne l’esistenza, affrontare

spregiudicatamente la realtà”82

Non è mai stato facile, per uno scrittore, dire verità scomode e non solo in anni

passati, quando la censura impediva la diffusione delle opinioni controcorrente, il

coraggio si paga anche oggi. Un libro può condannare a morte, come è accaduto allo

scrittore Salman Rushdie83,

per aver pubblicato nel 1988

“I versi satanici”84, oppure a

vivere sotto scorta, in una

specie di fine annunciata; un

“marked man”, come scrive

Henry Farrell 85 : un

bersaglio, una probabile

vittima.

Tra saggio e racconto quello di Saviano è uno studio attento e personale, ma

anche la testimonianza emotiva di uno scrittore che, nato e cresciuto in terra di

camorra, vuole indagarne la natura e le leggi, animato dalla volontà di capire i volti

di questo “regno del male” per denunciarli e combatterli.

In questi dieci anni Saviano ha condotto innumerevoli battaglie contro le

organizzazioni camorristiche sfruttando molto anche la televisione, divenendo

così schiavo delle sue stesse denunce.

Proprio il suo esilio coatto ricorda davvero quello a cui fu costretto l’autore

anglo-indiano Rushdie quando fu colpito dalla fatwa86 emessa da Khomeini87. Ian

82 Frase di Hanna Arendt, in “Gomorra”, testo originale: “Comprehension, in short, means the unpremeditated,

attentive facing up to, and resisting of reality – whatever it may be or may have been”. 83 Scrittore anglo-indiano. 84 Salman Rushdie, “The satanic Verses”, 1988. 85 H. Farrell, “Underworlds”, “The Nation”, 21 novembre 2007. 86 Sentenza emessa su questioni riguardandi il diritto islamico. 87 Politico e guida religiosa iraniano.

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Fisher88, in un articolo apparso su “The New York Times”, definisce Saviano [“una

sorta di Salman Rushdie nella lotta ancora irrisolta dell’Italia contro il crimine

organizzato”] 89 , mentre un articolo su Saviano comparso su “Der Spiegel

International” ha proprio per titolo: [una Fatwa della Mafia per un autore

italiano]90. I due scrittori si sono anche incontrati a New York, nell’aprile del 2008,

entrambi invitati a partecipare al “Pen World Voices of International Literature”91.

Nelle loro vicende vi sono però altresì notevoli, importanti differenze: in primo

luogo quella subita da Rushdie è stata una censura esercitata da un potere ufficiale,

mentre la camorra è un potere ufficioso e occulto; inoltre, come rilevano vari

commentatori, le prime minacce non sono state pronunciate quando Saviano iniziò

a pubblicare i suoi reportage, né quando uscì Gomorra, ma solo quando l’autore in

persona partecipò a un comizio al suo paese, Casal di Principe il 23 settembre del

2006, durante il quale insultò pubblicamente i boss, cioè quando qualcuno, per la

prima volta, osò mettere in discussione, fisicamente, il controllo di un territorio che,

come avviene per gli animali “è marcato”.

In un’intervista a Saviano riportata dal “National Post”, il 7 maggio 2008, è

stato proprio lo scrittore a rimarcare un’altra grande differenza tra lui e Rushdie,

88 Giornalista statunitense del New York Times.

89 Testo originale: “A sort of Salman Rushdie in Italy’s still unresolved struggle against organized crime”, in “An

Italian Author Driven Into the Shadows by Success”, I. Fisher, “New York Times”, 3 novembre 2007. 90 Testo originale: “A Mafia Fatwa for an Italian Author”, “Der Spiegel International”, 18 ottobre 2006. 91 Festival letterario che promuove la libera espressione e la comunione letterario internazionale.

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sottolineando che l’eresia del libro di Rushdie consisteva nell’essere stato scritto,

mentre la sua sostanzialmente nell’essere stato letto. Secondo Saviano: “È una

grande differenza. Non è ciò che ho scritto che è pericoloso. È l’essere stato letto da

così tante persone che lo rende così pericoloso”. Molto spesso infatti non si perdona

non il gesto della denuncia, quanto il successo e la diffusione che tale denuncia

provoca.

I camorristi non hanno perdonato «non il libro ma il successo, il fatto che sia

diventato un best-seller. Questo li ha disturbati, se il libro fosse rimasto confinato al

paese, a Napoli, alla realtà locale, allora gli andava anche bene, anzi, i camorristi se

lo regalavano tra loro, contenti che si raccontassero le loro gesta. Avevano perfino

cominciato a farne delle copie taroccate da vendere per la strada e un boss aveva

rimesso le mani in un capitolo riscrivendosi alcune parti che lo riguardavano, poi

però la cosa è cresciuta, si è cominciato a parlare del libro e questo ha cominciato a

disturbarli. Perché fino ad allora non finivano mai sulla prima pagina dei giornali,

neppure quando facevano massacri, e si sentivano tranquilli e riparati. Poi il libro ha

risvegliato

l'attenzione in tutta

Italia e questo

successo non mi è

stato perdonato» 92 .

«A me i camorristi

hanno detto “t’amm

fatt il cappotto di

legno” ti abbiamo

chiuso nella bara

senza averti ucciso. Però per me la scorta non è qualcosa che mi tiene prigioniero e

isolato, ma è l'unico modo per permettermi di continuare a lavorare e a scrivere»93.

92 Roberto Saviano, “La libertà di Saviano”, “La Repubblica”, 29 maggio 2016. 93 Roberto Saviano, “incontro Saviano-Rushdie: Noi, scrittori sotto scorta”, “La Repubblica”, 3 maggio 2008.

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Quando gli viene chiesto se si aspettava una tale reazione, Saviano risponde:

«Non pensavo di innescare l’odio, volevo accendere un’attenzione dell’opinione

pubblica. E avevo un’ambizione letteraria. Vedevo una storia che la letteratura

poteva affrontare. A farli impazzire è stato il successo. Se fossi stato chi sono ora

non mi avrebbero minacciato, non conveniva. Ma dieci anni fa ero nessuno, ero un

ragazzino da spezzare. Un pagliaccio, disse di me Schiavone. Un romanziere. Uno

che si inventa una finzione. Per lui, una spazzatura d’uomo»94.

La cultura antimafia in Italia oggi è assai fiorente e a Saviano si sono affiancati

alcuni eminenti intellettuali; si pensi, ad esempio, a Umberto Eco, che in un’edizione

del Tg1 ha apertamente invitato il popolo italiano a sostenere lo scrittore e dichiarò:

«Non lasciamo solo Roberto Saviano!», dopo che l’“Espresso” aveva rivelato le

minacce dei casalesi contro il giovane scrittore. Era il 14 ottobre 2006, Gomorra era

uscito tra aprile e maggio; era stato stampato in 4500 copie e a settembre era già a

centomila, Saviano ricorda benissimo la mail della Mondadori: “Roberto, da oggi

sei uno scrittore di professione”.

Dopo Saviano, a questo punto, nessuno potrà dire “io non lo sapevo” e proprio

come Saviano tutti dovremmo trovare la forza di denunciare e la volontà di

combattere, anche da soli se necessario, per non dire a noi stessi “ci siamo arresi”.

Non facciamoci più ripetere che il sonno della ragione genera mostri. La camorra

come terreno di battaglia:

loro coi mitra, noi con la

cultura, questo ci insegna

Gomorra. Non è uno

scontro impari, anzi: i

boss infatti hanno

condannato a morte

Saviano, perché sanno che

il risveglio delle coscienze può distruggerli, molto più di una retata.

94 Roberto Saviano, “Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 5 maggio 2016.

Corteo contro la Camorra.

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Verso la fine del capitolo “Cemento armato”, Saviano racconta di essersi

recato sulla tomba di Pasolini e riporta un brano considerabile una vera e propria

dichiarazione di poetica.

Si tratta del brano “Io so”95, che ha spinto inevitabilmente i critici ad un

confronto con Pasolini, il quale, il 14 novembre 1974, pubblicò sul “Corriere della

Sera” uno scritto dal titolo “Che cos'è questo golpe?”96 , che Saviano riprende

esplicitamente in Gomorra, rovesciandolo. Pasolini e Saviano, a oltre trent'anni di

distanza l'uno dall'altro, scrivono:

95 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Cemento armato”, pag. 233. 96 Pier Paolo Pasolini, “Cos’è questo Golpe? Io so”, “Corriere della Sera”, 14 novembre 1974.

Pier Paolo Pasolini

«Io so. Ma non ho le prove. Non ho

nemmeno indizi. Io so perché sono un

intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire

tutto ciò che succede, d conoscere tutto ciò che

se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non

si sa o che si tace; che coordina fatti anche

lontani, che rimette insieme i pezzi

disorganizzati e frammentari di un intero

coerente quadro politico, che ristabilisce la

logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà,

la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio

mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo

che sia difficile che il "progetto di romanzo"

sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con

la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e

persone reali siano inesatti. Credo inoltre che

molti altri intellettuali e romanzieri sappiano

ciò che so io in quanto intellettuale e

romanziere perché la ricostruzione della verità

a proposito di ciò che è successo in Italia dopo

il '68 non è poi così difficile … Probabilmente

i giornalisti e i politici hanno anche delle prove

o, almeno, degli indizi. Ora il problema è

questo: i giornalisti e i politici, pur avendo

forse delle prove e certamente degli indizi, non

fanno i nomi. A chi dunque compete fare

questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha

il necessario coraggio, ma, insieme, non è

compromesso nella pratica col potere, e,

inoltre, non ha, per definizione, niente da

perdere: cioè un intellettuale.»

Roberto Saviano

«Io so e ho le prove. Io so come hanno origine

le economafie e dove prendono l'odore.

L'odore dell'affermazione e della vittoria. Io so

cosa trasuda il profitto. Io so. E la verità della

parola non fa prigionieri perché tutto divora e

di tutto fa prova. E non deve trascinare

controprove e imbastire istruttorie. Osserva,

soppesa, guarda, ascolta. Sa. Non condanna in

nessun gabbio e i testimoni non ritrattano.

Nessuno si pente. Io so e ho le prove. Io so

dove le pagine dei manuali d'economia si

dileguano mutando i loro frattali in materia,

cose, ferro, tempo e contratti. Io so. Le prove

non sono nascoste in nessuna pen-drive celata

in buche sotto terra. Non ho video

compromettenti in garage nascosti in

inaccessibili paesi di montagna. Né possiedo

documenti ciclostilati dei servizi segreti. Le

prove sono inconfutabili perché parziali,

riprese con le iridi, raccontate con le parole e

temprate con le emozioni rimbalzate su ferri e

legni. Io vedo, trasento, guardo, parlo, e così

testimonio, brutta parola che ancora può valere

quando sussurra: "È falso" all'orecchio di chi

ascolta le cantilene a rima baciata dei

meccanismi di potere. La verità è parziale, in

fondo se fosse riducibile a formula oggettiva

sarebbe chimica. Io so e ho le prove. E quindi

racconto. Di queste verità»

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L'incipit dei due pezzi ne sottolinea la prima e fondamentale differenza: quello

di Pasolini è un sapere squisitamente letterario, derivante dal suo essere un

intellettuale, mentre l’io narrante di Saviano ripete come in un crescendo, “Io so e

ho le prove”. Così l’alter ego dell’autore, rivendica allo scrittore il ruolo di testimone

“Io vedo, sento, guardo, parlo, e così testimonio” e la sua scrittura diviene racconto

spietato “di queste verità”. Tuttavia, conclude, “non faccio prigionieri”, una

negazione che nasconde un’affermazione: sia la magistratura a fare giustizia.

Un’altra citazione importante che Saviano inserisce proprio come apertura de

suo libro è una frase di Hannah Arendt: «Comprendere cosa significa l’atroce, non

negarne l’esistenza, affrontare spregiudicatamente la

realtà». Probabilmente Hannah Arendt elaborò questo

pensiero nella stesura della sua opera più famosa, “La

banalità del male”97, frutto delle riflessioni maturate

durante il lungo processo a uno dei più terribili

gerarchi nazisti.

La camorra, come tutte le associazioni mafiose,

è un’istituzione totalitaria, che non ammette

opposizioni: chi le si oppone viene eliminato fisicamente se l’eliminazione fisica è

necessaria oppure viene ridotto all’inesistenza come individuo sociale. Nella serie

significative a tal proposito sono le parole di Don Pietro: «Quando mio figlio era

criaturo, o’ purtav semp o’ zoo a verè e’ scimmie e iss me riceve: Papà, ma comm’

è possibile, che degli animali accussì sciem’ vogliono fare quello che fanno i

cristiani? Le scimmie so’ belle quando fanno quello che dice il padrone, perché

quando vogliono fare quello che vogliono loro, s’anna abbattere»98.

Per combattere questo nuovo totalitarismo e sopravvivere, secondo Saviano, la

parola non deve concedere tregua e deve essere difesa in ogni modo da chi la

pronuncia. Il senso di utilizzare questa frase nell'epigrafe è duplice: da un lato

97 Hannah Arendt, “Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil”, 1963. 98 “Gomorra”, Sky Atlantic 2014, prima stagione.

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anticipa uno degli obiettivi di un libro che decide di rompere il clima di omertà per

affrontare la drammaticità di una questione sociale come quella della criminalità

organizzata, dall'altro sembra che attraverso di essa, l'autore stesso s'infonda

coraggio davanti alla rischiosità dell'operazione che sta per compiere. In maniera

quasi speculare, Gomorra si chiude con un’altra citazione, questa volta

cinematografica, che sembra essere quasi una profezia sulle disavventure personali

che lo hanno coinvolto in futuro proprio per aver scritto Gomorra e che forse oggi

ripete a sé stesso ogni giorno: immerso in un pantano di acqua piovana e rifiuti nella

“terra dei fuochi”, Saviano afferma: «Avevo voglia di urlare, volevo gridare, volevo

stracciarmi i polmoni, come Papillon 99 , con tutta la forza dello stomaco,

spaccandomi la trachea, con tutta la voce che la gola poteva ancora pompare:

«Maledetti bastardi, sono ancora vivo!»100

99 “Papillon”, regia di Franklin J. Shaffner, 1973, interpretato da Steve McQueen. 100 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Terra dei fuochi”, pag. 330.

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GOMORRA NEL MONDO

“A far paura non è l’uomo che scrive, sono le tante persone che ascoltano, gli

occhi che leggono una storia, le tante lingue che la racconteranno”101

Fin dalla sua pubblicazione Gomorra è divenuto subito un fenomeno editoriale.

Il romanzo ha venduto oltre 2 milioni e 250 000 copie in Italia e 10 milioni nel

mondo, venendo tradotto in 52 lingue.

Nell’ultima edizione di Gomorra, a dieci anni dalla sua prima pubblicazione,

Saviano vi inserisce

alla fine una raccolta

di articoli riguardo

Gomorra, tra i più

significativi, riportati

sulle principali testate

giornalistiche estere.

Questa raccolta

mostra chiaramente come per la letteratura italiana ci sia un “prima” e un “dopo”

Gomorra e come quest’opera, con la sua forza innovativa e dirompente, abbia

varcato i confini della nostra penisola investendo il mondo intero con un singolare

“effetto Gomorra”.

Il libro è tuttora presente nelle classifiche dei migliori best-seller in Germania,

dove l'opera è saltata subito in cima alla classifica del settimanale “Der Spiegel” e

l’argomento “mafia” ha acquisito un’attualità inaspettata. È proprio un articolo

tedesco che apre la raccolta di Saviano, con il titolo: “Come una rosa nel deserto”102.

Questa espressione fu usata da un magistrato per descrivere la rarità dell’atto della

denuncia in alcuni territori Campani. In particolare era riferita ad una donna che

decise di testimoniare in seguito ad un omicidio. Ad alcuni potrebbe non sembrare

101 Roberto Saviano, “Vieni via con me”, Feltrinelli 2011. 102 Srtephan Lorenz, “Rose in der Wüste”, “Freie Presse” 2007.

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niente di che ma in un paese come Mondragone questo equivale ad un suicidio. La

donna denunciò senza chiedere nulla in cambio. Non pretese una scorta e non impose

un prezzo alla sua parola. Ma la naturalezza di questa sua scelta gli costò tanto. Stava

per sposarsi e fu lasciata, la famiglia la allontanò e dovette lasciare il suo lavoro.

Negli Stati Uniti Gomorra è stato inserito, come unico libro italiano, nella

classifica dei 100 libri più importanti del 2007 dal quotidiano statunitense “The New

York Times” così come

anche dal “The

Economist” con la

seguente motivazione:

“Un urlo letterario che fa

nomi, degli assassini e

degli assassinati, in uno

stile ispirato dalla critica

dell’Italia privo di

compromessi del regista

Pier Paolo Pasolini e dalla devozione per i dettagli sporchi di Truman Capote”5.

Negli Stati Uniti il libro inoltre è rientrato nella categoria non-fiction, un importante

distinzione che attribuisce al romanzo l’importanza che merita e pone su un

determinato piano le aspettative del pubblico americano rispetto all’attendibilità del

suo contenuto e delle sue denunce. Oltre ai paesi già citati, Gomorra è stato

pubblicato in Gran Bretagna (MacMillan), Australia (Picador), Francia (Gallimard),

Paesi Bassi (Hanser), Spagna (Debate/RHM), Norvegia (Aschenhoug), Danimarca

(Borgen), Finlandia (Wsoy), Svizzera (Bromberg), Ungheria (Partvonal), Bulgaria

(Era 2000), Russia (Geleos), Brasile (Editora Bertrand), Israele (Aryeh Nir), Grecia

(Patakis), Giappone (Kawade Shobo), Turchia (Yurt Kitap Yayin), Portogallo

(Caderno Ed./ASA), Slovacchia (Kalligram), Serbia (Geopoetika), Estonia (Varrak),

Lituania (Baltos Lankos), Repubblica Ceca (Paseka), Slovenia, Albania (Botimet

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Dudaj), Romania (Editura Univers), Croazia (Algoritam), Corea (Munhakdongne),

Islanda (Bjartur).

Ovunque la critica e il pubblico hanno tributato al libro di Saviano un enorme

successo, definito da John Dickie 103 , di dimensioni quasi “Potteresche”,

paragonandolo con questo neologismo un po’ ardito, data l’assoluta differenza dei

temi, addirittura alla

diffusione planetaria

raggiunta dal maghetto

della Rowling.

Tutto questo

successo ha dato la

possibilità a Saviano di

essere ospite di

trasmissioni televisive

ed eventi culturali di

rilievo mondiale e, ogni volta, ha colto l'occasione non solo per parlare di camorra,

ma anche per raccontare l'idea e il pensiero che si cela dietro la sua scrittura.

Il clamore del best-seller si è riscontrato poi anche nel film Gomorra con i suoi

cinque premi agli European Film Awards del 2008 e sette premi ai David di

Donatello Awards del 2009.

La pellicola è stata giustamente considerata la maggiore rivelazione dell’anno

e, vista da oltre due milioni di spettatori, ha da subito ottenuto un grande successo

di pubblico, risultando il decimo miglior incasso in Italia della stagione

cinematografica 2007-2008. Nel 2009 al Festival di Cannes gli sono stati riservati

almeno cinque minuti di applausi. La proiezione, con il cast al completo, la giuria

presieduta da Sean Penn e tutti i Ministri della Cultura europei, compreso Sandro

Bondi, hanno applaudito con convinzione alla fine del film salutando lo scrittore

103 Storico e accademico britannico, 1963.

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Roberto Saviano, Toni Servillo, gli altri protagonisti e naturalmente il regista Matteo

Garrone, a cui è andato il Gran premio della giuria.

61° Festival di Cannes, Garrone riceve il Gran Premio per

“Gomorra” e Sorrentino il Premio Giuria per “Il divo”.

Secondo i dati Cinetel, che coprono l'85% del mercato potenziale, Gomorra ha

incassato in tre giorni circa 1.825.643 euro in 411 sale, staccando l'americano

“Superhero”, secondo con 1.275.538 euro. «Gomorra è un film di grande impegno

civile» 104 ha commentato il Ministro della Cultura Sandro Bondi, rimasto

profondamente colpito dall'opera. «È difficile riprendersi da quelle immagini, sono

un pugno nello stomaco» ma, aggiunge intervenendo sulla polemica dei “panni

sporchi” che l'Italia lava all'estero, «dobbiamo presentarci senza vergognarci,

orgogliosi di saper rappresentare l'Italia senza immagini edulcorate, senza

autoassoluzioni. Gomorra svela, anche ai più informati di noi, che l'Italia è purtroppo

anche questo». Il film - prosegue Bondi - «è' meritevole proprio perché capace di

fare i conti con noi stessi. Si stenta a credere che questa realtà mostrata da Garrone

sia un pezzo d'Italia, ma proprio da qui, da questa presa di coscienza che il cinema

offre bisogna avere la capacità di riscatto».

In fine il successo mediatico del fenomeno Gomorra ha trovato nuova linfa

vitale nella serie tv. Prodotta da Sky Italia e trasmessa a partire dal 6 maggio 2014

sul canale Sky Atlantic è stata poi confermata, a seguito del successo ottenuto, per

una seconda stagione, le cui riprese sono iniziate nell'aprile del 2015 e concluse nel

104 Ministro della Cultura Sandro Bondi, Festival di Cannes, 2008.

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novembre successivo; è stata inoltre già avviata anche la produzione di una terza e

di una quarta stagione. Per la produzione 32 settimane di riprese, 400 ambienti, 200

attori e tremila comparse. «Uno sforzo enorme», dice Riccardo Tozzi, «per rispettare

i due punti di forza della serie: essere un archetipo universale, comprensibile in tutto

il mondo, e restare realistici fino al dettaglio». Il cast è davvero straordinario e

costellato di attori legati al territorio, con esordienti che si mescolano ad attori

professionisti: agli ormai acclamati protagonisti Marco D’Amore, Fortunato

Cerlino, Salvatore Esposito, Marco Palvetti si sono uniti poi nuovi interpreti come

Cristiana Dell’Anna e Cristina Donadio.

La domanda che potremmo porci è: Per quale motivo Gomorra sta avendo

un grande successo?

Beh, le risposte sono

molteplici e vanno ben

contestualizzate partendo

da un dato molto

semplice: Gomorra piace

perché è un prodotto con

una grande qualità di

linguaggio e un’estetica

che difficilmente riusciamo a recuperare nei prodotti televisivi italiani. Questo si

palesa principalmente grazie alla forza produttiva della macchina organizzativa che

sta dietro le quinte, capace di investire forti capitali per la realizzazione della serie.

Record di ascolti su Sky, Rai 3 e Twitter, è stato il prodotto televisivo del 2014

di maggior successo. I primi due episodi della serie, andati in onda martedì 6

maggio, sono stati visti da 650.000 spettatori, doppiando così il successo dell’altra

grande produzione Sky, Romanzo Criminale 2, che all’esordio aveva raccolto

358.000 spettatori medi. La serie è rimasta fruibile su Sky Go e lo è ancora oggi ma,

nonostante ciò, l’esordio in chiaro su Rai Tre, a distanza di circa due mesi dalla

prima, ha consentito alla rete nazionale di raggiungere record mai toccati con la

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proiezione di una fiction in seconda serata. Parliamo di uno share medio del 7% per

un corrispettivo di oltre 2 milioni di telespettatori. Numeri da capogiro ai quali si

aggiunge il seguito sociale che ha accompagnato e caratterizzato la Serie, divenuta

in breve tempo un fenomeno fortemente virale grazie ad alcuni “motti e frasi

caratterizzanti” che sono finiti presto per rimbalzare di bocca in bocca fungendo da

moltiplicatore e immortalando un successo già consolidato.

Ad esempio l’hashtag #GomorraLaSerie ha raggiunto le prime posizioni ed è

rimasto presente nella classifica dei Trending Topic italiani per diverso tempo.

Un successo non così scontato per i registi: «Ci dicevano che una serie

napoletana non sarebbe stata vista nemmeno a Roma, ma abbiamo preso un rischio

ed ecco i risultati». Andrea Scrosati di Sky introduce così, al Teatro dell’Opera,

Gomorra, la serie partita come una scommessa azzardata ma che, nonostante l’uso

del dialetto e il cast semisconosciuto, non solo ha conquistato l’Itali intera ma ne ha

varcato perfino i confini.

Oltre che un successo di pubblico e di critica, la serie ha avuto infatti un

clamoroso successo produttivo: la prima stagione è diventata cult in molti paesi, e la

seconda debutterà contemporaneamente in 5 stati europei, venduta in oltre 130

territori tra cui, Germania (Sky Deutschland), Francia (Canal+), Scandinavia

(HBO Nordic) Inghilterra (Sky), Spagna (Atresmedia), America Latina (HBO Latin

America), e, ovviamente, Stati Uniti (The Weinstein Company). Qui,

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secondo Variety, Gomorra ha le carte in regola per proporsi come la risposta italiana

a “The Wire”, la serie americana di HBO ambientata a Baltimora, in cui la trama

poliziesca si fonde in maniera cinica e realistica con la profonda esplorazione di temi

sociali e politici. Gli apprezzamenti internazionali105 continuano, incoronando la

serie con parole come: [“Una narrativa autentica, sensazionale, una direzione

robusta e una fotografia immacolata”], [“Una delle nuove serie internazionali

drammatiche più attese!], [“Dimenticate i Soprano, ora ci sono i Saviano”], [“La

migliore nuova serie italiana”].

«Gomorra ha prodotto uno shock nel pubblico internazionale abituato a vedere

serie girate in studio»106, spiega ancora il produttore Tozzi, «noi invece abbiamo

girato tutto sul posto, con spirito neorealista». I protagonisti si spostano tra Scampia,

Fiumicino, Ostia, Roma, per poi arrivare fino in Honduras, Spagna, Germania.

«Abbiamo cercato di ignorare le aspettative per non farcene schiacciare - ha detto il

regista Stefano Sollima - puntando ad alzare l’asticella della qualità». Accanto a lui,

per narrare le gesta dei Savastano, altri tre registi, Claudio Cupellini, la new entry

Claudio Giovannesi e Francesca Comencini, unica donna del gruppo: «E di questo

sono grata: è importantissimo avere un punto di vista femminile». Anche perché,

sottolinea Fortunato Cerlino, «il ruolo delle donne in questi sistemi è spesso

tragicamente sottovalutato».

105 International Press Review:

“An authentic, sensational_narrative. Robust direction and immaculate photography”, “One of the most hotly-

anticipated new international drama series”, “Forget the Sopranos, here come the Savianos”, “The best new Italian

series”. 106 Riccardo Tozzi,“All’estero choc per le immagini neorealistiche”, “Leggo.it”, 10 Maggio 2016.

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TRADUZIONE

“Culture is translation, and also translation is culture”107

Nonostante il contenuto, l’ambientazione e, come vedremo, molte scelte

lessicali siano profondamente radicate nel contesto socio-culturale campano,

Gomorra il libro, a seguito del suo successo internazionale, è stato tradotto in ben

33 paesi, divenendo ben presto un best-seller in molte nazioni europee fino a varcare

anche l’oceano raggiungendo gli Stati Uniti.

Come è facile immaginare, nel tradurre un’opera del genere, si è costretti ad

affrontare diverse difficoltà e proprio partendo da questa prospettiva ho scelto di

analizzare la traduzione di Gomorra in un contesto anglofono. In primo luogo va

detto che la traduzione dall’italiano all’inglese di Gomorra si presenta atipica in

quanto, per così dire, in controtendenza rispetto alla massiccia esportazione,

soprattutto da parte degli Stati Uniti, di testi, verso il resto del mondo; in secondo

luogo è particolare notare le differenze presenti tra

le due edizioni in lingua inglese, quella pubblicata

negli USA e in Canada, e quella pubblicata nel

Regno Unito dalla stessa casa editrice, MacMillan,

il 18 febbraio 2008.

La pubblicazione americana, più affine

all’originale, ne rispetta anche il titolo

presentandosi come: [“Un viaggio personale nel

violento impero internazionale del crimine

organizzato di Napoli”]108; mentre quella inglese,

più sintetica, utilizzando la parola “Mafia”

introduce direttamente l’argomento: [“L’Altra Mafia dell’Italia”] 109 . Per quanto

107 [“la cultura è traduzione, e la traduzione è cultura”] Peeter Torop, semiologo estone, “Translation as translating

as culture”. 108 Roberto Saviano“Gomorra. A Personal Journey into the Violent International Empire of Naples Organized Crime

System”, USA, Mc Millan 2008.

109 Roberto Saviano, “Italy’s Other Mafia”, UK, Mc Millan 2008.

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riguarda altre edizioni pubblicate nei principali paesi europei possiamo citare:

[“Gomorra. Dentro l’impero della Camorra”] 110 (Francia); [“Gomorra. Viaggio

nell’impero economico e nel sogno di dominio della Camorra”] 111 (Spagna);

[“Gomorra. Viaggio nel regno della Camorra”] 112 (Germania); [“Gomorra. La

mafia napoletana”] 113 (Norvegia); [“Gomorra: un viaggio attraverso l’impero

economico della Camorra”]114 (Olanda) “Gomorra” (Svezia).

Per quanto riguarda Gomorra, ancora più che in altri casi, la difficoltà nel

tradurre non si limita a “trasportare” da una lingua ad un’altra, ma anche a

“trasferire” da un luogo ad un altro. Se la prima azione è ovviamente quella più

pertinente ad un’analisi linguistica, la seconda acquista una sfumatura interessante

laddove si analizzano le reazioni suscitate da un libro che cri-de-coeur una specifica

realtà territoriale e che viene esportato in contesti assai distanti, non solo

geograficamente, da quello in cui è nato.

110 Roberto Saviano, “Gomorra. Dans l'empire de la Camorra”, Francia, Gallimard 2007. 111 Roberto Saviano, “Gomorra. Viaje al imperio económico y al sueño de dominio de la Camorra”. Spagna, Debate

2007. 112 Roberto Saviano, “Gomorra. Reise in das Reich der Camorra”, Germania, Dtv Deutscher 2008. 113 Roberto Saviano, “Gomorra. Mafiaen i Napoli”, Norvegia, Lydbokforl 2009 114 Roberto Saviano, “een reis door het economische imperium van de Camorra”, Olanda, Rotschild & Bach 2007.

Scampia.

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In Gomorra il messaggio originario è palesemente individuabile, ma questa

analisi mira a verificare se e fino a che punto, la traduzione ne abbia consentito la

resa, rispettando o meno i diversi riferimenti storici e soprattutto socioculturali o

come questi siano stati parzialmente, o in alcuni casi del tutto, persi: [“parte di ciò

che si intende può essere lasciato “non detto”, dal momento che il significato è

negoziato non solo linguisticamente, ma anche attraverso l’attivazione di

conoscenze socio-culturali da parte dei partecipanti, i quali sono in grado di cogliere

segnali e indizi all’interno di una particolare contestualizzazione”]115.

Il traduttore deve riuscire ad attivare queste “conoscenze” laddove il

background socio-culturale del pubblico del testo di partenza e quello del testo di

arrivo non coincidono. Ovviamente questo non sempre è possibile, e naturalmente

dipende anche dalla capacità e dall’abilità del traduttore stesso di rendere esplicite il

maggior numero possibile di inferenze.

Prima di addentrarmi nell’analisi traduttologica però, è importante parlare,

seppur molto sommariamente, di questo legame complesso, a volte del tutto

inscindibile, che intercorre tra ogni lingua ed il suo alveo culturale. Il legame tra

lingua e cultura è basato su un intricato e sfaccettato rapporto di interdipendenza che

è stato, e continua ad essere, oggetto di analisi e dibattito da parte di innumerevoli

studiosi.

Attraverso la lingua, non solo conduciamo e rappresentiamo la nostra vita

sociale, ma al tempo stesso ci scambiamo opinioni e riportiamo e/o commentiamo

eventi, rifacendoci ad un comune bagaglio di conoscenze ed esperienze che

condividiamo con i nostri interlocutori. Parliamo di comunità linguistica, “linguistic

nationism”, da cui si sviluppano poi, in un crescendo di oggettivizzazione,

115 Testo originale: “part of what is meant can be left actually “unsaid”, as meaning is negotiated not only

linguistically but also through the activation of the socio-cultural knowledge of the participants, who are

able to pick up cues and implicatures relating to the particular contextualisation”, Charles Taylor, “The

Translation of Film Dialogue”, 1999.

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definizioni come “speech community” 116 , “discourse community” 117 , attraverso

dialetti, gerghi, fino a giungere al personalissimo idioletto, ossia la varietà di

linguaggio propria di ogni singolo individuo.

Tutti questi concetti comprovano quanto le persone identifichino se stesse e gli

altri attraverso l’uso stesso della lingua, che diventa così simbolo della loro identità

sociale. Ciò rafforza ulteriormente il vincolo tra ogni lingua ed il suo contesto socio-

culturale. Il principio alla base del processo traduttivo e che ne palesa la difficoltà è

la consapevolezza dell’impossibilità che vi sia una perfetta corrispondenza tra ogni

singolo significato ed il suo significante all’interno di due codici linguistici diversi.

Per questo secondo me

un abile traduttore non deve

essere solo [“Un

professionista bilingue ma

anche biculturale (se non

multiculturale) che lavora con

e all’interno di un’infinita

varietà di aree di

esperienza”]118.

Cercheremo ora di valutare se, ed in che modo, ha raccolto questa sfida la

traduttrice della versione in lingua inglese Virginia Jewiss, riportando alcuni esempi,

scelti tra i più significativi e indicativi.

Il contesto socio-culturale napoletano è naturalmente preservato, tuttavia,

spesso nella versione inglese alcuni riferimenti culturali, termini specifici, idiomi o

116 Hymes definisce membri di una speech community tutti coloro che comunicano tra di loro attraverso una

lingua storico-naturale. 117 Il concetto di discourse community, introdotto per la prima volta nel 1982, descrive una specifica

comunità che si avvale di forme di comunicazione che contribuiscono a veicolare un modo di pensare

specifico e/o istituzionalizzato, oppure aventi le stesse finalità. 118 Testo originale: “A bilingual, but also a bicultural (if not multicultural) specialist working with and

within an infinite variety of areas of technical expertise”, M. Snell-Hornby, “The professional translator of

tomorrow: language specialist or all-round expert?”, in “Teaching Translation and Interpreting”, 1992.

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espressioni dialettali non sono stati resi adeguatamente o sono stati addirittura

omessi.

A seguito di tale “generalizzazione”, molti aspetti restano oscuri per coloro che

non posseggono il bagaglio culturale necessario per capire appieno i diversi livelli

di lettura e coglierne il rinvio intertestuale. Se, come affermato finora, [“ogni cosa è

prodotta culturalmente, a iniziare dal linguaggio stesso”]119 , l’individuazione di

termini specificamente culturali potrebbe sembrare un paradosso. È innegabile, però,

che all’interno di ogni codice linguistico esistano termini che più di altri sollecitano

inferenze le quali, per poter essere esplicitate, richiedono una conoscenza

particolarmente approfondita del patrimonio storico-culturale della lingua di

partenza. Si tratta, in particolar modo, di proverbi, espressioni idiomatiche,

metafore, canzoni, poesie, riferimenti a riferimenti al cibo, a stereotipi o ad

atteggiamenti caricaturali oppure a personaggi specifici del mondo dello sport o

dello spettacolo.

Nel nostro testo un esempio pertinente potrebbe essere rappresentato dal

riferimento che Saviano fa a Totò e ai nobili decaduti imitati nei suoi film: “Parlava

un perfetto italiano, con una leggera r mutata in v. Come i nobili decaduti imitati da

Totò nei suoi film”120, riferimento che gli serve per descrivere appunto il modo di

parlare di uno dei suoi personaggi. La frase in questo caso è stata tradotta alla lettera

“Like the impoverished aristocrats Totò imitates in his films”121, ma avrebbe invece

richiesto una “extra distinctions”122, ossia l’integrazione di ulteriori informazioni. In

che percentuale infatti la traduttrice può presumere che il pubblico d’arrivo conosca

Totò e sia in grado di comprendere il tipo di caratterizzazione cui fa riferimento

Saviano? In questo caso il lettore andava reso edotto con qualche explicitation123,

ossia l’aggiunta di una o più specificazioni così da rendere più esplicito il messaggio

119 Testo originale: “Everything is culturally produced, beginning with language itself”, J. F. Aixela, “Culture-

specific Items in Translation”, 1996. 120 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il porto”, pag. 16. 121 Roberto Saviano, “Gomorrah: Italy’s other Mafia”, MacMillan 2008. 122 Terminologia utilizzata da Albrecht Neubert in “Translation as a Text”, 1992. 123 S. Blum-Kulka, “Shifts of Cohesion and Coherence in Translation”, 1986.

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originale. Un altro esempio riguarda ciò che possiamo definire “culture bumps”124,

ovvero espressioni dialettali e giochi di parole. Sotto questo punto di vista possiamo

riportare il linguaggio utilizzato da Saviano per descrivere come progressivamente

la camorra riesca a far lievitare il suo giro d’affari. Saviano ci parla di quattro blitz

scattati nell’aprile del 2005 che sequestrarono merce importata illegalmente per un

valore di trentasei milioni di euro: “Una fettina d’economia, in una manciata di ore

stava passando per il porto di Napoli. E dal porto al mondo. Non c’è ora o minuto in

cui questo non accada. E le fettine di economia divengono lacerti, e poi quarti e interi

manzi di commercio”125.

Nella versione inglese si perde del tutto il gioco di parole utilizzato da Saviano,

come anche la forte carica espressiva e il crescendo creato dalla ripetizione delle

“fettine” che diventano “lacerti”, e la metafora della carne cruda che gronda sangue.

Anche se in inglese nella prima frase: “Just a small serving of the economy”126

[“Appena una piccola porzione di economia”] con il termine “serving” [“porzione”]

viene comunque inserita l’area lessicale del cibo, ripresa poi con la metafora della

dieta, non vi è comunque nessun riferimento a “slices” [“fettine”], termine introdotto

invece nella seconda frase, dove la traduttrice scrive: “These slices of the economy

are becoming a staple diet”127 [“Queste fette di economia stanno diventando gli

alimenti di base di una dieta”].

Un’altra categoria di termini che generalmente richiedono una specifica

“pragmatic explicitation” sono i luoghi geografici che molto spesso sono scelti

proprio in virtù delle forti valenze connotative di cui sono carichi. Una pragmatic

explicitation può rendersi necessaria laddove i membri dalla comunità culturale

d’arrivo presumibilmente non condividono aspetti di ciò che è invece considerata

conoscenza comune all’interno del bagaglio culturale di partenza.

124 Ritva Leppihalme, “Culture Bumps: An Empirical Approach to the Translation of Allusions, UK, Multilingual

Matters, 1997. 125 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il porto”, pag. 12. 126 Roberto Saviano, “Gomorrah: Italy’s other Mafia”, MacMillan 2008. 127 Roberto Saviano, “Gomorrah: Italy’s other Mafia”, MacMillan 2008.

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In Gomorra ovviamente la scelta dei luoghi era, per così dire, obbligata, data

la sua preminente natura di reportage e la maggior parte dei riferimenti geografici

riportati, con l’esclusione dei macroscopici riferimenti a paesi come Cina, Spagna e

Scozia, non richiede solo una generica conoscenza topografica dell’Italia, ma

presume familiarità con determinati contesti urbani e sub-urbani.

Inoltre i luoghi citati, specifici del contesto geografico campano, non sono mai

un semplice sfondo, ma

sempre parte integrante

della narrazione.

Un’altra caratteristica

della scrittura di Saviano è

l’evocare fenomeni visivi

attraverso procedimenti

verbali. Umberto Eco 128

individua ben quattro

tecniche diverse attraverso

le quali uno scrittore può

realizzare questa tecnica

narrativa: per denotazione,

descrizione minuta, elenco o

accumulo di eventi e personaggi.

Saviano, per produrre le sue immedesimazioni visive, una compenetrazione

quasi fisica del lettore, si avvale ripetutamente di tutte e quattro le tecniche descritte

da Eco. Ciò rappresenta un’ulteriore riprova di quanto l’ambientazione e la

minuziosa ricostruzione delle scene giochino un ruolo di primaria importanza ai fini

della narrazione e della interpretazione delle vicende nel libro. Diventa perciò

importante che, quando Saviano cita, ad esempio, Posillipo, Parioli, Brera, la

128 U. Eco, “Les semaphores sous la pluie”, in “Sulla letteratura”, Bompiani 2002.

Napoli, quartieri spagnoli.

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traduttrice aggiunga: “posh neighborhoods of Naples, Rome and Milan” [“quartieri

eleganti di Napoli, Roma e Milano”].

Eccessiva è forse la scelta di tradurre addirittura il nome del quartiere

Secondigliano con un improbabile “Second mile” [“Secondo miglio”]. Una scelta

inspiegabile se si pensa che il Parco Verde a Caivano resta giustamente intradotto, e

nella stessa pagina “la Statale 87, il luogo dove tutte le coppiette della zona si

appartano” diventi, “Route 87 where all the lovers in the area went” [“dove tutti gli

amanti della zona andavano”]. Qui la Jewiss opta per un improvviso guizzo verso

un processo di “addomesticamento”, cui abbiamo accennato precedentemente,

trasformando la Statale 87 in Route 87. La frase immediatamente successiva spiega

comunque che si tratta di una strada di catrame rattoppato e mini discariche, dove il

sabato si appartano le coppiette129; quindi la traduzione letterale di statale in highway

risulta inutile e fuorviante nonostante la neutra traduzione di “coppiette” con

“lovers” e del verbo “si appartavano” con “andavano” “went”, ha già perso del tutto

quel senso di clandestinità, o comunque di ricerca di intimità, che andava invece

reso.

Altra particolarità del testo Gomorra sono i numerosi e caratteristici

“contronomi”, ovvero i soprannomi che identificano diversi personaggi di cui ho

parlato nei capitoli precedenti. Questi possono rappresentare per il traduttore una

sfida che rasenta l’impossibile. Virginia Jewiss non li può omettere e opera dunque

una amplification130, che però in alcuni casi non è pertinente alla connotazione

originale del testo, come ad esempio: Quando Saviano riporta che uno dei camorristi

viene definito “Cicciobello”131 a causa del suo viso tondo, il riferimento non è alla

sua connotazione fisica, ma al famoso bambolotto oggetto dei sogni di tante

bambine, forse divenuto il bambolotto per antonomasia, ovviamente sempre

all’interno del background socio-culturale italiano. La traduttrice americana qui non

129 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Angelina Jolie”, pag 22. 130 Per amplification J. L. Malone intende l’aggiunta nel testo d’arrivo di ulteriori unità di significato ai fini di una

maggiore comprensibilità. 131 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Angelina Jolie”, pag 63.

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va oltre il messaggio denotativo e il senso letterale della frase e decide che quel viso

tondo deve necessariamente riportare ad una persona grassa, ed infatti aggiunge

arbitrariamente: «Cicciobello, – “or fat boy”» [Cicciobello - “o ragazzo grasso”]; in

questo caso specifico si è perso anche il sarcasmo implicito nell’attribuire il nome

di bambolotto dal viso angelico ad uno spietato camorrista.

In alcuni casi poi, la nota a pie di pagina resta l’unica risorsa a cui il traduttore

può e deve ricorrere quando il divario culturale o lessicale è troppo ampio: laddove

poi Saviano nomina semplicemente il pentito Giovanni Brusca132 , decide di inserire

che spiega: una lunga explicitation: “the boss

of San Giovanni Jato and the murderer of

Judge Giovanni Falcone”, [“boss di San

Giovanni Jato e assassino del Giudice

Giovanni Falcone”] troviamo anche un

asterisco che ci riporta ad una “thick

translation” 133, ossia la puntuale spiegazione

di dettagli culturali in note o glossari. Ed

infatti un’altra lunga nota fornisce specifici

dettagli su Falcone ed il suo omicidio e sul cosiddetto Maxi Processo, informazioni

che nel testo originale vengono date per implicite dal momento che appartengono

tristemente al nostro recente bagaglio storico.

In altre circostanze la traduttrice decide poi di ricorrere a calchi, come quando,

ad esempio, rende l’espressione “sequestrare delle proprietà” con il verbo “to

sequester”, invece che “to confiscate”, lasciando però spesso il lettore del tutto

spiazzato, come afferma Anthony Shugaar134: [“I soldati italiani non portano combat

boot ma portano anfibi, un vero enigma se non si sa che in italiano lo stivale da

132 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il Sistema”, pag. 59. 133 Terminologia utilizzata d K. A. Appiah, Thick Translation, in “The Translation Studies Reader”, 2000. 134 Autore e traduttore americano.

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combattimento si dice anfibio”] 135 . A tal proposito si è espresso anche Misha

Glenny136, in un articolo pubblicato sul “Sunday Times”, in cui critica la frettolosa

traduzione: [“Ciò che è imperdonabile, comunque, è la scelta della MacMillan, la

casa editrice inglese, di pretendere che apponendo sulla copertina del libro la scritta

“best-seller internazionale” sia libera dall’obbligo di doverlo rendere comprensibile

ai lettori inglesi”]137.

L’edizione pubblicata nel Regno Unito si avvale della stessa traduzione

americana, salvo poche, seppur rilevanti modifiche. Una differenza importante,

dettata da motivi burocratici e legali, consiste nel fatto che dalla versione pubblicata

nel Regno Unito è stato omesso il nome di colui che Saviano in Gomorra definisce

“Il primo camorrista di nazionalità inglese della storia criminale italiana e

britannica”138. Non esistendo nel Regno Unito il reato per associazione camorristica,

il capo di imputazione di cui si parla nel libro è praticamente inesistente, per cui la

persona nominata avrebbe sicuramente citato la casa editrice per diffamazione, la

quale avrebbe corso il rischio di dover pagare un risarcimento addirittura stimato

intorno ai due milioni di sterline. Ovviamente la MacMillan ha preferito non

rischiare. In tutto il capitolo il nome del camorrista non solo è omesso, ma vengono

operati notevoli tagli che Eco a proposito della deontologia del traduttore,

definirebbe “truffaldini”139. Una terza differenza riguarda la presenza, in entrambi i

testi in inglese, di una cartina dell’Italia e in particolare della Campania, con un

ingrandimento su scala, per aiutare il lettore a collocare visivamente sulla cartina

geografica i principali luoghi che vengono citati nel libro.

Naturalmente l’esportazione di un tale prodotto all’estero porta a un

ribaltamento, o anche alla totale rimozione, di alcuni cliché positivi sull’Italia e su

135 “Italian soldiers don’t wear combat boots, they wear “amphibians” – an enigma if you don’t know that the

Italian for army boots is ‘anfibio’”, A.. Shugaar, Good Fellas. A young Italian laments how Naples has fallen under

the sway of brutal mobsters, 4 novembre 2007.

136 Giornalista e scrittore britannico. 137 “What is unforgivable, however, is the apparent decision by Macmillan, the British publisher, to pretend that by

slapping the words “international bestseller” across the top of the book, it is freed from any obligation to render the

book comprehensible to a British audience”, Misha Glenny, “Sunday times”. 138 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “Aberdeen, Mondragone”, pag. 291. 139 U. Eco, Dire quasi la stessa cosa Esperienze di Traduzione.

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Napoli in particolare. Questo avviene perché naturalmente ogni testo, in quanto tale,

veicola un messaggio, un’immagine, una realtà che, in un modo o nell’altro,

influenza il lettore e la sua visione delle cose; e con lettore non mi riferisco solo al

Paese d’origine del testo stesso, ma anche a tutti i paesi raggiunti dalla sua

traduzione. Sul “New York Times” Rachel Donadio, il 25 novembre 2007, scrive

“Malavita”, un articolo su Gomorra in cui afferma: “Per il turista devoto del

Belpaese, l’Italia descritta in Gomorra di Roberto Saviano è un luogo

completamente irriconoscibile: niente arte rinascimentale, nessun piacevole pranzo

all’aperto, nessuna piazzetta caratteristica e affaccendata, non design di lusso, né

paesaggi mozzafiato”140.

Questo effetto, seppur indiretto, della traduzione, è un aspetto finora poco

approfondito nell’ambito dei Translation Studies, come sottolinea Gabriela

Saldanha141: [“Sebbene le traduzioni siano prodotti della cultura di arrivo, poca

ricerca è stata svolta sulla ricezione delle traduzioni attraverso diversi contesti socio-

culturali”] 142 . Ciò potrebbe offrire ulteriori spunti di ricerca nel campo della

comunicazione cross-culturale, ad ulteriore riprova di quanto sostenuto da Torop:

“culture is translation, and also translation is culture”.

140 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2016, raccolta di articoli, pag. 340. 141 Docente di Translation Studies presso il Dipartimento di Lingue Moderne dell'Università di Birmingham. 142 “Although translations are products of the target culture, little research has been carried out on the reception of

translations across different socio-cultural contexts”, G. Saldanha, “Explicitation Revisited: Bringing the Reader into

the Pictur”, 2008.

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IL DIALETTO

“Il sole non illumina più le province di Napoli e Caserta, impossibile rischiarare

questa terra buia e straniera al punto che gli italiani hanno bisogno dei sottotitoli

per decifrarla”143

La traduzione e l’adattamento di varietà linguistiche regionali e sociali

rappresenta un altro specifico elemento di estrema difficoltà per gli operatori nel

campo della traduzione. Purtroppo molto spesso nella trasposizione di opere del

genere si tende a ricorrere ad un linguaggio standard, ovvero un linguaggio che non

connota le persone in base al sesso, luogo di nascita, età, status sociale o altri fattori

similari; ciò comporta, inevitabilmente, che importanti indizi come accenti legati

alla classe sociale o dialetti etnici o geografici vengano spesso appiattiti o

scompaiano del tutto.

Dal punto di vista di Gomorra, sappiamo come già nel libro Saviano ricorra a

numerose citazioni ed espressioni dialettali, ma quella che nel libro è una

caratteristica nel film e poi nella serie diventa una costante. Nella serie in particolare

si capisce come sia stato fatto un attento lavoro per cercare di bilanciare la necessità

del realismo con la comprensione del pubblico. Sentire uno scambio tra uno

spacciatore ed i suoi clienti in perfetto italiano non avrebbe avuto infatti alcun senso,

ma non si poteva nemmeno arrivare all’eccesso e usare un napoletano così stretto da

diventare incomprensibile ai più. Per questa ragione i testi sono stati adattati, anche

con l’aiuto di persone del luogo, traducendo di fatto solo alcune delle parole cardine

di ogni frase ed ottenendo così di riuscire far comprendere comunque il discorso

generale, là dove il dialetto era troppo stretto. Nonostante questo comunque, in molti

hanno scelto di usufruire dei sottotitoli in italiano forniti prontamente da Sky.

Il dialetto napoletano ha una caratteristica che lo contraddistingue più di ogni

altra: la sua musicalità. Gomorra non è interessata a presentare, apparecchiare, il

vero dialetto napoletano, non è quella la sua missione. Viceversa è interessata

143 “Gomorra, il film tratto dal libro”, “MusicaNapoli”.

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a costruire proprio una musicalità linguistica che possa accompagnare, far

interagire e scontrare i vari personaggi.

Da qui i toni pacati e ruvidi di Genny, la signorilità delle frasi ad effetto

del Boss Conte, la velocità con focus sulle ultime sillabe di Ciro Di Marzio, le

lunghe pause e la

linearità di Pietro

Savastano, l’energia e

l’anarchia di linguaggio

di O’Track.

Quest’ultimo in

particolare è preso a

simbolo dei giovani

emergenti, i quali

utilizzano un linguaggio

molto più veloce e meno

comprensibile, quasi un’ulteriore sottolineatura della differenza generazionale.

Il modo di parlare diventa quindi estensione dei personaggi stessi.

Parlando di musicalità è d’obbligo fare un accenno anche alle colonne sonore

e ai brani della serie tv, che hanno contribuito a rendere grande questo prodotto. Il

tema musicale principale della serie è “Doomed to live” dei Mokadelic144, un gruppo

post-rock/psichedelico le cui melodie, con il loro crescendo e diminuendo di note e

intensità, accompagnano perfettamente le scene principali della serie. Per quanto

riguarda la canzone di chiusura di ogni puntata è ormai diventata un vero cult. Si

tratta di “Nuje Vulimme ‘na Speranza” di NTO’ & Lucariello145, le cui parole, seppur

poco comprensibili per chi è nato e cresciuto fuori la Campania, descrivono appieno

l’atmosfera che si respira in quei quartieri e il grido di chi ancora spera.

144 La loro musica si sposta da atmosfere post-rock e neo-psichedeliche a suggestioni ambient malinconiche e

rarefatte, fino ad arrivare a sonorità dense di melodiche distorsioni e implacabili crescendo, creando vere e proprie

sinfonie. 145 Rapper italiani.

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Asciut ajere ‘a vita accummeng’ mo’

aret ‘o 600 scarpe ianc nove

io lla’ nun ce torno pecchè stanotte nun ce dorm

e penz chiu’ ‘a na’ Benz o na Range Rover

faccio vencere ‘a sfortuna tutt”e frat mij perdut

facev part’ re cunt nun è pe nnuje ma p”e criatur

nuje vulimme na speranz’ ‘e campa’ senza

chesta ansia

quand tornano ra’ scol quand stann abbasci ‘o

bar

‘e mettn mman ‘e pistole e a droga e tutt’ ll’ati

storie atterran”e camion ch’e scorie e ce

purtamm pur ‘e sciur ‘o penzamm tutt’ quant

ma nun ‘o ddice mai nisciuno

nuje tenimm na’ domand ma chi giudica a chi

giudica?

è oggi ca se fa ‘o riman è logic’ ca si riman

inerme nun cagna niente tien’e pier fridd a viern

nuje guardamm’ ‘a dint”o binocolo sti bastard

comm’ jiocano

senza ‘o rischio ‘e ij carcerat proprio comme dint’o monopoli

Nuje vulimm’ na speranza pe campa’ riman’ Man aizate chesta cca’ va’ sul pe cchi rimman’

Nun saccio manc chi song se

stracc l’anema a tuorn’cca’

straccio p’e tutt”e juorn

cca’ spaccio quand nun duorm

guard nfacc’ quand te sfong

p’arraggia m’abboffo ‘e bomb

ch”e plancie aizano ‘e suonn’ mi

magie ca te fann’ omm

‘a vita facile nun te nfraceta te squaglia rint

all’acid

‘e vote nun me capacita ‘e vote nun trovo pace

voglio n’ata prospettiva prosperità attiva

guardo ‘a figliemo ‘a matin’

pront’ p’e n’atu destin’

mastin’ ma astip astip è castig

stirpe nova dint’o festin’ te stira

istiga ‘a rivoluzione r’ogni person

voglio benessere dint ‘a stu cess’

nun voglio comprensione

vutt’t e futt’t bbuon’ ‘o brutt’ fa tutt’ rummor’

‘o llutt’ t’anghiutt è tumor’ me sfrutt me sfrutt e

nun mor’

faccia dura ra’ speranza cu”e criatur dint a panz

pozz’ sulo guarda’ annanz’ aret’ car rint’ ‘o

vacant’

Uscito ieri la vita inizia adesso

dietro un ‘600 scarpe bianche nuove

lì non ci torno perché stasera non ci dormirò e

penso più ad una Benz che ad una Range Rover

faccio vincere la sfortuna tutti i miei fratelli

perduti facevo parte dei conti non è per noi ma

per i bambini

noi vogliamo una speranza di vivere senza

questa ansia

Quando tornano dalla scuola quando sono al bar

Gli mettono in mano le pistole la droga e tutte le

altre storie scaricano i camion con le scorie e gli

portiamo anche i fiori

lo pensiamo tutti ma non lo dice mai nessuno

noi abbiamo una domanda “Chi giudica chi

giudica?” É oggi che si costruisce il domani è

logico che resti inerme

non cambia niente hai i piedi freddi in inverno

noi guardiamo dal binocolo questi bastardi

come giocano

senza il rischio di andare in galera proprio come

nel monopoli

Noi vogliamo una speranza per vivere domani

Mani alzate, Questa va solo per chi rimane

Non so neanche chi sono

si strappa l’anima attorno

per la strage di tutti i giorni

qua spaccio quando non dormo

ti guardo in faccia quando ti sfondi

per la rabbia mi faccio di “bombe”

Con i chili alzano i sogni

minacciano che ti fanno diventare uomini la vita

facile ti fa marcire ti squaglia

nell’acido

a volte non capisco a volte non trovo pace

voglio un’altra prospettiva prosperità attiva

guardare mio figlio di mattina

pronto per un altro destino

mastino, ma conservo in stiva e castigo

stirpe nova al festino ti stende

istigare la rivoluzione d ogni persona

voglio benessere in questo cesso

non voglio comprensione

buttati e fotti bene il buono fa solo rumore il

lutto ti inghiotte è tumore mi sfrutti mi insulti e

non muoio

la faccia dura della speranza di chi ha i bambini

in pancia posso solo guardare avanti dietro cadi

nel vuoto.

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Con l’inflessione sporca, volgare a volte incomprensibile si ha proprio il senso

della parlata vera, quotidiana, ci si sente calati nei vicoli, nei palazzoni popolari

fatiscenti, nei quartieri degradati e abbandonati nelle mani dei boss. È proprio questo

più di tutto che forse aggiunge quello scarto qualitativo che pone questa produzione

sopra lo standard delle serie prodotte in Italia fino ad oggi. Perché ci hanno abituati

alla recitazione impostata, perfetta, priva di accento, di scuola teatrale, in cui il

dialetto si usa spesso per caratterizzare una situazione comica. In Gomorra invece è

la lingua ufficiale della criminalità. L’Italiano è la lingua del nemico, dell’autorità,

dello Stato. Di quell’istituzione che teoricamente dovrebbe fermare o perlomeno

contrastare l’espansione e gli interessi delle organizzazioni criminali. Molte delle

frasi dialettali che più si ripetono nella serie sono diventate un vero e proprio

cult: “stà senza penzier” [non ti preoccupare], “L’omm che pò fà a men e tutte cos,

nù ten paur ‘e nient” [L’uomo che può fare a meno di tutto, non ha paura di niente],

“Ij mè vogl pìglià tutt’ cos!” [Io voglio prendermi tutto], “Vièn, vièn cà. Vièn’t a’

piglià o’ perdon!” [Vieni, vieni qua. Vieni a prenderti il perdono].

Mentre nel tradurre il libro si è scelto spesso di mantenere i termini dialettali

originali integrando delle spiegazioni come nel caso di “Bellillo, or bello for his

sweet face” [“Bellillo, o bello per la sua bella faccia”], oppure “punt’e curtiello - or

point the knife” (in quest’ultimo caso si compie anche uno slittamento dal sostantivo

“punt’e curtiello” che viene reso con un infinito [“puntare il coltello”]), diverso è

invece il discorso riguardo l’adattamento della serie tv nei Paesi esteri. Le stagioni

di Gomorra sono state interamente doppiate, e perdipiù la seconda stagione è andata

in onda in contemporanea in 5 paesi europei. Naturalmente gran parte della

particolarità del prodotto originale viene del tutto persa.

I termini, le espressioni e gli accenti vengono sistematicamente appiattiti in un

inglese, uno spagnolo, un francese, un tedesco standard. Proprio SkyAtlantic diffuse

un video146 che mostra alcune scene della famosa serie tv doppiata in diverse lingue,

in cui si nota come quelle stesse espressioni dialettali, ripetute più volte dai

146 Sky Atlantic, “Gomorra – La serie: successo in tutte le lingue”, Video.sky.it.

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protagonisti, ed entrate a far parte della nostra quotidianità, perdano del tutto la loro

forza comunicativa. Un esempio lampante è la famosa frase, “Statt' senz' pensier”,

che nell’adattamento inglese diventa semplicemente “take it easy”. Allo stesso modo

anche il termine “guaglioni” viene reso con un banale e generalizzante “kids”, o

“boys”, e il verbo “faticare” è semplicemente “to work”.

L’impatto è decisamente strano e a noi fa sicuramente sorridere, penalizzando

anche la resa: «Frasi che si trasformano completamente se pronunciate in francese

in tedesco in inglese o in spagnolo. Il risultato è curioso a volte divertente ed anche

un po’ paradossale»147. Da notare è come un simile adattamento implichi un triplo

passaggio: dalla lingua di partenza, ovvero il dialetto napoletano, all’italiano, alla

lingua d’arrivo.

La lingua è la storia di un popolo. E se c’è un popolo conosciuto universalmente

per la sua lingua è quello napoletano. A dimostrarlo è anche l’UNESCO che include

il napoletano tra gli idiomi da “tutelare” nel mondo: una ulteriore conferma del

grande valore culturale che questa lingua porta con sé, tra letteratura, teatro e musica.

Attestazione prestigiosa che, in qualche modo, riesce a diradare le pesanti nubi,

spesso ingombranti e stereotipate, dei media e di chi il cielo di Napoli non l’ha mai

nemmeno visto. Ma esiste, per fortuna, anche un altro immaginario collettivo, quello

meno battuto dai media e che racconta le altre facce di questa città e la sua essenza.

147 “Gomorra, parlez vous français? Gli effetti del doppiaggio”, “Roberto Saviano online”, 10 agosto 2015.

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GOMORRA, LA REALTÀ OLTRE LA FINZIONE

«La strategia di costruzione della serie televisiva è quella di non parteggiare per

alcun personaggio. L’obiettivo è rendere protagonista il meccanismo, i rapporti di

potere. La vera protagonista è la realtà. Era ed è quella la mia ossessione»148

Focalizzandomi su uno dei temi più discussi e interessanti che ruota attorno al

fenomeno “Gomorra”, intendo analizzare la relazione tra ciò che è finzione e ciò che

è invece la vita reale nei quartieri narrati da Saviano. In generale riguardo

quest’argomento, le posizioni tendono a polarizzarsi tra due estremi: c’è chi pensa

che la serie dia un’immagine troppo negativa e “alterata” di Napoli, finendo per

alimentare luoghi comuni e stereotipi e chi, invece, reputa Gomorra come un occhio

che permette di osservare, nonostante i filtri cinematografici, una realtà, lontana

148 Roberto Saviano, Corriere della Sera, 24 maggio 2016.

Napoli, quartiere Scampia. Un tossicodidendente dopo essersi iniettato

una dose nelle case abbandonate nelle Vele, adibite dalla camorra a "stanze

del buco" per evitare che i tossicodipendenti si buchino per strada.

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dalla finzione e pienamente conforme alla verità.

Nel caso del libro i rimandi a eventi e personaggi reali sono, come già

annunciato, decisamente espliciti e spesso dimostrati da fonti e prove inconfutabili

riportate dall’autore stesso, allo stesso modo il film, come ormai sappiamo, è

dichiaratamente improntato su uno stile documentaristico, ma penso che vada

affrontato un discorso più approfondito per quanto riguarda la serie televisiva.

Quest’ultima, pur essendo una fiction e ricorrendo all'invenzione per manipolare la

realtà, riesce a restituirne uno spaccato narrativamente coerente tessendo continui

rimandi a fatti, contesti e personaggi reali, giocando esplicitamente con la

competenza dello spettatore.

Si tratta di una competenza intertestuale che non fa riferimento solo al romanzo

di partenza, ma, come dimostreranno con gli esempi analizzati, anche in generale al

contesto esperienziale in cui è immerso lo spettatore; informazione e vita quotidiana

comprese.

Del resto, una delle caratteristiche peculiari delle serie tv contemporanee è

proprio la loro tendenza a costruire degli spaccati di realtà catturando l’attenzione

del pubblico che sembra sempre più attratto dalle storie piuttosto che dalle notizie, e

più dalle vicende private che da quelle politiche, dalle sfumature del sociale impresse

in immagini “fittizie” più che da quelle di un servizio giornalistico.

È proprio su questo che punta la serie, focalizzandosi su una famiglia

camorristica, sulla sua quotidianità e sui suoi componenti, per descrivere il tutto. Si

passa quindi dal piano sociale a quello individuale, dove le analogie con la vera

quotidianità di quelle famiglie e di quei luoghi si sprecano e puntata dopo puntata i

particolari avvicinano sempre più i protagonisti della fiction alla realtà dei fatti.

I vari personaggi incarnano icone che trovano il proprio referente reale nella

cronaca recente e, allo stesso tempo, queste sono fortemente metaforiche, che

attivano nello spettatore dinamiche di ricezione e interpretazione diverse a seconda

del grado di coinvolgimento sviluppato. L’efficacia di questo prodotto televisivo si

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fonda proprio sul suo statuto narrativo simbolico, nel senso che cita fatti, nomi e

luoghi reali per poi attribuire loro un valore metaforico all'interno di un preciso

percorso narrativo.

Per descrivere proprio con un’immagine simbolica il diverso atteggiamento

tenuto nel libro e nella serie voglio rifarmi a tre figure: il pittore, il reporter e il

falsario. Il pittore prende «i segni del mondo» per costruire icone della realtà, il

reporter usa «i segni dell'autore» per cercare di convincere lo spettatore di essere

venuto in contatto direttamente con ciò che gli presenta, mentre il falsario ricorre ai

«segni del documento» per produrre versioni contraffatte di ciò che vuole copiare.

Facendo riferimento a questo modello si può affermare che Saviano, scrivendo il suo

libro, assume un atteggiamento ibrido tra quello del reporter, rappresentando sé

stesso come testimone diretto dei fatti, e quello del pittore, costruendo

rappresentazioni dalla forte carica simbolica attraverso un sapiente utilizzo del

linguaggio narrativo di genere.

Nel serial, invece, prevale la figura del pittore: si prelevano dal testo originario

gli episodi, i tratti dei

personaggi e le

situazioni che più si

prestano a creare una

rappresentazione

potente a livello

simbolico, e si

collocano all’interno

di in una cornice finzionale di genere. È opportuno poi precisare che i rimandi dalla

serie tv al romanzo e di conseguenza a fatti storicamente avvenuti non riguardano

solo interi episodi, ma anche piccoli dettagli che, nel quadro generale della

trasposizione, acquistano una valenza narrativa non trascurabile.

Tra gli episodi descritti nel libro e ripresi per intero nella serie televisiva, pur

apportando modifiche riguardanti la collocazione spazio-temporale, prendiamo ad

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esempio la vicenda del bicchiere di urina che, secondo le informazioni riportate da

Saviano, Paolo di Lauro impose di bere a un suo sottoposto disobbediente, Gennaro

Marino, alias “Genny McKay”, come prova di fedeltà: «Pisciò in un bicchiere e glielo

porse. Al boss erano giunte all'orecchio notizie circa comportamenti del suo

prediletto che non poteva avallare in nessun modo. […] Si racconta che McKay

bevve tutto sino alla posa»149.

Nella serie Don Pietro Savastano fa lo stesso con Ciro Di Marzio, in un

contesto, quello finzionale, in cui, paradossalmente, la cosa sembra meno incredibile

rispetto che nella realtà.

La serie tv “Gomorra” parte dal culmine del potere di un clan per poi

arrivare al seguente punto di rottura con cui tutti devono fare i conti prima o

poi in questo infinito gioco della camorra. Come si può evincere, conoscendo i

fatti, molte dinamiche della faida tra clan messa in scena dalla serie sono ispirate

direttamente e non troppo velatamente alla guerra di camorra descritta nel libro e

realmente avvenuta tra gli anni Novanta e gli anni Duemila.

Nella serie, il boss

Pietro Savastano ha

molto in comune con

Paolo Di Lauro e Ciro,

ex braccio destro del

boss e poi capo degli

scissionisti, sembra

rappresentare proprio

l’ex braccio destro di

Di Lauro, Lello Amato. Ciao

Un altro parallelo si può fare tra la figura di Genny e quella di Cosimo Di Lauro,

primogenito del boss Paolo Di Lauro.

149 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 70

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I due ragazzi sembrano rispecchiarsi l’uno nell’altro fin dai primi episodi, in

cui il giovane boss affronta una vera e propria iniziazione nel clan su ordine del

padre. Si tratta del suo primo omicidio150, ma Genny non riesce a portarlo a termine,

si blocca, e interviene Ciro che senza battere ciglio spara e rimette la pistola nella

mano del giovane. Cosimo, fu iniziato

proprio così e come Genny, anche lui in

quell'occasione fece una magra figura. La

vicenda è nota a Scampia.

Nel libro inoltre notiamo come Saviano

descriva Cosimo come “claudicante” 151

mentre scende le scale accompagnato dagli

agenti di polizia in seguito al suo arresto.

Questo perché il giovane boss in passato era

rimasto vittima di un incidente in moto che

gli era quasi costato la vita. Ancora una volta

la finzione sembra incontrare la realtà

quando, nel secondo episodio, Genny finisce

in ospedale proprio per un incidente in moto.

Quell’incidente porta anche all’arresto del padre, Don Pietro, fermato da una

pattuglia mentre va ad alta velocità con la propria auto per raggiungere il figlio in

ospedale; trovando del denaro illecito nel veicolo, i poliziotti portano Don Pietro in

centrale, dove verrà poi identificato e arrestato152.

Nella serie è riportato a questo punto anche il passaggio di potere da padre in

figlio, dovuto anche qui alla caduta in depressione del boss. Nella serie però la

depressione del boss non è dovuta alla morte del figlio, com’è invece nella realtà,

bensì al suo internamento nel carcere 41 bis. Dopo alcuni mesi, una volta ripreso

dall’incidente, Genny va a trovare il padre in carcere, ma Don Pietro non parla, non

150 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima Sky Atlantic, prima stagione, episodio 2. 151 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 125. 152 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 2.

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riconosce i suoi cari, non reagisce a nessuna sollecitazione, neanche alla morte della

moglie. Ora a decidere deve essere il figlio.

.La stagione a questo punto sembra focalizzarsi proprio sulla figura del nuovo

giovane boss, attraverso il quale viene ripresentata anche la presa del monopolio

della droga dei Di Lauro con il legame diretto con i produttori del Sud America153.

L’esperienza in Sud

America lo segnerà nel

profondo e una volta

tornato diviene

protagonista di una

trasformazione che lo porta

a impersonificare

chiaramente la figura di

Cosimo Di Lauro, sia per il

suo modo di agire e pensare, sia per le scelte che fa una volta a capo del clan sia

proprio nel modo di vestire con la predilezione di abiti scuri e in pelle nera.

Particolare è poi un dettaglio inserito in uno degli episodi finali della seconda

stagione in cui Genny riceve una pistola speciale dal padre per uccidere Ciro. La

pistola in questione, divisa in più pezzi da assemblare, era progettata in modo da

passare tranquillamente i metaldetector e non destare alcun sospetto. Un episodio

che è stato volutamente inserito per mostrare l’evoluzione dei clan di oggi anche a

livello di organizzazione e accuratezza. Un dettaglio simile lo ritroviamo anche nel

libro, in cui Saviano ci parla di un’arma chiamata “o tubo”, incredibilmente semplice

e terribilmente potente. Come indica il nome stesso, quest’arma, ideata da un fucile

giocattolo, è costituita da due tubi, uno dei quali è di diametro leggermente inferiore

in cui si inserisce una cartuccia calibro 20. Essendo facilmente montabile e

smontabile è l’arma perfetta per commettere un omicidio.

153 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 6.

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Oltre alle figure dei personaggi principali troviamo in generale una serie di

particolari sapientemente cuciti e amalgamati che ritraggono nella serie spezzati di

vita reale dei quartieri di Napoli: l'organizzazione delle piazze di spaccio in pieno

giorno tra l'indifferenza dei passanti; le numerose persone in fila davanti al carcere

che lasciano passare avanti in silenzio la moglie del boss; l'uso dei poligoni di tiro

per costruire gli alibi dei killer; la paga distribuita mensilmente alle famiglie dei

caduti e dei detenuti; i brogli elettorali orchestrati dai clan per le elezioni sindacali

dei proprio paesi e i boss che pregano prima di ordinare una strage.

Ci sono poi quelle che possiamo chiamare “citazioni visive”, come la sequenza

di apertura della seconda puntata, in cui un'inquadratura del porto di Napoli con un

container che dondola appeso a una gru ricorda proprio l'incipit del romanzo di

Saviano.

Per altri episodi va fatto invece un discorso diverso, in quanto sono stati ripresi

da altri scritti di Saviano, e riguardano fatti ed eventi successivi al 2006. Un esempio

è l'intervista al pentito Maurizio Prestieri.

Prestieri è stato uno dei primissimi pentiti di

quella guerra, probabilmente il più importante data

la mole di arresti a cui hanno portato le sue

confessioni. Appartenente al clan Di Lauro decise

lui stesso di andare “in braccio”154 alle forze di

polizia e non per paura di essere ucciso da uno

scissionista ma per paura del suo nuovo boss,

Cosimo Di Lauro. Prestieri aveva dedicato tutta la

sua vita a quel clan e ora questo sembrava voltargli le spalle, in una guerra in cui

chiunque era sospettato di essere un traditore.

Saviano nel suo libro fa i nomi di alcuni pentiti tra cui: Cuono Lettiero e

Carmine Schiavone.

154 Modo di dire utilizzato a Napoli per indicare chi si costituisce.

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Lettiero, affiliano dei Casalesi, nel 2000 cominciò a collaborare con i

magistrati e grazie alle sue confessioni, nell’autunno dello stesso anno, sono stati

scoperti i rapporti commerciali stretti dai clan con due grandi aziende nazionali del

latte: Parmalat e Cirio. Schiavone fu invece il primo ha denunciare gli affari del clan

dei Casalesi. Le sue dichiarazioni hanno reso possibile un maxiprocesso da parte

della DDA di Napoli nel 1993.

L’operazione fu chiamata “Spartacus” e portò a cento trentuno decreti di

sequestro, ventuno ergastoli, tra cui quello di Francesco Schiavone detto

“Sandokan” e numerosi anni di reclusioni per gregari, manager e dirigenti coinvolti.

Sempre Schiavone in un’intervista rilasciata nel 2005 ha poi parlato di una differenza

fondamentale tra Cosa Nostra e Camorra. Affermò che Cosa Nostra è

un’organizzazione schiava dei politici, incapace di ragionare in termini d’affari

come invece facevano i camorristi casertani. Questo perché la Mafia vuole porsi da

sempre come anti-Stato mentre per la camorra non esiste Stato o anti-Stato ma solo

un territorio in cui si fanno affari. Imprenditori. Così si definiscono i camorristi del

casertano, nient’altro che imprenditori.

Per i camorristi i pentiti sono feccia, infami, morti che camminano. Per la

polizia rappresentano invece un’arma, l’asso nella manica che può condurli fino al

cuore di un clan, svelandone i traffici, i rapporti commerciali, i punti di interesse e i

meccanismi. C’è chi si consegna per salvarsi la vita, chi per avere uno sconto sulla

propria condanna, chi invece non vede altra alternativa per uscire finalmente dal

quell’inferno.

Negli ultimi sottocapitoli parlerò più specificatamente di questa guerra e di altri

personaggi ed eventi salienti della serie, ripresi direttamente dal libro e dalla realtà:

La guerra di Secondigliano tra il clan Di Lauro e gli scissionisti;

Le donne ai vertici della camorra;

Vicende reali, drammatiche e significative, come quella di Manu, che

diventa simbolo di tutte le vittime innocenti di quella guerra cieca;

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LA GUERRA DI SECONDIGLIANO

“È guerra. Nessuno comprende come si combatterà, ma tutti sanno con certezza

che sarà terribile e lunga”155

La Guerra di Secondigliano riguardò la feroce faida scoppiata tra il clan Di

Lauro e alcuni suoi membri che decisero di separarsene divenendo noti come

“scissionisti” o anche “spagnoli”156.

Prima di parlare della guerra vera e propria però è importante analizzare una

figura in particolare, attorno a cui è ruotato tutto, ovvero quella del boss

dell’omonimo clan, Paolo Di Lauro.

Paolo Di Lauro nasce a Napoli il 26 agosto 1953. Abbandonato alla nascita

viene adottato dalla famiglia Di Lauro. I genitori, umili commercianti nel settore

dell’abbigliamento, si impegnarono per dare al proprio figlio un’infanzia normale,

lontano dai brutti ambienti, dandogli l’opportunità di frequentare buone scuole. Ma

nonostante la sua infanzia tranquilla, il ragazzo manifesta presto un carattere

predominante, deciso e carismatico alimentato da un forte desiderio di potere e soldi

che lo portano presto a intraprendere la via del crimine. Inizia a delinquere proprio

nel settore vestiario, cominciando a trafficare vestiti, per poi addentrarsi anche nel

settore del gioco d’azzardo e nel traffico di gioielli. Divenne presto noto come

“Ciruzzo ’o milionario”, a partire da una sera in cui il boss, Luigi Giuliano detto “o’

re” gli vide cascare dalle tasche decine di bigliettoni da centomila lire mentre si

sedeva al tavolo da poker; Giuliano esclamò: «E chi è venuto, Ciruzzo ’o

155 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 89. 156 Erano detti anche “spagnoli” a causa della fuga in spagna di uno dei futuri capi del cartello durante i mesi che

precedettero la faida. Nella serie in particolare possiamo far riferimento a Conte.

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milionario?». Questa sua fama raggiunse persino gli States dove era conosciuto

come “little Ciro the millionaire”.

Una volta all’interno del sistema malavitoso, inizia la sua scalata nel crimine

organizzato a metà degli anni Settanta, come sottoposto del boss di Secondigliano

Aniello La Monica. Quest’ultimo, con il tempo, ripose una tale fiducia in lui da fargli

tenere persino i libri paga del clan. Di Lauro però cominciò presto a rivelarsi un

uomo scaltro, intelligente e smanioso di potere, tanto che il boss stesso, sentendosi

minacciato da una tale personalità, nel 1982 ne ordinò la morte. L’attentato però fallì

e Di Lauro sopravvisse. Sempre molto calmo e calcolatore finse di non sapere chi

fosse il mandante di tale attacco e invitò La Monaca ad incontrarsi per parlare di

alcuni affari. In realtà si trattò di una trappola ben architettata in cui coinvolse i

fedelissimi del boss (i fratelli Giuseppe e Antonio Rocco, Rosario Pariante, Raffaele

Prestieri, e Domenico Silvestri), convincendoli che La Monica non stava ai patti,

poiché tratteneva per sé una somma superiore a quanto gli spettava. L’omicidio

venne consumato il 1° maggio 1982: «La Monica venne attirato fuori di casa con

una scusa. Gli dicono che deve vedere dei brillanti da acquistare, ma appena esce

dal portone l’auto su cui viaggiava il commando lo investe in pieno… C’era pure

Paolo Di Lauro… Cominciarono a sparare prima ancora che il corpo ricadesse a terra

dopo l’urto»157. La stessa fine tocca dopo poco tempo anche all’ex braccio destro di

La Monaca, Domenico Silvestri, che aveva partecipato alla spedizione. Di Lauro

viene inizialmente arrestato per il suo omicidio, ma viene rilasciato poco dopo, per

mancanza di prove a suo carico. Solo dopo la pronuncia delle sentenze di assoluzione

per i due omicidi, il 3 novembre 2004, Luigi Giuliano, pentito, ha raccontato:

«Paolo Di Lauro ha ammazzato i suoi amici più cari, perché i camorristi fanno

in questo modo. Per avere più potere ammazzano gli amici più cari. Ha ucciso

Aniello La Monica e Domenico Silvestri, i suoi più cari amici d’infanzia, quelli con

cui faceva il ladruncolo quando erano giovani e con cui è cresciuto dal punto di vista

157 Antonio Rocco, interrogato il 12 ottobre 1994.

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camorristico» 158 . In poco tempo, approfittando del vuoto di potere, Di Lauro

monopolizzò il traffico di droga a Napoli, e riuscì a coronare il suo più grande sogno,

fare di Scampia la più grande piazza di spaccio a livello europeo, rifornendosi

direttamente dai cartelli sudamericani, ovvero direttamente dai produttori, e

alleandosi ad Est con i cartelli albanesi che si occupano della distribuzione su larga

scala. Per stringere questi legami diretti Di Lauro si serve dei suoi collaboratori più

fidati quale per esempio, Raffaele Amato, detto “Lello” o “spagnuolo”, che spedisce

direttamente in Sud America. È a questo punto che cominciò a delinearsi quello che

sarà uno dei più potenti clan della storia del crimine organizzato.

Paolo Di Lauro era rispettato da tutte le grandi famiglie mafiose quali per

esempio: i Casalesi, i Nuvoletta e i Gionta; ed era anche ben voluto dai cittadini di

Secondigliano grazie ad alcune sue scelte come: abolire il pizzo e vietare ai propri

sottoposti di rubare nelle case e nei negozi del paese. Il clan veniva gestito come

una vera e propria impresa, secondo il modello di un’azienda in multilevel, che

garantisce, in caso di arresto e pentimento di qualcuno, che la conoscenza sia limitata

a singoli segmenti. Primo livello: I dirigenti del clan, i fidatissimi del boss, coloro

che controllano l’attività di traffico e spaccio attraverso affiliati diretti. Secondo

livello: affiliati del clan trattano direttamente la droga, curando acquisto e

confezionamento dello stupefacente, gestione degli spacciatori e relativo supporto

legale in caso di arresto. Terzo livello: con mansione di capi-piazza, membri del clan

coordinano pali e vie di fuga, e controllano i magazzini dove la merce è stoccata e

tagliata. Quarto livello: gli spacciatori.

L’indotto dello spaccio è enorme, sono coinvolte migliaia di persone che

intuiscono genericamente per quale famiglia camorrista lavorano ma nulla di più.

Con questa organizzazione Paolo Di Lauro si garantisce un profitto pari al 500 per

cento dell’investimento iniziale, per un fatturato di 500 mila euro al giorno159. Le

158 Giovanni Riacà, “Il caso Scampia: dal fallimento dell’urbanistica alle faide di camorra”, Rassegna dell’Arma dei

Carabinieri, maggio 2016. 159 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 70.

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entrate principali del clan sono rappresentate dalla droga. Il clan dei Di Lauro in

questo settore riuscì a compiere un vero e proprio salto di qualità sia assicurando una

migliore protezione dell’acquirente sia attraverso la liberalizzazione dello spaccio e

dell’approvvigionamento della droga stessa. Prima i pali proteggevano solo i pusher

avvisandoli dell’arrivo della polizia, mentre Di Lauro decise di mettere pali anche a

protezione degli acquirenti stessi. D’altra parte istaurò una piccola imprenditoria

dello spaccio capace di creare nuovi clienti. Libera, autonoma, in grado di far ciò

che vuole con la merce, metterci il prezzo che vuole, diffonderla come e dove vuole

senza necessità di trovare mediatori del clan. Liberalismo totale e assoluto.

Avviata l’impresa del narcotraffico, Di Lauro deve preoccuparsi di reinvestire.

I due settori merceologici più redditizi sono l’abbigliamento e la tecnologia. Le

grandi griffe sfruttano la manodopera a basso costo gestita dalla camorra in

Campania, in parte immettendo nel circuito legale i manufatti, in parte tollerando un

mercato parallelo direttamente gestito dalla camorra, che vende gli stessi capi con

marchio contraffatto, ma a prezzi accessibili; nella sua rete distributiva Di Lauro

predilige la Francia, con negozi a Nizza, Parigi e Lione. In Cina, invece, Di Lauro

fa produrre apparecchi fotografici identici alle Canon e alle Hitachi, salvo apporre

un altro marchio, per venderli nel mercato dell’Est Europa. Nel 1989 fonda l’impresa

Confezioni Valent di Paolo Di Lauro& C., sequestrata dal Tribunale di Napoli nel

novembre del 2001. Per circa 20 anni fu noto come “il boss fantasma”, in quanto

non veniva mai fatto il suo nome e nonostante gli sforzi delle forze di polizia non si

riusciva a conoscere la sua identità. Di Lauro comunicava e si faceva vedere solo da

pochi fedelissimi ed erano quest’ultimi poi a riferire il volere del boss a tutti i

sottoposti del clan. Tutti si riferivano a lui con il nome di “Pasquale”, nome che

compare in numerose intercettazioni ma che non portava a nulla gli investigatori. A

far fallire questa perfetta piramide nascosta fu un episodio alquanto banale. Il boss

ebbe dalla moglie, Luisa D’Avanzo, dieci figli, di cui sei avviati nel clan: Cosimo,

Vincenzo, Ciro, Marco, Nunzio, Salvatore; Il figlio più piccolo del boss, inseguito

ad un richiamo da parte di un insegnante, decise di vendicarsi aggredendolo. Paolo

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di Lauro venne chiamato in centrale e in una chiamata un suo sottoposto disse ad un

alto che “Pasquale” si trovava in questura. A quel punto gli investigatori avevano

quello che cercavano, l’identità del boss fantasma ma nonostante questo non

avevano nulla contro di lui e quindi non poterono trattenerlo. Da quel momento Di

Lauro divenne ancora più prudente e trascorse dieci anni in latitanza. Addirittura,

smaniando dalla voglia di vederlo, gli affiliati si rivolgevano al boss, Maurizio

Prestieri, chiedendo: «Ti prego, fammelo vedere, solo per un attimo, solo uno, lo

guardo e poi me ne vado»160.

Prestieri divenne presto il preferito del boss; lo divenne perché era il fratello di

Raffaele, il suo più caro amico, morto ammazzato, e perché era sveglio, determinato,

abile. Divenne il suo braccio dentro, il più fidato, tanto che Saviano scrive: «Paolo

Di Lauro non aveva mai pianto, o almeno mai davanti a qualcuno. Una volta a

Barcellona, luogo di investimento e acquisto di coca di tutti i clan del mondo,

stavano passeggiando e guardando un tramonto quando Paolo Di Lauro disse a

Prestieri: “A Raffaele sarebbe piaciuto questo tramonto...”. E scoppiò in

lacrime»161.

L’equilibrio del clan fu sconvolto quando, a seguito della morte di suo figlio

Domenico, il boss cadde in depressione e decise di ritirarsi e lasciare il clan in mano

al figlio Cosimo detto “il corvo”, dato l’abbigliamento molto simile al protagonista

dell’omonimo film. Sotto il comando di Cosimo si sollevarono presto i primi

disappunti tra i membri storici del clan, “la vecchia guardia”, ai quali il giovane boss

non sembrava dare l’importanza che “meritano” dando invece più spazio e potere ai

giovani “guaioncelli” che costituivano la sua “batteria”. Cosimo decise inoltre di

mettere tutti a stipendio. Voleva tutti strettamente alle sue dipendenze, una scelta in

controtendenza rispetto a quelle prese in precedenza dal padre, il quale come detto

era più propenso al liberalismo, ma che si stata rivelando necessaria per ribadire la

sua autorità e il suo potere. Inoltre continuava con la sua decisione di imporre una

160 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 140. 161 Roberto Saviano, “Donne, casinò e champagne la vita d'oro del camorrista”, “La Repubblica”, 2012.

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vera e propria trasformazione generazionale del clan, in cui i dirigenti non avevano

più di trent’anni.

Cominciano quindi i primi attriti tra quelli che cominciano a delinearsi come

due gruppi distinti. Amato, Prestieri, Pagano e gli altri membri storici del clan

cominciano a riunirsi con i vari capozona per discutere delle decisioni prese da

Cosimo. D’altra parte Cosimo si riuniva con i giovani emergenti per spartire le zone

di spaccio. Iniziarono i primi tradimenti e i primi omicidi che portarono alla Guerra

di Scampia. Lello Amato, “a vicchiarella”, che una volta era il braccio destro più

fidato di Di Lauro, responsabile delle piazze spagnole, e colori che gli rimasero

fedeli, cominciarono a versare sempre meno capitale nella cassa del clan e

cominciarono a prendersi le piazze con la forza iniziando a tessere una rete di

narcotraffico con la Spagna. Fu l’inizio di una guerra senza “rispetto” e senza alcuna

pietà. Sorelle, fratelli, genitori, cugini, nessuno veniva risparmiato. Si trattò di una

vera e propria guerra, che portò a più di 100 morti in un anno, tanto che, nel corso

dei mesi, la parola “faida” scomparve e si iniziò a definirla “Vietnam”. Auto

bruciate, cadaveri dietro ogni portiera che si apriva, omicidi multipli anche nell’arco

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di una sola giornata, di una sola ora. Un macabro gioco di botta e risposta di piombo.

«Dopo il Vietnam qua tutti hanno paura»162.

Dopo ben 2 anni di agguati e uccisioni il clan Di Lauro sembrò uscirne sconfitto

e ormai finito; costretto nei confini di Parco dei Fiori conosciuto come “il terzo

mondo”. Si tratta di un rione enorme, il cui soprannome rende chiara la sua

situazione, così come la scritta all’entrata della strada principale: “Rione Terzo

Mondo, non entrate”. Quando ormai non si vedeva più una via d’uscita arrivò la

notizia si un patto siglato tra il clan e gli scissionisti. I quattro punti che costituivano

l’accordo, sono stati pubblicati sul quotidiano “Cronache di Napoli”, in data 27

giugno 2005163:

1. Gli

scissionisti hanno preteso

la restituzione degli alloggi sgomberati tra novembre e gennaio a Scampia e

Secondigliano. Circa ottocento persone costrette dal gruppo di fuoco di Di Lauro a

lasciare le proprie case.

2. Il monopolio dei Di Lauro sulla zona è spezzato. Non si torna indietro.

Il territorio dovrà essere diviso in maniera equa. La provincia agli scissionisti, Napoli

ai Di Lauro.

162 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 147. 163 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “La guerra di Secondigliano”, pag. 139.

Immagini che ritraggono la quotidianà in alcuni

quartieri.

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3. Il territorio dovrà essere diviso in maniera equa. La provincia agli

scissionisti, Napoli ai Di Lauro; gli scissionisti potranno servirsi dei propri canali

per l’importazione della droga senza più ricorrere obbligatoriamente alla

mediazione dei Di Lauro.

4. Le vendette private sono separate dagli affari ossia gli affari sono più

importanti delle questioni personali. Se si verificherà una vendetta legata alla faida

questa non farà riaccendere le ostilità ma rimarrà sul piano privato.

Cosimo viene arrestato il 21 gennaio 2005, il rampollo del clan non si trovava

nella sua lussuosa villa da cinque milioni di euro, in quella villa non ci era nemmeno

mai entrato.

Lo trovarono all’interno di un buco di quaranta metri quadri, con dentro solo

un letto mezzo sfondato. Poco dopo il suo arresto venne ritrovato un cadavere.

Probabilmente il responsabile dell’arresto di Cosimo o comunque colui che ne era

sospettato. Venne trovato in un auto bruciata, la testa era sul sedile posteriore,

mozzata da una sega circolare dentellata.

Lo stesso anno fu trovato anche il boss Paolo Di Lauro. L’ultimo nascondiglio

di Di Lauro è stata la casa di Fortunata Liguori, donna di un affiliato di basso rango,

dove il 16 settembre 2005 i ROS lo arrestano164.

164 Napoli, via Canonico Stornaiuolo, 16 settembre 2005.

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A tradirlo fu un peccato di gola, i ROS infatti riuscirono a trovarlo dopo aver

individuato la vivandiera dove acquistava il suo pesce preferito, la pezzogna. Pochi

giorni dopo l’arresto venne

condotto in tribunale, nell’aula

215. Jeans, polo scura e Paciotti

ai piedi, viene descritto così.

Dalla gabbia parla solo per dire

«presente», esprimendosi per il

resto con gesti, occhiolini,

sorrisi e ammiccamenti. In aula

incontra lo sguardo del figlio

Vincenzo, non lo vedeva da più

di due anni. Quest’ultimo non si

è mai calato all’interno delle dinamiche più sanguinarie del ma vi partecipava

indirettamente ed esternamente amministrando il capitale della famiglia e

occupandosi della parte finanziaria,

dei conti e di spostamenti di grandi

somme di denaro.

Lo saluta baciandolo attraverso

il vetro blindato con le mani

attaccate alla superficie trasparente.

Solo a fine

udienza Paolo Di Lauro ritrova la

parola, quando l’avvocato chiede di

autorizzare padre e figlio ad

abbracciarsi: «sei pallido», dice il

figlio, e il padre risponde: «da molti anni questa faccia non vede il sole»165.

165 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “la guerra di Secondigliano”, pag. 143.

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Dagli atti del caso sappiamo che il figlio indicò al padre l’anulare, come a

chiedergli dove fosse la fede; il padre gli rispose anche lui a gesti, lasciando intuire

che l’avevano presa i carabinieri. Riguardo questo particolare episodio, anche se non

ci sono certezze al riguardo, secondo Saviano, al figlio non importava veramente di

sapere dell’anello, dato anche il fatto che, in seguito ad un arresto, alla persona in

questione venga sequestrato tutto compreso l’oro. C’è invece la forte possibilità che

i due si siano comunicati chi è stato il traditore che ha portato all’arresto del boss.

Anello, in napoletano “aniello”, allude casualmente al noto cognome “Aniello”,

patriarca della famiglia La Monica, ucciso anni prima dal suo stesso

figlioccio Paolo Di Lauro, e vendicato, propria da quella soffiata alla polizia da parte

di un esponente di quella stessa famiglia. Fatto sta che, a meno di ventiquattr’ore

dall’arresto del boss, viene ritrovato il cadavere seviziato di Edoardo La Monica. Il

messaggio impresso sulla carne era chiaro a tutti: «tagliate le orecchie con cui ha

sentito, cavati gli occhi con cui ha visto, spezzati i polsi con cui ha preso i soldi,

tagliata la lingua con cui ha parlato»166. Un omicidio di una violenza unica, un

accanimento e una ritualità riservata solo a chi si è macchiato di un grave tradimento.

Nel 2010 Cosimo Di Lauro fu condannato all’ergastolo per l’omicidio di

Gelsomina Verde e “Il Mattino” dava la notizia che, in attesa dell’appello, aveva

staccato un assegno da trecentomila euro per la famiglia dell’uccisa. Il 12 aprile 2012

fu poi assolto in appello mentre, il 17 luglio 2012, è diventata definitiva la condanna

a 29 anni di reclusione nei confronti di Paolo Di Lauro, per associazione camorristica

e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, nel ruolo di capo «indiscusso»,

a dire della Corte di Cassazione.

Decisiva fu L’operazione “Beluga”, scattata il 12 giugno 2013, alle ore 5:

cinquecento militari hanno circondato il Terzo Mondo, ormai roccaforte del clan,

eseguendo 105 arresti. Un duro colpo per il clan. L’anno successivo, il 22 maggio

2014, Di Lauro fu condannato in via definitiva per l’omicidio del cutoliano Giuseppe

Frattini, detto “Bambulella”, ucciso e fatto a pezzi il 21 gennaio 1982. Il suo

166 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 145.

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cadavere fu ritrovato in una Fiat 500 senza testa, cuore e mani. Un omicidio, un

macabro rituale, una vendetta che sembra far parte di una delle puntate più cruente

di “Quei bravi ragazzi”, solo che stavolta è tutto vero.

Attualmente gli equilibri continuano a cambiare e a trasformarsi attraverso

l’insorgere di nuove scissioni.

Marco Di Lauro, latitante dal 2004, è ritenuto a capo del clan e dal luglio 2013

è sotto il mirino degli 007 americani, che hanno trasmesso al Dipartimento del

Tesoro americano informative per segnalare la sua infiltrazione nell’economia della

Grande mela. Marco Di Lauro sembra essere

riuscito nel mediare una tregua e, non senza

difficoltà, a porre fine alla guerra. E’ stato in

grado di riallacciare i vecchi rapporti del padre.

Ora non resta che lui. Da tempo il suo volto

compare al secondo posto nell'elenco dei più

pericolosi latitanti di mafia sul sito dei

supericercati del ministero dell'Interno. In

quella istantanea ormai datata si riconosce il

volto di un ragazzino, e quella è l'ultima

immagine pubblica che si ha di Marco Di

Lauro. Aveva 23 anni quando si è dato alla

macchia, senza mai più riemergerne.

Lo cercano da dodici anni polizia e carabinieri. Nella sua ricerca sono stati

mobilitati persino i servizi segreti. Tutto inutile. Di lui non c'è traccia. Per prenderlo

gli inquirenti hanno fatto e provato di tutto. Inventandosi persino un escamotage che,

almeno in teoria, avrebbe dovuto funzionare. Notificarono a lui e a due suoi amici

un atto giudiziario nella cui copertina mani abili e sapienti avevano inserito una

microspia. Una cimice invisibile. Il trucco fu studiato a tavolino perché gli

investigatori erano convinti che qualcuno, più prima che poi, avrebbe portato quel

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documento al latitante. Ma l'ascolto di quella microspia fu inutile. Forse venne

scoperta, o forse Marco ordinò ai suoi di portargli la fotocopia.

Come scrive Saviano: «il Sistema si è allargato e si è ringiovanito. I capi

napoletani hanno vent’anni»167. Questo perché appena un boss raggiunge il potere,

dopo poco emergeranno nuove figure a prenderne il posto, espandendosi e

camminando sulle spalle di quei giganti che loro stessi hanno contribuito a creare.

Cutolo fu soppiantato da Bardellino, Bardellino da Sandokan, Sandokan da Zagaria,

La Monica da Di Lauro, Di Lauro dagli Spagnoli e loro da chissà quale altro. È un

Uroboro infinito, un serpente che si mangia la sua stessa coda. In questo senso ogni

arresto, ogni maxiprocesso o sequestro non è altro che un modo di avvicendare capi,

interrompere una fase, piuttosto che un’azione capace di distruggere un sistema.

167 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag 83.

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DONNE

“Nel naso mi erano rimasti odori; non solo l’odore di segatura e sangue, né i

dopobarba dei ragazzini soldati messi su guance senza peli, ma soprattutto i

sapori dei profumi femminili”168

Una parentesi interessante, aperta da Saviano nel suo libro, è quella delle donne

al potere. Nel capitolo appositamente nominato dall’autore “Donne” L’autore ci

presenta il lato femminile della camorra e ci parla di come le donne siano sempre

presenti nelle dinamiche di potere dei clan. Saviano spiega come per molte donne

sposare un camorrista sia come ricevere un prestito, come un capitale conquistato.

Se sono fortunate quel capitale frutterà e potranno beneficiare di un potere illimitato

e magari potranno aspirare a diventare imprenditrici o dirigenti. Ma può anche

andargli male e si ritroveranno a passare ore e ore in sala d’attesa nelle carceri e ad

aspettare “il sottomarino” che ogni 28 del mese passa a distribuire la mensilità alle

famiglie degli affiliati in carcere. Sono chiamati sottomarini perché non si fanno mai

vedere e non devono essere rintracciabili, per questo arrivano nelle case con percorsi

sempre diversi.

La serie riprende anche questa linea narrativa, a partire dalla figura di Donna

Imma, moglie del boss Pietro Savastano.

Il personaggio di Donna Imma è significativo dal punto di vista della

trasposizione, perché condensa in essa l'intero capitolo Donne del libro. La

trasformazione del mondo camorristico negli ultimi anni ha portato anche a una

metamorfosi del ruolo femminile che da identità materna è diventata una vera e

propria figura manageriale.

Si tratta di donne dure. Senz’anima. La loro bellezza è marcata, spesso volgare

e la sensualità sbattuta con senso di sfida in faccia al mondo. Vivono all’ombra dei

propri mariti, padri e fratelli ma sono pronte a diventare capi, a comandare, a

impartire ordini di morte, come gli uomini e peggio degli uomini, come nel caso

168 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Donne”, pag. 151.

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Donna Imma; oppure possono essere semplici compagne, alleate, come Patrizia; o

veri e propri boss della malavita come Chanel.

Immacolata prende le redini del clan all'arresto del marito e spedisce il figlio in

Honduras per trattare

con i narcos

consapevole che, se

riuscirà nell'impresa,

non solo potranno

acquistare cocaina a

un prezzo più

conveniente, ma

finalmente Genny

sarà pronto a fare il

boss. Decide poi, per compagnia e per difesa, di adottare un grosso cane trovato per

strada, che sfoggia mentre passeggia tra le strade di Scampia quasi come simbolo

della sua autorità. Durante l'assenza degli uomini, intraprende una gestione

tipicamente femminile concentrata sugli affari e mirata ad evitare ogni tensione tra

clan: non si tratta di senso etico, ma della consapevolezza che le guerre rovinano gli

affari e attirano l'attenzione delle forze dell'ordine e dei media. Ciò che

contraddistingue l’operato delle donne all’interno della camorra è proprio la loro

minore ossessione riguardo l’ostentazione del potere e minore volontà di conflitto.

L’astuzia di questa donna si palesa quando intuisce che Ciro è un pericolo, ma,

coerentemente con la sua linea d'azione, non lo fa eliminare, lo relega a ruoli in cui

possa fare meno danno possibile. La ferocia e la freddezza calcolatrice di un vero

boss la dimostra quando, dopo aver imposto al consulente finanziario una certa

gestione del denaro, avendo quest’ultimo fatto un passo falso che esponeva i loro

affari alle indagini di polizia, lo obbliga a suicidarsi così da non veder bloccati i

propri conti correnti. D’altra parte la sua linea si rivela troppo morbida nei confronti

di Ciro e il suo desiderio di potere; nel tentativo di trattare con lui, perde la vita,

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uccisa proprio da Ciro in mezzo alla strada. Un destino simile a quello di un’altra

donna boss, Immacolata Capone, uccisa nel Marzo del 2004 a Sant’Antimo. Come

Donna Imma, anche lei era senza scorta e l’esecuzione avvenne per strada al centro

del paese. Due colpi secchi che colmarono il ritardo culturale che evitava di toccare

le donne. Nessuna differenza tra uomo e donna, nessun codice d’onore.

Anche se come abbiamo visto nel capitolo precedente, la figura di Pietro

Savastano ricorda quella di Paolo Di Lauro, quella di Donna Imma non rimanda in

alcun modo alla figura della moglie del vero boss, Luisa D’Avanzo, la quale è ancora

in vita. Il vuoto creato dalla morte di Donna Imma viene colmato nella seconda

stagione con la figura di Chanel. Lei non è una iena, e ci tiene ad esserlo. Perché “na

pantera è bella assaie, ma nun conta nu cazz, invece miezz e iene a cummannà song

‘e femmene”. Le importa solo del comando, del potere, del controllo di una piazza

di spaccio, dei danari.

Il volto di Chanel, Cristina Donadio, la descrive così: “Un personaggio malato,

affetto da malvagio egocentrismo. Fa male agli altri per salvare se stessa”. “Bivt nu

poco r’acqua”, è la frase che rivolge ad un ragazzo, affogato nel suo stesso sangue,

per punirlo di uno sgarro. Occhi di ghiaccio, anche quando assiste all’esecuzione

Donna uccisa per strada, nel centro del comune

di Sant’Antimo, Napoli.

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dell’uomo che “mette ‘e corn” al figlio Lelluccio: lui è a terra agonizzante, lei lo

guarda impassibile e gli lancia il mozzicone della sigaretta. Chanel non ha marito,

nessun uomo a cui

sottostare, al vertice c’è

solo lei. Alla moglie di

suo figlio, che più che

una moglie è una

prigioniera in casa sua,

Chanel dice: “Mariné

c’è sultant na manera pe

na femmena si vo essere

libera: nun adda tené

nisciun marito”. Ruvida, diffidente, feroce, è diventata “reggente” dell’importante

piazza di spaccio di Scampia al posto del fratello Zecchinetta, ucciso dai giovani

guaglioni di Genny. C’è chi pensa che la figura di questa boss sia stata ispirata alla

vita di Maria Licciardi, detta “a piccerella”, sorella di Gennaro “a scigna”, diventata

il capo indiscusso dell’Alleanza di Secondigliano e che si trova attualmente in

carcere. Ma sembra avvicinarsi molto anche alla figura di Anna Mazza, vedova del

padrino di Afragola e conosciuta come “la vedova nera della camorra” di cui parla

Saviano nel libro.

Parlando di Marinella, la

moglie del figlio di

Chanel, in lei vediamo

invece una sfaccettatura

diversa e altrettanto reale

di queste camorriste.

Marinella è infatti

una donna di camorra suo

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malgrado, che vive ormai da prigioniera in un mondo in cui è facile entrare ma quasi

impossibile uscire.

La camorra è lotta per il potere e per i soldi. “Il potere va esibito”, dice Genny

Savastano. Anche lui ha una donna, si chiama Azzurra, figlia di un boss trasferitosi

sul litorale laziale, dove ripulisce i narco-euro con appalti e costruzioni. Genny se

ne libera con una soffiata ai carabinieri. Fa arrestare il suocero proprio nel giorno in

cui sposa Azzurra. La lotta per il potere non conosce regole. Genny spiega così il

suo gesto alla giovane moglie. “Tuo padre mi aveva proposto un’alleanza in cui io

ero sempre al secondo posto, e noi non dobbiamo essere secondi a nessuno. Azzurra,

noi dobbiamo essere i padroni del nostro futuro”. Lei abbassa gli occhi e capisce:

“Tradisco il mio sangue per te”169.

Ancora diversa è la figura di Patrizia, una ragazza che lotta da quando è nata,

ha perso i genitori molto

presto ed ora è

capocommessa nel negozio

di abbigliamento dove si

servono tutte le donne più

in vista di Secondigliano.

Un luogo privilegiato per

carpire informazioni utili

per suo zio, “Malamò”,

luogotenente e fedelissimo

di Pietro Savastano. La ragazza, che fino ad allora era rimasta del tutto estranea al

clan, passa presto da essere una semplice ambasciatrice ad essere l’amante del boss.

È giovane, ha tre fratelli da mantenere, rischia la vita, ma è affascinata da Don Pietro.

Lo rispetta. Quando il boss la disprezza per quel tatuaggio sul braccio (una leonessa),

lei se ne libera col fuoco. Scala lentamente l’anima di Don Pietro, il quale sembra

169 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic 2016, seconda stagione, episodio 12.

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ritrovare uno sprazzo di umanità quando ancora in lotta per riconquistare il potere le

confida: “Patrì, so stanco. So stanco ma nun me pozzo fermà”.

Forse sarà proprio lei la donna boss della terza stagione, dopo l’omicidio di

Don Pietro con cui si conclude la seconda. È proprio Genny, a condurre Ciro

l’immortale ad ammazzare quel padre ingombrante, vecchio boss che non capisce

che “’e cose so cagnat”.

Capitalismo selvaggio e senza regole, voglia di accumulare denari e

conquistare spazi con tutti i mezzi. La camorra non ha codici da rispettare, i legami

di sangue non contano, la fedeltà è una favola per bambini. Questa è la camorra,

quella vera.

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DON PEPPINO DIANA

«Nel Sistema camorra l'omicidio risulta necessario, è come un versamento in

banca, come l'acquisto di una concessionaria, come interrompere un'amicizia. [...]

Ma uccidere un prete, esterno alle dinamiche di potere, faceva galleggiare la

coscienza»170

“Chi è Don Peppino?”171 “Sono io...”; una risposta, cinque colpi attraversano

le navate, due pallottole raggiungono il volto, le altre la testa, il collo e una mano.

Marzo 1994, Saviano

aveva sedici anni quando

partecipò al funerale di

Don Peppino, ennesima

vittima innocente le cui

parole fecero tremare i

boss più di un blitz

dell’Antimafia.

Venne ucciso per il

suo coraggio, per aver

alzato lo sguardo e aver

osato scrivere: “Per amore del mio popolo non tacerò”172. Si trattava di documento

religioso dal titolo forte, in cui Don Peppino imponeva dei limiti per la

partecipazione di alcuni individui alle funzioni religiose e ai sacramenti: non

permettere la partecipazione ai sacramenti a coloro «cui non sia notoria l’onestà della

vita privata e pubblica»173. Don Peppino cercava di spronare le persone perché, come

affermava, Dio ci chiama ad essere profeti e un profeta fa da sentinella, vede

l’ingiustizia e la denuncia.

170 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Don peppino Diana”, pag 255. 171 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Don peppino Diana”, pag 250. 172 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Don peppino Diana”, pag 243. 173 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Don peppino Diana”, pag 249.

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Roberto Saviano è a suo modo un eroe civile, complementare a Don Peppino

Diana, vittima innocente, Nella sua figura si rispecchiano i

molti casi di persone rimaste uccise “per errore” o per

“comodità”.

L’autore ci racconta alcune di quelle

storie che parlano di morte, dolore e

rivendicazione. Si parla di Annalisa

Durante, una ragazzina di soli quattordici

anni, la cui unica colpa fu quella di trovarsi

sotto il portone sbagliato, al momento

sbagliato. «I fiori non erano ancora giunti, manifesti affissi

ovunque, messaggi di cordoglio, lacrime, strazianti ricordi delle

compagne di classe. Annalisa è stata uccisa.»174; Attilio Romano,

ucciso “per sbaglio”, “per un errore”. «Attilio ha tentato di

nascondersi dietro il bancone. Sapeva che non serviva a nulla,

ma magari ha sperato segnalasse che era disarmato, che non

c'entrava nulla, che non aveva fatto niente» 175 ; Dario

Scherillo, fu un altro “errore”, su di lui

Saviano scrive: «mentre camminava in

motocicletta viene colpito in faccia, al

petto, lasciato morire a terra nel suo

sangue che ha il tempo di impregnare completamente la camicia.

Un ragazzo innocente. Gli è bastato essere di Casavatore, un

paese martoriato da questo conflitto»176.

La Campania è il territorio con più morti ammazzati in

Italia. Saviano scrive Gomorra a 24 anni. In quei 24 anni la camorra ha ucciso

tremilaseicento persone.

174 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “Donne”, pag. 167. 175 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “La guerra di Secondigliano”, pag. 128. 176 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “La guerra di Secondigliano”, pag. 132.

Annalisa Durante, una ragazzina di soli quattordici anni, uccisa a Forcella il 27 marzo 2004 durante una sparatoria consumatasi proprio davanti a lei. Attilio Romano,

ucciso a Napoli il 24 gennaio 2005 da tre sicari incaricati di uccidere Salvatore Luise, nipote del boss scissionista Rosario Pariante.

Dario Scherillo, ucciso a Napoli da alcuni killer camorristi, il 26 dicembre 2004.

Gelsomina Verde, 22 anni, torturata, uccisa e bruciata il 21 novembre 2004 a Napoli.

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Particolarmente sconvolgente è poi il caso di Gelsomina Verde, il cui omicidio

fu davvero efferato. La giovane fu uccisa perché legata sentimentalmente a un

giovane affiliato, Gennaro Notturno, che si era avvicinato agli scissionisti. Aveva

solo ventidue anni e con quel ragazzo neanche ci si sentiva più.

Purtroppo per le logiche camorristiche i famigliari, gli amici, le fidanzatine,

non rappresentano madri, padri, amori, affetti, bensì mappe. Mappe da usare per

riuscire a risalire alla persona che si cerca.

Gelsomina, detta Mina, conquista un posto nella serie attraverso il personaggio

di Manu, quasi fosse un gioco di parole; il legame è reso evidente anche dal titolo

stesso dell'episodio che è appunto Gelsomina Verde, un titolo che non richiama

nessun elemento della puntata e che dovrebbe spingere anche lo spettatore che non

ha conoscenza del libro ad indagarne l'origine.

Nel libro Saviano racconta questa storia dal suo punto di vista: una telefonata

notturna lo informa del ritrovamento di un cadavere bruciato in un auto, recatosi lui

stesso sul luogo descrive la scena che gli si presenta davanti, poi segue gli agenti di

polizia in Questura e assiste alla conferenza stampa riportando i commenti sprezzanti

dei giornalisti sulla morte di un presunto camorrista, ma all'improvviso arriva il

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colpo di scena: non si tratta di un criminale, ma di una ragazzina, che prima di essere

uccisa e bruciata è stata anche brutalmente torturata. Solo a questo punto Saviano

ricostruisce la vicenda di Mina, il cui legame sentimentale con un giovane

scissionista le è valsa una condanna ad una morte atroce.

Nella serie tv, lo stesso nucleo narrativo di partenza subisce una mediazione

diversa e il percorso conoscitivo che porta al drammatico evento è rovesciato rispetto

a quello che attraversa il lettore nel libro: lo spettatore conoscerà prima un ragazzino

che si lascia assoldare

da un camorrista e,

solo dopo viene a

contatto con la

spensieratezza della

fidanzatina di lui, del

tutto estranea ai fatti.

La sequenza del

rapimento rappresenta un vero e proprio climax di tensione per lo spettatore che ha

già facilmente intuito il pericolo che la ragazza sta correndo e si ritrova ad assistere

del tutto impotente alla violenza che si consuma davanti ai suoi occhi, più o meno

investito dal disgusto e dalla rabbia verso ciò che vede.

In questa rappresentazione è stato palesato anche un altro problema sociale che

nel libro resta soltanto un velo tra le righe: la scarsa consapevolezza dei giovani di

cosa implica lavorare per un clan e la loro fragilità davanti all'attrattiva che questi

ultimi, con il loro potere economico e sociale, rappresentano.

Particolarmente ben riuscita, inoltre, è la scena della tortura: la prima

inquadratura è realizzata in condizioni di luce tale che il punto di vista sembra

esterno alla palazzina abbandonata in cui si trovano i due personaggi, visibili solo

come ombre attraverso i vetri. In realtà, non appena Ciro, il rapitore, accende la luce,

ci si accorge che si trattava soltanto un'illusione ottica: il punto di vista è interno alla

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stanza e di fronte, non dietro, ai due personaggi, è come se lo spettatore fosse

proiettato proprio lì insieme a loro e costretto ad assistere a quella terribile scena.

Infine, così come nel libro il momento dell'omicidio è omesso: mentre sulla

pagina scritta si passa dalla notizia del ritrovamento alla ricostruzione dei fatti, sullo

schermo si salta dalla tortura alla notizia del ritrovamento ed è lo spettatore, grazie

alla sua competenza interpretativa, a collegare automaticamente i due eventi. Nella

serie il fidanzato di Manu, Danielino, lavora come apprendista nell'officina

meccanica dove Ciro porta a riparare la sua moto. Ha un fratello più grande che

lavora prima come corriere e poi come autista personale di Salvatore Conte.

Daniele, dal canto suo, un lavoro ce l'ha. Non entra nella spirale dei clan a causa

della disoccupazione, bensì cede alle lusinghe di Ciro che gli promette soldi in

quantità se accetta di fare il corriere per lui: questo per Danielino vuol dire arrivare

allo stesso livello del fratello che tanto ammira, significa non farsi più prendere in

giro dai suoi coetanei appartenenti alla cricca di Genny, significa dare alla madre un

tenore di vita migliore in breve tempo. Ciro, però, non ha intenzione di fargli fare il

corriere, ma il sicario. Ha bisogno di una persona ancora ingenua, che non faccia

troppe domande, che non abbia paura dell'aria di guerra come gli adulti dei clan, ma

allo stesso tempo non vuole uno sbruffone, né tanto meno qualcuno vicino a Gennaro

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Savastano: necessita di un novellino da istruire per i suoi fini. Gli insegna a sparare

e Daniele, che una pistola l'ha vista solo in tv, la impugna alla maniera dei gangster

dei film, tenendola in orizzontale.

Con i soldi dell'anticipo Danielino compra un anello di fidanzamento per Manu,

che, come molte sue coetanee, lavora dopo la scuola e non vede l'ora di sposarsi per

uscire di casa. Per quanto ingenua ed estranea ai fatti, non si può certo negare che

Manu non abbia sospetti sulla provenienza dell'anello d'oro e brillanti che il

fidanzatino minorenne le regala, eppure non fa domande, eppure ne è contenta. Di

lei purtroppo rimarrà solo quell'anello, simbolo del compromesso tra un tenore di

vita dignitosa e un legame con la malavita. Infatti dopo il suo primo “lavoro” da

killer, il ragazzo apprende dal telegiornale che l'uomo a cui ha sparato non era un

semplice debitore dei Savastano, come gli aveva detto Ciro, bensì uno dei pezzi

grossi di Conte. Si spaventa, chiama Ciro, chiede spiegazioni e questo lo rassicura

dicendogli di venirsi a prendere il resto dei soldi. Perché è stato bravo. Ma Daniele

ha paura, lascia Manu al bar e chiede al suo amico Bruno di nasconderlo nel capanno

dei nonni. Bruno non vuole saperne niente, ma acconsente a fornirgli un

nascondiglio e ad andare a prendere la ragazza al bar. Ciro nel frattempo si

insospettisce e ci arriva prima di lui, carica Manu in auto con la scusa di essere un

amico di Daniele e la porta in una palazzina abbandonata. Qui inizia a torturarla per

farsi dire dov'è Daniele, la picchia a morte fino ad ucciderla. Poi brucia il cadavere

in un auto. Di lei rimane solo l'anello d'oro appena ricevuto. Quest'unico dettaglio

trasmesso al tg basta a Danielino per capire cosa è accaduto. Sul momento tenta di

suicidarsi, poi chiama il fratello e invoca il perdono di Conte. Quando i due

s'incontrano quest'ultimo finge di passare sopra l'accaduto, pronunciando una delle

frasi che diventeranno presto un “cult” di Gomorra: «vien, vien, vienet’ a’ piglia o’

perdono»177, «sta senza pensier»178. Conte lo stringe a se, un abbraccio che racchiude

in pochi secondi una forte tensione avvertita dallo spettatore che è consapevole ma

177 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 10. 178 Frase divenuta simbolo, utilizzata ripetutamente dai personaggi della serie.

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non vuole ammettere a se stesso ciò che succederà. Appena lo lascia Conte spara a

tradimento un colpo alla

tempia al ragazzino.

La storia di

Danielino finisce con

l'omelia del sacerdote al

suo funerale: parole prese

testualmente dal libro di

Saviano, che riprendono

quelle pronunciate

realmente da Padre Mauro

per un ragazzo, Emanuele,

detto, casualmente, Manu, ucciso dalla polizia durante una rapina a mano armata179.

Saviano, afferma di aver preso parte a quel rito funebre e ce lo racconta nel suo

libro riportando quelle parole che, come dice il sacerdote stesso, «non bussano con

le nocche, ma con le unghie» alle coscienze di chi ascolta.

Nella serie televisiva il discorso viene appena modificato per adattarlo al

personaggio, ma il contenuto resta invariato: “Tutti sappiamo che oggi non è morto

un eroe. [...] Per quante responsabilità possiamo attribuire a Daniele, restano i suoi

sedici anni. I figli delle famiglie che nascono in altri luoghi d'Italia hanno opportunità

che qui sono state negate. Qui non ci sono colori. Qui tutto è grigio. Qui non ci sono

luoghi dove far sviluppare nel bene i talenti dei nostri figli. Questo è un quartiere

dormitorio. Qui vogliono che la gente resti tappata in casa, non deve uscire, non deve

intromettersi. Hanno voluto un'intera zona ad esclusivo uso dello spaccio a cielo

aperto. Il Padreterno terrà conto che se Daniele ha commesso degli errori, sono stati

errori commessi da un ragazzo di sedici anni. Un ragazzo che certamente era

responsabile di quello che stava facendo. Ma sedici anni sono così pochi che ti

costringono a guardare meglio cosa c'è dietro, e ti obbligano a distribuire le

179 Emanuele Petroso, 15 anni, ucciso il 7 febbraio del 2005.

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responsabilità. Quella di Daniele è un'età che bussa alla coscienza di chi ciancia di

legalità, di lavoro, di impegno”180.

In questo discorso emerge innanzitutto la chiave di lettura del mondo di

Gomorra dipinto nella serie, un mondo dove tutto è grigio, dove la guerra te la senti

dentro, perché tutti in un modo o nell’altro ne possono restare uccisi.

Il tema dei così detti “baby killer” è uno dei più importanti trattati da Saviano

tanto da spingere l’autore a dedicargli un libro intero “La Paranza dei Bambini”181.

In quest’ultimo suo ultimo libro Saviano ci parla di ragazzi senza un domani

che non temono il né carcere né la morte, perché sanno che “i soldi li ha chi se li

prende”.

Hanno non più di quindici anni e sfrecciano sui loro motorini tra i vicoli alla

conquista di Napoli.

180 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 11. 181 Roberto Saviano, “La paranza dei bambini”, Feltrinelli 2016.

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Attraverso Saviano conosciamo Pikachu, quattordici anni, che ci racconta di

come una paranza gli avesse ammazzato il cane “Careca” per sbaglio. Il cane aveva

iniziato a grattare la porta della casa di fronte la sua e pochi secondi dopo una raffica

di mitra lo prese in pieno. Per scusarsi dell’incidente diedero dei soldi alla famiglia,

invitarono Pikachu ad entrare e giocare con loro alla play e gli promisero che «un

giorno di questi mi portavano a sparare veramente»182.

Questo particolare episodio è riportato nei minimi dettagli nella serie tv in cui

Pikachu prende il nome di Diego183.

Infatti anche il film e la serie ci mostrano come tutti i ragazzi cadano nel vortice,

persino la giovane in sedia a rotelle che vuole lavorare per Donna Imma. Chi lo fa

per disperazione, chi per vendetta, chi perché non conosce altra realtà, chi, come

Danielino, per desiderio di affermazione sociale. Fanno le vedette, ma sognano di

fare i corrieri e poi i killer, di essere affiliati veri, magari boss, un giorno.

Saviano ci parla di come questi giovanissimi soldati vengano addestrati a non

aver paura delle armi: «Per addestrare a non avere paura delle armi facevano

indossare il giubbotto ai ragazzini e poi gli sparavano addosso»184. Nel film vengono

rappresentati i particolari salienti di quell’addestramento attraverso le figure di Totò

e Simone, rappresentanti di tanti anonimi giovani soldati della camorra.

Le loro figure aiutano anche a comprendere in quale clima fosse vissuta la

guerra di Secondigliano e quanto interiorizzata fosse la logica della lotta

camorristica. Simone dichiara all’amico che non potranno più andare d’accordo

come prima perché lui è diventato scissionista, quindi nemico di Totò ed è pronto

anche ad ucciderlo se sarà necessario. Totò è più insicuro, meno compenetrato da

quella logica militare. La sua “iniziazione” sarà completa solo quando accetterà di

attirare in trappola Maria, la madre di Simone. «Da tempo la donna non usciva di

casa, così per eliminarla usano un ragazzino come esca. Citofona. La signora lo

182 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 115. 183 Gomorra, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione episodio 12. 184 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 116.

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conosce, sa bene chi è, non pensa a nessun pericolo. Scende ancora in pigiama, apre

il portone, e

qualcuno le punta la

canna della pistola

in faccia e spara»185.

L’episodio

dell’uccisione di

Maria serve a

mostrare un aspetto

fondamentale della violenza camorrista: l’obbligo dell’obbedienza al clan fino al

tradimento dei propri cari.

La storia è un evidente richiamo alla vera trappola tesa a Carmela Attice, uccisa

in pigiama e ciabatte davanti il suo portone dopo aver aperto ad un ragazzino amico

del figlio.

Corteo per Carmela Attice.

185 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 109.

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Nel suo libro Saviano dedica diverse pagine al racconto di come dei ragazzini

reagiscano di fronte a quell’omicidio. In particolare, scrive: «Stavo per andarmene

dal luogo dell'agguato a Carmela Attrice quando sentii parlare un ragazzino con un

suo compagno. I toni erano serissimi: “Io voglio morire come la signora. In testa,

pam pam… e finisce tutto. “Ma in faccia, l'hanno colpita in faccia, in faccia è

peggio!”, “no, non è peggio, è un attimo comunque. Avanti o dietro sempre testa è!”

Mi intrufolai nei discorsi cercando di dire la mia e facendo domande. Così chiesi ai

ragazzini: “Meglio essere colpiti al petto, no? Un colpo al cuore ed è finita…” Ma il

ragazzino conosceva molto meglio di me le dinamiche del dolore […]: “No, al petto

fa male, malissimo e muori dopo dieci minuti. Si devono riempire i polmoni di

sangue. […] Invece la testa è meglio, così non ti pisci sotto, non ti esce la merda per

fuori. Non sparpetei per mezz'ora a terra…”186

Un’altra sfumatura di questo mondo feroce, che viene accennata nella serie, è

la differenza tra il figlio di un boss e uno di poco conto. Significativo è l'episodio di

Pasqualino, un ragazzo in carcere per rapina: è povero, non ha una posizione di

rilievo nel clan e, senza un'adeguata assistenza legale, viene condannato a parecchi

anni di carcere. Don Pietro assume un atteggiamento paterno e consolatorio nei suoi

confronti, ma, preso dagli affari che davvero contano, invece di preoccuparsi della

sua difesa in tribunale, gli presta una camicia per farlo apparire ben vestito, perché

nel suo mondo le apparenze contano.

D’effetto è la sequenza che mostra in montaggio alternato questo giovane che

si impicca nella sua cella e, al medesimo tempo, Genny che può permettersi di

allestire un'esibizione dal vivo del cantante preferito della sua ragazza per

conquistarla. La scena segna l'abisso che separa i due ragazzi per nascita.

Nel libro Saviano riporta la lettera di un ragazzino rinchiuso in un carcere

minorile, che consegnò a un prete e fu letta durante un convegno. Nella lettera il

ragazzo afferma che tutti quelli che conosce sono morti o in galera. Dice di non voler

diventare un boss, ma di voler avere negozi, fabbriche e donne. Vuole tre macchine

186 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 112-113.

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e vuole rispetto quando cammina per strada o quando entra in un bar. E poi vuole

morire, ma morire come un vero uomo, uno che comanda veramente. Vuole morire

ammazzato.

Mercoledì 30 novembre alle ore 14:00 è andata in onda l’anteprima il servizio

documentaristico a cura di Michele Santoro: “Robinù”. Si tratta di un racconto vivo

e dal vivo di giovanissimi

gangster immersi in un

nichilismo senza aspettative e

senza rimorsi. Storie vere e

facce vere, come quella di

Michele, un giovane che con

naturalezza racconta di essere

infatuato del mitra, u kalà:

«Con quello in mano non hai

paura di niente, tiene 33 botte, è

come camminare blindato».

«Mafia e camorra ci arrivano

nelle case attraverso fiction

come “Gomorra” oppure con le espressioni usate nelle deposizioni dei pentiti.

Invece i ragazzi di “Robinù” non sono né attori né mostrano pentimento ma scontano

la pena a Poggioreale e ad Airola restando ciò che sono.

Emerge un racconto molto crudo, una descrizione unica della loro condizione.

Sparano già prima dei quindici anni e raramente arrivano ai trenta»187.

Gomorra affonda indubbiamente le sue radici nella realtà, ma lì, per esigenze

narrative, i caratteri sono scolpiti un po’ come maschere; in “Robinù” i ragazzi sono

capaci di ammazzare anche per la più stupida delle ragioni e come spiega il direttore

di Poggioreale, nonostante gli sforzi degli operatori, siamo lontani dall’individuare

187 Michele Santoro, “I ragazzi di ‘Robinù’ armati a otto anni ma non è una fiction”, “Corriere della Sera”, 8 dicembre

2016.

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un possibile cammino di redenzione. A Poggioreale ci sono duemila storie diverse,

che non sono affrontabili con la semplice sociologia.

Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha polemizzato: certe rappresentazioni

danneggerebbero Napoli. Ma la soluzione non può certo essere il silenzio. Santoro

afferma: «Vedo tanta ipocrisia. Lasciamo che le cose restino così, che si ammazzino

tra di loro, che le pistole circolino per le mani di bambini di otto anni, meglio non

occuparsene. Insomma, non vedo le forze politiche impegnate in un programma di

risanamento sociale adeguato. A partire dall’obbligo scolastico: se escono dalla terza

media sono quasi sempre analfabeti perché, senza strumenti eccezionali, è

impossibile recuperarli allo studio. Molti insegnanti, di fronte a un ragazzino di

undici anni che si comporta già come un piccolo boss, pensano sia meglio non averlo

in classe. E così si va

avanti…» 188 . Da questo

reportage emerge chiaramente

la mentalità di questi ragazzi,

per non dire bambini: un'arma

in mano ti cambia la vita.

Anche se non hai ancora vent'

anni. Potrebbe durare

pochissimo, oppure a lungo,

dipende tutto da quell' arma. Come nel Far West, come in guerra, come a Napoli nel

2016, se hai deciso di fare il malavitoso. Questo significa sparare più degli altri,

ammazzare prima che ti ammazzino, diventare capo facendo fuori il capo precedente

e i rivali dalle stesse pretese.

Uno dei ragazzi intervistati afferma di aver imbracciato per la prima volta un

kalashnikov a 17 anni con la naturalezza di chi racconta il primo calcio tirato a un

pallone; è la faccia della nuova camorra disorganizzata, quella che continua a

188 Michele Santoro, “I ragazzi di ‘Robinù’ armati a otto anni ma non è una fiction”, Corriere della Sera, 8 dicembre

2016.

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insanguinare Napoli e dintorni senza che nessuno si inquieti più di tanto. Una

scrollata di spalle: «È bellissimo, è come avere una macchina a benzina invece che

a diesel. È come abbracciare Belén»189. Frasi che racchiudono l'intero orizzonte di

quella malavita: armi, donne e motori. A parlare è ancora Michele, intervistato

direttamente dalla cella di Poggioreale dove è entrato a 22 anni e dovrà trascorrere i

prossimi sedici, mantenendo un sorriso che sa di rassegnazione ma anche di sfida

verso chi non riesce a capire, Michele spiega che voleva avere «femmine, potere e

soldi», per questo ha fatto quello che ha fatto: «La 357 spara da sola, quasi...».

Aspirava a diventare un capo, adesso il suo mondo è racchiuso da sbarre ma questo

non lo scoraggia anzi:

«uscirò a quarant' anni, sarò

peggio di prima.

Un altro giovanissimo

afferma: «Se tieni un leone

in gabbia, quando lo metti

fuori che fa? Deve

mangiare». Fuori c'è chi lo

ammira, chi lo aspetta,

tranne suo fratello Angelo che per sfuggire a quel futuro è andato a fare il pizzaiolo

a Parigi; dal carcere Michele lo rinnega: «per me è morto» 190 . Angelo invece

pensando al fratello afferma commosso: «Mi manca». Sono ragazzi senza controllo,

senza famiglia e senza la ben che minima fiducia nelle istituzioni; «mi hanno

bocciato quattro o cinque volte» dice uno mentre deride i coetanei che entrano in

classe e sembra che li compatisca.

Si parla anche di Emanuele Sibillo, morto ammazzato da latitante nel luglio del

2015. Aveva 19 anni. Si era fatto crescere la barba, come gli altri del suo gruppo per

i quali era diventata un segno distintivo insieme ai tatuaggi, alcuni commercianti del

189 Parla Mariano, uno dei ragazzi di Robinù. 190 Parla Michele Mazio, uno dei ragazzi di Robinù.

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quartiere gli hanno dedicato un busto di gesso e un bambino a carnevale si è

mascherato con le sue sembianze. La filosofia dei baby-boss è tutta qui: prima per

affermarsi bisognava aspettare di crescere; adesso non serve più, basta farsi largo a

colpi di kalashnikov o di 357, e sei già grande. Comandi, diventi un capo, in attesa

di farti sfidare dal prossimo aspirante. In passato lo facevano gli adulti, finiti sotto

terra o in galera, adesso tocca a loro.

Saviano nomina un intero capitolo con il nome “Kalashnikov”, in cui si

sofferma a parlare di Michail Kalashnikov, l’inventore di quest’arma che ha fatto

più morti della bomba atomica di Hiroshima e Nagasaki, più del virus dell’HIV, più

della peste bubbonica, più della malaria. Quest’arma, più comunemente conosciuta

come AK-47 (Avtomat Kalashnikova, modello del '47) «è il mitra più popolare del

mondo, un'arma che tutti i combattenti amano. Un amalgama di 4 chili d'acciaio e

legno multistrato. Non si rompe, non si inceppa né si surriscalda. Spara se è coperto

di fango o pieno di sabbia. È così facile da usare che anche i bambini possono farlo,

e spesso lo fanno»191.

Il servizio Robinù ci mostra un tipo di criminalità un po' anarchica e senza

regole. Un mondo semisommerso, difficile da fotografare; le cifre sono in parte

raggiungibili guardando a quanto possiamo attingere dai tribunali e dalle procure

minorili, ma la realtà è molto più macroscopica.

191 “Lord of War”, regia di Andrew Niccol, USA 2005, Yuri Orlov (Nicolas Cage).

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Sono giovani bruciati, che finiscono nella rete della malavita per motivi non

solo di carattere economico, ma soprattutto legati alla cultura del posto. È un sistema

che ingloba la vita di questi ragazzi e li sfrutta per i propri interessi, facendo forza

soprattutto su situazioni di debolezza e di bisogno che maturano nel degrado delle

periferie. Giovani per cui lo Stato non fa nulla.

22 febbraio 2017, una ragazza di 17 anni è stata scoperta dai Carabinieri mentre

consegnava droga insieme alla sorellina di appena 7 anni, nella zona del Pallonetto

a Santa Lucia, a Napoli. Secondo l'accusa, l'adolescente partecipava a tutti gli effetti

alla gestione di una piazza di spaccio dopo l’arresto di entrambi i genitori. Due

ragazzine che, come molti altri giovanissimi, dopo l’arresto dei genitori sono state

abbandonate dalle autorità e lasciate in pasto al Sistema.

Alle polemiche riguardo la possibilità di un’emulazione dovuta a reportage

come questo, o a libri, o a film come Gomorra, io rispondo dunque che questi ragazzi

non stanno emulando qualcosa che vedono in tv, bensì qualcosa che vedono per

strada e che per alcuni fa già parte della propria vita.

Scampia, “Le Vele”, Napoli.

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CONCLUSIONE

Gomorra è…

Sono giunta alla fine e mi ritrovo ferma davanti a queste pagine, a tutte queste

parole impresse su carta; parole che giorno dopo giorno si sono trasformate,

arricchite e evolute, dando infine forma e vita a questa tesi. Ora, pensando ad una

conclusione, vorrei solo trasmettere, attraverso pochi ma significativi concetti,

l’essenza del mio lavoro e, se posso, quello di Saviano.

Gomorra è la parola che, con forza e senza filtri o censure, attraverso diverse

forme, rappresenta la cruda realtà.

Gomorra è un libro che porta alla luce un mondo sotterraneo ma neanche

troppo. È un film e una serie, un occhio che permette di osservare, nonostante i filtri

cinematografici, una realtà lontana dalla finzione e pienamente conforme alla verità.

Gomorra è sprono per le singole persone ad essere occhi vigili, capaci di

conoscere la realtà che li circonda, informandosi e non voltandosi dall’altra parte.

Gomorra è un giornalista, uno scrittore, che ha immolato la sua stessa vita in

nome della verità.

Gomorra è una grande fotografia della camorra: palazzoni di cemento e giovani

vite ostaggio della violenza e del degrado.

Gomorra sono le potenti famiglie camorristiche che, con violenza e infami

complicità, sono diventate Stato laddove lo stesso Stato si è reso volutamente

fantasma.

Gomorra sono le vittime innocenti, le famiglie spezzate da una guerra cieca.

Gomorra sono “i ragazzi del vicolo”, giovani resi bestiali, che pigiano con

estrema facilità un grilletto annientando altre vite.

Gomorra è l’occasione per alcuni di far conoscere, al mondo, la propria

esistenza pronunciando frasi impregnate di moralismo e ipocrisia, affermando che

Gomorra è un male.

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Ma alla fine la verità è che Gomorra è e resterà un documento di inestimabile

valore, che tra decenni saprà ancora testimoniare indelebilmente un periodo, un

territorio, un dramma comunque impossibile da cancellare.

Grazie.

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“Non credo più nel concetto astratto di giustizia, una giustizia in nome della quale

l’umanità ha commesso i crimini peggiori. No, non ci credo più. Credo, invece, e

con tutto me stesso, nel bene compiuto dal singolo, occhi negli occhi, mano che

aiuta mano”.

(Roberto Saviano)

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CHAPTER I

GOMORRA. A JOURNEY THROUGH THE BOOK, FILM AND SERIES

“The book is a narration based on my observation, my eyes. Coverage,

investigation, novel, diary. In the film there isn’t my point of view, and everyday

criminality becomes the focus. It describes an atmosphere. The series shows the

dynamics. It was possible to dig deeper into that world. The ethic is to face evil”192

Italy is at war. It is a bloody war, hidden in neighbourhoods, towns, cities, that

every year causes hundreds and hundreds of victims. It has been like this for more

than two hundred years.

In the war against Camorra, if you want justice done, you cannot rely on what

your eyes have seen, because there are no ruins, no evidence, killings are rapid and,

once the blood has been removed from the side road, all is calm again, as if you were

the only person to see or to suffer. Anyone else would be ready to say “it’s not true”.

It is a war that affects us all, because the Mafia is our neighbour, our employer,

the mayor of our town, our landlord. The Mafia is everywhere. Yet it seems

something far, far away, something that does not concern us directly.

192 My translation: Roberto Saviano, “Gomorra? È la realtà negata dai politici”, “Corriere Della Sera”, 24th May

2016.

7th September 2015. The Italian Interior Minister, Angelino Alfano, decided to desploy extra troops to control the territory in Campania.

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In this gloomy scenario, ten years ago, a sensational and unexpected book, by

Roberto Saviano, made the headlines, for better or worse, upsetting both the Italian

publishing world and the international one: “Gomorrah. A Personal Journey into the

Violent International Empire of Naples’ Organized Crime System”.

Gomorrah is a non-fiction novel, an investigation, a documentary, a story, an

analysis, a sociological

essay, a sensitive

portrait of a corrupt

society. Above all,

Gomorrah is the reality,

the harsh and ruthless

observation of what, for

years, has been taking

place in a large area of

the Italian territory. It

was something that,

before this book, did not provoke neither shock nor indignation.

Everything started with a statement which became a story that, in April 2006,

drawing the attention of the Italian media. Words that have gained more and more

strength, by turning into different forms of communication: from book, to film, to

series.

The aim of Saviano is to fight the “System”193 with another system, the artistic

one, to break silence and indifference, showing different shades of an organization

which was believed defeated but, in silence, became more powerful than “Cosa

Nostra”194 for number of members and turnover: the Camorra.

193 Term used to refer to criminal organizations. Roberto Saviano speaks about it in his book “Gomorrah”, chapter

“The System”: «System — a term everyone here understands, but that still needs decoding elsewhere, an obscure

reference for anyone unfamiliar with the power dynamics of the criminal economy». 194 A criminal organization in Sicily.

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The story begins with the war of Secondigliano195, from the rise of the Di

Lauro196 clan, to the internal conflict that caused 80 deaths in just a month. The most

ruthless

Camorra war that southern Italy has seen in the last twenty years.

It is a compelling first person narration in which the author blends the accuracy

of a researcher, the courage of a journalist and, most of all, the painful love for his

city.

He led us on a journey within the places where the Camorra had its roots and

is still rooted, directly from the places where the attacks took place, as well as from

the shops and the factories belonging to the clans, through the eyes and the stories

of those people who choose to, or have to live with the Camorra.

The writer also confessed to being personally involved in some illegal dumping

at the port of Naples, “the hole where they exit the world map”197 , and having

witnessed many murders, “I was 13 when I saw my first body”198. He stated he was

attracted to the underworld, but at the same time disgusted by what he saw.

Through his eyes we see an “infected” land, that of Campania, where almost

all the illegal waste ends up and where the deaths from cancer have increased by

21% compared to the rest of Italy199.

He shows a reality which is characterized by a pervasive sense of mistrust

towards authorities, by a lack of policies, by a strong sense of personal insecurity

and especially by the lack of a true social education. The author, though, shows this

reality also from another point of view: that of the luxurious villas and the

underworld of Mafia bosses who seem to come out of a Hollywood production.

Because, just as Tony Montana in “Scarface”200, Camorra people think that the world

195 Naples Neighbourhood. 196 A Camorra family that controlled and still controls part of the northern area of Naples. 197 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The port”. 198 Roberto Saviano, “Roberto Saviano: Author of 'Gomorrah' the book exposing the Naples mafia”, “The

independent”, 17th October 2008. 199 Roberto Saviano, “Gomorrah”, Macmillan 2008, chapter “The Land of Fires”. 200 “Scarface”, directed by Brian De Palma, USA 1983.

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belongs to them and that they are completely free to manipulate politics, the

economy and society.

This work is neither only a novel, nor a simple journalistic investigation; if it

had been a novel, the author’s words would not have had the weight of truth, and if

it had been a classic journalistic investigation, it would not have had the fluidity and

the success which it obtained. Moreover, Saviano’s creativity in Gomorrah does not

concern the invention of characters or a fantasy world, but the depiction of hidden,

potential worlds: he sees a forest where a common person would see a single tree,

he sees chains where apparently there are none.

For this purpose, even his style swings between the didactic tone, used to

specify numbers and data, and the typical one of the noir genre, aimed at creating a

strong emotional impact on the readers.

The author mentions numerous Mafia bosses, both men and women, naming

names, surnames and, most of all, nicknames. Because “the nickname for a boss is

like the stigmata for a saint, the mark of membership in the System”201.

It is clearly a novel of denunciation of what really happens in our Country and

it is also a message of hope. In fact, Saviano is a man who believes in a future where

the word “Camorra” will only belong in books, and where people from Naples will

not be the subject of prejudice for what happens in their region.

In 2008 Gomorrah became a film directed by Matteo Garrone. In his

transposition the director preferred to use an objective perspective, almost

documentary like, in which the point of view was overturned, using that of evil.

The film marks a new step in the history of adaptation from book to screen,

staging the humanity narrated on paper in the forms of a grotesque hell.

A raw and distressing picture, filming real life and having the sound of screams

and gunfire of Scampia202 as soundtrack, “punching” the viewer in the stomach,

leaving a sense of breathlessness, showing a land that screams more than those who

201 Roberto Saviano, “Gomorrah”, Macmillan 2008, chapter “The System”. 202 Naples Neighbourhood.

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walk on it. For this purpose, the film director made a particular but effective choice:

most of the characters had never acted before. In this sense, the inexperience of the

actors, as well as

the use of the local

dialect, contributed

to give a realistic,

rough and pure

portrait of the

region in which the

real protagonist is

criminality itself.

Obviously, this

transposition does

not refer to

Saviano’s book only in the title.

Among the endless number of characters, stories and data concentrated in the

331 pages of the book, Garrone chose five intertwined stories, and made them evolve

rejecting the typical resolutions of gangster-movie.

In the film the characters seem to be part of a horror movie in which they cannot

escape from their implacable fate. The viewer remains glued to the chair from the

very first shot, accumulating tension, aware of the impending tragedy. The killers

are not beautiful as in “Kill Bill”203, they are ugly, fat and wear slippers. Life is not

worth anything and death stinks.

Matteo Garrone, unlike Saviano, did not want to make a film of denouncement,

there are no names, no surnames, no opposition of good/evil, no justice. Institutions

do not even exist. What the film director wants to show is how easily a person, or

even a child, can be trapped into the System’s network. This may happen for several

203 “Kill Bill”, directed by Quentin Tarantino, USA 2003.

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reasons: economic ones, social ones, due to a person’s background or because he is

forced into it.

Men, women, children, they are all part of the System, living this condition

with resigned participation. There is no hope. Everything is terribly black. It seems

a faraway place, a living Hell. But this Hell is not located at the centre of the Earth,

but at the end of the “Autostrada del Sole”204, next to the cultivation of peaches

turned into toxic bombs which are the same ones we eat.

When the film was released, newspapers said it described what actually

happened in the streets of Naples and, that between the movie and the real life, there

was no difference, just a sad and perfect overlapping.

Garrone shows reality with its cruelty and we have the impression of watching

a documentary film on sharks. Common good does not exist anymore, collective

health is at risk, the interest that prevails is the economic one, at all costs.

A significant character in the film is that of Roberto, who obviously recalls the

author’s name. He is a smart and young apprentice of Franco, played by Toni

Servillo205, a stakeholder, who organises the illegal disposal of toxic waste. In the

film, Roberto is silent, but he is observant and his resolution comes to light when, in

the last scene, he moves away, alone, with his back to Franco and to all he represents.

Maybe it is a sort of reference to the creation of Gomorrah, as an act of rebellion, of

diversity.

The television series, according to Saviano, was the natural consequence of his

narrative project, as he saw TV congenial to his communicative objective: “With

fiction I was able to show the mechanisms better, giving more space to details that

people usually do not care about: how a drug dealing “square” is organized; how an

execution is prepared; how they rig elections. This is the strength of TV series. They

explain things”206.

204 The longest Italian motorway that connects Milan with Naples. 205 Italian actor. 206 Roberto Saviano, “Saviano: ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 12th May 2016 (my translation).

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While in the book we can identify with Saviano - witness, protagonist, man,

with him we live and see all the System - in the series this does not happen. The

narrative technique the directors chose, with the transition from the point of view of

one character to another, is not meant to create empathy. One of the directors,

Stefano Sollima, in this regard says: “This decision had already been taken at the

beginning, before the newspapers attacked us with phrases like ‘Be careful not to

extol the beauty of evil’. Frankly, it made me smile because I knew what we had

filmed, and what would be transmitted; so I thought: ‘It is not as it seems. Just sit

back, watch the series and you will see that nothing is as you thought’. My ambition

was to create a series that had such a strong content, to be more than just

entertainment. Because Gomorrah is not a series that you can watch distractedly, it

must be digested episode after episode, with characters that do not remain static but,

as in life, evolve, grow, develop”207. Each character is shown in all his or her

contradictions and evil is something

absolutely normal, because this is

what happens in reality.

An interesting feature, which

pervades the series, is the theme of

devotion. The characters, filmed in

the labyrinth of “Le Vele”208, in dark

cars, in houses overloaded with

objects, are often surrounded by

religious symbols that appear dark,

dirty, as if they were a metaphor of the

decay of Scampia. These symbols

embody another aspect of the minds

of mafia people, who lead a criminal life while having as strong religious faith.

207 From “Intervista a Stefano Sollima”, “Nocturno.it”, 26th August 2015 (translation is mine) 208 Residential buildings built in the homonymous district of Naples between 1962 and 1975. They Their name

refers to their triangular shape.

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The series takes hints by the primary material in the book, but includes more

events which took place after its publication. The main narrative line moves around

the “Savastano” family that is in control of the area around Secondogliano, north of

Naples, that is composed by the boss Don Pietro 209 , feared and respected by

everyone, his wife, Imma210, who behind the scenes controls the empire and their

only child Gennaro211, called “Genny”, who is at first described as a fussy and

unexperienced child not able to inherit the control of the clan.

The main narrative line follows the everyday life of this family and the war that

will take place between the clan and those members who decide to break from it.

The first one to do so is Ciro di Marzio212, “the immortal”, who wants to be the next

boss.

The story develops on two different levels, on one hand there is a personal

evolution of each of the main characters. On the other hand, through secondary

characters we are shown the different entrepreneurial aspects of this criminal

organization. Of course, that of “Savastano” is a fictitious clan, but to a keen eye, it

appears traced specifically on the characteristics of the clan Di Lauro. In fact,

although the series is a fictional work, facts and events portrayed are real - an abyss

impossible for a mind to conceive.

209 Protagonizado por Fortunato Cerlino. 210 Protagonizada por Ana Pía Calzone. 211 Protagonizado por Salvatore Esposito. 212 Protagonizado por Marco d’Amore.

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CHAPTER II

GOMORRAH, A SOCIAL, CULTURAL AND CIVIL UPHEAVAL

“With Gomorrah I was not expecting success but to change things, shake people

and force them to see a reality that is not so hidden”213

The main value of the bestseller Gomorrah is that it has deeply shaken the

social and cultural spheres, having an impact on some aspects of today’s society.

Before its publication, people regarded Neapolitan criminality and the Italian Mafia

in a simplified, unilateral way, mainly based on the daily criminal activities. In local

and national press, murders or violence by the Mafia have always been diffusely

reported, but the complex phenomenon behind them was not under the spotlight: that

it a ferocious entity incapable of forgiving, not afraid to shed blood.

Since 2006 everything has radically changed, suddenly we have been flooded

by articles, books, papers and films about the Camorra in a more comprehensive

way. Step by step, Saviano has found the way to make collective memory aware of

213 My translation by: Roberto Saviano, “Voglio sposarmi: sarà la mia vittoria e la mia vendetta”, “Corriere della

Sera”, 9th June 2009.

Neapolitan neighbourhood of Porticelli, killing of Annunziata D’Amico, 10th October 2015.

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the details of the history and philosophy of the Camorra. The denunciation,

impressed in Saviano’s pages, led to a series of concrete actions and more and more

people expressed their solidarity with the writer who had the courage to use the

power of words. This work has changed not only Italian public opinion but also the

international one. The writer was finally able to spread the idea that the Camorra,

like every Mafia organization, is a problem that is not confined to a region, but it has

an international power. The control of the territory, in the military sense, takes place

in Southern Italy, while investments take place all over the world.

It is certainly a different way of narrating Italy, which forces you to face evil,

with eyes wide open; a direct and transparent look criticized by the political world.

In fact, the book was criticised for having given too much publicity to the Mafia and

for soiling Italy's international image. However, Saviano responds to these

statements with a question: “If I tell you something is wrong, am I doing Italy wrong

or right?” He says, “Leopardi wrote two centuries ago that people do not hate those

who are evil, nor evil itself, but hate those who talk about it”214. Criticism still

continues today with the mayor of Naples, Luigi De Magistris, who accused Saviano

of being successful thanks to

“the Camorra gunfire” 215 .

Moreover he was advised to

become better informed and

not judge and criticize a land

that he does not know, and

not to be afraid. To be brave.

This advice was nonsense as

it was referred to a man born

and raised in a land of the

Camorra, who had the courage to sacrifice his freedom to talk about the System.

214 My translation: Roberto Saviano, “Il genere umano non odia mai tanto chi fa male, né il male stesso, quanto chi

lo nomina”, “Fanpage.it”, 29th May 2013. 215 Luigi De Magistris, Naples mayor, Facebook, 5th January 2017.

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Saviano started his career as journalist in 2002 writing for newspapers and

magazines such as “Pulp”, “Il Diario”, “Sud”, “Il Manifesto”, also collaborating

with “Osservatorio sulla Camorra” of “Il Corriere di Mezzogiorno” and he is now

currently working with “La Republica” and “L’Espresso” and also with the most

important international newspapers. Reading his debut non-fiction novel we can

notice it has its roots in the journalistic activity of the author. He seems to weave

together, thanks to the expedient of the narrator-witness, fragments of an already

written story. One of these is the article, “The word Camorra doesn’t exist” 216,

published by the author on the collective blog “Nazione Indiana”217, that seems to

be the seed of his future literary work.

In 2009 the author retraced his personal and literary evolution, collecting his

personal writings, from 2004 to 2009, in the book “Beauty and the Inferno”218. A

book inspired by his own masterpiece “Gomorrah” and his commitment against the

Mafia: from his first

steps in the world of

literature and anti-

mafia militancy, up to

the acclaimed Nobel

Prize Ceremony at the

Swedish Academy.

On international

level, Saviano is

depicted as a new

Charon, who, from the

very first scene set at the Bausan dock, bring us into “the city dolent”219, among “the

people lost”220.

216 Roberto Saviano, “La parola camorra non esiste”, “Nazione Indiana”, 16th September 2003. 217 A collective blog and cultural project founded in March 2003 by a group of writers, critics and Italian artists,

with the aim of giving voice to text and ideas that have no commercial publishing space and information printing. 218 Roberto Saviano, “La bellezza e l’inferno”, Mondadori 2009. 219 Dante Alighieri, “The Divine Comedy”, Canto III. 220 Dante Alighieri, “The Divine Comedy” Canto III.

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The language used in many articles to refer to this beautiful city, is precisely

that of a “living Hell”, because the deeper you dig into this story, into this reality,

the more you feel like you are living a sort of reinterpretation of the third Canto of

Dante's Inferno. “And I realized that this is my damnation, the stake I thought the

devil would never have collected. A damnation that condemns you when your words

travel too far, becoming a seed.”221.

It has never been easy for a writer to tell hard truths, not only in the past, when

censorship prevented different opinions from being spread, but courage has

consequences also today. A book can sentence a person to death as it happened to

the Anglo-Indian writer Salman Rushdie222, or to live under guard in a kind of

foretold ending, making you a “marked man”, a target, a possible victim. «I was told

by the Camorra: “t’amm fatt il cappotto di legno” – [“we made you a wooden

overcoat”] that means “we closed you in a coffin alive”223. However there are some

differences between the two writers: Rushdie was censored by an official authority,

while the Camorra is an unofficial and unseen world.

It is important to point out that, the threats to Saviano did not start when the

first reportages were published, nor when Gomorrah was released, but only when

Saviano took part in a rally in his town “Casal di Principe”224, on 23rd September

2006. Here he openly insulted the boss and it was the first time that someone

questioned, in person, the control of a territory that, as with animals, “is marked”.

Saviano affirms: “Some people ask me how words can scare criminal organizations.

But what frightens them are not the words, but readers”225. The Camorra did not

forgive «not only the book, but its success and the fact it has become a best-seller.

This annoyed them»226. The bosses know that the awaking of human consciences

221 My translation: Roberto Saviano, “Dieci anni di Gomorra”, in “Gomorra”, Mondadori 2016. 222 Anglo-Indian writer, hit by the Fatwa of the Iran's political and religious leader, Khomeini, to have written “The

satanic Verses”, 1988. 223 Personal translation: Roberto Saviano, “Saviano: Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 5th May

2016. 224 Naples neighbourhood. 225 Roberto Saviano, “Roberto Saviano: Assurdo incolpare chi racconta la violenza e non chi la fa”, “Fanpage.it”,

15th May 2016. 226 Roberto Saviano, “La libertà di Saviano”, “La Repubblica”, 29th May 2016.

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can destroy them, much more than a blitz. They fight with machine guns, we use

culture, this is what Gomorrah teaches us.

A passage in the book, that can be considered a key to understanding his

thoughts, is entitled “I Know”227 and it is explicitly taken from the homonym Pier

Paolo Pasolini’s work228. However, Saviano wants to emphasizes a fundamental

difference: Pasolini has a purely literary knowledge, arising from him being an

intellectual status, while the narrator, Saviano, repeats several times “I know and I

can prove it”229. With these words the author's alter ego claims his role of witness

who observes, evaluates, looks, listens, knows. His writing becomes a ruthless story

“of these truths” but he concludes, “I do not take prisoners”230 a statement that hides

a message: let judges do justice.

Another important quote that Saviano chooses to insert in the opening of his

book is a phrase by Hannah Arendt: «Comprehension, in short, means the

unpremeditated, attentive facing up to, and resisting of reality – whatever it may be

or may have been»231. A thought formulated while writing her masterpiece “The

227 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “Cement”. 228 Pier Paolo Pasolini, “Cos’è questo Golpe? Io so”, “Corriere della Sera”, 14th November 1974. 229 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “Cement”. 230 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “Cement”. 231 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008.

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banality of evil”232 , on the story of one of the most terrible Nazi-leaders. The

Camorra, as every Mafia-type organization, is a totalitarian institution, which does

not admit opposition: those who go against it are physically eliminated or their

existence as social individuals is reduced to nothing. In a specular way, Gomorrah

ends with another quote, a cinematographic one, which seems to be a prophecy on

Saviano’s personal destiny for having written this book. Perhaps, still today, he

repeats these words to himself: “I wanted to shout, to scream, to tear my lungs out

like Papillon233. I wanted to howl from deep down in my gut, my throat, exploding

with all the voice left in me: Hey you bastards, I'm still here234”235

232 Hannah Arendt, “Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil”, 1963. 233 “Papillon”, directed by Franklin J. Schaffner, USA/France 1973. 234 Phrase stated by Steve Mcqueen in “Papillon”. 235 Robero Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The Land of Fires”.

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CHAPTER III

GOMORRAH, A WORLDWIDE PHENOMENON

“A man who writes does not scare, what scares are the many people who listen,

the eyes that read a story, the many mouths that narrate it”236

Gomorrah became an editorial phenomenon as soon as it was published. The

book has sold over 2.250.000 copies in Italy and 10.000.000 worldwide. Published

in more than 50 countries, it has been translated in 52 languages. Ten years after the

publication of Gomorrah, in 2016, Saviano decided to make a second publication of

his first work inserting some personal comments and reflections on these last ten

years including a collection of foreign articles on Gomorrah, published in the major

international newspapers. This collection clearly shows that, in Italian literature,

there is a “before” and an “after” Gomorrah and that this work, with its innovative

and disruptive force, has crossed Italian borders conquering the entire world with a

singular “Gomorrah effect”. Thanks to this “effect” and this popularity, Gomorrah

has had the power to give the Mafia topic an unexpected relevance, taking it to the

top of international rankings. The book is still in the top ten best-sellers in Germany,

and it is a German article that opens the collection in Gomorrah, with the title: “Like

a rose in the desert”237. This expression was used by a magistrate to describe the

rarity of the act of the denunciation in some territories of Campania.

As for what concerns the international scene, Gomorrah was included, as the

only Italian book in the ranking of the 100 most important books of 2007 by the

American newspapers “The New York Times” and “The Economist” with the

following motivation: “a literary scream that names names, of the killers and the

killed”238. Moreover, in the United States, the book entered the non-fiction category,

and this is something very important because it gives the work the importance it

236 My translation: Roberto Saviano, “Vieni via con me”, Feltrinelli 2011. 237 Srtephan Lorenz, “Rose in der Wüste”, “Freie Presse”, 2007. 238 Ian Fisher, “An Italian Author Driven Into the Shadows by Success”, “New York Times”, 3rd November 2007.

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deserves and sets the expectations of the American public as for the reliability of its

content and its denunciations.

Even the film Gomorrah had great success, with its five awards at the European

film Award in 2008 and seven at the David di Donatello Awards for best foreign

film in 2009. The movie was rightfully seen as the main revelation of the year,

watched by over two million people and becoming the tenth box-office film in Italy

for the cinematographic season 2007-2008. Matteo Garrone was also awarded the

Grand Prize of the Jury at Cannes Festival, where the audience applauded for five

minutes both his film and its cast with the following comments: “Gomorrah is

a film of great civic value […] there's a strong emphasis on social commitment”239.

The “Gomorrah effect” found a new lifeblood with the TV series, produced by

Sky Italia and broadcast from 6th May 2014 on the Sky Atlantic channel, directed

by: Stefano Sollima, Claudio Cupellini, Claudio Giovannesi and Francesca

Comencini. It took thirty-two weeks of filming, 400 settings, 200 actors and 3000

extras for the production. “A huge effort” said the producer Riccardo Tozzi “to stick

to the two main strengths of the series: to be a universal archetype understood

worldwide and to be realistic in every detail”240. Gomorrah is successful because it

239 Ex Italian Minister of Culture. 240 My translation: RiccardoTozzi, “Gomorra la serie, con Ciro e Genny il viaggio dello spettatore nell’inferno della

camorra”, “L’Espresso”, 9th May 2016.

65th edition of the Cannes Festival.

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was written with such high quality language and an aesthetic that is difficult to find

in Italian TV. A not so obvious success for the filmmakers: “We were told that a

Neapolitan series would never have been watched, not even in Rome, but we took a

risk and here are the results”241. With these words the Sky producer, Andrea Scrosati,

speaks about the series as a bet that, despite the use of dialect and the unknown cast,

has captivated Italian people and not only. “Gomorrah has shocked the international

public that was used to watching series filmed in studios” explains Tozzi, “instead

we went to the real places, with a neo-realistic spirit”242. However, despite the fact

that the content, the settings and many lexical choices are deeply rooted in the socio-

cultural context of Campania, the book was translated in 33 countries.

Due to the fact that translating such work has many difficulties, I have chosen

to analyse the translation of Gomorrah in an English speaking context. The main

principle behind every translation is the awareness of the fact that it is impossible to

find a perfect correspondence between every single signifier. For this reason, a good

translator should not only be “a bilingual, but also a bicultural (if not multicultural)

specialist working with and within an infinite variety of areas of technical

expertise”243. This is even more the case for the work Gomorrah, where the difficulty

in translating is not limited to “translating” a word from one language to another,

but also to “transferring” a social reality from a specific context to another.

Even if the English translator, Virginia Jewiss, preserved the socio-cultural

Neapolitan context, some specific terms, cultural references, idioms or slang

expressions were not rendered properly or were omitted. An interesting example is

the reference to Totò, used to describe the way of speaking of one of the characters,

Xian Zhu. Saviano wrote: “He spoke perfect Italian, with a soft r that sounded more

like a v, like the impoverished aristocrats Totò imitates in his films”244. Obviously,

241 Andrea Scrosati, “Andrea Scrosati: Gomorra e le serie glocal sbancano il mercato televisivo”, “Leggo.it”, 10

May 2016. 242 RiccardoTozzi, “Gomorra la serie, con Ciro e Genny il viaggio dello spettatore nell’inferno della camorra”,

“L’Espresso”, 9 May 2016. 243 M. Snell-Hornby, “The professional translator of tomorrow: language specialist or all-round expert?”, in

“Fundamental Aspects of Interpreter Education”, John Benjamins Publishing, 2004. 244 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, “The port”.

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for an English reader “extra distinctions”245 should have been integrated, maybe in

a footnote, for additional information on the Italian actor Totò.

Another example, which regarding what might be called “culture bumps”246 or

wordplays, is the language used by Saviano to describe how the Camorra was

gradually able to increase its turnover. The author speaks about four blitzes triggered

in April 2005 that seized illegally imported goods for the value of thirty million

euros: “Just a small serving of the economy that was making its way through the

port of Naples in a few hours. And from the port to the world. On it goes, all day,

every day. These slices of economy are becoming a staple diet”247. In this passage

we can notice how, even if the translator preserved the lexical area of food with the

term “serving”, the wordplay used by Saviano, as well as the strong crescendo from

the term “slices” that become “fragments”, are lost.

Another category of terms which generally require a specific “pragmatic

explication” are the geographic locations, often chosen because of their strong

connotative meanings. Being a reportage, the choice of geographical areas was

obligatory and the majority of geographical references, with the exclusion of

references to countries like China, Spain and Scotland, do not only require a generic

topographical knowledge of Italy, but imply a familiarity with certain urban and

suburban areas. These latters are never only a background, but an integrant

component of the narration. Therefore, a right choice was made when Saviano

mentions for example Posillipo, Parioli and Brera, in adding: “posh neighborhoods

of Naples, Rome and Milan”248. However, the choice of translating the name of the

area Secondigliano with “Second mile” was rather excessive. Here Jewiss opted for

a process of “domestication” that can also be seen in the choice of translating the

“Statale 87” in “Route 87”249, where all the “lovers” in the area “went”. Since all

these places are extremely important to understand the work, a map of Italy and one

245 Albrecht Neubert, “Translation as a Text”, Kent State University Press, 1992. 246 Ritva Leppihalme, “Culture Bumps: An Empirical Approach to the Translation of Allusions”, Multilingual

Matters 1997. 247 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The port”. 248 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The port”. 249 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “Angelina Jolie”.

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of Campania were added to the book to help the foreign reader to locate what is

being narrated.

Another peculiarity of Gomorrah are the numerous and characteristic

nicknames with which Saviano often identifies different characters. These could not

be omitted, and therefore some amplifications were made. However, in some cases,

they were not relevant to the original connotation of the text. When for example

Saviano speaks about the camorrista Vincenzo Benitozzi, called “Cicciobello” 250

because of his round face, the reference is not to his physical connotation, but to the

famous doll, object of many young girls’ dreams. The translator here does not go

beyond the denotative message and the literal meaning of the sentence and decides

that the round face must necessarily belong to a fat person, and in fact arbitrarily

adds: “Cicciobello, - or fat boy”251.

In some other cases, the footnote remains the only resource for a translator

when the cultural or lexical gap is too wide. When Giovanni Brusca is mentioned,

Jewiss decided to insert a long explication: “the boss of San Giovanni Jato and the

murderer of Judge Giovanni Falcone”252. While in some other cases, she was subject

to criticism for her decision to use expressions such as “seize the properties”, “to

sequester”, trying to keep as close as possible to the Italian version, but leaving the

reader confused. To this regard Anthony Shugaar253 stated: “Italian soldiers don’t

wear combat boots, they wear “amphibious” – an enigma if you don’t know that the

Italian for army boots is anfibio”254.

The edition published in the United Kingdom makes use of the same American

translation, except for a few, albeit important changes. An important difference,

motivated by bureaucratic and legal reasons, is that the version published in the UK

omitted the name of the man who Saviano in Gomorrah defines “The first racketeer

250 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il Sistema”. 251 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The System”. 252 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The System”. 253 American author and translator. 254 A. Shugaar, “Good Fellas. A young Italian laments how Naples has fallen under the sway of brutal mobsters”,

4th November 2007.

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of English nationality in the Italian and British criminal history”255. Since in the UK

the offense for Mafia association does not exist, the charge which is discussed in the

book is virtually non-existent. For this reason the publisher decided to omit this

passage in order not to be sued and avoided having to pay compensation which was

estimated at two million pounds.

“The sun has stopped shining on the provinces of Naples and Caserta, it is

impossible to enlighten these dark lands to the extent that Italian people need

subtitles to decipher them”256.

Unlike the book, dialect is always used in the film and in the series, where a

careful job was done to try to balance the need for realism with the public's

understanding. An exchange between a drug dealer and his customers in perfect

Italian would not make sense, but they could not go as far as using a pure Neapolitan

dialect, that’s incomprehensible to most. For this reason, the scripts were adapted

with the help of local people, and few key words were translated so that the viewer

would be able to understand the general discourse. Nevertheless, many viewers

chose to use the Italian subtitles promptly provided by Sky.

The Neapolitan dialect has something that distinguishes it more than anything

else: its musicality.

The directors of Gomorrah were not interested in presenting the true

Neapolitan dialect, as this was not their mission. They were interested in creating a

linguistic musicality and the different ways of speaking became an extension of each

character. Examples of this are: Genny’s calm and rough tone; Conte’s elegant

sentences; Ciro Di Marzio’s speed in talking, with focus on the last syllable; Pietro

Savastano’s long pauses and linearity and O'Track’s energy and anarchic language.

255 My translation: Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, chapter “Aberdeen, Mondragone”, pag. 291. 256 My translation: Francesco Nardi, “Corriere del Mezzogiorno”, 20 May 2008.

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The latter is taken as a symbol of the emerging young boys, whose language is faster

and less understandable, which underlines the generation gap.

Speaking of musicality, the incredible soundtracks and tracks that accompany

the TV series must be mentioned, which have contributed to making this product

unique. The main musical theme of the series is “Doomed to live” by Mokadelic257,

a post-rock / psychedelic band whose melodies, with their crescendo and

diminuendo of notes and intensity, follow the main scenes perfectly. As for what

concerns the closing song of each episode, it has become a real cult: “Nuje Vulimme

'na speranza” by NTO' & Lucariello258. The words, written by boys who were born

and raised in Campania, perfectly describe the atmosphere in those neighbourhoods

and the cry of those who still hope. With the dirty, vulgar and sometimes

incomprehensible inflection, it gives the impression of a real, everyday speech. We

feel we are catapulted in the streets, in the crumbling council houses, completely

abandoned in the hands of the bosses. This is something that marks the quality of

this production unique, above standards.

Before this series, viewers had been accustomed to actors with no accent,

coming from theatre schools, and dialect was only used to characterize a comic

situation, whereas in Gomorrah it is the official language of crime. Italian is the

language of the enemy, the authority, the State, of that institution which,

theoretically, should stop or at least contain the expansion of criminal organizations.

The success of the series and its export to several European and worldwide

countries, has brought a problem: the adaptation of the dialogues.

In the cases of Gomorrah, adaptation implies a triple transition: from the source

language, the Neapolitan dialect, to Italian, to the target language. The seasons of

Gomorrah were dubbed, and of course many of the peculiarities of the original

product were entirely lost. Terms, expressions and accents were systematically

flattened into English, Spanish, French and German standard. To this regard Sky

257 Their music moves from post-rock and neo-psychedelic atmospheres to melancholic ones, using a dense range of

melodic sounds in a crescendo that creates real symphonies. 258 Italian rappers.

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Atlantic broadcast a video showing scenes from the famous TV series dubbed in

different languages, in which we can see how some sentences, that have become a

cult, have entirely lost their communicative power. An example of this can be seen

in the expression “Sta senza pensier” simply translated to “take it easy”. The impact

is very strange and makes us smile: “phrases completely transformed when

pronounced in French, German, English or Spanish. The result is curious, sometimes

funny, and even a little bit paradoxical”259.

259 My translation: Roberto Saviano, “gomorra, parlez vous français? Gli effetti del doppiaggio”,

“Roberto Saviano online”, 10th August 2015.

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CHAPTER IV

GOMORRAH, THE REALITY BEYOND THE FICTION

“The strategy of the television series is not to take sides with any character. The

goal is to make the System and its power protagonists. The real star is reality. It

was and is my obsession”260

One of the most controversial and interesting themes around the “Gomorrah”

phenomenon, is the relationship between what is fiction and what is real life in the

Neapolitan neighbourhoods narrated by Saviano. Regarding this matter, the

positions tend to be between two extremes: some people think that the series gives

a too negative and “altered” image of Naples, only showing clichés and stereotypes,

and those who, instead, consider Gomorrah as an “eye” that allows you to observe,

despite the film filters, a truthful reality, not a fiction.

In the case of the book, references to events and real characters are, as already

mentioned, explicit and demonstrated by sources and evidence given by the author

himself. The film is overtly marked on a documentary style, while a more detailed

discussion has to be made on the television series. Although it is fiction, and

invention is used for manipulating reality, it weaves constant references to real facts,

contexts and characters, explicitly playing with the spectator's competence. This

competence does not only refer to the book by Saviano, but also to events that

occurred after its publication.

Nowadays, contemporary TV series have the tendency to show bits of reality

to capture the public's attention, who seem more attracted to fiction, therefore to

stories, rather than to the news, hence to reality. For this reason the directors have

chosen to present a complex phenomenon such as the Camorra through personal and

daily life of a classic Camorra family, that of “Savastano”, starting from the highest

moment of the clan to its decline, something which everyone, sooner or later, has to

deal with in this infinite loop that is Camorra.

260 My translation: Roberto Saviano, “Parla Saviano: «Gomorra? È la realtà negata dai politici»”,

“Corriere della Sera”, 24th May 2016.

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Through the characters, the viewer finds himself living the real life of the

neighbourhoods of Naples, in a narrative of images, where the similarities are

numerous. Episode after episode, details link the protagonists of the series to some

of the protagonists of the crime news of Naples, staging the dynamics of one of the

bloodiest Camorra wars ever: that between the Di Lauro clan and the “secessionist”,

that took place between the years 1990 and 2000. In this scenario, the boss, Pietro

Savastano, has much in common with Paolo Di Lauro. Also Ciro, former right-hand

man of the boss and then leader of the rebels, seems to be precisely the former right-

hand man of Di Lauro, Lello Amato. Another parallel can be made between the

figure of Genny and that of Cosimo Di Lauro, the boss Paolo Di Lauro’s eldest son.

The two boys seem to be so similar also in the way they dress with a preference for

dark clothes and black leather.

In the series there are a number of expertly stitched and blended images

depicting real life in Naples and the surrounding districts: the organization of drug

dealing squares in broad daylight; the many people lined up outside the prison who

let the boss’ wife jump the queue; the use of firing ranges to build the alibis of the

killers; the monthly pay distributed to the families of the fallen and of prisoners; the

prayers before ordering a massacre.

Then there are those that we can call “visual quotes” as the opening sequence

of the second episode, in which a frame of the port of Naples reminds us the opening

words of Saviano’s novel.

As for the references to events that followed the publication of Gomorrah, an

important source was represented by the confessions of Maurizio Prestieri. He was

one of the first turncoats of that war, probably the most important one due to the

amount of arrests that his confessions had led to. For the Camorra, turncoats are vile

people, walking dead. For the police, instead, they represent a weapon, the trump

card that can lead them to the heart of a clan, revealing trafficking, trade relations,

points of interest and the mechanisms. There are those who confess to save

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themselves, those who do it to be granted a lighter prison sentence, or those who see

no alternative and want to finally get out from this hell.

“It is war. No one understands how it will be fought, but everyone is aware that it

will be terrible and long”261

The War of Secondigliano was a fierce feud between the Di Lauro clan and

some of its members who decided to part from it, becoming known as “secessionist”

or “Spanish”. A war without “respect”, starring the boss Paolo Di Lauro, known as

“little Cyrus the millionaire”262. The boss was born in Naples, on 26th August 1953.

Abandoned at birth, he was adopted by the Di Lauro family and was raised, as far as

possible, away from crime. Despite this, he soon began to commit crimes, ending up

in the world of organized crime under the boss of Secondigliano, Aniello La Monica.

However, as time went by, the boss started to feel threatened by his figure and, in

1982, he ordered his death. The attack failed and Di Lauro soon returned the favour

to the boss by organising an ambush on 1st May 1982.

Taking advantage of the death of the boss and the lack of power, Di Lauro was

able to monopolize the drug trade in Naples, and to fulfil his greatest dream: to make

Scampia the largest drug dealing square in Europe. This was possible thanks to

trading directly from the South American drug cartels, that means directly from the

producers, and allying himself with the East Albanian cartels for the large-scale

distribution. To strengthen these direct links, the new boss sent his most trusted

collaborators there, for example, Raffaele Amato, called “Lello” or “Spagnuolo”. At

this point one of the most powerful clans in the history of organized crime started to

take shape. A clan that operated like a real business, whose main incomes were and

still are represented by drugs.

261 My translation: Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, chapter “La guerra di Secondigliano”, pag. 89.

262 The boss Luigi Giuliano, called “o' re”, gave him this nickname.

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For about 20 years Di Lauro was known as “the ghost boss”, because his name

was never mentioned, and despite the efforts of the police, his identity remained

unknown. Di Lauro only communicated directly with a few faithful people and

everyone referred to him as “Pasquale”.

The equilibrium of the clan was broken when, after the death of his son Domenico,

the boss decided to step back and leave the clan to his son Cosimo, named “the

crow”263, due to his clothing style similar to the main character of the homonym

film.

Under his rule the first disappointments

emerged among the old members of the clan,

“the old guard”264, to whom the young boss did

not seem to give the importance that they

“deserved”, giving instead more space and power

to the young “guaioncelli”265 who constituted his

“battery”266. Moreover, the young boss decided

to give everyone a monthly wage, which was in

contrast with the choices made earlier by his

father, but this was necessary in order to reaffirm

his authority.

The first betrayals and killings began, and it was soon war. Lello Amato, “la

vicchiarella”, and those who remained faithful to him, began to take control of the

drug squares by force, beginning to weave their own drug-trafficking network with

Spain. It was the beginning of a war that led to more than 100 deaths in a year, so

much that the term “war” was no more used, and people began to call it “Vietnam”:

burned cars, dead bodies behind every door, multiple murders in a single day, a

single hour. A macabre game of back-and-forth shootings. Siblings, parents, cousins,

friends, no one was spared, because even if there is some doubt, the choice is always

263 “The Crow”, directed by Alex Proyas, USA 1994. 264 Expression used by Camorra people to refer to the veterans of the clan. 265 Neapolitan term with which one refers to young people. 266 Term with which Mafia people refers to their own group of affiliates.

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to kill. After two years of ambushes and killings the Di Lauro clan seemed to be

defeated, forced to remain in the confines of the “Parco dei Fiori”267 known as the

“Third World”. It is a huge district, whose nickname makes the situation clear, as

well as the inscription that can be found at the entrance of the main street “Third

World District, do not enter”268. However, on 27th June 2005, the news of a pact

between the clan and the “scissionisti” was published on the newspaper “Cronache

di Napoli”. The same year, on 21st January, Cosimo was arrested as well as the boss

Paolo Di Lauro and, less than twenty-four hours after his arrest, the tortured body of

Edoardo La Monica was found. The message from the body was clear: “cut off the

ears with which he heard, gouged out the eyes with which he saw, shattered the

wrists with which he took the money, cropped the tongue with which he spoke”269.

A reckless violence, a fury and a ritual reserved only to those who are guilty of

serious treason. Currently Marco Di Lauro, who has been fugitive since 2004, is

considered the head of the clan, and in July 2013 the USA 007, reported some

economy infiltrations of the clan in the Big Apple. Saviano wrote: “the system has

expanded and renewed. Neapolitan bosses are twenty years old”270. Unfortunately,

Camorra is like an Ouroboros, a snake that eats its own tail. In this sense every trial,

arrest or seizure is nothing more than a way of alternating bosses, rather than an

action to destroy a system.

“The odors stuck in my nose; not only blood and sawdust, nor the aftershave boy

soldiers slap on their beardless cheeks, but above all the womanly smells of female

perfumes”271

An interesting theme, dealt by Saviano in his book, is that of women in power.

In the chapter, expressly entitled “women”, the author speaks about the feminine

267 Neapolitan neighbourhood. 268 Original words: “Rione Terzo Mondo, non entrate”. 269 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The war of Secondigliano”. 270 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The war of Secondigliano”. 271 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “woman”.

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side of the Camorra, revealing how women are always present in the dynamics of

clans. He explains how, for many women, to marry a Camorra man is like

conquering a capital. If they are lucky that capital will grow and they will benefit

from unlimited power and maybe they will be able to become entrepreneurs or

executives. However, things could also go wrong and they could end up spending

hours and hours in the waiting room of some prison and waiting for the

“submarine”272 that, every 28th of the month, distributes a monthly payment to the

families of the affiliates who are dead or in prison.

In recent years, the Camorra world transformation has also led to a

metamorphosis of the female role that, from mother and wife has turned into a real

managerial figure. They are rude women. Soulless. Their beauty is marked, often

vulgar. They live in the shadow of their husbands, fathers and brothers, but they are

ready to become leaders, to command, to

issue death orders. They act as men do and

sometimes even worse, as in the case of

Donna Imma. In some other cases they can

be simple partners, allies, as Patrizia, or

real bosses of the underworld as Chanel.

She is a hyena, she is aware of this and she

wants to be one. She is rough, distrustful,

fierce, who became “regent” of an

important drug square after the death of

her brother, Zecchinetta, killed by Genny’s

young “guaglioni”. Some people think that her figure was inspired by the life of

Maria Licciardi, called “a piccerella”, sister of Gennaro “a scigna”, who became the

undisputed leader of the Secondigliano Alliance273 and who is currently in prison.

272 Term used to refer to the person in charge of distributing the monthly pay to the affiliates’ family. 273 A strategic alliance of Camorra clans in Naples in the 1990s.

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She is also similar to the figure of Anna Mazza, widow of the Godfather of

Afragola274 and known as “the black widow of the Camorra”.

On the other hand, the figure of Marinella, Chanel's son’s wife, shows a

different side of the Camorra. Marinella is unwillingly a Camorra woman, who lives

as a prisoner in a world where it is easy to enter, but it is almost impossible to get

out.

“In the Camorra system murder is necessary, it’s like depositing money in the

bank, purchasing a franchise, or breaking off a friendship. [...] But killing a priest,

one outside power, pricks your conscience”275

The many innocent victims that are left behind, are an

incurable wound of these wars. In March 1994, Saviano was

sixteen years old when he attended the

funeral of Don Peppino, whose words

scared the boss of “Casal di Principe”

more than a blitz. He was killed for his

courage, because he looked up and wrote: “For the love of my

people I will not shut up”. His figure

hides the many cases of people who were killed “by mistake”

or “convenience”.

Saviano also speaks about Annalisa

Durante, she was only fourteen when she

was killed on 27th March 2004 during a

shootout. Attilio Romano, killed in

Naples on 24th January 2005 by three assassins for mistaken

identity. Dario Scherillo, another “mistake”, killed on 26th December 2004.

274 Neapolitan municipality. 275 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “Don Peppino Diana”

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Gelsomina Verde, twenty-two, tortured, killed and burned on 21st November 2004,

just because she was romantically linked to a young scissionista, Gennaro Notturno.

Unfortunately for Camorra logic, mothers, fathers, siblings, friends, lovers, are

like maps. Maps which are used to find the person they are looking for.

Gelsomina, called “Mina”, has a place in the series with the character of Manu,

almost a play on words. The bond between these two figures is made evident from

the title of that episode that is precisely “Gelsomina Verde”, a name that does not

invoke any element of the episode and should push the viewer to find out more

information.

In the series, the viewer is at first presented with a little boy who gets hired

from a gangster and, only later, comes into contact with the insouciance of his

girlfriend, who is totally unrelated to the Camorra world.

In this representation another social problem is revealed, something that in the

book is hidden between the lines: the fragility of those young people, those children,

attracted by the economic and social power of clans, but totally unaware of what this

implies.

The theme of the so-called “baby killers” is one of the most important ones for

Saviano, to the extent that he dedicated an entire book to it: “The Paranza of

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Children”276. In this book, Saviano writes about boys without future, young people

who do not fear neither the prison, nor death, because they know that the money

belongs to those who take it. They are no more than fifteen years old, like Pikachu,

a child who told Saviano he wanted to die like a real man: killed. They are found

riding their scooters through the alleys to the conquest of Naples. They work as

lookouts, but their dream is to be couriers or killers, becoming affiliates, and maybe

the new boss.

In the film, the director shows the story of Totò and Simone, two children

representatives of the many young soldiers of the Camorra. Their figures also help

understand the

atmosphere of the

Secondigliano war,

and how much the

logic of Camorra is

internalized.

Simone told his

friend they could

not see each other

any longer or play

together because he

had become secessionist, therefore Totò’s enemy, and he was even prepared to kill

him, if necessary.

On Wednesday, November 30th, the premiere of a documentary by Michele

Santoro was presented: “Robinù”277. It is a documentary on real stories about real

young people immersed in a nihilism without expectations and without remorse.

True faces, like that of Michele, who said he was infatuated with the machine gun,

“u kala”278, “With it in my hands I’m not afraid of anything, 33 bullets, it is like

276 Roberto Saviano, “La paranza dei bambini”, Feltrinelli 2016. 277 “Robinù”, directed by Michele Santoro, ITA 2016. 278 Neapolitan expression for “Kalashnikov”.

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walking armoured”279. The boys of Robinù are not actors and they do not show

repentance while serving their sentence in Poggioreale280 and Airola281. They start

shooting even before the age of fifteen and rarely get to thirty. Because to get to the

top, you have to shoot more than the others, and to kill before they kill you, killing

former bosses and those rivals with the same claims.

One is speaking about people out of control, without family and without the

slightest trust in institutions, ending up in the net of crime. It happens for economic

reasons, but also because of the culture of those places. The system exploits them

for its own interest, finding strength in weakness and in the deterioration of

neighbourhoods.

For this, the controversy about the possibility of emulation due to Saviano’s

book or the film or the series, is just false moralism.

These people are not emulating something they read in a book, or they watch

on TV, but something they see on their streets and that unfortunately is part of their

lives and Gomorrah is and will always be an invaluable document, which in decades

to come, will still witness an indelible period, a drama impossible to erase.

279 My translation: Michele Mazio, in “Robinù”, directed by Michele Santoro, ITA 2016. 280 Prison in Campania, Italy. 281 Prison in Campania, Italy.

Scampia, Neapolitan district, “Le vele”.

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CAPÍTULO I

GOMORRA. UN VIAJE A TRAVÉS DEL LIBRO, LA PELÍCULA Y LA SERIE

“En el libro cuento la realidad desde mi punto de vista, desde mis ojos. Se trata de

un reportaje, una investigación, un diario. La película describe un clima. La

protagonista es la cotidianidad criminal. La serie cuenta las dinámicas. Hemos

sido capaces de ir más a fondo. La ética es siempre la de afrontar el mal”282

Italia está en guerra. Desde hace más de doscientos años. Es una guerra

sangrienta, escondida en los barrios, pueblos, ciudades, y que causa cientos y cientos

de víctimas cada año. Pero para hacer justicia, no puedes confiar en lo que han visto

tus ojos, porque después de una guerra de Camorra no hay ruinas, evidencias, los

homicidios son rápidos y repentinos y una vez limpiada la sangre sobre el asfalto

todo está tranquilo de nuevo, como si tu fueras el único a ver o sufrir. Como si

cualquiera estuviera listo para decir “no es verdad”. Se trata de una guerra cerca de

todos, porque la Mafia es nuestro vecino, nuestro empleador, el alcalde de nuestra

ciudad, el dueño de nuestra casa. La Mafia está en todas partes. Sin embargo, parece

algo muy pero muy lejano, algo que no nos concierne directamente.

282 Tradución personal: Roberto Saviano, “Gomorra? È la realtà negata dai politici”, “Corriere Della Sera”, 24 de

Mayo de 2016.

Camorra, tres omicidios en la area de Flegrea, Nápoles.

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En este escenario sombrío, diez años atrás un joven escritor, Roberto Saviano,

hizo hablar de sí mismo, para bien o para mal, con una obra sensacional e inesperada

que turbó el mundo editorial italiano y extranjero: Gomorra. Viaje al imperio

económico y al sueño de poder de la Camorra.

Gomorra es una novela testimonio, una investigación, un documental, una

historia, un análisis, un ensayo sociológico, un retrato doloroso de una sociedad

enferma. Pero Gomorra es sobre todo la realidad, la dura e implacable observación

de lo que ocurre en una amplia zona del territorio italiano y que, antes de Saviano,

no generaba ni consternación ni indignación.

Todo comenzó con un acto, el de la palabra, que desde 2006 ha ganado cada

vez más fuerza, transformándose a través de varias formas de comunicación: de

libro, a película, a serie. Por medio de esta invasión en varios campos mediáticos,

Saviano parece responder al “Sistema”283 criminal con otro sistema, el artístico, que

se ramifica en múltiples direcciones luchando contra el silencio y la indiferencia.

En poco más de Trecientas páginas el joven autor revela los misterios de una

organización poco conocida, la de la Camorra, que muchos consideraban derrotada

y que en cambio se ha fortificado en silencio superando “Cosa Nostra”284 por número

de miembros y negocios.

La historia y la reconstrucción del poder de esta organización comienza desde

la guerra de Secondigliano285, desde la subida al poder del clan Di Lauro hasta el

conflicto interno que ha producido ochenta muertos en poco más de un mes. La

guerra de Camorra más despiadada que el sur de Italia haya visto en los últimos

veinte años.

Una narración en primera persona en la que el autor, combinando el rigor del

investigador, el valor del periodista y sobre todo el amor doloroso por su ciudad, nos

283 Término con el cual Saviano se refiere a la Camorra en su libro “Gomorra”, Mondadori 2006, en el capítulo “El

Sistema”: «Sistema, un término que aquí resulta familiar a todo el mundo, pero que en otros lugares es aún difícil de

descifrar, una referencia desconocida para quien no conoce las dinámicas del poder de la economía criminal. Camorra

es una palabra inexistente, de madero. Usada por magistrados y periodistas, por escenógrafos. Es una palabra que hace

sonreír a sus afiliados, es una indicación genérica, un término de estudiosos, ligada a una dimensión histórica. El

término con el que se definen los que pertenecen a un clan es Sistema: “Pertenezco al Sistema de Secondigliano». 284 Organización criminal desarrollada originalmente a mediados del siglo XIX en Sicilia. 285 Barrio de Nápoles.

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conduce en un viaje en los lugares donde esta organización nació y vive y de los

cuales saca a la luz una realidad inédita.

Una imagen clara y detallada, retratada directamente desde los lugares de los

atentados, de las tiendas y las fábricas de los clanes, a través de los ojos y de las

historias de personas que con la Camorra viven y conviven. Además, tomando

completamente parte en su proprio libro, Saviano nos confiesa que él mismo

participó en la descarga ilegal de mercancías en el puerto de Nápoles, “el agujero

del mapamundi”286, y que fue testigo de homicidios, atraído pero al mismo tiempo

“disgustado” por lo que veía ocurrir en su ciudad.

Nos habla de una tierra infectada, la Campania, donde van a parar casi todos

los residuos que escapan de los controles legales y donde las muertes por cáncer han

aumentado de un 21% en comparación con el resto del País 287 . Una región

caracterizada por una sensación generalizada de desconfianza a las autoridades, por

la falta de una política para resolver los graves problemas que afectan al Sur, por una

fuerte sensación de inseguridad personal y sobre todo por la falta de una verdadera

educación social.

Una decadencia acentuada por el contraste de la imagen de las villas de lujo de

jefes que buscan recordar a los de Hollywood y que, como Tony Montana en

“Scarface”288, están convencidos de que el mundo les pertenece y que tienen plena

libertad para manipular a la política, a la economía y a la sociedad de manera

funcional a su ganancia.

Saviano cita numerosos jefes mafiosos, hombres y mujeres. De cada uno nos

informa no sólo del nombre y del apellido, sino también del apodo que los identifica

aún más del nombre mismo, porque “el apodo para el jefe es como los estigmas de

un santo: la prueba de la asociación en el sistema”289.

Gomorra, entonces, es una obra de denuncia de lo que realmente sucede en

nuestro país, pero también es un mensaje de esperanza de un hombre que cree en un

286 Roberto Saviano, “Gomorra”, Debate 2007, capítulo “El puerto”. 287 Roberto Saviano, “Gomorra”, Debate 2007, capítulo “La Tierra de los Fuegos”. 288 “Scarface”, dirigido por Brian De Palma, USA 1983. 289 Roberto Saviano, “Gomorra”, Debate 2007, capítulo “El Sistema”.

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futuro en el que la palabra “Camorra” pertenecerá sólo a los libros y todos, inclusos

los que viven en Campania, tendrán la oportunidad de vivir normalmente, sin estar

sujetos a prejuicios debido a lo que ocurre en su tierra natal.

En 2008 Gomorra se convirtió en una película dirigida por Matteo Garrone,

quien elige una perspectiva objetiva, casi documental, en la cual el punto de vista es

al revés: el punto de vista es el del Mal y la muerte es la verdadera protagonista.

El director ha logrado la difícil empresa de adaptar la compleja novela de

Saviano seleccionando los episodios más significativos del libro, dando a la luz una

obra extraordinaria, de crudo realismo, que ha marcado una nueva etapa en la

historia de las adaptaciones de la página a la pantalla.

Él pone en escena la humanidad narrada en el libro en forma de un infierno

grotesco, con imágenes

oscuras, angustiantes,

tomadas directamente de

la vida en los barrios de

Nápoles y sobresalidas

por el sonido de los gritos

y disparos de Scampia290;

Garrone quiere

capturar la atención del

espectador tomándolo al

estómago y por la garganta, mostrando una tierra que grita más de los que caminan

sobre ella. En este sentido, se ha tomado una elección particular, pero muy eficaz: la

mayor parte de los personajes y el conjunto de la película nunca habían actuado

antes. Esta decisión responde al deseo del director de pintar al mundo de la Mafia de

la manera más realista posible y la inexperiencia de los actores, así como el uso del

dialecto local, han contribuido a dar un retrato verosímil de la región. El mal es algo

absolutamente normal, ya que así es en la realidad.

290 Barrio de Nápoles.

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La historia procede con un rechazo de los golpes de escena y de las trayectorias

típicas del género gánster. Los personajes parecen más hacer parte de una película

de terror: no tienen manera de escapar y se enfrentan a su implacable destino. El

espectador permanece apegado a la silla desde la primera toma, durante el curso de

los acontecimientos, acumulando tensión, siendo consciente de la tragedia

inminente. Los asesinos no son tan hermosos como en “Kill Bill”291, sino que son

feos, gordos, en sandalias; la vida no vale nada y la muerte apesta.

Garrone no quería hacer una película de protesta, no hay nombres o apellidos

de importantes miembros de la Camorra conocidos o no, no hay una lucha entre

buenos y malos a subrayar donde debe de colocarse exactamente la justicia.

Mientras la película está en los cines, los periódicos describen lo que sucede en

las calles de Nápoles y entre el cine y la vida real ya no hay ninguna diferencia. El

bien común no existe más, la salud colectiva está en riesgo, el interés que gana es el

económico, cueste lo que cueste, y todo está desfigurado en un impulso generalizado

de muerte.

Mirando a la película la realidad se despliega ante nuestros ojos, con su

crueldad, como si estuviésemos viendo un documental sobre los tiburones. Lo que

se quiere mostrar es la facilidad con la cual se puede quedar enredados en la red del

Sistema. Tal vez por razones económicas, sociales, ambientales o también porque

obligados. Hombres, mujeres, niños, todos están atrapados en el engranaje criminal,

peones del sistema, que viven su condición con resignada participación.

Ninguno de los protagonistas es un hombre de primer nivel del sistema, los

jefes son invisibles en casi toda la película, pero parecen igualmente una presencia

constante.

Un personaje significativo en la película es el de Roberto, figura que alude al

autor hasta con el nombre. Él es el joven aprendiz de Franco, un “stakeholder”

protagonizado por el actor Toni Servillo quien lo implica a él en la organización de

la eliminación ilegal de residuos tóxicos. En la película, Roberto permanece en

291 “Kill Bill”, dirigido por Quentin Tarantino, USA 2003.

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silencio. Sin embargo, su resolución sale a la luz cuando en la última escena se aleja,

por sí solo, dando las espaldas a Franco y a todo lo que éste representa. Quizás una

alusión al nacimiento de Gomorra como un acto de rebeldía, de diversidad.

Para Saviano, la serie televisiva fue la continuación natural de su proyecto

narrativo por las características de la televisión como medio comunicativo: “Con la

ficción puedo describir los mecanismos mostrando también lo que, por lo general,

no importa: como se organiza el contrabando de droga; como se prepara una

ejecución; como se manipulan las elecciones. Esta es la fuerza de las series

televisivas. Explican las cosas”292.

De hecho, la serie Gomorra, aunque se presenta como un texto de ficción y

utiliza algún retoque de invención narrativa, tiene muchas referencias con la realidad

y explica hasta el más mínimo detalle el funcionamiento interno de la mafia

napolitana.

Naturalmente los directores empezaron siempre desde el material primario

constituido por los hechos reales, reportados por Saviano en su libro, añadiendo

eventos aún más recientes y creando un producto de gran calidad de lenguaje,

estética y realismo, que nos arrastra en un abismo que ninguna imaginación puede

alcanzar.

La serie desarrolla una historia parecida en el mismo entorno camorrista

narrado por Saviano pero no es una adaptación fidedigna de la novela ni de la

película. El protagonista es el clan “Savestano” que controla el suburbio de

Secondogliano en la periferia norte de Nápoles y que está formado por el capo Don

Pietro293, temido y respetado en toda su zona de influencia, su mujer Imma294,

controladora en la sombra de todo su imperio y su único hijo Gennaro295, llamado

“Genny”, presentado inicialmente como un joven caprichoso y sin experiencia para

heredar las riendas del clan.

292 Roberto Saviano, traducido de una entrevista para “L’Espresso”, 12 Mayo 2016. 293 Protagonizado por Fortunato Cerlino. 294 Protagonizada por Ana Pía Calzone. 295 Protagonizado por Salvatore Esposito.

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La línea narrativa principal sigue los acontecimientos de la cotidianidad de esta

familia y los de la guerra que se estallará entre el clan y algunos miembros que eligen

una secesión. Primero de ellos, Ciro di Marzio296 , “el inmortal”, lugarteniente

principal de Don Pietro que aspira a ser el nuevo jefe.

Naturalmente, el de los “Savastano” es un clan ficticio que, sin embargo, parece

retratar específicamente unas características del grupo Di Lauro 297 , sea por las

características de algunos de sus miembros, sea por los eventos escenificados que

parecen retratar precisamente las dinámicas de una de las guerras de Camorra más

sangrientas de siempre: la que realmente sucedió entre los años noventa y dos mil

entre el clan Di Lauro y los llamados “escisionistas” que se separaron del mismo

clan.

La serie se estructura en dos niveles, por un lado tenemos la evolución personal

de cada uno de los cuatro protagonistas, que desde el principio al final de la serie

sufren unos cambios brutales y acaban siendo unas personas completamente

diferentes de las que vimos al principio. Por otro lado, en cada capitulo se nos

muestra, a través de diversos personajes secundarios, los diferentes aspectos

“empresariales” de esta organización criminal.

Una disección de la Camorra muy puntillosa, que trata en cada episodio un

tema, desde los viejos gladiadores hasta los sistemas de reclutamiento de niños para

la causa, pasando por los tentáculos financieros, políticos, de compra y distribución

de la mercancía y ramificaciones en el exterior.

Respecto a la técnica narrativa, esta ha sido diseñada para no crear empatía con

ningún personaje. El director, Stefano Sollima, en este sentido dice: “Esta decisión

ya había sido concebida en principio, antes de que los periódicos nos atacaran con

frases como “atención a ensalzar la belleza del mal”. A mí, francamente, me hacían

sonreír, porque sabía lo que iba a ser transmitido. Pensaba: No es así. Siéntense,

296 Protagonizado por Marco d’Amore. 297 Clan camorristico que tiene su raíces en el barrio de Secondigliano y del cual Saviano habla en su libro

“Gomorra”.

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tranquilos, miren la serie y veréis que nada es lo que pensabais. Mi ambición era la

de crear una serie que tenía un contenido fuerte y que no era sólo entretenimiento”298.

Debido a esto, Gomorra no es una serie que se puede ver distraídamente, tiene

que ser digerida un episodio tras otro con los personajes que, como en la vida,

evolucionan, crecen, mutan y se muestran en todas sus contradicciones.

298 Traducción personal: Stefano Sollima, “Intervista a Stefano Sollima”, “Nocturno.it”, 26 de Agosto de 2015.

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CAPÍTULO II

GOMORRA, UN TERREMOTO CULTURAL, SOCIAL Y CIVIL

“Con Gomorra no pretendía tener éxito, sino cambiar las cosas, despertar a la

gente, obligándola a ver la horrenda realidad no tan oculta”299

El valor principal de este best-seller consiste en haber sacudido profundamente

el paisaje cultural y social, afectando algunos aspectos de la sociedad

contemporánea. De hecho, antes de su publicación, la imagen que el público tenía

del crimen Napolitano y en general de la mafia italiana era bastante unilateral y

simplificado. Los periódicos locales y nacionales publicaban artículos sobre

homicidios o otros actos de violencia conectados a la Camorra, centrándose

exclusivamente en los delitos y no en el fenómeno complejo que está detrás: una

entidad feroz, incapaz de perdonar y que no tiene miedo de derramar sangre inocente

durante una de sus muchas guerras.

Gracias a Gomorra hemos sido inundados de artículos, libros, ensayos y

películas que nos hablan de la Camorra de una manera mucho más exhaustiva y

completa y finalmente se difundió la idea de que la Camorra, así como todas las

299 Traducción personal: Roberto Saviano, “Voglio sposarmi: sarà la mia vittoria e la mia vendetta”, “Corriere della

Sera”, 9 de Junio de 2009.

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mafias, no es un problema limitado a una región, sino una potencia internacional que

tiene una red de tráfico y inversiones en todo el mundo.

Esto ha sido posible porque, paso a paso, Saviano ha encontrado la manera de

fijar en la memoria colectiva los detalles de la historia y de la filosofía de la Camorra.

El autor se presenta como un moderno Caronte, que desde la primera imagen,

en el muelle Bausan, nos transporta a través de la “perdida gente”300 en la “ciudad

doliente”. Es, ciertamente, una forma diferente de narrar el cuento de Italia, que te

obliga a enfrentarte al mal, con los ojos bien abiertos; una mirada directa y

transparente, que sin embargo ha sido criticada por el mundo político.

El libro, así como la película y la serie, recibió críticas por haber dado

demasiada publicidad a la mafia, dañando la imagen internacional de Italia. Sin

embargo, a estas acusaciones Saviano responde con una pregunta: “¿Si digo que algo

está mal, estoy haciendo mal o bien a Italia?”301 y continua: “Quien habla del mal es

tratado peor que los que el mal lo hacen, escribió Leopardi, hace dos siglos”302.

Las críticas continúan también hoy, cuando Saviano es atacado abiertamente

por el alcalde de Nápoles, Luigi De Magistris, quien lo acusa de hacer éxito “con los

disparos de la Camorra”303 y le aconseja de informarse mejor y no juzgar y criticar

a una tierra que no conoce, para concluir diciéndole: “no tengas miedo. Ten

coraje”304. Consejos absurdos, ya que se refieren a un hombre nacido y crecido en

tierra de Camorra y que ha tenido el coraje de sacrificar su libertad para hablar de

ella.

Gomorra nos enseña a “comprender qué significa lo atroz, no negar su

existencia, afrontar sin prejuicios la realidad” 305306.

Sin embargo, nunca ha sido fácil para un escritor contar verdades incómodas y

no sólo en el pasado, cuando la censura impedía la propagación de las opiniones a

300 Dante Alighieri, “La Divina Comedia”, Tercer Canto. 301 Traducción personal: Roberto Saviano, “Il genere umano non odia mai tanto chi fa male, né il male stesso,

quanto chi lo nomina”, “Fanpage.it”, 29 de Mayo de 2013. 302 Roberto Saviano, traducido de una entrevista para “L’Espresso”. 303 Traducción personal: De Magistris, Facebook, 5 de Enero de 2017. 304 Traducción personal: De Magistris, Facebook, 5 de Enero de 2017. 305 Filósofa, historiadora y escritora, alemana. 306 Hannah Arendt, “Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil”, 1963.

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contracorriente: el coraje se paga también hoy. Un libro puede condenarte a muerte,

como ocurrió a Salman Rushdie307, por haber publicado “Los versos satánicos”308,

o puede condenarte a vivir bajo custodia, como Saviano, obligado a moverse de un

lugar a otro y a vigilar sus espaldas día tras día, en una especie de final anunciado.

La Camorra, al igual que todas las asociaciones mafiosas, no admite oposición:

quien se opone viene eliminado físicamente o se destruye su existencia como

individuo social. Te convierten en un “hombre marcado” 309 , un objetivo, una

probable víctima. Saviano afirmó: “a mí los camorristas me dijeron “t’amm fatt il

cappotto di legno”, te hemos cerrado en la tumba sin matarte”310.

Sin embargo, en el caso de Saviano, las primeras amenazas no fueron

pronunciadas cuando el autor comenzó a publicar sus primeros reportajes, ni cuando

escribió su libro, sino sólo cuando el autor participó en una comicio en su país, Casal

di Príncipe311, el 23 de septiembre de 2006, durante el cual insultó públicamente al

jefe del barrio: es decir cuando alguien, por primera vez, se permitió atacar en

primera persona el control de un territorio que, como es para los animales, “está

marcado”. Entonces, los jefes de la Camorra condenaron a muerte Saviano porque

saben que el despertar de las conciencias puede destruirlos, mucho más que un

redada. A veces lo que no se perdona no es el gesto de la denuncia en sí, sino el éxito

y la difusión que esa provoca. Saviano afirma: “Me preguntan cómo pueden las

palabras infundir miedo a las organizaciones criminales. Pero lo que da miedo no

son las palabras, ni el hombre que escribe, sino las muchas personas que escuchan,

los ojos que leen una historia, los muchos idiomas que la contarán”312.

El final de Gomorra parece ser casi una profecía de estas desventuras

personales que lo han envuelto por su coraje. De hecho Saviano termina su libro con

una citación cinematográfica, que quizás se repite a sí mismo cada día: “Tenía ganas

307 Escritor anglo-indiano. 308 Salman Rushdie, “The satanic Verses”, 1988. 309 Traducción personal: H. Farrell, “Underworlds”, “The Nation”, 21 de Noviembre de 2007. 310 Traducción personal: Roberto Saviano, “Saviano: Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 5 de

Mayo de 2016. 311 Barrio de Nápoles. 312 Traducción personal: Roberto Saviano, “Vieni via con me”, Feltrinelli 2011.

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de gritar, quería desgañitarme, yo quería partirme los pulmones, como Papillon313,

con toda la fuerza del estómago, quebrándome la tráquea, con toda la voz que la

garganta podía bombear, “¡Malditos bastardos, todavía estoy vivo!”314

313 “Papillon”, dirigido por Franklin J. Schaffner, USA/France 1973. 314 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capítulo “Tierra de los fuegos”.

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CAPÍTULO III

GOMORRA EN EL MUNDO

“Y comprendí que esta es mi damnación, que este es el precio que pensaba el

diablo nunca habría cobrado. Una damnación que te condena cuando tu palabra

llega lejos, cuando se convierte en semilla”315

Desde su publicación Gomorra se convirtió inmediatamente en un fenómeno

editorial que, gracias a su fuerza innovadora y disruptiva, ha cruzado las fronteras

italianas invadiendo todo el mundo con un singular “efecto Gomorra”, una

resonancia internacional tan fuerte que fue capaz de dar una importancia y una

actualidad inesperada al tema “mafia”.

En los Estados Unidos Gomorra fue catalogado por el periódico “The New

York Times” como el único libro italiano en el ranking de los 100 libros más

importantes del 2007, definiéndolo “un grito literario que hace los nombres de los

asesinos y de los asesinados”316 y incluyéndolo en la categoría de “no ficción”. Esta

decisión le da a esta obra la importancia que se merece y expresa la credibilidad de

su contenido y sus denuncias.

El clamor arrolló también a la película Gomorra, considerada la mayor

revelación del año, que tuvo inmediatamente un gran éxito con el público, visto por

más de dos millones de espectadores, y gracias a la cual el director Matteo Garrone

ganó el Gran Premio del Jurado al Festival de Cannes de 2009, con la siguiente

afirmación: “Gomorra es una película de gran compromiso civil”317.

Cinco años más tarde, la serie televisiva tenía naturalmente el peso de las

expectativas y no podía decepcionar. Producida por Sky Italia, está dirigida por

Stefano Sollima y otros tres directores: Claudio Cupellini, Claudio Giovannesi y

Francesca Comencini. Para la producción se necesitaron 32 semanas de filmación,

315 Traducción personal: Roberto Saviano, “Dieci anni di Gomorra”, in “Gomorra”, Mondadori 2016. 316 Traducción personal: Ian Fisher, “An Italian Author Driven Into the Shadows by Success”, “New York Times”, 3

de Noviembre de 2007. 317 Traducción personal: Maurizio Caverzan, “Ministri, guardatevi Gomorra”, “Il giornale”, 20 de mayo de 2008.

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400 set, 200 actores y tres mil extras. “Un esfuerzo enorme”318, dice el productor

Riccardo Tozzi, “para respetar los dos puntos fuertes de la serie: ser un arquetipo

universal y comprensible en todo el mundo y ser realistas hasta el detalle”319.

La serie está rodada directamente en los lugares que se muestran, con un

espíritu neorrealista, y por esto ha producido un choque en la opinión pública

internacional, acostumbrada a ver las series filmadas en los estudios.

Sin embargo, los directores nunca dieron por sentado el éxito: “Nos dijeron que

una serie napolitana no se la hubiese mirado ni siquiera en Roma, pero nos llevamos

un riesgo y aquí están los resultados”320. Con estas palabras el vicepresidente de Sky

Italia, Andrea Scrosati, presentó la serie comenzada como una apuesta y que, a pesar

del uso del dialecto y el reparto poco conocido, ha conquistado al mundo.

El éxito internacional trajo consigo la necesidad de traducir esta obra que, como

se puede imaginar, siendo arraigada en un específico contexto socio-cultural plantea

diversas dificultades. Desde este punto de vista un traductor experto no sólo debe

ser “un profesional bilingüe, sino también bicultural (si no multicultural) que trabaja

con y dentro de una infinita variedad de áreas de experiencia”321. Para traducir

Gomorra no se puede simplemente “traducir” un término de un idioma a otro, sino

que es necesario también “transferir” los conceptos de una cultura a la otra, ya que

se exportan situaciones y discursos profundamente atados a un contexto local

específico hacia contextos geográficos y sobre todo culturales muy diferentes.

Por ejemplo, hablando de los lugares mencionados en el libro, éstos son por

supuesto esenciales dado que es un libro-reportaje y no son sólo un fondo sino que

parte integral de la narración.

Además, la mayoría de estas referencias geográficas, con la exclusión de las

referencias macroscópicas a países como China, España y Escocia, no sólo requieren

318 Traducción personal: RiccardoTozzi, “Gomorra la serie, con Ciro e Genny il viaggio dello spettatore

nell’inferno della camorra”, “L’Espresso”, 9 de Mayo de 2016. 319 Traducción personal: RiccardoTozzi, “Gomorra la serie, con Ciro e Genny il viaggio dello spettatore

nell’inferno della camorra”, “L’Espresso”, 9 de Mayo de 2016. 320 Traducción personal: Andrea Scrosati, “Andrea Scrosati: Gomorra e le serie glocal sbancano il mercato

televisivo”, “Leggo.it”, 10 de Mayo de 2016. 321 Traducción personal: M. Snell-Hornby, “The professional translator of tomorrow: language specialist or all-

round expert?”, in “Fundamental Aspects of Interpreter Education”, John Benjamins Publishing 2004.

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un conocimiento topográfico general de Italia, sino también una familiaridad con

ciertas áreas urbanas y suburbanas. Con respecto a esto, algunas editoriales

extranjeras han decidido incluir un mapa de Italia y de Campania, con amplificación

en escala, para ayudar al lector a situar visualmente los lugares principales que se

mencionan en el libro.

“El sol ha dejado de iluminar las provincias de Nápoles y Caserta, imposible

iluminar esta tierra oscura y extranjera hasta el punto de que los italianos

necesitan subtítulos para descifrarla”322

Otra peculiaridad de Gomorra es, sin duda, el uso del dialecto. En el libro

Saviano lo utiliza sólo en algunas ocasiones, como para hablar de los apodos de los

jefes o para reportar directamente las citas. En la película y en la serie el dialecto se

convierte en lengua dominante.

En la serie, en particular, se ha hecho un trabajo cuidadoso para intentar

equilibrar la necesidad de realismo con la comprensión del público: porque escuchar

un intercambio entre un traficante de droga y sus clientes en un italiano perfecto no

hubiera tenido sentido, pero tampoco se podía llegar al exceso utilizando un

napolitano tan marcado como para llegar a ser incomprensible para la mayoría. Por

esta razón los textos han sido adaptados dejando en italiano sólo unas pocas palabras

clave, de manera que el discurso general se pueda aún entender. Sin embargo,

muchos han optado por utilizar los subtítulos en italiano proporcionados sin demora

por Sky.

El dialecto napolitano tiene una característica que lo distingue más que

cualquier otra cosa y que atrajo a los directores de Gomorra: su musicalidad. Ellos

no estaban interesados en presentar simplemente el verdadero dialecto napolitano,

sino en explotar su musicalidad lingüística para acompañar, hacer interactuar y

chocar los diversos personajes: el tono tranquilo y áspero de Genny; la elegancia de

322 Traducción personal: Francesco Nardi, “Corriere del Mezzogiorno”, 20 de Mayo de 2008.

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efecto de las frases de Conte; la velocidad con enfoque en las últimas sílabas de Ciro

Di Marzio; las largas pausas y linealidad de Pietro Savastano; la energía y la anarquía

de O'Track, símbolo de los jóvenes emergentes que utilizan un lenguaje mucho más

rápido y menos comprensible, casi a subrayar la diferencia generacional.

La inflexión sucia, vulgar y a veces incomprensible ayuda a crear la sensación

de estar en esas calles, en los decadentes edificios de viviendas populares, en los

barrios pobres y abandonados en las manos de los jefes. Esto es lo que marca la

diferencia cualitativa que pone esta producción por encima de el estándar de las

series producidas hasta la fecha.

Los espectadores estaban acostumbrados a un tipo de actuación perfecta, sin

acento, la de una escuela de teatro en la cual el dialecto se utiliza a menudo para

caracterizar una situación cómica. Contrariamente, en Gomorra el dialecto es el

idioma oficial de la delincuencia y el italiano es el idioma del enemigo, la autoridad,

el Estado; de todas esas instituciones que teóricamente deberían detener, o por lo

menos contrarrestar, la expansión y los intereses de las organizaciones criminales.

La Camorra sembra el pánico en las calles, 27 Noviembre 2016.

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CAPÍTULO IV

GOMORRA, LA REALIDAD SUPERA A LA FICCIÓN

“La estrategia de la serie televisiva es no tomar partido por ningún personaje. El

objetivo es hacer protagonista el mecanismo, las relaciones de poder. La

verdadera estrella es la realidad. Esta fue y es mi obsesión”323

Uno de los temas más controvertidos e interesantes que giran en torno al

fenómeno “Gomorra” es sin dudas la relación entre lo que es ficción y lo que es la

vida real en los barrios de Nápoles narrados por Saviano. Al respecto, las posiciones

tienden a polarizarse entre dos extremos: algunas personas piensan que la serie da

una imagen demasiado negativa y “alterada” de Nápoles, presentando clichés y

estereotipos, mientras que otros, en cambio, consideran Gomorra como un ojo que

permite observar, a pesar de los filtros del cine, una realidad lejos de la ficción y

plenamente conforme con la verdad.

Hablando de verdad, las referencias a los acontecimientos y personajes reales

en el libro son sin dudas explícitas y a menudo demostradas por el autor con fuentes

y pruebas irrefutables y, de la misma manera, la película es abiertamente marcada

sobre un estilo documental. Pero tenemos que hacer una discusión más detallada con

respecto a la serie que, si bien utiliza la invención para manipular parte de la realidad,

teje constantes referencias a hechos, contextos y personajes reales, jugando así de

forma explícita con la competencia del espectador.

Episodio tras episodio los detalles acercan los protagonistas del drama a

algunos conocidos protagonistas de la delincuencia de Nápoles y entonces te das

cuenta que la brutalidad de estos hombres es todo lo contrario de la ficción.

Un claro paralelismo se puede detectar entre la figura del jefe Pietro Savastano

y la del real Paolo Di Lauro, y entre Genny y Cosimo Di Lauro, hijo mayor de Paolo

Di Lauro. Estos personajes parecen tener mucho en común con sus referentes reales,

323 Roberto Saviano, “Parla Saviano: «Gomorra? È la realtà negata dai politici»”, “Corriere della Sera”, 24 de

Mayo de 2016.

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sea en el modo de actuar que de pensar y, además, los dos chicos parecen reflejarse

uno en el otro incluso en su preferencia por la ropa oscura y por el cuero negro.

Más allá de las figuras de los personajes principales, en la serie, se encuentran

también algunos particulares expertamente cosidos y amalgamados que representan

la vida real de Nápoles y sus barrios: la organización del tráfico de droga en pleno

día y en medio de la indiferencia de los transeúntes; las muchas personas en fila

afuera de la prisión que en silencio dejan pasar por delante la mujer del jefe; el uso

de campos de tiro como coartada para los asesinos; el pago mensual distribuido a las

familias de los afiliados muertos o detenidos; las fraudes electorales orquestadas por

el clan en sus propios pueblos; los jefes que rezan en la iglesia antes de ordenar una

matanza.

En el curso de la serie se encuentran también las que podemos llamar

“citaciones visivas”, como la secuencia de apertura del segundo episodio en la que

se muestra el puerto de Nápoles con un contenedor que balancea de una grúa, una

imagen que recuerda las palabras de apertura de la obra de Saviano.

Puerto de Nápoles.

Hoy en día el público parece cada vez más atraído por las historias que por las

noticias y mucho más por los problemas sociales impresos en imágenes “ficticias”

que por los que se ven publicados sobre un informe. Por esta razón, los directores

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han optado por presentar un fenómeno complejo como la Camorra a través de la vida

personal y cotidiana de una clásica familia camorrista, mostrando antes la cúspide

del poder de su clan y, luego, el siguiente punto de ruptura con el cual todos, tarde o

temprano, tienen que enfrentarse en este ciclo infinito que es la Camorra.

“Es la guerra. Nadie entiende como se luchará, pero todos saben con certeza que

será terrible y larga”324

La guerra de Secondigliano fue una guerra sin piedad, protagonizada por la

figura de Paolo Di Lauro, conocido como “Ciruzzo 'o milionario”325.

Este jefe fue capaz de monopolizar el tráfico de droga en Nápoles y de realizar

su mayor sueño, el de hacer de Scampia la “plaza de droga” más grande de Europa,

embasteciéndose directamente de los carteles sudamericanos y aliándose con los

carteles albaneses para la distribución en grande escala.

Por casi unos 20 años Di Lauro fue conocido como “el jefe fantasma” ya que

nunca se mencionaba su nombre y, a pesar de los esfuerzos de la policía, no se podía

conocer su identidad. Parecía imposible afectar esta perfecta pirámide escondida,

pero las cosas cambiaron rápidamente cuando, tras la muerte de su hijo Domenico,

el jefe decidió retirarse y dejar el mando a su hijo Cosimo, llamado “il corvo” [“el

cuervo”] dado su estilo muy similar al del protagonista de la película “The Crow”326.

Bajo el mando de Cosimo se levantaron las primeras decepciones entre los

miembros principales del clan, “la vieja guardia”327, y el equilibrio del clan inició a

vacilar.

El joven jefe dio más espacio y poder a los jóvenes “guaioncelli” 328 que

constituían su “banda”329 y, para afirmar su autoridad y poder, decidió salariar a

todos, creando así una especie de dependencia; una decisión en contraste con la línea

tomada anteriormente por su padre.

324 Roberto Saviano, “Gomorra”, Debate 2007, capítulo “La guerra de Secondigliano”. 325 Apodo dado por el jefe Luigi Giuliano, llamado "o’ re". 326 “The Crow”, dirigido por Alex Proyas, USA 1994. 327 Expresión utilizada para referirse a los veteranos del clan. 328 Término napolitano para referirse a los jóvines. 329 Término utilizado de los criminales para referirse a su proprio grupo criminal.

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En ese momento, Lello Amato dicho “la vicchiarella”, ex mano derecha de Di

Lauro, y sus fieles comenzaron a tomar las plazas de tráfico por la fuerza, tejiendo

su propia red de narcotráfico con España.

Comenzaron así las primeras traiciones y las primeras matanzas que llevaron a

la guerra. Fue el inicio de una guerra “sin respeto” y sin piedad que dio lugar a más

de 100 muertes en un año, hasta el punto de que no se usaba más el término “guerra”

sino “Vietnam”. Coches quemados, cadáveres detrás de cada puerta, varios

asesinatos en un solo día, una sola hora. Un macabro juego de ida y vuelta de plomo.

Hermanas, hermanos, padres, primos; nadie se salvó, porque ante la duda la elección

era siempre la de matar.

Después de 2 años de emboscadas y homicidios el clan Di Lauro pareció

derrotado, forzado en los confines

del “Parco dei Fiori”330, conocido

como el “Tercer Mundo”. Es un

barrio enorme cuyo apodo hace

intuir su situación, así como la

inscripción que se encuentra en la

entrada de la calle principal:

“Barrio Tercer Mundo, no entre”.

Sin embargo, algún tiempo más

tarde llegaría la noticia de un pacto331 entre el clan y los “scissionisti”.

El 21 de enero de 2005, una operación de la Antimafia llevó al arresto de

Cosimo Di Lauro, seguido poco después por su padre Paolo. Pero, a veces, el poder

de un jefe no termina aun si éste se encuentra detrás de las barras.

A menos de veinticuatro horas de la detención del jefe Di Lauro, se encontró el

cadáver torturado de Edoardo La Monica. El mensaje impreso en la carne estaba

claro para todos: “cortadas las orejas con las que él oyó, sacados los ojos con los que

330 Barrio de Nápoles. 331 Los términos de ese pacto fueron publicados en el periódico “Cronache di Napoli”, el 27 de junio de 2005.

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vio, rotas las muñecas con la que tomó el dinero, cortada la lengua con la que habló”.

Una violencia única y un ritual reservado sólo a los que son culpables de una traición

muy grave.

La Camorra no acepta traidores. Incluso la sola sospecha te convierte en un

hombre muerto. Lo mismo le sucede a los arrepentidos.

Uno de los primeros arrepentidos de esa guerra y probablemente el más

importante dada la cantidad de arrestos a los que han llevado sus confesiones es

Maurizio Prestieri. Para la Camorra, los arrepentidos son infames, muertos vivientes.

En cambio para la policía ellos representan un arma, el as en la manga que puede

llevarlos al corazón de un clan, a sus tráficos, a sus relaciones comerciales, a sus

puntos de interés y a sus mecanismos.

Algunos eligen arrepentirse para salvarse la vida, algunos para obtener una

reducción de sentencia, otros porque no ven otra alternativa para salir de ese infierno.

Actualmente, otro hijo del boss Paolo Di Lauro, Marco Di Lauro, prófugo desde

2004, es considerado la cabeza del clan.

Saviano escribe: “el sistema se ha expandido y rejuvenecido. Los líderes

actuales tienen veinte años”332.

Por desgracia cuando un jefe llega al poder, después de poco tiempo nuevas

figuras emergerán para tomar su lugar, reforzándose y caminando sobre los hombros

de los mismos gigantes que los han creado. Porque la Camorra es un Ouroboros, un

serpiente que se muerde la cola, y en este sentido cada parada, “maxi-proceso” o

embargo es más un interrumpir una fase que una acción capaz de destruir un sistema.

“En la nariz me habían quedado los olores; no sólo el olor a serrín y sangre, ni

el de la colonia de los niños soldados sobre mejillas sin pelo, pero sobre todo los

sabores de los perfumes femeninos”333

Un paréntesis interesante, abierto por Saviano en su libro, es el de las mujeres

al poder. El autor nos presenta el lado femenino de la Camorra revelando como las

332 Roberto Saviano, “Gomorra”, Debate 2007, capítulo “La guerra de Secondigliano”. 333 Roberto Saviano, “Gomorra”, Debate 2007, capítulo “Mujeres”.

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mujeres están siempre presentes en las dinámicas de los clanes. Él explica como para

muchas mujeres casarse con un hombre de Camorra es como recibir un préstamo,

como un capital adquirido. Si tendrán suerte, ese capital rendirá y podrán beneficiar

de un poder ilimitado y tal vez aspirar a convertirse en empresarias o dirigentes. Pero

también puede ser que las cosas salgan mal y así se encontrarán a pasar horas y horas

en la sala de espera en una cárcel y a esperar al “submarino”, que el 28 de cada mes

distribuye los pagos mensuales a las familias de los afiliados en prisión.

En los últimos años la transformación del mundo de la Camorra ha dado lugar

también a una metamorfosis del papel femenino, que de madre y mujer se ha

convertido en una figura empresarial. Son mujeres duras. Sin alma. Su belleza es

marcada, a menudo vulgar, y “tiran sobre la mesa” su sensualidad en pleno gesto de

desafío hacia el mundo.

Ellas viven a la sombra de sus maridos, padres y hermanos, pero están listas

para ser líderes, para comandar y emitir órdenes de muerte, como los hombres y aún

peor que ellos, como en el caso de Donna Imma; o pueden ser simples compañeras,

aliadas, como Patrizia; o auténticas jefas de la hampa como Chanel.

Ésta última es una hiena y lo quiere ser: áspera, desconfiada, feroz, se convirtió

en una “regente” del tráfico de Scampia en lugar de su hermano, Zecchinetta, muerto

por mano de los jóvenes guaglioni de Genny. Algunas personas piensan que su

figura se ha inspirado en la vida de María Licciardi, llamada “a piccerella”, hermana

de Gennaro “a scigna”, convertida en líder de la Alianza de Secondigliano y que está

actualmente en prisión. Pero el personaje de Chanel parece acercarse también a la

figura de Anna Mazza, viuda del padrino de Afragola334 y conocida como “la viuda

negra de la Camorra”335.

Diferente es la figura de Marinella, mujer del hijo de Chanel. En ella vemos

una faceta diversa de éstas mujeres. Marinella es una mujer de Camorra a su pesar,

334 Municipio de la Campania. 335 Roberto Saviano, “Gomorra”, Debate 2007, capítulo “Mujeres”.

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que vive como prisionera en un mundo donde es fácil entrar pero casi imposible

salir.

“En el sistema Camorra el homicidio es necesario, es como un depósito en el

banco, como la compra de un concesionario, como interrumpir una amistad. [...]

Pero matar a un sacerdote, externo a las dinámicas del poder, hacía flotar la

conciencia”

Una herida incurable de estas guerras son las numerosas víctimas inocentes que

dejan en su camino.

Era el marzo de 1994, Saviano tenía dieciséis años cuando asistió al funeral de

Don Peppino, cuyas palabras asustaron al jefe de zona más que una redada de la

Antimafia. Lo mataron por su valor, porque levantó la cabeza y se atrevió a escribir:

“Por amor de mi pueblo no callaré”336. En su figura se reflejan los muchos casos de

personas que fueron asesinadas “por error” o “comodidad”.

En su libro Saviano nos cuenta de Annalisa Durante, una niña de catorce años

muerta en Forcella337, el 27 de marzo de 2004, durante un tiroteo; Attilio Romano,

matado en Nápoles el 24 de enero de 2005 de la mano de tres asesinos por un error

de identidad; Dario Scherillo, otro “error”, asesinado el 26 de diciembre de 2004;

Gelsomina Verde, veintidós años, torturada, asesinada y quemada el 21 de

noviembre de 2004 sólo porque románticamente vinculada a un joven scissionista,

Gennaro Notturno.

Por desgracia, para la Camorra los miembros de la familia, los amigos, los

amores y los afectos son sólo “mapas”: útiles para poder hallar a la persona que se

está buscando.

336 En 1991 Don Peppino Diana, el sacerdote del barrio napolitano “Casal di Principe”, escribió e hizo circular una

carta pidiendo un compromiso cívico contra la Camorra. Tres años más tarde fue asesinado en su parroquia. 337 Barrio de Nápoles.

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Gelsomina, llamada Mina, gana un lugar en la serie a través del personaje de

Manu, casi un juego de palabras; el vínculo se

ve claramente declarado en el título del

episodio, que es precisamente “Gelsomina

Verde”; un título que no invoca ningún

elemento del episodio y que debería empujar

al espectador a investigar su origen.

A diferencia del libro, el espectador de la

serie conoce antes un niño que se deja

contratar por parte de un mafioso y sólo

después entra en contacto con la ligereza de la

novia de él, quien era completamente ajena a

ese mundo. En esta representación se revela

también otro problema social que en el libro no es más que un velo entre las líneas:

la falta de conciencia de los jóvenes de lo que implica trabajar para un clan y su

fragilidad de frente a la atracción que este último ejerce con su poder económico y

social.

El tema de los “baby killer” es uno de los más importantes tratados por Saviano,

tanto que empujó al autor a

dedicarle un libro entero:

“La Paranza de los

niños” 338 . En este libro

Saviano nos habla de niños

sin futuro, que no temen ni

la cárcel ni la muerte

porque saben que “el dinero

lo tiene el que se lo agarra”.

338 Roberto Saviano, “La paranza dei bambini”, Feltrinelli 2016.

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No tienen más de quince años y vuelan con sus motocicletas a través de los

callejones a la conquista de Nápoles.

Son vigías, pero quieren llegar

a ser correos y después asesinos,

convertirse en afiliados, con el

sueño de ser jefes, y morir como

verdaderos hombres: morir

asesinados.

En la película Gomorra

conocemos a Totò y Simone, dos

niños a través de los cuales el

director quiere representar los

muchos jóvenes soldados de la

Camorra. La historia de estos dos

niños, una historia real, ayuda

también a entender el clima en el

cual se vivía durante la guerra de

Secondigliano y cuanto fuese

interiorizada la lógica de esa lucha camorrística. Simone le dice a su amigo que ya

no pueden verse y jugar juntos porque se ha convertido en scissionista, entonces

ahora es enemigo de Totò y está listo aún a matarlo si necesario.

El 30 de noviembre de 2016 ha sido divulgado el servicio documental de

Michele Santoro: “Robinù”339. Se trata de un documental sobre las historias de

algunos jóvenes inmersos en un nihilismo sin expectativas y sin remordimientos.

Historias reales como la de Michele, enamorado de la ametralladora, “u

kalà”340: “con eso en mano no tengo miedo de nada. 33 balas, es como caminar

blindado”341.

339 “Robinù”, dirigido por Michele Santoro, ITA 2016. 340 Término napolitano para “Kalashnikov”. 341 Traducción personal: Michele Mazio, “Robinù”.

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Jóvenes reales que disparan aún antes de cumplir quince años y raramente

llegan a los treinta, porque para llegar a ser comandante hay que disparar más que

los otros, matar antes de que te maten, hay que asesinarlo al jefe precedente y a los

rivales que tienen la misma ambición.

Ellos son niños fuera de control, sin familia y sin la más mínima confianza en

las instituciones, jóvenes que acaban cayendo en la red de la delincuencia no sólo

por motivos económicos, sino sobre todo culturales y sociales. El sistema los atrapa

y los explota para sus propios intereses, teniendo como fuerza la situación de

debilidad y necesidad que maduran en el deterioro de algunos barrios.

De este punto de vista, las controversias sobre la posibilidad de que el libro, la

película y la serie induzcan a una emulación es sólo fruto de falso moralismo.

Estas personas no están emulando algo que leen en un libro, o que ven en la

televisión, sino algo que ven ocurrir en sus calles y que desafortunadamente es parte

de sus vidas y Gomorra es y será siempre un documento invaluable, que por décadas

seguirá siendo testigo de un período indeleble y un drama imposible de borrar.

Scampia, barrio de Nápoles, “Le Vele”.

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FILMOGRAFIA

“Gomorra”, la serie, regia di Stefano Sollima, Francesca Comencini, Claudio

Cupellini, Claudio Giovannesi, stagioni 2014/2016.

“Gomorra”, regia di Matteo Garrone, 2008.

“Goodfellas”, regia di Martin Scorsese, USA 1990.

“Il camorrista”, regia di Giuseppe Tornatore, 1986.

“Kill Bill”, regia di Quentin Tarantino, USA 2003.

“Lord Of War”, regia di Andrew Niccol, USA 2005.

“Papillon”, regia di Franklin J. Shaffner, USA 1973.

“Pulp Fiction”, regia di Quentin Tarantino, USA 1994.

“Robinù”, regia di Michele Santoro, 2016.

“Scarface”, regia di Brian De Palma, USA 1983.

“Taxi Driver”, regia di Martin Scorsese, USA 1976.

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http://www.metropolisweb.it/news/dalla-realt-alla-fiction-morti-innocenti-di-camorra-e-

gomorra/12323.html