Scuola-famiglia: per un’educazione dell’affettività · ristorante, in chiesa o al teatro,...

24
•••••••••••••••••••••••••••••••••••• ••••••••••••••••••••••••••••••••••• ••••••••••••••••••••••••••••••••••• •••••••••••••••••••••••••••••••••••• Un grande evento culturale sul territorio Un evento memorabile per la partecipazione, per il contenuto e per quello a cui ha dato avvio è il convegno del 7 Novembre 2015, or- ganizzato dall’Istituto comprensi- vo “L’Aurora”, in collaborazione con il Decanato di Cernusco s/N. e l’adesione di sette scuole dell’in- fanzia e di sei associazioni ope- ranti sul territorio. L’Auditorium dell’Istituto è strapieno. Sono pre- senti più di 150 persone. Il titolo “Scuola-famiglia: per un’educazio- ne dell’affettività” è un program- ma di lavoro di tutto un anno, anzi dell’intero percorso scolastico. E difatti viene presentato in questi termini dal prof. Rosario Mazzeo – Rettore dell’Istituto L’Aurora. “La famiglia, primo soggetto educativo, - introduce il Rettore - e la scuola, agenzia dell’educazione mediante l’istruzione, sono chiamate a cercare, focalizzare e verificare delle risposte a due questioni che riguardano il cammino dell’uomo in quanto tale. La prima: Qual è la natura dell’affetti- vità? Cosa è affettività nell’esperienza di un bambino, di un ragazzo, di un adulto? Da dove prende origine? Dove tende? La seconda: Come educare l’affettività in un contesto di relativismo e di gaio nichi- segue a pag. 4 EDITORIALE Buon Natale, Buon anno! «Canta e cammina» è la frase chiave dell’anno scolastico 2015-2016. La leg- giamo entrando nell’atrio de L’Aurora sulla destra. È una frase di sant’Ago- stino che papa Francesco riprende nella sua ultima enciclica. Ma si può “cantare” in una situazione d’in- sicurezza, di terrore, di oscuramento dei fondamenti, in cui siamo immersi a livello sociale e spesso anche famigliare? Come si fa a “cantare” quando da un momento all’altro, a scuola o al lavoro, in casa o al ristorante, in chiesa o al teatro, pazzi fanati- segue a pag. 8 Scuola-famiglia: per un’educazione dell’affettivitàQuesta strada è proprio quella pensata per me ::: LUCIA MOSCOTTI, SOFIA MOI IntervIsta al vIcerettore sImona albertazzI. Da quest’anno la professoressa Simona Albertazzi è diven- tata Vicerettore dell’Istituto L’Aurora dopo anni trascorsi segue a pag. 8 Venite a laudare ::: MIRELLA CASTELLI Anche quest’anno l’Istituto ha scelto di riproporre il gesto del Pre- sepe Vivente, avendo negli occhi le immagini dell’esodo dei migranti. Quando all'inizio dell'Avvento preparava- mo il presepe con papà, dentro la grotta segue a pag. 21 Un evento memorabile per la partecipazione, per il contenuto e per quello a cui ha dato avvio. È il convegno del 7 novembre scorso. PAROLE E FATTI DALLE SCUOLE LIBERE. Dicembre 2015 | Anno XXV n.66

Transcript of Scuola-famiglia: per un’educazione dell’affettività · ristorante, in chiesa o al teatro,...

• • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Un grande evento culturale sul territorio Un evento memorabile per la partecipazione, per il contenuto e per quello a cui ha dato avvio è il convegno del 7 Novembre 2015, or-ganizzato dall’Istituto comprensi-vo “L’Aurora”, in collaborazione con il Decanato di Cernusco s/N. e l’adesione di sette scuole dell’in-fanzia e di sei associazioni ope-ranti sul territorio. L’Auditorium dell’Istituto è strapieno. Sono pre-senti più di 150 persone. Il titolo “Scuola-famiglia: per un’educazio-ne dell’affettività” è un program-ma di lavoro di tutto un anno, anzi dell’intero percorso scolastico. E difatti viene presentato in questi termini dal prof. Rosario Mazzeo – Rettore dell’Istituto L’Aurora.

“La famiglia, primo soggetto educativo, - introduce il Rettore - e la scuola, agenzia dell’educazione mediante l’istruzione, sono chiamate a cercare, focalizzare e verificare delle risposte a due questioni che riguardano il cammino dell’uomo in quanto tale. La prima: Qual è la natura dell’affetti-vità? Cosa è affettività nell’esperienza di un bambino, di un ragazzo, di un adulto? Da dove prende origine? Dove tende? La seconda: Come educare l’affettività in un contesto di relativismo e di gaio nichi-

segue a pag. 4

EDITORIALE

Buon Natale, Buon anno!«Canta e cammina» è la frase chiave dell’anno scolastico 2015-2016. La leg-giamo entrando nell’atrio de L’Aurora sulla destra. È una frase di sant’Ago-stino che papa Francesco riprende nella sua ultima enciclica. Ma si può “cantare” in una situazione d’in-sicurezza, di terrore, di oscuramento dei fondamenti, in cui siamo immersi a livello sociale e spesso anche famigliare? Come si fa a “cantare” quando da un momento all’altro, a scuola o al lavoro, in casa o al ristorante, in chiesa o al teatro, pazzi fanati-

segue a pag. 8

“Scuola-famiglia: per un’educazione dell’affettività„

Questa strada è proprio quella pensata per me

::: LucIA MOscOTTI, sOfIA MOI

 IntervIsta al vIcerettore sImona albertazzI.Da quest’anno la professoressa Simona Albertazzi è diven-tata Vicerettore dell’Istituto L’Aurora dopo anni trascorsi

segue a pag. 8

Venite a laudare::: MIRELLA cAsTELLI

 Anche quest’anno l’Istituto ha scelto di riproporre il gesto del Pre-sepe Vivente, avendo negli occhi le immagini dell’esodo dei migranti.

Quando all'inizio dell'Avvento preparava-mo il presepe con papà, dentro la grotta

segue a pag. 21

Un evento memorabile per la partecipazione, per il contenuto e per quello a cui ha dato avvio. È il convegno del 7 novembre scorso.

PAROLE E FATTI DALLE SCUOLE LIBERE.Dicembre 2015 | Anno XXV n.66

conv

egno

saba

to 7

nov

embr

e 20

15

cOnvEgnO “scuOLA E fAMIgLIA: pER un’EDucAzIOnE DELL’AffETTIvITà”

Né indifferenza, né idolatria L’affettività: un fatto di ragione e libertà

::: A cuRA DELLA REDAzIOnE

La tradizione cristiana, in alcuni ambienti, è consi-derata nemica degli affetti, dei sentimenti, che sarebbero trattati molto più come una cosa da tenere a bada che non come una energia, una poten-za che noi abbiamo. Invece a me pare che guardando qui e là nella tradizione cristiana, ci sia, almeno nei momenti migliori, un affetto agli affetti, una stima degli affetti.

La lezione della tradizio-ne cristianaSan Bernardo, commentan-do il martirio incruento della Vergine sotto la croce, invita a non meravigliarsi della soffe-renza di Maria: «si meravigli piuttosto colui che non ricor-da d’aver sentito Paolo inclu-dere tra le più grandi colpe dei pagani che essi furono privi di affetto».Lo diceva senza mezzi ter-mini anche Sant’Ambrogio: «Sono molto fuori strada quelli che sostengono che Cristo ha preso su di sé la carne dell'uomo, ma non la sua capacità di percepire senti-menti e sensazioni. E vanno contro il piano dello stesso Signore Gesù, perché tolgono l'uomo dall'uomo, dal momento che non può esser-vi l'uomo senza l'umano sentire. […] Come farei io oggi a ricono-scere come uomo il Signore Gesù, di cui non posso vedere la carne? I suoi sentimenti, le sue sensazioni però li posso conoscere dai vange-li. Come farei, dico, a riconoscerlo come uomo, se non avesse provato la fame, la sete, il pianto? Se non avesse detto: La mia anima è triste fino alla morte? (Mt 26,38)»nulla dI cIò che è vera-mente umano è estraneo a crIsto. Sono tanti i passi nei quali i Vangeli riferiscono in maniera molto diretta e senza nessun imbarazzo sentimenti, affetti, passioni, che il Reden-tore ha vissuto. Cristo piange, si arrabbia, diventa triste. Per questo la dinamica della vita cristiana è descritta sintetica-mente da alcune frasi come queste: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (San Paolo, Fil. 2,5); «Cristo me trae tutto tanto è bello» (Jacopone da Todi). Il Vangelo se lo prendiamo e lo leggiamo in presa diretta, ci restituisce questa imma-gine dell’uomo in cui la di-mensione affettiva è decisiva e fondamentale. Dimensione affettiva, che, tanto per parti-re dal vocabolario, è definita così: l’insieme dei fatti e dei fenomeni affettivi, sentimen-ti, emozioni, passioni, affetti e sensazioni che caratterizzano le tendenze e le reazioni psi-chiche di un individuo.Non c’è un “di fuori” stacca-

to da un “di dentro”. Quello che accade di fuori ha sempre una risonanza in noi che in-nanzitutto è di tipo affettivo. un pIacere che dura. Un al-tro luogo dove si vede molto bene l’importanza degli af-fetti, l’importanza dei senti-menti, l’importanza di questo modo di reagire alla realtà è il racconto della conversio-ne di Sant’Ignazio. Era un combattente, viene ferito du-rante una battaglia, si rompe una gamba, gliela aggiustano male, lui la rispezza perché potesse essere aggiustata in modo più corretto per poter tornare a combattere. Era un tipo abbastanza deciso. Nel momento in cui vive la convalescenza chiede che gli portino dei testi, dei libri, con i racconti degli eroi e dei combattenti; ma siccome in quella casa non ce ne erano, gli portano le vite dei santi. E lui dice così: «Io mi sono accorto che quando leggevo le gesta degli eroi avevo un momento di piacere, un momento di gioia profonda, ma poi lasciate queste letture, questa gioia spariva, si attenuava subito, mentre nel leggere il racconto delle vite dei santi, questo piacere dura-va.» C’è una meditazione del Cardinale Scola su questo te-sto che definisce così la santi-tà: la santità è un piacere che dura.Oppure sempre il nostro Sant’Agostino dice che la grazia è delectatio victrix, cioè quell’amore, quell’attacca-mento, quell’affetto che vin-ce, perché è più forte di tutti gli altri. non rIfIuto, ma amIcIzIa. Ecco, dico questo per affer-mare che la tradizione cri-stiana, la si condivida o no, rimane un pilastro della sto-ria d’occidente ed ha per gli affetti, i sentimenti, verso le passioni, un atteggiamento fondamentalmente di amici-zia, non di rifiuto. Il cristiane-simo, soprattutto nella forma cattolica, arriva a censurare gli affetti solo quando dimen-tica la propria vera natura. Toccare, vedere, andare... ecco i gesti della fede: sono gesti del corpo e del senti-mento prima che gesti o rico-noscimenti di tipo razionale. non dImentIchIamo che

Riportiamo ampi stralci della relazione di don Ezio Prato al convegno del 7 novembre. In tre passaggi l’illustre professore della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale di Milano parla del perché e del come è necessaria un’educazione delle emozioni, soprattutto oggi.

2

dIo è amore. Per conclu-dere questa prima parte con un ultimo riferimento che mi sembra di particolare signi-ficato c’è Ratzinger che nel libro “Introduzione al cristia-nesimo” quando parla dell’in-contro tra il Dio dei filosofi e il Dio dei cristiani dice così: «Mentre si collegava all’immagine filosofica di Dio, il cristianesimo la modificava però in maniera pro-fonda e – questo – almeno in due direzioni. (1) Il Dio filosofico è – anzitutto – un Dio ab-solutus, rap-portato solo a se stesso, pensiero au-toreferenziale e autocontemplantesi; il Dio della fede è invece costitutiva-mente ed essenzialmente relazione. (2) Il Dio cristiano – inoltre – è logos e agape, è pensiero e – come amore – è passione, sentimento, af-fetto. Dio non è – dunque – solo pensiero, come vorrebbe la filosofia, ma “amare pensando” in uno»

La condizione odiernaLa tradizione cristiana, dun-que, vive e propone una ami-cizia alla dimensione sensi-bile, affettiva, sentimentale dell’umano, che forse dob-biamo un po’ re-imparare o comunque a cui dobbiamo attingere in maniera molto semplice e molto convinta, a mio avviso. Anche oggi in una situazione in cui, come sostiene Lacroix, autore de “Il culto delle emozioni”, la sfera affettiva emerge con il declino dell’antropologia razionalisti-ca (o delle facoltà: ragione/intelletto, volontà/libertà; af-fezione). «Il culto dell’emozione ribalta la gerarchia abituale delle facoltà dell’anima. Fa scendere il cerebralismo dal suo piedestallo. L’esistenza davvero umana, secon-do tale punto di vista, non è quella che ci eleva all’intellettualità, ma quella che conduce alla sensorialità, alla primitività dei sensi. Tuffatevi nell’infra-intellettuale! La vostra vita sarà impiegata meglio se vi applicherete a sentire piuttosto che a pensare».Questa sfera si “dilata” e as-sume un’importanza crescen-te. Molto di quello che era in passato definito in altri termi-ni, oggi si definisce innanzi-tutto in termine di affezione: la mia identità, la relazione con gli altri (amore e matrimonio), il valore morale delle azioni. la coscIenza dI sé è ugua-

le ad “Io sono quello che mI sento”. Kant definisce il matrimonio dal punto di vi-sta giuridico come il mutuo contratto per il reciproco uso delle facoltà sessuali. Roman-ticissimo! Veramente come i Baci Perugina. Oggi il rap-porto tra uomo e donna c’è nella misura in cui si sente e questa dimensione decisiva e essenziale mangia però tutto il resto. Inoltre oggi sembra difficile richiamarci in qual-che modo a dei valori, dicia-mo così, oggettivi. Allora cosa si può dire moralmente? Mo-ralmente si può dire almeno se uno è sincero oppure no. Però qui sparisce un po’ il ri-ferimento a tutto quello che è fuori di noi. Rimane solo la coscienza che noi abbiamo di essere semplici, trasparenti, ecc..; soffermIamocI un momen-to sul fIlm “InsIde out”. Penso che molti di voi l’ab-biano visto, si descrive quello che avviene nella testa di una bambina di undici anni che vive un momento di passag-gio e di trasformazione, per-ché c’è un trasloco che la sua famiglia fa, e giocano nelle reazioni questi cinque affetti: la gioia, la tristezza, la paura, il disgusto, la rabbia. Polito sul Corriere pur ap-prezzando il film, afferma che ciò che manca del tutto è la ragione. L’altro grande assente è il libero arbitrio. Quello che si svolge “all’interno” di Riley è «un processo spontaneo, e casuale. Verrebbe da dire: ir-razionale»; ma allora: «a che pro tutto lo sforzo dell’educa-zione»? Se questo film docu-menta una condizione nella quale intelletto e libertà sono fatti fuori, che cosa dobbiamo dire? Che siamo preda per forza delle nostre emozioni ? Siamo guidati dall’inconscio e da ciò che abbiamo vissuto?affettI e fato. Certamente oggi c’è questa raffigurazione degli affetti. Gli affetti sono diventati il fato, gli ormoni in alcune rappresentazioni cor-renti della vita umana sono i nostri padroni. Una variante psichica è quella dell’incon-scio, inteso come una specie di fato che non si può gover-nare e non si può trasformare.

Ecco io penso che parlare de-gli affetti oggi, in qualunque campo e a qualunque riferi-mento, anche rispetto ai bam-bini delle elementari o delle medie, significa misurarsi anche con questa rappresen-tazione degli affetti. E' come qualcosa da enfatizzare, qual-cosa che diventa in qualche modo padrone della nostra vita; diventa il soggetto di un determinismo totale. Che male c’è a fare questo o quello perché di questo e quello noi non siamo padroni. Invece Risè, sempre su questo film, nella rivista “Tempi” del 7 ottobre 2015, osserva che «il guaio non è lo strapotere delle emo-zioni, ma il fatto che non ci siano quasi più. […] il guaio è quando rischiano di spegnersi le emozioni».oscIllIamo dunque fra: l’assolutIzzazIone e la negazIone. L’assolutizzazione degli affetti (ipertrofia degli affetti) che esalta le emozioni forti e irresistibili. Gli affetti sono ingovernabili, non sono e non possono essere educati: analfabetismo e spontanei-

smo. L’onda lunga del razio-nalismo: negazione e censura, riduzione a interferenza o aura. Penso che oggi, misurarsi sulla questione, come stia-mo semplicemente facendo noi questa mattina, significa misurarsi con queste due po-sizioni per così dire opposte. Ammazziamo le emozioni, viviamo solo di emozioni. E allora cosa possiamo fare? Noi a cui interessa vivere da uomini ed educare magari i nostri cucciolotti che vengono dopo?

Educazione dell’affetti-vità«Si usa oggi l’espressione ‘ge-stire’ le emozioni alludendo a un certo dominio da parte della ragione che governa e tiene a freno i sentimenti so-cialmente meno accettabili, mentre insegna a manifestare quelli approvati e apprezzati. Dunque, ‘gestire’ significa in un certo senso ‘selezionare’, ‘incanalare’, ma anche ‘repri-mere’, ‘mettere a tacere’, tra-lasciare ed estromettere dai

propri comportamenti quelle espressioni della vita emotiva che non sono ritenute conso-ne a un determinato contesto.Il concetto di ‘gestione’ della vita emotiva deriva dai primi psicologi che hanno dedicato interesse di ricerca alle emo-zioni considerandole sempre in relazione alla logica; ne hanno fatto oggetto d’inda-gine esaminandole come pro-blema da dominare piuttosto che potenziale risorsa dell’esistenza» (V. Iori).Io penso che nell’educazione dell’affettività possa essere utile tenere presente almeno queste due coordinata fonda-mentali ricordando nello stes-so tempo che non c’è un’edu-cazione degli affetti. La prima coordinata è: affezione - rela-zione; la seconda: affezione – persona. affezIone e relazIone. Af-fetti, sentimenti ed emozioni ci sono dati perché noi pos-siamo vivere un rapporto con gli altri uomini e con la realtà tutta. Al contrario, essi “sban-dano” quando ci ripiegano su

cOnvEgnO “scuOLA E fAMIgLIA: pER un’EDucAzIOnE DELL’AffETTIvITà”

Né indifferenza, né idolatria L’affettività: un fatto di ragione e libertà

chE cOs’è L’AffETTIvITà?

Il vocabolario Treccani ci risponde che l’affettività, nel parlare comune, è « inclinazione agli affetti, alla vita e ai rapporti affettivi», in psicologia, è « l’insieme dei fatti e dei fenomeni affettivi (sentimenti, emozio-ni, passioni, ecc.) che caratterizzano le tendenze e le reazioni psichiche di un individuo». In una visione più generale possiamo dire che l’affettività è una sfera decisiva della personalità umana; qualcosa che qua-lifica l’umano universale: non c’è vita umana senza affetti; non c’è rapporto umano con la realtà senza affezione, senza «essere colpiti», senza sentimento.«Qualunque cosa intervenga nell’orizzonte di cono-scenza della persona produce una inevitabile, irre-sistibile reazione proprio nella misura della vivacità umana di quella persona. […] La parola che indica questo stato d’animo, questa reazione, questa emo-zione, questo essere toccati dalla cosa che accade si chiama sentimento. […] Il sentimento è quindi l’ine-vitabile stato d’animo conseguente la conoscenza di qualcosa che attraversa o penetra l’orizzonte della nostra esperienza». (L. Giussani. Il senso religioso, Riz-zoli, Milano 1997, pag. 33)Affettività è dunque una sfera costitutiva dell’umano, ricca e “caotica”; un insieme – per riprendere il voca-bolario – di sensazioni, affetti, emozioni, sentimenti, passioni, ecc. che non è staccata dalla totalità della sua persona, della sua ragione e della sua libertà.

3

Un grande evento culturale sul territorio::: sEguE DALLA pRIMA

lismo? Come evitare le riduzioni dell’affettività ad istintività, sentimentalismo e sessualità?

Per aiutare a rispondere a queste domande sono presenti don Ezio Prato, docente di teologia fonda-mentale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Set-tentrionale di Milano, e il dott. Luigi Campagner, psicoanalista e autore di libri sull’argomento.Le attese non sono deluse. I relatori affrontano la questione risvegliando altre domande e suggerendo delle piste di riflessione in un orizzonte culturale ampio e qualificato. È difficile riassumere il loro di-scorso intervallato, nell’arco di due ore, da proiezio-ni di diverse sequenze filmiche e da domande del pubblico.Essi non offrono delle ricette, giustamente, e nello stesso tempo evitano di cadere nell’astrazione e nella genericità. Parlano dell’uomo e dell’affettività come dimensione connaturale all’essere persona, maschio o femmina partendo dall’esperienza e dall’osserva-zione senza sottovalutare la scienza. (ampi stralci e commenti a pag. 2 e 7)

Il Convegno si conclude con la ripresa di questi spunti da parte del rettore prof. Rosario Mazzeo. Educare l’affettività vuol dire custodire le proprie relazioni e, quindi, i propri affetti nell’unità di cuore e ragione. Ciò che educa è vedere un adulto unito, capace di of-frire un rapporto che si rivela luogo dove c'è equilibrio tra emozioni e regole. La famiglia è trama di simili rapporti. Così anche la scuola. Nell’uno e nell’altro ambito è la testimonianza la vera risorsa dell'educa-zione e dell’affettività come di ogni aspetto dell’uomo. Al riguardo occorre aiutarsi reciprocamente. In questa prospettiva ha preso avvio una serie di conversazioni a partire dal 24 novembre con un ritmo mensile. Al momento si sono iscritte 70 persone. Sul contenuto e le modalità si rimanda all’articolo di Laura Pagani. (a pag. 7)

noi stessi. Si ammala l’emo-zione quando si ammala il soggetto. Il soggetto si amma-la anche quando si ripiega su sé stesso. Oggi qualcuno dice che siamo nell’età del narcisi-smo, in cui tutti siamo preda di un individualismo che ci fa vedere noi, noi e solo noi. Non c’è solo questo e non è sempre così; mi pare però che da questa osservazione venga la nota che appunto dicevo prima, l’emozione che apre alla realtà e all’altro è buona; invece, l’emozione che ci rac-chiude in noi stessi e patolo-gica.L’affezione è per la relazione (fisiologia) non per il riferimen-to a se stessi (patologia), per l’apertura non per la chiusu-ra.È in gioco un modo di guar-dare l’uomo nel suo insieme, un’idea complessiva del sog-getto prima che dell’affetto. Non si riscatta l’affetto finché si rimane all’interno di una prospettiva autoreferenziale: dal cogito riflessivo al cogito emo-zionale.La separazione e l’alternativa posta fra razionale ed emozio-nale genera – in primo luogo – un’idea della coscienza che si può definire come cartesiana o illuministica; essa vive la sfera degli affetti come interferenza e disturbo oppure come aura ultimamente inessenziale.La reazione a questa posi-zione razionalistica sembra generare, nell’epoca postmo-derna, una concezione emozio-nale (e non cognitiva) della coscienza: non è il pensare, ma è il sentire che decide del-la verità dell’io e del mondo. (Lacroix, pagg.37-38)Il riferimento è all’affetto e non all’intelletto, ma la “di-rezione”, il “movimento” del soggetto non cambia: l’auto-

referenzialità dell’io (= narcisi-smo, claustrofobia): «Il ritorno dell’emozione è, in fondo, una manifestazione dell’individualismo contemporaneo»; «Il culto dell’emo-zione è pertanto l’ultima manifesta-zione dell’individualismo»; «il culto dell’emozione è la forma che riveste oggi il culto dell’io».Bisogna dunque riscoprire le emozioni ma all’interno di una antropologia che riscatta la relazione dall’accidentalità. affezIone e persona. L’af-fezione è elemento “strut-turale” della persona e va compresa nell’unità della per-sona. Si tratta di considerare l’emozione per quello che è; di “reintegrare” gli affetti nell’unità dell’io. L’emozio-ne è dentro la totalità della persona. Non è qualcosa che accade come il fato e non pos-siamo farci niente, è un sug-gerimento sia per l’intelletto, che vuole capire la realtà, sia per la libertà che vuole muo-versi nella realtà. Per cui le emozioni vanno viste sempre nell’insieme dell’io. Il senti-mento deraglia quando viene tolto dall’intero, dal costituti-vo rapporto con la ragione e la volontà.L’affetto non è un evento puntuale della coscienza, disancorato dall’unità della persona: gli affetti rimandano a un senso, significato e rinviano alla responsabilità per la decisio-ne. Il sentimento è un suggeri-mento per la ragione e un invi-to per la libertà, non è il fato, il destino inesorabile.All’interno di una mentalità razionalistica e illuministica, «la ragione è pensata come capacità di conoscenza che si sviluppa nei confronti dell’og-getto senza che niente do-vrebbe interferire». I sentimenti sono un’interferenza tanto più grande quanto più l’oggetto a cui si rivolge è interessante per l’io.

Il sentimento è invece come una len-te: messa al posto giusto rende possibile e intensifica la visio-ne. «Il problema cioè non è che il sentimento venga eli-minato, ma che il sentimento sia al suo posto giusto». Non è un problema di intelligenza ma di moralità.La condizione è che l’io, la persona, sia in una posizione vera davanti alla realtà. Che vuol dire desideri il vero e de-sideri il bene. Se tu sei teso a questo, tutto ciò che è senti-mento, emozione, affetto, gio-ca a favore, ti aiuta a mettere a fuoco di più la realtà. Se viene meno questa posizione di moralità grande, la ricerca della verità e del bene invece, i sentimenti diventano o una interferenza o qualcosa che ci appare come negativamente invincibile.«Nella applicazione al cam-po della conoscenza questa è la regola morale: l’amore alla verità dell’oggetto più di quanto si sia attaccati alle opinioni che già ci siamo fatti su di esso. Brachi-logicamente si potrebbe dire: “Amare la verità più che se stessi”». (L. Giussani, Il senso religioso, pagg. 31-44)

L’a

ffet

tivi

tà: u

n fa

tto

di r

agio

ne e

libe

rtà ::: sEguE DA pAg. 3

Non è mia intenzione “riassumere” quanto detto, ma vorrei raccontare cosa in parti-colare mi ha colpita durante l'incontro.Già dopo l'introduzione del prof. Mazzeo e la proiezione del filmato che mostrava un neonato che non riusciva a staccarsi dalla madre, (pian-geva appena l'infermiera lo “staccava” da lei, smetteva immediatamente di piangere quando glielo riporgevano) mi sono commossa ma ho an-che subito pensato che il tema dell'incontro sareb-be stato, per me, scontato: i bimbi nascono e nella loro natura è già scritto tutto...Quando invece il prof. Campagner ha detto che il metodo usato dai bambini è empirico e che per conoscere usano l'esperienza, mi si è un po’ scom-binata la formula che avevo in mente.Mentre parlava mi son trovata ad andare con la

mente alle mie figlie più piccole e mi appariva sempre più chiaro ciò che era evidentemente spie-gato dal professore... ciò che descriveva era veritie-ro e quello che osservavo nelle mie bimbe in effetti lo confermava!Il mondo, e quindi anche l'affettività, è per loro una continua scoperta che si traduce nel bellis-simo tentativo di imparare facendo... come ad esempio riuscire ad allacciarsi le scarpe da soli...Altro passaggio per me importante è stato sentir affermare che il fermarsi a guardare le cose è il primo passo per starci di fronte e “conoscerle”. Quante volte decido io come e cosa sono le mie figlie, cosa piace loro e cosa vorrebbero e non vor-rebbero... e quando mi ritrovo a guardarle così, non posso non constatare che crea solo tensione e “ordini” che non portano da nessuna parte se non

ad un elevato nervosismo mio e loro.Da questo la domanda, che faccio mia, del Prof. Mazzeo: “Come posso io educare la loro affet-tività?”Non c'è dubbio e non c'è risposta più affascinate della risposta: “Attraverso la testimonianza” Po-sizione rischiosa ma anche liberante! Rischiosa perchè costringe a mettermi in gioco, a capire cosa voglio veramente io, cosa cerco veramente, dove sono e dove sto andando io... insomma, un’ oc-casione per mettermi a nudo e magari scoprire che devo “cambiare” strada... ma assolutamente liberante perchè evita tutte quelle elucubrazioni mentali e dialettiche che non portano da nessu-na parte. Non servono tante parole, anzi, a volte possono diventare dannose perchè magari diciamo una cosa mentre ne viviamo un'altra.

Un ultimo aspetto interessante di questo incontro si è rivelato nei giorni successivi, quando mi sono ritrovata a pormi di fronte alle mie figlie “ricor-dandomi” quello che ho “imparato” ho scoperto che è possibile un modo di stare con loro diver-so, bello, e quando questo è accaduto è stato più interessante star con loro per me e penso, anche star con me per loro. (Simona, mamma di 5 bambine tra 2 e 12 anni)

Di questo momento mi hanno colpito vari passaggi ma in particolare alcuni.Per esempio che nel bimbo non c'è nulla di mec-canico, che il bambino, nella realtà, cerca la di-mensione della sua identità. La conoscenza di sé e del mondo per il bambino è una scoperta, è una conquista che raggiunge partendo dalle stimola-

LA pAROLA ALLA pLATEA

Le osservazioni di alcuni genitori dopo il Convegno

4

::: A cuRA DEL c.c. nEwMAn

Giovedì 12 novembre nell’Auditorium Maggioni di Cernusco, davanti a un folto e attentissimo uditorio, i coniu-

gi Schilirò - presentati da Don Ettore Colombo - hanno rac-contato il loro provvidenziale incontro con la vita dei coniu-gi Martin che ha cambiato la loro storia e quella del figlio

Pietro di cui così racconta la madre: “Pietro è nato il 25 maggio 2002 con gravissi-mi problemi respiratori che nonostante le terapie messe in atto peggioravano. Padre

Antonio Sangalli, un padre carmelitano, e amico di fa-miglia, ci propose di pregare i Venerabili Coniugi Louis e Zélie Martin, genitori di San-ta Teresa di Gesù Bambino.

Il 3 giugno sera, vista la dram-matica situazione di Pietro che i medici dichiaravano in grave pericolo di morte, deci-demmo di fargli amministra-re il Battesimo. Contempo-raneamente iniziavamo una Novena invocando l'interces-sione dei Coniugi Martin, non solo perché ci aiutassero a comprendere e accettare la volontà di Dio ma per la gua-rigione di Pietro. Il 29 giugno, Festa dei Santi Pietro e Paolo, è accaduto qualcosa di straor-dinario: Pietro ha cominciato a respirare spontaneamente ed il 27 luglio stato dimesso in buone condizioni, guarito”.

Oltre al commovente rac-conto di quei drammatici momenti, Valter e Adele Schilirò hanno testimoniato come dentro questa vicenda sia cresciuto anche il loro rap-porto coniugale, e come sia cambiato lo sguardo dell’uno verso l’altra. Nel corso della serata essi si sono passati frequentemente il microfono per arricchire la loro testimonianza, con un’amorevole attenzione alla momentanea afonia di Adele. Valter ha spiegato: “Conoscendo la storia dei coniugi Martin abbiamo scoperto una vita coniugale pregna della presenza di Cri-sto: ‘Gesù primo servito’ era il loro motto. Louis e Zélie si prendevano cura l’uno della santità dell’altra, scoprendo nella ordinaria vita di fami-glia i segni della presenza del Signore. Gesù rendeva il loro amore cento volte più bello, profondo, appassionato”. “Santità di coppia nell’ordi-nario”, ha confermato don Ettore ringraziando Adele e Valter Schilirò: questa la missione dei coniugi cristia-ni. Attraverso le vicissitudini spesso drammatiche, nelle quali, se vissute con fede, il miracolo può diventare espe-rienza quotidiana e far risco-prire l’orgoglio della propria vocazione e della famiglia come luogo di un’autentica e sempre rinnovata affettività anche nel dolore.

Alcuni momenti del convegno: “scuola-famiglia: per un’educazione dell’affettività” del 7 novembre scorso, organizzato dall’Istituto comprensivo “L’Aurora”.

Le osservazioni di alcuni genitori dopo il Convegnozioni. Un altro punto interessante è stato quando parlando di emozioni viene descritta come una cosa positiva e buona se questa apre alla realtà e non si chiude in sé stessa soprattutto in un mondo dettato dal narcisismo.Infine viene sottolineata l'importanza della testi-monianza nell'educazione in quanto principale risorsa perchè questa sia piena di senso e veritiera. (Roberta, mamma di due bambini di 6 e 12 anni)

Il convegno ci ha sicuramente provocato a soffermarci su cose a cui solitamente non pen-siamo ma, nello stesso tempo, non le ha rese più complicate o "cervellotiche", bensì trasparenti e familiari. Il dott. Campagner in particolare, con linguaggio diretto e mai banale, non ha fornito

"istruzioni per l'uso" rispetto all’affettività come dimensione imprescindibile di ciascuno di noi –adulti o ragazzi- ma ci ha proposto un metodo: guardare i nostri figli in un continuo paragone con la nostra esperienza di bambini. “Tutti ab-biamo avuto 6 anni!”, diceva. Ma perché è così importante questa considerazione del bambino che ognuno è stato? Tre sono gli aspetti che ci hanno affascinato perché descrivono bene ciò che vediamo accadere: il bambino "pensa con il cor-po", cioè diventa pensiero solo ciò che dall'ester-no entra in lui attraverso i sensi. Poi, da quando neonato si attacca al seno materno, pensa alla sua soddisfazione, cioè all'appagamento del suo bisogno per mezzo di un altro e non senza fa-tica... E, infine, tutto per lui diventa scoperta, conquista: conoscersi come maschio o femmina, sapere come è venuto al mondo, imparare a ge-stire le emozioni che quanto arriva dall’esterno

suscita, inevitabilmente e sempre di più, dentro di sè.Ampliandosi l'orizzonte di esperienza, infatti, tutto si moltiplica e si approfondisce e ciò che i nostri figli, crescendo, notano e apprezzano è il nostro essere adulti, il nostro volerci bene e l'essere inseriti in una trama di relazioni. Per aiutarci a educare l'affettività, nostra e dei figli, il compito non è fare o spiegare qualcosa ma la testimonianza di chi siamo: genitori, che –un tempo- hanno avuto 6 anni! (Un papà e una mamma di due bambini di II e III ele-mentare)

Nella mia scuola, statale e laica, il per-corso dell'affettività e sessualità è stato l'argo-mento caldo degli ultimi anni. I miei colleghi e spesso anche i genitori dei miei alunni, hanno in mente la questione affettiva come un "problema"

da dover delegare all'esperto di turno, come se ognuno di noi non avesse sufficiente competen-za in materia e come se quello affettivo fosse un tema da studiare a lato della vita. Quello che ho notato e che mi ha molto colpito nell'incon-tro con don Ezio Prato e Luigi Campagner è come invece sia stato sottolineato il fatto che la "competenza affettiva" è dell'uomo, in quanto uomo, dentro di noi già all'atto della nascita. Per questo ancora più di prima, il compito di cui mi sento investita è quello di accompagnare i miei figli e i miei alunni a pensarsi, affettiva-mente e fisicamente, come un uno, fatto sia di cuore sia di ragione, poiché questi due elementi ci determinano in quanto uomini, dentro ad un disegno buono, non si annullano a vicenda ma si leggono e compensano l'un l'altro. (Manue-la, mamma di tre bimbi e insegnante di scuola media)

un’EspERIEnzA EccEzIOnALE

Zelia e Luigi Martin: genitori di S. Teresina di Lisieux sono i primi “santi coniugi”. Si deve a loro anche la santità di Teresina, che si definì come un fiore nato in una «terra santa, e come tutta impregnata di profumo verginale» grazie a due genitori «più degni del cielo che della terra».

La famiglia luogo dell’affettività

5

cOnvEgnO “scuOLA E fAMIgLIA: pER un’EDucAzIOnE DELL’AffETTIvITà”

Adulto: universo di relazioni ::: A cuRA DELLA REDAzIOnE

«Il mio sapere sull’affettivi-tà e dell’affetto del bambino viene da una ricapitolazione della vicen-da degli adulti. La mia formazio-ne come psicoanalista ha avuto un momento importantissimo, e per me una sorta di pietra miliare, in un anno di formazione alla Children's Observation, che feci in un asilo nido». Con queste parole, dott. Campagner, lei ha ini-ziato il suo intervento al Convegno. Ci può spie-gare in cosa consiste la Children's observation e perché è fondamentale l’osservazione nella co-noscenza matura dell’af-fettività?La Children's Observation è una tecnica di osservazione di un neonato in presenza della madre. Quando os-serviamo siamo convinti di doverci rivolgere a qualcosa che sta fuori di noi come nel-la visione normale. In questa tecnica di osservazione, lo sguardo invece è duplice, va verso l’esterno, ma va anche verso l’interno. C’è in quel-lo che si osserva una duplice dinamica: una che ci porta a vedere qualcosa da fuori e a ricevere uno stimolo che possiamo chiamare, visto che parliamo di affettività, ecci-tazione dall’esterno. Siamo eccitati, incuriositi, invogliati a guardar fuori quello che c’è. Quello che viene da fuo-ri, però, muove qualcosa che è dentro di noi che poi sarà la sede dove noi andremo ad elaborare quel contenuto che abbiamo visto fuori e ci farà dire: “Ok, va bene” oppure: ”No, aspetta”, oppure: “Ma neanche per scherzo, di lì non ci vado”. A un certo punto si crea l’interiorità, che è una sorta di pensiero critico. L’os-servazione non è mai neutra.

Perché è così importan-te il tema dell’affettività, dell’affetto? Perché vale la pena “metter-ci su la testa”, da adulti? Lo posso anche esprimere così: è quanto abbiamo da impa-rare noi dai bambini. Anche quando sono molto piccoli e ci sembra di non dover impa-rare nulla da loro, ma sempli-cemente di dover riversare su loro attenzioni, responsabili-tà, premure, cure. Una parte

importante del mio lavoro è vincere le resistenze, in primis le proprie. Io avevo una for-tissima resistenza ad andare ad osservare una bambina che dormiva. L’ho fatto e da quella esperienza ho impara-to molto.

Per poter comprendere l’affettività (e non solo) dei bambini, di un neo-nato per esempio, occor-re non solo guardare, ma immedesimarsi in lui e lasciarsi osservare da lui, cioè guardare negli occhi, toccare, starci alla relazione. Ma che cosa impara un adulto sull’af-fettività osservando un bambino?Quel giorno, in un asilo nido, prendo un taccuino e pren-do nota di ciò che osservo ed imparo. Non è la bambina direttamente che mi insegna, perché questo sarebbe una idealizzazione, una mistifi-cazione. Non è il bambino che insegna. A lui di insegna-re importa. Siamo noi che cerchiamo di imparare dal bambino. E prendiamo nota. Quello che lui ha – metafo-ricamente - da dirci, ci inte-ressa perché quel bambino siamo noi. Perché noi siamo un soggetto fiorito dalla stes-sa esperienza di quel bambi-no. La scissione che colpisce l’affettività separandola dalla sessualità è la stessa frattura che separa l’uomo adulto, che ha razionalizzato una propria identità, dalla sua esperienza di crescita. Per questo è im-portante cogliere nelle sue origini la vicenda della nostra affettività, della nostra sessua-lità, della nostra capacità di costruire legami, osservando il bambino.

Per Freud il primo sog-getto che pensa è il corpo. In che senso? E con cosa

pensa?Nel senso che il primo sogget-to che pensa è quel bambino lì, che avete visto nel video ap-poggiato alla mamma. Quel soggetto lì pensa, e con cosa pensa? Il bambino non pensa con la testa, cioè non ha an-cora una mente separata dal corpo. Il bambino pensa con il corpo. Gradisce con il cor-po. Dopo che lo hanno por-tato via da lì, dal lettino dalla madre, lo lavano, controllano che ci siano i parametri vitali, lo riportano indietro e ciuc-cia. Viene allattato, e il gradi-mento di questo moto, perché lui ad un certo punto gradisce l’essere allattato (suggere vuol dire succhiare con piacere). Quando verrà allattato suc-cessivamente e la madre se ne accorge che questo se la gode, mentre ciuccia, fa anche fa-tica, suda, cioè per succhiare dentro di sé il latte deve fare un lavoro. Soffermiamoci sul fatto che ad un certo punto, si rilassa e deve essere aiutato a digerire perché inizialmente anche semplicemente portar dentro di sé un cibo, per lui è un grosso lavoro. Deve fare il ruttino, no? Beh, non è una cosa così semplice, noi lo ba-nalizziamo, ma vuol dire che per il suo corpicino, l’aver ingerito una sostanza come il latte, che prima evidentemen-te non ingeriva, comporta una grossa sollecitazione con cui deve riuscire a rapportar-si. Inizialmente vi si rapporta con l’aiuto di qualcuno, poi imparerà a digerire senza l’aiuto di nessuno. Anzi ma-gari con il rimbrotto di qual-cuno che gli dirà: “non si fa così quando si è in pubblico”. Il ruttino che gli meritava tan-to di applauso a scena aperta all’epoca, successivamente invece gli susciterà “lancio di pomodori e frutta marcia” e gli diranno “No, non si può fare” così. Ma come: “Prima

mi facevi gli applausi e inve-ce adesso non ti piace più?”. Il bambino (è un mondo dif-ficile), deve continuamente registrarsi, risistemarsi, ripo-sizionarsi, e comunque va a soddisfazione, come si dice va a meta. Quando vedete che il suo corpo si è rilassato, voi dite sta bene, è contento. E fate bene a dire così. Da cosa lo giudicate? Dal benessere del suo corpo, dallo stato di tensione o di distensionamen-to, del suo corpo.

L’osservazione del bam-bino ci rimette in con-tatto con una esperienza della nostra vita psichica, di pensiero, intellettuale, spirituale, di un tutt’uno con il corpo. Perché, a volte, accade ad un certo punto una scissione tra l’affettività e sessualità, tra conoscenza e affezio-ne, tra ragione e senti-menti?Ogni esperienza umana nasce così: sana, integra, dove tutto si tiene con tutto. È successi-vamente che avvengono delle scomposizioni, ma in modo molto precoce. I bambini san-no, hanno conoscenza di sé e del mondo che viene dalle esperienze. Anche la scoperta di sé come soggetto sessuato e dell’altro come dell’altro ses-so, non è un dato a priori, è una scoperta che avviene. È una conquista il sapere che io sono maschio e che l’altra è femmina perché nelle espe-rienze iniziali del neonato la differenza sessuale non si ri-leva. Il bambino piccolo non fa questioni di sesso ma di trattamento. Quel neonato che avete osservato nel video pochi istanti dopo il parto non ha alcuna nozione della differenza sessuale. Si tratterà di una conquista come altre. Come camminare ad esem-pio, o masticare, o bere dal bicchiere ecc…È una conquista che compor-ta un lavoro come all’inizio anche digerire comportava un lavoro. Sto affermando che la conquista dell’identità avviene attraverso un percor-so, che non è sempre imme-diato.

Come può aiutare in que-sta scoperta la famiglia?Da bambini ci facciamo un’idea di come vanno le cose

Intervista al dott. Luigi

Campagner, scrittore e

psicoanalista che spiega

come lo sviluppo

dell’Io sia il frutto di un

cammino.

6

nella relazione tra uomo e don-na a partire dai genitori. I primi due che ci danno testimonianza che sia vantaggioso il rapporto uomo- donna sono i nostri geni-tori. Possiamo anche dire che noi cominciamo ad amare persone sposate. E continuiamo ad ama-re gente ricca di relazioni, a tal punto che nemmeno un Dio che non avesse relazioni ci interesse-rebbe un gran che. In una ric-chezza di relazioni, poi, noi sce-gliamo e siamo scelti dentro una preferenza. Ci piace quell’uomo o quella donna, che, pur avendo un universo di relazioni, preferi-sce noi e ci stiamo alla preferen-za all’interno di un universo di rapporti.

Questo concerne anche l’af-fezione a se stessi e quindi la crescita del proprio io come valore, come un io unico, ir-

repetibile, capace di amare e di lasciarsi amare?La prendo un po’ da lontano. David Hume si chiedeva: “Gli oggetti cosa sono?” E risponde-va: “ Sono fasci di impressioni”. E continua: “E’ l’io che conosce gli oggetti cosa è?”. E risponde-va: “Un fascio di emozioni”. Per Hume l’io non esiste. Non c’è, se non come schermo dove sono proiettate di continuo emozioni e percezioni. E una teoria molto attuale ripresa e aggiornata dal film “Inside out” alla luce della psicologia e delle neuroscien-ze. Queste problematizzazioni dell’io, della sua esistenza, sono delle utili provocazioni, perché l’io non è una cosa che c’è: non basta che sia stato partorito un bambino perché abbia anche un io. L’io avviene, quando le cose funzionano, normalmente funzionano. Ma potrebbe anche

non avvenire. L’io è in qualche modo un miracolo, nel senso che è un avvenimento. Che ci sia l’io, è il risultato di tante situazioni, ma in particolare di un impegno del titolare dell’io, cioè del sog-getto, e di una collaborazione di tanti altri che entrano in rappor-to con quel soggetto. E questo l’impariamo in continuazione.

Cosa c’entra l’affettività con l’educazione e quindi con lo sviluppo della coscienza di se stessi?Secondo Freud l’Io sta tra l’incu-dine e il martello: tra l’incudine dell’Es ed il martello del Super Io, cioè del dovere. L’io è insi-diato dal puro piacere, se volete, dalle emozioni, ed è insidiato dal puro dovere, cioè dalle re-gole che dovrebbero arginare le emozioni. Si può soccombere sia sul lato di sinistra, andando sulla

scia delle pure emozioni, ma si può soccombere anche sul lato di destra essendo schiacciati dal-le pure regole e dal puro dovere. L’io non si può solo affermare che esiste, perché il fatto che esi-ste testimoniato solo dal successo della persona. Il luogo dove poter dire io, è il luogo dove si è riusciti in que-sta avventura di governo, cioè dove si è governata l’emozione insieme alla spinta del dovere. Il matrimonio è in qualche modo questa sede dove le emozioni e i doveri, coniugali familiari e ge-nitoriali, “s’hanno a sposà (come dicono a Roma)”. Testimoniare questo, cioè lavora-re per questo, è sicuramente un vantaggio anche per la riuscita per i figli o per quelli più piccoli di noi che ci sono affidati, perché la testimonianza è la vera risorsa dell’educazione.

Educazione dell’affettività: un cammino che facciamo insieme

• • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •• • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • DOpO IL cOnvEgnO

::: LAuRA pAgAnI

Due domande in particolare hanno guidato la conversazione: cosa ha suscitato il convegno in noi? Come stiamo educando l'affettività? Mi sembra significativo riportare gli interventi di al-cuni genitori: "Mi ha colpito sentire che il metodo dell'educazione è quello della testimonianza. [...] Questo mi ha spinto a vivere più consapevolmente la quotidianità, gli affetti, le relazioni in casa.""Il dott. Campagner ha detto che non è scontato che “l'Io avvenga”, questo mi ha colpito molto e mi pia-cerebbe approfondire." "Il convegno mi ha dato l'occasione di rivalutare al-cune cose. Io credevo che l'educazione dell'affettività fosse rivolta ai ragazzi, invece mi sono accorto che sono gli adulti da educare. Riguarda noi, riguarda me." "Il Convegno mi ha fatto riflettere su quanto è impor-tante il nostro esempio e ho ripensato a quando io ero piccola. Quello che mia madre mi diceva mi bastava, ma oggi basterebbe ancora? I nostri figli oggi potreb-bero perdersi in questo mare di indizi sull'affettività." "I nostri figli hanno una grande sete di risposte, i no-stri figli sono sottoposti a sfide più grandi rispetto a quelle cui eravamo sottoposti noi. Le sfide sono mol-tiplicate e anticipate. È quindi una sfida anche per noi genitori.""Mi chiedo: perché mia mamma era così sicura di quello che diceva? Lei non andava agli incontri. Non serviva. Perché oggi il mio vissuto non mi basta? Da bambina imparavo tante cose perché guardavo i mo-

delli che avevo intorno ed erano tanti. C'erano tanti legami. Oggi i bambini hanno meno modelli, meno legami. Quindi più domande." " Quando penso all'affettività penso alla parola prefe-renza. Io fin da bambina volevo un legame esclusivo, di preferenza. Gli altri legami erano belli ma in fondo non saziavano mai questo desiderio di esclusività." Al termine della serata il Vice Rettore ha rilanciato una proposta per gli incontri successivi: "Occorre avere una proposta a cui dire sì o no piut-tosto che avere una ampia 'libertà' in cui muoversi da soli. Se non esiste una proposta a cui aderire la affettività va in crisi. Un tempo c'era una proposta ed era molto chiara molto precisa. Ora c'è una grande ricerca di una proposta, di un qualcosa a cui aderire. Che proposta stiamo facendo noi adulti? A cosa ade-riscono i nostri figli? Possiamo partire da qui." Per concludere desidero riportare l'intervento rias-suntivo del Rettore: "Noi siamo relazione, dipendia-mo continuamente l'uno dall'altro. Crescendo io ade-risco o meno ad alcune relazioni. Si educa attraverso una testimonianza, ma la testimonianza diventa più efficace se è dentro un rapporto di amore. [...] È un cammino che facciamo insieme. È tipico dell'adulto sapere che siamo in cammino e mantenere certa la speranza che c'è la meta e c'è la strada della realiz-zazione di noi stessi e delle persone a cui vogliamo bene." Attendiamo quindi il prossimo incontro con gli occhi rivolti alla meta proseguendo senza timore, certi di non camminare da soli e - perché no?! - cantando, come dice saggiamente S. Agostino.

Martedì 24 novembre alle h.21:00 un gruppo composto da genitori, insegnanti, preside, direttore, rettore e vice rettore, si è trovato a

scuola per proseguire il dialogo iniziato durante il convegno.

7

Questa strada è proprio quella pensata per me

• • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • EDITORIALE

ci potrebbero lasciare una bomba, di-sprezzando la propria vita ed odiando quella degli altri?Sì, anche dopo i recenti fatti di Parigi e di San Bernardino, si può e si deve cantare non tanto per tenere a bada la paura («Canta che ti passa») per darsi un tono e provare a dimentica-re. Si canta perché “la vita c’è” ed ha un senso. Si può vivere e camminare avvicinandosi sempre più alla meta, che è la realizzazione delle attese più profonde e la soddisfazione del deside-rio più intenso che è amare e lasciarsi amare. Si può vivere edificando se stessi, con-tribuendo al bene di tutti, testimonian-do che vale la pena impegnarsi, com-battere, soffrire per affermare il vero, il bello, il buono presente anche nei tunnel più bui e nelle nebbie più fitte della vita pubblica e privata. Da dove ci può venire questa certezza, questa speranza?Innanzitutto dall’impeto positivo che vediamo in noi e tra di noi. C’è nell’uomo una domanda inestinguibi-le di verità e di bellezza, di significato e di pienezza di gioia, che trascende le nostre paure, i nostri scoramenti, i nostri dubbi. Una domanda a cui si può rispondere positivamente anche nella tragedia, come per esempio, ci hanno testimoniato con i loro racconti i sopravvissuti alle stragi di Parigi. Una domanda di affezione e di affettività (cioè di attaccamento) a qualcosa, anzi a qualcuno; una domanda che ha e può sempre più ricevere una risposta a partire dalle notizie che porta la festi-vità del Natale.Dio, l’immenso, l’onnipotente, il senso di tutto, la meta di ogni desiderio, si è fatto uomo per restare e lottare con noi in ogni circostanza. Abbiamo un alleato, un compagno, un amico che ci offre tutto di sé, fa esistere tutto, cam-mina con noi anche nell’oscuramento che a noi appare totale. Questa è la notizia del Natale.

Canta e cammina è dunque l’augurio più bello che ci possiamo fare l’un l’al-tro; persino alla natura. Infatti, come dice papa Francesco, “insieme a tutte le creature, camminiamo su questa terra cercando Dio, perché «se il mon-do ha un principio ed è stato creato, cerca chi lo ha creato, cerca chi gli ha dato inizio, colui che è il suo Creatore» Camminiamo cantando!”. È l’augurio più vero. Anche per l’anno nuovo. Lo possiamo porgere ai figli, ai vicini, a coloro che incontriamo sulla nostra strada, camminando sempre più certi della meta e cantando sempre più decisi l’inno della vita.

::: sEguE DALLA pRIMA

::: sEguE DALLA pRIMA

come docente di Educazione Fisica in Italia, in Russia e in Cile. Per poterla conoscere meglio l’abbiamo incontrata e così è nata questa interes-sante intervista.

Cosa l’ha spinta a studia-re Educazione Fisica?Prima ho preso una deci-sione: insegnare. Ero alle medie, non ricordo male, in seconda; ero affascinata dai miei professori. Il problema fu: che cosa insegnare? Mi interessava molto lettere, in particolare mi piaceva ar-rivare a toccare tematiche della vita molto profonde, la possibilità di incontrare “l’altro” attraverso gli autori e poterne parlare insieme. Mi piacevano inoltre Scienze motorie. Ho praticato molti sport: equitazione, vela, sci, sci d’acqua, pattinaggio, etc. e in particolare nuoto, palla-volo e atletica; discipline per cui ho anche gareggiato. Mi sono affidata al destino: mi sono iscritta al test della Cat-tolica di Milano che consiste-va in una dura prova pratica e teorica; mi sono detta che se avessi superato il test, la facoltà di Educazione Fisica sarebbe stata la mia strada: e così fu.

Che cosa l’ha portata ad andare fino in Russia e in Cile?Appartengo a un movimento cattolico che mi ha motivata a intraprendere questi percorsi molto interessanti spinta da un grande ideale che nasce da un’esperienza di vita. Sono stata in Russia a Novosibirsk, nel cuore della Siberia, per circa due anni, mentre in Cile sono stata a Santiago, per quasi dodici. Richiesta come presenza italiana, sono parti-ta con l’idea che avrei dovuto condividere i miei pensieri, le mie esperienze e le mie com-petenze (sia personali che la-vorative) mentre poi mi sono resa conto di aver ricevuto molto più di quanto abbia dato. Andare in missione, quindi, è molto bello per se stessi e per gli altri.

Può dirci due aggettivi per ogni continente visi-tato?Per quanto riguarda la Rus-sia, darei gli aggettivi “mi-sterioso e profondo” perché il contesto geografico (c’è la neve per otto mesi all’anno con temperature fino a -35°C ed oltre) costringe ad arriva-re all’essenzialità della vita. Le condizioni influenzano le normali azioni quotidiane, per esempio, per andare a prendere il latte devi uscire anche con -35°C. Per ciò la cultura è totalmente diversa dalla nostra e i russi sono un popolo molto profondo. Ri-ferendosi al Cile darei come aggettivi “familiare e sco-nosciuto”: per quanto possa sembrare un paradosso, è una realtà, perché Santiago è molto simile a una città europea, così come la lingua spagnola, simile al nostro italiano. La vera difficoltà è stato riconoscere la diversità che si trova nella mentalità del popolo, e questa non è stata una differenza imme-diata da capire. In generale vorrei dire che questi viaggi sono stati estremamente ar-ricchenti perché ho avuto la possibilità di imparare, di conoscere luoghi e persone nuove. Con la gente del posto ho condiviso pezzi di vita e di strada. Sono diventata anche cosciente riguardo la nostra storia perché quando si va in un altro Paese, ti rendi conto di quanto sia importante la propria identità.

Che cosa ha imparato dai suoi viaggi, cosa può con-dividere con noi?Ho imparato due cose: la prima è che la diversità è as-solutamente positiva, perché da essa è possibile imparare, di conseguenza non bisogna temerla. La seconda è che mi sento privilegiata per l’occasione che mi è stata data in quan-to sono consapevole che non tutti possono passare la loro vita in questo modo. Non si finisce mai di imparare e quindi non dobbiamo mai smettere di desiderare di ap-prendere perché è un modo bello di realizzarsi come per-sona.

Come trascorre il suo tempo libero fuori da scuola?Parto col dire che non ho mol-to tempo libero; nei pochi mo-menti in cui non sono a scuola o all’ Università (dove tengo corsi per i futuri insegnanti di Educazione Fisica) mi piace praticare nuoto e correre. Ap-profitterò in questo inverno di essere in Italia per andare a sciare e per trascorrere il tem-po insieme alla mia famiglia. Mi piace anche la lettura, ad eccezione dei generi fanta-scientifici. Amo molto visitare luoghi nuovi e preferisco il mare alla montagna.

Le piace di più lavorare direttamente con i ra-gazzi o il lavoro da Vice-rettore, cioè un po’ più distaccato dall’ambiente educativo?Non ho una preferenza, perché il lavoro educativo ha più aspetti. Il lavoro da Vicerettore ha una modalità differente rispetto al lavoro educativo a stretto contat-to con i ragazzi, ma non è meno piacevole. È un modo di porsi nell’ambiente educa-tivo differente ma comunque interessante: la possibilità di costruire qualcosa c’è sem-pre, la gestione del tema edu-cativo è presente, quello che cambia è solo la modalità.

Cosa si aspetta in futuro da questa scuola?Penso che riceverò molto, anche perché sta già suc-cedendo; ci sono persone che possono lasciarmi gran-di competenze educative e umane, e ci sono persone, che come voi, mi permettono di ricordare i miei incredibili viaggi, i miei pensieri e le mie emozioni.

Questa è la professoressa Al-bertazzi, una donna che ha creduto in se stessa, ha viag-giato e, di conseguenza, ha dato e ha ricevuto dalle per-sone incontrate. Lei si aspetta molto da noi e noi ci aspet-tiamo molto da lei: mostria-mole chi siamo, lasciandoci guidare in questo stupendo “viaggio” di conoscenza, dal-la sua esperienza e dalla sua grandezza umana.

Buon Natale, Buon anno!

8

FACILE E VELOCE PER PERSONE DINAMICHE

AcceSSIBIlITà IllImITATA e OnlIne A cOSTO zerO

CONTOULTRA NET

Il presente documento costituisce messaggio pubblicitario con finalità promozionale. Per le condizioni contrattuali del conto corrente illustrato e per quanto non espressamenteindicato si rimanda ai “Fogli Informativi”, che sono a disposizione della clientela sia su supporto cartaceo, presso tutte le Dipendenze della Banca, sia sul sito internet www.credicoop.it

www.credicoop.it

Ann

unci

o pu

bblic

itari

o

Destinato a clientela privata conaccredito stipendio o pensione in conto

Tasso avere: zero

Spese tenuta conto: zero

Spese per operazioni online: zero

Operazioni online illimitate

3 operazioni allo sportelloomaggio a trimestre, € 3.00per ogni operazione supplementare

Spese di rilascio Home Banking:zero

Prima carta bancomat gratuita

Prima carta di credito Bcc BeepPowered canone annuo gratuito

conto Ultranet240x335_Layout 1 01/12/15 08:25 Pagina 1

• • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

le classi raccontano

::: sILvIA TRAsI

Lunedì mattina tutta la scuola ha pregato insieme, radunandosi nel cortile. In silenzio, abbiamo ascoltato le parole del Papa: “Non capisco, ma queste cose sono difficili da capire, fatte da essere umani. Per questo sono commosso, addolorato e prego. Sono tanto vici-no al popolo francese tanto amato, sono vicino ai familiari delle vittime e prego per tutti loro. Non ci può essere una giustificazione religiosa e umana a questi fatti. Questo non è umano.” Abbiamo poi affidato le vit-time, i loro familiari, gli at-tentatori e noi stessi alla Ma-donna. Già dentro un gesto così semplice, durato pochi minuti, che chiarezza di giu-dizio: tutti insieme, grandi e piccoli, insegnanti e studenti, sicuramente scossi da ciò che era accaduto, ma non smarri-ti, sicuri di potere affidare con certezza se stessi e il destino di tutta l'umanità a Chi l'ha creata, e in ogni istante la ri-

genera nel Suo amore. In classe sono stati poi letti e commentati insieme diver-si articoli, per comprendere meglio cos’era accaduto e rispondere alle (moltissime e profonde) domande dei ra-gazzi.Il giorno dopo un alunno di seconda media, Davide, ha portato una bellissima poe-sia di una poetessa polacca,

Wislawa Szymborska, e ha chiesto di leggerla in classe, perché lo aveva colpito molto e lo aveva fatto riflettere su quanto era accaduto a Pari-gi. La poetessa si rivolge a un misterioso "tu", che si è salva-to attraverso mille peripezie. "Dunque ci sei? (...) Ascolta/ come mi batte forte il tuo cuo-re", conclude la Szymborska. Ma chi è questo "tu", ci siamo

chiesti in classe, un "tu" a cui sempre possiamo rivolgerci, che sempre, nonostante tutto, in ogni caso (come recita il titolo del poesia) riesce a rag-giungerci "dritto dall'animo ancora socchiuso", passando attraverso ogni più piccola circostanza?Rispondere a questa doman-da è la sfida più grande e af-fascinante della scuola e della

vita. Dentro il dramma del destino umano, avere un Tu a cui affidarsi permette di non farsi vincere dalla paura, di ripartire da una certezza.

AnchE DAvAnTI AgLI ATTEnTATI è pOssIbILE RIpARTIRE DA unA cERTEzzA

Un’insegnante della scuola Bachelet racconta come sono stati affrontati a scuola i drammatici avvenimenti di Parigi.

Non dirmi che hai paura

::: fEDERIcA ATTAnà, ALIssA bRAMbILLA

In seguito agli attentati avvenuti a Parigi venerdì 13 Novembre, l'Istituto L'Aurora non è rimasta indifferente e le classi hanno ripreso gli avveni-menti che in questi gior-ni hanno scosso tutto il mondo.

 Alle ore 12 del 16 Novembre tutto l’Istituto si è ritrovato in cortile per fare un minuto di silenzio e una preghiera in ricordo delle vittime. In quell’occasione la

vicerettore prof.ssa Simona Albertazzi ha letto le parole del Papa che ha parlato di atti che non hanno nulla di uma-no. Nei giorni seguenti gli stu-denti delle medie insieme coi loro professori hanno ripreso l’argomento in classe. Ripor-tiamo di seguito alcune brevi frasi tratte da articoli che i docenti hanno letto:. «Biso-gna avere il coraggio di spiegare ai nostri ragazzi cosa è accaduto a Parigi. Dicendo la verità e senza ripararli dal dolore e dal pericolo.

Perché le nuove generazioni qui in Italia sono state troppo protette e isolate dal concetto di sofferenza, che invece fa parte reale, concreta della vita di tutti noi... Una re-sponsabilità che hanno sia i genitori che i professori.»“…di fronte a simili tragedie oc-corre trovare la forza di andare avanti partendo prima di tutto da se stessi. E non bisogna mai gira-re la faccia dall’altra parte, come capitò a noi ebrei mentre venivamo deportati. Subito dopo raccomando di non odiare mai. Perché l’odio ge-

nera altro odio. Ultima cosa. Mai generalizzare.» (Liliana Segre)

Oltre a questo, gli studenti della Bachelet hanno discusso dell’accaduto, ognuno espri-mendo la propria opinione e ponendo le sue domande. Hanno poi messo a tema la reazione immediata dell’Eu-ropa; gli attacchi militari della Francia contro l’Isis e il dispiegamento di forze di sicurezza nelle principali cit-tà europee. Gli avvenimenti accaduti in Francia sono stati l’occasione preziosa per tutti di riflettere sul valore della persona e della vita umana.

ATTEnTATI DI pARIgI: cOME hAnnO REAgITO I RAgAzzI?

Le riprese in classe

«ATTENTATI di

PARIGI»ATTUALITà

Poteva accadere.Doveva accadere.

È accaduto prima. Dopo.Più vicino. Più lontano.È accaduto non a te.

Ti sei salvato perché eri il primo.

Ti sei salvato perché eri l’ultimo.

Perché da solo. Perché la gente.Perché a sinistra. Perché a destra.

Perché la pioggia. Perché un’ombra.

Perché splendeva il sole.Per fortuna là

c’era un bosco.Per fortuna

non c’erano alberi.Per fortuna una rotaia, un

gancio, una trave, un freno,un telaio, una curva,

un millimetro, un secondo.Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.In seguito a, poiché, eppure, malgrado.

Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,

a un passo, a un peloda una coincidenza.Dunque ci sei? Dritto

dall’animo ancora socchiuso?

La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?

Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.

Ascolta come mi batte forte il tuo

cuore.

Ogni caso(di Wislawa Szymborska)

10

::: DAnIELA bERnARDI

“Diario di bordo” rac-conta le vicende degli animali guidati da Noè, in viaggio sull’Arca durante il diluvio. I temi che abbiamo affronta-to sono di estrema attualità. Sull’Arca infatti gli animali scoprono di essere molto di-versi tra loro. Questo a prima vista è un limite: come faccio a convivere con quell’animale così diverso da me, che maga-ri puzza o ha comportamenti per me sgradevoli, o è troppo grosso e mi toglie spazio?Poi però gli animali comin-ciano a capire che la diversità degli altri può essere una ri-sorsa per tutti. Se si è capaci di restare uniti e di trovare uno scopo comune, ci si riesce ad aprire alla bellezza dell’al-tro, che è molto più simile a noi di quanto pensassimo all’inizio. Per questo serve una guida che ci aiuti. Nel caso degli animali è Noè: an-che fidandosi di lui i conflitti vengono superati. Grazie a questo libro, i bam-bini hanno potuto riflettere sulle relazioni tra loro, a par-tire dalla classe, che è un po’

una sorta di Arca di Noé. Ma questo atteggiamento di aper-tura a chi è diverso da noi e come noi ha dei bisogni e dei desideri può anche essere una chiave di lettura per guardare ai fatti di cronaca, al mondo in cui viviamo e ai mondi più lontani da noi. La lettura dunque è stata anche questa volta un’espe-rienza di vita concreta come dimostra il dialogo tra un alunno e la mamma, dopo questa mattinata a scuola.

LA LETTuRA In cLAssE cOME EspERIEnzA DEL MOnDO

Tra ottobre e novembre le seconde elementari

hanno letto in classe con le maestre un

racconto intitolato “Diario di bordo”. La

lettura del libro da parte dell’insegnante è sempre

un momento molto atteso dai bambini. Si

aspetta con trepidazione la parte della mattinata

dedicata all’ascolto della storia. C’è il desiderio di incontrare i personaggi, ci si immedesima in essi,

si fa il tifo per l’uno o per l’altro. Questa è la magia della letteratura

ad ogni età: permettere a chi ascolta di sentirsi

parte di una storia distante da noi, ma

capace allo stesso tempo di farci capire meglio la

nostra vita.

Tutti sull’arca

::: LEOnARDO pELOROssO

L’esplosione dell’aereo airbus 321 è stata giudicata dai diversi Stati in modo differente: gli Stati Uniti d’America e l’Inghilterra so-stengono che l’aereo sia stato fatto esplodere a mezzaria dai terroristi dell’Isis; mentre l’Egitto esclude categoricamente l’ipotesi dell’ attentato per salvare il turismo, fonte primaria dell’eco-nomia. La Russia attualmente ha confermato al mon-do intero che l’aereo è stato fatto esplodere dai terroristi dell’Isis, per mezzo di una lattina bomba, piena di tritolo e posizionata sotto il se-dile di un passeggero.“Siamo veramente al sicuro?”Secondo la redazione non quanto dovremmo esserlo perché nonostante gli errori umani nella costruzione e nel pilotaggio degli aerei (causa dei principali incidenti aerei attuali) dal 2001 si è aggiunto il dirottamento aereo per il quale i terroristi usano gli aerei come armi per incute-re terrore alla popolazione.Dopo l’attentato terroristico alle Twin Towers si sono prese numerose misure di sicurezza anche se come si è visto negli ultimi anni, e nell’ennesimo attentato che si è verificato il 31 ottobre in Egitto, gli attentati aerei non sono

mancati. Nonostante ciò in molti aeroporti, come quello di Sharm el Sheikh, le telecamere di sicurezza sono spesso rotte e quindi inutili. Inoltre in molti aeroporti mancano adeguate misure di sicurezza: come i metal detector, la perquisizione dei viaggiatori sospetti e il con-trollo dei bagagli, anche aprendoli per accer-tarsi di ciò che trasportano.Altro terribile e sconcertante esempio di questi insufficienti controlli sono i recenti attentati di Parigi avvenuti venerdì 13 novembre durante i quali sono morte 130 persone innocenti.In questi attentati i terroristi hanno colpito la nostra vita quotidiana minacciandoci di rubare la nostra libertà, incutendoci il terrore di uscire di casa per paura di essere uccisi.I giorni successivi agli attentati è stato poi co-municato che tre terroristi che hanno parte-cipato alle stragi di Parigi erano stati fermati dagli agenti doganali francesi ed in seguito ri-lasciati, dopo aver pagato una multa di 70 euro per il trasporto illegale di droga.È probabile che uno dei terroristi che hanno partecipato alle stragi di Parigi fosse venuto in Europa come immigrato, se così fosse, dimo-strerebbe ancora di più che la polizia non ha fatto tutto il necessario per impedire le stragi di venerdì.

DOpO gLI ATTEnTATI DI quEsTI uLTIMI gIORnI RIschIAMO DAvvERO DI pERDERE LA nOsTRA LIbERTà?

Siamo veramente al sicuro?

Mamma, posso leggerti una storia?

::: A cuRA DELLA REDAzIOnE

"Mamma, posso leggerti una storia?" mi ha chiesto mio figlio lunedì sera, mentre lavavo i piatti. "È un compito, l'ho già fatto con la nonna, ma voglio raccontarlo anche a te". Michele ha iniziato a legge-re un brano di "Diario di bordo", che narra la storia di Noè: gli animali, stanchi della convivenza forzata, cominciano a litigare fra loro, a dividersi in gruppi che tentano di eliminarsi a vicenda. "Ascolta mam-ma" dice Michele "adesso dicono una cosa orribile: "È ormai chiaro che certi animali qui sull'arca sono di troppo! In fondo i migliori siamo noi e dobbia-mo essere privilegiati!". Michele legge con enfasi poi commenta contrariato: "Ma non si fa così! È proprio brutto, vero mamma? Stanno facendo come quelli che hanno ucciso tante persone a Parigi". Vero, Mi-chele, hai ragione. Smetto di lavare i piatti. Penso tra me e me che è un modo straordinario (perché semplice, immediato ed evidente) di comunicare il significato di ciò che era accaduto ai bambini. Poi continua la lettura. Noè è angosciato per ciò che sta accadendo agli animali: il Signore li ha messi insieme perché si aiutino a vicenda, invece... Ma a Noè ba-sta guardare il mare, reso argenteo dal riflesso della luna, e pensare che ognuno di loro era stato creato da Dio, e da Lui messo dentro quella difficile prova, per sentirsi in pace e addormentarsi tranquillo."Senti, Michele, secondo te noi possiamo fare come Noè?" "Sì, certo mamma" "Perché?" "Anche noi sia-mo stati creati da Dio, che ci ama. Non importa se succede qualcosa di brutto." Ci siamo abbracciati. "Grazie Michele di avermi letto questa bellissima storia. Ringrazia anche la maestra da parte mia per averti dato questo compito."Il giorno dopo, la nonna mi ha detto di aver foto-copiato il libro, per darlo alle sue amiche, talmente preoccupate per gli attentati da non voler più uscire di casa. "Ma soprattutto perché è servito a me. Mi ha reso più chiaro un giudizio su ciò che era accaduto e a Chi guardare per non farsi bloccare dalla paura".

11

Gli alunni del

laboratorio

pomeridiano di

giornalismo riprendono

l’esperienza dell’Expo.

La scoperta numero

uno per loro è la

cucina, in particolare la

ricetta del Raviggiolo.

Qui si avventurano in

diete e consigli della

corretta alimentazione.

Alimentazione dopo l'Expo

::: A cuRA DELLA REDAzIOnE

A Cernusco viene ri-scoperta dopo 467 anni la ricetta dell’antico “Raviggio-lo”, racchiusa in un mano-scritto dell’umanista Ortensio Lando, risalente al 1548 e intitolato “Catalogo dell’in-ventori delle cose che si man-giano, delle bevande ch’oggi-di s’usano”. La citazione del “Raviggiolo” è stata trovata

per caso dallo scrittore ed ex-giornalista Luigi Frigoli, che si stava documentando per scrivere un romanzo sto-rico. Il comune di Cernusco, informato della scoperta del “Raviggiolo di Cernusco sul Naviglio”, decide di investire risorse per riprodurre la ri-cetta dell’antico piatto e allo scopo viene chiamato lo chef stellato Giancarlo Morelli.Per riuscire nel suo compito,

Morelli ha letto accuratamen-te la storia di Libista, conta-dina lombarda del 1500, l’inventrice dei maltagliati lombardi. Inoltre il cuoco si è informato sulle usanze culina-rie del periodo storico in cui è vissuta la donna. Morelli ha inoltre realizzato il piatto con l’esclusivo utilizzo di prodotti del territorio ed erbe aroma-tiche provenienti dai campi cernuschesi. Il raviolo è stato infine pre-sentato a Expo giovedì 22 ot-tobre 2015.

Storia del Raviggiolo

::: MATTEO fAcIOcchI, AnDREA pERETTA I coloranti vengono usati per aggiustare i colori di un determinato cibo. Ad esempio, il ghiacciolo alla menta sarebbe trasparente ma diventa verde in seguito ad un trattamento: in questo modo il suo aspetto diventa accattivante. Oltre che per renderli riconoscibili e appeti-bili, si usano i coloranti anche per standardizzare e unifor-mare i cibi. Cosa penserem-mo se le caramelle fossero di

un colore neutro? Ovviamen-te nessuno le comprerebbe. Inoltre nelle bevande i colori trasparenti conferiscono più brillantezza, invece quelli tor-bidi danno un aspetto frutta-to. Alcuni esempi di coloranti presenti all'interno dei cibi sono: - Il gelato puffo alla spi-rulina: è un' alga da cui si ricava un colorante artificiale, blu. Esso viene utilizzato per questo genere di gelato; é sta-to dimostrato da alcuni scien-ziati che il colorante blu è il

più pericoloso; è considerato una buona fonte di proteine a basso costo. - il chewing gum (big ba-bol) è composto essenzial-mente da un colorante rosso ottenuto dalla raccolta di un insetto che si insedia nelle piantagioni di cactus, la coc-ciniglia. Secondo gli scienziati è un veleno per il nostro or-ganismo.- Le mozzarelle sono così lucide e bianche perchè c'é un elemento che viene aggiunto all' impasto chiamato biossido di titanio che agisce da sbian-cante ottico, lo stesso che viene anche usato negli sbian-canti per denti.

Il cibo è davvero come sembra?!

Il raviolo ha origini cernuschesi? Così dice un manoscritto di Ortensio Lando.

12

::: fEDERIcO cIvATI

Partendo dalla do-manda: “Si può dimagrire ve-locemente e senza sforzi?” molti ricercatori hanno provato a dare questa risposta: basta tenere le portate più caloriche lontane da-gli occhi. Lo sforzo sarà esclusiva-mente quello di spostare pacchi di biscotti, confe-zioni di cereali, caramelle in punti scomodi da rag-giungere… e lì ci dovran-no rimanere. “Questo dovrebbe farci perdere peso”. A dirlo è l’FBL (Food & Brand Lab) che ha tro-vato la risposta dopo pa-recchi anni di studio.Ecco alcune regole per perdere peso, abitudi-ni da cambiare e, infine un’indagine sulla dieta degli studenti.

Metti a Dieta la Cucina- Ciotola per Pasta: preferi-bilmente piccola, per convin-cersi che si è mangiato di più.- Piatti: meglio di un colore contrastante dal momento che gli occhi percepiscono meno cibo.- Verdure: scegliere ciotole facili da raggiungere a tavola e di colori freddi: si crederà di mangiarne poca, quindi si farà il bis.- Bevande: meglio versarle in bicchieri stretti e alti, saranno pieni più velocemente e si berrà meno.- Snack: vanno tenuti in luo-ghi chiusi come la dispensa.- Patate: essendo un alimen-to molto calorico meglio la-sciarle in un punto in cui ci si deve alzare per servirsene.

Cattive Abitudini- Mangiare con la tv acce-sa: non si presta attenzione alla quantità di cibo che si mangia, meglio tenerla spen-ta durante i pasti. - Portare snack sul diva-no: essendo rilassati si man-gerà di più.

Il Frigo Perfetto- Ripiano altezza occhi: metterci la verdura e altri cibi sani, saranno i primi a essere visti e quindi scelti.- Contenitori: non bisogna mangiare tutto subito, quello che avanza si mette in frigo.- Cibi coperti: torte, pizze,

REgOLE,

AbITuDInI

DA cAMbIARE,

cOnsIgLI pER

unA cORRETTA

ALIMEnTAzIOnE

Dimagrire velocemente e senza sforzi

È stata eseguita un’indagine sulla dieta di alcuni stu-denti della scuola, dalla prima alla terza media. La ricerca ha interessato un campione di 45 persone.

In generale:

cOLAzIOnEIl latte è l’alimento più consumato con biscotti. Alcuni studenti però non fanno colazione.

pRAnzOLa pasta è consumata da quasi tutti i ragazzi. come secondo piatto si preferiscono vegetali e proteine animali.

MEREnDAsolo 1/3 mangia fuori pasto. viene consumata soprattutto la nutella.

cEnAprevalgono i carboidrati e i vegetali. sono stati trovati casi di studenti che preferiscono minestre e vellutate, alla pasta.

Indagine sulla dieta degli studenti

residui delle feste: se li “na-sconderete” con l’alluminio, non vi tenteranno al primo sguardo.

Consigli- Fate la spesa dopo i pa-sti: essendo sazi, si acquista meno cibo. Jing Xu, uno scienziato cinese, sostiene che alla base dell’ acquistare più del dovuto ci sia un ormone che agisce quando abbiamo

fame, la grelina, che si muove nelle aree celebrali legate alla motivazione, spingendoci ad acquistare non solo più cibi, ma più cose in generale.

13

::: MATTIA DALLA nOcE, ALyssA bRAMbILLA, TOMMAsO cALvI

 I ragazzi, nel momento in cui si confrontano sul proprio metodo di stu-dio, si accorgono che ognuno affronta il momento dello studio in modi di-versi. A seconda dell’atteggiamento di ciascuno è possibile classificare i vari momenti in:

Lo studio finto Si vorrebbe studiare guardando la televisione o giocando con la play sta-tion; svolgere i compiti, ma continua-re a fare disegnini o leggere fumetti. Si vorrebbe imparare la lezione per il giorno seguente e contemporanea-mente fare altro. Questo modo di fare, ossia passare da un argomento all’al-

tro o da una materia all’altra, porta via tanto tempo senza concludere nulla di buono.

Lo studio rimandatoSi rimandano sempre i propri impegni oppure quando si cominciano i com-piti si vuole subito cambiare perché si è in difficoltà o si ha l’impressione di finire velocemente. Questo modo di fare è tipico di chi non vuole lavorare da solo dedicandoci tempo e attenzio-ne, e poi quando ci si accorge che il tempo è trascorso e non ha ancora fat-to niente, si chiede all’amico di inviare i compiti già svolti tramite i social che diventano, così, una “scorciatoia”.

Lo studio istantaneoSi sta alla scrivania due minuti, svol-

gendo i compiti in fretta e furia, prepa-rando la cartella dicendo di averli ter-minati. Anche questo modo di fare è infruttuoso perché si acquisiscono solo nozioni superficiali e frettolose.

Lo studio organizzatoDopo un momento di svago giunge il tempo di sedere alla scrivania e di svol-gere i compiti. Innanzitutto si guarda il diario e si organizza il lavoro. Si pianifica una scaletta dei compiti più urgenti (quelli per il giorno successi-

vo), di quelli più faticosi (perchè è la materia in cui non si è particolarmente brillanti) e di quelli che si riusciranno a fare in minor tempo, ma con buoni risultati. Si sta concentrati lasciando il proprio cellulare spento! Questo è il metodo migliore, quello che ti educa ad affrontare il lavoro con serietà e che lascia spazio alle altre importanti attività quali lo sport e lo stare insieme agli amici.

E tu, caro lettore, in quale studio ti immedesimi?

sTuDIARE cOL METODO gIusTO

All’ultimo minuto!All’ultimo minuto… ovvero come lo studente tende a ri-mandare o a non fare il proprio dovere quotidiano.

::: MARTA RATTI, ALyssA bRAM-bILLA, gIuLIA fuLghIERI

All'inizio dell'anno sco-lastico le professoresse Bonetti e Ferretti, che guidano il labo-ratorio, hanno presentato in breve il progetto e hanno in-vitato i ragazzi a parteciparvi.Come primo passo hanno spiegato gli argomenti del corso e lo scopo: realizzare un giornalino scolastico e colla-borare con quello già esisten-te, l’Aquilone. Successivamente è stata pre-sentata un’importante figu-ra del giornalismo italiano, Oriana Fallaci, che fu la pri-ma giornalista donna ad inte-ressarsi di argomenti che non fossero la moda o il gossip. Essa era innamorata del suo lavoro ed è stato interessan-te vedere come una grande professionista come lei cer-cava con pignoleria la parola giusta, la punteggiatura ade-guata, sulla quale stava anche molte ore prima di essere sod-disfatta del risultato.Durante la seconda lezione i ragazzi hanno avuto modo di

studiare l’origine del giornale per poter comprendere l’im-portanza della comunicazio-

ne e dei suoi sviluppi. Poi si è passati all’analisi di un quoti-diano, alle parti in cui è com-

posto e a come si impaginano gli articoli. Nella lezione successiva i

ragazzi hanno incontrato il rettore prof. Rosario Mazzeo che ha proposto loro tre modi per collaborare nella nostra scuola: il primo è quello di scrivere per l’Aquilone, che esce due o tre volte l’anno e che raggiunge tutte le fami-glie della scuola. Il secondo è pubblicare le notizie sul sito che prevede una parte dedicata alle ‘news’; gli arti-coli sono composti principal-mente da didascalie, lunghe massimo cinque o sei righe, e immagini che descrivono il contenuto della notizia. Il terzo modo che il Rettore ha proposto prevede la composi-zione di cartelloni da affigge-re nell’atrio per comunicare con tutti coloro che entrano nella nostra scuola.

Nella lezione successiva i ra-gazzi hanno formato una re-dazione che ha deciso quali notizie sviluppare in articoli, e dove pubblicarle.

IL vALORE DELLA cOMunIcAzIOnE: IMpARARE DALLO sTILE DEI gRAnDI gIORnALIsTI

Il laboratorio di giornalismo si tiene a scuola il venerdì pomeriggio e durerà da ottobre a marzo. Al laboratorio partecipano quindici ragazzi delle classi terze che si dividono in gruppi diversi per realizzare degli articoli.

Il laboratorio di giornalismo

14

::: DAvIDE cAvALLInI, 2c

Eravamo a Cogne, in Val d'Aosta, per un’uscita di-dattica durata tre giorni: dal 22 settembre al 24 settembre. Il secondo giorno andammo a Valnontey. Dopo una pia-cevole camminata arrivam-mo a destinazione: ne dava un chiaro avviso un ponte in legno ornato di fiori che per-metteva il passaggio da una sponda all'altra del torrente, che scrosciava imperterrito davanti ai nostri occhi. I professori si fermarono e tutti gli alunni si fermarono a loro volta. I professori iniziarono a parla-re del luogo e delle attività la-boratoriali che potevamo fare insieme. Io, personalmente, non riuscivo a sentire bene: avevo le orecchie congelate dal freddo, due cappucci sulla testa e come se non bastasse, tirava un vento freddo come il ghiaccio e sinistro come la notte. Cercavo di ascoltare, tendevo le orecchie verso i professori, ma ugualmente non sentivo nulla. Ad un tratto riuscii a sentire qualcosa: “Il circolo letterario con le professoresse Trasi e Bonetti”. Era proprio quello che speravo di sentire. Mi av-viai felice verso le professores-se, ma poi mi guardai intorno

e realizzai di essere tristemen-te solo. Stavamo per annulla-re l'attività, quando un mio amico e compagno, Leonar-do, decise di partecipare con me all'attività di poesia. Poi si aggiunsero Emashi e Giulia, altre mie compagne di classe, e infine si aggiunsero Marco e il professor Mauro. Eravamo al completo, pochi ma buoni. Cercammo un bar per scaldarci e poter svolgere al meglio la nostra attività. Dopo due bar trovati chiusi stavamo quasi per perdere la speranza, quando notammo una casa con un’insegna in-tagliata in legno sulla porta: “oggi il caffè costa meno!”. Era forse la nostra speranza: un bar aperto. Ci avviammo con passo ve-loce verso quell'edificio, bus-sammo, e qualcuno ci aprì finalmente la porta. Prima di entrare, però, guardai un’ulti-ma volta il paesaggio: le due montagne stringevano dol-cemente la valle come una mamma stringe a sé suo figlio. I pini e gli abeti ornavano le piccole alture presenti nella valle, e i larici erano vecchi signori dalla folta barba. Il grigio torrente seguiva il suo flusso, e sulle sue irregolari sponde di ciottoli spuntava qua e là qualche ciuffetto d'erba che arricchiva la scial-

ba proda. Infine, un candido velo di soffice e spumosa neb-biolina copriva delicatamente un campo bagnato. Tutto durò un secondo, ma fu come un secondo eterno. Entrammo nel bar e ci acco-modammo in un tavolo ab-bastanza grande. Io nel frat-tempo, mi guardavo intorno: vedevo foto di persone che trasportavano legna, e quadri di Valnontey del passato. Ve-devo anche il bancone di le-gno, con il menù appiccicato sopra. Era forse uno dei posti più ac-coglienti che avessi mai visto. I ritratti di vita quotidiana, la tovaglia a quadri, le travi di legno: sono i piccoli partico-lari che rendevano quel posto così magico. Le professoresse furono così gentili da farci ordinare qualcosa. Niente po-teva rovinare quel momento. Parlammo liberamente delle nostre idee sulla montagna e sul torrente, leggemmo un paio di poesie, confrontammo le nostre opinioni riguardo al paesaggio che ci circondava. Il fatto di aver svolto que-sta attività assieme ai miei compagni, con anche Mau-ro e Marco, che seguiva con sguardo attento i nostri di-scorsi e faceva interventi mol-to belli e interessanti, è stato forse l'aspetto più bello di questa attività. Oltre all'avere imparato dal punto di vista didattico, con poesie e para-goni al paesaggio circostante, ho anche imparato come si può scoprire insieme, magari anche a casa con un amico, oppure in un luogo che ti pia-ce, ma sempre con qualcuno con cui poterti confrontare e imparare al meglio. Meglio ancora se fatto da-vanti a una buona cioccolata! (sul sito www.aurorabachelet.it altre foto, altri testi)

uscITA DIDATTIcA A cOgnE

Un alunno racconta l’esperienza fatta al laboratorio di poesia, svoltosi durante l’uscita didattica delle classi seconde.

Montagne, poesia e cioccolata calda…insieme c’è più gusto!

15

::: gIuLIA fuLghIERI E sOfIA MOI

Quest’anno Le Olim-piadi sono state il tema cen-trale che ha ispirato i giochi. Ogni classe è stata divisa in quattro gruppi ed ognuno ha partecipato a quattro giochi organizzati, arbitrati e coor-dinati dai ragazzi di terza; la manifestazione poi si è con-clusa con un gioco, nel quale i quattro gruppi si sono riuniti per sezione. La progettazione, la scelta e l’organizzazione è avvenuta

durante due incontri nei quali i “grandi” si sono confrontati tra loro e con i docenti, a cui hanno proposto idee e spunti. La manifestazione si è svolta presso il centro sportivo di Cernusco sul Naviglio ed ha visto i partecipanti impegnati in giochi “classici” come il tiro alla fune, la gara di velocità con delle domande teoriche (che riguardavano la scuola e le conoscenze acquisite du-rante la prima parte dell’anno scolastico), lo svuota campo, la palla prigioniera e il ca-stellone. Alla sommatoria dei

punti finali di questi giochi ha vinto la sezione D, anche se poi tutti i partecipanti hanno festeggiato condividendo un rinfresco offerto dai ragazzi per tutti gli alunni di prima. La sezione vincitrice ha rice-vuto un premio con i cinque anelli delle Olimpiadi che è stato successivamente espo-sto in classe. Questa idea è risultata ancora una volta vincente in quanto l’obiettivo di fare sentire i primini ben accolti e parte di un gruppo più ampio è stato pienamente raggiunto!

LE cLAssI TERzE vIvOnO unA gIORnATA DI gIOchI pER LE cLAssI pRIME

Le Olimpiadi della Bachelet

::: chIARA spEssI

L’orto a scuola è una importante occasio-ne di crescita per i bambini, che sono coinvolti a 360 gradi: devono pensare a ciò che bisogna fare ed essere costanti e pazienti nella cura. Ma non solo.

L’orto è una grande possibilità di incontro. Nel mondo di oggi non è frequente che i bambini sia-no a diretto contatto con la terra e con la natu-ra. Prendendosi cura delle piante i nostri alunni vivono una preziosa esperienza di incontro con la realtà e con le meraviglie che essa nasconde anche nelle cose più piccole. Il seme infatti è già dotato di tutto: aspetta solo di manifestarsi e cre-scere grazie a qualcuno che se lo prenda a cuore. Allora si manifestano la prima radichetta, il fusti-cino, le prime foglioline e i bambini sono parte-cipi di un vero e proprio miracolo, uno dei tanti che ci circondano: per vederli basta solo fermarsi un pochino. L’orto è un’occasione di relazione: da un lato con le generazioni passate che per noi significa l’incontro con il signor Luigi, papà di una delle maestre delle scuola, che ci segue passo passo sve-landoci i segreti della terra; dall’altro con adulti e ragazzi che hanno fatto di questa passione un lavoro, preziosa in tal senso si è rivelata l’uscita didattica presso una struttura ortofrutticola. L’orto offre la possibilità di sviluppare le proprie competenze, mettendo in pratica sul campo ciò che si è imparato in classe. I bambini approccia-no e si ingegnano nelle prime misurazioni, con-tano, organizzano lo spazio per far crescere le

un’EspERIEnzA A 360° pER I bAMbInI DI sEcOnDA

L’orto a scuola: dalle piante alle relazioni

Da qualche anno alcuni studenti di terza media organizzano, insieme ai professori di Educazione Fisica, giochi con i ragazzi di prima media, per creare un legame tra loro.

16

TEsTIMOnIAnzE DI vITA vIssuTA

piante. Ma devono anche raccontare ciò che ac-cade, descrivere i dettagli, imparare una termi-nologia specifica. Imparano così a osservare, con-frontare, classificare e registrare i cambiamenti. Apprendono come la vita si manifesta in forme cicliche, per comprendere le quali sono molto preziosi strumenti come tabelle e calendari.

L’orto, infine, ci parla anche di noi stessi. Come il seme che porta frutto, anche noi siamo dotati di cuore, ragione e libertà, che ci consentono di aprirci al mondo. Anche noi abbiamo bisogno di qualcuno che ci doni tempo, amore e attenzione perché i nostri talenti possano fiorire. Questa è l’esperienza della scuola e di ogni relazione edu-cativa. Grazie all’orto i bambini possono intuire tutto ciò e imparare a prendersi più cura gli uni degli altri, diventando essi stessi “agricoltori” del-la bellezza in ogni relazione.

A scuola con i nonni Nel mese di ottobre le maestre di terza hanno invitato a scuola alcuni nonni per dare l'occasione ai bambini di ascol-tare una testimonianza diretta del passato.

::: sARA DOTTORI, sEREnA AffInI, ELEnA zEcchILLO

Dopo aver ricostruito la propria storia personale in classe seconda, gli alunni delle classi terze sono stati introdotti allo studio della storia a partire dalla cono-scenza dei diversi tipi di fonti di cui lo storico si serve per ricostruire fedelmente il pas-sato. Nulla di più affascinan-te per un bambino del vede-re denti di dinosauro, fossili di ammoniti e trilobiti o in-cisioni rupestri, ma ancora più avvincente è stato per loro incontrare alcuni nonni ed ascoltare le testimonianze sulla vita "dei tempi antichi", come qualcuno di loro can-didamente li ha definiti.

In classe IIIA nonno Giorgio e nonno Fernando hanno illustra-to con passione e chiarezza la loro esperienza, facendo emergere soprattutto il grande desiderio di trasmettere ai bambini qualcosa di bello, vero e utile alla loro vita. Un nonno "di città", uno "di campa-gna", uno figlio unico, l'altro pro-veniente da una famiglia numero-sa, entrambi bambini vivaci che si divertivano a giocare alla lippa o al telefono senza fili, ma uno in strada, perché le macchine non cir-colavano come oggi, l'altro nell'aia davanti a casa. I bambini, curiosi, fanno mille domande sulla scuola e sulle ma-estre, sulle automobili, sul cibo, sul lavoro e i nonni raccontano di maestre care e rimaste nel cuore o di maestre un po' troppo seve-re, della Topolino e della prima Cinquecento, di un piatto di ri-sotto da condividere con i fratelli

perché non c'era cibo. Raccontano che alle volte, per fare un disegno, occorreva attendere la fine del mese per poter utilizzare il retro del calendario. Raccontano della passione, della tenacia, della fati-ca necessarie per raggiungere degli obiettivi. E i bambini osservano, ascoltano e imparano. Si stupi-scono guardando alcuni oggetti portati dai nonni, di fronte ad una vecchia macchina fotografica, non c'erano i selfie allora! Forse alcune cose hanno acquista-to ai loro occhi un maggiore va-lore, certo la ricchezza di questa testimonianza non andrà persa e rimarrà incisa come sulla pietra, nella loro mente e nel loro cuore.Grazie nonni!

In classe IIIB i cinque non-ni che hanno intrattenuto per una mattinata i bambini sono stati una vera ricchezza.Cosa hanno imparato i bambini? Storia è la risposta giusta! La sto-ria del nostro passato, la storia dei loro nonni quando, come loro fre-quentavano la scuola elementare. I bambini sono rimasti molto col-piti dai giochi di un tempo: mettere un nastrino al collo di una rana per poterla portare al "guinza-glio", raccontare delle storie con i bambini del cortile, o giocare alla lippa.Uno dei nonni ha anche intagliato e regalato una lippa tutta per noi con cui abbiamo potuto giocare nel giardino della scuola.Una nonna ci ha raggiunto da Napoli per regalare un pezzettino di sé a sua nipote e a tutti noi, raccontandoci la sua infanzia, i suoi passatempi e narrandoci lo scorrere della sua vita quotidiana.Meravigliosa è stata anche la te-stimonianza di due nonni coniu-

gi; abbiamo saputo come si sono svolte le loro nozze, arricchendo i loro racconti con alcune fotografie di quel giorno tanto importante.Volevamo insegnare ai bambini cosa fossero le testimonianze orali ma nessun nostro insegnamento avrebbe potuto essere più incisivo di questa magnifica mattinata scolastica!

In classe III C i bambi-ni hanno incontrato sei nonni ai quali hanno rivolto una serie di domande. I nonni, con grande di-sponibilità ed entusiasmo, hanno raccontato che da bambini, pur avendo pochi giocattoli, riusciva-no comunque a divertirsi perché organizzavano giochi all'aperto insieme ai loro amici. Inoltre co-struivano, con i pochi materiali a disposizione, dei giocattoli come ad esempio la carrozzina per la bambola o il cavallo a dondolo. I bambini sono rimasti sorpresi quando i nonni hanno descritto com'era la scuola tanti anni fa perché le classi non erano miste, gli insegnanti erano più severi e spesso davano punizioni, si scri-veva con il pennino che veniva intinto nell'inchiostro e si usava la carta assorbente per non mac-chiare il foglio. Inoltre un nonno ha mostrato ai bambini un ricamo con la riproduzione delle lettere dell'alfabeto in " bella scrittura ", una materia scolastica che oggi non esiste più. I nonni hanno poi ricordato che per raggiungere la scuola dovevano percorrere a piedi alcuni chilometri ma nella loro memoria non è ri-masta solo la fatica quanto l'aver camminato ogni giorno in compa-gnia di altri bambini. È stata una bella esperienza che sicuramente si ripeterà!

Quest’anno insegnanti e bambini di seconda elementare si stanno prendendo cura dell’orto che è presente nel giardino della scuola da tre anni. È un’esperienza molto importante dal punto di vista educativo: questi bambini, che l’anno scorso si sono affacciati alla scuola elementare per la prima volta, sono già diventati un po’ più grandi, tanto da potersi far carico di questa responsabilità. È significativo anche l’aver ereditato questo compito da chi se ne occupava prima: i compagni più grandi. Ciò dimostra che la vita in ogni sua forma richiede cura costante e condivisione nell’impegno di farla crescere.

17

::: LE cLAssI quInTE

Qualche giorno fa abbiamo provato a misurare la superficie del-la nostra lavagna a coppie.Dopo avere condiviso le nostre esperienze e avere capito quali era-no i punti di forza e di debolezza dei nostri metodi, abbiamo tratto alcune considerazioni.

Innanzitutto abbiamo sperimenta-to che per misurare occorre usare un'unità convenzionale adeguata. Abbiamo notato che ogni quadret-to della lavagna misura cinque cen-timetri di lato e quindi prendendo-ne due vicini abbiamo ottenuto un lato di 10 cm = 1 decimetro. Abbiamo costruito così un grande quadrato di lato 1 decimetro e di

superficie 1 decimetro quadrato.

In seguito, per contare tutti i de-cimetri quadrati in modo veloce, abbiamo calcolato quanti grandi quadrati ci sono in orizzontale e quanti in verticale e, ricordando gli schieramenti fatti gli scorsi anni, li abbiamo moltiplicati tra loro. Ab-biamo ottenuto 216 decimetri qua-drati. (foto )

A questo punto ci siamo chiesti: quanti metri quadrati misura la la-vagna? Abbiamo ricavato un metro quadrato: 10 decimetri quadrati x 10 decimetri quadrati. (foto )

Vedendo che avanzava ancora mol-ta superficie qualcuno ha chiesto se ne potevano ricavare altri.

Per saperlo abbiamo cercato di ca-pire se c'erano altri 10 dm quadrati da mettere insieme. Così abbiamo visto che c'era la possibilità di rica-vare un altro metro quadrato. Alla fine sono rimasti 16 decimetri qua-drati. In totale quindi la lavagna misura metri quadrati 2,16. (foto )

A questo punto facendo l'equiva-lenza abbiamo scoperto un'altra cosa: 216 decimetri q.= 2,16 metri q. poichè ogni unità di misura di superficie è 100 volte più piccola della precedente e 100 volte più grande della seguente.

Infatti osservando il metro quadra-to si vede che i decimetri quadrati contenuti sono 100. (foto )

cLAssI quInTE: EspERIEnzE "su MIsuRA"

Le classi quinte

hanno vissuto

un’esperienza

indimenticabile

sulla misura della

superficie. Quella

qui descritta

si è rivelata

particolarmente

efficace perché

ha fornito

l'occasione di

acquisire concetti

fondamentali.

La superficie della lavagna

foto foto

18

dinare materiale diverso come tappi, giochi, nastri, libretti, carte etc...Nel mettere ordine si scopre la necessità di trovare dei criteri con cui formare gruppi. Ogni bambino si mette in gioco e propone alla classe il criterio indi-viduato: formare gruppi in base al colore, al materiale, alla tipologia di oggetti, alla dimensione…La classe diventa un vero e proprio laboratorio dove ciascuno è impe-gnato a classificare il materiale secondo il criterio scelto e a cercarne di nuovi. All'attività segue un momento di sintesi orale o scritta che consente di fissare l'esperienza vissuta.

Un giorno, mentre gli alunni riordinano il materiale al termine del lavoro, un bambino domanda: " Maestra, quando facciamo matema-tica?" Mentre l'insegnante risponde che l'hanno appena svolta, egli replica con un gran sorriso: "Maestra, la matematica è bella". È questa la posizione che desideriamo mantenere nei nostri alunni affinché ciascuno sia protagonista dell'esperienza matematica che sta vivendo e possa così incrementare l'incontro e la conoscenza del reale.

::: gIuLIA MuzzI, MARIA RODELLA, LAuRA pAgAnI

Sin dal primo giorno di scuola i bambini vengono introdotti ai concetti matematici. Per esempio gli alunni sono chiamati a comple-tare quotidianamente il calendario di classe: la maestra scrive sul calendario murale il numero del giorno, sia in cifra che in parola, poi i bam-bini, a turno, rappresentano con dei puntini la quantità indicata dal numero mentre la classe conta a voce alta per consolidare la cantilena dei numeri. Dal mese di ottobre i bambini iniziano anche a contare con le dita e a "fare il contatore viven-te". Mentre un alunno è impegnato a segnare i puntini sul calendario, la classe conta a voce alta, usando anche le mani. In seguito alcuni compagni "fanno il contatore" alzando le dita per formare il numero del giorno.Il lavoro del calendario si conclude provando a comporre in tanti modi il numero. Perciò per il 26, osservando le mani dei compagni che fanno il contatore, viene spontaneo dire 10 e 10 e 6 oppure 5 e 5 e 5 e 5 e 6. Col tempo i bambini iniziano "a giocare" coi numeri e ad osservare che essi possono essere

EspERIEnzE "MATEMATIchE" nELLE cLAssI pRIME

In classe prima il lavoro parte dall'esperienza vissuta dai bambini. E per esperienza non si intende solo il fare, il toccare, il manipolare, ma anche il fare ipotesi, il progettare, il verbalizzare, il simbolizzare e il verificare. Per-ciò l'esperienza è tale quando tutta la persona del bambino - cuore, mente e corpo - è in azione.

La matematica è bella!

formati in molti modi. Il nu-mero 26 ad esempio da 20 e 6, da 6 e 20, da 10, 5, 5, 5 e 1, da 20, 2 e 4, da 26 volte 1 oppure da cinque volte 5 e 1...Il gioco coinvolge tutti e cia-scuno desidera raccontare il modo da lui pensato. Così facendo i bambini iniziano ad eseguire addizioni con più addendi e incominciano ad usare le proprietà dissociativa e commutativa dell'addizione.

Un'altra esperienza che vede gli alunni di prima introdotti in ambito matematico è rior-

foto foto

19

::: ROsAnnA cAccIALAnzA

Cosa abbiamo im-parato sulla civiltà roma-na a partire dall'osser-vazione dei monumenti e dalla spiegazione della guida. Ieri siamo andati in gita ad Aosta insieme all'altra quin-ta e alle nostre insegnanti. Appena arrivati abbiamo in-contrato la nostra guida che si chiama Donato Arcaro. Il primo luogo che abbiamo vi-sitato è stato la villa romana della Consolata.Questa villa è stata costruita fuori dalle mura della città ed era l’abitazione di una fami-glia molto ricca e benestante. Infatti era molto grande, ave-va molte stanze e un locale dedicato alle terme. Questo locale era diviso in tre parti:

aveva una vasca di acqua cal-da (calidarium), una di acqua fredda (frigidarium) e una di acqua tiepida (tepidarium). Per riscaldare l'acqua aveva-no un forno vicino che tra-smetteva al pavimento il calo-re. Osservando questo locale abbiamo capito che i Romani avevano cura del loro corpo. Abbiamo osservato un'altra stanza chiamata triclinium. In questo locale erano posti tre letti comodi dove il pa-drone e i suoi ospiti si radu-navano per mangiare. Essi si facevano portare il cibo dai servi e lo consumavano semi sdraiati. Questo fatto ci ha in-segnato che i Romani amava-no la buona cucina e i ricchi avevano la servitù. Dopo aver visitato la villa ab-biamo osservato il ponte ro-mano. La guida ci ha spiega-

to che i Romani costruivano i ponti mettendo un'impalcatu-ra e sopra di essa dei cunei di pietra. Al centro sistemavano la chiave di volta che spingeva il peso ai lati della costruzio-ne e questo permetteva alla struttura di stare in piedi. Sotto al ponte, al tempo dei Romani, c'erano delle strade che permettevano ai carri e alla gente di passare da una città all'altra. Abbiamo capito così che i Romani erano abili architetti e intelligenti inge-gneri. Le loro strade ancora oggi sono percorse da auto-mobili, camion e altri mezzi di trasporto. Dal ponte abbiamo visto l'Ar-co di Augusto. La guida ci ha

spiegato che questo monu-mento era stato messo lì per dire a tutti che quello era un territorio romano. In una delle nicchie dell'arco c'era la statua dell'imperatore Augu-sto perché la città era stata costruita in suo onore. Infatti era sta-ta chiamata Augusta Praetoria Salassorum; i Salassi erano il popo-lo che abitava la Valle d'Aosta prima dei Ro-mani. Successivamente sia-mo entrati nella città attraversando la Porta Praetoria. Si chiama così perché quando i Romani hanno conquistato Aosta, il

loro esercito era formato da tre-mila soldati in pensione chia-mati Praetori. Questa porta è fatta da pietre grigie e da mar-mo bianco pro-veniente dalla città di Carrara. Subito dopo es-sere entrati la guida ci ha por-tato a vedere il teatro romano. Prima di tutto abbiamo notato i resti di questo teatro che era fatto a forma quadrata ed

aveva nove arcate per lato. Oggi ne sono rimaste solo quattro. All'interno c'erano delle gradinate dove gli spet-tatori si sedevano per assistere agli spettacoli. Esse erano di-

sposte a semicerchio (cavea). Davanti alle gradinate si ve-deva un rialzo dove si mette-vano gli attori per rappresen-tare commedie e tragedie. Dopo una breve camminata abbiamo raggiunto un luogo al centro della città.Questa parte della città si chiama Criptoportico foren-se; è completamente sotto-terra ed ha una forma ad U. I Romani lo usavano per pas-seggiare e raccontarsi della vita politica o religiosa della città. Sopra al criptoportico c'era un'area sacra con due templi e davanti ad essa si trovava una grande piazza dove il popolo si radunava per ascol-tare i personaggi della poli-tica oppure per fare scambi commerciali.

cLAssI quInTE AD AOsTA

Come è ormai tradizione della nostra scuola, nel mese di ottobre le due classi quinte hanno visitato la città di Aosta. È stata l'occasione per introdurre lo studio della civiltà romana. Tornati in classe si è pensato di raccontare l'esperienza vissuta attraverso la forma di un testo comune. Ogni ragazzo ha contribuito raccontando una parte della visita. Le varie frasi sono state poi messe in comune. Questa modalità di condivisione dell'esperienza si è rivelata un'importante occasione per vivere in classe un vero e proprio laboratorio di scrittura. I ragazzi hanno potuto ripensare a come si redige un testo rispettando i tempi verbali, la costruzione logica del pensiero, l'uso delle congiunzioni e infine la correttezza ortografica. Ecco le loro osservazioni.

Alla scoperta delle tracce lasciate dai Romani

20

pREsEpE vIvEnTE. sIAMO TuTTI In cAMInO

Venite a laudare

c'era la mangiatoia vuota, il bue e l'asinello le giravano le spalle e sulla soglia non c'era nessuno. Quando la mattina di Natale mettevamo il Bambino nella mangiatoia, il bue e l'asinello a scaldarlo con il fiato, mi divertivo a spostare tutte, o quasi, le statuine (pastori, contadini, panettieri...) verso la grotta, come se nella notte si fossero messe in cammino. I magi erano ancora lontani, appena partiti. Ancora oggi il presepe lo faccio così, con i personaggi in movimento. In fondo il Presepe Vivente che da ormai sette anni viviamo all’Aurora Bachelet, è questo: persone che si incamminano verso la grotta per andare a vedere e a lodare un bambino in fasce, Dio fatto uomo.Un popolo, che non vaga errante senza una meta, ma che cammina stupito, magari anche timoro-so, per dirigersi al luogo indicato dall'annuncio gioioso degli angeli.Quando lo abbiamo proposto nelle classi, è stato immediato pensare alle immagini delle migliaia di uomini che in questi mesi hanno lasciato le loro case per andare a cercare un luogo in cui vivere meglio, che come noi sono in cammino in cerca della felicità. Per questo gli alunni delle Medie hanno iniziato a riflettere sul fenomeno dei migranti; alcuni di loro stanno preparando riflessioni che saranno offerte come aiuto al cammino durante il presepe vivente, altri stanno approfondendo le ragioni del fenomeno in ambito geostorico. Siamo tutti in cammino, anche i bambini delle elementari, che si stanno preparando attraverso la visione del film d’animazione “La piccola grande storia”. L'appuntamento per tutti è sabato 19 dicembre alle ore 15:00 al parco Trabattoni, per andare in-sieme, come compagni di viaggio, verso Gesù che è nato per noi.

::: sEguE DALLA pRIMA

Percorso presepe 20151a stazione - parco Trabattoni2a stazione - parco Trabattoni 3a stazione - giardini della biblioteca 4a stazione - sagrato prepositurale

21

famiglie in azione

AbbIAMO InTERvIsTATO pAOLO cALzAvAccA, pREsIDEnTE DELLA cROcE bIAncA DI cERnuscO

Ama il prossimo tuo: mettere gli altri al centro::: cARLA pAvOnE

Cosa è la Croce Bianca?La Croce Bianca è un’as-sociazione di utilità sociale senza scopo di lucro (ON-LUS), che opera nel settore del primo soccorso e delle emergenze sanitarie, in collaborazione con il servi-zio 112 e con gli ospedali, e si occupa del trasporto di infermi. Il nostro motto è “ama il prossimo tuo”, perché mettiamo gli altri al centro dei nostri servizi.

Com’è nata la Croce Bianca? La Croce Bianca è stata fondata nel 1907 da don Giuseppe Bignami, presso l’Oratorio S.Luigi di Mi-lano, con lo scopo di im-pegnare i ragazzi dell’ora-torio in attività finalizzate all’aiuto degli altri, alleviandone la sof-ferenza. Per l’impegno dimostrato, la Croce Bianca diventò ben presto una “organizzazione cittadina” e da allora le attività si moltiplicarono, estenden-dosi all’assistenza notturna ai malati poveri, ai corsi di igiene e di primo soccorso, oltre alla partecipazione alle principali manifestazioni cittadine e sportive e all’organizzazione di corsi per infermiere volontarie. Nel perio-do Fascista, la Croce Bianca fu sciolta come tutte le associazioni di pronto soccorso, e il Governo requisì tutti i suoi beni. Solo nel 1945 essa riprese a operare, partecipando attivamente in tutti i campi dell’assistenza sanita-ria e da allora essa ha sempre portato avanti il suo impegno, aprendo sedi in tutta la Lombardia. Oggi alla Croce Bianca lavorano più di 5.000 volonta-ri, che percorrono ogni anno oltre 4 milioni di km, nello svolgimento di cir-ca 180.000 servizi, viaggiando su oltre 200 automezzi.

Quando è stata fondata la sezio-ne di Cernusco sul Naviglio?La sezione di Cernusco sul Naviglio è nata il 1° gennaio 1963, grazie soprat-

tutto all’interessamento di Don Giu-seppe Locatelli, assistente all’oratorio, e di un gruppo di persone fra le quali Giuseppe Mondonico. L’ospedale offrì due locali antistanti il Pronto Soccorso e una persona stipendiata, l’Ammini-strazione Comunale sostenne l’inizia-tiva con un contributo economico e la sede della Croce Bianca di via Vet-tabbia in Milano offrì un’ambulanza: fu così che 23 giovani volenterosi ini-ziarono l’attività dell’Associazione che oggi conosciamo e di cui Paolo Calza-vacca è l’attuale Presidente. Margheri-ta Merli è al Comando della Sezione, che conta circa 300 volontari..

Cosa rappresenta il simbolo del-la Croce Bianca?La croce richiama la sofferenza che i volontari sono chiamati ad alleviare. Il bianco e il blu, scelti rispettivamen-te per la croce e lo sfondo, ricordano invece il mantello della Madonna, che avvolge e consola gli uomini.

Di cosa si occupa esattamente la Croce Bianca?Sono cinque le attività principali delle quali si occupa la Croce Bianca:1. TRASPORTI IN EMERGENZA

E URGENZA per conto del 112, con l’obiettivo di garantire tutto l’anno, 24 ore al giorno, la disponibilità di mezzi di soccorso e personale;

2. TRASPORTI SANITARI e SO-CIALI per conto di aziende ospeda-liere o privati, per persone anziane, disabili o persone con problemi anche temporanei di deambulazione. Rien-trano in questa tipologia di servizio il trasferimento dei pazienti tra strutture ospedaliere, il servizio di trasporto da/per l’ospedale per i pazienti in dialisi, dimissioni e visite programmate;

3. ASSISTENZA A EVENTI SPOR-TIVI E MANIFESTAZIONI CUL-TURALI, su richiesta delle organiz-zazioni sportive o culturali, al fine di garantire primo soccorso e sicurezza, nel caso di eventi che prevedano la pratica di attività sportive e/o la par-tecipazione di pubblico;

4. PREVENZIONE E SALUTE, attraverso l’organizzazione di corsi per il personale scolastico, studenti, genitori, aziende e associazioni, e in generale per la popolazione, con lo scopo di diffondere il più possibile le

basi del Primo Soccorso, affinché i primi interven-ti in emergenza possano essere attuati anche da un normale cittadino, in atte-sa dell’arrivo del personale sanitario.

Quali sono i mezzi che i volontari usano?Oggi la Croce Bianca uti-lizza ambulanze e altri automezzi attrezzati per il trasporto dei malati, a seconda del tipo di in-tervento richiesto e delle condizioni fisiche del ma-lato. Tuttavia non è stato sempre così. All’inizio si usavano carretti traballanti spinti a mano dai volontari e un campanello annuncia-va il loro passaggio. Oggi abbiamo ambulanze che trasportano ogni tipo di presidio necessario a gesti-re le emergenze e sono in

collegamento costante con la Centrale Operativa.

Chi sono gli operatori della Cro-ce Bianca?La Croce Bianca è formata da alcuni dipendenti che garantiscono di norma i servizi di trasporto durante la setti-mana, dalle 8 alle 18. Dal pomeriggio e per tutta la notte, e in più nei giorni festivi operano invece i volontari, che si rendono disponibili nel loro tempo libero a svolgere le attività di soccor-ritori. Oltre ai soccorritori, tra i vo-lontari ci sono anche i centralinisti e persone dedicate a curare le attività amministrative della società.

Chi può diventare volontario e qual è la prassi da seguire?Per diventare volontario, bisogna esse-re maggiorenni e seguire un periodo di formazione, che differisce a secon-da dell’attività che si vuole svolgere: in amministrazione, al centralino o come soccorritore in ambulanza. Per svolgere attività amministrative o di centralino è sufficiente un periodo di affiancamento con personale esperto, mentre per diventare soccorritori oc-

22

corre seguire un corso di formazione e sostenere un esame finale. Croce Bian-ca organizza corsi di formazione tutti gli anni, una volta all’anno. Durante il periodo di formazione il volontario deve anche svolgere alcuni servizi in ambulanza, affiancando il personale certificato. Al di là della preparazione tecnica, il volontario deve avere una buona dose di “umanità”. Dare sollievo a un malato non vuol dire soltanto curarlo nelle ferite o intervenire per salvargli la vita. È soprattutto questo, certo, ma occorre anche sapergli stare accanto, consolarlo, rassicurarlo, gestire le sue

paure e le sue reazioni imprevedibili di fronte al dolore, gestire i suoi familia-ri. E soprattutto non sempre i servizi hanno un esito positivo: a volte capita di affrontare situazioni tragiche, nelle quali oltre allo sgomento per ciò che è successo, la coscienza personale non smette mai di chiedergli se ha davve-ro fatto tutto ciò che era possibile per salvare la vittima. Perciò è importante che il volontario sia preparato tecnica-mente, ma è altrettanto fondamentale che la sua statura morale e il suo senso del dovere siano tali da consentirgli di svolgere questo lavoro con coscienza e nel rispetto degli altri, sempre pronto

al loro servizio, come recita il motto della Croce Bianca.

Ci sono altri modi per aiutare la Croce Bianca?Certamente! Si può aiutare finanzia-riamente: facendo una donazione, nei molti modi che la legge consente, op-pure entrando a far parte degli “Amici Croce Bianca” con il versamento di un contributo di soli 20 euro l’anno.Per diventare “amico”, tra novembre e aprile di ogni anno, si può passare direttamente presso la sede dalle 9 alle 12 – oppure rivolgersi agli operatori che stazionano sul sagrato delle chiese

di Cernusco tutte le domeniche matti-na di dicembre e di gennaioLa Croce Bianca ringrazia “gli amici” e ricambia la generosa offerta, dando la possibilità di fruire, all’occorrenza, al donatore ed ai suoi familiari con-viventi, di servizi gratuiti (fino ad un massimo di dieci) in Cernusco e per trasporti aggiuntivi o fuori Comune, con uno sconto sulle tariffe regiona-li. Beh, ovviamente noi speriamo che nessuno abbia mai bisogno dei nostri servizi… Quest’anno c’è particolarmente bisogno di amici! Infatti è sorta la necessità di una “casa” nuova come spiegato nel riquadro.

::: A cuRA DELLA REDAzIOnE

Appuntamento in via Fontanile (presso la casetta dell’acqua) vicino al centro sportivo: 33 bambini, 15 vo-lontari ed il Comandante della Polizia Municipale di Cernusco si sono ritrovati per dare il via a questo progetto educativo “alla mobilità re-sponsabile”.I genitori hanno accompa-gnato i loro bambini alle 7:50 e li hanno affidati ai volonta-ri contraddistinti da un gilet giallo fosforescente e muniti di cartellino con il nome.

Insieme abbiamo attraversato il centro sportivo e siamo arri-vati a scuola per le 8:05.Nel tragitto c’è chi canta, chi raccon-ta, chi fa a gara per apri-re la fila, chi “sta a n c o r a dormen-do”…I bene-fici sono m o l t e -plici: si alleggeri-

sce il traffico che intasa via Monza e via Masaccio, di conseguenza si diminuisce lo smog provocato dalle auto in coda, si fa un po’ di esercizio fisico con una breve cammi-nata, si scarica la tensione pre-scuola e si conoscono nuovi amici…Vi sembra poco?Aspettiamo nuovi parteci-panti per rendere il nostro Pedibus ancora più efficace.

EsERcIzIO fIsIcO E AMIcIzIA

Lunedi 5 ottobre è partito il Pedibus, servizio di mobilità responsabile. Una volontaria racconta l’esperienza di “accompagnatrice” del primo appuntamento.

Il Pedibus: canta e cammina… ci siamo!

bambini e adulti al primo appuntamento.

Amici croce bianca non si nasce... si diventa

SEZIONE di CERNUSCO S/NSEZIONE di CERNUSCO sul NAVIGLIO

Un “Amico” per metter su "casa"

Quest’anno la Croce Bianca avrà bisogno di un sostegno importante da parte dei suoi Amici e di tutti coloro che vorranno contribuire alla nostra “casa”. No, non è un refuso: stavolta non intendiamo parlare di una “causa benefica”, bensì vogliamo parlare proprio di una sede nuova.

Infatti, beneficiando del clima di concorrenza agguerrita presente ultimamente tra gli operatori del soccorso, l’Azienda Ospedaliera di Melegnano ha assegnato ad altre organizzazioni la convenzione per i trasporti sanitari a partire dal 1° gennaio 2016, interrompendo il rapporto in essere da oltre cinquant’anni con la nostra Associazione. Questa scelta comporta per noi non solo il venir meno di una importante risorsa economica sulla quale eravamo abituati a contare, ma anche la necessità di abbandonare i locali della nostra storica sede di via Uboldo, di proprietà dell’Ospedale. È nostra intenzione trovare una sede di proprietà, sempre vicino al cuore di Cernusco, per continuare a servire i nostri concittadini come abbiamo sempre fatto. Stiamo valutando alcune proposte immobiliari e sono state avviate le procedure per ottenere dalla

ASL tutte le autorizzazioni necessarie. Ben presto saremo pronti a imbarcarci in questo progetto, ma lo sforzo economico che dovremo

sostenere è rilevante.

Pertanto confidiamo nell’aiuto di tutti gli Amici Croce Bianca e di coloro che vorranno liberamente aiutarci, e nel corso

dell’anno saranno organizzate una serie di iniziative aperte alla popolazione, tese alla raccolta dei fondi

necessari ad acquistare la nostra “casa”.

Contiamo su di te, perché tu possa sempre contare su di noi!

Seguici sul nostro sito www.crocebiancacernusco.org e sui social network, così saprai anche tu come offrire il tuo contributo.

Per ulteriori informazioni puoi contattarci per telefono (02 92111520), email ([email protected]) oppure puoi venire a trovarci in sede, in via Uboldo 36 (proprio di fronte l’Ospedale di Cernusco).

23

24

supplemento a "Libertà di educazione"Autorizzazione Trib. di Milano n. 153 del 15/4/1997

Direttore responsabile: f. TagliabueImpaginazione e grafica: cobri sasstampa: Jona srl - paderno D. (Mi)