Scuola Di Chicago - La metropoli

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I punti fondamentali per sviluppare un approccio critico all'antropologia della metropoli grazie al contributo degli studiosi della Scuola di Chicago.

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Studio della metropoli: la Scuola di Chicago

Riccardo Esposito

Nonostante la sua nascita si posizioni sul finire dei XIX secolo, la Scuola di Chicago rappresenta ancora oggi una delle correnti sociologiche fondamentali per quanto concerne lo studio della metropoli contemporanea. Questo lo possiamo sostenere in virtù della quantità e della qualità dei lavori svolti rispetto ala vita sociale e dell'interazione umana nelle aree metropolitane: uno studio che è avvenuto attraverso una metodologia etnografica della metropoli americana degli anni Venti, vittima di una crescita demografica sproporzionata che si ripercuoteva sull'equilibrio sociale e politico dell'intera nazione.

In questo periodo (“La Nuova Era”) gli USA stavano vivendo un periodo di forte espansione economica: la Chicago di inizio '900 era il laboratorio ideale per i teorici della Scuola di Chicago che si occupavano delle diverse patologie urbane, grazie anche alla naturale predisposizione degli studiosi nell'affrontare uno studio del territorio urbano non più dalle scrivanie o dalle cattedre dei dipartimenti, ma bensì attraverso una prospettiva che molto aveva da condividere con la ricerca etnografica. Vale a dire tramite lo studio empirico della società urbana e la discesa sul campo del ricercatore nel territorio metropolitano.

Nel 1892 fu fondato il Dipartimento di Sociologia dell'Università di Chicago, la prima scuola di sociologia degli Stati Uniti. Fu Albion Woodbury Small, direttore dell'American Journal of Sociology e fondatore dell'American Sociologial Society, a guidare per primo il dipartimento: dopo un anno fu affiancato da William Isaac Thomas, co-autore insieme a Florian Witold Znaniecki di un grande classico della sociologia come The Polish Peasant in Europe and America (1918-1920), ma fu solo con l'arrivo dal mondo del giornalismo di Robert Ezra Park (forte dei corsi di Simmel seguiti a Berlino) che la Scuola di Chicago riuscì a compiere un passo decisivo nella sua attività di ricerca.

Probabilmente Park fu il primo ad interessarsi agli esseri umani e al loro comportamento sociale piuttosto che al loro sviluppo storico e dei relativi problemi, ad esempio analizzano i caratteri di quella disorganizzazione quotidiana derivata dai processi di infiltrazione migratoria nel tessuto metropolitano di Chicago. La componente etnografica che anima lo spirito di ricerca dello studioso si ritrova nell'osservazione partecipante, nella raccolta di testimonianze personali, interviste, e materiali, ma soprattutto nel perdersi tra la gente, nei i luoghi e negli angoli che compongono il mosaico cittadino.

Grazie alla Scuola di Chicago e alla sensibilità etnografica di Park si ebbero studi approfonditi su quei frammenti metropolitani che difficilmente avrebbero avuto spazio nei grandi apparati sociologici precedenti; ricerche che, nel cercare di comprendere in che misura si potessero riportare un quartiere isolato e i suoi abitanti sotto gli interessi della comunità, affrontano realtà micro-sociali che in precedenza non erano riuscite ad acquisire un qualche tipo di attenzione. Un esempio paradigmatico è quello che ci viene proposto da Nels Anderson con Hobo: Sociologia dell'uomo senza dimora, la sua ricerca sui vagabondi, i lavoratori senza fissa dimora (egli stesso fu un vagabondo), ma che può ovviamente ampliarsi verso gli squawkers, venditori di ninnoli inutili, gli immigrati italiani, le ballerine, gli ambulanti, gli anarchici.

Il fine ultimo delle opere di Park è quello di dimostrare - attraverso uno studio ecologico, ambientale della città - che i rapporti sociali e culturali sono strettamente condizionati dall'ambiente di appartenenza. Uno studio ecologico della metropoli che si manifesta non solo

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nella discesa sul campo per ascoltare le voci e le esperienze degli abitanti ma anche nello studio della composizione demografica e architettonica dei quartieri, e che può essere rimandato, nella sua forma più embrionale, ad un altro esponente di spicco della Scuola di Chicago: Ernest Watson Burgess.

Uno dei concetti fondamentali del sociologo canadese per quanto concerne il nostro studio sulla metropoli è quello di successione, vale a dire quel processo che considera la città come un modello diviso in cerchi concentrici. Il distretto centrale è riservato agli affari, alla vita economica della città, quello successivo all'industria, alla zona abitativa dei lavoratori, residenziale e suburbana. L'idea di espansione-successione metropolitana portata avanti da Burgess consiste nel continuo ampliarsi del numero di cerchi concentrici in vista di un deterioramento delle condizioni di vita delle varie zone, il loro abbandono da parte delle classi più agiate e la costituzione di zone residenziali sempre più lontane dal centro della metropoli (vedi immagine).

Un concetto, questo, che si lega imprescindibilmente con quello di decentramento centralizzato, secondo il quale con l'aumentare del volume della metropoli si riproducono nuclei cittadini che nascono e riproducono le caratteristiche del vecchio centro storico. Questa ipotesi viene confermata dall'aumento dei prezzi dei terreni edificabili, direttamente proporzionali con la nascita di nuovi centri decentralizzati.

Altro nome fondamentale per la comprensione del metodo di ricerca della scuola di Chicago fu Harvey Warren Zorbaugh che nella sua opera principale, The Gold Coast and The Slums del 1929, si occupò delle diverse condizioni di vita presenti nel quartiere Near North Side di Chicago. Prendendo spunto dalle teorie di Burgess, Zorbaugh concentra la sua attenzione sul concetto di ecologia della metropoli e, in particolar modo, sulla relazione tra struttura sociale della comunità con le realtà geografiche e spaziali.

Gli elementi di principale importanza secondo l'autore erano il continuo aumento delle separazioni delle funzioni all'interno del quartiere Near North Side (lavoro e divertimenti esterni al quartiere in cui si abita) e il concetto di aree naturali, secondo il quale le caratteristiche morfologiche e architettoniche possano creare zone isolate all'interno della città. Una teoria che comunque si articola secondo presupposti economici e geografici, ma non culturali che, puntualmente, sembrano prescindere da forzature urbanistiche di qualsiasi natura (157).